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DECAMERON

DI GIOVANNI BOCCACCIO
di Alberto Asor Rosa
Letteratura italiana Einaudi
1
In:
Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere
Vol. I, a cura di A. Asor Rosa,
Einaudi,Torino 1992
Letteratura italiana Einaudi
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Sommario
I GENESI E STORIA 5
1. Cronologia dellopera. 5
1.1. La nascita del Libro: dalla morte alla vita. 5
1.2. La composizione delle novelle. 10
1.3. La scrittura del Libro. 12
2. Storia e fortuna del testo. 16
2.1. La diffusione nel suo tempo. 16
2.2. Elementi di fortuna critica. 17
2.3. La tradizione manoscritta. 19
2.4. Le edizioni a stampa 20
2.5. LHamilton 90. 23
II STRUTTURA. 26
1. La forma del Libro. 26
1.1. Le rubriche. 27
1.2. Pestilenza e scrittura. 28
1.3. Mitopoiesi del racconto raccontato. 32
1.4. Architettura e urbanistica del racconto. 35
2. La logica della struttura. 39
2.1. Le novelle dentro le strutture. 42
2.2. Le strutture delle novelle. 45
3. Le giornate e le strutture. 58
III. TEMATICHE E CONTENUTI. 60
1. Il mondo del Libro. 60
Letteratura italiana Einaudi
3
1.1. Fortuna e Natura. 60
1.2. Eros. 68
2. Il resto del mondo. 73
2.1. Etica e religione. 74
2.2. Cortesia, cavalleria, comportamento. 77
2.3. La parola e il gesto. 80
3. Le coordinate spazio-temporali del racconto. 86
3.1. La geografia. 86
3.2. La storia. 93
IV. MODELLI E FONTI. 97
V. LUNIT DELLOPERA. 110
1. Umana cosa.... 110
2. Quantunque volte, graziosissime donne.... 114
3. La dea Poesia. 120
3.1. La poesia in atto. 124
VI. Nota bibliografica. 129
Letteratura italiana Einaudi
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I. GENESI E STORIA.
1. Cronologia dellopera.
1.1.La nascita del Libro: dalla morte alla vita.
Lunico dato assolutamente certo che possediamo intorno alla composizione del
Decameron il termine post quem esso fu composto: le date della terribile peste
che devast Firenze tra il marzo-aprile e lottobre 1348 e che costituisce il tema
dominante della Introduzione alla Prima Giornata dellopera (Dico adunque che
gi erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero per-
venuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia citt di Fiorenza, oltre a
ognaltra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: I, Intr., 8)
1
. Boccac-
cio, continuando, descrive con sufficiente esattezza anche il cammino percorso
dalla terribile peste nera prima di giungere nella sua citt (la quale [pestilen-
za], per operazion de corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di
Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti
orientali incominciata, quelle dinumerabile quantit de viventi avendo private,
senza ristare dun luogo in uno altro continuandosi, verso lOccidente miserabil-
mente sera ampliata); e, del resto, dal testo stesso dellIntroduzione sintuisce
che dallevento luttuoso non doveva essere trascorso troppo tempo, se nella men-
te di coloro che lavevano vissuto limpronta ne era ancora cos viva (Quantun-
que volte, graziosissime donne, meco pensando riguardo quanto voi naturalmen-
te tutte siete pietose, tante conosco che la presente opera al vostro iudicio avr
grave e noioso principio, s come la dolorosa ricordazione della pestifera mortalit
trapassata, universalmente a ciascuno che quella vide o altramenti conobbe dan-
nosa, la quale essa porta nella sua fronte: I, Intr., 2).
Naturalmente, quando si parla di composizione del Decameron sintende
in questo caso puramente e semplicemente quellinsieme di procedure in seguito
alle quali una raccolta, probabilmente incompleta, di novelle inizialmente slegate
fra loro divenne un libro, un libro dalle caratteristiche armoniche e architettoni-
camente elaboratissime, anzi, il Libro per eccellenza, o, per lo meno, il primo
Grande Libro della narrativa occidentale moderna. Dobbiamo dunque pensare
che dopo il 1348, ossia, pi probabilmente, a partire dal 1349, e fino ad una data
pi difficile da stabilire, Boccaccio abbia steso la cornice, diviso la materia in
1
Cfr. V. BRANCA, Un modello medievale per lIntroduzione, in ID., Boccaccio medievale e nuovi studi sulDeca-
meron, Firenze 1990
7
, pp. 381-87: sostiene, motivatamente, che Boccaccio ha tenuto presente, nella descrizione della
peste fiorentina del 1348, la Historia Langobardorum di Paolo Diacono. Per la bibliografia storica sullargomento, G.
BOCCACCIO, Il Decameron, a cura di V. Branca, Torino 1980, pp. 14-15, nota 5 (si tratta delledizione che abbiamo uti-
lizzato per il nostro saggio, e che dora in poi citeremo in nota con la sigla Dec.; i corsivi nelle citazioni sono nostri).
Letteratura italiana Einaudi
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Giornate (almeno per la parte in cui questo non era avvenuto in precedenza),
completato il numero delle novelle, s da renderlo congruo alla nuova struttura
nata da questo ripensamento, arricchito, forse, la materia con laggiunta di quelle
giornate che o nascevano dalla produzione di nuove novelle o si affiancavano lo-
gicamente a quelle esistenti nello sforzo di costruire, appunto, unarchitettura ar-
monica, compiuta e uniforme
2
.
Bisogna tener presente per cercare di capire lo stato danimo del Boccac-
cio in quel volgere di mesi e di anni che la peste era stata in Firenze, come al-
trove, qualcosa di pi di una semplice epidemia. Boccaccio stesso parla di pi di
centomila morti in citt (I, Intr., 47); i cronisti affermano che i morti furono cir-
ca i tre quinti della popolazione, tenuto conto anche del contado; gli studiosi
moderni, divisi tuttavia sullentit complessiva del fenomeno, sono concordi nel
riconoscere che esso inferse un colpo terribile alla popolazione e alleconomia
fiorentine
3
. Avvicinando un poco il fuoco dello sguardo, ricordiamo che nellim-
mane devastazione scomparve un gran numero di persone che rientravano nella
sfera degli affetti pi caldi di Giovanni Boccaccio: gli amici Matteo Frescobaldi,
Giovanni Villani, Ventura Monachi, Bruno Casini, Franceschino Albizzi, Ciampi
della Tosa, Francesco e Filippo da Barberino, e poco dopo il carissimo Coppo
Domenichi, la matrigna Bice e, probabilmente un anno pi tardi, nel 49, il pa-
dre Boccaccino di Chelino
4
; s che non illegittimo cogliere leco di una sofferta
esperienza personale nelle parole con cui Pampinea animosamente incita le sue
compagne ad abbandonare Firenze, dal momento che nelle case di ciascuna di
loro quasi non c pi nessun famigliare ad aspettarle (E se alle nostre case tor-
niamo, non so se a voi cos come a me adiviene: io, di molta famiglia, niuna altra
persona in quella se non la mia fante trovando, impaurisco e quasi tutti i capelli
adosso mi sento arricciare, e parmi, dovunque io vado o dimoro per quella, lom-
bre di coloro che sono trapassati vedere, e non con quegli visi che io soleva, ma
con una vista orribile non so donde in loro nuovamente venuta spaventarmi : I,
Intr., 59). Questa visione, personalmente sperimentata e sofferta, del fenomeno
di cui, del resto, c pi di una testimonianza nellIntroduzione alla Prima Gior-
nata (per esempio al 16: Maravigliosa cosa a udire quello che io debbo dire:
il che, se dagli occhi di molti e da miei non fosse stato veduto, appena che io ar-
dissi di crederlo, non che di scriverlo, quantunque da fededegna udito lavessi)
si riflette nel carattere mosso e tormentato (fino allenfatizzazione retorica del-
2
Sui particolari di queste procedure compositive cfr. qui di seguito la sezione II, sulla Struttura, particolarmen-
te alle pp. 492-503, con note e bibliografia relativa.
3
Cfr. Dec., pp. 27-28, nota 8.
4
V. BRANCA, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, Firenze 1977, pp. 78-79.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
la deprecazione e del dolore) dellIntroduzione stessa, che cala in una dimensio-
ne di realt, e di orribile realt, quello che altrimenti sarebbe apparso soltanto
elegante finzione e gioco. difficile, perci, non convenire con quanti hanno ri-
chiamato lattenzione sul carattere strutturale, fondativo dellespediente proe-
miale contenuto nellIntroduzione alla Prima Giornata
5
. E non solo perch, come
risulta evidente dalla narrazione, soltanto lesplosione della pestilenza provoca
loccasione che mette in movimento il meccanismo della narrazione a pi voci, e
a pi voci, non bisogna dimenticarlo, di fanciulle e giovani insieme, reclusi per
un tempo determinato in un luogo separato dal mondo (particolarit, che Boc-
caccio sottolinea pi volte nel corso dellopera, e sulla quale anche noi tornere-
mo pi avanti); ma soprattutto perch il gioco terribile della morte e della scom-
parsa sembra determinare nellanimo di Giovanni Boccaccio un meccanismo op-
posto, di tipo sostanzialmente reattivo, quello della vita e della presenza, che si
manifesta attraverso le procedure specifiche della creazione letteraria, le quali in
lui per tanta parte coincidevano in quella fase della sua vita con quelle della pre-
senza e della vita.
