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la Repubblica

DOMENICA 6 GENNAIO 2013

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R CULT

ILMUSEO DEL MONDO


FOTO DI BASSO CANNARSA

LARTISTA

MELANIA MAZZUCCO

Paul Klee (1879-1940), pittore svizzero. Nel 1911 entra in rapporto con gli artisti del Blaue Reiter. Risale invece al 1920 il suo ingresso al Bauhaus di Weimar; forma con Kandinskij, Feininger e Jawlensky il movimento dei Quattro Azzurri. Lascia oltre alle sue tele piene di colori e di simboli una robusta elaborazione teorica, dal Quaderno di schizzi pedagogici alla Teoria della forma e della figurazione

Una melodia di punti, linee, colori Klee e il senso segreto delle cose
LOPERA

l primoquadro di cui ho memoria non lho visto in un museo n in una chiesa. Non era appeso su una parete distante, intangibile e vagamente sacrale ma lo tenevo fra le mani, come un qualunque oggetto della mia vita quotidiana. Insomma, era riprodotto in un libro. Ad Parnassum di Paul Klee campeggiava infatti sulla copertina di un libro darte per bambini, che mi fu regalato da mia madre per il mio quinto compleanno. Era convinta che larte moderna, in apparenza primitiva e infantile, possa essere compresa istintivamente, senza bisogno di nozioni o esperienza del mondo. Forse cos: perch quel quadro stato per me davvero una porta, e da allora unopera darte non ha mai smesso di sembrarmi non qualcosa di morto, venerabile, il prezioso relitto di una civilt scomparsa, ma qualcosa che come un libro parla proprio a me, e mi riguarda. Da qualunque lontananza venga il suo richiamo. Spero che Ad Parnassum sia anche la vostra porta: perch il mio viaggio nelle immagini del mondo inizia da qui.

Paul Klee: Ad Parnassum (1932), olio su tela, Berna, Kunstmuseum

Paul Klee, accusato dai suoi critici di dipingere scarabocchi per bambini, era invece un intellettuale, uno scienziato e un filosofo. Aveva elaborato una complessa teoria dellarte e non dipingeva neanche un punto senza sapere perch. Non avrebbe mai voluto che ci chiedessimo che cosa rappresenta Ad Parnassum. Larte non imitazione, non deve riprodurre il visibile diceva ma rendere visibile linterno occulto delle cose. La chioma di un albero non somiglia alle sue radici. Lui voleva sbarazzarsi di chi in un quadro va a caccia degli oggetti reali del mondo. Cos, di questi, rimasto solo il riflesso, come uneco sul punto di spegnersi. Un cerchio arancio che potrebbe essere un sole, due linee scure che potrebbero rappresentare il tetto di un edificio (o una montagna, o una piramide), tre cunei che indicano direzioni opposte, un arco che ricorda una porta. Insomma, le forme essenziali: i punti, le linee, i colori. I primi si aggregano in disegni geometrici, i secondi combinano i tre colori fondamentali (giallo-rosso-blu) in infinite variazioni. La tela intessuta di punti di colore, come minuscole tessere di mosaico o squame di serpente o scaglie di pesce. Klee riteneva che lopera fosse un organismo, natura essa stessa, soggetta alle stesse leggi della cellula e del cosmo: i punti di Ad Parnas-

sum brulicano come stelle nel firmamento. Per questo quadro ha un titolo, scelto da Klee. Dunque un segno anchesso. Ad Parnassum significa verso il Parnaso. Ricorda cose reali. Era infatti il titolo di un saggio di teoria musicale del 1725, che Paul Klee, figlio di un insegnante di musica e di una cantante professionista, e lui stesso violinista e cultore di musica, conosceva: la sua aspirazione di pittore era creare una sintesi di pittura, musica, poesia. Dunque il titolo allude alla polifonia, che il quadro si propone di rappresentare simbolicamente. Ma Ad Parnassumsi intitolano anche gli esercizi di pianoforte di Muzio Clementi, che conducono lallievo alleccellenza. Esso implica unascesa suggerisce un movimento verso lalto. Ma nel quadro la salita ostacolata dalle tre punte, che introducono una tensione e indirizzano lo sguardo altrove a destra, a sinistra, in basso. Locchio scivola allora verso un altro elemento: la porta, al cui centro spicca un rettangolo violaceo. E qui agisce il terzo significato del titolo. Il Parnaso infatti prima di tutto il monte sacro ad Apollo e alle muse. E il regno incontaminato dellispirazione e dellarmonia. I pi grandi pittori dei secoli trascorsi, da Mantegna e Raffaello a Poussin, hanno dipinto la salita al Parnaso dei poeti e degli artisti. La porta che si apre nellangolo sinistro di quella che non una casa n un tempio, ma la montagna stessa dellarte e della poesia, allora la porta che immette in quel mondo altro l dove il caos diverr musica. E l che si ferma lo sguardo: quello il punto di equilibrio del quadro. Val la pena ricordare che questa sinfonia polifonica non stata dipinta in un momento qualunque della vita di Klee trascorsa fra studio, ricerca, viaggi, famiglia, insegnamento, sperimentazione di tecniche innumerevoli e creazione inesausta (alla sua morte aveva realizzato ben 9000 opere). Fu dipinta in quello stato di grazia sospesa che precede la caduta. E il 1932. Paul Klee insegna pittura alla Scuola di Belle Arti di Dsseldorf, viaggia in Italia, lavora e intanto, incalzato dai nazisti che hanno vinto le elezioni municipali, lo Stato tedesco interrompe i finanziamenti alla Bauhaus, dove anche Klee ha insegnato per anni. Lanno dopo, lui stesso a essere licenziato. Un fogliaccio nazista lo denigra come il tipico ebreo della Galizia (in realt suo padre un ariano bavarese, e sua madre svizzera), le SA perquisiscono la sua casa. Paul Klee lascia la Germania per esiliarsi in Svizzera, dove del resto nato. Fatto che invalida la battuta di Orson Welles nel Terzo Uomo (quella che dice che in cinquecento anni di pace e democrazia gli svizzeri hanno creato solo orologi a cuc). Nel 1932, in Germania, il Parnaso minacciato. Nel 1933, un quadro di Klee figurer nella prima delle famigerate esposizioni di Arte Degenerata. Ma proprio quando il Parnaso in pericolo, Klee dipinge unarmonia melodica di punti, linee e colori, e invita chi guarda a varcare la porta e a salire. Larte non mai un traguardo, ma un cammino: ci che conta non la meta, ma la strada percorsa.
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DOMENICA 13 GENNAIO 2013

