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ELIO CABIB

Calcolo delle Variazioni


per principianti
Alla Memoria di Franco Conti
ELIO CABIB
cabib@uniud.it
professore di Analisi Matematica
Universit` a di Udine
Calcolo delle Variazioni
per principianti
Indice
Introduzione iii
1 Problemi variazionali in una variabile 3
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali . . . . . . . . . 3
1.2 Lequazione di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
1.3 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2 Il Problema di Dirichlet 23
2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.2 Esempi con soluzioni esplicite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
2.3 Formulazione variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . 36
3 Problemi non lineari 43
3.1 Lequazione di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.2 Il metodo diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
4 Omogeneizzazione e G-convergenza 53
4.1 Il caso unidimensionale e un esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
4.2 Le stime elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi . . . . . . . . . . . . . . . . 60
4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera . . . . . . . . . . . . 63
4.5 La G-convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
A Misura e integrazione 67
A.1 Elementi di teoria della misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
ii Indice
Introduzione
La losoa `e scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta
aperto innanzi agli occhi (io dico luniverso), ma non si pu` o intendere se prima
non si impara a intendere la lingua, e conoscer i caratteri, ne quali `e scritto.
Egli `e scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre
gure geometriche, senza i quali mezzi `e impossibile intenderne umanamente
parola.
Galileo, Il Saggiatore
Molti fenomeni in tutti i campi delle Scienze si prestano ad essere modellati e de-
scritti, dal punto di vista matematico, in termini di principi di massimo o di minimo.
Le congurazioni di equilibrio stabile di un sistema meccanico soggetto a forze conser-
vative sono quelle che rendono minima lenergia potenziale (principio di Dirichlet); in
un mezzo trasparente, il raggio di luce viaggia tra due punti dati scegliendo, fra tutte
le possibili, la traiettoria lungo la quale impiega il minimo tempo (principio di Fer-
mat); una lamina saponata con il contorno aderente ad una curva chiusa, realizzata
ad esempio in l di ferro, si dispone secondo una congurazione di area minima (pro-
blema di Plateau). Aermazioni di questo tipo possono essere considerate principi
naturali, leggi della natura che noi ci limitiamo a descrivere con il linguaggio raziona-
le della matematica, la chiave giusta, secondo Pitagora, per comprendere larmonia
dellUniverso.
In altri casi invece, per motivi pratici, ci possiamo porre il problema del controllo
di un fenomeno, o di un evento, per costringerlo ad adeguarsi a certi requisiti di
massimo o di minimo. Ad esempio, in sede di progetto, disponendo di certi materiali,
vogliamo realizzare una struttura secondo criteri di minimo costo, di minimo peso, di
massima resistenza o di minima dispersione di calore e cos` via.
Tra i grandi problemi passati alla storia della Matematica, vale la pena citarne
alcuni, oltreche per il loro interesse soprattutto geometrico e sico, per il ruolo che
hanno avuto nello sviluppo del Calcolo delle Variazioni (CdV). Nel problema isoperi-
metrico ci si chiede quale gura piana o spaziale renda massima larea o il volume, a
seconda della dimensione, a parit`a di perimetro o di area della supercie che lo rac-
chiude. Noto come problema di Didone, legato a una famosa leggenda sulla fondazione
di Cartagine, ha una storia millenaria, ma `e stato risolto da De Giorgi nella massima
generalit`a soltanto negli anni 50 del XX secolo (la soluzione `e il cerchio, o la sfera,
nessuno ha mai dubitato di questo, mancava solo una dimostrazione soddisfacente).
Non appena per`o si tiene conto di certi vincoli, ci si imbatte subito in questioni ancora
aperte, come nel caso in cui lo si voglia risolvere nella classe dei poliedri: le soluzioni
nel caso piano sono i poligoni regolari, come ognuno si aspetterebbe, ma nello spazio
i poliedri regolari sono solo di 5 tipi!
Un altro problema interessante `e quello della ricerca delle geodetiche di una su-
percie, che sono le curve di minima lunghezza, di estremi assegnati e giacenti su di
essa. Per la sfera le soluzioni sono gli archi di cerchio massimo, ma si comprende
facilmente che superci anche poco pi` u complicate danno luogo a notevoli dicolt`a.
Se la supercie rappresenta un vincolo rigido privo di attrito su cui si muove una
iv Indice
particella materiale, non soggetta a forze attive, la traiettoria che essa percorre `e
una geodetica. Un lo inestensibile e perfettamente essibile, soggetto solo a forze di
trazione e vincolato a giacere sulla supercie, si dispone, in condizioni di equilibrio,
secondo una geodetica.
Il celebre problema della brachistocr`ona venne posto nel 1696 da Jean Bernoulli,
gi`a in possesso della soluzione, in una delle sde matematiche dellepoca. Si tratta
della traiettoria prestabilita liscia lungo la quale deve scivolare un punto materiale
pesante, con posizioni iniziale e nale assegnate, anche il tempo impiegato per la
discesa sia minimo. Se le due posizioni sono allineate sulla verticale la soluzione `e
chiaramente la retta, altrimenti `e un arco di cicloide, la stessa curva descritta da
un punto della periferia di un disco che rotola senza strisciare. Linizio del CdV
viene convenzionalmente attribuito al periodo in cui venne posto questo problema,
accanto al quale `e per`o doveroso ricordare anche il problema di Newton (1686) sulla
forma ottimale che dovrebbe possedere un corpo in movimento immerso in un liquido
anche sia minima la resistenza oerta dal mezzo.
Nella sua forma pi` u generale un problema di minimo viene posto nei seguenti
termini:
dato uno spazio X di stati ammissibili e data una funzione F : X R, trovare
x X tale che
(1) F(x) = min
yX
F(y) .
Nel CdV lattenzione `e sempre rivolta al caso un po meno generale dei funzionali
integrali
(2) F(u) =
_

f(x, u(x), Du(x)) dx,


dove R
n
`e un aperto e f : D R, essendo D R
m
R
mn
. Sotto il segno
di integrale compare la composizione dellintegrando f(x, z, ), x e (z, ) D,
con le funzioni
z = u(x) = (u
1
(x), u
2
(x), ..., u
n
(x)) e = Du(x) =
_
u
i
x
j
_
.
Limitandoci al caso (1.2), dove peraltro potrebbero comparire anche derivate di ordine
pi` u alto, sembra ragionevole ambientare il problema di minimo (1.1) nello spazio
C
1
(, R
m
) con opportune condizioni al contorno che possono essere di vario tipo,
tra cui le pi` u comuni sono quelle di Dirichlet, in cui si assegna sul bordo il valore di
u, e di Neumann in cui si assegna il valore della derivata normale. In alcuni casi si
assegnano condizioni miste: su una parte del bordo quelle di Dirichlet e sulla parte
complementare quelle di Neumann.
Ricordando come si procede nei problemi di minimo per le funzioni ordinarie, di
una o pi` u variabili, verrebbe spontaneo tradurre il problema (1.1) in termini di una
condizione del tipo
(3) F

(x) = 0
tutta da precisare. In eetti, se X `e uno spazio vettoriale, con unadeguata nozione di
derivata `e possibile dare signicato alla (1.3), che per un funzionale del tipo (1.2) pu`o
trattarsi di unequazione dierenziale ordinaria o alle derivate parziali, oppure di un
sistema di equazioni dierenziali. La condizione (1.3) prende il nome di equazione di
Eulero, o di Eulero-Lagrange, del funzionale F. Per`o, ammesso che F sia derivabile,
bisogna tener presente che la (1.3) `e una condizione solo necessaria, come del resto
avviene per le funzioni ordinarie, ed `e soddisfatta non soltanto dal punto di minimo
assoluto, cui siamo interessati nel problema (1.1), ma da tutti gli eventuali punti
Indice 1
stazionari per F, tra i quali quelli di massimo e di minimo relativo. Lequazione di
Eulero `e in pratica solo una condizione necessaria di stazionariet`a. Saranno invece
altre propriet`a del funzionale, come la convessit`a, o la positivit`a della derivata seconda
(condizione di Legendre) insieme ad altre condizioni, a renderla suciente. Possiamo
aggiungere che in presenza di vincoli unilaterali, come nel caso dellequilibrio di una
membrana tesa su un ostacolo, la condizione di stazionariet`a si esprime mediante
una disuguaglianza, dovuta al fatto che la soluzione pu`o essere, in qualche senso, di
frontiera rispetto alla classe ammissibile, esattamente come nei problemi di massimo
e minimo vincolato per le funzioni ordinarie. In altri casi, ancora pi` u generali, si
ottengono addirittura delle inclusioni dierenziali.
La (1.3) presenta dunque dei limiti di applicabilit`a e allo stesso tempo ci d`a po-
che informazioni per la caratterizzazione del minimo. Allora, a partire dallepoca di
Weierstra, si `e cominciato a capovolgere il punto di vista. I metodi diretti del CdV
formano una teoria che si basa sostanzialmente sullidea ben nota del Teorema di
Weierstra di combinare la continuit`a con la compattezza per ottenere lesistenza del
minimo. Cos`, oltre ai problemi di minimo gi`a esistenti, si `e cercato di ricondurre an-
che altre equazioni dierenziali gi`a note a principi di minimo. Si `e visto per esempio
che la classica equazione di Poisson per il laplaciano non era altro che lequazione di
Eulero di un funzionale energia, quadratico nel gradiente. Questo approccio `e stato
notevolmente sviluppato da Hilbert, ma soprattutto da Tonelli, il quale ha sostituito
la continuit`a, troppo restrittiva, con la nozione di semicontinuit`a inferiore, suciente
per lesistenza del minimo su un compatto.
2 Indice
Capitolo 1
Problemi variazionali in una
variabile
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi va-
riazionali
Nella sua forma pi` u generale un problema di minimo viene posto nei seguenti
termini:
dato uno spazio X di stati ammissibili e data una funzione F : X R, trovare
x X tale che
(1.1) F(x) = min
yX
F(y) .
Nel CdV lattenzione `e costantemente rivolta al caso un po meno generale dei fun-
zionali integrali. Si considera dunque uno spazio X di funzioni u e un funzionale
integrale
(1.2) F(u) =
_

f(x, u(x), Du(x)) dx,


dove R
n
`e un aperto e f : D R, essendo D R
m
R
mn
. Sotto il segno
di integrale compare la composizione dellintegrando f(x, z, ), x e (z, ) D,
con le funzioni
z = u(x) = (u
1
(x), u
2
(x), . . . , u
n
(x)) e = Du(x) =
_
u
i
x
j
_
.
Limitandoci al caso (1.2), dove peraltro potrebbero comparire anche derivate di
ordine pi` u alto, sembra ragionevole ambientare il problema di minimo (1.1) nello spa-
zio C
1
(, R
m
) con opportune condizioni al contorno che possono essere di vario tipo,
tra cui le pi` u comuni sono quelle di Dirichlet, in cui si assegna sul bordo il valore di u,
di Neumann, in cui si assegna il valore della derivata normale, e le condizioni miste: su
una parte del bordo quelle di Dirichlet e sulla parte complementare quelle di Neumann.
Ricordando come ci si comporta di fronte ai problemi di minimo per le funzioni
ordinarie, di una o pi` u variabili, verrebbe spontaneo tradurre il problema (1.1) in
termini di una condizione del tipo
(1.3) F

(x) = 0
tutta da precisare. E, in eetti, con unadeguata nozione di derivata `e possibile dare
signicato alla (1.3), che, come vedremo, sar`a di volta in volta unequazione dieren-
ziale ordinaria o alle derivate parziali, oppure un sistema di equazioni dierenziali.
4 Problemi variazionali in una variabile
La condizione (1.3) prende il nome di equazione di Eulero, o di Eulero-Lagrange, del
funzionale F. Per`o, ammesso che F sia derivabile, bisogna tener presente che la
(1.3) `e una condizione solo necessaria, come del resto avviene per le funzioni ordinarie,
ed `e soddisfatta non soltanto dal punto di minimo assoluto, cui siamo interessati nel
problema (1.1), ma da tutti gli eventuali punti stazionari per F, tra i quali quelli di
massimo e di minimo relativo. Lequazione di Eulero `e in pratica solo una condizione
necessaria di stazionariet`a. Saranno invece altre propriet`a del funzionale, come la
convessit`a, o la positivit`a della derivata seconda (condizione di Legendre) insieme ad
altre condizioni, a renderla suciente. Possiamo aggiungere che in presenza di vincoli
unilaterali, come nel caso dellequilibrio di una membrana tesa su un ostacolo, la con-
dizione di stazionariet`a si esprime mediante una disuguaglianza, dovuta al fatto che
la soluzione pu`o essere, in qualche senso, di frontiera rispetto alla classe ammissi-
bile, esattamente come nei problemi di massimo e minimo vincolato per le funzioni
ordinarie. In altri casi, ancora pi` u generali, si ottengono addirittura delle inclusioni
dierenziali.
La (1.3) presenta dunque dei limiti di applicabilit`a e allo stesso tempo ci d`a poche
informazioni. Allora, a partire dallepoca di Weierstra, si `e cominciato a capovolgere
il punto di vista. I metodi diretti del CdV formano una teoria che si basa sostanzial-
mente sullidea ben nota del Teorema di Weierstra di combinare la continuit`a con la
compattezza per ottenere lesistenza del minimo. Cos`, oltre ai problemi di minimo
gi`a esistenti, si `e cercato di ricondurre anche altre equazioni dierenziali gi`a note a
principi di minimo. Si `e visto per esempio che la classica equazione di Poisson per
il laplaciano non era altro che lequazione di Eulero di un funzionale energia, qua-
dratico nel gradiente. Questo approccio `e stato notevolmente sviluppato da Hilbert,
ma soprattutto da Tonelli, il quale ha sostituito la continuit`a, troppo restrittiva, con
la nozione di semicontinuit`a inferiore, suciente per lesistenza del minimo su un
compatto. Prima di trattare lequazione di Eulero e i metodi diretti, vediamo alcuni
esempi notevoli.
Un problema isoperimetrico. Nella sua versione pi` u generale pu`o essere
formulato nei due modi equivalenti:
- fra tutti i sottoinsiemi di R
n
con volume assegnato, trovare quello di minimo
perimetro;
- fra tutti i sottoinsiemi di R
n
con perimetro assegnato, trovare quello di massimo
volume.
Lequivalenza risulta evidente se si pensa al tipo di tecnica con cui vengono aron-
tati: prima di tutto si cerca di dare una ragionevole stima universale del volume in
termini del perimetro
V () CP()
(n)
dove la costante C non dipende da , e poi si cerca di trovare la forma ottimale, cio`e
la regione che realizza luguaglianza. Il passo risolutivo `e naturalmente possibile se
si `e indovinata la costante ottimale. Vediamo il caso seguente, noto come problema
di Didone, di problema isoperimetrico opportunamente addomesticato.
Quale curva piana e sucientemente regolare
(x(t) , y (t)) , t [0, 1] ,
di lunghezza l e soggetta alla condizione y (0) = y (1) = 0, rende massima larea della
regione che essa delimita insieme alla retta y = 0?
Essendo assegnata la lunghezza, conviene scegliere come parametro lascissa cur-
vilinea, inoltre non `e restrittivo supporre l = e y 0. Il problema si aronta
facilmente usando unidea ricorrente: si d`a una ragionevole stima dallalto delle aree
di tutte le regioni ammissibili (dal basso nei problemi di minimo) in termini della
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 5
lunghezza del bordo e poi si spera che la stima scelta sia ottimale in modo da poter
esibire una regione particolare che realizza luguaglianza.
Indichiamo con un insieme ammissibile, cio`e una regione piana delimitata dalla
curva regolare
(x(s), y(s)) , s [0, ] , y(0) = y() = 0 ,
e dallasse x. Usando la formula di Gauss-Green, la disuguaglianza elementare
ab
1
2
(a
2
+b
2
)
e la disuguaglianza di Poincare
(1.4)
_

0
y
2
ds
_

0
y
2
ds ,
che verr`a chiarita tra poco, si ottiene
m() =
_

1 dxdy =
_

y
y
dxdy =
_

+
y dx =
_

0
yx

ds

1
2
_

0
(x
2
+y
2
) ds
1
2
_

0
(x
2
+y
2
) ds =

2
,
essendo (x

, y

) un versore. Ogni semicirconferenza della forma


_
x(s) = c + cos s
y(s) = sen s , s [0, ] ,
realizza luguaglianza.
Dimostriamo adesso la (1.4) per le funzioni regolari a tratti. Ricordiamo che se I
`e un intervallo limitato, una funzione y(s) denita su I viene detta regolare a tratti se
`e continua su I e se ammette derivata y

limitata e continua su I eccetto un numero


nito di punti, dove esistono niti il limite destro e il limite sinistro. Se I `e un
intervallo non limitato si richiede che la sua restrizione ad ogni intervallo limitato
contenuto in I sia regolare a tratti.
Sia allora y(s) una funzione regolare a tratti su [0, ] tale che y(0) = y() = 0 e
indichiamo ancora con y(s) il suo prolungamento dispari e 2-periodico a tutto R. In
questo modo si ottiene ancora una funzione regolare a tratti che, per le ipotesi fatte,
pu`o essere rappresentata come somma della sua serie di Fourier
y(s) =

n=1
y(n) sen ns
nel senso della convergenza uniforme. Applicando lidentit`a di Parseval alla y e alla
y

, somma della serie delle derivate, si ottiene


_

0
y
2
ds =

2

n=1
y(n)
2
e
_

0
y
2
ds =

2

n=1
n
2
y(n)
2
,
da cui segue immediatamente la (1.4). Si lascia per esercizio di dimostrare la disu-
guaglianza di Poincare
_
I
y
2
ds
_
l

_
2
_
I
y
2
ds
nel caso di un intervallo I di lunghezza l. Poiche la funzione sen(s/l) (e nel caso
precedente la funzione sen s) realizza luguaglianza, la costante (l/)
2
`e ottimale.
6 Problemi variazionali in una variabile
Geodetiche. Si tratta delle curve di una variet`a che rendono stazionario il funzio-
nale che ne esprime la lunghezza. Si pu`o dimostrare che, nel caso di superci regolari,
le geodetiche sono quelle curve retticabili la cui normale principale risulta parallela
alla normale alla supercie. Ricordiamo dalla Meccanica che il moto per inerzia di
un punto vincolato a una supercie liscia e ssa avviene lungo una geodetica e che
questa `e anche la congurazione equilibrata di un lo inestensibile soggetto a trazione
e vincolato alla supercie.
Volendo limitarci, in questi esempi introduttivi, solo a dei casi molto semplici,
consideriamo una curva qualunque x(t), t [0, 1], regolare a tratti, il cui sostegno
`e contenuto nella supercie regolare e che abbia gli estremi in due punti dati
A, B . La lunghezza di `e espressa dal funzionale
L(x) =
_
1
0
[x

(t)[dt .
Osserviamo che questo funzionale `e convesso, nel senso che
L(x + (1 )y) L(x) + (1 )L(y) [0, 1]
per due curve ammissibili x(t) e y(t). Ora, come del resto avviene per le funzioni
ordinarie, la convessit`a gioca un ruolo fondamentale nei problemi di minimo, infatti
ogni punto stazionario per una funzione convessa `e necessariamente di minimo, relati-
vo ma anche assoluto. Tuttavia, in tutti i casi, come in questo delle geodetiche, in cui
la complicata geometria del dominio pu`o diventare rilevante, si assiste allesistenza di
nuovi punti stazionari per il funzionale che sono solo di minimo relativo. Per esempio,
`e ben noto che per due punti di una sfera passano due geodetiche, un arco e il suo
complementare della circonferenza massima contenente i due punti, ma uno solo dei
due `e la curva di minima lunghezza. Si capisce che in molte circostanze, come in R
n
,
questo non succede, anzi, visto che siamo interessati ai minimi assoluti, `e ragionevole
supporre (e in eetti `e anche provato) che questo fenomeno non avvenga mai se si
studia il problema delle geodetiche in piccolo. Vediamo qualche esempio.
Dati A, B R
n
e una curva retticabile x(t) tale che x(0) = A e x(1) = B, si ha
[B A[
2
= (B A) (B A) = (B A)
_
1
0
x

(t)dt [B A[
_
1
0
[x

(t)[dt ,
da cui
(1.5) [B A[
_
1
0
[x

(t)[ dt .
La curva rettilinea
x(t) = A+t(B A) , t [0, 1] ,
realizza luguaglianza quindi `e soluzione. Nei problemi convessi lunicit`a `e di solito
conseguenza della stretta convessit`a. Nel nostro caso il funzionale non `e strettamente
convesso, ma la soluzione `e ugualmente unica perche se il funzionale viene ristretto
a una famiglia di curve con gli stessi estremi, e distinti, allora diventa strettamente
convesso (esercizio: provare per credere).
Per le geodetiche della sfera si ragiona in maniera simile. Fissati due punti A e B,
con A ,= B, sulla sfera unitaria di equazione
_

_
x
1
(, ) = cos cos
x
2
(, ) = cos sen
x
3
(, ) = sen , [/2, /2] , [0, 2[ ,
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 7
possiamo supporre A = x(/2, ) = (0, 0, 1) e B = x(
0
, 0) = (a, 0, b). Ogni curva
x((t), (t)), t [0, 1], : x((0), (0)) = A e x((1), (1)) = B
soddisfa la stima dal basso
L(x) =
_
1
0

+
x

dt =
_
1
0
_

2
+

2
cos
2
dt

_
1
0
[

[ dt

_
1
0

dt

=

2

0
che viene raggiunta da una costante, corrispondente ad un arco della circonferenza
di massimo raggio passante per A e per B (e avente quindi il centro in O). Ora,
se B = (0, 0, 1), cio`e se a = 0, vi sono innite soluzioni di lunghezza , essendo

0
= /2; se invece a > 0 la stima inferiore trovata viene raggiunta da quello dei
due archi che ha lunghezza minima. Larco complementare, di lunghezza
0
+3/2, `e
comunque di minimo relativo. Infatti le curve che vanno da A verso B passando per
(0, 0, 1) formano un intorno di quellarco e soddisfano
L(x)
_
1
0
[

[ dt =
0
+
3
2
.
Esercizio 1.1 Trovare le geodetiche del cilindro e del cono.
Vediamo invece un caso di non esistenza con un funzionale che non sembra troppo
diverso. Il funzionale
F(u) =
_
1
0
_
u
2
+u
2
dx
non ha minimo nella classe delle funzioni regolari a tratti su [0, 1] tali che u(0) = 0 e
u(1) = 1. La stima dal basso
F(u)
_
1
0
[u