Possiamo dunque ragionevolmente supporre che, dalla contrapposizione
allevento catastrofico della peste, nascesse in Boccaccio lispirazione a creare un
oggetto letterario, che per i suoi caratteri di compiutezza e di armonicit, di pe-
rennit e di intangibilit, fosse in grado di rivaleggiare, nel campo della narrativa,
con i grandi capolavori del passato e del presente. La catastrofe, in questo caso,
produce lopera; e lopera, in quanto in grado di opporre alla logica della cata-
strofe la propria logica ordinatrice e umanamente razionale, le costruisce un argi-
ne intorno e ne favorisce il superamento. Naturalmente, non si deve pensare a un
riflesso automatico e meccanico: ma piuttosto a uno sprofondamento nellevento,
che produce per contrasto lenergia necessaria a contrapporre un gigantesco atto
creativo a quel gigantesco spettacolo di morte.
Quando, pi o meno approssimativamente, si fa riferimento alla dialettica tra
virt e fortuna come a quel tale fattore generativo che interessa tanta parte della
materia narrativa delle novelle del Decameron, si dimentica spesso che la prima
grande operazione di fortuna con cui Giovanni Boccaccio obbligato a misurarsi
la peste, scampandone fisicamente per motivi imperscrutabili, quasi allo scopo
di potere, da vivo, contrapporle quella grande operazione di virt, che , appun-
5
ID., Coerenza ideale e funzione unitaria dellIntroduzione (1960), in ID., Boccaccio medievale cit., pp. 31-44.
Molto fini anche le osservazioni di C. MUSCETTA, Giovanni Boccaccio, Bari 1992, pp. 156-160, il quale richiama, tra
le possibili fonti di Boccaccio, anche i Saturnalia di Macrobio. Pi recentemente sono apparsi due contributi, che han-
no ribadito, nella puntuale analisi dei dati testuali, la rilevanza del rapporto fra peste e narrazione, e cio L. BATTA-
GLIA RICCI, Ragionare nel giardino. Boccaccio e i cicli pittorici del Trionfo della morte, Roma 1987 (notevole anche
per il ragionamento su funzione e composizione della cornice e sulla datazione dellopera) e G. MAZZOTTA, The
World at Play in Boccaccios Decameron, Princeton N. J. 1986 (particolarmente il capitolo Plague and Play, pp. 13-46).
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
to, la creazione del libro chiamato Decameron, come, con grande precisione,
recita la rubrica di apertura dellopera.
vero che Boccaccio saffretta a collocare questa esperienza vissuta nel locus
retorico, che pi sembra corrisponderle, e cio nellaffermazione che il piacere,
anche letterario, oltre che spirituale ed intellettuale, tanto pi vivo ed intenso,
quanto pi necessario allinizio passare attraverso una fase di ripiegamento e di
dolore, come scrive lautore allinizio dellIntroduzione alla Prima Giornata:
Questo orrido cominciamento vi fia non altramenti che a camminanti una mon-
tagna aspra e erta, presso alla quale un bellissimo piano e dilettevole sia reposto,
il quale tanto pi viene lor piacevole quanto maggiore stata del salire e dello
smontare la gravezza ( 4). Ma, a parte il fatto che la trasparente citazione dan-
tesca (Inf. I, 13 sgg. ) convalida lipotesi che Boccaccio voglia, con luso dei sim-
boli e delle allusioni che proprio della cultura medievale (oltretutto, Boccaccio
nel 1348 ha trentacinque anni come Dante nel 1300, e dunque anche lui inizia il
suo viaggio nel mezzo del cammin di nostra vita), comunicare sulla soglia stessa
dellopera il suo intento di relazionarsi al livello dello sforzo creativo operato dal
grande maestro, resta da osservare, in questo luogo una volta per tutte, che in
Boccaccio luso sistematico e approfondito della retorica serve senza dubbio a
regolare, ma certamente non basta a spiegare n tanto meno esaurisce losser-
vazione del reale nella variet inesauribile delle sue forme.
La grande sapienza retorica dello scrittore classifica, sistema, ordina e d
equilibrato e armonico sviluppo alle facolt della percezione e dellimmaginazio-
ne. Ma non avrebbe avuto di per s nessuna capacit inventiva, se percezione e
immaginazione non fossero state di per s, come sono, ricchissime, e come dimo-
stra, quasi ad apertura di libro, la lettura del capitolo magistrale sulla pestilenza
fiorentina.
Gi pi dubbio il momento in cui questa fase di composizione del Decame-
ron si sarebbe conclusa. Ad unipotesi pi tradizionale, che la estenderebbe fino
al 1353, Vittore Branca, con motivazioni assai ragionevoli, ha proposto di restrin-
gere tale fase al 1351
6
. Infatti, negli anni immediatamente successivi a questo Boc-
caccio risulta sempre pi preso da una serie di impegni pubblici, che spesso lo
portano lontano da Firenze (nellagosto 1351 era molto probabilmente in Roma-
gna; fra il dicembre 51 e il gennaio 52 fu tra il Tirolo e la Baviera meridionale co-
6
Vittore Branca ne ha discusso pi volte nella sua imponente produzione critico-storica boccacciana; il discor-
so pi ampio ed argomentato si trova nel fondamentale saggio Tradizione del testo del Decameron (1950 e 1953), in
V. BRANCA, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio. Un secondo elenco di manoscritti e studi sul testo del De-
cameron, II, Roma 1991, pp. 147-62.
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
me ambaxiator solemnis a Ludovico di Baviera, marchese di Brandeburgo e conte
del Tirolo; alla fine di marzo 1352 a Padova, latore delle missive dei Priori delle
Arti e del Gonfaloniere di Giustizia per indurre Petrarca a rientrare in Firenze).
Inoltre, com noto, proprio in questo periodo, Boccaccio, accostandosi sempre
di pi a Petrarca (che peraltro aveva incontrato gi due volte nellottobre e nel di-
cembre 1350, mentre questi si recava a Roma e poi ne tornava per il pellegrinag-
gio giubilare), avrebbe maturato quel decisivo passaggio di cultura, dagli anni
giovanili nutriti di compiaciuta erudizione e di spiriti ovidiani e apuleiani al-
lammirazione per Cicerone e Seneca morali, che sta alla base dei grandi temi
moralistici delle opere degli ultimi ventanni
7
.
vero, daltra parte, che, ragionando con questo metro, si potrebbe osserva-
re che gli impegni pubblici del Boccaccio erano gi intensi nel 1350 (fra lagosto e
il settembre 1350 fu ambasciatore in Romagna, prima di incontrare Petrarca nel-
lottobre); e che la cesura netta fra le due parti della sua produzione letteraria non
sembra reggere ai fini ermeneutici neanche alla luce delle recenti acquisizioni sto-
rico-critiche
8
, se vero, com vero, che la prima idea di una tipica opera della
seconda fase, ossia la Genealogia deorum gentilium, nasce gi nel 1350
9
, in pie-
na area creativa decameroniana, dunque, e in stretto rapporto, a mio giudizio,
con le ragioni che avevano ispirato lultima stesura e composizione del capolavo-
ro, e che, viceversa, la pratica di nuove idee e indirizzi di ricerca non gli imped
mai di continuare a coltivare i vecchi interessi, come dimostra il perdurante culto
di Dante e laccurata, amorevole ricopiatura in tarda et dellopera maggiore, te-
stimoniata dal codice Hamilton.
Tenendo conto di queste osservazioni, e della mole dellimpresa affrontata e
compiuta, non sembrerebbe quindi del tutto irragionevole ipotizzare un allarga-
mento, sia pure limitato, dei termini di composizione dellopera
10
.
In ogni caso, ovvio che, quanto pi si restringono tali termini, tanto pi bi-
sogner pensare che Boccaccio abbia limitato il suo intervento in questultima fa-
se alla pura operazione di incorniciamento e sistemazione delle novelle, dando
per scontato che la maggior parte di queste fosse gi stata concepita e stesa in pre-
cedenza. Se invece questa fase si estende, diventa possibile pensare che Boccaccio
7
ID., Giovanni Boccaccio cit., p. 91.
8
Insiste molto su due fasi nella storia intellettuale e letteraria di Giovanni Boccaccio Francesco Bruni, soprat-
tutto nel saggio La doppia idea di cultura, che apre il suo denso ed importante Boccaccio. Linvenzione della letteratura
mezzana, Bologna 1990, pp. 15-95: noi, come si vedr, preferiamo vedere, pi che le contrapposizioni, i sotterranei e
profondi rapporti che legano i vari momenti dellattivit di Boccaccio e fanno, per intenderci, una persona sola del
Boccaccio volgare e del Boccaccio umanista.