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ILMUSEO DEL MONDO


MELANIA MAZZUCCO
FOTO DI BASSO CANNARSA

LARTISTA

Guido di Piero, detto il Beato Angelico (1395 ca-1455) entra nel convento di San Domenico a Fiesole con il nome di Fra Giovanni. Diventa tra i maggiori pittori fiorentini del primo Rinascimento. Affresca il convento di San Marco a Firenze. Dal 1446 a Roma per lavorare alla Cappella Niccolina per papa Niccol V; dipinge poi nella cattedrale di Orvieto. Muore a Roma. Viene proclamato Beato da papa Wojtyla

a cella numero 3, nel corridoio est del convento domenicano di San Marco, a Firenze, un monolocale con una porta e una finestra. Eppure l dentro, sulla parete, c lopera pi radicale di uno dei pittori pi facili e insieme complessi della storia dellarte, che in quarantanni di attivit fu assai prolifico bench, come ci racconta Vasari, essendo uomo di santa vita non lavor mai per denaro: frate Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro detto Guidolino insomma, il Beato Angelico. In San Marco il Beato Angelico dipinse una cinquantina di opere, anche servendosi di collaboratori, assistenti e seguaci. Le pi personali non le trovate per nei corridoi, nei refettori o nelle stanze dei laici, ma nelle celle dei frati. Anche Angelico era frate domenicano. Dipingeva, in sostanza, per se stesso. Per questo quegli affreschi rappresentano un caso rarissimo nella storia dellarte paragonabile a quello di Tintoretto alla Scuola di San Rocco: creati in libert, con poveri strumenti materiali (pigmenti di origine vegetale, leganti organici, pennelli fatti con peli di animali), rivelano quanto profondo, altissimo e sottile possa essere il pensiero di un artista. La cella numero 3 oggi bianca e vuota. Forse anche intorno al 1443, quando ci entr il primo frate. Ci sar stato un letto, un inginocchiatoio, un braciere, qualche utensile per la vita quotidiana. Il soggetto dellaffresco lAnnunciazione. Beato Angelico ha dipinto almeno 15 Annunciazioni: e una addirittura a pochi metri, nel corridoio del convento. Eppure questa le supera tutte. nuda, essenziale, spoglia. Ricordate la laconicit enigmatica dei 13 versetti del Vangelo di San Luca? Ebbene, Angelico qui realizza lassoluto equivalente della scrittura. La pittura diventa astratta quanto la parola. Si tratta di una trascrizione, non di una descrizione. Angelico non illustra il racconto del Vangelo a un ignorante che non sa leggere; qui la pittura non la Bibbia dei poveri. I frati domenicani gi conoscono le sacre scritture. Angelico pu eliminare tutti i dettagli narrativi e naturalistici. Due colonne segure. Il focus dellaffresco infatti proprio quella parete bianca, abbacinante, fra langelo e Maria. uno spazio vuoto, come una pagina, che attira locchio e dunque il pensiero: spazio di contemplazione, rivelazione. Ma Maria non deve avere il manto blu, come il cielo stellato? Forse Angelico non ha avuto il tempo di finire il dipinto: fu chiamato dal papa, part per Roma. Lasci labito di Maria allo stato di preparazione. Eppure in unopera rarefatta come questa ogni scelta indizio di un significato. Maria e langelo si somigliano e sono speculari anche nei gesti nellistante in cui il messaggero si inchina a una mortale, e la donna riceve lo Spirito Santo dentro di s. Ma non sono identici. Langelo rivela la presenza di Dio, che luce e irradia tutto intorno, batte sulla parete di fondo e illumina ogni cosa. Langelo non ha corpo. Anche Maria ha perso consistenza. Guardate la sua strana posizione, il panneggio quasi concavo del vestito l dove dovrebbe esserci losso del ginocchio. Scelta da Dio, dopo avergli detto di s, sar mediatrice e salvatrice dellumanit. Per resta una donna, ed nel suo corpo reale che tutto si compie. Cos la luce la investe, ma non la attraversa. Guardate la parete alle sue spalle. C unombra. Maria fa ombra. AllAngelico ormai basta una pennellata per dire che cosa distingue gli angeli dagli esseri mortali. Lui, invece, ormai veniva considerato un angelo. Gi pochi anni dopo la morte lo chiamavano pittore angelico (proprio nel senso che, come gli angeli, vedeva Dio), e beato. Dal 1982, per volont di Giovanni Paolo II, frate Giovanni beato davvero.
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Lo spazio bianco di Beato Angelico nella sua Annunciazione astratta


