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Marco Brivio, V A

LEOPARDI E SCHOPENHAUER:
AFFINITÀ E ANALOGIE

I punti in comune tra G. Leopardi, A. Schopenhauer e J.Keats

MATERIE COINVOLTE: ITALIANO, INGLESE, FILOSOFIA


SCHEMA DELLA TESINA

Scopo e motivazioni della tesina


Cenni biografici
La vita come dolore
Le vie del superamento del dolore
Rifiuto del romanticismo
o Rifiuto del romanticismo in Leopardi (cfr. Dibattito sulla
lettera di M.me de Stäel)
o Rifiuto dell’idealismo da parte di Schopenhauer (cfr.
Feuerbach)
Differenze tra Leopardi e Schopenhauer
Leopardi and Keats
Beauty and art in Keat’s view (Cfr. G. d’Annunzio, T.
Mann, O.Wilde)
L’Arte secondo Schopenhauer
Conclusioni
Ringraziamenti
Bibliografia

2
LO SCOPO E LE MOTIVAZIONI DELLA TESINA

Lo scopo di questa tesina è di mostrare le analogie e le affinità tra il pensiero di Arthur


Schopenhauer (* 1788 + 1860) e quello di Giacomo Leopardi (* 1798 + 1837). Sebbene al poeta
recanatese non sia stato sempre riconosciuto lo status di filosofo (soprattutto da parte di Benedetto
Croce), molti critici hanno invece colto la ricchezza del suo pensiero, come il genovese Giuseppe
Rensi, che, in uno scritto del 1919, lo giudica “il nostro maggior poeta, e, insieme, il nostro
maggiore filosofo”1, e come il suo allievo Giovanni Amelotti, che scrive “nella piccola schiera dei
filosofi per passione o per destino, è uno di coloro che si è sollevato più in alto e che è più degno di
stare vicino a Platone”2.
In realtà, come scrive Cesare Galimberti, professore di letteratura italiana dell’Università di Padova,
“è convinzione leopardiana che grande poesia e grande filosofia crescano dalle medesime radici.
Egli pensa però, essenzialmente, a una filosofia non formalizzata (come la filosofia moderna), ma
libera e mossa e che si esprima anche in visioni che nella considerazione ufficiale sono definite non
filosofiche ma religiose o poetiche”3.
Lo stesso Schopenhauer, dopo essere entrato in contatto con gli scritti del poeta italiano, scrive in
proposito “Nessuno ha trattato questo argomento [cioè la miseria della nostra vita] di maniera così
profonda ed esauriente come l’ha fatto, ai giorni nostri, il Leopardi”4 .
Possiamo notare quindi come già in passato non solo il pensiero del poeta italiano sia stato ritenuto
giustamente degno di essere considerato speculazione filosofica, ma come siano subito emerse le
analogie con il filosofo tedesco, che presto analizzeremo.
Perché scegliere un argomento come questo? Essenzialmente per la stima che nutro nei confronti
del poeta italiano, della sua poesia ma anche del suo pensiero. A questo punto il collegamento con il
grande filosofo tedesco è venuto spontaneo; è straordinario pensare che due persone contemporanee
ma provenienti da culture diverse, da classi sociali diverse, da paesi diversi abbiano avuto così tanti
punti in comune. Infine la mia passione per il romanticismo in generale mi ha portato a considerare
anche alcune affinità tra i due protagonisti della mia tesina e un’altra figura che apprezzo molto, il
poeta inglese John Keats.