9
V. BRANCA, Giovanni Boccaccio cit., pp. 83-84; su questo punto torneremo pi avanti.
10
Cfr. C. BOLOGNA, Tradizione testuale e fortuna dei classici italiani, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor
Rosa, VI. Teatro, musica, tradizione dei classici, Torino 1986, p. 651.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
abbia, se non concepito, almeno steso una quota non irrilevante delle novelle stes-
se, insieme e contestualmente con il concepimento delle giornate e con la stesura
della cornice.
1.2.La composizione delle novelle.
Per quanto riguarda, poi, la stesura delle singole novelle, in mancanza di qualsia-
si dato documentario, si possono formulare le seguenti ipotesi, fondate anche su
talune impressionistiche suggestioni di lettura. Boccaccio era rientrato da Napoli
a Firenze nellinverno tra il 1340 e il 1341. Per quanto sia impossibile escluderlo
in via di fatto, tutto porta a pensare che la stesura delle novelle cominci dopo
questa data, se non altro per linconfondibile impronta fiorentina che sta dietro,
se non ad ognuna di esse, alloperazione narrativa nel suo complesso da cui sono
tutte contraddistinte. Daltra parte, i primi anni del rientro sono occupati da una
fitta produzione letteraria (Comedia delle Ninfe [1341-42], Amorosa visione
[1342], Elegia di Madonna Fiammetta [1343-44], Ninfale fiesolano [1344-46]),
che, pur anticipando in diversi punti tematiche e sensibilit delle novelle deca-
meroniane, testimonia al tempo stesso di una perdurante pluralit di approcci al
fatto letterario, tutti, per, abbastanza divergenti dallopzione novellistica, che di
l a poco sarebbe divenuta, pi che dominante, esclusiva, almeno per una certa
fase. Logicamente, dunque, bisognerebbe pensare ad una stesura sistematica del-
le novelle, che segue in grandissima parte la conclusione della fase precedente e
sta dunque a cavallo del grande episodio della peste, il quale contribuisce poten-
temente, come abbiamo detto, a consolidare il tutto e ad avviarlo verso la siste-
mazione finale, sulla base di un profondo ripensamento esistenziale, non privo di
risvolti etico-filosofici.
Come pu aver proceduto il Boccaccio in questo lungo iter compositivo?
Giorgio Padoan, autore di un importante studio sullargomento, ha scritto: Non
si pu escludere che gruppi di novelle se non di giornate siano sorti in mo-
menti diversi, su sollecitazioni diverse, per poi confluire nella raccolta; la quale
non neppur certo che fin dalla prima ideazione intendesse strutturarsi proprio
in dieci giornate
11
; e aggiunge: [] al momento di licenziare la Prima Giorna-
ta non pare che avesse gi chiaro in mente quale tema avrebbe attribuito alla Se-
sta: ch in caso contrario avrebbe evitato curiose contrapposizioni n apparireb-
bero oziose ripetizioni. Infatti molte novelle della Prima sono in realt novelle di
motto, cui dedicata la Sesta Giornata [...]
12
.
11
G. PADOAN, Sulla genesi e la pubblicazione del Decamern (1977), in ID., Il Boccaccio, le Muse, il Par-
naso e lArno, Firenze 1978, p. 105.
12
Ibid.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Con la prima ipotesi di Padoan non si pu non essere daccordo. Infatti, an-
che prescindendo dalle considerazioni precedenti, facile rammentare che
lautodifesa contenuta nella Introduzione alla Quarta Giornata non avrebbe
potuto essere n pensata n scritta senza che un certo numero di novelle avesse
gi circolato in precedenza. Ma, contrariamente a quanto suppone Giorgio
Padoan, niente in quella Introduzione sembrerebbe lasciar pensare che, effetti-
vamente, le prime tre giornate fossero gi state lette in blocco, cosi come noi le
leggiamo.
Lesplicita dichiarazione che le prime tre giornate erano gi state composte,
quando Boccaccio scrive lIntroduzione alla Quarta (Per ci che, se gi, non es-
sendo io ancora al terzo della mia fatica venuto [...]: IV, Intr., 10), pu esser di-
venuta realt solo nella fase finale della composizione o risistemazione del libro,
quella, per intenderci, che Branca colloca nel 1349-51, cio rappresentare un
espediente della finzione letteraria ultima e non unevoluzione reale della com-
posizione. Questo appare tanto pi vero, in quanto gli strali dei malevoli e invidi
critici, di cui si parla nellIntroduzione alla Quarta Giornata, sappuntano essen-
zialmente su di un aspetto, che quello erotico (Dicono adunque alquanti de-
miei riprensori che io fo male, o giovani donne, troppo ingegnandomi di piacer-
vi, e che voi troppo piacete a me: IV, Intr., 30). Ma le novelle della Prima e del-
la Seconda Giornata caratterizzate da un erotismo spinto fino alla licenziosit so-
no assai poche, appena quattro su venti (I, 4; II, 2, 7, 10): limpressione che
Boccaccio svolga la sua autodifesa nellIntroduzione alla Quarta Giornata pre-
cisamente perch, invece, quasi tutte licenziose sono le novelle della Terza, dove,
com noto, si ragiona [...] di chi alcuna cosa molto da lui disiderata con indu-
stria acquistasse o la perduta ricoverasse (dove, se la formulazione forse volu-
tamente generica, a ben guardare, quella cosa risulta essere sempre un giovane
corpo o di uomo o di donna): quindi, subito dopo loccasione dello scandalo, e
al tempo stesso anticipando sapientemente ad ulteriore conforto della intelli-
genza e razionalit della costruzione della cornice lo svolgimento della Quar-
ta Giornata, nella quale [...] si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fi -
ne, trasparente palinodia del motivo piacevolmente licenzioso della giornata
precedente, oltre che lampante conferma della capacit che Boccaccio vuole esi-
bire, di trattare su livelli alti e inattaccabili il medesimo tema che aveva provoca-
to lo scandalo. abbastanza ragionevole pensare che lesigenza di collocare pro-
prio in quel punto lautodifesa fosse determinata, allatto della composizione
finale del Decameron, dalla contiguit con la materia della Terza Giornata, ine-
quivocabilmente tutta licenziosa. Il lettore sensibile alle motivazioni morali, do-
po aver tratto qualche motivo di scandalo da novelle che vanno, per intenderci,
da quella di Masetto di Lamporecchio (III, 1) a quella di Alibech (III, 10), si sa-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
rebbe cosi trovato di fronte alleloquente giustificazione, che apre la Quarta
Giornata, e avrebbe avuto qualche argomento in pi per non confondersi con la
turba invida e maligna dei morditori (IV, Intr., 42).
1.3. La scrittura del Libro.
Tutto questo per arrivare a dire che difficile pensare che Boccaccio abbia pro-
ceduto cos goffamente da scrivere e divulgare le giornate separatamente luna
dallaltra e al di fuori e anticipatamente rispetto ad un piano complessivo, che
solo ad un certo punto deve essere stato tutto chiaro nella sua mente, o che,
peggio ancora, le abbia conservate tali e quali, dopo averle eventualmente dif-
fuse, nel momento in cui riassettava linsieme.
Lipotesi pi sensata riguardo al processo compositivo del Decameron mi
sembra, riassumendo, possa essere questa. Di sicuro Boccaccio ha scritto parec-
chie novelle (impossibile dire quante) prima, durante e dopo lo scoppio della
pestilenza in Firenze, e queste novelle avevano avuto una loro circolazione pi
o meno ampia, come dimostrano le parole della Introduzione alla Quarta Gior-
nata (non possiamo neanche escludere che fra queste ce ne fossero talune che
poi, nella sistemazione definitiva, sono state collocate nelle giornate dalla Quar-
ta alla Decima).
Fra il 1349 e il 51 (o 52, o 53...), dunque, Boccaccio, come abbiamo gi
accennato, deve aver scritto soltanto le parti del libro riguardanti la cornice, e
tutte quelle novelle che, una volta disegnato uno schema tematico cosi rigido e
simmetrico, gli mancavano per completare lassetto delle singole giornate.
Laspetto importante di questa ipotesi che la concreta individuazione delle
grandi linee tematiche presenti nelle novelle deve aver preceduto, e non seguito,
lelaborazione della cornice e il disegno delle giornate, e in qualche modo, di con-
seguenza, lha condizionata. Man mano, infatti, che la sua vocazione narrativa co-
minciava a produrre frutti sempre pi consistenti e copiosi, dallinterno di questa
produzione devono essersi delineati, allinizio in maniera sostanzialmente sponta-
nea, i fulcri tematici pi significativi (ossia: le novelle di beffa vengono prima
del tema della beffa, e dal loro addensarsi nasce, ma solo ad un certo punto, la
possibilit di dedicargli ben due giornate del Libro, la Settima e lOttava). Le te-
matiche delle giornate, e, pi in generale, la cornice, sono dunque il frutto della
concreta ricerca novellistica boccacciana e al tempo stesso la sua razionale siste-
mazione e sublimazione in un universo letterario superiore.