LA GALLERIA KLEE

LOPERA

Beato Angelico: Annunciazione (1438-40), affresco, Firenze, convento di San Marco, cella 3

Ad Parnassum (6 gennaio)

minascoste dalle ali dellangelo e gli archi della volta sono tutto ci che resta dellarchitettura. Lo spazio indeterminato e ossessivo, come in un sogno. N un esterno n un interno: una cavit intima, che evoca la cella reale, e il reale chiostro del convento. Sulla sinistra, un rettangolo verde allude al giardino della casa di Maria, a Nazareth, o al giardino dellEden da cui fu espulso Adamo (poich lAnnunciazione avvia la redenzione dellumanit dal peccato di Adamo). Anche il tempo astratto. Levento infatti non accade al momento del racconto di san Luca: il suo ricordo. Ci

dimostra la presenza anacronistica di un testimone vissuto secoli dopo, il martire Pietro da Verona dalla testa sanguinante. Indossa il saio bianco e nero dellordine domenicano, lo stesso del pittore e del frate della cella n. 3 cui lopera destinata. La scena come una visione: limmagine mentale dellAnnunciazione. Cio Pietro (il frate, il pittore) sta meditando sul mistero centrale del cristianesimo: lIncarnazione di Dio nel ventre di una donna. La Vergine e langelo appaiono, come emergendo dal bianco dellintonaco. Sottili, diafani, inverosimili. Non parlano. Il pit-

tore presuppone il dialogo del Vangelo lo allude. Leconomia dei segni totale, i colori sono pochissimi. Rosso il sangue sul cranio del martire e lo spirito santo che arde in forma di fiammella; verde il prato immaginario e le piume delle ali dellangelo; legno lumile panchetto di Maria; oro le aureole e i capelli; rosa labito di Gabriele e di Maria. Ma il bianco che domina. Bianco il libro, bianco il pavimento, bianco il soffitto, bianco il muro sullo sfondo. Ha lo stesso colore dellintonaco della cella che circonda il dipinto, e del dipinto stesso prima che il pittore vi disegnasse e colorisse le fi-

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DOMENICA 20 GENNAIO 2013

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R CULT

ILMUSEO DEL MONDO


MELANIA MAZZUCCO
FOTO DI BASSO CANNARSA

LARTISTA

Oskar Kokoschka (1886-1980) si forma alla Scuola di arti decorative di Vienna: sono gli anni della Secessione. Tra i primi maestri, c Klimt. Ama Munch e i fauves, gravita attorno alle esperienze del Blaue Reiter a Berlino. Diventa espressionista e poi intreccia rapporti con i Dada a Zurigo. Il nazismo lo spinge a riparare prima a Praga, poi a Londra. La sua ultima pittura fatta di esterni postimpressionisti

Lamore di Kokoschka e Alma perduto in un labirinto di luce e colori


LOPERA

L
Oskar Kokoschka: La sposa del vento (1914), olio su tela, Basilea, Kunstmuseum
KLEE

amore non si vede. una brezza, un brivido, un vento, fin dai tempi di Saffo. E non lo si rappresenta: si fa. I pittori se la sono quasi sempre cavata dipingendo le fattezze delle loro amanti o mogli trasformandole in modelle, madonne, muse. Altre volte le hanno raffigurate con un realismo che ha scioccato i benpensanti, ma che era invece la prova pi grande damore perch lamore verit e non abbellimento e mistificazione. Molti di loro, infine, hanno semplicemente eluso il soggetto, preferendo paesaggi o astrazioni. Non c niente di pi pericoloso per un artista che mostrare i propri sentimen-

vano lanima dei soggetti come ai raggi X. Nel 1914 Kokoschka aveva ventotto anni. Avrebbe dipinto per altri sessantasei: una vita intera. Alla fine, dopo lo scherno, lesecrazione e lesilio, sarebbe stato considerato un caposaldo della pittura del XX secolo. Ma nessuno dei suoi quasi cinquecento quadri avrebbe avuto la visionaria potenza di questo. Non c disegno o schizzo preparatorio, i personaggi vengono proiettati direttamente sulla tela con larghe e fluide pennellate: la superficie un turbine di grumi blu, verdi e viola, i colori sono arroganti e dolorosi come graffi, le forme sotto-