[ dt

_
1
0
u

dt

= 1
non viene raggiunta perche in realt`a la prima disuguaglianza `e stretta, non potendo
essere u identicamente nulla. Daltra parte il minorante trovato `e proprio lestremo
inferiore, basta osservare che sulla successione
u
n
(t) =
_
0 se 0 t 1 1/n
n(t 1) + 1 se 1 1/n < t 1
si ha F(u
n
) 1.
Esercizio 1.2 Le geodetiche su una variet`a dierenziabile l-dimensionale x =
x(q), dove q = (q
1
, q
2
, . . . , q
l
), rendono stazionario il funzionale
F(q) =
_
t
2
t
1
_
A(q) q q dt ,
dove A(q) `e il tensore metrico di componenti
a
ij
=
x
q
i

x
q
j
.
8 Problemi variazionali in una variabile
Il principio di Hamilton. Un sistema meccanico olonomo a l gradi libert`a, con
variabili lagrangiane q = (q
1
, q
2
, . . . , q
l
) e soggetto ad una sollecitazione conservativa
con potenziale generalizzato U(q) evolve nel tempo, tra due congurazioni assegnate
q(t
1
) e q(t
2
), in modo da rendere stazionario il funzionale
F(q) =
_
t
2
t
1
L(q, q, t) dt ,
dove L = T + U, essendo T lenergia cinetica. Nel moto per inerzia con vincoli ssi
U = 0 e T `e una forma quadratica positiva rispetto a q. Pertanto il funzionale si
riduce a
F(q) =
_
t
2
t
1
A(q) q q dt
ed ammette come punti stazionari le geodetiche della variet`a delle congurazioni.
La (1.5) `e un caso particolare della disuguaglianza di Jensen
(1.6) f
_
1
m()
_

(x) dx
_

1
m()
_

f((x)) dx,
dove R
n
ha misura nita, : R
m
`e integrabile e f : R
m
R `e convessa.
La dimostrazione `e immediata, basta ricordare che f `e convessa se e solo se il suo
graco sta tutto al di sopra di ogni piano dappoggio, cio`e
R
m
c R
m
tale che f() f() +c ( ) R
m
.
Scegliendo
= (x) e = =
1
m()
_

(x) dx,
si ha
f((x)) f(< >) +c ((x) ) x ,
da cui segue la (1.6) per integrazione su .
Esercizio 1.3 Vericare che la disuguaglianza di Jensen rimane valida nella ver-
sione discreta
f
_
1
m
n

i=1

i
m
i
_

1
m
n

i=1
f(
i
)m
i
,
dove m =

m
i
, e nella versione pi` u generale in cui lintegrale viene calcolato rispetto
a una misura qualsiasi.
Con la disuguaglianza di Jensen si pu`o generalizzare il ragionamento che abbiamo
applicato alle geodetiche per trattare tutti i problemi variazionali del tipo
min
_
_
b
a
f(u

(x)) dx [ u(a) = u
1
, u(b) = u
2
_
con f convessa. Si trova banalmente che le funzioni lineari sono soluzioni e non ve ne
sono altre nel caso di stretta convessit`a. Ovviamente in dimensione maggiore bisogna
che anche i dati al bordo siano lineari, `e immediato infatti vericare, usando la (1.6),
che il problema
min
__

f(Du(x)) dx [ u(x) = x x
_
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 9
ammette come soluzione la funzione w(x) = x per ogni x . Per esempio,
la funzione w(x), che rappresenta la congurazione di equilibrio di una membrana
vincolata sul bordo a una curva piana, soddisfa il problema di Dirichlet
min
_
1
2
_

[Du[
2
dx [ u(x) = x x
_
,
quindi w(x) = x in e la membrana rimane piatta. Le stesse considerazioni si
possono applicare al funzionale dellarea
F(u) =
_

_
1 +[Du[
2
dx
per lequilibrio delle lamine saponate.
Un problema di area minima. Immaginiamo di immergere due curve circolari
di l di ferro, contenute in due piani paralleli ideali a distanza ssata, in una soluzione
di acqua saponata. La lamina che si forma al momento dellestrazione si dispone
secondo una congurazione di area minima e non `e un cilindro come si potrebbe
pensare, ma una supercie di rivoluzione connessa che presenta una strozzatura nella
zona centrale e che ha per bordo le due circonferenze. Questo avviene se le due
basi sono abbastanza vicine, ma se aumentiamo la loro distanza, la strozzatura si fa
sempre pi` u accentuata e oltre una certa distanza critica la lamina saponata si rompe
e se ne formano due piatte che occupano le basi. Vediamo come si pu`o spiegare questo
fenomeno nellambito del CdV.
Innanzitutto bisogna capire perche se le basi sono circolari la supercie di area
minima `e proprio di rivoluzione. Se le due circonferenze, di raggi 1 e a, hanno il centro
sullasse x e sono contenute rispettivamente nei piani x = 0 e x = l possiamo supporre
che la generica supercie abbia la forma parametrica (x, (x, ) cos , (x, ) sen ) con
(0, ) = 1 e (l, ) = a per ogni [0, 2] e x [0, l]. La simmetria circolare delle
basi ci permette di abbassare il valore dellarea
A =
_
2
0
d
_
l
0
_

+
2
(1 +
2
x
) dx
_
2
0
d
_
l
0

_
(1 +
2
x
) dx
eliminando cos` la dipendenza da , quindi la supercie di area minima `e di rivolu-
zione. Pertanto possiamo ridurre il problema al piano x, y e sostituire la supercie
col suo prolo curvilineo, graco di una funzione y = y(x), regolare a tratti su [0, l] e
i cui valori agli estremi dellintervallo coincidono con i raggi assegnati delle basi.
Larea `e il prodotto di 2 per il funzionale
(1.7) F(y) =
_
l
0
y(x)
_
1 +y

(x)
2
dx
che va reso minimo con le condizioni y(0) = 1 e y(l) = a. Non `e ovviamente restrittivo
supporre y(x) 0 per ogni x [0, l].
Dimostriamo che ogni funzione regolare a tratti y(x) che minimizza F `e necessa-
riamente convessa e che se
F(y) <
a
2
+ 1
2
allora y(x) > 0 per ogni x [0, l]. Il signicato `e evidente: la supercie di area minima
presenta la caratteristica strozzatura e se ha unarea inferiore a quella complessiva
delle basi non pu`o toccare lasse di simmetria. In altre parole, non appena y = 0 in
qualche punto si ha subito
F(y)
a
2
+ 1
2
10 Problemi variazionali in una variabile
e le due lamine piane che occupano le basi realizzano la minima area.
Supponiamo che y sia una soluzione non convessa del problema di minimo per il
funzionale (1.7). Allora esiste un intervallo J = [, ] [0, l] tale che la funzione
(x) =
_

_
y() +
y() y()

(x ) se x [, ]
y(x) altrove
`e C
1
a tratti e (x) < y (x) su J. Per la disuguaglianza di Jensen, dove si fa uso
della misura con densit`a y
(E) =
_
E
y (x) dx,
si ha
1
(J)
_

y
_
1 +y
2
dx =
1
(J)
_

_
1 +y
2
d

_
1 +
_
1
(J)
_

d
_
2
=

_
1 +
_
1
(J)
_

yy

dx
_
2
=

_
1 +
_
1
(J)
_

dx
_
2
.
Pertanto
_

y
_
1 +y
2
dx

_
(J)
2
+
_
_

dx
_
2
>

_
_
_

dx
_
2
+
_
_

dx
_
2
=
_

_
1 +
2
dx
essendo

costante su [, ].
Veniamo alla seconda aermazione. In primo luogo otteniamo una stima dal basso
del funzionale, sulle sole funzioni convesse, che dipende dallarea delle due basi e dal
minimo di y(x).
Sia x
0
[0, l] un punto di minimo per una funzione convessa y(x). Poiche y

`e
crescente, si ha
y

(x) 0 se x x
0
e y

(x) 0 se x x
0
,
quindi
F(y) =
_
l
0
y
_
1 +y
2
dx >
_
l
0
y[y

[ dx =
_
x
0
0
yy

dx+
_
l
x
0
yy

dx =
a
2
+ 1
2
y(x
0
)
2
.
Se esistesse una soluzione y del problema di minimo tale che y(x
0
) = 0, si avrebbe
subito F(y) > (a
2
+ 1)/2 , ma questo `e assurdo perche
a
2
+ 1
2
= inf F .
Si verica infatti con facili calcoli che in corrispondenza della successione
y
n
(x) =
_

_
1 nx se 0 x 1/n
0 se 1/n < x < l 1/n
a +na(x l) se l 1/n x l ,
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 11
si ha F(y
n
) (a
2
+ 1)/2. La soluzione di questo problema verr`a trovata pi` u avanti.
Un problema di minimo vincolato: la catenaria. Un lo omogeneo di massa
m, inestensibile e perfettamente essibile di lunghezza l viene sospeso per gli estremi
nei punti O = (0, 0) e A = (a, 0) con a < l. Vogliamo determinare la congurazione
di equilibrio del lo sotto lazione della forza peso.
`
E facile immaginare, e non sar`a dicile provarlo, che il lo si deve disporre nel
piano verticale contenente i due estremi, secondo il graco di una funzione y(x) de-
nita sullintervallo [0, a] che prende il nome di catenaria. Lenergia potenziale del peso
agente su un tratto innitesimo ds che si trova a quota y vale gy ds, dove = m/l
`e la densit`a di massa. Per il principio di Dirichlet si perviene cos` al problema di
minimo per il funzionale
F(y) =
_
a
0
y(x)
_
1 +y

(x)
2
dx,
lo stesso dellesempio precedente, con le condizioni agli estremi
y(0) = y(a) = 0
e con in pi` u la condizione di vincolo
_
a
0
_
1 +y

(x)
2
dx = l ,
circostanza che lo rende molto diverso.
Ovviamente se gli estremi del lo vengono disposti a distanza l lo spazio delle
funzioni ammissibili si riduce alla sola funzione nulla e il problema perde interesse. Se
per`o, rimosso il vincolo sulla lunghezza, si vuole studiare lequilibrio di un lo defor-
mabile posto in trazione e poi vincolato agli estremi, (0, 0) e (l, 0), bisogna tener conto
dellenergia di deformazione che il lo accumula nel passaggio dalla congurazione a
riposo (x, 0) [ 0 < x < l alla congurazione attuale (x, y(x)) [ 0 < x < l per la
presenza di certi carichi trasversali assegnati. Nella teoria delle piccole deformazio-
ni, dove ds dx, `e lecito scrivere la trazione > 0 del lo e il carico trasversale per
unit`a di lunghezza p (ad esempio il peso proprio p = g) nella congurazione inde-
formata, cio`e in funzione della sola x, e ignorarne la dipendenza dallo spostamento
trasversale y(x). La funzione (x) `e assegnata, ma viene calcolata preventivamente
come soluzione dellequazione di equilibrio lungo il lo ( `e costante in assenza forze
tangenziali distribuite). Lenergia di deformazione coincide con il lavoro totale che
compie per la variazione relativa di lunghezza
E(y) =
_
l
0

ds dx
dx
dx =
_
l
0
(
_
1 +y
2
1) dx
1
2
_
l
0
y
2
dx
per lipotesi di piccole deformazioni. A questa bisogna aggiungere lenergia potenziale
del carico che `e lopposto del lavoro. Si perviene cos` al problema di minimo per il
funzionale energia
F(y) =
1
2
_
l
0
y
2
dx
_
l
0
py dx
con le condizioni al bordo y(0) = y(l) = 0.
In dimensione n > 1, come nel caso della membrana in R
2
che `e lanalogo del lo,
il funzionale diventa
F(u) =
1
2
_

ADu Dudx
_

fudx,
dove `e un aperto di R
n
, f : R e A(x), x , una matrice uniformemente
denita positiva. Il problema variazionale consiste nel rendere minimo F(u) su una
classe di funzioni u che soddisfano dati al bordo di vario tipo, per esempio
12 Problemi variazionali in una variabile
- condizione di Dirichlet
u = g su ,
- condizione di Neumann
u
n
= h su ,
- condizione mista
u = g su
1
,
u
n
= h su
2
, dove
1

2
= .
Questo modello `e comune ad una grande quantit`a di fenomeni in regime staziona-
rio, dalla conduzione elettrica o termica nei continui allequilibrio della membrana, al
problema della torsione nelle travi, al moto con poenziale di un liquido incomprimibile.
Vincoli unilaterali. Si vuole trovare la congurazione di equilibrio di una mem-
brana tesa al di sopra di un ostacolo, soggetta ad un carico e vincolata sul bordo. La
formulazione variazionale del problema `e
min
_
1
2
_

[Du[
2
dx
_

fudx[ u = u
0
su , u in
_
,
dove : R rappresenta lostacolo.
Esercizio 1.4 Risolvere lo stesso problema per lo spostamento u(x) di un lo
scarico sullintervallo (2, 2), con u(2) = u(2) = 0, teso al di sopra dellostacolo
(x) = 1 x
2
, supponendo di sapere gi`a che in questo caso la soluzione deve stare
necessariamente in C
1
(2, 2).
Il caso vettoriale dellelasticit`a lineare. Le propriet`a materiali di un corpo
lineare elastico tridimensionale sono caratterizzate da un tensore a quattro indici
C = C
ijhk
, funzione del punto per i materiali compositi, che lega linearmente
il tensore di deformazione e(u) =
1
2
(u + u
T
) a quello degli sforzi secondo la
relazione = Ce o, in componenti,
ij
= C
ijhk
e
hk
(con la convenzione della somma
rispetto agli indici ripetuti). Essendo e(u) e simmetrici, C `e invariante rispetto
allo scambio tra i primi due indici e tra gli altri due (simmetrie minori). In pi` u
C
ijhk
= C
hkij
(simmetria maggiore) se il materiale `e iperelastico e in questo caso `e
possibile denire lenergia elastica di deformazione
E(u) =
1
2
_

Ce(u) e(u) dx =
1
2
_

Cu udx.
Il problema dellequilibrio elastico in forma variazionale, in presenza di una distribu-
zione di forze di volume f(x) assegnate, consiste nel minimizzare il funzionale
F(u) =
1
2
_

Cu udx
_

f udx
con condizioni di Dirichlet sulle zone vincolate del bordo e condizioni di Neumann
sulle zone soggette a forze di supercie.
La brachistocr`ona. Si tratta della curva liscia a cui deve essere vincolato un
punto materiale pesante, anche il tempo impiegato durante la caduta, tra due po-
sizioni assegnate, risulti minimo. Supponiamo che il punto materiale P di massa m
debba partire con velocit`a nulla dalla posizione iniziale A = (0, 0) e debba raggiungere
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 13
la posizione nale B = (l, a), con a > 0, essendo lasse y del sistema di riferimento
verticale discendente. Per la conservazione dellenergia, si ha
1
2
mv
2
= mgy ,
essendo y = y(x) la curva su cui P deve muoversi. Il tempo complessivo impiegato
per andare da A a B `e allora dato da
T =
_

ds
v
=
_
l
0

1 +y
2
2gy
dx.
Ci troviamo dunque di fronte al problema di minimo per il funzionale
F(y) =
_
l
0

1 +y
2
y
dx
con dati agli estremi y(0) = 0 e y(l) = a. Anche questo problema verr`a arontato pi` u
avanti.
Il Principio di Fermat. Alcuni funzionali presentati sono casi particolari di
(1.8) F(y) =
_
l
0
h(y)
_
1 +y
2
dx
che interviene nel modello generale classico della propagazione della luce attraverso
un mezzo trasparente. Ad ogni punto P del mezzo corrisponde il modulo v(P) 0
della velocit`a con cui il raggio di luce passa attraverso P. Secondo il principio di
Fermat, che sta alla base dellottica geometrica, la luce viaggia lungo una traiettoria
di minimo tempo
min

ds
v
tra due punti dello spazio. Chiaramente nel caso di un mezzo omogeneo, in cui v `e
costante, si ricade nel problema delle geodetiche; in uno spazio omogeneo la minima
lunghezza e il minimo tempo sono la stessa cosa e la luce viaggia in linea retta se lo
spazio `e quello ordinario euclideo.
Se la lastra `e piana si perviene al problema di minimo per il funzionale
F(x, y) =
_
1
0
_
x
2
+y
2
v(x, y)
dt
sulla classe delle curve (x(t), y(t)) con estremi assegnati, ma se le propriet`a materiali
variano soltanto lungo y le curve soluzioni sono graci y = y(x), come dimostreremo
pi` u avanti, e il funzionale diventa
F(y) =
_
l
0
_
1 +y
2
v(y)
dx,
cio`e il (1.8) con h(y) = 1/v(y). Volendo attribuire al funzionale (1.7) questo signica-
to, il fatto che v sia decrescente con la quota y fa pensare al fenomeno del miraggio:
in un caldo pomeriggio estivo gli strati dellaria pi` u vicini allasfalto sono pi` u rarefatti
a causa della maggiore temperatura, il raggio di luce che parte dal sole e giunge ai
nostri occhi li preferisce e quindi si incurva verso il basso dandoci limpressione che
si tratti di un fenomeno di riessione. Per questo ci sembra di vedere, in lontananza
sulla strada, una zona bagnata che fa da specchio.
14 Problemi variazionali in una variabile
Il riferimento alle geodetiche del caso omogeneo suggerisce di ribaltare il punto di
vista e, per estensione, di considerare le soluzioni dei problemi di minimo tempo come
le geodetiche di uno spazio non euclideo, le cui rette continuano a identicarsi con
le traiettorie della luce. Si pensi al caso del modello di Poincare per la geometria di
Lobacevskij, relativo al funzionale
F(y) =
_
l
0
_
1 +y
2
y
dx,
che ha come rette le semicirconferenze con centro sullasse x contenute nel semipiano
y 0.
Per adesso non abbiamo avuto bisogno di arontare seriamente la questione della
scelta dello spazio pi` u naturale in cui ambientare i problemi variazionali, per ora ci
siamo limitati a illustrare dei problemi particolari insieme alle loro soluzioni, non ab-
biamo dimostrato teoremi di esistenza.
`
E stato comunque inevitabile accennare a C
1
,
C
1
a tratti per la natura stessa degli integrandi, ma `e bene sottolineare subito che
questi spazi sono insucienti per costruire teorie generali sullesistenza di soluzioni.
Gi`a per le funzioni ordinarie di una variabile, ricordiamo che senza la completezza di
R cade il teorema di Weierstra: la funzione sen x non ha minimo su Q[0, 2]. Ma la
completezza `e una nozione metrica; mentre la metrica giusta di R, per tutte le teorie
ragionevoli dellanalisi, `e quella della distanza euclidea indotta dal valore assoluto, per
i funzionali va cercata di volta in volta, a seconda del tipo di problema da risolvere.
Comunque, anche senza arontare adesso il problema della completezza e dellesisten-
za, il passaggio da C
1
a C
1
a tratti `e gi`a di per se un miglioramento in quanto ci
permette di recuperare soluzioni interessanti sulle quali il funzionale integrale `e anco-
ra ben denito. Anche con integrandi molto regolari, possiamo assistere allesistenza
di estremali spezzate, cio`e di punti di minimo che sono funzioni continue ma con
qualche discontinuit`a sulle derivate.
Consideriamo ad esempio il problema di minimo per il funzionale
F(u) =
_
1
1
(u
2
1)
2
dx
con le condizioni u(1) = u(1) = 1. Sono soluzioni u(x) = [x[, u(x) = 2 [x[ e tante
altre, ma tutte devono presentare dei salti sulle derivate, le quali possono valere solo
1 o 1. Tuttavia possiamo sempre trovare successioni di funzioni dierenziabili u
n
,
uniformemente convergenti alle estremali spezzate, che siano minimizzanti per il fun-
zionale, cio`e tali che F(u
n
) min F. Valgono infatti i seguenti risultati che citiamo
senza dimostrazione:
- se u C
1
a tratti `e di minimo allora esiste una successione (u
n
) C
1
tale che
u
n
u uniformemente e F(u
n
) F(u),
- se u C
1
`e di minimo allora lo `e anche in C
1
a tratti.
Esercizio 1.5 Per il funzionale
F(u) =
_
1
0
((u
2
1)
2
+u
2
) dx,
con le condizioni u(0) = u(1) = 0, dobbiamo accontentarci delle sole successioni
minimizzanti (quali sono? costruirne una), dato che non ha minimo nemmeno tra le
C
1
a tratti.
Esercizio 1.6 Neanche il funzionale
F(u) =
_
1
0
xu
2
dx
1.1 Presentazione informale di alcuni problemi variazionali 15
ha minimo sulle u regolari a tratti tali che u(0) = 0 e u(1) = 1. Vericare che la
successione
u
n
(x) =
_

_
0 se 0 x
1
n
1 +
log x
log n
se
1
n
x 1
`e minimizzante per F. Discutere rispetto ad il caso del funzionale
F(u) =
_
1
0
x

u
2
dx.
Il fenomeno di Lavrentiev. Anche la scelta delle C
1
a tratti, che signica
sostanzialmente lavorare nellambito delle funzione lipschiziane, pu`o essere troppo
restrittiva. Per dare senso allintegrale non `e necessario richiedere che u o Du siano
limitate, ma basta qualche condizione di integrabilit`a che assicuri che il funzionale sia
ben denito.
Per toccar con mano linuenza della scelta dello spazio, e in particolare per com-
prendere come la condizione di derivata limitata sia troppo restrittiva, vediamo un
funzionale che ha estremo inferiore sulle funzioni lipschitziane strettamente maggiore
del minimo sullo spazio delle funzioni integrabili con derivata integrabile. Per mo-
tivi che vedremo in seguito, indichiamo la prima classe con W
1,
e la seconda con
W
1,1
. Chiaramente W
1,
W
1,1
strettamente, per esempio

x su [0, 1] appartiene
alla seconda ma non alla prima. Ma la peculiarit`a dellesempio, che si trova in Da-
corogna [9], sta nel fatto che questo fenomeno avviene anche se W
1,
`e denso in W
1,1
.
Sia
F(u) =
_
1
0
(x u(x)
3
)
2
u

(x)
6
dx.
Ovviamente la funzione w(x) =
3

x `e lunica soluzione del problema


min
_
F(u) [ u W
1,1
(0, 1) , u(0) = 0 , u(1) = 1
_
e F(w) = 0. Per`o possiamo dimostrare che
(1.9) F(u)
7
2
3
5
2
18
5
5
per ogni u W
1,
(0, 1).
Osserviamo che se u ha derivata limitata su [0, 1] e u(0) = 0, in un intorno di 0
deve assumere valori inferiori ad ogni funzione del tipo k
3

x. Se in pi` u u(1) = 1 e
k < 1, deve anche assumere valori superiori a k
3

x in un intorno di 1. Per continuit`a


esistono 0 < < < 1 tali che
1
4
3

x u(x)
1
2
3

x x [, ] , u() =
1
4
3

e u() =
1
2
3
_
.
Su questo intervallo si ha
F

(u) =
_

(x u(x)
3
)
2
u

(x)
6
dx =
_

x
2
_
1
u(x)
3
x
_
2
u

(x)
6
dx

7
2
2
6
_

x
2
u

(x)
6
dx.
Eettuando il cambio di variabile y = x
3/5
, per cui
u(x) = u(y) = u(x
3/5
) e u

(x) =
3
5
u

(y)y
2/3
,
16 Problemi variazionali in una variabile
e usando la disuguaglianza di Jensen, si ottiene
F(u) F