1
GIUSEPPE RENSI, Lo Scetticismo estetico del Leopardi, “Rivista d’Italia”, n. 3, luglio 1919.
2
GIOVANNI AMELOTTI, Filosofia Del Leopardi, Fabris, Genova, 1937.
3
CESARE GALIMBERTI, Cose che non son cose, Marsilio Editori, 2001, Pag. 20.
4
ARTHUR SCHOPENHAUER, Der handschriftliche Nachlass, hg. V. Arthur Hübscher, 5, 1968, p.481

3
CENNI BIOGRAFICI:

Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798 da Monaldo, Conte di San Leopardo e
Nobile di Recanati, e da Adelaide Antici Mattei, nata dei Marchesi di Giove.
Tra il 1809 e il 1816 svolge “sette anni di studio matto e disperatissimo” che recheranno gravi danni
alla salute del poeta. In questo periodo e negli anni seguenti nascono i primi componimenti poetici .
Dal 1825 si trasferisce per vivere lontano da Recanati, abbandonando provvisoriamente la poesia, e
componendo le Operette morali, dove possiamo notare maggiormente il pensiero filosofico del
poeta; visita così Bologna, Milano, Firenze, Pisa e infine Napoli, dove muore il 14 giugno 1837.

Arthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da una famiglia borghese. Quando la libera città
di Danzica è annessa alla Prussia, la famiglia si trasferisce ad Amburgo. Tra il 1797 e il 1804
Schopenhauer compie molti viaggi, in Francia, in Boemia, in Inghilterra e in altri paesi europei. Nel
1813 ottiene la laurea di filosofia a Jena. Nel 1819 pubblica il suo capolavoro Il mondo come
volontà e rappresentazione. Muore a Francoforte nel 1860.

Stemma dei Conti Leopardi Ritratto di Arthur Schopenhauer

4
LA VITA COME DOLORE

Sia Leopardi che Schopenhauer concordano nel ritenere la vita come un susseguirsi di dolore e
sofferenze. Per il poeta la causa prima dell’infelicità dell’uomo è da ricercare nella sua “teoria del
piacere”. L’uomo, per Leopardi, aspira al raggiungimento del piacere. Ma il piacere desiderato è
infinito, mentre quello raggiungibile è sempre limitato, e non può soddisfare in alcun modo il
desiderio. Da questa tensione inappagabile nasce l’infelicità dell’uomo, che, nel primo Leopardi,
può essere in parte superata grazie alle illusioni che la natura ci offre, oppure grazie all’azione e
all’eroismo.
Nel secondo Leopardi invece, il pessimismo non è più storico, cioè legato ad una determinata
epoca, ma cosmico. A questo proposito il poeta scrive “Non gli uomini solamente, ma il genere
umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali.
Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i
generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi.”5
In questa fase del pessimismo leopardiano inoltre la natura acquista un significato negativo, e può
essere ricollegata alla Volontà di Schopenhauer, come sostiene anche Elio Gioanola, che scrive
“Quanto il concetto di ‘volontà’ somigli a quello leopardiano di ‘natura’ […] è di immediata
evidenza”6.
Per Schopenhauer l’ origine del dolore umano è appunto la volontà, che, come dice egli stesso, “in
ogni grado della sua manifestazione, dal più basso al più alto, manca interamente di un fine ultimo,
aspira sempre, perché la sua essenza si risolve in un’aspirazione che non può cessare per effetto di
alcun conseguimento e che quindi è incapace di una soddisfazione definitiva”7. Partendo dal
concetto di volontà come tensione e aspirazione, l’impedimento della soddisfazione della volontà
genera inevitabilmente dolore, mentre l’appagamento del desiderio è effimero, e conduce alla noia.
Vale ancora la pena di citare le parole del filosofo tedesco, molto vicine ancora una volta alle
posizioni di Leopardi, in cui si dice “Il desiderio è, per sua natura, dolore: il conseguimento genera
tosto sazietà, la meta era solo apparente: il possesso disperde l’attrazione: in nuova forma si
presenta il desiderio, il dolore altrimenti, segue monotonia, vuoto, noia contro cui è la battaglia
altrettanto tormentosa quanto il bisogno”.8

5
GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, 4175-7
6
ELIO GIOANOLA, Leopardi, la malinconia, Editoriale Jaca Book Spa, 1995, Pag. 371.
7
ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come volontà e rappresentazione, libro IV, paragrafo 56
8
ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari 1972, II vol., pag. 414.