Ad Parnassum (6 gennaio)

BEATO ANGELICO

Annunciazione (13 gennaio)

ti, le proprie ferite, le proprie illusioni. Il ridicolo ti aspetta al varco. Per accettare la sfida, bisogna essere o molto giovani o molto vecchi. O molto coraggiosi. Oskar Kokoschka era soprannominato il Gran Selvaggio e il Seminatore di Zizzania (cio il Diavolo), a causa dei quadri che aveva esposto alle mostre della Kunstschau. Avevano suscitato riprovazione e disgusto. Si distaccavano in modo radicale dalla tradizione e dalle abitudini visive dei visitatori. Nessuna armonia: troppo violenti e maleducati i colori, sgraziato il pennello, troppo sconcertanti i ritratti, che denuda-

lineate da tocchi di bianco, la profondit dello spazio dalla luce. Come nei quadri dei veneziani, e di Tintoretto in particolare, ammirati a Venezia pochi mesi prima, tutto colore, luce e movimento. La scena rappresenta due amanti, un uomo e una donna di notte, sul fare dellalba, sfatti dalla stanchezza che segue il coito. Sarebbero in un letto, se questo fosse un quadro realista. Ma siccome non lo , sono in una forma curva che ricorda una barca, o una conchiglia, in balia delle onde, del mare e del vento. Lattrazione che provano luno per laltra si comunica alle forze cosmiche, e diventa cor-

rente elettrica, dinamismo: una tempesta, che li trascina con s. La Tempesta era infatti il titolo originale che Kokoschka aveva dato al suo quadro. Gli amanti sono coricati, la donna in posizione dominante. Del resto siamo nel 1914: epoca in cui la donna fatale. Vampira lussuriosa, forza distruttrice e destabilizzante, spaventa da qualche decennio limmaginario maschile. Artisti simbolisti e decadenti, e anche psichiatri e filosofi hanno spolpato il tema delluomo succube, vittima designata della Femmina. Freud ha gi rivelato i meccanismi dellEros e del principio di piacere ai viennesi e Kokoschka, nato in una cittadina danubiana di provincia, a Vienna ha studiato, vissuto e amato. La donna dorme, appagata. Luomo invece sveglio. Non per proteggerla o difenderla. Lei dorme perch gli sfuggita nel sonno, gi altrove imprendibile. Lui veglia, teso, inquieto, in allarme. una scena universale: il sesso, labbandono, lillusione del possesso, lenigma dellaltro. una scena privatissima, quasi oscena. Perch luomo ha i lineamenti del pittore, e quello bench deformato il suo autoritratto. I capelli lisci, il volto oblungo, gli occhi grandi e inquisitori, il mento prominente. E la donna la sua amante, Alma Schindler vedova Mahler che si lasciata travolgere dal suo genio selvatico, gli ha promesso di sposarlo se creer un capolavoro, ma invece fuggita, spaventata dalla sua gelosia, dalla sua rozzezza, dalla sua energia. Nellautobiografia, lui scrisse di aver dipinto il quadro quando fra loro

tutto era gi finito. Us un verbo molto strano: disse di essersi districato da lei. La bellissima, esigente, vorace Alma era diventata la sua ossessione, e Kokoschka poteva trattenerla solo imprigionandola per sempre sulla tela. Lei non rimase turbata dalla esibizione della loro intimit e anni dopo, scrivendo le sue memorie, ammise che quello era il suo ritratto migliore. Il poeta Georg Trakl visit il pittore nel suo studio quando il quadro si stava ancora asciugando sul cavalletto. Conosceva la selvaggia e violenta storia di passione che lo aveva ispirato. Del resto ne sparlava tutta Vienna, che allora era il cuore artistico del mondo. Sugger un titolo pi suggestivo:La sposa del vento. Kokoschka accett il consiglio. Il quadro non gli riport la sposa mancata. Anzi, fin per sostituirla, diventando non pi il simbolo dellunione spirituale e alchemica che i due si erano illusi di avere realizzato amandosi, ma il suo equivalente materiale. Intanto lAustria era entrata in guerra. E quando cap che Alma non sarebbe mai tornata indietro, Kokoschka si arruol volontario nel XV reggimento dei dragoni. Gli allievi ufficiali dovevano possedere un cavallo. Kokoschka vendette La sposa del vento e se ne and al fronte, sotto le bombe, a farsi sparare in testa, in sella al suo cavallo. A volte anche lamore assoluto, quello che fa di un giovane selvaggio un uomo, e di un pittore espressionista esecrato da tutti un maestro del Novecento, vale appena il prezzo di un cavallo.
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la Repubblica