(u)
7
2
3
5
2
6
5
5
_

3/5

3/5
u

(y)
6
dy
7
2
3
5
2
6
5
5
(
3/5

3/5
)
_
u(
3/5
) u(
3/5
)

3/5

3/5
_6
=
7
2
3
5
(u() u())
6
2
6
5
5
(
3/5

3/5
)
5
=
7
2
3
5
_
1 (/)
1/3
/2
_
6
2
12
5
5
(1 (/)
3/5
)
5

7
2
3
5
2
18
5
5

>
7
2
3
5
2
18
5
5
essendo / < 1 e < 1.
Esercizio 1.7 Mostrare che la successione di W
1,
(0, 1)
u
n
(x) =
_
n
2/3
x se 0 x 1/n
3

x se 1/n < x 1
converge in W
1,1
(0, 1) alla soluzione u(x) =
3

x, ma F(u
n
) , quindi la u
n
non
`e minimizzante.
Minimi relativi. Come abbiamo appena visto, passando da uno spazio ad un
altro pi` u grande, anche se il primo `e denso nel secondo, il minimo di un funzionale pu`o
diminuire. Vediamo invece cosa succede se si modica soltanto la metrica lasciando
invariato lo spazio. Finora non abbiamo parlato di distanze o di possibili topologie
semplicemente perche eravamo interessati alla determinazione dei minimi assoluti, la
cui denizione fa uso di una disuguaglianza di tipo globale che pu`o essere vera o falsa
indipendentemente dalla natura topologica di X. Ma quando si passa allo studio dei
minimi relativi il problema variazionale acquista un carattere locale e la topologia
diventa determinante, come `e evidente dalla denizione
un punto x
0
X `e di minimo relativo per F se esiste un intorno U di x
0
tale che
F(x
0
) F(x) x U
dove si usa la nozione di intorno.
Sullinsieme C
1
[0, ] delle funzioni derivabili con derivata continua su [0, ] si
possono denire la norma forte
|u|

= sup
x[0,]
[u(x) [ ,
che `e poi la norma rispetto alla quale linsieme delle funzioni continue C
0
[0, ] `e uno
spazio di Banach, e la norma debole
|u|
1,
= |u|

+|u

che fa di C
1
[0, ] uno spazio di Banach. La prima topologia `e pi` u ne della seconda
nel senso che ha pi` u aperti e quindi, per ogni elemento, pi` u intorni. Di conseguenza
ogni punto di minimo debole `e anche di minimo forte, ma non viceversa.
Il funzionale F : C
1
[0, ] R denito da
F(u) =
_

0
u
2
(1 u
2
u
2
) dx, u(0) = u() = 0 ,
ammette la funzione nulla come punto di minimo relativo debole. Infatti se <

2 e
|u|
1,
< allora
[u(x)u

(x)[
1
2
_
u(x)
2
+u

(x)
2
_
<

2
2
< 1
1.2 Lequazione di Eulero 17
per ogni x [0, ], quindi F(u) 0 e F(u) = 0 se e solo se u

, e di conseguenza u per
via delle condizioni agli estremi, `e identicamente nulla.
La successione
u
n
(x) =
2

n
sen nx
soddisfa
lim
n
|u
n
|

= lim
n
1

n
= 0 ,
ma F(u
n
) , quindi la funzione nulla non `e di minimo relativo forte.
La scelta della norma allinterno di uno spazio inuisce anche sulla continuit`a di
un funzionale. Per esempio la lunghezza
F(y) =
_
1
0
_
1 +y
2
dx
`e continua rispetto alla norma debole perche
[F(y) F(z)[
_
1
0
[y

[ dx |y

|y z|
1,
,
ma `e solo semicontinua inferiormente rispetto a quella forte, basta osservare che, a
partire dal prolungamento 1-periodico u : R R della funzione
u
0
(x) =
1
2

x
1
2

,
la successione u
h
(x) = u(hx)/h converge uniformemente alla funzione nulla, che ha
lunghezza F(0) = 1, ma F(u
h
) =

2 per ogni h N, quindi


F(0) < lim
h
F(u
h
) .
In realt`a il funzionale lunghezza e, in modo analogo, anche quello dellarea sono solo
semicontinui inferiormente rispetto alla convergenza uniforme.
1.2 Lequazione di Eulero
Sotto determinate (ragionevoli) ipotesi di regolarit`a dellintegrando f(t, z, ), la
condizione necessaria di stazionariet`a si traduce in un sistema di equazioni dierenziali
ordinarie per le funzioni estremali. Consideriamo il funzionale
F(u) =
_
b
a
f(t, u(t), u

(t)) dt
sulla classe delle funzioni vettoriali u C
1
([a, b], R
m
), con f C
1
([a, b] D R
m
),
e il relativo problema di minimo
minF(u) [ u(a) = u
1
u(b) = u
2
.
Se D = R
m
i dati agli estremi deniscono la variet`a lineare V C
1
([a, b], R
m
)
delle funzioni ammissibili, parallela al sottospazio vettoriale V
0
delle funzioni che
si annullano agli estremi. In altre parole
u V V
0
u + V e u, v V u v V
0
.
Se D `e un sottoinsieme aperto di R
m
, per ogni u ammissibile, cio`e a valori in D e
appartenente a V , e per ogni V
0
anche la funzione u + `e ammissibile per [[
18 Problemi variazionali in una variabile
sucientemente piccolo, quindi ha senso F(u+) e se u `e di minimo, o di massimo,
relativo allora la variazione prima di F in u deve annullarsi
(1.10) lim
0
F(u +) F(u)

= 0 .
In questa condizione di stazionariet`a riconosciamo a sinistra la derivata di Gateaux
come funzionale lineare su V
0

d
d
F(u +)
|=0
= F

(u),
che ci ricorda la derivata direzionale per le funzioni ordinarie. Potendo derivare sotto
il segno di integrale, la (1.10) diventa
(1.11) F

(u), =
m

h=1
_
b
a
_

z
h
f(t, u, u

)
h
+

h
f(t, u, u

h
_
dt = 0 .
La (1.11), detta equazione di Eulero in forma debole, deve essere soddisfatta per ogni
di classe C
1
e nulla agli estremi, ma la condizione che si otterrebbe sostituendo
V
0
con D(]a, b[, R
m
) `e solo apparentemente meno restrittiva, in realt`a `e del tutto
equivalente per densit`a, quindi possiamo scegliere senzaltro lo spazio delle funzioni
test D(]a, b[, R
m
). Luso di questa classe pi` u ristretta sar`a necessario se nella (1.11)
compaiono generiche distribuzioni.
Con lipotesi aggiuntiva f C
2
([a, b] D R
m
) `e lecito integrare per parti il
secondo termine della (1.11), quindi si ottiene lequazione di Eulero classica
(1.12)
m

h=1
_
b
a
_

z
h
f(t, u(t), u

(t))
d
dt

h
f(t, u(t), u

(t))
_

h
(t) dt = 0
per ogni D(]a, b[, R
m
). Scegliendo volta per volta tutte le componenti di
identicamente nulle eccetto una, la (1.12) si separa in un sistema di m condizioni
integrali indipendenti che per il seguente lemma si traduce nel sistema di equazioni
dierenziali ordinarie del secondo ordine
(1.13)
d
dt

h
f(t, u(t), u

(t))

z
h
f(t, u(t), u

(t)) = 0 h = 1, . . . , m.
Lemma 1.1 (fondamentale del CdV) Se f C
0
[a, b] e
_
b
a
f(t)(t) dt = 0 D]a, b[
allora f(t) = 0 per ogni t [a, b].
Dimostrazione. Se fosse f(t
0
) ,= 0, ad esempio f(t
0
) > 0, risulterebbe f(t) > 0
per [t t
0
[ < per un certo > 0. Scegliendo una 0 con supporto contenente
lintervallo ]t
0
, t
0
+[ si contraddice lipotesi.
2
Immediata conseguenza della (1.13) `e lintegrale primo
(1.14) f indipendente da z
k

k
f(t, u(t), u

(t)) = costante ,
inoltre, poiche ogni soluzione del sistema (1.13) soddisfa identicamente
d
dt
_
n

h=1
u

h
f(t, u(t), u

(t)) f(t, u(t), u

(t))
_
=

t
f(t, u(t), u

(t))
1.3 Esempi 19
come si pu`o facilmente vericare, se f non dipende esplicitamente da t vale lintegrale
primo
n

h=1
u

h
f(t, u(t), u

(t)) f(t, u(t), u

(t)) = costante ,
detta Equazione di du Bois-Reymond.
Abbiamo gi`a sottolineato che le equazioni di Eulero, nella forma debole (1.11)
(integrale) o nella versione forte (puntuale), (1.13) sono condizioni necessarie per le
estremali. Possono diventare sucienti in determinate situazioni? Come `e ben noto
per le funzioni ordinarie, la convessit`a `e una buona propriet`a per risolvere i problemi
di minimo (la concavit`a per quelli di massimo) e se si suppone che lintegrando sia
convesso come funzione (z, ) f(t, z, ) allora anche il funzionale u F(u) `e ovvia-
mente convesso (il viceversa verr`a considerato pi` u avanti) e per ogni u C
1
([a, b], R
m
)
e per ogni D(]a, b[, R
m
) si ha
F(u +) F(u) +F

(u), .
Ne segue che se u soddisfa la (1.11) il secondo termine della precedente relazione si
annulla e F(u) `e il minimo di F. Se poi f, e quindi F, `e strettamente convessa la
soluzione, se esiste, `e unica.
1.3 Esempi
Riprendiamo adesso lo studio di alcuni problemi variazionali che abbiamo gi`a
considerato, ma che non abbiamo ancora risolto completamente. Alcuni funzionali,
come quello della brachistocrona, li abbiamo scritti direttamente nella forma
F(y) =
_
b
a
h(y)
_
1 +y
2
dx
assumendo in modo del tutto arbitrario che la curva soluzione dovesse cercarsi tra
le funzioni y = y(x). Ma partendo pure dal problema parametrico di minimo per il
funzionale
F(x, y) =
_
1
0
h(y)
_
x
2
+y
2
dt ,
dalla (1.14) discende il principio di conservazione
h(y)x

_
x
2
+y
2
= c
e se c ,= 0 x(t) `e strettamente monotona, x pu`o essere scelta come variabile al posto
di t e il problema assume la forma cartesiana in y.
La brachistocr`ona. Tenendo presente che lintegrando
f(y, y

) =

1 +y
2
y
non dipende da x, lequazione di Eulero si riduce, dopo qualche passaggio, a
y(1 +y
2
) = c , c 0 .
Se c = 0 non c`e che la soluzione banale y = 0, lunica soluzione costante. Se c > 0 si
ha ovviamente
0 < y =
c
1 +y
2
< c
20 Problemi variazionali in una variabile
e lequazione diventa
_
y
c y
y

= 1 .
Posto
y(x) = c sen
2
(x)
2
,
si ottiene
c

sen
2

2
=
c
2

(1 cos ) = 1 ,
da cui
_

_
x =
c
2
( sen )
y =
c
2
(1 cos )
che sono le equazioni parametriche di una cicloide di raggio generatore c/2. Il pas-
saggio per il punto nale (l, a) determina il valore di c e lintervallo [0,
0
] per la .
Esercizio 1.8 Determinare le rette del modello di Poincare per il funzionale
F(y) =
_
b
a
1
y
_
1 +y
2
dx
La supercie di rivoluzione di area minima. Come equazione di Eulero si ottiene
facilmente
(1.15) y = c
_
1 +y
2
, c 0 .
Si conferma ci`o che abbiamo gi`a osservato, che se in un punto x
0
si ha y(x
0
) = 0
allora c = 0 e la soluzione `e quella identicamente nulla con il salto agli estremi dovuto
alle condizioni al contorno, detta soluzione di Goldschmidt [26]. Se c > 0 allora y c
ovunque e y = c al pi` u in un solo punto dal momento che y deve essere strettamente
convessa, come si vede derivando una volta la 1.15. Allora `e lecito porre
y(x) = c cosh (x)
che, inserita nellequazione, fornisce
(x) =
x
c
+
e quindi
y(x) = c cosh
_
x
c
+
_
.
Imponendo la condizione y(0) = 1 = c cosh si ottiene il cosidetto pennello di
estremali
(1.16) y(x, ) =
cosh(xcosh +)
cosh
.
Quando per`o si va a imporre laltra condizione, y(l) = a, non sempre si trova un
valore di , deve valere infatti come condizione necessaria la relazione tra a e l
a =
cosh(l cosh +)
cosh
>
l cosh +
cosh
l
[[
cosh
> l 1 .
1.3 Esempi 21
Per stabilire quali punti (l, a) sono raggiungibili da soluzioni y(x, ) per qualche valore
di , osserviamo che per ogni x (0, l) la funzione y(x, ) `e strettamente convessa
e lim
||
y(x, ) = +, quindi ammette come inviluppo la funzione positiva
m(x) = min
R
y(x, ) .
Questa funzione non `e un elemento della famiglia, quindi se a m(l) il problema non
ha soluzione, o meglio, si ha solo la soluzione di Goldschmidt, altrimenti, se a > m(l),
vi sono due sono due valori di che vericano lequazione
y(l, ) = a ,
quindi lequazione di Eulero ammette due soluzioni, ma una soltanto `e quella che
minimizza il funzionale.
Il problema della catenaria lo proponiamo nel seguente esercizio.
Esercizio 1.9 Determinare la congurazione di equilibrio per il lo inestensibile
e perfettamente essibile, sospeso e ssato agli estremi, tenendo conto che lenergia
potenziale della forza peso va penalizzata con la condizione vincolare sulla lunghezza
_
b
a
_
1 +y
2
dx = l .
Applicando il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, il funzionale da minimizzare
diventa
F(y) =
_
b
a
(y )
_
1 +y
2
dx
dove il moltiplicatore R `e unincognita aggiuntiva da determinarsi insieme alla
y(x) usando le condizioni agli estremi e la lunghezza assegnata del lo.
22 Problemi variazionali in una variabile
Capitolo 2
Il Problema di Dirichlet
2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie
Alcuni problemi classici della Fisica Matematica dei mezzi continui sono governati
da equazioni dierenziali alle derivate parziali con condizioni al bordo e/o iniziali.
Pensiamo ad esempio allequazione per le piccole oscillazioni trasversali u(x, t) di una
corda vibrante di densit`a di massa e soggetta alla trazione
u
tt
u
xx
= f(x, t) 0 < x < l , t > 0 ,
(il pedice indica la derivata parziale) dove f `e la sollecitazione esterna. Allequazione
vanno associate le condizioni iniziali
u(x, 0) = g(x) e u
t
(x, 0) = h(x) , 0 < x < l ,
dette anche condizioni di Cauchy, e varie condizioni di vincolo quali
u(0, t) = u(l, t) = 0 , t > 0 ,
che sono le pi` u comuni, se gli estremi della corda sono bloccati. Pi` u in generale
u(0, t) e/o u(l, t) possono essere funzioni assegnate di t. In un eventuale estremo non
vincolato, poniamo x = l, sar`a necessario assegnare la forza applicata mediante la
condizione
u
x
(l, t) = p(t) t > 0 .
Problemi simili possono essere posti in pi` u variabili, per la membrana
u
tt
(u
xx
+u
yy
) = f(x, y, t) (x, y) , t > 0 ,
per le onde sonore o per quelle elettromagnetiche
u
tt
c
2
a(u
xx
+u
yy
+u
zz
) = f(x, y, z, t) (x, y, z) , t > 0 ,
a cui vanno associate condizioni iniziali in simili alle precedenti e condizioni al
contorno che comunemente possono essere
- di Dirichlet: u = g su ,
- di Neumann: a
u
n
= h su ,
- miste: u = g su
1
e a
u
n
= h su
2
, dove
1

2
= e
1

2
=
24 Il Problema di Dirichlet
dove n indica il versore normale esterno. Vi sono anche altre condizioni come la
derivata in direzioni diverse dalla normale (derivata obliqua), combinazioni lineari di
u e della sua derivata normale, condizioni non locali espresse in termini della u stessa
come negli appoggi elastici per una struttura vincolata ecc.
Loperatore di somma delle derivate seconde rispetto alle variabili spaziali in R
n
`e detto laplaciano
u =
n

i=1
u
x
i
x
i
= div grad u.
Problemi di diusione e conduzione portano ad equazioni del tipo
(2.1) u
t
au = f , a > 0 ,
dove le condizioni iniziali si riducono alla u(x, 0) = g(x) e quelle al bordo sono le
stesse che abbiamo visto prima. Nel caso stazionario, quando f e i dati al bordo non
dipendono da t, si cercano soluzioni u della (2.1) indipendenti dal tempo e lequazione
si riduce a
u = f
nota come equazione di Poisson, di Laplace se f = 0. Questa equazione interviene nei
problemi di equilibrio
- per il potenziale elettrostatico o gravitazionale,
- per il usso stazionario, termico o elettrico, attraverso mezzi conduttori,
- per la congurazione di equilibrio di tensostrutture quali li e membrane
ed ha senso associare ad essa solo dati al bordo. Noi che siamo interessati al CdV ci
occuperemo solo di questultimo tipo di problemi che sono detti ellittici. I precedenti
sono, nellordine, iperbolici e parabolici secondo la classicazione standard che si basa
sulle propriet`a dei coecienti (a
ij
) delloperatore lineare del secondordine
u L(u) =
n

ij=1
a
ij
D
2
ij
u, a
ij
= a
ji
.
Se p, q e r, p + q + r = n, sono rispettivamente il numero degli autovalori positivi,
negativi e nulli della matrice A = (a
ij
) allora diciamo che L `e ellittico se p = n oppure
q = n, parabolico se r > 0 e p + r = n oppure q + r = n e iperbolico se p, q > 0. Se
A = I loperatore si riduce al laplaciano.
Naturalmente si possono considerare le varianti pi` u diverse. Limitandoci ai soli
problemi ellittici, i coecienti possono non essere costanti e possono essere presenti
anche dei termini di ordine inferiore al secondo come nellequazione
(2.2)
n

ij=1
a
ij
(x)D
2
ij
u +
n

i=1
b
i
(x)D
i
u +c(x)u = f
dove la parte del secondordine `e detta parte principale. In certi casi, ma non sempre,
la (2.2) pu`o essere scritta nella cosiddetta forma di divergenza o variazionale
(2.3)
n

ij=1

x
j
_
a
ij
(x)
u
x
i
_
+
n

i=1
b
i
(x)D
i
u +c(x)u = f
dove la parte principale non `e altro che div(Au) = D (ADu). La matrice A(x) dei
coecienti nellequazione
D (ADu) = f in
2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie 25
esprime la conduttivit`a elettrica o termica del conduttore , essa pu`o dipendere da
x se il mezzo non `e omogeneo e non essere diagonale se il mezzo non `e isotropo.
Le (2.2) e (2.3) non sono equivalenti per vari motivi, per esempio nella seconda si
potrebbe considerare il caso di A non simmetrica, mentre nella prima leventuale
parte antisimmetrica sparisce, inoltre la prima va scritta con u C
2
e la seconda con
ADu C
1
che prevede la possibilit`a che sia A, sia Du, possano essere discontinue,
ma non il loro prodotto ovviamente.
Vi sono poi problemi ellittici di ordine superiore, tipicamente quelli del quartor-
dine per lequilibrio della piastra, che richiedono 4 tipi di condizioni al bordo, due di
natura cinematica e due di natura meccanica; problemi ellittici vettoriali dove linco-
gnita u `e un vettore invece di uno scalare, ad esempio lo spostamento nellequilibrio
di un corpo elastico tridimensionale; inne vi sono problemi ellittici non lineari, tra i
tanti, per citarne uno familiare, quello dellarea minima che riguarda, come sappiamo,
la congurazione di equilibrio di una lamina saponata, noto come problema di Plateau.
Spendiamo adesso qualche parola sulla buona formulazione dei problemi cui ab-
biamo accennato e su che cosa signica risolverli. In generale lequazione da sola
ammette famiglie molto vaste di soluzioni, quindi le condizioni aggiuntive, al bordo
o iniziali, hanno un ruolo fondamentale, certamente pi` u rilevante che nelle equazioni
dierenziali ordinarie. Tuttavia `e quasi sempre impossibile rappresentare le soluzioni
in forma chiusa, attraverso cio`e espressioni esplicite scritte in termini di funzioni note,
se risolvere signica questo, almeno nel senso letterale del termine. Nel XIX secolo
la ricerca di soluzioni esplicite ha stimolato la costruzione delle funzioni speciali, ha
fornito rappresentazioni per serie, ha permesso lo sviluppo della teoria delle funzioni
analitiche di variabile complessa (non a caso strettamente collegata con lequazione
di Laplace). In questo tipo di approccio `e gi`a comunque implicita la scelta di uno
spazio funzionale in cui cercare la soluzione: quello delle funzioni analitiche. Ogni
funzione u C
2
() che soddisfa lequazione di Laplace, che per questo viene detta
armonica, `e necessariamente analitica in . Gi`a questa aermazione, che `e di tipo
qualitativo, ha una rilevanza maggiore e una maggiore utilit`a rispetto a improbabili e
magari molto complicate rappresentazioni esplicite. Per provarla basta ricorrere alla
formula integrale di Poisson sulla palla B
r
(0) R
n
di centro 0 e raggio r:
assegnata la funzione g C
0
(B
r
(0)), lunica soluzione u C
2
(B
r
(0)) C
0
(

B
r
(0))
del problema di Dirichlet
_
u = 0 in B
r
(0)
u = g su B
r
(0)
`e la funzione
(2.4) u(x) =
_

_
r
2
[x[
2

n
r
_
B
r
(0)
g(y)
[x y[
n
d(y) se x B
r
(0)
g(x) se x B
r
(0)
dove
n
`e la misura n 1 dimensionale della sfera unitaria. Si tratta dellunico caso
di rappresentazione esplicita, a meno di piccole varianti come lellissoide o forse altri
domini molto semplici. La funzione che moltiplica la g dentro lintegrale (2.4), detta
nucleo di Poisson, `e analitica e quindi anche u lo `e in B
r
(0). Ne segue che una funzione
di classe C
2
armonica in un aperto qualsiasi `e analitica perche la (2.4) vale con u
al posto di g in ogni palla B tale che

B .
Se si considera a secondo membro una data funzione f che `e ragionevole supporre
continua in , sempre con g continua su , si perviene al seguente problema classico
di Dirichlet.
26 Il Problema di Dirichlet
Problema 2.1 Trovare u C
2
() C
0
(