Solo a questo punto, ripeto, Boccaccio deve essersi posto il problema di co-
me completare lopera, non solo sistemando le novelle gi scritte nel disegno
della cornice, ma scrivendone altre per completare armonicamente il quadro.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Posto che nella stesura delle novelle era stato possibile individuare, in tutto o in
parte, otto fondamentali tematiche quelle che nella stesura finale contraddi-
stinguono la Seconda, la Terza, la Quarta, la Quinta, la Sesta, la Settima, lOtta-
va e la Decima giornata Boccaccio aveva di fronte a s due strade: o inven-
tarne appositamente altre due, onde rendere larchitettura assolutamente per-
fetta, eventualmente espungendo dal Libro tutte quelle novelle che non qua-
drassero con un disegno totalmente rigido; oppure adeguarsi a quello che era
stato il flusso spontaneo della sua ispirazione, rinunciando a incatenare anche
le ultime due giornate, la Prima e la Nona, alle altre.
pur vero che, nella Introduzione alla Nona Giornata, Boccaccio, per bocca
della regina Emilia, giustifica la libert tematica, che in essa viene praticata, con
il doppio argomento retorico, secondo cui da una parte piacevole esser liberi,
quando troppo a lungo si stati sottoposti ad una regola, e dallaltra la variet
delle cose che si diranno non meno graziosa ne fia che lavere pur di una parla-
to (IX, Intr., 5). Ci si pu chiedere, per, se non si tratti anche in questo caso di
una di quelle finzioni, di cui il Boccaccio non di rado si serve per sanzionare un
evento narrativo una volta che questo si sia verificato: tanto pi che un esame at-
tento delle novelle contenute nelle Giornate Prima e Nona porta a scoprire an-
che in esse il sovrapporsi, lo stratificarsi e lintrecciarsi di momenti diversi della
ricerca narrativa, unificati solo a posteriori dallespediente retorico della li-
bert e variet inventiva.
1.3.1. Il problema delle novelle libere. grande merito della genialit nar-
rativa del Boccaccio (uno dei tanti) aver tralasciato la prima strada come, proba-
bilmente, troppo artificiale e aver di conseguenza travasato nel Libro una serie
di novelle, che non avevano trovato posto nelle otto giornate pi limpidamente
tematizzate (novelle, che si pu supporre siano state anchesse e forse a miglior
ragione concepite e almeno in parte scritte prima e indipendentemente dalle-
laborazione di una cornice).
Queste novelle libere sono di due tipi: o non appartengono a nessuna del-
le tematiche enunciate nelle rubriche delle altre otto giornate; oppure, pur ap-
partenendovi, esorbitano dal numero di dieci, che ciascuna delle giornate con-
sente di raccogliere. La Prima e la Nona Giornata risultano, dunque, dalla som-
ma di questi due tipi generalissimi.
Se poi se ne tentasse una sia pur rapida recensio, per capire meglio come do-
veva funzionare la mentalit classificatoria e ordinatrice del Boccaccio, ci si ac-
corgerebbe che di queste venti novelle ben otto (di sicuro I, 4, 5, 6, 8 e 9 e IX, 2;
con contaminazioni varie anche I, 7 e 10) sono riconducibili al tipo della novel-
la di motto, che informa di s tutta la Sesta Giornata, e altre quattro (IX, I, 3, 5
Letteratura italiana Einaudi
13
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
e 8) al tipo della novella di beffa, che informa di s la Settima e la Ottava Gior-
nata (ma queste della Nona costituiscono una trasparente e in taluni casi dichia-
rata ripresa soprattutto delle novelle della Ottava).
Pur tenendo conto che ai tipi puri nella novellistica decameroniana sac-
compagnano spesso tipi contaminati, ossia non riconducibili interamente ad
un solo schema di base, qualche interesse potrebbe costituire lanalisi delle sole
otto novelle che, a conti fatti, nel Decameron sembrerebbero non rispondere ad
uno qualsiasi dei temi elencati nelle rubriche delle otto giornate, che, come ab-
biamo detto, risultano legate alla dimostrazione di pur una delle cose
possibili.
Si tratta di: I, 1 (ser Ciappelletto); I, 2 (Abraam giudeo); I, 3 (Melchisedech
giudeo); IX, 4 (Cecco Angiolieri e Cecco di messer Fortarrigo); IX, 6 (due gio-
vani albergano con uno [...]); IX, 7 (Talano di Imola); IX, 9 (due giovani do-
mandan consiglio a Salamone); IX, 10 (donno Gianni).
La prima cosa che si pu dire, di fronte a questo gruppo di novelle, che es-
so non rivela nessuna logica interna complessiva. Oltretutto, usando il metro
della contaminazione, non c dubbio che I, 2 e I, 3 potrebbero essere anchesse
apparentate al tipo della novella di motto e IX, 4 e IX, 10 al tipo della no-
vella di beffa, anche se con difformit rilevanti. altrettanto vero, infatti, che in
ambedue i casi il motivo topico sovrastato da un altro motivo pi dominante,
di cui in qualche modo diventa funzione: per esempio, il senso etico-religioso
della vicenda in I, 2 e I, 3, la bizzarria imperscrutabile e un po folle di Cecco di
messer Fortarrigo in IX, 4, il prepotente desiderio sessuale del protagonista in
IX, 10.
Tenendo conto di queste osservazioni e di questi limiti, si potrebbe dire che
le otto novelle disegnano assai embrionalmente alcuni percorsi di ricerca narrati-
va, che, per vari motivi, Boccaccio non ha sviluppato fino in fondo oppure ha
preferito, talvolta, subordinare al motivo topico dominante nelle otto giornate
tematizzate, e che invece resta qui libero di muoversi entro orizzonti narrativi
pi flessibili e aperti.
Cos, non sembra dubbio che in I, 1, I, 2 e I, 3 Boccaccio abbia voluto ten-
tare una narrativa impiantata su di una precisa polemica ideologico-religiosa,
che ha le sue radici nella pratica dellexemplum ma che qui viene rifunzionaliz-
zata in chiave modernissima (essa avr sviluppi anche nelle giornate successive,
ma con tonalit prevalentemente pratiche, di costume, sotto la specie, il pi del-
le volte, della polemica antifratesca e antiecclesiastica: mentre in queste tre no-
velle siamo di fronte ad un tentativo di esporre una posizione molto pi organi-
ca e di pensiero, sebbene sempre, com ovvio, attraverso il filtro della metafora
narrativa).
Letteratura italiana Einaudi
14
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Di IX, 7 e IX, 9 si potr dire che rappresentano delle riprese quasi letterali
del genere dellexemplum, soprattutto la prima, vera e propria testimonianza di
moralit di impronta medievale, singolare reperto anche dal punto di vista nar-
rativo, che mescola insieme frammenti di cultura antropologica e folklorica con la
ripetizione di temi tradizionali, anzi antichissimi
13
: non a caso, forse, le due no-
velle sono accomunate dal motivo della intrattabilit e bisbeticit delle donne,
che in Boccaccio costituisce, come vedremo, il residuo di una vecchia cultura.
Pi arduo il ragionamento su IX, 4, IX, 6 e IX, 10, e cio le novelle di Cecco
Angiolieri e Cecco di messer Fortarrigo, dei due giovani che si trovano a pernot-
tare nella locanda di Pian di Mugnone e del donno Gianni e compar Pietro (pi
in generale, si potr dire che lintera Nona Giornata ha un accentuato carattere
sperimentale assai pi, per intenderci, della Prima).
Sia pure con molta prudenza, si direbbe che Boccaccio in esse svincoli le-
ventuale motivo topico (la beffa in IX, 4; lacquisto di una cosa disiderata in
IX, 6 e IX, 10) da un utilizzo troppo rigoroso e formale, per abbandonarsi al pia-
cere di un gioco narrativo, che sovrasta in s la considerazione degli obiettivi e dei
risultati dellazione. caratteristico come in esse piacere e dolore, sconfitta e vit-
toria si mescolino nei diversi protagonisti in maniera stretta e indistricabile, fino a
raggiungere un acme narrativo in quella IX, 6 che risolve in un vero e proprio
prodigio geometrico labituale attenzione allo svolgimento dei casi di fortuna. Na-
turalmente non voglio dire che questi tre, per quanto bellissimi e forse troppo po-
co apprezzati, siano i racconti pi riusciti del Decameron. Voglio dire che in essi
Boccaccio esce dalla gabbia, sia pure elevatissima, della catalogazione topica, e,
andando del tutto al di l di ogni pregiudizio dimostrativo, che forse sopravvive
pressoch in ognuna delle altre novelle, prefigura pi apertamente forme e indi-
rizzi del racconto moderno.