DOMENICA 27 GENNAIO 2013

52

R CULT

ILMUSEO DEL MONDO


MELANIA MAZZUCCO
FOTO DI BASSO CANNARSA

LACHEROPITA

Il dipinto a cera della Cappella del Sancta Sanctorum a Roma rappresenta il volto di Cristo. Lopera antichissima, databile tra il V e il VII secolo. Secondo la tradizione cristiana orientale, unicona non dipinta da mano umana, ma da Dio stesso

Lenigma dellAcheropita Autoritratto di Dio


LOPERA

A
Acheropta: Santissimo Salvatore, Roma, Cappella Sancta Sanctorum
BEATO ANGELICO

piazza San Giovanni, a Roma, in un elegante edificio rinascimentale spesso quinta di manifestazioni sindacali e concerti c uno degli oggetti artistici pi enigmatici e impressionanti che siano mai stati creati. Pi che vederlo, lo si intuisce: da lontano, per pochi istanti, come un lampo nella penombra. Non lo si dimentica pi. Loggetto un dipinto a cera su tela di lino incollata su tavola si trova su un altare, incapsulato in una lastra dargento che emette bagliori lunari. Ma non possiamo avvicinarci: una spessa grata ci tiene a distan-

PAUL KLEE

KOKOSCHKA

Olio, Ad Parnassum 1932, Berna (6 gennaio)

La sposa Annunciazione del vento 1438-40, Firenze 1914, Basilea (13 gennaio) (20 gennaio)

za. Stiamo sbirciando infatti nella cappella privata del Papa, che contiene i tesori pi inestimabili della cristianit: per questo nota come Sancta Sanctorum. I pellegrini vi giungono doloranti, dopo aver salito sulle ginocchia i 28 gradini della Scala Santa quella del palazzo pretorio di Ponzio Pilato a Gerusalemme, che Ges sal il venerd della Passione e che Elena, madre di Costantino, avrebbe portato a Roma. I curiosi saliti sui loro piedi vi giungono indenni, tuttavia intimiditi dalla scritta sullarchitrave: NON CE IN TUTTO IL MONDO LUOGO PIU SACRO. Alla fine, quando si viene sospinti via,

resta la strabiliante sensazione di essere stati guardati. Ma da chi? La tavola in realt unicona antichissima, che rappresenta il Santissimo Salvatore, cio Ges Cristo Pantocratore. Molte altre icone rappresentano lo stesso soggetto, e nello stesso modo, perch sono immagini del sacro, dunque identiche a se stesse, e non conoscono il tempo. Ma licona del Sancta Sanctorum diversa. Non perch sia miracolosa, accechi i superbi, esaudisca desideri o guarisca malattie, bench pare faccia anche questo. N perch il talismano protettore di Roma, senza il quale la citt stessa perirebbe. Le cronache raccontano che nel 753 al papa Stefano II bast mostrarla perch il re longobardo Astolfo togliesse lassedio. Cos per secoli i papi la ostentarono in una processione notturna che attraversava tutta la citt. Il popolo si accodava in massa, invocando piet e protezione contro la peste, la morte, la guerra il male, insomma. Licona del Santissimo Salvatore in qualche modo funzionava. Neanche i lanzichenecchi luterani del 1527 riuscirono a rubarla o a darle fuoco. Si salv da terremoti, invasioni, incendi. Per si consum, quasi si estinse. I balsami con cui i piedi del Santissimo Salvatore venivano unti durante le ostensioni corrosero le membra; poi sparirono labito e il trono su cui sedeva il Pantocratore. Alla fine del 1100 limmagi-

ne originale non si vedeva quasi pi, e fu ridipinta. Con fedelt. Per il corpo era svanito, e non fu ripristinato. Lassenza fu coperta con un vestito dargento, tempestato di gioielli e pietre preziose, un sudario da cui il volto di Cristo emerge perentorio e spettrale, con lallucinata intensit di una visione. Si cercato di stabilire dove stata dipinta licona. A Bisanzio, secondo alcuni studiosi: sarebbe stata strappata dal palazzo imperiale al tempo delliconoclastia. Altri sostengono che essendo la tavola di noce, e non di cedro o altro legno orientale, deve essere latina, italiana, romana. In realt, come sempre quando unopera appare allimprovviso, il Santissimo Salvatore un oggetto misterioso, come un meteorite. Ma ha un autore: Dio stesso. Ci significa lenigmatica parola di origine greca, Acheropta(non fatta con la mano), che figura in luogo della paternit dellopera. Dunque Dio il pittore di questo ritratto. Insomma, un autoritratto. Poich non un calco del volto di Ges (come il Mandilion di Edessa, o il sudario della Veronica), sarebbe il primo autoritratto della storia dellarte. I pittori italiani e stranieri lo conoscevano. Venivano tutti a Roma. Si sarebbero ricordati della frontalit ieratica e degli occhi immensi di questo uomo-Dio. Oggi difficile crederci. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che la pittura fragile, fatta con normalissimi colori, e databile, come ogni manufatto umano. Al V secolo, non oltre linizio del VII. Le ricerche