) tale che
_
u = f in
u = g su .
Una u che soddisfa questa problema viene detta soluzione classica.
Anche in questo caso si pu`o ottenere, con opportune ipotesi di regolarit`a della frontiera
di , una rappresentazione integrale esplicita (non tanto), nota come formula di
Green, dellunica soluzione. Ma se vogliamo considerare situazioni anche di poco
pi` u complicate, domini pi` u generali, sollecitazioni non continue, coecienti variabili
nelloperatore ecc., che pure sono perfettamente sensate dal punto di vista sico, `e
necessaria una teoria generale in cui il problema venga formulato in spazi di funzioni
opportuni. Le ipotesi da assumere per i dati e la scelta dello spazio in cui cercare la
soluzione devono rispettare dei ragionevoli criteri, introdotti da Hadamard, anche il
problema sia ben posto. La buona formulazione secondo Hadamard si pu`o riassumere
nei seguenti requisiti:
- esistenza,
- unicit`a,
- stabilit`a.
Questa `e unaltra risposta, magari un po astratta, ma di carattere generale con ri-
cadute concrete, alla domanda su che cosa signica risolvere i problemi di cui stiamo
parlando. Per chiarirne il signicato, pensiamo al fenomeno che il problema matema-
tico pretende di modellizzare. Il fenomeno accade eettivamente, evolve in un solo
modo e il fatto che il modello sia inevitabilmente imperfetto, e che vi siano inevita-
bili errori di misurazione dei dati, non deve incidere eccessivamente sulla soluzione,
a piccole variazioni dei dati devono corrispondere conseguenti piccole variazioni
della soluzione, in questo senso il termine stabilit`a signica dipendenza continua
della soluzione dai dati.
Ora, per fare degli esempi, il problema di Cauchy per il laplaciano, ma anche
per le equazioni ellittiche in generale, non `e ben posto come si vede nel seguente
controesempio di Hadamard
_

_
u = 0 (x, y) R
2
: y > 0
u(x, 0) = 0
u
y
(x, 0) = g(x) .
Intanto osserviamo che u deve essere analitica nel semipiano y > 0 e siccome la prima
condizione al bordo, da sola, ci permette di costruire un prolungamento analitico
(principio di Schwartz) a tutto R
2
ponendo
u(x, y) =
_
u(x, y) se y 0
u(x, y) se y < 0 ,
non esistono soluzioni se g non `e analitica in R. Comunque non vale la dipendenza
continua, basta osservare che la successione di dati
g
n
(x) =
sen nx
n
tende uniformemente a 0, a cui corrisponde la soluzione ovunque nulla, ma la succes-
sione delle corrispondenti soluzioni
u
n
(x, y) =
sen nxsenh ny
n
2
2.1 Cenni sulle PDE con condizioni varie 27
ammette sottosuccessioni divergenti in ogni punto che non sia del tipo (k, y). A
prescindere dalla scelta dello spazio funzionale, i dati di Cauchy non sono opportuni
per unequazione ellittica.
Ad unequazione iperbolica non si addicono dati di Dirichlet. Consideriamo ad
esempio lequazione
u
xy
= 0
che per integrazione diretta, con u C
2
(R
2
), porta alla rappresentazione
u(x, y) = (x) +(y) , C
2
(R) .
Se in un rettangolo con i lati paralleli agli assi si assegnano dati di Dirichlet che non
siano costanti il problema non ha soluzione.
Tornando al laplaciano, o ad unequazione ellittica del tipo D (ADu) = f,
una immediata relazione di compatibilit`a tra i dati va imposta per lesistenza della
soluzione nel problema di Neumann. Lo si vede con una semplice integrazione
_

f dx =
_

D (ADu) dx =
_

ADu nd
_

ADu nd ,
da cui
_

f dx +
_

g d +
_

u
n
d = 0
che esprime lequilibrio delle forze esterne. Il terzo termine rappresenta la reazione
vincolare che non `e mai nota a priori, ma dipende dalla soluzione u, ed `e assente nel
problema di Neumann nel quale deve valere la condizione necessaria
_

f dx +
_

g d = 0 .
Una terza risposta, doverosa, sul signicato di soluzione `e di natura applicativa e
consiste nella discretizzazione dellequazione e nellapprossimazione numerica della
soluzione. Metodi di questo tipo non possono prescindere dalla formulazione generale
perche operano negli stessi spazi funzionali, facendo uso delle stesse norme e delle
conseguenti nozioni di convergenza. Grosso modo consistono nella scelta di una fa-
miglia di funzioni base
h
, dette funzioni spline, allinterno dello spazio funzionale
scelto, in modo che sia completa. Ogni sottoinsieme nito
1
,
2
, . . . ,
k
genera un
sottospazio vettoriale di dimensione nita e lequazione opportunamente discretizza-
ta, in cui loperatore dierenziale viene sostituito da un operatore algebrico, avr`a una
soluzione del tipo
u
k
=
k

i=1
c
i

i
.
Per k la u
k
deve convergere, il pi` u rapidamente possibile, nella norma dello
spazio alla soluzione u del problema dato. Lutilit`a pratica `e quella di disporre di
soluzioni approssimate che nelle applicazioni possono dare informazioni sucienti.
Osserviamo inne, con riferimento al problema di Dirichlet, che per il suo carattere
lineare pu`o essere decomposto nei due problemi
_
v = f in
v = 0 su
e
_
w = 0 in
w = g su ,
risolti i quali si ha u = v +w. Ci`o vale anche con gli altri dati al bordo e in presenza
di ogni operatore lineare.
28 Il Problema di Dirichlet
2.2 Esempi con soluzioni esplicite
Una membrana circolare B di raggio unitario `e bloccata sul bordo e caricata con
una pressione costante f = F/(R
2
r
2
) sullanello r < [x[ < R essendo 0 < r <
R < 1 e nulla al di fuori. Qual `e la sua congurazione di equilibrio u(x, y)? Siamo
di fronte ad un dato f discontinuo quindi non ci possiamo aspettare u C
2
, ma
essendo continuo in ognuna delle tre regioni B
r
= [x[ < r, A
r,R
= r < [x[ < R
e A
R
= R < [x[ < 1 u sar`a C
2
in ciascuna di esse e dovr`a soddisfare opportune
condizioni di raccordo attraverso il bordo di A
r,R
. Per vederlo, se f ha una supercie
di discontinuit`a allinterno di e u soddisfa
(2.5)
_
u = f in
u = g su
moltiplicando per una funzione test D() e integrando si ottiene
(2.6)
_

Du Ddx =
_

fdx.
Si sceglie adesso un aperto

in cui f `e continua, e limitandoci alle D(

)
D() si ottiene dalla (2.6) u = f in

, quindi u C
2
(

). La (2.6) ci d`a anche le


condizioni di raccordo. Si considerino le con supporto in una palla col centro in e
si ssi una direzione per il versore normale n nei punti di . Allinterno della palla si
possono distinguere le due regioni

, da cui esce n, e
+
in cui n entra. Dalla (2.6)
si ottiene
_

f =
_

Du D +
_

+
Du D =
_

_
u

n

u
+
n
_
d
_

u
e siccome il primo membro e lultimo termine coincidono, per larbitrariet`a di la
componente normale di Du ha salto nullo, quindi `e continua.
Riguardo al problema posto allinizio del paragrafo, dobbiamo cercare soluzioni
radiali u() la cui derivata rispetto a sia continua. Il laplaciano in coordinate polari
assume la forma
u =
1

_
+
1

2
u

2
e se u non dipende da lequazione di Laplace diventa
(u

= 0
da cui
u() = log + .
Essendo u(1) = 0 e imponendo la continuit`a di u

(), con facili calcoli si ottiene la


soluzione del nostro problema
u
r
() =
_

_
F
4
_
1
2(R
2
log R r
2
log r)
R
2
r
2
_
se r
F
4
_
R
2

2
R
2
r
2

2(R
2
log R r
2
log )
R
2
r
2
_
se r < R

F
2
log se R < 1
che appartiene a C
1
(B) C
0
(

B) ma non a C
2
(B). Essa soddisfa la (2.6) ed `e detta
per questo soluzione debole della (2.5).
2.2 Esempi con soluzioni esplicite 29
Supponiamo adesso che il carico
f
r
() =
_

_
F
(R
2
r
2
)
su A
r,R
0 altrove
tenda a concentrarsi sempre di pi` u sulla circonferenza
R
di raggio R conservando la
risultante F. Per r R si ha
_
B
f
r
=
F
(R
2
r
2
)
_
A
r,R
=
F
(R
2
r
2
)
_
R
r

_
2
0
(, ) dd
=
F(R r)
(R
2
r
2
)
_
2
0
( , ) d
F
2R
_
2
0
(R, )Rd =
F
2R
_

R
ds
dove abbiamo usato il teorema della media. Lespressione ottenuta denisce la forza
concentrata su
R
come la distribuzione su D(B)
f
R
=
F
2R

R
,
tale che
f
R
, =
F
2R
_

R
ds .
Daltra parte u
r
converge uniformemente alla funzione C
1
a tratti
u
R
() =
_

F
2
log R se R

F
2
log se R < 1
e, poiche Du
r
Du
R
in L
2
, si ha
_
B
Du
r
D
_
B
Du
R
D,
quindi la u
R
`e soluzione debole del problema di Dirichlet nel senso
_
B
Du
R
D = f
R
, D(B) .
Per R 0, applicando il teorema della media il II membro tende a
f
0
, = F(0)
che `e proporzionale alla distribuzione di Dirac concentrata in 0, mentre la u
R
tende
alla funzione
u
0
() =
F
2
log , 0 < 1 ,
ma non vi `e convergenza del gradiente in L
2
, la funzione u
0
sta infatti in L
2
ma non
in H
1
(B) e siccome
_
B
Du
R
D =
_
B
u
R

_
B
u
0
,
la u
0
soddisfa il problema di Dirichlet nella forma ancora pi` u debole

_
B
u
0
= f
0
, D(B) .
30 Il Problema di Dirichlet
Se per` o vogliamo risolvere il problema in H
1
anche in questo caso dobbiamo accettare
come soluzione la funzione identicamente nulla. In altre parole, il carico puntuale, che
grava sulla membrana come uno spillo, lattraversa e non ha nessuna inuenza sulla
sua congurazione di equilibrio.
Esercizio 2.1 Determinare le soluzioni a simmetria sferica in R
n
dellequazione
di Laplace.
2.3 Formulazione variazionale
Nel paragrafo precedente abbiamo visto che, assegnata f C
0
(), se u C
2
()
soddisfa la (2.5) allora soddisfa la (2.6). Certamente vale anche il viceversa, basta
ragionare come nel Lemma 1.1, ma se inizialmente si pone il problema nella forma
(2.6) con f C
0
() non possiamo sapere se esistono soluzioni in C
2
(), in modo
che ad esse si possa applicare il laplaciano, e se `e lecito riconoscerle come soluzioni
della (2.5). Questo passaggio logico `e loggetto della teoria della regolarit`a di cui
vedremo i primi passi pi` u avanti. La formulazione debole `e molto pi` u generale perche
ha senso non solo con f L
2
(), come nel caso del carico discontinuo del 2.2,
ma anche quando f D

() in cui rientra il caso del carico concentrato su variet`a


di dimensione inferiore a quella dello spazio. Vediamo uno alla volta vari livelli di
generalit`a del problema di Dirichlet per il laplaciano nella forma debole, assumendo
per ora g = 0 su .
1. Se f L
2
() la distribuzione
_

f pu`o essere estesa a tutto L


2
()
venendo a coincidere col prodotto scalare v
_

fv, daltra parte a primo membro


compare il prodotto scalare tra i gradienti Du e Dv che ha senso in H
1
, quindi
v H
1
0
() che `e la chiusura di D() in H
1
(). Ricordando che g = 0 su ,
cerchiamo la soluzione u in questo spazio pervenendo al seguente problema.
Problema 2.2 Data f L
2
(), trovare u H
1
0
() tale che
(2.7)
_

Du Dv dx =
_

fv dx v H
1
0
() .
2. Se v H
1
0
() possiamo sostituire f con una distribuzione f, che sia
estendibile a tutto H
1
0
(), quindi con f H
1
0
()

. Il duale H
1
0
()

di H
1
0
() viene
indicato con H
1
() e vale in proposito la seguente caratterizzazione:
f H
1
() se e solo se esistono f
0
, f
1
, f
2
, . . . f
n
L
2
() tali che
f, v =
_

f
0
v +
_

i=1
f
i
D
i
v v H
1
0
() .
In altre parole, in termini del campo vettoriale F = (f
1
, f
2
, . . . f
n
) L
2
()
n
, f `e la
distribuzione
f = f
0
div F .
Problema 2.3 Data f H
1
(), trovare u H
1
0
() tale che
(2.8)
_

Du Dv dx = f, v v H
1
0
() .
Visto che ogni spazio di Hilbert ammette se stesso come duale, H
1
0
non dovrebbe
fare eccezione e la cosa sarebbe del tutto accettabile. Ma se consideriamo H
1
0
come
sottospazio di L
2
, che coincide col suo duale, si deve ammettere anche (H
1
0
)

L
2
strettamente. Questo ci soddisfa, altrimenti ci dovremmo limitare ai soli dati f H
1
0
.
2.3 Formulazione variazionale 31
3. Se f D

() `e una distribuzione qualsiasi, in assenza di ulteriori ipotesi non


si pu`o uscire dallo spazio D() e anche u va cercata tra le distribuzioni, quindi il
problema assume la seguente (debolissima) forma.
Problema 2.4 Data f D

(), trovare u D

() tale che
(2.9)
_

udx = f, D() .
Un caso particolare importante della (2.9) `e lequazione
(2.10) u = in R
n
,
dove la distribuzione di Dirac `e denita da , = (0) per ogni D(R
n
). Per
il carattere isotropo delloperatore laplaciano `e naturale cercare soluzioni u = u() a
simmetria sferica, per le quali lequazione in R
n
0 diventa
u = u

() +
n 1

() = 0 , > 0 ,
e che ha per soluzioni le funzioni
u() =
_

_
log + se n = 2

n2
+ se n > 2 .
Si giunge alla stessa conclusione integrando membro a membro lequazione su una
corona sferica di raggio interno r ssato e raggio esterno generico > r e applicando
il teorema della divergenza
0 =
_
r<|x|<
udx =
_
|x|=
Du
x

d
_
|x|=r
Du
x
r
d
=
_
|x|=
u

() d
_
|x|=r
u

(r) d =
n

n1
u

()
n
r
n1
u

(r) ,
da cui
u

() =
c
1

n1
+c
2
.
Tra queste soluzioni radiali si pu`o scegliere c
1
e c
2
in modo che u soddis la (2.10). Lo
lasciamo per esercizio suggerendo di considerare una generica a supporto compatto
K e, denito K

= KB

(0), integrare per parti u su K

. Rimarranno da trattare
solo degli integrali su B

(0) di cui si pu`o calcolare facilmente il limite per 0


usando il teorema della media. La soluzione di (2.10) `e detta soluzione fondamentale
del laplaciano e vale
() =
_

_
log
2
se n = 2
1
(n 2)
n

n2
se n > 2 .
Da ora in poi ci interesseremo del Problema 2.3 relativo al punto 2. Questa formu-
lazione viene anche detta variazionale in quanto equivalente al seguente problema.
32 Il Problema di Dirichlet
Problema 2.5 Assegnata f H
1
(), sia F : H
1
0
() R il funzionale
F(v) =
1
2
_

[Dv[
2
dx f, v v H
1
0
() .
Trovare u H
1
0
() tale che
F(u) F(v) v H
1
0
() .
Sebbene la formulazione variazionale abbia carattere ben pi` u generale della formula-
zione classica, in presenza di dati al bordo non omogenei vi sono dei casi in cui la prima
non pu`o essere considerata perche d`a luogo ad unenergia non nita. Consideriamo
ad esempio nel disco unitario B = x R
2
[ [x[ < 1 il problema
_
u = 0 in B
u = g su B
dove g, in coordinate polari con = 1 e = 2, `e la funzione
g() =

n=1
sen(n!)
n
2
.
Per separazione di variabili si dimostra facilmente che la soluzione u `e data da
u(, ) =

n=1

n
sen(n!)
n
2
< 1 ,
ma
_
B
[Du[
2
dx =

n=1
n!
n
4
= +.
Questo inconveniente non accade se si assume che g sia la restrizione al bordo di
una funzione g H
1
(). Detta cos` la cosa non ha senso perche il bordo ha misura
nulla e le nostre funzioni sono denite quasi ovunque, per questo esiste unopportuna
nozione di traccia di cui non parliamo adesso. Ma un altro modo del tutto equivalente
per recuperare il rigore dovuto `e assumere g H
1
() e imporre la condizione ug
H
1
0
(). Essendo
_

Du Dv =
_

D(u g) Dv +
_

Dg Dv ,
u H
1
() `e soluzione se e solo se w = u g H
1
0
() soddisfa lequazione
_

Dw Dv = f, v
_

Dg Dv v H
1
0
()
dove si riconosce f + g come elemento di H
1
() essendo Dg L
2
(). Il proble-
ma omogeneo sul bordo non `e quindi meno generale di quello con g perche pur di
scegliere sempre la formulazione del Problema 2.3, anche se si `e nelle condizioni del
Problema 2.2, ci si pu`o ricondurre al caso omogeneo.
Tutto ci`o che si `e detto nora vale anche nel caso pi` u generale di un operatore ellit-
tico in forma variazionale a coecienti A(x) = (a
ij
(x)). Sulla matrice A supponiamo
a
ij
L

() e che per un certo > 0 si abbia


A(x) =
n

ij=1
a
ij
(x)
i

j
[[
2
R
n
xq.o. .
2.3 Formulazione variazionale 33
Problema 2.6 Data f H
1
(), trovare u H
1
0
() tale che
(2.11) div(A(x)Du) = f in .
La (2.11) va intesa nel senso variazionale, come equazione
_

A(x)Du Dv = f, v v H
1
0
()
oppure, se A(x) `e simmetrica, come principio di minimo
(2.12) F(u) F(v) v H
1
0
()
essendo
F(v) =
1
2
_

A(x)Dv Dv dx f, v v H
1
0
() .
Lesistenza e lunicit`a della soluzione del Problema 2.6 `e conseguenza di un teorema
astratto negli spazi di Hilbert che vediamo tra poco.
Siano H uno spazio di Hilbert reale con prodotto scalare ., . e norma | | e H

il suo duale con laccoppiamento : H

H R
(f, u) f, u .
Un operatore lineare e continuo A : H H

determina la forma bilineare


(2.13) a(u, v) = Au, v
che `e ovviamente lineare in u e in v e continua perche [a(u, v)[ |A||u||v|. Vice-
versa, ad ogni forma bilineare e continua rimane associato loperatore A : H H

tale che vale la (2.13).


Denizione 2.7 Diciamo che a(u, v) `e coerciva se esiste una costante > 0
tale che
a(u, u) |u|
2
u H .
Una forma bilineare continua e coerciva denisce la norma
_
a(u, u) che `e equivalente
alla norma di H.
Teorema 2.8 (Lax-Milgram) Sia a(u, v) una forma bilineare coerciva su uno
spazio di Hilbert H. Allora per ogni f H

esiste ununica u H tale che


(2.14) a(u, v) = f, v v H .
Inoltre lapplicazione f u `e lipschitziana: se u
1
e u
2
sono le soluzioni della (2.14)
corrispondenti ai dati f
1
e f
2
allora
|u
1
u
2
|
H

1

|f
1
f
2
|
H
.
Dimostrazione. Supponiamo dapprima che a(u, v) sia simmetrica. In questo caso
la (2.14) `e equivalente al problema di minimo in H per il funzionale
F(v) =
1
2
a(v, v) f, v .
Poiche
f, v |f||v| =
_
_
_
_
f

_
_
_
_
|v|
1
2
_
|f|
2

2
+
2
|v|
2
_
,
34 Il Problema di Dirichlet
F `e limitato inferiormente in quanto
F(v)

2
2
|v|
2

|f|
2
2

|f|
2
2
,
basta scegliere
2
< . Sia allora
I = inf
vH
F(v) .
Per ogni h N esiste u
h
H tale che
I F(u
h
) < I +
1
h
h N.
Siccome F(u
h
) I, la (u
h
) si chiama successione minimizzante. Essa `e di Cauchy
perche

2
|u
h
u
k
|
2

1
2
a(u
h
u
k
, u
h
u
k
)
= a(u
h
, u
h
) +a(u
k
, u
k
) 2a
_
u
h
+u
k
2
,
u
h
+u
k
2
_
= 2(F(u
h
) +f, u
h
+F(u
k
) +f, u
k
) 4
_
F
_
u
h
+u
k
2
_
+f,
u
h
+u
k
2

_
= 2(F(u
h
) +F(u
k
)) 4F
_
u
h
+u
k
2
_
2(F(u
h
) +F(u
k
)) 4I
1
h
+
1
k
che tende a 0 per h, k . Essendo H completo, esiste u H tale che |u
h
u| 0
e poiche f, u
h
u 0 e inoltre
[a(u
h
, u
h
) a(u, u)[ = [a(u
h
u, u
h
u) + 2a(u
h
u, u)[
|A||u
h
u|
2
+ 2|A||u
h
u||u| 0 ,
allora F(u
h
) F(u), ma F(u
h
) I e quindi F(u) = I.
Siano adesso u
i
H
1
0
(), i = 1, 2, soluzioni delle equazioni
a(u
i
, v) = f
i
, v v H
1
0
() .
Per dierenza si ha
a(u
1
u
2
, v) = f
1
f
2
, v
e scegliendo v = u
1
u
2
si ottiene
|u
1
u
2
|
2
a(u
1
u
2
, u
1
u
2
) = f
1
f
2
, u
1
u
2
|f
1
f
2
||u
1
u
2
| ,
da cui
|u
1
u
2
|
1

|f
1
f
2
| .
Ci`o mostra non solo lunicit`a, ma anche la dipendenza continua.
2
Come rientra il nostro problema di Dirichlet allinterno dello schema astratto che
abbiamo appena discusso? Lo spazio che ci interessa, H
1
0
(), `e di Hilbert come
sottospazio chiuso di H
1
(), ma le condizioni di continuit`a e di coercivit`a della forma
bilineare a(u, v) non coinvolgono tutta la norma, bens` solo la parte che contiene il
gradiente. Lo schema generale pu`o essere applicato direttamente ad un problema
come questo
(2.15)
_
div(A(x)Du) +k(x)u = f in
u = 0 su
2.3 Formulazione variazionale 35
che `e lequazione di equilibrio di una membrana appoggiata su un letto di molle di
rigidezza k(x) > 0 ed essendo in questo caso
a(u, v) =
_

k(x)uv dx +
_

A(x)Du Dv dx,
lambientazione del problema in H
1
0
() e lipotesi f H
1
() sono corrette perche
lesistenza e lunicit`a della soluzione per il problema (2.15) discendono direttamente
dal Teorema 2.8.
Per adattare il Problema 2.6 al Teorema 2.8 dobbiamo mostrare che in H
1
0
()
la norma con le sole derivate `e equivalente alla norma di H
1
() e allo scopo vale il
seguente risultato.
Teorema 2.9 (Disuguaglianza di Poincare) Siano R
n
un aperto limita-
to e 1 p < +. Esiste una costante c(, p) > 0 tale che
(2.16) |u|
L
p
()
c(, p)|Du|
L
p
()
u W
1,p
0
() .
Dimostrazione. Sia u C
1
0
() estesa con valore nullo al complementare di .
Fissato un punto x , per r > 0 abbastanza grande (dipendente da ) si ha
u(x +r) = 0 per ogni R
n
tale che [[ = 1, pertanto
u(x) = u(x +r) u(x) =
_
r
0
u(x +t)
t
dt =
_
r
0
Du(x +t) dt .
Passando al modulo e usando la disuguaglianza di Holder
[u(x)[
_
r
0
[Du(x +t)[ dt r
1/q
__
r
0
[Du(x +t)[
p
dt
_
1/p
.
Adesso eleviamo alla p e passiamo allintegrale su R
n
(o equivalentemente su )
|u|
p
p
=
_
R
n
[u(x)[
p
dx r
p/q
_
R
n
_
r
0
[Du(x +t)[
p
dt dx
= r
p1
_
r
0
_
R
n
[Du[
p
dxdt = r
p
|Du|
p
p
.
Se u W
1,p
0
() esiste una successione (u
h
) C
1
0
() tale che |u
h
u|
W
1,p
()
0.
Per ogni u
h
vale la disuguaglianza (2.16) e la norma `e continua, quindi la (2.16) `e
stabile nel passaggio al limite e rimane vera per ogni u W
1,p
0
().
La costante trovata per questa disuguaglianza `e semplicemente r, il raggio di una
palla che contiene , e non sembra dipendere da p, ma la costante ottimale, la minima
per cui la disuguaglianza `e vera, dipende da p.
2
La relazione
|Du|
p
|u|
p
+|Du|
p
(1 +c)|Du|
p
u W
1,p
0
()
mostra che in W
1,p
0
() la norma di W
1,p
() e la norma in L
p
() del solo gradiente
sono equivalenti, quindi la forma bilineare
a(u, v) =
_