La conclusione di questa parte del discorso potrebbe essere che, mentre
giusto e ragionevolissimo considerare il Decameron nella sua forma geniale, armo-
nica e perfetta, di Libro, cos non sarebbe altrettanto corretto dimenticare che in
esso confluiscono filoni di ricerca molteplici, un vero e proprio laboratorio di
sperimentalismo narrativo, nel quale Boccaccio mette in campo e fa giostrare op-
zioni anche molto diverse fra loro, alcune delle quali egli persegue fino in fondo,
arrivando a sistematizzarle nei motivi topici delle giornate, fermandosi in altri ca-
si su sentieri abbandonati poco dopo averli imboccati. Ma su questo torneremo
pi avanti.
Letteratura italiana Einaudi
15
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
13
Sulla tradizione dellexemplum cfr. C. DELCORNO, Exemplum e letteratura tra Medioevo e Rinascimento, Bo-
logna 1989, e particolarmente il saggio Metamorfosi boccacciane dellexemplum (1985-1986), pp. 265-94, che sotto-
pone ad analisi, oltre che certi aspetti della novella di ser Ciappelletto (I, 1), soprattutto la novella di Ferondo (III, 8).
2. Storia e fortuna del testo.
2.1.La diffusione nel suo tempo.
Riassumer molto brevemente i principali elementi di fortuna e storia del testo,
anche perch ne esistono trattazioni eccellenti e anche facilmente accessibili
14
.
lecito supporre in base allesperienza testimoniata dal codice Hamilton
90 della Staatsbibliothek di Berlino che la prima diffusione del Decameron sia
da attribuirsi a copie manoscritte dallo stesso autore di singole novelle e giornate
o di copie intere del libro. Tale diffusione avvenne, naturalmente, soprattutto al-
linterno di quellambiente mercantesco e finanziario fiorentino, che per tanti ver-
si era una fonte e al tempo stesso un destinatario privilegiato della narrativa boc-
cacciana. A testimonianza di questa precoce e calda passione, Vittore Branca, gi
sono molti anni, pubblic una lettera di Francesco Buondelmonti, nipote e agen-
te del Gran Siniscalco del Re di Napoli Nicola Acciaiuoli, da due mesi arcivesco-
vo di Patrasso:
Domine Reverende, echo che Monte Belandi scrive a la mogle che vi dia il libro de le
novelle di messer Giovanni Bocacci, il quale libro mio, s che vi priego quantum pos-
sum che ve lo faciate donare. E se larcivescovo di Napoli non partito vi priego il man-
diate per lui, cio per li suoi camerieri, e che non lo desse n a messer n a nullo se non
a me. E se lo arcivescovo partito fatelomi dare a Cenni Bardella: lo mi mandi a LA-
quila o a Sermona o voi me lo mandate per chi pare a voi che venga in mia mano: e
guardate non venga a mano a messer Neri perch non lavrei. Io il fo dare a voi perch
mi fido pi che di nullo altro e llo troppo caro, e guardate di non prestarlo a nullo per-
ch molti ne sareno malcortesi. Ancora vi voglio pregare che mi faceste cercare duna
cronica di Giovanni Villani che sia bella e costi che vuole: io dar i danari a Napoli o
manderolivi di presente e scriver cost sieno pagati. Messer e tutti noi stiamo bene. Io
me ne vo domane a Napoli: priegovi che non ve dimentichiate di scriverne. Quanto
luomo pi gra[n]de pi si de umiliare e non insuperbire, cos dico a voi cu[n] rive-
renzia sancta. Ancona d XIII di luglo Francesco Bondelmonti.
(nel rovescio) e guardatevi del libro mio di prestarlo a ser Nicol, per chegli vi sar
ladro. (e per traverso) Domino meo domino Archiepiscopo Patratensi
15
.
14
La maggior parte dei saggi dedicati allargomento da Vittore Branca sono ora confluiti in Tradizione delle ope-
re cit.: particolarmente importanti, ai fini del nostro discorso, quelli raccolti in Tradizione del testo del Decameron,
pp. 71-474, che comprende sia le Testimonianze manoscritte, sia La prima diffusione, sia Lautografo, sia lelenco delle
stampe fino alla prima parte del secolo XIX, ecc. Importanti anche i saggi raccolti in P. G. RICCI, Studi sulla vita e le
opere del Boccaccio, Milano-Napoli 1985. Uneccellente sintesi di tutta la questione, con bibliografia relativa, si pu
trovare nel capitolo boccacciano del saggio di C. BOLOGNA, Tradizione testuale e fortuna dei classici cit., pp. 648-63.
SullHamilton 90 cfr. A. PETRUCCI, Il ms. Berlinese Hamiltoniano 90. Note codicologicbe e paleografiche, in G. BOC-
CACCIO, Decameron, edizione diplomatico-interpretativa dellautografo Hamilton 90, a cura di Ch. S. Singleton,
Baltimore Md. -London 1974, pp. 647-61. Sulla fortuna del Decameron attraverso i tempi cfr. A. TARTARO, Boccac-
cio, Palermo 1981.
15
Cfr. F. BUONDELMONTI, Lettera a Giovanni Acciaiuoli del 13 luglio 1360, citata in V. BRANCA, Tradi-
zione del testo del Decameron cit., pp. 163-64.
Letteratura italiana Einaudi
16
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Si tratta di un documento di straordinaria eloquenza, che mette in luce, nella
maniera pi spontanea ed immediata, il rapporto subito stabilitosi fra lautore e
questo suo pubblico. Ma la popolarit del Decameron, che in qualche modo ri-
prendeva e ampliava quella di cui aveva goduto a suo tempo la Divina Commedia,
non impediva allopera di avere udienza anche presso ambienti intellettualmente
pi elevati. Il nome di Dante non stato fatto a caso. Infatti, come nel caso della
Commedia, anche nei confronti del Decameron, ad essere arbitro di gusto e di at-
teggiamenti fu il maestro di tutti i letterati del tempo, Francesco Petrarca, sempre
un po ambiguamente oscillante tra la sincera ammirazione per le buone cose an-
che volgari e la sua umanistica schifiltosit.
Con la data del 4 giugno 1373, ma risalente probabilmente ai primi mesi del me-
desimo anno, abbiamo una lettera di Petrarca a Boccaccio, destinata significativa-
mente a chiudere la raccolta delle Seniles, in cui il grande amico e maestro prodigo
di elogi nei confronti dellopera del minor confratello, pur ammettendo di non aver-
ne, a distanza di anni dalla prima lettura, un ricordo molto circostanziato e preciso
16
.
Non si pu ignorare limportanza di questo documento, se si pensa che esso fa
da prologo alla traduzione petrarchesca della novella di Griselda (X, 10), che, fra
tutte, era quella che aveva colpito pi favorevolmente i sentimenti e il gusto lette-
rario di Francesco (e, del resto, che Petrarca si accingesse ad un esercizio del tutto
insolito come quello rappresentato dalla versione in latino di un testo moderno
volgare, testimonianza dellamicizia sincera che legava i due personaggi e al tem-
po stesso della stima di Petrarca per linsolita posizione letteraria del Boccaccio,
stima superiore forse a quanto si pu pensare se si resta al confronto dei puri dati
culturali che rispettivamente li caratterizzano). La sanzione petrarchesca, non me-
no delleccezionale fortuna del rifacimento latino della Griselda sia in Italia sia, so-
prattutto, in Europa
17
, garant il Decameron anche sul versante colto e intellet-
tuale dei suoi potenziali lettori, sebbene, come s detto, la sua fortuna simpones-
se soprattutto fra il pubblico medio-colto della borghesia comunale del tempo.
2.2.Elementi di fortuna critica.
Questa ampia e fortunata diffusione conobbe un calo nel corso del Quattrocento
in coincidenza con lemergere dei modelli umanistici, che non potevano non eser-
citare nei confronti del grande esperimento di narrativa volgare del Decameron il
16
Cfr. F. PETRARCA, Epistole, a cura di U. Dotti, Torino 1978, pp. 842-44. A questo proposito cfr. V. BRAN-
CA, Tradizione del testo del Decameron cit., pp. 169-72. Del testo della traduzione petrarchesca della Griselda si pu
consultare ora unedizioncina a cura di L. C. Rossi, Palermo 1991, con il testo boccacciano a fronte.
17
Cfr. Atti del Convegno di studi (LAquila, 3-4 dicembre 1986) su: La circolazione dei temi e degli intrecci narra-
tivi: il caso Griselda, a cura di R. Morabito, LAquila-Roma 1988. Sul medesimo tema cfr. R. MORABITO, La diffu-
sione della storia di Griselda dal XIV al XX secolo, in Studi sul Boccaccio, XVII (1988), pp. 237-85.