artistiche hanno analizzato la forma e la tipologia dellimmagine a sua volta diventata modello per altre, riproducendosi allinfinito. Pi che mostrare come Dio vede se stesso, licona acheropta ci dice come gli uomini dei secoli bui vedevano Cristo: sovrano onnipotente incoronato da unaureola doro, ma anche dolorosamente umano. Forse non imita laspetto del Cristo storico, ma il senso della sua presenza sulla terra. Nel congiungersi alla barba, i baffi gli conferiscono unespressione non trionfante, anzi immensamente triste. Ha gli occhi enormi e vicini, spalancati, assenti eppure penetranti, fissi nella contemplazione di qualcosa al di l del visibile e della materia. Eppure impossibile sottrarsi alla sensazione che quel dipinto racchiuso in un sarcofago dargento della misura di un uomo non sia un pezzo di legno inerte. Non siamo noi che guardiamo lopera, ma lopera che guarda noi. Ci segue con lo sguardo, ci giudica. Ci legge dentro. Ed evidentemente una sensazione diffusa, se un papa del Medioevo prefer coprirla con un velo di seta, perch guardandola le persone venivano colte da tremori, terrore, vertigine come di fronte allinfinito, o a un abisso. Ogni volta che torno a visitare lAcheropta, mi chiedo se il Santissimo Salvatore mi guarda perch Dio, o perch una magnifica opera darte. E mi ripeto che se unopera darte non diventa presenza specchio di un pensiero, indelebile emozione, scintilla di un significato del mondo non niente.
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DOMENICA 3 FEBBRAIO 2013

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R CULT

ILMUSEO DEL MONDO


MELANIA MAZZUCCO
FOTO DI BASSO CANNARSA

LARTISTA

Jackson Pollock (1912-1956), pittore americano. Originario del Wyoming, studia a New York, affascinato dai messicani Orozco e Siqueiros e da Picasso. Diventa il maggiore esponente dellaction painting: la pittura nella sua opera si fa gesto

LOPERA

Jackson Pollock: Full Fathom Five (1947) New York, MoMA

eminare parole sulla carta. Erigere un muro di caratteri, e poi inabissarsi nelle proprie pagine come in un labirinto. il sogno di molti scrittori. Pu sembrare un modo strano per cominciare un discorso su Jackson Pollock, il mito dellavanguardia americana degli anni 50, il rude cowboy del Wyoming, paragonato a Marlon Brando e James Dean: ma esattamente questa la sensazione, insieme riposante e angosciante, che mi comunicano le sue opere. Come fossero dei muri che lartista ha eretto intorno a s, o dei mari in cui si tuffato per annegarvi. Infatti se gli scrittori possono realizzare la fuga nellopera solo in metafora, o finendo in manicomio, un pittore pu farlo davvero. E Pollock ci entrato dentro col corpo, con le mani, e l rimasto cristallizzato, salvo, come un insetto in una goccia dambra. La mia lettura influenzata dal titolo di questo quadro. Gli storici dellarte non attribuiscono troppa importanza ai titoli dei quadri, perch sanno che di rado gli artisti li scelgono da soli, e spesso nascono invece a quadro finito, dietro suggerimento di un amico intellettuale, poeta, critico. In questo caso, del traduttore Ralph Manheim, vicino di casa del pittore. Io per sono di quelli che nei musei si ingobbiscono per leggere la didascalia, anche se il quadro in questione rappresenta un sacco di tela o un escremento. E mi mettono a disagio le esposizioni dove ci sono ottanta opere senza titolo. Perch, anche se non raffigurano nulla, esse hanno pur sempre un soggetto cio un senso per chi le ha create. Poich nessuna opera si realizza da s: nemmeno se fatta sotto dettatura automatica dellinconscio. Anche Pollock classific molte sue opere col nome untitled, seguito da un numero, una lettera e lanno di creazione. Ma ai due quadri che prediligo, Full fathom five e Deep, ha messo dei titoli verticali. Come se volesse assimilare la superficie orizzontale del quadro agli spazi delloceano o del cielo. Pollock fin per odiare ci che gli altri apprezzavano della sua opera: il sembrare frutto del caso. Dunque mi piace pensare che Full fathom five dica molto dellopera in questione e di lui. Si tratta di un quadro astratto alto quasi un metro e trenta: del 1947, uno dei primi esempi dello stile che diventer inconfondibilmente suo. Filamenti di colore sgocciolato sulla tela formano arabeschi e ideogrammi enigmatici. Domina il verde, con inserti di bianco, arancione e rosso, fra geroglifici di linee nere. La superficie butterata di relitti della vita materiale del pittore, incastrati sulla tela come in un collage: bottoni, fiammiferi, puntine, monete, sigarette con la cartina strappata, tappi di tubetti di co-