A(x)Du Dv dx
`e coerciva in H
1
0
(). Rimane da vericare, con riferimento al Teorema 2.8, che il
funzionale F(v) della (2.12) `e limitato inferiormente, ma questo `e vero perche
F(u)

2
|Du|
L
2
()
f/, u

2
|Du|
L
2
()

1
2
2
|f|
2
H
1
()


2
2
|u|
2
L
2
()

c
2

2
2
|Du|
L
2
()

1
2
2
|f|
2
H
1
()

1
2
2
|f|
2
H
1
()
36 Il Problema di Dirichlet
pur di scegliere
2
< /c
2
. Da queste considerazioni possiamo dedurre che il Proble-
ma 2.6 ammette una ed una sola soluzione in H
1
0
().
Il Teorema 2.9 ci dice che limmersione W
1,p
0
() L
P
() `e continua. Per
induzione vale banalmente il seguente corollario.
Corollario 2.10 Siano R
n
un aperto limitato e 1 p < +. Esiste una
costante c(, p) > 0 tale che
|u|
W
k,p
()
c(, p)

||=k
|D

u|
L
p
()
u W
1,p
0
() .
2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet
Illustriamo in questo paragrafo un approccio alternativo alla questione dellesi-
stenza e unicit`a per il Problema di Dirichlet nella versione variazionale (2.12) che poi
riprenderemo, in una versione generale, nei problemi variazionali non lineari. Il me-
todo diretto prende in esame, appunto direttamente, le propriet`a del funzionale senza
passare dallequazione e si basa sullidea del celebre teorema di Weirstra di combinare
la continuit`a di una funzione con la compattezza del dominio. Rispetto al 2.3 nulla
cambia sulla formulazione, f H
1
(), F `e limitato inferiormente in H
1
0
() e la solu-
zione la cerchiamo in questo spazio. Dato che siamo interessati al solo minimo (daltra
parte F non `e neanche limitato superiormente) e che H
1
0
() non `e certo compatto,
pi` u del teorema di Weirstra ci interessa una sua variante che prevede lesistenza del
minimo con le ipotesi che i sottolivelli, cio`e gli insiemi u H
1
0
() [ F(u) k, siano
compatti e che F sia un funzionale semicontinuo inferiormente. Ora, i sottolivelli di
F sono limitati perche
lim
v
F(v) = +
e sono anche chiusi perche, come abbiamo gi`a visto, F `e addirittura continua, ma in
uno spazio vettoriale in dimensione non nita come H
1
0
(), la cui metrica `e quella
della norma, gli insiemi chiusi e limitati non sono in generale compatti. Insomma, le
cose non sembrano andare tanto bene, ma adesso ci procuriamo gli ingredienti che ci
servono per farle funzionare.
Sia X uno spazio che soddisfa il I assioma di numerabilit`a, per esempio uno spazio
metrico, in modo che tutte le sue propriet`a topologiche siano caratterizzabili in termini
delle successioni convergenti.
Denizione 2.11 Una funzione F : X R `e detta semicontinua inferior-
mente (s.c.i.) [superiormente (s.c.s.)] se per ogni x X e per ogni successione
(x
h
) X tale che x
h
x si ha
F(x) liminf
h
F(x
h
) [F(x) limsup
h
F(x
h
)] .
Proposizione 2.12 Una funzione F : X R `e s.c.i. se e solo se per ogni t R
il sottolivello S
t
(F) = x X [ F(x) t `e chiuso.
Dimostrazione. Se F(x
h
) t per ogni t R allora
liminf
h
F(x
h
) t ,
quindi se x
h
x e F `e s.c.i. si ha
F(x) liminf
h
F(x
h
) t .
2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 37
Viceversa, sia (x
h
) una successione convergente a x e indichiamo con l il minimo limite
di F(x
h
). Per ogni > 0 e per ogni h N esiste k
h
N tale che
F(x
k
h
) l + h N,
ma allora F(x) l + per ipotesi e F `e s.c.i. essendo arbitrario.
2
Vi sono altre condizioni necessarie e sucienti, come la propriet`a che lepigraco sia
chiuso, ma non le tratteremo.
Denizione 2.13 Un funzionale F : X R `e detto coercivo se per ogni t R il
sottolivello S
t
(F) ha chiusura compatta in X (in modo equivalente, esiste un compatto
K X tale che S
t
(F) K).
Teorema 2.14 (Il metodo diretto) Se F : X R `e s.c.i. e coercivo allora
esiste x
0
X tale che
F(x
0
) F(x) x X .
Dimostrazione. Scelti ad arbitrio un punto x X e un numero reale t > F( x),
il relativo sottolivello S
t
, indichiamolo con S, `e non vuoto e compatto per ipotesi.
Dimostriamo che F ha minimo in S. Scelta una successione minimizzante (x
h
) S
lim
h
F(x
h
) = inf
xS
F(x) = I ,
essendo S compatto la (x
h
) ammette una sottosuccessione (x
k
h
) convergente ad un
certo x
0
S. Dalla semicontinuit`a di F segue
F(x
0
) liminf
h
F(x
k
h
) = lim
h
F(x
h
) = I ,
quindi
F(x
0
) = I ,
I `e il minimo e x
0
`e un punto di minimo per F. Il minimo trovato `e anche il minimo
di F su tutto X dal momento che per ogni x / S si ha F(x) > t > F( x) F(x
0
).
Se in pi` u ogni successione minimizzante gi`a converge a x
0
il punto di minimo `e
unico, ma se vi sono pi` u successioni minimizzanti convergenti a punti distinti ognuno
di questi `e di minimo e non vale lunicit`a.
2
Per far rientrare il nostro caso in questo schema astratto bisogna sostituire la topolo-
gia della norma con una topologia pi` u ricca di compatti, quindi con meno aperti, in
modo che ogni successione limitata ammetta sottosuccessioni convergenti, daltra par-
te diminuendo la quantit`a di aperti diminuisce anche la quantit`a di funzioni continue.
Bisogna dunque introdurre nello spazio una nozione abbastanza debole di convergen-
za da garantire la compattezza dei limitati e, dovendo rinunciare alla continuit`a di F,
allo stesso tempo non troppo debole da conservarne perlomeno la semicontinuit`a. La
convergenza che fa al caso nostro `e detta appunto convergenza debole, ci limitiamo
per il momento ad uno spazio di Hilbert separabile, che ammette cio`e un sottoinsieme
numerabile e denso. Ricordiamo che ogni spazio di Hilbert H separabile ammette una
base ortonormale numerabile, cio`e un sistema numerabile (e
h
) tale che e
h
, e
k
=
hk
e tale che linsieme di tutte le combinazioni lineari nite degli e
h
`e denso in H.
Denizione 2.15 Diciamo che la successione (u
h
) H converge debolmente
a u H, e si scrive u
h
u, se per ogni v H

si ha
v, u
h
v, u .
38 Il Problema di Dirichlet
Ad esempio u
h
H
1
()
u se per ogni v H
1
()
_

(u
h
v +Du
h
Dv) dx
_

(uv +Du Dv) dx.


Oppure u
h
H
1
0
()
u se per ogni v H
1
(), cio`e v = v
0
div V con v
0
L
2
() e
V L
2
()
n
, si ha
_

(u
h
v
0
+Du
h
V ) dx
_

(uv
0
+Du V ) dx.
Vediamo alcune propriet`a di questa nuova nozione di convergenza.
Se u
h
u nel senso usuale, |u
h
u| 0, allora u
h
u, per questo la prima
`e anche detta convergenza forte. La dimostrazione `e immediata
[u
h
u, v[ |u
h
u||v| .
Viceversa, se u
h
u e in pi` u |u
h
| |u| allora u
h
u, basta osservare che
|u
h
u|
2
= |u
h
|
2
2u
h
, u +|u|
2
.
La norma di H `e s.c.i. rispetto alla convergenza debole, basta osservare che
0 u
h
u, u
h
u = |u
h
|
2
2u, u
h
+|u|
2
,
da cui
2u, u
h
|u|
2
|u
h
|
2
e passando al limite sul primo membro e al minimo limite sul secondo si ottiene
|u|
2
liminf
h
|u
h
|
2
.
Ogni successione debolmente convergente `e limitata. Questo risultato si basa sul
Teorema di Banach-Steinhaus, nel quale si aerma che se (T
n
) `e una successione
di operatori lineari e continui tra due spazi di Banach X e Y allora
sup
nN
|T
n
x| < + x X sup
nN
|T
n
| < +.
Nel nostro caso, se u
h
u allora per ogni v H

la successione u
h
, v `e
limitata in R, cio`e sup
h
u
h
, v < +, allora sup
h
|u
h
| < +.
Se u
h
u e v
h
v allora u
h
, v
h
u, v. Infatti
[u
h
, v
h
u, v[ [u
h
, v
h
v[ +[u u
h
, v[ ,
dove il primo termine tende a 0 per la disuguaglianza di Schwartz e il secondo
per la denizione stessa di successione debolmente convergente.
Un esempio di successione convergente a 0 debolmente in L
2
[, ] `e il sistema trigo-
nometrico (e
n
) essendo e
n
(t) = e
int
/

2. Sappiamo infatti che per ogni f L


2
[, ]
vale la disuguaglianza di Bessel
n

k=n
[

f(k)[
2
|f|
2
2
,
quindi la successione

f(k) = f, e
k
`e innitesima. La successione (e
k
) non converge
fortemente a nulla.
2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 39
Proposizione 2.16 Ogni insieme debolmente chiuso lo `e anche fortemente. Vi-
ceversa, ogni convesso fortemente chiuso lo `e anche debolmente.
Dimostrazione. La prima aermazione `e ovvia perche u
h
uu
h
u. Se
C `e debolmente chiuso e u
h
uu C allora alla stessa conclusione si giunge
se u
h
u. Limplicazione inversa, con lipotesi che C sia convesso, si basa su una
versione alternativa del Teorema di Hahn-Banach, secondo la quale dati in uno spazio
vettoriale reale V un convesso chiuso C e un compatto K disgiunti e non vuoti, esiste
un iperpiano che li separa strettamente, cio`e un elemento a V

e un R tali che
C v V [ a, v > e K v V [ a, v < .
Noi abbiamo un convesso C fortemente chiuso e vogliamo dimostrare che il com-
plementare C `e debolmente aperto. Allora prendiamo un punto (che `e compatto)
x
0
/ C e un iperpiano che separa strettamente x
0
da C, con a e come sopra. Tutto
linsieme debolmente aperto v V [ a, v < `e un intorno (debole) di x
0
che ha
intersezione vuota con C, quindi C `e debolmente chiuso.
2
Teorema 2.17 Ogni successione limitata in uno spazio di Hilbert separabile am-
mette una sottosuccessione convergente.
Dimostrazione. Sia (u
n
) una successione limitata in H, dobbiamo dimostrare che
esistono una u H e una sottosuccessione (u
k
n
) (u
n
) tali che u
k
n
u. Rispetto
ad una base ortonormale (e
i
) di H, ogni u
n
ammette la rappresentazione
u
n
=

i=1
c
ni
e
i
, c
ni
= u
n
, e
i
= coecienti di Fourier ,
nel senso della convergenza in norma
lim
m
|u
n

m

i=1
c
ni
e
i
| = 0 .
Dallidentit`a di Parseval
|u
n
|
2
=

i=1
[c
ni
[
2
segue che se `e limitata la (u
n
), mettiamo |u
n
| 1 per ogni n N, anche [c
ni
[ 1 per
ogni n, i N. In particolare (c
n1
) `e limitata in R, quindi esiste una sottosuccessione
(u
(1)
n
) (u
n
) con i relativi coecienti di Fourier (c
(1)
ni
) (c
ni
) tali che c
(1)
n1
c
1
.
Prendiamo adesso la (c
(1)
n2
) che `e anchessa limitata in R. Allora dalla (u
(1)
n
) possiamo
estrarre una sottosuccssione (u
(2)
n
) con i coecienti di Fourier (c
(2)
ni
) (c
(1)
ni
) tali che
c
(2)
n2
c
2
. Si noti che c
(1)
n2
continua a convergere a c
1
. Andando avanti con questo
ragionamento, al k-esimo passo si estrae una sottosuccessione (u
(k)
n
) (u
(k1)
n
) con i
coecienti di Fourier (c
(k)
ni
) (c
(k1)
ni
) tali che c
(k)
nj
c
j
per ogni j = 1, . . . , k.
Con procedimento diagonale si costruisce la successione (u
(n)
n
), anchessa estratta
dalla (u
n
). Essa ammette la (c
(n)
ni
)
iN
come successione dei coecienti di Fourier la
quale soddisfa
(2.17) lim
n
c
(n)
ni
= c
i
i N.
Tenendo presente che c
(n)
ni
= u
(n)
n
, e
i
, se al posto degli e
i
mettiamo una combinazione
lineare nita v =

i
v
i
e
i
, dalla (2.17) si ricava
lim
n
u
(n)
n
, v =

i
v
i
lim
n
c
(n)
ni
=

i
v
i
c
i
,
40 Il Problema di Dirichlet
quindi il funzionale
(2.18) v L(v) = lim
n
u
(n)
n
, v
dipende linearmente da v nel sottospazio V denso in H delle combinazioni lineari
nite degli e
i
, inoltre `e limitato perche
[L(v)[ sup
nN
|u
(n)
n
||v| |v| .
Per il Teorema di Hahn-Banach L ammette unestensione a tutto H, indichiamola
ancora con L, che ne conserva la norma, quindi esiste u H tale che L(v) = u, v
per ogni v H. La (2.18) ci dice che
u
(n)
n
, v u, v v V .
Veniamo adesso alla stessa conclusione per ogni v H. Per ogni > 0 scegliamo
v

V tale che |v v

| < . Per n abbastanza grande si ha


[u
(n)
n
u, v[ [u
(n)
n
u, v v

[ +[u
(n)
n
u, v

[
|u
(n)
n
u| + (|u
(n)
n
| +|u|) + < 3 .
2
Questo risultato si estende facilmente anche al caso in cui H non `e separabile. Basta
considerare la chiusura del sottospazio generato dalla successione (u
n
), indichiamolo
con

H, che `e evidentemente uno spazio di Hilbert e separabile per costruzione, allora
esiste un elemento u

H e una sottosuccessione (u
k
n
) (u
n
) tale che u
k
n
u. Ci`o
signica che per ogni v

H si ha u
h
k
, v u, v. Ma H =

H

H

, ogni w H si
pu`o scrivere in modo unico nella somma w = v + v

con v

H e v

, quindi
per ogni w H si ha
u
h
k
, w = u
h
k
, v +u
h
k
, v

= u
h
k
, v u, v = u, v +u, v

= u, w .
Abbiamo ora a disposizione tutti gli strumenti che ci servono per trattare il Problema
di Dirichlet 2.6, nella versione variazionale(2.12), col metodo diretto del CdV.
Teorema 2.18 Il Problema 2.6 ammette soluzione unica.
Dimostrazione. Il funzionale
1
2
_

A(x)Dv Dv f, v v H
1
0
()
`e fortemente continuo quindi s.c.i. rispetto alla convergenza forte, ma siccome `e anche
convesso ogni sottolivello
S
t
(F) = v H
1
0
() [ F(v) t
`e convesso, fortemente chiuso e quindi debolmente chiuso per la Proposizione 2.16.
Allora F `e debolmente s.c.i. su H
1
0
().
Siano I lestremo inferiore di F e (u
h
) H
1
0
() una successione minimizzante.
Con manipolazioni ormai familiari si ha
F(u
h
)

2
|Du
h
|
2
L
2
()

1
2
2
|f|
2
H
1
()


2
2
|u
h
|
2
H
1
0
()
=

2
2
|u
h
|
2
H
1
0
()

1
2
2
|f|
2
H
1
()
2.4 Il metodo diretto per il problema di Dirichlet 41
che implica la limitatezza della (u
h
)
|u
h
|
2
H
1
0
()

2

2
(F(u
h
) +
1
2
2
|f|
2
H
1
()
)
pur di scegliere
2
< , dato che F(u
h
) I. Per la debole compattezza dei limitati, v.
il Teorema 2.17, la (u
h
) ammette una sottosuccesione (u
k
h
) debolmente convergente
ad una certa u H
1
0
(). Questo limite u `e di minimo di F perche
F(u) liminf
h
F(u
k
h
) = lim
h
F(u
h
) = I .
Lunicit`a discende dalla stretta convessit`a del funzionale. 2
42 Il Problema di Dirichlet
Capitolo 3
Problemi non lineari
3.1 Lequazione di Eulero
Non ci preoccupiamo adesso dellesistenza di minimi, ne di punti stazionari, vo-
gliamo solo ricavare la condizione necessaria di stazionariet`a F

(u) = 0, nota come


equazione di Eulero (o anche di Eulero-Lagrange) per il funzionale
(3.1) F(u) =
_

f(x, u(x), Du(x)) dx,


dove `e un aperto limitato di R
n
e f : R
m
R
mn
R, con la condizione al
bordo u = u
0
su .
Per dare un senso allintegrale supponiamo che f soddis la seguente denizione.
Denizione 3.1 Diciamo che f `e un integrando di Caratheodory se
(car)1. x f(x, z, ) `e misurabile per ogni (z, ) R
m
R
mn
;
(car)2. (z, ) f(x, z, ) `e continua per quasi ogni x .
Inoltre, anche F sia ben denito sullo spazio di Sobolev W
1,p
(, R
m
), con p 1,
possiamo assumere ad esempio che f soddis una condizione del tipo
[f(x, z, )[ a(x) +b[z[
p
+c[[
p
per q.o. x , z R
m
, R
mn
,
dove a L
1
() e b, c 0. Naturalmente i passaggi formali di derivazione che stia-
mo per fare richiedono ulteriori ipotesi di regolarit`a su f, tra le quali la dieren-
ziabilit`a almeno no al secondo ordine, ma le vedremo strada facendo. Riguardo
alla condizione al bordo, scelta u
0
W
1,p
(, R
m
), il modo corretto di intenderla `e
u u
0
W
1,p
0
(, R
m
), ma bisogna fare lulteriore ipotesi che sia lipschitziano, a
meno che u
0
non sia identicamente nulla.
A partire da un certo elemento u u
0
+W
1,p
0
(, R
m
), tutte le variazioni u +t,
con C

0
(), appartengono alla stessa variet`a lineare. Ora, supponiamo in pi` u
che u sia stazionario per F. Allora la funzione t F(u + t) ammette t = 0 come
punto stazionario in R, quindi
(3.2)
d
dt
F(u +t)
|t=0
= 0 C

0
() .
Il primo membro non `e altro che lanalogo della derivata direzionale per le funzioni
ordinarie
L() = F

(u),
44 Problemi non lineari
e, se esiste, prende il nome di derivata di Gateaux di F. Passando la derivata rispetto
a t sotto il segno di integrale e integrando per parti, la (3.2) diventa
L() =
_

i=1
_
_
f
z
i
(x, u, Du)
i
+
n

j=1
f

ij
(x, u, Du)

i
x
j
_
_
dx
=
_

(
z
f(x, u, Du) +

f(x, u, Du) D) dx
=
_

(
z
f(x, u, Du) div
x

f(x, u, Du)) dx = 0
per ogni C

0
(). Per larbitrariet`a di , adattando il ragionamento del Lemma 1.1
al caso presente, si ottiene lequazione dierenziale del secondo ordine
(3.3) div
x

f(x, u(x), Du(x))


z
f(x, u(x), Du(x)) = 0 x .
Vale anche qui ci`o che `e stato detto nel 1.2 del Cap. 1, la condizione di stazionariet`a
diventa suciente, anche u sia di minimo, nel caso che F sia convessa. Se poi F `e
strettamente convessa il minimo `e unico. Problema a parte `e capire quali condizioni
su f garantiscano la convessit`a di F.
Denizione 3.2 Una funzione u C
2
() C
0
() che risolve puntualmente la
(3.3) viene detta soluzione classica. Se u W
1,p
(, R
m
) soddisfa
< F

(u), >=
_

(
z
f(x, u, Du) +

f(x, u, Du) D) dx = 0
per ogni C

0
(), allora diciamo che u risolve la (3.3) nel senso delle distribuzioni,
oppure che u `e una soluzione debole della (3.3).
Il caso classico richiede che f sia di classe C
2
, altrimenti, anche F

(u) sia ben denito


su W
1,p
, dobbiamo fare delle ipotesi sul comportamento di
z
f e

f per le quali
rimandiamo a [9].
Vediamo la forma che la (3.3) assume nei vari casi.
Se m = n = 1 si tratta dellequazione dierenziale ordinaria in u
d
dx
f

(x, u, u

)
f
z
(x, u, u

) = 0 ;
se m > n = 1 `e il sistema di equazioni ordinarie
d
dx
f

i
(x, u, u

)
f
z
i
(x, u, u

) = 0 , i = 1, . . . , m.
Questi primi due li abbiamo gi`a trattati nel Cap. 1 con i relativi ed eventuali integrali
primi che ci hanno permesso di semplicarle.
Se m = 1 < n si ottiene lequazione alle derivate parziali
n

j=1

x
j
f

j
(x, u, Du)
f
z
(x, u, Du) = 0 ;
se m, n > 1 `e il sistema di equazioni alle derivate parziali
n

j=1

x
j
f

ij
(x, u, Du)
f
z
i
(x, u, Du) = 0 , i = 1, . . . , m.
3.1 Lequazione di Eulero 45
Come esempio, tra i tanti possibili, citiamo il seguente, sia per la sua importanza, an-
che storica, sia perche ci richiama ala mente il nostro vecchio problema della supercie
di rivoluzione di area minima col quale ha degli aspetti comuni.
Il problema di Plateau. Lequazione di Eulero per il problema dellarea minima
min
__