5
LE VIE DEL SUPERAMENTO DEL DOLORE

Se per il primo Leopardi le vie di superamento del dolore erano l’azione e l’eroismo, e nel secondo
periodo il senso dell’esistenza era dato dalla compassione e dal conforto reciproco tra gli uomini,
per Schopenhauer il superamento del dolore consiste nella liberazione dalla volontà.
La liberazione dalla volontà può essere ottenuta in diversi modi.
La conoscenza contemplativa: l’uomo può liberarsi dalla soggezione alla volontà
attraverso la contemplazione (per esempio di un’opera d’arte). Così facendo dimentica la
propria individualità e smette di volere.

Raffaello, Santa Cecilia Raffaello, Madonna Sistina

“La Santa Cecilia di Raffaello si può prendere come simbolo di tale conversione”9

L’ascesi: un’altra via di liberazione dalla volontà è l’ascesi, che consiste nel “Sustine et
abstine” , cioè castità perfetta, digiuno e povertà. Tuttavia il filosofo tedesco non è il primo
a proporre la via ascetica, già presente non solo nelle tradizioni orientali (in particolare nella
religione buddista), ma anche nella filosofia di matrice stoica di autori latini, come Seneca.
L’etica e la compassione: questa è l’ultima via di liberazione dalla volontà e della
distruzione del velo di Maya. Quando l’uomo capisce che la stessa volontà è presente in
tutta la specie, e anche negli animali e nelle cose, comincia a considerare gli altri come
9
ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come Volontà e Rappresentazione, §52.

6
fratelli e suoi pari. Da qui nasce la pratica spontanea della giustizia, che è il primo passo
nello squarciamento del velo di Maya; la compassione infatti fa scomparire l’illusione
dell’individualità, ponendo l’uomo in una dimensione sociale e mettendolo sulla via della
redenzione.
Questo ultimo metodo di superamento del dolore è molto vicino alla filosofia dell’ultimo Leopardi,
espressa molto lucidamente nella sua operetta Dialogo di Plotino e Porfirio, dove si delinea
chiaramente il concetto secondo il quale “il dovere degli uomini è di collaborare per rendere più
sopportabile la fatica della vita: di tenersi compagnia, confortarsi, incoraggiarsi e aiutarsi a
vicenda.”10. Ancora una volta vale la pena citare le parole del poeta, il quale, identificandosi con
Plotino, dice “Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte
che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia
l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere
nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve”11.

IL RIFIUTO DEL ROMANTICISMO


Rifiuto del romanticismo in Leopardi: Sebbene in Leopardi si ritrovino alcune caratteristiche del
romanticismo, quali il tema dell’infinito, il dolore e la scissione tra io e natura (e la concezione
rousseauviana della stessa, nel primo periodo del poeta recanatese), Leopardi prende le distanze da
questa corrente, per vari motivi. Innanzitutto perché è un materialista (Il male di vivere è
essenzialmente sofferenza fisica, non spirituale come quella dei poeti romantici), ma anche perché
rifiuta l’irrazionalismo, come sostiene Elio Gioanola, che scrive in proposito “Leopardi […]
discende direttamente dalla filosofia razionalistica e materialistica del Settecento, per il quale
dunque egli non uscirebbe mai dall’ambito della ragione, una volta riconosciuta la funzione di
questa come liberatrice dallo spiritualismo e dalla religione”12. Inoltre la poesia di Leopardi,
stilisticamente, rimane in parte legata al classicismo e alla tradizione.
D’altra parte, anche la cultura positivista viene rifiutata: così come non crede nella possibilità di
riscatto dell’uomo grazie al ritorno allo stato naturale, Leopardi non ritiene che la fiducia nel
progresso sia sensata, e non crede neanche nella perfettibilità del genere umano. Nel Dialogo della
Natura e di un Islandese emerge la concezione antiromantica della natura, ora vista come ente
malvagio, mentre la sfiducia nel progresso è chiaramente riscontrabile nell’operetta La Scommessa
di Prometeo, soprattutto nel passo che segue:

10
LUPERINI, CATALDI, MARCHIANI, TINACCI, La Scrittura e l’Interpretazione, Capitolo IX, pagina 488.
11
GIACOMO LEOPARDI, Operette Morali, Dialogo di Plotino e Porfirio.
12
ELIO GIOANOLA, Leopardi, la malinconia, Editoriale Jaca Book Spa, 1995, Pag. 360

7
“Dico io dunque: se l’uomo barbaro mostra di essere inferiore per molti capi a qualunque altro
animale; se la civiltà, che è l’opposto della barbarie, non è posseduta né anche oggi se non da una
piccola parte del genere umano; se oltre di ciò, questa parte non è potuta altrimenti pervenire al
presente stato civile, se non dopo una quantità innumerabile di secoli, e per beneficio
massimamente del caso, piuttosto che di alcun’altra cagione; all’ultimo, se il detto stato civile non è
per anche perfetto; considera un poco […] che esso è veramente sommo tra i generi, come tu pensi;
ma sommo nell’imperfezione.”13
Leopardi si rifà all’illuminismo, ma non accetta l’idea di progresso della cultura settecentesca e
romantica. “L’adesione alla visione scientifica, materialistica e meccanicistica della natura distrugge
la fiducia in ogni finalismo immanente nell’universo, l’idea cioè di una natura buona” scrive
Luperini in proposito14. Anche ne La Ginestra le tesi portanti sono citate come conseguenze logiche
derivate da osservazioni della realtà, in pieno procedimento materialistico, contrapposto alle
ideologie idealistiche dominanti in quel periodo (le stesse contro cui si scaglia Schopenhauer, pur
essendo uno spiritualista).

Rifiuto dell’idealismo da parte di Schopenhauer: Anche il filosofo tedesco, pur scrivendo in età
romantica, prende le distanze dai grandi pensatori dell’idealismo tedesco, quali Hegel, Fichte e
Schelling, che per Schopenhauer sono ciarlatani e sofisti, e che cercavano, più che la verità,
impieghi e cariche pubbliche. Il filosofo recupera la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé,
affermando che ciò che possiamo conoscere è solo ciò di cui possiamo fare esperienza, e si oppone
al pensiero di Hegel. Ma, anche se recupera in parte Kant, Schopenhauer ritiene, al contrario del suo
predecessore, di poter conoscere la cosa in sé, come scrive anche Francesco de Sanctis nel suo
saggio Schopenhauer e Leopardi, e ritiene possibile la fondazione di una metafisica nuova e
immanente.
Significativo è quanto scrive Giuseppe Tortora: “Avversario dell'idealismo, dedicò la sua
speculazione alla teorizzazione di una visione del mondo in cui questo appariva attraversato da una
forza cieca e irrazionale che, tuttavia, poteva spiegare, a suo avviso, proprio ciò che Fichte,
Schelling ed Hegel non erano riusciti a spiegare: il male cosmico e il male storico. […]
Schopenhauer propone una concezione globale in cui l'uomo è concepito totalmente e intimamente
integrato nella struttura dell'universo fisico, e partecipe, quindi, in modo totale ed esclusivo, della
sua essenza - la volontà di vivere - e della sua unica legge - la lotta per l'esistenza.”15

13
GIACOMO LEOPARDI, Operette Morali, La Scommessa di Prometeo.
14
LUPERINI, CATALDI, MARCHIANI, TINACCI, La Scrittura e l’interpretazione, Capitolo X, Pag. 604.
15
GIUSEPPE TORTORA, Le filosofie contemporanee, Schopenhauer, Capitolo IV, La Critica all’idealismo e alla
conoscenza, in http://www.filosofia.unina.it/tortora/sdf/Quarto/IV.4.html