Letteratura italiana Einaudi
17
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
medesimo pregiudizio che verso gli altri grandi esemplari volgari della sua epoca;
per riemergere con prepotenza allinizio del XVI secolo, dopo che Pietro Bembo
nelle Prose della volgar lingua aveva affiancato al Petrarca dei Rerum vulgarium
fragmenta, maestro insuperabile di poesia lirica, il Boccaccio del Decameron come
maestro di prosa narrativa e di eleganza formale e stilistica
18
. Tutta la novellistica
italiana del Cinquecento ne risulta ispirata con varianti per assai forti fino al-
lesperienza estrema degli Ecatommiti del Giraldi Cinzio, che trasferiscono in un
incipiente clima controriformistico la solare lezione del grande fiorentino. Ma, in-
tanto, il modello boccacciano era dilagato in campo europeo, toccando con i Can-
terbury Tales di Geoffrey Chaucer e lEptameron di Margherita di Navarra i due
vertici, uno in lingua inglese e laltro in lingua francese, di un estesissimo fenome-
no di assimilazione e di imitazione, che appare tuttavia troppo autonomo e creati-
vo per non doversi spiegare con leccezionale richiamo ad alcune comuni radici
della pi profonda antropologia culturale europea.
Nel Seicento comincia il declino del Decameron come modello imitabile, per
quanto la narrativa, ed in particolare la novellistica di quel secolo, sia difficilmen-
te comprensibile senza il riferimento a questo potente ed anche sempre pi in-
gombrante archetipo; finch nellOttocento, intrecciati ai resti di un lungo e
straordinario amore (si pensi, ancora, al Discorso storico sul testo del Decamerone
[1825] di Ugo Foscolo), si levano sempre pi pugnaci e intolleranti le polemiche
contro il boccaccismo, inteso esattamente come lesasperazione oltre tempo e
oltre misura dellesperimento linguistico e stilistico tentato da Boccaccio in dire-
zione di unampia ed alta dignit della prosa narrativa, e divenuto negli imitatori
pura forma, esercizio retorico vuoto e sterile: anche qui accomunato, in una cop-
pia indissolubile nel bene come nel male, con il petrarchismo, altra croce e de-
lizia della tradizione letteraria italiana di tutti i tempi.
In fondo, a questa versione riduttiva del capolavoro di Boccaccio non si sot-
trae neanche Francesco De Sanctis nel capitolo a lui dedicato della Storia della let-
teratura italiana, sebbene egli le contrapponga quella sua messa in risalto del rea-
lismo e del comico, che, sia pure tra molti limiti ed incertezze, connoterebbe-
ro quellopera, aprendo la strada ad una visione compiutamente laica del mondo
e dei rapporti umani.
Con il Novecento, superata la fase delle letture stricto sensu crociane, si apre
un lungo lavorio inteso soprattutto a restituire Boccaccio e il Decameron ad una
dimensione storico-culturale circostanziata e precisa, reagendo sia alle liquidazio-
ni estetico-formalistiche sia alladozione di grandi schemi interpretativi dordine
18
Su questo punto, cfr. in questo volume il saggio di Mirko Tavoni sulle Prose della volgar lingua di Pietro Bem-
bo, pp. 1065-88.
Letteratura italiana Einaudi
18
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
ideologico, spesso, come abbiamo detto, riduttivi (medievale contra umanistico,
moderno contra antico, ecc. ). I risultati migliori di questo lavorio sono da indivi-
duare sia nelle pagine, acute e prefiguratrici, di un Ernesto Giacomo Parodi, sia
nel capitolo di Natalino Sapegno nel Trecento Vallardiano, sia nei vari saggi de-
dicati da Salvatore Battaglia alle fonti, alle anticipazioni, alla storia e allo svilup-
po dellesperienza boccacciana, sia allimpegno di tutta una vita di Vittore Bran-
ca, il cui Boccaccio medievale (Firenze 1956) costituisce senza dubbio una tappa
fondamentale negli studi sul nostro autore. Importanti anche i risultati consegui-
ti da una scuola formata da amici e allievi del Branca (P. G. Ricci, G. Padoan, A.
Balduino, M. Pastore Stocchi), che ha ampliato e precisato un tessuto ricchissi-
mo di proposte filologiche, il quale costituisce di per s unacquisizione preziosa
per una migliore conoscenza dellautore e dei suoi testi (per questo aspetto, es-
senziali anche i contributi anticipatori di M. Barbi e quelli pi recenti di G. Bil-
lanovich). E contributi importanti alla comprensione della modernit e del
realismo boccacciani hanno portato critici come G. Petronio, M. Baratto e C.
Muscetta. Ma per tutto questo rimandiamo alla lettura della Nota bibliografica
(sezione VI).
2.3.La tradizione manoscritta.
La tradizione manoscritta del Decameron segue abbastanza fedelmente il percor-
so della sua fortuna critica. Come ricorda Branca, lampia diffusione del capola-
voro presso i lettori non professionisti della classe alta, mercantile e finanziaria,
ebbe come corrispettivo la pressoch totale assenza del testo nelle librerie pi
ricche, pi cospicue, pi autorevoli di quegli anni: I possessori che hanno la-
sciato una qualche traccia in tali manoscritti appartengono quasi sempre agli am-
bienti borghesi, mercantili e finanziari e analogamente i copisti sono del tutto oc-
casionali, persone delle pi diverse condizioni e professioni che si son fatti scriva-
ni, si sono adattati al paziente lungo lavoro per soddisfare un desiderio personale,
per avere sempre con s quel testo di moda, appassionante e amatissimo
19
.
Questa particolarissima forma della diffusione e della trasmissione si riflette
sia sulla vastit del patrimonio manoscritto (lultima recensio del Branca ha con-
sentito di individuare 103 codici del Decameron, oltre a unottantina di perduti)
20
,
sia sulle particolari difficolt nello stabilire attraverso i secoli la pi esatta lezione
del testo (almeno fino alla scoperta dellautografia dellHamilton 90), anche te-
nendo conto del fatto che Boccaccio non ha lasciato quasi nessuna traccia di quel-
19
V. BRANCA, Tradizione del testo del Decameron cit., p. 194.
20
Cfr. ibid., cap. 1, Testimonianze manoscritte, pp. 73-146. Cfr. anche G. AUZZAS, I codici autografi. Elenco e
Letteratura italiana Einaudi
19
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
le approssimazioni alla stesura finale e di quellinesausto lavorio di varianti, per i
quali invece, com noto, i codici di Petrarca si distinguono.
Fino al Cinquecento ebbe autorit pressoch assoluta, tanto da essere defini-
to lOttimo, un codice del 1384, di mano di un Francesco di Amaretto Mannel-
li, oggi conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze (cod. Pluteo XLII, 1),
di cui lHamilton 90 sarebbe stato un antigrafo. Sebbene ci siano indizi che il
Mannelli fosse di condizione ecclesiastica e gravitante tra Firenze e Padova, lam-
biente famigliare e la probabile destinazione del codice (richiamata esplicitamen-
te dal copista nellexplicit dellopera) lo riportano allambito di circolazione
schiettamente fiorentina e mercantesca in precedenza richiamato
21
.
2.4 Le edizioni a stampa
La pi antica edizione a stampa quella detta Deo Gratias, senza data, presumi-
bilmente anteriore anche alla prima datata, quella di Cristoforo Valdarfer (Vene-
zia 1471). I Deputati alla correzione del Decameron (di cui parliamo pi sotto) la
lodarono, chiamandola il Secondo, e cio quella migliore dopo il Mannelli. Gi
nel secolo scorso se ne era ravvisata lindipendenza rispetto alla tradizione atte-
stata dal Mannelli. Una troppo diretta derivazione dallHamilton 90, da taluni fi-
lologi sostenuta, non regge tuttavia ad un confronto approfondito tra le due ste-
sure, mentre pi ragionevole supporre che la prima sia strettamente ma sempli-
cemente affine alla seconda
22
.
Nel 1527 apparve a Firenze unedizione per li heredi di Philippo di Giun-
ta, da alcuni nostri giovani nobili e virtuosi con gran diligenza e non minor giu-
dizio corretta, che i Deputati definirono pianta di tutto ledificio, fondamen-
to sul quale cresciuta questa nostra fabbrica
23
. Essa basata fondamentalmen-
te su testimonianze affini al Mannelli e allHamilton 90, oggi perdute (probabil-
mente, un manoscritto dei Cavalcanti e un codice di Giannozzo Manetti).
Verso la fine di questo secolo si manifestano, e convergono paradossalmente
insieme, due diversissime esigenze (a cui forse ne va aggiunta una terza). In primo
luogo, il dispiegamento di un pieno clima postconciliare imponeva a tutti, anche
ai ceti colti laici, che ne erano stati per pi di due secoli i gelosi depositari e cu-
stodi, la presa datto che unopera come il Decameron infrangeva con grande spre-
giudicatezza una serie di tab morali e religiosi, che invece, dopo uneclissi di
qualche secolo, stavano riassumendo unautorit inconfutabile e indiscutibile, so-
prattutto tenendo conto che essi avevano dalla loro parte la forza non solo teorica
bibliografia, in Studi sul Boccaccio, VII (1973), pp. 1-20.