_
1 +[Du[
2
dx[ u = u
0
su
_
`e lequazione della curvatura media nulla con condizioni al bordo
(3.4)
_
_
_
div
Du
_
1 +[Du[
2
= 0 in
u = u
0
su .
Vediamo un controesempio allesistenza (v. [12]). Sia lanello circolare B
R
(0)
B
r
(0), con 0 < r < R. Come condizioni al bordo imponiamo u(r) = M > 0 e
u(R) = 0. Per motivi di simmetria `e lecito cercare la soluzione tra le funzioni a
simmetria circolare, del tipo u() con r < < R. Per vederlo con maggiore rigore,
basta partire dalla sua espressione in coordinate polari u(, ) e poi osservare che
F(u) =
_
2
0
d
_
R
r

_
1 +u
2

+u
2

/
2
d
_
2
0
d
_
R
r

_
1 +u
2

d .
Se cancellare u

non fa aumentare il valore del funzionale vuol dire che il minimo


viene raggiunto da una funzione che non dipende da , quindi, a parte il fattore 2,
il funzionale da minimizzare diventa
F(u) =
_
R
r

_
1 +u

()
2
d .
Tenendo presente che lintegrando non dipende da u, si ottiene lequazione di Eulero
u

_
1 +u

()
2
= c
che si trasforma facilmente nella
u

=
c
_

2
c
2
, 0 < c < r ,
dove c > 0 perche u

ha segno costante e u(r) > u(R). Dopo facili calcoli si ricava


lintegrale generale
u() = k c log( +
_

2
c
2
) , r < < R,
che con la condizione su B
R
(0) diventa
u() = c log
R +

R
2
c
2
+
_

2
c
2
.
Laltra condizione sarebbe
u(r) = c log
R +

R
2
c
2
r +

r
2
c
2
= M ,
ma la funzione di c (0, r) che compare a primo membro `e crescente e limitata,
quindi per M abbastanza grande non c`e soluzione, almeno nel senso classico. Come
nellesempio visto in precedenza, bisognerebbe accettare come soluzioni delle funzioni
che ammettono salti, anche in questo caso in corrispondenza dei dati al bordo, ma si
uscirebbe dallambito classico. Il motivo della mancata esistenza di soluzioni classiche
sta nel fatto che questo dominio non soddisfa la bounded slope condition.
46 Problemi non lineari
3.2 Il metodo diretto
In questo paragrafo seguiamo la traccia di [10]. I risultati generali che stabili-
scono lesistenza di soluzioni di problemi variazionali si basano (praticamente tutti)
sullidea fondamentale, dovuta a Tonelli, di combinare la semicontinuit`a del funzio-
nale con la compattezza del suo dominio. Questo tipo di approccio, originato dal
famoso teorema di Weierstra sugli estremi delle funzioni continue di variabile reale,
`e noto come metodo diretto perche non passa dalle equazioni di Eulero, ma `e rivolto
a studiare direttamente le propriet`a del funzionale. Con Hilbert e il progredire degli
studi sugli spazi funzionali lidea ha subito successive elaborazioni, generalizzazioni
e ranamenti, no a diventare, con Tonelli, il nucleo fondamentale attorno al quale
gravita il CdV.
Per poter applicare il metodo diretto, bisogna formulare il problema di minimo
in uno spazio munito di una topologia abbastanza forte da rendere semicontinuo il
funzionale e allo stesso tempo abbastanza debole perche esista una quantit`a sucien-
temente grande di insiemi compatti. Ma di fronte a un caso in cui non `e possibile
ottenere le due propriet`a insieme non possiamo concludere che non vi sono soluzioni
perche le due propriet`a sono solo una condizione suciente. Se vi sono ragioni per
cui la soluzione debba esistere comunque, allora il problema andr`a analizzato auto-
nomamente con uno studio specico, altrimenti si dovr`a dimostrare che la soluzione
non c`e.
Denizione 3.3 Uno spazio topologico X soddisfa il I assioma di numerabi-
lit`a se ogni punto x X ammette un sistema fondamentale di intorni numerabile.
In un tale spazio la topologia `e univocamente determinata dalla nozione di convergenza
delle successioni e le propriet`a topologiche degli insiemi, di essere aperto, chiuso,
compatto ecc., si possono descrivere in termini di successioni.
Denizione 3.4 Una funzione F : X R `e semicontinua inferiormente
(s.c.i.) se
F(x) liminf
yx
F(y)
per ogni x X.
F `e sequenzialmente semicontinua inferiormente (seq-s.c.i.) se
F(x) liminf
h
F(x
h
)
per ogni successione (x
h
) X tale che x
h
x.
Proposizione 3.5 In generale
F s.c.i. F seq s.c.i.
e vale anche limplicazione opposta se X soddisfa il I assioma di numerabilit`a.
Per i nostri scopi, X sar`a uno spazio di Banach, o almeno sicuramente uno spazio
metrico, quindi useremo solo la semicontinuit`a sequenziale. Ricordiamo che F `e s.c.i.
se e solo se per ogni t R linsieme S
t
= x X [ F(x) t `e chiuso. Ricordiamo
inoltre che una successione minimizzante per F `e una successione (x
h
) X tale che
F(x
h
) inf F e che dalle propriet`a dellestremo inferiore una tale successione esiste
sempre.
Teorema 3.6 (Il metodo diretto) Se X `e uno spazio metrico compatto ogni
funzione F : X R s.c.i. ammette minimo in X.
3.2 Il metodo diretto 47
Dimostrazione. Sia (x
h
) X una successione minimizzante. Poiche X `e com-
patto, esistono una sottosuccessione (x
k
h
) (x
h
) e un punto x X tali che x
k
h
x.
Per la semicontinuit`a di F si ottiene
F(x) liminf
h
F(x
k
h
) = inf
yX
F(y)
dunque il punto x `e di minimo per F.
2
Spesso lo spazio X non `e compatto, ma ci`o che serve `e la compattezza delle successioni
minimizzanti che pu`o essere recuperata con una propriet`a aggiuntiva del funzionale.
Si ottiene in questo modo una variante al Teorema 3.6 che fornisce ancora lesistenza
del minimo.
Denizione 3.7 Diciamo che F : X R `e coerciva se per ogni t R esiste
K X compatto tale che
x X [ F(x) t K .
Oppure, in modo equivalente, se linsieme x X [ F(x) t `e compatto.
Ricordiamo che gli insiemi compatti sono necessariamente chiusi in uno spazio di
Hausdor e ogni spazio metrico lo `e.
Teorema 3.8 Se F : X R `e s.c.i. e coerciva allora ammette minimo in X.
Dimostrazione. Sia t R tale che linsieme x X [ F(x) t ,= (basta
scegliere un punto qualsiasi x
0
X e un t > F(x
0
)) e sia K la chiusura di tale
insieme. Siccome K `e compatto, F ammette minimo in K, cio`e esiste x X tale che
F(x) F(y) per ogni y K.
Ma x `e di minimo su tutto X perche se y X K si ha F(x) t < F(y).
2
Osservazione 3.9 Sul Teorema 3.8 si basa luso della topologia debole: se X `e
uno spazio di Banach riessivo, dove i limitati sono debolmente compatti, allora
F : X R `e debolmente coerciva lim
x+
F(x) = +.
Infatti se t viene scelto come prima, per un certo r > 0 F(x) > t se |x| > r, quindi
x X [ F(x) t B
r
(0) che `e debolmente compatto.
Se per la coercivit`a dobbiamo usare la topologia debole, luso congiunto con la se-
micontinuit`a ci costringe a porci la domanda: quali funzioni sono debolmente s.c.i.?
Ovviamente costituiscono un sottoinsieme di quelle fortemente s.c.i. in quanto
S
t
-chiuso in X S
t
-chiuso in X ,
dove e indicano la topologia debole e forte rispettivamente. Ma se facciamo
lipotesi aggiuntiva che S
t
sia convesso, naturalmente con X spazio vettoriale normato,
per il teorema di Hahn-Banach vale anche limplicazione opposta. Con ci`o abbiamo
dimostrato la seguente proposizione.
Proposizione 3.10 Se X `e uno spazio normato una funzione F : X R `e
s.c.i. se e solo se `e s.c.i..
Teorema 3.11 Siano (, T , ) uno spazio di misura, dove `e positiva e -nita,
X = L
p

(, R
n
), 1 p < + e f : R
n
R una funzione T B(R
n
)-misurabile
tale che
48 Problemi non lineari
(i) f(x, ) a(x) b[[
p
, a L
1

() , b R;
(ii) f(x, ) s.c.i. su R
n
.
Allora il funzionale
F(u) =
_

f(x, u(x))d(x)
`e ben denito e -s.c.i. in L
p

(, R
n
). Se in pi` u f(x, ) `e convessa allora F `e
-s.c.i. in L
p

(, R
n
).
Dimostrazione. Dalla (i) segue che la parte negativa, f

, dellintegrando f(x, u(x))


ha integrale nito, quindi F `e ben denito.
Siano u
h
, u L
p

(, R
n
) tali che u
h
u in L
p

(, R
n
). A meno di passare a
sottosuccessioni, u
h
u puntualmente quasi ovunque e per la (ii)
f(x, u(x)) liminf
h
f(x, u
h
(x)) q.o. in .
Per il lemma di Fatou
_

f(x, u(x)) dx
_

liminf
h
f(x, u
h
(x)) liminf
h
_

f(x, u
h
(x)) dx.
Inne, se f(x, ) `e convessa allora anche F `e convesso e quindi -s.c.i.in
L
p

(, R
n
).
2
Teorema 3.12 Siano un aperto di R
n
, la misura di Lebesgue e f come nel
Teorema 3.11. Allora il funzionale
F(u) =
_

f(x, Du(x)) dx
`e -s.c.i. in W
1,p
() e se in pi` u f(x, ) `e convessa F(u) `e -s.c.i. in W
1,p
().
Dimostrazione. Per il Teorema 3.11 il funzionale
G(w) =
_

f(x, w(x)) dx
`e -s.c.i., loperazione di derivazione D : W
1,p
() L
p
(, R
n
) `e continua, quindi la
composizione u F(u) `e -s.c.i. in W
1,p
(). Lultima aermazione `e a questo punto
ovvia.
2
Adesso abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per risolvere il problema variazionale
min
uW
1,p
0
()
_

f(x, Du(x)) dx
sotto le ipotesi:
1. f(x, ) s.c.i.;
2. f(x, ) convessa;
3. f(x, ) a(x) +b[[
p
, con 1 < p < +, a L
1
() e b > 0.
3.2 Il metodo diretto 49
Lesistenza di una soluzione discende dalle seguenti considerazioni:
- F `e -s.c.i. in W
1,p
() e quindi in W
1,p
0
();
- essendo la norma di u in W
1,p
0
() equivalente alla norma in L
p
(, R
n
) di Du ed
essendo W
1,p
() uno spazio di Banach riessivo per 1 < p < +, dalla disuguaglianza
F(u)
_

a(x) dx +b
_

[Du(x)[
p
dx
segue che F `e coerciva in W
1,p
0
().
Esercizio 3.1 Dimostrare lesistenza del minimo con dati al bordo non omogenei
u u
0
W
1,p
0
().
Riguardo al caso p = 1 abbiamo gi`a visto un controesempio allesistenza per il fun-
zionale dellarea, sebbene valga in W
1,1
() la stessa disuguaglianza (3.2), ma questo
spazio non `e riessivo. Un altro controesempio `e
min
__
1
1
(1 +[x[)[u

(x)[ dx [ u W
1,1
(1, 1) , u(1) = 1 , u(1) = 1
_
.
Una funzione u W
1,1
(1, 1) non nulla agli estremi non pu`o essere quasi ovunque
nulla su ] 1, 1[, quindi
F(u) >
_
1
1
[u

(x)[ dx

_
1
1
u

(x) dx

= 2 .
Daltra parte F(u
h
) 2 se
u
h
(x) =
_

_
hx +h 1 se 1 < x 1 +
1
h
0 se 1 +
1
h
< x < 1
1
h
hx h + 1 se 1
1
h
x < 1 .
Dimostriamo adesso che la convessit`a di un integrando, a valori reali niti, `e una
condizione anche necessaria per la semicontinuit`a debole del funzionale. Lipotesi
che faremo su f di essere continua non `e restrittiva perche, essendo a valori reali, la
convessit`a implica la continuit`a.
Teorema 3.13 Sia un aperto limitato di R
n
e f : R
n
R un integrando
di Caratheodory tale che per ogni R > 0 esiste g
R
L
1
() tale che
[f(x, )[ g
R
(x)
per ogni x q.o. in e per ogni B
R
(0). Se il funzionale F : W
1,
() R denito
da
F(u) =
_

f(x, Du(x)) dx
`e

-s.c.i. in W
1,
() allora la funzione f(x, ) `e convessa per ogni x q.o. in
.
Il Teorema 3.13 pu`o essere applicato anche al caso di un funzionale -s.c.i. in W
1,p
()
con la condizione
[f(x, )[ a(x) +b[[
p
(basta scegliere g
R
(x) = a(x)+bR
p
) perche se F `e -s.c.i. in W
1,p
() allora `e

-s.c.i.
in W
1,
().
50 Problemi non lineari
Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che, dati
1
,
2
R
n
e [0, 1], posto
=
1
+ (1 )
2
, deve essere
f(x, ) f(x,
1
) + (1 )f(x,
2
) .
Sia l

la funzione lineare l

(x) = x. Costruiamo una successione (u


h
) di funzioni
continue e ani a tratti, convergente a l

debolmente

in W
1,
(), il cui gradiente
assume solo i valori
1
e
2
. Sia (t), t R, il prolungamento 1-periodico della
funzione

0
(t) =
_
1 se 0 t <
0 se t < 1
Fissato un versore e R
n
, anche la funzione costante a tratti su R
n
w(x) =
1
(x e) +
2
(1 (x e))
sia un gradiente, deve soddisfare le condizioni di integrabilit`a
D
i
w
j
D
j
w
i
= 0
che in forma debole diventano
_
R
n
(w
j
D
i
w
i
D
j
) dx = 0 C

0
(R
n
) .
Scegliendo come supporto di una piccola palla che interseca il piano x e = , dopo
facili calcoli si vede che e deve essere parallelo al vettore
1

2
.
Du =
1
Du =
2
Du =
1
Du =
2
l

e B
Figura 3.1: La funzione a zig-zag
Una funzione u che ammette w come gradiente `e il prolungamento continuo della
funzione
u
0
(x) =
_

1
x se 0 x e <

2
x +[
1

2
[ se x e < 1
in modo che u l

sia 1-periodico nella direzione di e. Sui piani x e Z u l

= 0 e
|u l

= (1 )[
1

2
[ .
Introdotta la successione
u
h
(x) =
1
h
u(hx) ,
si ha
|u
h
l

=
1
h
|u
h
l

=
(1 )[
1

2
[
h
0
mentre Du
h

in L

(R
n
), quindi u
h

in W
1,
(R
n
). Tenendo presente che
Du
h
(x) =
1

h
(x e) +
2
(1
h
(x e)), dove
h
(t) = (ht)/h e
h

, dalla
3.2 Il metodo diretto 51
semicontinuit`a di F segue
F(l

) =
_

f(x, ) dx liminf
h
F(u
h
) = liminf
h
_

f(x, Du
h
(x)) dx
= liminf
h
_

[f(x,
1
)
h
(x e) +f(x,
2
)(1
h
(x e))] dx
=
_

f(x,
1
) dx + (1 )
_

f(x,
2
) dx.
Per eliminare i segni di integrale dimostriamo che `e possibile localizzare la disugua-
glianza ottenuta scrivendola su ogni aperto A a chiusura compatta in , un fatto
non ovvio perche non sappiamo ancora se F `e s.c.i. anche su A. Fissati A, B tali
che B A , sia una funzione di taglio (detta per questo cut o), cio`e
C

0
(A), 0 1 e = 1 su B. Inne consideriamo la successione
v
h
= u
h
+ (1 )l

,
dove u
h
`e la successione costruita sopra.
`
E evidente che v
h
= u
h
su B, v
h
= l

su
A e v
h

in W
1,
(). Dunque
_

f(x, ) dx liminf
h
_

f(x, Dv
h
(x)) dx
= liminf
h
__
B
f(x, Du
h
) dx +
_
AB
f(x, Dv
h
) dx +
_
A
f(x, ) dx
_
e portando a sinistra lultimo termine
_
A
f(x, ) dx liminf
h
__
B
f(x, Du
h
(x)) dx +
_
AB
f(x, Dv
h
(x)) dx
_
,
dove
lim
h
_
B
f(x, Du
h
(x)) dx =
_
B
f(x,
1
) dx + (1 )
_
B
f(x,
2
) dx.
Su AB
Dv
h
= Du
h
+ (1 ) + (u
h
l

)D,
da cui
[Dv
h
[ [Du
h
[ +[[ +|u
h
l

[D[ 1 + 2 max[
1
[, [
2
[ = R
e quindi
_
AB
[f(x, Dv
h
)[ dx
_
AB
g
R
(x) dx.
Dalla (3.2) si ottiene
_
A
f(x, ) dx
_
B
f(x,
1
) dx+(1)
_
B
f(x,
2
) dx+
_
AB
g
R
(x) dx B A.
Quando B tende a ricoprire tutto A si ottiene la disuguaglianza puntuale in A, ma in
questo senso:

1
,
2
R
n
e [0, 1] N

1
,
2
,
di misura nulla tale che
52 Problemi non lineari
f(x, ) f(x,
1
) + (1 )f(x,
2
) x N

1
,
2
,
.
Consideriamo allora linsieme N unione di tutti gli N

1
,
2
,
al variare di
1
e
2
in Q
n
e di in Q [0, 1]. Tale insieme ha misura nulla e per ogni x N la funzione
f(x, ) `e convessa in Q
n
ed essendo continua `e convessa anche su R
n
.
2
Il seguente esempio, del tipo dellEsercizio 1.5, mostra che senza lipotesi di con-
vessit` a il minimo pu`o non esistere.
3.1 Se =] 1, 1[] 1, 1[ il problema di minimo
min
uW
1,4
0
()
_

_
((D
1
u)
2
1)
2
+ (D
2
u)
4

dx
non ha soluzione.
Costruiamo una successione (u
h
) di funzioni zig-zag come nel Teorema 3.13, con-
vergente uniformemente a 0, tale che D
2
u
h
= 0 e che D
1
u
h
= 1, in modo che
F(u
h
) = 0. Siccome questa successione non soddisfa i dati al bordo, la modichiamo
con luso di una funzione di taglio. Per ogni B siano C

0
() tale che = 1
in B e v
h
= u
h
. Allora
0 inf F F(v
h
) F(u
h
) +R
h
(B) ,
dove
lim
B
limsup
h
R
h
(B) = 0 .
Poiche F(u
h
) = 0, inf F = 0. Se esistesse una funzione ammissibile u tale che F(u) =
0, dovrebbe essere D
2
u = 0 in e u dipenderebbe solo da x
1
, ma imponendo i dati
al bordo si otterrebbe u = 0 in . Questo `e assurdo perche F(0) = m() = 1.
Capitolo 4
Omogeneizzazione e G-convergenza
Lomogeneizzazione `e una descrizione matematica del comportamento dei materiali
compositi da un punto di vista macroscopico. Una struttura costituita da materiale
composito `e un continuo nel quale la legge costitutiva `e variabile da punto a punto
o da zona a zona. In altre parole, il continuo presenta una distribuzione di materiali
caratterizzati da parametri che assumono valori dierenti. Fra i tanti, si possono
elencare i seguenti casi:
diverse conducibilit`a elettriche o termiche in un conduttore;
diversi valori delle costanti elastiche in un solido elastico;
diverse rigidezze di una struttura elastica;
distribuzioni di fori e fessurazioni, di isolanti e di rinforzi pi` u o meno rigidi;
bre e strati sottili rinforzanti nelle strutture;
mezzi continui con microstrutture: cristalli, porosit`a ecc.;
policristalli, cio`e quei materiali anisotropi in cui varia da punto a punto solo
lorientazione degli assi cristallograci.
Tali disomogeneit`a possono essere distribuite in maniera casuale, come i sassi nel
cemento, si parla allora di compositi random e di omogeneizzazione stocastica, oppure
possono essere intenzionali, distribuite con dei criteri precisi in modo da rinforzare le
parti pi` u deboli di una struttura, per proteggerla ad esempio da eventuali dispersioni
di calore e cos` via.
Supponiamo adesso che i diversi materiali compongono una struttura, soggetta a
determinate azioni esterne, siano distribuiti in maniera molto tta, con rapide oscil-
lazioni spaziali nel passaggio da un componente allaltro. Allora il comportamento
che ne deriva non si presta pi` u ad essere descritto in maniera esatta punto per punto,
mentre invece pu`o diventare conveniente studiarne localmente la media, adottando
una lunghezza di scala macroscopica. Con questo approccio si possono ottenere in
grande informazioni addirittura pi` u utili e signicative . Il problema fondamentale
in omogeneizzazione `e allora cercare di determinare quale materiale medio va so-
stituito a quello rapidamente variabile anche ne venga preservato il comportamento
medio. Esso viene chiamato materiale eettivo.
Il caso pi` u semplice `e quello di una struttura periodica che obbedisce ad una legge
costitutiva di tipo lineare. Consideriamo ad esempio il sistema dellelasticit`a lineare
_