8
DIFFERENZE TRA LEOPARDI E SCHOPENHAUER

Pur essendoci moltissimi punti in comune, tra i quali quelli che abbiamo precedentemente elencato,
è possibile trovare anche qualche differenza tra il pensiero dei due autori. Innanzitutto il poeta
recanatese è un materialista. “Dal seno della materia vede germinare l’appetito irrazionale, e quindi
l’ignoranza, l’errore, le passioni, in una parola il male”16 dice de Sanctis in proposito, mentre
Schopenhauer, per citare sempre il noto saggista italiano, dice “La materia non esiste, è un concetto,
un’astrazione; ciò solo che esiste è l’appetito, il Wille.”17 Entrambi ammettono dunque lo stesso
principio, ma uno lo fonda nella materia, e l’altro “gli fa della materia un semplice velo”.
Un’altra differenza tra i due pensatori è, anche secondo quanto scrive De Sanctis, che le conclusioni
del filosofo tedesco si rivelano aride ed sterili, mentre quelle del poeta sono più attive e costruttive.
A tal proposito scrive il saggista "Non crede al progresso, e te lo fa desiderare, non crede alla libertà
e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù e te ne accende in petto un desiderio
inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti senta migliore" 18. Così mentre in Schopenhauer lo sbocco
logico del suo pessimismo consiste nella fuga dalla vita e nel quietismo dell'asceta, in Leopardi
l'esito dei suo pessimismo dà all'uomo un messaggio positivo:

"Nobil natura è quella


che a sollevar s'ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra sé nel soffrir, né gli odi e l'ire
fraterne, ancor più gravi
d'ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l'uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de' mortali

16
FRANCESCO DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Rivista contemporanea, 1858, qui nella versione edita da
Ibis, 1992, Pag. 44.
17
FRANCESCO DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Rivista contemporanea, 1858, qui nella versione edita da
Ibis, 1992, Pag. 44.
18
FRANCESCO DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Rivista contemporanea, 1858, qui nella versione edita da
Ibis, 1992, Pag. 69.

9
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l'umana compagnia,
tutti fra sé confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune.19

LEOPARDI AND KEATS

John Keats (* 1795 + 1821) is an English romantic poet. In his famous poem Ode On A Grecian
Urn he says that real joy exists in the desire, not in fulfilment of it. As a matter of fact the poem
celebrates the desired but not consumed passion, the love for dreams and expectations, rather than
the boredom which follows the fulfilment of one's desires.

"For ever warm and still to be enjoy'd,

for ever panting, and for ever young;

all breathing human passion far above,

that leaves a heart high-sorrowful and cloy'd,

a burning forehead, and a parching tongue"20

This aspect of Keats' poetry can be linked to Leopardi, who touches the same themes. In Il Sabato
del Villaggio, for example, Leopardi makes joy correspond to the waiting, the dream, the
imagination. The happiest day is Saturday, the day of hopes, when people are waiting for Sunday,
the day of delusions and unfulfilled dreams. So the desire is much more fascinating than the
satisfaction.

"Or la squilla dà segno

19
GIACOMO LEOPARDI, Canti, La Ginestra, Firenze 1845.
20
JOHN KEATS, Lamia, Isabella, The Eve of St. Agnes, and Other Poems, Ode On A Grecian Urn, 1820.

10
della festa che viene;

ed a quel suon diresti

che il cor si riconforta.[...]

e intanto riede a la sua parca mensa

fischiando, il zappatore,

e seco pensa al dì del suo riposo.[...]

Questo di sette è il più gradito giorno,

pien di speme e di gioia:

diman tristezza e noia

recheran l'ore, ed al travaglio usato

ciascuno in suo pensier farà ritorno."21

BEAUTY AND ART IN JOHN KEATS’ VIEW

John Keats based his poems on the central theme of beauty. According to Keats beauty was the
consolation for a life of sadness and misunderstanding, in fact his early life was marked by a series
of personal tragedies such as the killing of the father, the death of the mother and a younger brother.
The memory of a thing of beauty was to him a source of joy as he wrote in the opening lines of his
epic poem, ‘’Endymion’’(1817):

‘’A thing of beauty is a joy for ever’’

In Keats’ view beauty could be either physical or spiritual; these two kinds of beauty were
interwoven because for him physical beauty was the expression of the spiritual one, but the
difference consists on the fact that the former was temporary and the latter was eternal and
immortal. Keats exposes this view of beauty in the ‘’Ode on a Grecian Urn’’(1819). Therefore
Keats’ idea of beauty was not only an aesthetic concept, but also a moral one.
21
GIACOMO LEOPARDI, Canti, Il Sabato del Villaggio, 1831.