21
Cfr. V. BRANCA, Tradizione del testo del Decameron cit., pp. 196 sgg. e nota 96.
22
Cfr. ibid., pp. 267 sgg.
Letteratura italiana Einaudi
20
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
dellInquisizione romana; in secondo luogo, la diffusione delle procedure di
stampa aveva prodotto, con il moltiplicarsi delle edizioni, anche guasti crescenti
al testo di volta in volta presentato, fino alle vere e proprie sconciature del Dolce
e del Ruscelli. Cera dunque bisogno contemporaneamente di una nuova edizione
purgata dal punto di vista etico-religioso e di una nuova edizione purgata dal
punto di vista filologico e testuale
24
. Questa duplice esigenza si fonde in ununica
operazione in virt del nazionalismo culturale fiorentino, che rivendic a s il di-
ritto-dovere di accorarsi ambedue le purgazioni e di accomunarle in un unico
risultato. Quando nel 1570 giunge al Granduca di Toscana Cosimo la notizia di
un tentativo romano di stampa purgata del Decameron, egli interviene a Roma
sul Protonotaro, accampando i diritti di Firenze, anche in considerazione del fat-
to che le maggiori sconciature del testo, cui abbiamo fatto riferimento, erano sta-
te compiute nelle malfamate e concorrenti tipografie veneziane. Lincarico di pro-
cedere alla rassettatura fu affidato ad un gruppo di Deputati (sintende, del
Granduca), in cui spiccava la figura dellerudito Vincenzio Borghini, appassiona-
to custode della tradizione fiorentina, che probabilmente se ne assunse la respon-
sabilit per evitare che, in assenza di espurgazione, il Decameron fosse pura-
mente e semplicemente proibito.
I Deputati, per bocca di Vincenzio Borghini, dichiarano di aver tenuto pre-
senti, nella loro rassettatura, oltre la Giuntina del 27, anche vari codici antichi,
fra cui occupa un posto preminente quello del Mannelli (il che contribu non po-
co a consolidare lautorit di questo riferimento presso gli editori futuri, almeno
fino a quando il Tobler nel 1887 richiam lattenzione sullo Hamilton 90, soste-
nendo che il Berlinese era lantigrafo diretto dal Mannelli). Le ricerche dei filolo-
gi moderni, e in particolare del Branca, hanno tuttavia portato a concludere che
non sempre il Mannelli risulta la fonte delle correzioni apportate dai Deputati e
che questi, probabilmente, si servirono di codici oggi perduti e non sempre bene
identificabili.
Latto vero e proprio della censura sul testo decameroniano non era tuttavia
compiuto a Firenze, ma a Roma, dove lo stesso Maestro di Sacro Palazzo, il do-
menicano Tomaso Manrique, postillava, cancellava e correggeva le parti che fos-
sero moralmente sospette. Come ha scritto al proposito Raul Mordenti: La divi-
sione dei ruoli era tracciata chiaramente: al Manrique e allInquisizione romana
spettava direttamente la censura vera e propria, mentre la specializzazione (in
23
Ibid., p. 307.
24
Cfr. ibid., pp. 317-22. Ma su questo punto cfr. soprattutto R. MORDENTI, Le due censure: la collazione dei
testi del Decameron rassettati da Vincenzo Borghini e Lionardo Salviati, in AA. VV., Le pouvoir et la plume. Incita-
tion, contrle et rpression dans lItalie du XVI
e
sicle. Actes du colloque international, Paris 1982, pp. 253-73; ID., Per
unanalisi dei testi censurati: strategia testuale e impianto ecdotico della rassettatura di Lionardo Salviati, in FM. An-
Letteratura italiana Einaudi
21
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
questo caso linguistica e filologica) si costituiva come il luogo residuo, ghetto e ri-
fugio insieme, dellautonomia intellettuale
25
.
Il frutto finale di questo vero e proprio mostro della cultura italiana del
tempo fu una seconda edizione giuntina, che a quarantacinque anni dalla prima la
rimpiazzava con i crismi di tutte le possibili autorit (politica, intellettuale, reli-
giosa). Il titolo completo dellopera, che ben riassume i diversi apporti alla cor-
rezione, : Il Decameron di messer Giovanni Boccacci cittadino fiorentino. Ricor-
retto in Roma, et Emendato secondo lordine del Sacro Conc. di Trento. Et riscon-
trato in Firenze con testi antichi et alla sua vera lezione ridotto dai Deputati di loro
Alt. Ser. (Giunti, Firenze 1573).
Questo testo, nonostante la sua autorevolezza, non dovette soddisfare del tut-
to la volont censoria di Roma, se di l a poco, ad opera di un nobiluomo fiorenti-
no, Leonardo Salviati, uno dei fondatori dellAccademia della Crusca, il quale
tuttavia si giov pressoch integralmente del lavorio filologico compiuto dai De-
putati, ne apparve una nuova edizione, molto simile a quella precedente e an-
chessa stampata presso Giunti (in Venezia, per li Giunti di Firenze, 1582), che
ebbe una fortuna incomparabilmente superiore a quella precedente (una dozzina
di ristampe, fino al 1638).
Secondo Mordenti, con ogni evidenza il Decameron di Salviati, e non quel-
lo di Borghini, il Decameron dellet della Controriforma
26
. Il punto di distinzio-
ne fra le due operazioni costituito esattamente dalla qualit e dalle dimensioni
della censura operata sul testo: Potremmo cercare di riassumere la differenza
principale riscontrata fra le due censure del Decameron dicendo che, mentre Bor-
ghini si limita a tagliare, Salviati invece modifica, o, pi precisamente, che mentre
il primo interviene solo sul testo, il secondo censura invece la lettura (e dunque in-
terviene anche sul lettore)
27
.
Vale la pena di osservare che, in ambedue i casi, la censura si appunt, pi
che sugli aspetti erotici e licenziosi del libro, sugli aspetti di pi dichiarata pole-
mica antiecclesiastica e antifratesca. In questo modo, il Decameron, ridotto a libro
di piacevole ed innocente intrattenimento, fu noto a pi e pi generazioni di let-
tori, mentre dal punto di vista filologico e testuale si rafforzava lautorit del co-
dice Mannelli, sanzionata infine dalledizione diplomatica del manoscritto esegui-
ta a Lucca nel 1761, soprattutto per le cure dei fiorentini A. M. Bandini e P. A.
Guadagni. Da allora, e per circa un secolo, le edizioni del Decameron ricalcarono
pedissequamente le orme del Mannelli.
nali dellIstituto di filologia moderna dellUniversit di Roma, I (1982), pp. 7-51.
25
ID., Le due censure cit., pp. 256-57.
26
Ibid., p. 260.
Letteratura italiana Einaudi
22
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Nel 1857 Pietro Fanfani, pubblicando a Firenze unedizione del Decameron,
metteva in luce nella prefazione la fallacia e linfondatezza di molte delle leggende
accumulatesi sul conto del Mannelli e della sua presunta amicizia con Boccaccio,
ma confermava poi in pratica la supremazia dellOttimo: in questo modo si riba-
diva lautorit del testo, che sarebbe stato riprodotto in tante edizioni fino a No-
vecento inoltrato.
2.5.LHamilton 90.
Come ho gi ricordato, soltanto gli studi di A. Tobler e poi di O. Hecker sul co-
dice berlinese Hamilton 90 hanno il potere di rimettere seriamente in discussione
lautorit indiscussa del Mannelli, anche se allinizio lipotesi dellautografia, timi-
damente affacciato, viene subito revocata. Fin dal principio, gli studiosi di questo
codice si sono divisi tra coloro che hanno sostenuto una discendenza diretta del
Mannelli dal Berlinese (oltre allo stesso Hecker, Massera, Chiari, Sampoli-Simo-
nelli, Singleton) e coloro che hanno sostenuto la tesi della collateralit, pur nella
stretta affinit dei due codici (Hauvette, Barbi, Ricci, Quaglio, Branca, con qual-
che ripensamento lAgeno).
Nel 1927 il Massera, sostituendo, per dirla con il Branca, al feticismo verso il
Mannelli il feticismo verso il Berlinese, pubblic la sua edizione del Decameron
per gli Scrittori dItalia Laterza, ricorrendo qua e l, nel caso di lacune o in-
certezze, a lezioni del solo Mannelli, considerandole non quali testimonianze
autentiche, ma accettandole soltanto come felici supplementi congetturali del
trascrittore
28
.
Nel frattempo si dipana il filo abbastanza misterioso della scoperta dellauto-
grafia del berlinese Hamilton 90: intuita gi dal Barbi nel 1936, annunciata dal
Chiari nel 1948 ma in un contesto scarsamente scientifico e senza esibizione di
prove
29
, fu appurata in una serie di studi successivi senza pi ombra di dubbi da
Vittore Branca e da Pier Giorgio Ricci (1962) e convalidata da unautorit in cam-
po paleografico del calibro di Armando Petrucci
30
.