_
div = 0
= Ce(u)
e(u) =
1
2
(u +u
T
) ,
54 Omogeneizzazione e G-convergenza
dove C `e Q-periodico (Q `e il cubo unitario di R
3
e C(x + e
i
) = C(x) per ogni
x R
3
e per ogni e
i
della base canonica), insieme a tutte le sue soluzioni Q-periodiche
(u, ). Per denizione il tensore elastico eettivo, lomogeneizzato di C, `e quel tensore
costante C

che correla linearmente ogni deformazione media e(u) con la media


= Ce(u) dello sforzo corrispondente, secondo la legge di Hooke eettiva
= C

e(u) .
Lomogeneizzazione consiste dunque nel passaggio da C(x) a C

. Ovviamente C

non coincide con la semplice media di C(x) su Q e la sua determinazione richiede la


risoluzione di unequazione dierenziale, di un sistema in questo caso, alle derivate
parziali e a coecienti variabili.
Questo argomento ha suscitato un certo interesse gi`a sul nire del XIX secolo,
soprattutto per le applicazioni ingegneristiche, ma solo a partire dagli anni 60 del
XX `e stato riscoperto in ambito matematico diventando una teoria rigorosa che ha
dato prova di grande utilit`a. Studi sistematici e ricerche in molte direzioni sono stati
avviati dando frutti di notevole interesse in numerosi campi negli anni e nei decenni
successivi. Le applicazioni sono molteplici e i singoli problemi ne mettono in luce
di continuo sempre nuovi aspetti e propriet`a, v. [2], [3], [21]. A titolo di esempio,
citiamo, tra i tanti, alcuni settori dellAnalisi e della Meccanica che interagiscono con
lomogeneizzazione in modo naturale per il tipo dindagine con cui vengono coltivati.
Problemi inversi - Si tratta di ricavare informazioni su certi parametri, possibil-
mente determinarne il valore, che nei problemi tradizionali dellAnalisi sono assegnati,
a partire da misurazioni eettuate sulle soluzioni. La non unicit`a e lassenza di sta-
bilit`a sono tipiche di questi problemi che infatti vengono detti mal posti. Ora, se i
parametri da determinare sono quelli che descrivono il mezzo, linevitabile grossolanit`a
delle misurazioni ci costringe a tener conto di un eventuale fenomeno di instabilit`a
materiale che si presta ad essere descritto con metodi di omogeneizzazione. In [14]
Kohn e Vogelius mettono bene in evidenza questo fenomeno trattando un problema
signicativo legato alla tomograa. Si veda anche [1] e [17].
Ottimizzazione strutturale - Assegnata una classe di materiali disponibili, con
eventuali vincoli sulle loro quantit`a, `e richiesto di distribuirli in modo che il com-
portamento della struttura soddis certi requisiti di ottimalit`a, ad esempio ora la
massima resistenza o minimizzi certi costi. Dal momento che le informazioni sui
parametri caratteristici dei componenti e sulla loro distribuzione sono contenute nei
coecienti delloperatore, problemi di questo tipo vengono detti di controllo sui coef-
cienti. Anche questi sono mal posti, nel senso che il materiale pi` u conveniente pu`o
non esistere. Ci`o che per`o esiste, con riferimento ad un problema di minimo (costo,
energia o quantaltro), `e una successione minimizzante di compositi ammissibili. Con
unadeguata nozione di convergenza di questi compositi possiamo immaginare che il
limite di questa successione sia un materiale in cui i componenti iniziali non sono pi` u
distinguibili, quindi non ammissibile, ma che pu`o essere comunque considerato come
il materiale ottimale in un senso generalizzato. Sar`a la soluzione di un nuovo proble-
ma di ottimizzazione, detto problema rilassato, ambientato nella classe pi` u ampia dei
materiali ottenibili per omogeneizzazione a partire da quelli assegnati, in cui si chiede
di rendere minimo un nuovo costo, espresso da un opportuno funzionale rilassato che
ammette sempre minimo. I suoi punti di minimo sono i limiti delle successioni mini-
mizzanti del funzionale iniziale. Risolto il problema rilassato, siamo cos` in grado di
costruire dei compositi arbitrariamente vicini alla soluzione ottimale.
Sono di notevole interesse anche i problemi di ottimizzazione della forma, si pensi
al problema di Newton della minima resistenza al moto, il primo nella storia dellae-
rodinamica, che possono rientrare in quelli cui abbiamo accennato come casi degeneri,
4.1 Il caso unidimensionale e un esempio 55
in cui i valori caratteristici dei componenti possono annullarsi (in corrispondenza dei
vuoti, o degli isolanti). Essi presentano dicolt`a aggiuntive a causa della perdita di
coercivit`a dellequazione di equilibrio.
Cristalli - Il problema dellequilibrio si traduce nella minimizzazione di un funzio-
nale non convesso, il cui integrando, la densit`a di energia, `e una funzione del tensore
di Cauchy-Green invariante rispetto a certe rotazioni di un gruppo nito, legato alle
simmetrie del cristallo, [4]. I diversi punti di minimo che essa presenta corrispon-
dono alle diversi fasi che possono convivere in un cristallo (twinning) in condizioni
di equilibrio. Ma poiche il gradiente di deformazione non rispetta le condizioni di
compatibilit`a attraverso linterfaccia tra una fase e quella adiacente, si assiste ad una
tendenza delle diverse fasi a mescolarsi in maniera sempre pi` u tta. Infatti il funziona-
le ammette successioni minimizzanti lineari a tratti, convergenti verso una soluzione
omogeneizzata, una fase media che rappresenta un punto di minimo del funzionale
rilassato. Questo fenomeno trova analogie in altre situazioni come la formazione di
piccole pieghe nella trazione di tessuti e membrane inestensibili, [20], [22].
4.1 Il caso unidimensionale e un esempio
Sia a(x) una funzione misurabile e 1-periodica su R, a valori nellintervallo [, ],
> 0. La funzione
a

(x) = a(x/) , > 0 ,


`e -periodica. Il parametro rappresenta la lunghezza di scala della microstruttura
descritta da a

. Consideriamo poi la successione di problemi


_
(a

= f in ]0, 1[
u

(0) = u

(1) = 0 ,
con f assegnata su ]0, 1[. Vogliamo studiare il comportamento asintotico di u

quando
0, cio`e quando le oscillazioni di a

si fanno sempre pi` u rapide. Per integrazione


diretta si ottiene
u

(x) =
F(x) +c
a

, F(x) =
_
x
0
f(t) dt .
Siano J un intervallo limitato e J

un intervallo di ampiezza contenuto in J. Con


un semplice cambio di variabile si ottiene
_
J

(x)
1
dx =
_
1
0
a(x)
1
dx.
Poiche il numero di intervalli disgiunti del tipo J

contenuti in J `e dellordine di
m(J)/, si ha
m(J)

_
J

(x)
1
dx
_
J
a

(x)
1
dx
e per 0 si ottiene la convergenza delle medie
1
m(J)
_
J
a

(x)
1
dx
_
1
0
a(x)
1
dx = a
1
,
cio`e a
1

converge debolmente* in L

(R) a a
1
. Quindi la successione (u

) converge
alla soluzione u del problema limite
_
a

= f in ]0, 1[
u

(0) = u

(1) = 0 ,
56 Omogeneizzazione e G-convergenza
dove il coeciente a

`e lomogeneizzato di a
(4.1) a

= a
1

1
.
Osserviamo n da ora che questo nuovo tipo di convergenza, sebbene sia denita
attraverso un problema con dati allinterno e sul bordo, `e di natura locale e dipende
solo dal coeciente a(x). Infatti il coeciente eettivo nel seguente problema con a
periodica
(4.2)
_
(au

= 0 in R
u

1-periodica ,
dovendo per denizione correlare la media di u

con la media di au

, soddisfa
(4.3) a

= au

.
Ora, con una integrazione della (4.2) si ottiene
au

= c = au

,
inoltre
u

=
c
a
e u

= ca
1

e dalla (4.3) si ricava subito la (4.1).


`
E evidente quindi il carattere puramente locale
dellomogeneizzato.
Come applicazione, consideriamo il seguente esempio unidimensionale di problema
di controllo sui coecienti. Per progettare una trave che occupa lintervallo =]0, 1[
siano disponibili le due sole rigidezze assiali , > 0. Siano
1
e
2
sottoinsiemi aperti
e disgiunti di tali che

2
=

. Indicando con la funzione caratteristica di

1
(x) =
_
1 se x
1
0 se x
2
,
riempire
1
con materiale del tipo e
2
con quello del tipo corrisponde a denire
la rigidezza variabile
a(x) = (x) +(1 (x)) .
Ci proponiamo di distribuire i due materiali in modo ottimale, come richiesto nel
seguente problema modello.
Problema 4.1 - Trovare
1
e
2
tali che, se u
a
H
1
0
() `e lunica soluzione del
problema al bordo
(4.4)
_
(a(x)u

a
)

= 1 in
u
a
(0) = u
a
(1) = 0 ,
risulti minimo il valore del funzionale
(4.5) F(a) = |u
a
w|
L
2
()
,
dove w `e una funzione assegnata in H
1
0
().
Il costo in (4.5) da minimizzare rappresenta una ragionevole distanza tra lo sposta-
mento che la struttura pu`o subire, se progettata con i materiali disponibili, e uno
spostamento ottimale, assunto come obiettivo, espresso dalla w. Numerose posso-
no essere le varianti, per esempio si potrebbe ssare un vincolo sulla percentuale di
4.1 Il caso unidimensionale e un esempio 57
volume occupato da ciascun materiale, imponendo che lntegrale di abbia un cer-
to valore tra 0 e 1. Anche per il funzionale costo si possono fare altre scelte. Per
esempio chi `e interessato a massimizzare la resistenza di una struttura di solito cerca
una distribuzione di rigidezze che minimizzi il lavoro complessivo del carico perche
questa grandezza. coincidendo con lenergia immagazzinata, pu`o essere interpretata
come misura della cedevolezza: per un carico costante coincide con lo spostamento
medio e per una forza concentrata in un punto lo spostamento in quel punto.
Mostriamo adesso che il Problema 4.1, il pi` u semplice cui si potrebbe pensare in
ottimizzazione strutturale, `e mal posto. Scegliendo per w la funzione
w(x) =
+
4
(x x
2
) ,
`e facile vericare che per nessun coeciente ammissibile essa soddisfa (4.4) perche
altrimenti vericherebbe luguaglianza
[(x) +(1 (x))]
+
4
(1 2x) = c x, x ,
in cui a sinistra compare una funzione discontinua e a destra una funzione discontinua.
Per`o esiste una successione (a
h
) di coecienti ammissibili tale che la corrispondente
successione (u
h
) delle soluzioni del Problema 4.1 converge a w in L
2
(). Precisamente,
se nella denizione di a scegliamo per il prolungamento 1-periodico della funzione
che vale 1 sullintervallo ]0, 1/2[ e 0 su ]1/2, 1[, posto
a
h
(x) = a(hx) , x ,
si ottiene
1
a
h

1
a

in L

() e u
h
w in L
2
() ,
dove a

= 2/( +) `e lomogeneizzato di a e w soddisfa


_
a

= 1 in
w(0) = w(1) = 0 .
Dunque F ha estremo inferiore nullo ma non ammette minimo.
In questo esempio la non esistenza sembra dovuta ad una mancanza di chiusura o
di compattezza dellinsieme ammissibile. In [19] Murat prende in considerazione vari
problemi di controllo sui coecienti, sia in dimensione maggiore, sia per equazioni
non ellittiche, sia per i sistemi, allo scopo di metterne in evidenza la mal posizione e
lesempio appena trattato `e il pi` u semplice nello spirito di quel lavoro. Il fenomeno
descritto corrisponde al caso in cui due aperti occupati dai componenti iniziali, nel
tentare di approssimare la situazione ottimale tendono a polverizzarsi costringendo
i due materiali a mescolarsi nemente nche non fondono in un unico materiale
medio, omogeneo in questo caso, che per`o non `e ammissibile e naturalmente i due
aperti non sono pi` u distinguibili. Esso `e il limite di successioni ammissibili rispetto
ad una certa nozione di convergenza che, da quanto visto nora, non coincide in
generale con alcuna nozione classica, come la convergenza puntuale, forte o debole
che sia. Problemi di ottimizzazione strutturale come questi vengono ripresi in [6]
in un contesto variazionale generale in cui la non esistenza viene spiegata con la
mancanza di semicontinuit`a inferiore, rispetto a questa nozione di convergenza, di
certi costi dipendenti dai coecienti. In [27] Velte e Villaggio trattano problemi
simili con laggiunta di certi vincoli di limitatezza sulle deformazioni. Essi mostrano
che in certi casi la non esistenza `e dovuta allassegnazione di dati incompatibili con i
vincoli, mentre in altri si possono avere addirittura pi` u soluzioni.
58 Omogeneizzazione e G-convergenza
4.2 Le stime elementari
Nelle strutture unidimensionali il valore caratteristico del materiale eettivo di-
pende soltanto dalla concentrazione locale dei vari componenti, infatti, come si vede
dalla (4.1), coincide sempre con la loro media armonica. Ma in dimensione mag-
giore la situazione `e pi` u complicata per il fatto che la geometria della distribuzione
dei materiali componenti diventa rilevante. Inoltre i coecienti dellequazione sono
matrici e anche se i componenti iniziali sono isotropi in ogni punto si pu`o assistere
allinsorgere di anisotropie se la distribuzione delle disomogeneit`a non soddisfa op-
portune condizioni di invarianza rispetto alle rotazioni.
`
E unulteriore conferma che
siamo di fronte ad un tipo di convergenza nuova, nella quale successioni di funzioni a
valori scalari possono convergere a funzioni a valori matrici. Si tratta allora di capire
quali materiali si possono ottenere per omogeneizzazione al variare della geometria
della distribuzione dei singoli componenti. Una prima valutazione dellinsieme dei
materiali eettivi si ottiene subito ricavando le stime elementari: esse sono solo ne-
cessarie e consistono di una limitazione dallalto mediante la media aritmetica e di
una dal basso con la media armonica dei parametri iniziali. Mentre il problema di
fornire stime pi` u precise verr`a discusso nel prossimo paragrafo, qui ci limiteremo alla
determinazione delle stime elementari. A questo scopo `e conveniente ricorrere ad una
caratterizzazione variazionale della forma quadratica associata al materiale eettivo.
Sia M la classe delle matrici simmetriche e costanti che soddisfano la condizione
c
1
[[
2
A c
2
[[
2
, c
2
c
1
> 0 .
Sia poi M la classe delle funzioni misurabili su R
n
a valori in M. Mostriamo che
lomogeneizzato A

di una matrice Q-periodica A M `e una matrice di M costante,


quindi identicabile con un elemento di M, tale che
(4.6) A
1

1
A

A .
Per ogni R
n
sia l

la funzione lineare l

(x) = x. Consideriamo le soluzioni del


problema
(4.7)
_
div ADu = 0 in R
n
u l

Q-periodica
dove A M `e Q-periodica. Ovviamente Du = e, posto = ADu, la matrice
eettiva A

`e, per denizione, data da


A

= .
Le quantit`a Du = Du e ADu = ADu vengono dette parti uttuanti rispetti-
vamente di Du e Adu e hanno media nulla. Dalla seguente versione variazionale della
(4.7)
_
Q
A( +Du) ( +Du) dx = inf
C
1
Qper
(R
n
)
_
Q
A( +D) ( +D) dx
e ricordando che A( +Du) = +ADu, si ottiene
(4.8) A

= inf
C
1
Qper
(R
n
)
_
Q
A( +D) ( +D) dx
ed in particolare per = 0
A

A .
4.2 Le stime elementari 59
Per la stima dal basso possiamo usare il principio variazionale per lenergia comple-
mentare
(4.9)
1
2
A

= sup
div =0
_
Q
_

1
2
A
1

_
dx
che si ricava a partire dallovvia relazione
A
1
(A( +D) ) (A( +D) ) 0 ,
equivalente a
(( +D) A
1
) (A( +D) ) 0 ,
che vale con luguaglianza se e solo se = A( +D), da cui
1
2
A( +D) ( +D) ( +D)
1
2
A
1
.
Per integrazione termine a termine si ottiene
1
2
_
Q
A( +D) ( +D)
_
Q

1
2
_
Q
A
1
+
_
Q
D
per ogni C
1
Qper
(R
n
). Ma siccome il campo vettoriale per cui vale luguaglianza
soddisfa div = 0 e in tal caso lultimo termine `e nullo, non `e restrittivo passare
allestremo superiore a destra su tutte le a divergenza nulla ottenendo
1
2
_
Q
A( +D) ( +D) = sup
div =0
_
Q
_

1
2
A
1

_
dx
e passando al minimo a sinistra si ottiene la (4.9). La stima dal basso si ottiene subito
osservando che = A( + D) = A

in corrispondenza della ottimale, quindi


la (4.9) diventa
1
2
A

= A


1
2
inf
div =0
=A
_
Q
A
1
,
da cui
A


_
Q
A
1
C
1
Qper
(R
n
) : div = 0 , = A

.
Basta allora scegliere il vettore costante = A

= e si ottiene
A

= (A

)
1
A
1

che equivale alla disuguaglianza di sinistra nella (4.6).
Un caso in cui la matrice eettiva coincide con la media `e quello in cui vale
la condizione div A(x) = 0. Infatti questa `e equivalente a div A(x) = 0 per ogni
R
n
, da cui si deduce subito che le soluzioni dellequazione div A(x)Du = 0 con
Du = sono le funzioni u(x) = x. Dalla (4.8) segue allora che A

= A.
Questa situazione `e stata considerata in [7], e generalizzata poi in [8], per trattare un
problema di ottimizzazione strutturale per una membrana soggetta ad uno stato di
pretrazione A(x), che per lequilibrio nel piano ha divergenza nulla.
Le stime ottenute valgono sempre in omogeneizzazione, anche nel caso vettoriale
dellelasticit`a e anche nei problemi non lineari. Osserviamo inne che con la (4.8)
si stabilisce un legame tra lomogeneizzazione e lanalisi convessa. Questo aspetto
costituisce lidea centrale su cui si basa lo studio di alcuni problemi di ottimizzazione
strutturale. Ma al di l`a di queste applicazioni, in tutti i problemi variazionali in
60 Omogeneizzazione e G-convergenza
Meccanica che coinvolgono unenergia W non convessa, come nel caso gi`a citato dei
cristalli, certe propriet`a del fenomeno si colgono studiando il problema rilassato
min
u
_

(Du(x)) dx
dove W

`e il convessicato, o meglio il quasiconvessicato trattandosi di un problema


vettoriale, di W
W

() = inf
C
1
0
(Q)
_
Q
W( +D) dx,
simile ad una versione non lineare della (4.8).
`
E dunque ragionevole chiamare soluzioni
omogeneizzate quelle del problema rilassato.
4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi
Il calcolo esplicito del materiale eettivo a partire da una distribuzione geometrica
dei componenti `e praticamente impossibile, eccetto in qualche caso particolare, perche
in generale, ma non sempre, richiede di risolvere esplicitamente lequazione dieren-
ziale. Casi in cui `e stato possibile calcolare lomogeneizzato sono ad esempio quello
delle inclusioni sferiche o ellissoidali, nei quali `e nota la funzione di Green, quello
degli strati, quello della scacchiera in due dimensioni e pochissimi altri come quello
pi` u recente [18] della scacchiera a 4 fasi. Alcuni studi riguardano il comportamento
asintotico dellomogeneizzato quando uno dei componenti degenera verso 0 o all.
Risultati pi` u soddisfacenti sono stati invece ottenuti sulla determinazione e la de-
scrizione dellinsieme di tutti i materiali eettivi che si possono ottenere mescolando
periodicamente alcuni materiali iniziali, al variare della loro disposizione geometri-
ca. Per ssare le idee consideriamo il caso pi` u semplice di due conducibilit`a isotrope
> 0 delle quali `e prescritta la percentuale locale di volume occupato dalluno e
dallaltro. Il composito `e rappresentato dal coeciente
a(x) = (x) +(1 (x)) , x R
n
,
dove `e il prolungamento Q-periodico di una funzione
0
: Q R che assume
solo i valori 0 e 1 e tale che
0
= , per cui a = + (1 ). Il parametro
[0, 1] `e la percentuale locale di volume occupata dal materiale del tipo , mentre la
parte complementare, di volume 1 , `e occupata dallaltro, . Ad ogni scelta della

0
, e quindi della , corrisponde una particolare distribuzione geometrica. Dalle
stime elementari (4.6) discendono subito le stime per gli autovalori
i
, i = 1, . . . , n,
dellomogeneizzato A

()
i
()
dove
() =
_

+
1

_
1
e () = +(1 )
sono rispettivamente la media armonica e la media aritmetica dei componenti nelle
rispettive proporzioni. Lunica distribuzione geometrica di e per cui questi valori
caratteristici estremi vengono raggiunti insieme `e quella degli strati
a(x) = (x e) +(1 (x e)) , x R
n
,
dove e `e la direzione ortogonale agli strati, quella lungo cui e sono disposti in serie
(in parallelo lungo i piani x
1
= c). Scegliendo e = e
1
, lequazione di Eulero relativa
al principio variazionale (4.8), che in questo caso va scritto nella forma
(4.10) A

= inf
Du=
Du Qperiodica
_
Q
a(x
1
)[Du[
2
dx,
4.3 Le stime ottimali per compositi a due fasi 61
`e lequazione
(4.11) div(a(x
1
)Du) = 0 .
La particolare struttura del coeciente a suggerisce di cercare soluzioni del tipo
u(x) = w(x
1
) +
n

i=2

i
x
i
con w tale che
_
w

(x
1
) = p(x) +q(1 (x))
w

=
1
.
Passando alle medie si ottiene una prima condizione
p +q(1 ) =
1
,
mentre la (4.11) si semplica diventando unequazione ordinaria per la w equivalente
allintegrale primo
a(x
1
)w

= c
che si traduce subito nella condizione di raccordo
p = q
attraverso linterfaccia dove a cambia valore. Dalle due condizioni si ricavano i valori
di p e di q
_
p = ()
1
/
q = ()
1
/
che sostituiti nella (4.10) ci danno la forma quadratica relativa al materiale eettivo
A

=
_
=1

_
(()
1
/)
2
+
n

i=2

2
i
_
+
_
=0

_
(()
1
/)
2
+
n

i=2

2
i
_
= ()
2
1
+()
n

i=2

2
i
.
La forma diagonale che abbiamo ottenuto per A

`e dovuta alla scelta iniziale dei ver-


sori della base, evidentemente `e principale la direzione ortogonale agli strati, lungo cui
il materiale eettivo ore una conduttivit`a pari alla media armonica dei componenti,
come lo sono tutte le altre direzioni, nella giacitura ortogonale, dove le conduttivit`a
principali coincidono tutte con la media aritmetica. In particolare per n = 2
A

= ()
2
1
+()
2
2
.
`
E stato dimostrato, con tecniche diverse e in maniera indipendente da vari autori,
che al variare della disposizione geometrica di e , in proporzioni locali ssate, i
valori caratteristici dei materiali eettivi sono quelli che nel caso bidimensionale sono
rappresentati nella piccola regione H() caratterizzata dal sistema di disequazioni
(4.12)
_

_
1

1

+
1

2


1
()
+
1
()
1

1
+
1

2

1
()
+
1
()
nelle quali le uguaglianze corrispondono alle due curve che delimitano H(). Si vede
anche dalla gura che se un autovalore coincide con la media armonica laltro deve
62 Omogeneizzazione e G-convergenza

E
T
H()

1
=
2
((), ())
((), ())
Figura 4.1: Linsieme dei materiali eettivi in termini degli autovalori
coincidere con la media aritmetica e viceversa, che corrisponde, come abbiamo appena
visto, al caso degli strati.
La simmetria rispetto alla retta dei materiali isotropi, di equazione
1
=
2
, `e do-
vuta allinvarianza nello scambio tra gli autovalori che corrisponde ad una rotazione
del composito di /2, ma se si stabilisce di ordinarli ponendo
1

2
si ottiene la
sola parte superiore senza perdere nessuna informazione. Per ottenere tutti i materiali
eettivi, a prescindere dalla frazione di volume locale, bisogna calcolare lunione degli
insiemi H() al variare di [0, 1], quindi basta eliminare dalla curva parametri-
ca ((), ()) dei materiali estremi con gli autovalori ordinati, ottenendo larco di
iperbole
(4.13) =

+
che insieme alla retta degli isotropi delimita lunione delle parti superiori delle regioni
H() ed ha equazione
(4.14)