Quella figura misteriosa sepolta sotto le gocce di colore di Pollock


PAUL KLEE

Ad Parnassum (6 gennaio)

BEATO ANGELICO

OSKAR KOKOSCHKA

ACHEROPITA

Annunciazione (13 gennaio)

La sposa del vento (20 gennaio)

Il Santissimo Salvatore (27 gennaio)

lore e chiavi. Allora linsieme assume una forma quasi antropomorfa: sembra di intravedere una figura prigioniera sotto lo strato di pittura. Ed esattamente cos. Le foto a raggi X effettuate per il restauro hanno svelato che esiste davvero una figura, in piedi, con un braccio alzato, sotto la ragnatela di linee. come se Pollock lavesse seppellita dentro il suo quadro. Questo infatti significa Full fathom five: A cinque braccia sul fondo. la canzone che Ariel canta a Ferdinando nella Tempestadi Shakespeare, descrivendo il padre che il giovane crede annegato. A cinque braccia sul fondo giace dunque un cadavere. Ma il cadavere di chi? Si potrebbe rispondere: della figura cio della pittura tradizionale che Pollock, alla ricerca della sua identit, sta abbandonando. Dunque cancella, sfregia, seppellisce, con un atto liberatorio, tutto ci che lo ha preceduto. Alcuni anni pi tardi, teorizz che lartista moderno non pu esprimere il suo tempo, laeroplano, la bomba atomica, la radio, nelle vecchie forme della passata cultura. Ogni et trova la sua propria tecnica. La tecnica che avrebbe messo a punto Pollock pi o meno da questo quadro aboliva il pennello, la tavolozza, il cavalletto. Prevedeva una tela stesa sul pavimento, e la distribuzione del colore direttamente dal tubetto, mediante lo sgocciolamento (il dripping). La pittura diventava espressione delle energie dellinconscio, azione (action painting), e latto della creazione pi importante del suo esito. Questa tecnica stata paragonata allorgasmo, allinseminazione, e anche alla minzione. Allora si pu forse rispondere diversamente. La figura che giace sul fondo lartista stesso. Aveva scelto di dipingere sul pavimento perch, come dichiar in unintervista rilasciata nei giorni di Full fathom five, cos si sentiva parte del quadro poteva camminarci intorno, ed essere letteralmente nel quadro. Un metodo simile a quello degli indiani del west che lavorano sulla sabbia. Quando sono nel mio quadro, disse, non sono cosciente di quello che faccio, un quadro ha una vita propria, che devo lasciar emergere. E la lasci emergere, fra il 1947 e il 1950 lepoca doro di Pollock, quattro anni scarsi in cui realizz i suoi capolavori, in uno stato di grazia febbrile. Poi tent di cambiare strada senza successo, perch la critica lo aveva ormai identificato con la formula degli Untitled. Allora entr in crisi e si smarr. Si ritrov nel 1953, con Deep: ancora un titolo che evocava labisso. Nel bianco della tela una crepa oscura accogliente come una vagina indicava un varco, e una via di scampo. Pollock si nascose per lultima volta dentro la sua opera, e forse era gi in salvo quando l11 agosto del 1956 la macchina che guidava ubriaco si schiant contro un palo e lo uccise.
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la Repubblica

DOMENICA 10 FEBBRAIO 2013

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R CULT

ILMUSEO DEL MONDO


MELANIA MAZZUCCO
FOTO DI BASSO CANNARSA

LARTISTA

Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 Roma, 6 aprile 1520) stato un pittore e architetto tra i pi celebri del Rinascimento italiano. Nei suoi ritratti spesso il realismo a prevalere sullidealismo

LOPERA

Raffaello Sanzio Ritratto di papa Leone X e dei cardinali Giulio De Medici e Luigi De Rossi 1518 Firenze, Galleria degli Uffizi