11
Then in the ‘’Ode on a Grecian Urn’’ Keats states the superiority of the world of art to the real
world of mankind, writing that:

‘’Beauty is truth, truth beauty, – that is all


Ye know on earth, and all ye need to know’’

In these lines the poet writes that the only important thing in human life and the only thing men
have to know is art.

Ritratto di John Keats Un manoscritto del poeta inglese

L’ARTE SECONDO SCHOPENHAUER

L’importanza del bello e dell’arte non riguarda solo i poeti John Keats e Giacomo Leopardi, ma
anche Arthur Schopenhauer, secondo il quale l’arte è una delle vie di liberazione dal dolore assieme
alla morale ed alla ascesi, come abbiamo già visto.
La contemplazione estetica può essere attinta in modi differenti, tramite il bello o tramite il sublime.
Il bello è la semplice contemplazione estetica libera da ogni volere, mentre il sublime è la
contemplazione di oggetti che sono in relazione d’ostilità con la Wille umana in generale.
Nella gerarchia delle arti la musica occupa il primo posto, perché si pone come immediata
rivelazione della volontà a se stessa. Schopenhauer sostiene che la musica si configuri come l’arte
più profonda ed universale e come una vera e propria metafisica dei suoni, capace di metterci in

12
contatto con le radici della vita e dell’essere. La sola conclusione di un giro armonico rappresenta,
per esempio, il soddisfacimento della volontà, secondo Schopenhauer.

CONCLUSIONI

In definitiva, dopo tutte le considerazioni fatte, si può notare non solo come il pensiero di Leopardi
sia molto vicino a quello di Schopenhauer, pure con le dovute divergenze, ma come le osservazioni
di questi due autori concordino per certi aspetti anche con il pensiero del grande poeta inglese John
Keats. La consapevolezza di vivere in un mondo anti-idilliaco dominato dal male, e la ricerca di
mezzi di evasione da esso (l’immaginazione o l’arte, oppure la compassione e il supporto reciproco)
accomunano i tre letterati e li pongono in netta contrapposizione con il clima ottimista che si era
sviluppato sia con il romanticismo prima, sia col positivismo (e la conseguente fiducia nella
scienza) poi.

RINGRAZIAMENTI:

Federico Bulfone Gransinigh; Giovanni Cairo, prof. Claudia Cugini, Eleonora de Mattia; Gianluca
Pareschi, prof. Dario Redaelli, Ginevra Spinola di Giove, Paolo Villa.

BIBLIOGRAFIA:

AA. VV., Alla Scoperta della Filosofia, Vol. 3A, Pag. 105, Sansoni per la Scuola 2004.
F. DE SANCTIS, Schopenhauer e Leopardi, Ibis 1992.
LUPERINI, CATALDI, MARCHIANI, TINACCI, La Scrittura e l’Interpretazione, Volume
2, Tomo II, Capitolo IX, Palombo Editore, 2004.
G. TORTORA, Le filosofie contemporanee, Schopenhauer, Capitolo IV, La Critica
all’idealismo e alla conoscenza, http://www.filosofia.unina.it/tortora/sdf/Quarto/IV.4.html
CESARE GALIMBERTI, Cose che non son cose, Marsilio Editori, 2001, Pag. 20.
ELIO GIOANOLA, Leopardi, la malinconia, Editoriale Jaca Book Spa, 1995, Pagg. 360,
371.
ARTHUR SCHOPENHAUER, Il Mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Bari
1972, II vol., pag. 414.

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