+

1

2
.
Il caso n-dimensionale `e un po pi` u complicato. Lanalogo della curva (4.13) `e la curva
di R
n

1
= () ,
i
= () per i = 2, . . . , n,
corrispondente al caso degli strati. Lanalogo delle due curve che delimitano H()
`e una coppia di superci n 1-dimensionali la cui unione `e solo parte del bordo di
H(). La descrizione completa di H() `e data dal sistema
(4.15)
_

_
n

i=1
1

i


1
()
+
n 1
()
n

i=1
1

i

1
()
+
n 1
()
()
i
() i = 1, . . . , n,
4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera 63
in cui, a dierenza del caso bidimensionale, `e stata riportata anche la terza condizione
perche non discende dalle altre. Inne abbiamo anche la descrizione completa, a
prescindere dalla percentuale locale, di tutto linsieme dei materiali eettivi

n

(n 2) +
1 +
n1

i=1
1

i

,
dimostrata in [6], che `e lanalogo della (4.14).
Relativamente ai soli materiali isotropi eettivi, le stime (4.15) sono state ottenute
per la prima volta da Hashin e Shtrikman [13] per lelasticit`a con inclusioni sferiche
dei componenti. Col metodo delle ellissoidi cofocali sono state poi ottenute nella
versione completa da Tartar [24]. Un altro modo in cui sono state ottenute le stesse
stime `e quello delle laminazioni successive, [16], che consiste nel ricostruire gli strati,
secondo opportune direzioni, alternando o con la conduttivit`a eettiva ottenuta
al I passo, e poi di nuovo o con quella ottenuta al II passo e cos` via. Si dimostra
che basta iterare questo procedimento un numero nito di volte, a seconda della
dimensione, e si raggiungono tutti i materiali eettivi che realizzano le uguaglianze
nelle due stime.
`
E stato applicato lo stesso metodo anche ai compositi a pi` u fasi,
a componenti anisotropi, ai moduli elastici, alle rigidezze delle piastre. Nelle ultime
due situazioni le stime di Hashin e Shtrikman, sebbene ancora ottimali, non sono
pi` u sucienti per descrivere completamente i materiali eettivi a causa delleccessivo
numero di parametri, i moduli elastici, rispetto alla dimensione dello spazio. In due
dimensioni si dispone di descrizioni complete per i compositi anisotropi e per i moduli
elastici col vincolo di incomprimibilit`a [15].
4.4 Omogeneizzazione piana, il caso della scacchiera
Un caso interessante e particolarmente semplice di calcolo esplicito che vale la pena
di illustrare, ottenuto da Dykhne in [11], `e quello della scacchiera quadrata piana a
due fasi isotrope. Si dimostra che la scacchiera eettiva di due componenti iniziali
> 0, isotropa per ovvi motivi di simmetria, ha valore caratteristico la media
geometrica

dei componenti. Il risultato si basa sulla seguente speciale propriet`a


_
A
det A
_

=
A

det A

valida esclusivamente in due dimensioni. Si noti che


A
det A
= RA
1
R
T
, R =
_
0 1
1 0
_
,
quindi dobbiamo dimostrare che se v con gradiente Q-periodico soddisfa
(4.16) div(RA
1
R
T
Dv) = 0
e Dv = allora
(4.17) RA
1
R
T
=
_
Q
RA
1
R
T
Dv Dv dx.
In due dimensioni gli operatori di rotore e divergenza si trasformano uno nellaltro
applicando al campo vettoriale una rotazione di /2, quindi la (4.16) `e equivalente a
rot(A
1
R
T
Dv) = 0 ,
64 Omogeneizzazione e G-convergenza
ma un campo irrotazionale `e un gradiente ed esiste u tale che
A
1
R
T
Dv = Du.
Allora
Dv = RADu e rot Dv = 0 div(ADu) = 0 .
Calcoliamo adesso Du. Poiche Dv = RADu = , si ha ADu = R
T
, ma
ADu = A

Du, quindi
Du = A
1
R
T

e per denizione di A

A
1
R
T
A
1
R
T
=
_
Q
ADu Du
che `e equivalente alla (4.17).
Venendo alla scacchiera, posto A

= a(, )I, osserviamo che scambiare le caselle


di un tipo con quelle dellaltro non ha nessun eetto per via dellisotropia, inoltre a
`e 1-omogenea, quindi
a(, ) = a
_
1

,
1

_
= a
_
1

,
1

_
=

a()
,
da cui segue subito
a() =
_
.
La scacchiera a cubi in dimensione maggiore `e un problema ancora aperto, mentre la
scacchiera piana a 4 fasi isotrope `e stata calcolata pi` u di recente in [18].
4.5 La G-convergenza
Finora abbiamo parlato del fenomeno dellomogeneizzazione periodica, senza trop-
pe pretese, rimanendo ad un livello presoche intuitivo e superciale, e cos` abbiamo
visto matrici periodiche che possono tendere in un qualche senso nuovo verso una
matrice necessariamente costante per linvarianza rispetto alle traslazioni delle fun-
zioni periodiche, abbiamo visto funzioni scalari, cio`e matrici isotrope, che tendono
a vere e proprie matrici, anche anisotrope, fenomeno veramente inusuale nella conver-
genza delle successioni di funzioni, a causa di disposizioni geometriche dei componenti
che non sono invarianti per rotazione. Allo scopo di comprendere con maggiore chia-
rezza gli aspetti essenziali di questa teoria, lomogeneizzazione va inquadrata in un
contesto pi` u generale, con unappropriata nozione di convergenza delle successioni di
operatori ellittici. In certi casi essa si riduce alla convergenza forte in qualche norma,
ad esempio uniforme, dei coecienti, ma in generale `e un tipo di convergenza pi` u
debole, sebbene non sia equivalente, altro che in situazioni eccezionali, v. [7] e [8],
alla vera e propria convergenza debole che conosciamo.
Sia M lo spazio delle matrici introdotto al 4.2. Assegnata una successione
(A
h
) M, per ogni aperto limitato R
n
e per ogni f H
1
() la successione
(u
h
) delle soluzioni dei problemi
(4.18)
_
div A
h
Du
h
= f in
u
h
H
1
0
()
`e limitata in H
1
0
() e quindi debolmente compatta. Infatti
c
1
|Du
h
|
2
L
2
()

_

A
h
Du
h
Du
h
dx = f, u
h
|f|
H
1
()
|u
h
|
H
1
0
()
(c
p
+ 1)|f|
H
1
()
|Du
h
|
L
2
()
,
4.5 La G-convergenza 65
dove c
p
`e la costante di Poincare. Dunque, a meno di sottosuccessioni, (u
h
) converge
debolmente in H
1
0
() ad una certa u H
1
0
(), quindi u u in L
2
(). La domanda
che ci poniamo `e la seguente:
la funzione limite u `e soluzione di qualche problema? In caso aermativo, quale?
Se avviene che A
h
A uniformemente, in L

(), o nella norma di qualche spazio


L
p
(), allora A
h
Du
h
ADu in L
2
() perche forte debole = debole. Dunque
_

ADu Ddx = lim


h
_

A
h
Du
h
Ddx = f, D

() ,
quindi u `e la soluzione del problema limite
(4.19)
_
div ADu = f in
u H
1
0
() .
Ma la convergenza forte di A
h
`e una condizione solo suciente per il passaggio al
limite delle soluzioni. Questa osservazione suggerisce la seguente denizione.
Denizione 4.2 - Diciamo che A
h
G
A in M se per ogni aperto limitato R
n
e per ogni f H
1
() la successione (u
h
) delle soluzioni dei problemi (4.18) converge
debolmente in H
1
0
() alla soluzione u del problema (4.19).
Dalle osservazioni introduttive di questo paragrafo si capisce subito che la G-convergenza
induce su M una topologia compatta, inoltre `e stato dimostrato che M `e metrizzabile.
Tenendo presento quanto abbiamo detto sullomogeneizzazione, non sar`a dicile
comprendere, a questo punto, il senso delle propriet`a qui di seguito riportate per la
loro importanza in questa teoria.
(G)1. Per n = 1, a
h
G
a a
1
h

a
1
in L

(R).
(G)2. Per n = 2, A
h
G
A A
h
/ det A
h
G
A/ det A.
(G)3. Se div A(x) = 0 allora A
h
G
A A
h

A in L

(R
n
).
(G)4. La G-convergenza ha carattere locale: se A
h
G
A, B
h
G
B e A
h
= B
h
q.o. su
un insieme misurabile E allora A = B q.o. su E. Con questa propriet`a si vuol sotto-
lineare che la G-convergenza, sebbene coinvolga problemi al contorno per loro natura
non locali, non dipende ne dal dominio, ne dai dati, ma solo sai valori puntuali dei
coecienti. Una conseguenza `e lunicit`a del G-limite.
(G)5. Se A
h
G
A e su un aperto limitato la successione delle derivate di A
h
`e li-
mitata nella norma di L
1
() allora A
h
A in L
1
(). Questo discende dal Teorema
di Rellich. In altre parole, dove c`e un limite alla frequnza delle oscillazioni materiali
lomogeneizzazione viene impedita e la G-convergenza si riduce alla convergenza forte.
(G)6. Se A
h
G
A e se inoltre A
h

A e A
1
h

A
1
in L

() allora
A(x) A(x) A(x) x q.o. R
n
, R
n
.
(G)7. Per ogni aperto limitato R
n
e per ogni scelta dei dati, se A
h
G
A allora
vale la convergenza debole dei momenti
A
h
Du
h
ADu in L
2
()
66 Omogeneizzazione e G-convergenza
e delle energie
A
h
Du
h
Du
h

ADu Du in L

() .
Viceversa, se per ogni e per ogni scelta dei dati le energie convergono allora A
h
G
A.
Un altro viceversa `e questo
Du
h
Du e A
h
Du
h
ADu in L
2
() A
h
Du
h
Du
h
ADu Du in L

() .
Questaermazione `e immediata conseguenza del seguente risultato di compattezza
per compensazione [25]:
Se
h
e
h
sono campi vettoriali in L
2
(R
n
) tali che
h
e
h
in L
2
(R
n
)
e le successioni (div
h
) e (rot
h
) sono limitate in H
1
loc
(R
n
) allora

h

h

in L

() .
Dagli anni 70 del secolo passato `e stata poi sviluppata la teoria della -convergenza
per i funzionali, anche non quadratici, come generalizzazione di questa ai problemi
non lineari di tipo variazionale.
`
E facile immaginare la vastit`a di questa teoria e dei
suoi campi di applicazione.
Appendice A
Misura e integrazione
A.1 Elementi di teoria della misura
La teoria della misura secondo Peano-Jordan, insieme alla relativa teoria dellin-
tegrazione secondo Riemann, `e insuciente per i nostri scopi perche troppo restrit-
tiva nei passaggi al limite. Una teoria pi` u agevole in questo senso `e quella dovuta
a Lebesgue. Essa ci permette la costruzione di spazi di funzioni pi` u appropriati per
lambientazione di problemi variazionali e di equazioni dierenziali in quanto completi
rispetto a determinate metriche naturali.
`
E ben noto lesempio dellinsieme Q[0, 1]
che non `e misurabile secondo Peano-Jordan, ma lo `e secondo Lebesgue dal momento
che, essendo ogni singolo punto un insieme misurabile (di misura nulla per entram-
be le teorie), tale deve essere anche quellinsieme come unione numerabile di insiemi
misurabili. La misura di PJ passa al limite su ununione nita, ma non su ununione
numerabile come in quella di L. Di conseguenza la funzione di Dirichlet, che vale 1
su Q[0, 1] e 0 altrove, non `e integrabile secondo Riemann, ma lo `e secondo Lebesgue.
In una generica teoria della misura si dispone di un insieme X, di una famiglia
M P(R
n
) di insiemi detti misurabili e di unapplicazione : M [0, +] detta
misura (positiva) con le seguenti propriet`a.
M `e una -algebra:
(M)1. X M,
(M)2. (E
h
)
hN
M

_
h=1
E
h
M,
(M)3. E M E M.
Combinando tra loro questi assiomi si ottiene subito che = X M e
(E
h
)
hN
M

h=1
E
h
=
_

_
h=1
E
h
_
M .
`e numerabilmente additiva:
() (E
h
)
hN
M e E
h
E
k
= se h ,= k
_

_
h=1
E
h
_
=

h=0
(E
h
) .
Per evitare di banalizzare la teoria si assume che esista in M almeno un insieme
E
0
di misura nita. Allora `e subito evidente che () = 0, basta scegliere nella ()
E
1
= E
0
e E
h
= per ogni h > 1, inoltre scegliendo E
h
= denitivamente si vede
subito che `e anche nitamente additiva.
68 Misura e integrazione
La terna (X, M, ) si chiama spazio mensurale. Vediamo alcune conseguenze
importanti.
Proposizione A.1 - Valgono le seguenti propriet`a:
(a) `e crescente, E
1
E
2
(E
1
) (E
2
),
(b) `e numerabilmente subadditiva, (E
h
)
hN
M
_

_
h=1
E
h
_

h=0
(E
h
),
(c) (E
h
)
hN
M e E
h
E
h+1
h N
_

_
h=1
E
h
_
= lim
h
(E
h
),
(d) (E
h
)
hN
M , (E
1
) < + e E
h
E
h+1
h N

_

h=1
E
h
_
= lim
h
(E
h
).
Dimostrazione. Per vericare (a)
(E
2
) = (E
1
(E
2
E
1
)) = (E
1
) +(E
2
E
1
) (E
1
) .
Per la (b), osserviamo che gli insiemi

E
1
= E
1
,

E
h
= E
h
(E
1
E
2
. . . E
h1
) per
h > 1 sono a due a due disgiunti e hanno la stessa unione degli E
h
, quindi

_

_
h=1
E
h
_
=
_

_
h=1

E
h
_
=

h=1
(

E
h
)

h=1
(E
h
) .
I limiti nelle (c) e (d) esistono per la monotonia. Per (c) poniamo

E
1
= E
1
,

E
h
=
E
h
E
h1
per h > 1 e osserviamo che gli

E
h
sono a due a due disgiunti e hanno la
stessa unione degli E
h
, quindi

_

_
h=1
E
h
_
= (E
1
) +

h=2
(

E
h
) = (E
1
) +

h=2
[(E
h
) (E
h1
)] = lim
h
(E
h
) .
Per (d) poniamo E =

h=1
E
h
e

E
h
= E
1
E
h
per h 2 e osserviamo che

E
h


E
h+1
e che E
1
E =

h=1

E
h
. Dalla (c) segue
(E
1
) (E) = (E
1
E) = lim
h
(

E
h
) = (E
1
) lim
h
(E
h
)
che `e la tesi.
2
Lipotesi (E
1
) < + non si pu`o togliere, basta pensare alla successione di intervalli
[h, +[ che hanno misura di Lebesgue innita, ma intersezione vuota.
Una misura viene detta completa se tutti i sottoinsiemi di ogni insieme misurabile
di misura nulla sono misurabili (e di conseguenza hanno misura nulla). Una misura
viene detta -nita se X `e unione numerabile di insiemi misurabili X
k
di misura nita.
Se X `e anche uno spazio topologico indichiamo con B(X) la -algebra di Borel che
`e quella generata dagli aperti. I suoi elementi, detti boreliani, sono gli aperti, i chiusi
e tutte le loro unioni e intersezioni numerabili. In altre parole B(X) `e la pi` u piccola
-algebra contenente gli aperti, quindi `e chiusa rispetto alle operazioni di unione e
intersezione numerabili e passaggio al complementare. Una misura (X, B(X), ) non
`e in generale completa, per`o pu`o essere completata scegliendo come misurabili gli ele-
menti della classe pi` u vasta B(X) E X [ B B(X) : (B) = 0 e ponendo
(E) = 0.
Esempi
A.1 Elementi di teoria della misura 69
A.1 La di Dirac in x
0
X `e la funzione di insieme

x
0
(E) =
_
1 se x
0
E
0 se x
0
/ E
per ogni E X ed `e una misura.
A.2 La funzione che associa ad ogni insieme E X il numero dei suoi punti, nel
senso della denizione
c(E) =
_
n. punti di E se E `e nito
+ se E `e innito ,
`e una misura.
A.3 Uno spazio di probabilit`a `e una terna (X, E , P) dove E `e una -algebra i cui
elementi sono gli eventi e P `e una misura nita tale che P(X) = 1 che si chiama
misura di probabilit`a. Ad ogni evento E E corrisponde la sua probabilit`a P(E).
La misura di Lebesgue in R
n
`e unestensione della misura ordinaria dai rettangoli
a insiemi via via pi` u generali e risulta completa, -nita e di Borel.
Per comodit`a parliamo provvisoriamente di volume riservando il termine misura
alla sua estensione denitiva.
Per un rettangolo R = [a
1
, b
1
] [a
2
, b
2
] . . . [a
n
, b
n
] poniamo
v(R) =
n

i=1
(b
i
a
i
)
da cui gi`a si capisce che la misura non risente della presenza o meno di facce e
spigoli nel rettangolo, cio`e del carattere chiuso, aperto o semiaperto degli intervalli
che compongono R.
`
E naturale dunque aspettarsi che la misura di Lebesgue n-
dimensionale di una variet`a k-dimensionale in R
n
`e nulla se k < n (una curva ha area
e volume nulli, una supercie ha volume nullo ecc.).
Deniamo plurirettangolo una unione nita di rettangoli
P =
m
_
j=1
R
j
.
Ovviamente P non ha ununica rappresentazione, ma possiamo sempre supporre che
R
j
R
h
= se j ,= h oppure che abbiano in comune solo facce e spigoli che sono
rettangoli di volume nullo. In questo caso
v(P) =
m

j=1
v(R
j
) .
Estendiamo adesso la nozione di volume agli aperti limitati e ai compatti. Se A e K
sono rispettivamente un aperto limitato e un compatto di R
n
poniamo
v(A) = supv(P) [ P plurirettangolo A
v(K) = infv(P) [ P plurirettangolo K .
Esercizio A.1 - Vericare che il volume `e una funzione crescente sugli aperti e
sui compatti, cio`e
A
1
A
2
v(A
1
) v(A
2
) e K
1
K
2
v(K
1
) v(K
2
) .
70 Misura e integrazione
Per ogni insieme limitato E R
n
poniamo
m

(E) = supv(K) [ K compatto E


m

(E) = infv(A) [ A aperto E .


Proposizione A.2 - Per ogni insieme E R
n
si ha
(A.1) m

(E) m

(E) .
Dimostrazione. Basta vericare che per ogni A e K tali che K E A v(K)
v(A). Se P
0
un plurirettangolo tale che K P
0
A si ha
v(K) = inf
PK
v(P) v(P
0
) sup
PA
v(P) = v(A) .
2
Denizione A.3 - Un insieme limitato E R
n
viene detto misurabile se
m

(E) = m

(E) che per la (A.1) equivale a m

(E) m

(E). Questo valore comune


si indica con m(E) e si chiama misura di E.
Proposizione A.4 - Gli aperti limitati e i compatti di R
n
sono misurabili e la
loro misura coincide col volume.
Dimostrazione. Se A `e un aperto limitato e K un compatto in R
n
si ha
m

(A) = inf
A

A
v(A

) = v(A) = sup

PA
v(P) sup
KA
v(P) = m

(A)
m

(K) = sup
K

K
v(K

) = v(K) = inf

PK
v(P) inf
AK
v(A) = m

(K) .
2
Osservazione A.5 - Un insieme limitato E R
n
`e misurabile se e solo se per
ogni > 0 esistono A e K tali che K E A e m(A) m(K) < .
Osservazione A.6 - Ogni insieme misurabile secondo Peano-Jordan `e anche mi-
surabile secondo Lebesgue perche secondo la prima teoria va considerato misurabile
ogni insieme le cui misure interna ed esterna sono approssimabili mediante i volumi
dei soli plurirettangoli. In altre parole, poiche
sup
PE
v(P) sup
KE
v(K) = m

(E) m

(E) = inf
AE
v(A) inf
PE
v(P) ,
essere PJ-misurabile per linsieme E signica che il primo e lultimo termine sono
uguali, ma allora coincidono anche quelli intermedi e quindi E `e L-misurabile, mentre
il viceversa non `e detto. Per`o si pu`o dimostrare che un insieme L-misurabile `e anche
PJ-misurabile se e solo se la frontiera di E ha misura di Lebesgue nulla.
A completamento della Denizione A.3, se E R
n
non `e limitato diciamo che `e
misurabile se lintersezione di E con ogni palla B
r
(0) lo `e e in questo caso deniamo
m(E) = lim
r
m(E B
r
(0)) .
Un esempio di insieme non misurabile, un po complicato da costruire e che trala-
sciamo, `e stato trovato da Vitali nel 1905 usando lassioma della scelta e nel 1964
Coeliem ha dimostrato che tale assioma `e anche necessario. In assenza dellassioma
A.1 Elementi di teoria della misura 71
della scelta bisogna accettare che tutti gli insiemi siano misurabili. Pi` u semplice `e in-
vece vericare che linsieme D = Q[0, 1], che come si ricorder`a non `e PJ-misurabile,
lo `e secondo Lebesgue ed ha misura nulla. Si tratta infatti di un insieme numerabile
di punti. Ora, se E = x
h
[ h N R
n
consideriamo per ogni > 0 e per ogni
h N il cubetto (n-dimensionale) di centro x
h
e volume 2
h
. La loro unione `e un
aperto A contenente E e per denizione di misura esterna si ha
0 m

(E) m

(E) m(A)

h=1
2
h
= .
Per larbitrariet`a di m

(E) = m

(E) = 0, quindi E `e misurabile ed ha misura nulla.


La nozione di misura esterna ci permette di applicare un ragionamento dello stesso
tipo per dimostrare che ogni sottoinsieme di un insieme misurabile di misura nulla `e
misurabile ed ha misura nulla.
`
E naturale chiedersi a questo punto se non esistano insiemi di misura nulla con
potenza superiore al numerabile. La risposta `e aermativa e linsieme di Cantor ne `e
un esempio. Questo insieme `e ci`o che si ottiene dallintervallo [0, 1] togliendo lunione
degli intervalli I(h/2
k
) di centro h/2
k
, con h dispari e minore di 2
k
, e raggio 2
1k
.
Esprimendo i numeri di [0, 1] in forma ternaria ci`o che si toglie `e linsieme di tutti i
numeri che contengono la cifra 1, quindi ci`o che rimane, linsieme di Cantor, `e formato
dai soli numeri con due cifre e quindi equipotente a [0, 1] (in forma binaria).
Da quanto detto, la misura di Lebesgue `e dunque completa, M contiene B(R
n
)
e dierisce da essa solo per i sottoinsiemi dei boreliani di misura nulla ed `e di Borel,
inne `e ovviamente -nita. Inoltre si pu`o dimostrare, ma noi lo evitiamo, che la
funzione m, che abbiamo ora costruito, soddisfa la () e insieme ad essa anche tutte le
conseguenze elencate allinizio, quindi `e una vera misura, quella appunto di Lebesgue.
72 Misura e integrazione
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