nritratto dice che la persona raffigurata esistita. Che era potente, ricca, talvolta bella. Un ritratto pu incutere timore e reverenza, oppure sedurre. potere, vanit, illusione di vivere per sempre. I ritratti dei sovrani e dei papi, eseguiti dai pi grandi pittori, sono tutti sopravvissuti. Io preferisco i ritratti degli anonimi persone comuni di cui si sono persi nome e memoria, e che per sono vive per noi, perch ha saputo salvarle il pennello di un artista. Come Petrus Christus, Lotto, o Holbein. La mia eccezione questo ritratto di Raffaello. Divino genio, dio mortale su cui tutto stato scritto, che oggi si ammira con una rispettosa indifferenza. Non epoca, la nostra, che possa amare davvero la perfezione, la bellezza classica e la grazia che contraddistinguono la sua pittura. Ma questo ritratto multiplo riassume una stagione irripetibile. Raffaello lo dipinge nel 1518, al culmine della ricchezza, degli onori, della gloria. Pittore ormai al di sopra di ogni lode, sommerso di richieste, al punto da aver dovuto allestire una bottega con decine di collaboratori; architetto della fabbrica di san Pietro, senza pi rivali (si sbarazzato pure di Leonardo e Michelangelo), non ha pi nulla da chiedere a se stesso tanto che ci si domanda cosaltro avrebbe potuto dipingere se non fosse morto a 37 anni. Raggiunta la vetta della sua arte, potrebbe anche solo replicarsi. Invece loccasione riaccende la scintilla. Deve fare il ritratto a Giovanni de Medici, ovvero papa Leone X. Ci non dovrebbe stimolarlo, visto che un uomo grossolano, di brutta effigie e poca vista (Sanudo dixit), e inoltre lo ha gi ritratto almeno sei volte. Il testone e il corpo pingue e bolso del Medici ricorrono nei Palazzi Vaticani (nelle sale della Segnatura, di Eliodoro, dellIncendio di Borgo). Ma l recita, in costume travestito nei panni dei predecessori. Qui, invece, Leone X pu essere solo se stesso. Il papa aborre la miseria e la sofferenza, evita i problemi e vuol vedere solo gente bella, sana e felice. Perci adora Raffaello, che sente affine. Sono entrambi raffinati, gaudenti, umanisti, pagani, affascinati dalla musica, dalla classicit, dalla bellezza. Femminile il pittore, maschile il papa. Raffaello deve riuscire nellimpresa di idealizzarlo dipingerlo come vorrebbe essere e insieme immortalarlo cos com. Lo raffigura nel lusso di cui si compiace simboleggiato dal colore dominante del dipinto, il rosso, in tutte le sfumature possibili; con gli emblemi del suo potere il camauro in testa e la mozzetta sulle spalle. Ma anche col doppio mento, le palpebre gonfie, i solchi sulle guance, le occhiaie, il naso gros-

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La sfida di Raffaello, genio ingannatore


so. seduto al suo scrittoio, di sbieco, assorto. Le mani sono bellissime, affusolate, bianche, femminee. La destra tiene una lente dingrandimento fra le dita (modo gentile di alludere alla forte miopia che gli aveva meritato il plebeo nomignolo del Talpa), e poggia su una Bibbia miniata aperta alla prima pagina del Vangelo di Giovanni. Sul tappeto spicca una campanella dargento, cesellata con perizia. Serve a chiamare i domestici. Ma anche i cortigiani. Che infatti accorrono, sbucando dalloscurit, e si fermano dietro di lui. Sono suoi cugini, quasi coetanei, amici di una vita, come fratelli. Col cardinale e vicecancelliere Giulio, quello alla sua destra, il papa ha condiviso linfanzia, lo studio alluniversit di Pisa, lesilio, i viaggi in incognito in Europa. Anche il cardinale Luigi de Rossi vive da sempre con lui, per questo poggia le mani sulla sedia, con familiarit. Raffaello sfida la natura, la vince e ci inganna. Stoffe, oggetti, mobili, acquistano unevidenza tattile, materica. Il velluto, il damasco, la seta, largento a sbalzo, la pergamena, il laccetto della campanella, la pelliccia, i capelli, il fermafogli: ogni cosa non sembra dipinta, ma vera. Il gioco di specchi con la realt si spinge al punto che il pomello della sedia riflette la scena: le spalle del papa, lombra di un corpo, la finestra della stanza che per noi invisibile. Luigi, unico, ci guarda smaschera la posa, ma per accrescere la finzione: tu stai guardando tre persone vive. E infatti il quadro fu mandato a Firenze in settembre, in modo da permettere ai tre di partecipare (in effigie) a un banchetto di nozze. Il ritratto di Leone X e cugini, lodato e imitato, un archetipo della ritrattistica occidentale. Ci che mi ha sempre colpito la naturalezza. Ma non nel senso del virtuosistico illusionismo di Raffaello. La naturalezza con cui un pittore dipinge un papa. Con cortigiano garbo, e per senza servilismo. Leone X ritratto nella sua intimit quotidiana: principe, papa, amico. Cos questo quadro segna un apice nei rapporti fra arte e potere. Connessi, legati, una espressione dellaltro, e per non subordinata. Durer poco. Nel giro di tre anni moriranno Luigi, Raffaello, poi Leone X. Sopravviver il pi coriaceo, Giulio, che sognava il mestiere delle armi e che diventer anche lui papa, per assistere allo scisma protestante, al sacco di Roma e alla distruzione di tanta bellezza. Nel ritratto nessuno sorride. Come sapessero che lestate del 1518 una delle ultime della loro dolce vita. Raffaello inventa quadri che non dipinge, rileva la mappa di Roma antica, e si gode spensieratamente i suoi piaceri. Leone X, scampato a una congiura, sullorlo della bancarotta, sfidato da Lutero che giunger a paragonarlo allAnticristo, dedica tutto il suo tempo al divertimento: vive fra poeti, musici e buffoni, va a caccia e la sera posa per il suo amato pittore. La sera, s: guardate le sue guance. C unombra scura. La barba sta ricrescendo. Di giorno, il papa e il pittore, felici, hanno di meglio a cui pensare.
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