Su questo riconoscimento Vittore Branca ha fondato la propria edizione
critica del Decameron, apparsa per la prima volta nel 1976 nei Testi dellAcca-
demia della Crusca e ristampata pi volte, fino alla pi recente riedizione per
Einaudi, suffragata questultima da un ampio commento storico-culturale, filo-
logico e interpretativo. Per le parti mancanti nellautografo (Proemio e Introdu-
27
Ibid., pp. 263-64.
28
V. BRANCA, Tradizione del testo del Decameron cit., p. 326.
29
Cfr. ibid., p. 478.
Letteratura italiana Einaudi
23
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
zione 1-15; VII, 1, 16 - VII, 9, 32; IX, 10, 12; X, 8, 50), anche Branca ricorre
fondamentalmente al manoscritto esemplato dal Mannelli.
La comparsa nel 1955 di unaltra edizione critica condotta con criteri e orien-
tamenti sostanzialmente diversi ad opera di Charles S. Singleton, che rimpiazzava
quella del Massera nella collezione laterziana degli Scrittori dItalia, e, successi-
vamente, di unedizione diplomatica dellHamilton 90 sempre a cura di Single-
ton, con la collaborazione di Franca Petrucci, Armando Petrucci, Giancarlo Savi-
nio e Martino Mardersteig, ha dato luogo a furibonde ed eccessive polemiche, sia
sui criteri di collazione e utilizzo dei codici, sia sullopportunit stessa, ai giorni
nostri, di fornire unedizione diplomatica di un testo quando ne sia gi disponibi-
le una critica
31
(ma, per la verit, ledizione diplomatica era apparsa nel 1974,
mentre quella critica a cura di Branca doveva apparire soltanto due anni dopo;
pur vero, al tempo stesso, che della prossima pubblicazione di tale edizione criti-
ca erano stati dati segnali assai frequenti e inconfondibili negli anni immediata-
mente precedenti).
Allo stato attuale delle cose, non c ombra di dubbio che ledizione Branca
presenti i caratteri pi rassicuranti e obiettivi dal punto di vista filologico e te-
stuale. Lautografia del manoscritto, sulla quale essa si fonda, costituisce ovvia-
mente una garanzia difficilmente contestabile della sua attendibilit
32
. Si tratta di
una copia che il Boccaccio stesso, nel suo ritiro certaldese, avrebbe realizzato del
Decameron intorno al 1370-72, in unelegante semigotica libraria: il formato del li-
bro, laccuratezza della trascrizione, anche se dopo una prima fase di lavoro pi
sicuro e continuativo limpegno scrittorio del Boccaccio sembra decadere, la
presenza di alcuni deliziosi disegnini colorati, di pugno dellautore (tredici, per
lesattezza), che si riferiscono al testo della novella di cui si tratta nella facciata
stessa, lasciano supporre che il Boccaccio avesse intenzione, almeno allinizio del-
la sua impresa, di farne un dono a qualcuna delle pi cospicue famiglie dei suoi
corrispondenti o amici. Di sicuro, questo lavoro, affrontato dal Boccaccio nel pie-
no della senilit e pochi anni prima della sua morte, testimonia il suo attaccamen-
to al capolavoro elaborato e scritto pi di ventanni prima; ed motivo di com-
mozione pensare che il testo, che comunemente oggi si legge a stampa nelledizio-
ne del Branca, riproduca in maniera sostanzialmente fedele il frutto delle cure
amorevoli di quel grande letterato avviato al tramonto.
Di fronte allesistenza di un autografo cos completo ed attendibile del tut-
to chiaro che unedizione critica non possa che fondarsi su di esso: in questo sen-
30
Cfr. A. PETRUCCI, Il ms. Berlinese Hamiltoniano 90 cit.; ID., Il libro manoscritto, in Letteratura italiana, di-
retta da A. Asor Rosa, II. Produzione e consumo, Torino 1983, pp. 514-16.
Letteratura italiana Einaudi
24
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
so la scelta compiuta da Vittore Branca del tutto ragionevole e condivisibile.
Ma essa non elimina del tutto il problema. Le discordanze esistenti fra il Berli-
nese e altri autorevoli codici come il Mannelli o, anche, particolarmente rimar-
chevole, il Parigino It. 482 della Bibliothque Nationale di Parigi, inducono a
ritenere possibile quello che del resto molti filologi hanno gi rilevato, e cio le-
sistenza di numerosi codici autografi, che hanno avuto esistenza e storia indi-
pendenti, fino a suggerire lipotesi, ben riassunta da Corrado Bologna, che [...]
piuttosto che di differenti e successive redazioni di un testo si debba parlare di
una sequenza di riscrizioni dautore
33
. Del resto, Bologna ricorda anche, a so-
stegno della propria tesi, che lo stesso Branca, nei contributi pi recenti, suc-
cessivi alledizione critica del 76, attribuisce unimportanza sempre pi grande
al Parigino, che anchegli ritiene (al pari del suo stretto affine Laur. plut.
XLII. 3) disceso da un antigrafo indipendente e parallelo a quello del Berli-
nese e del Mannelli, e perci da guardare con sommo rispetto, come una delle
testimonianze [...] decisive per la costituzione del testo critico del libro boc-
cacciano
34
. Se si tiene presente che la data di stesura del codice Mannelli , co-
me abbiamo gi ricordato, il 1384, e che, ad esempio, il Parigino It. 482 opera
degli anni giovanili di un Giovanni di Agnolo Capponi, risalente presumibil-
mente agli anni Sessanta del secolo, quando Boccaccio era ancor vivo, si capisce
facilmente qual il problema, con cui dovrebbero fare i conti i tentativi di mi-
glioramento di quella lezione critica del testo, a cui gli sforzi precedenti sono fi-
nora approdati: alcuni di questi codici tardotrecenteschi non autografi fanno
capo sicuramente ad esemplari di riscrizione dautore, che risalgono anche
assai allindietro rispetto allHamilton 90 e che possibile si avvicinino alla pri-
ma fase di composizione e diffusione dellopera da parte dellautore medesimo.
Del resto, tracce di ripensamenti e di correzioni dautore sono state segnalate
dagli editori allinterno dello stesso Hamilton 90, e persino alcune varianti al-
ternative segnate dal Boccaccio al margine del testo. Dunque, non si pu del
tutto escludere che la volont dellautore abbia subito delle modifiche dal mo-
mento della prima composizione del testo a quello della tarda riscrittura (infat-
ti, gi il Singleton avanzava la supposizione che il codice di Giovanni di Agnolo
Capponi costituisse la prima fase dellevoluzione dalloriginale x alla fase b, at-
testata dallHamilton 90 e dal manoscritto Mannelli). Siamo dunque di fronte
ad un affascinante work in progress filologico oltre che, come abbiamo detto, ad
uno splendido risultato ormai raggiunto di critica testuale.
31
Cfr. V. BRANCA, Tradizione del testo del Decameron cit., pp. 483 sgg.
32
Cfr. A. PETRUCCI, Il libro manoscritto cit., pp. 514-16.
Letteratura italiana Einaudi
25
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
II STRUTTURA.
1. La forma del Libro.
In unopera come il Decameron il primo problema strutturale da affrontare esat-
tamente la forma del Libro. Ognuno dei microcosmi narrativi, che compongono
le singole novelle, inserito a sua volta in un organismo pi vasto, che , come gi
si accennato, narrazione esso stesso e, al medesimo tempo, artificio per rendere
possibile e attivare la narrazione. In questo quadro, il concetto stesso di corni-
ce a dover esser rimesso in discussione, anche se continuiamo ad usarlo per la
particolare sinteticit del termine. Cornice, infatti, dovrebbe essere un puro in-
quadramento, un abbellimento esteriore, un bellarabesco formalistico rispon-
dente ad una logica di simmetrie molto medievale; invece, ci che, appunto, si de-
finisce comunemente cornice del Decameron, qualcosa di pi complesso e crea-
tivo, dalle funzioni molteplici e dalle ambizioni anche realistiche, sebbene queste
ultime vadano intese in un senso molto diverso da quelle che si manifestano nella
ricerca pi propriamente novellistica dello stesso Boccaccio
35
.
La cornice, dunque, se dobbiamo continuare ad usare questo termine como-
do, piuttosto lorganizzazione dei diversi piani del racconto, da cui il Libro
costituito, affinch, nella medesima struttura, fosse possibile dare spazio a pi vo-
ci del discorso, cosa che sarebbe stata impossibile, se Boccaccio si fosse limitato a
raccogliere, semplicemente allineandole, le sue novelle. Questo non esclude an-
che un intento di tipo pi strettamente formalistico e architettonico, ma lo ricon-
duce in un ambito pi vasto e pi complesso, dando anche a questo motivo un re-
spiro e unampiezza che le precedenti o contemporanee allegorizzazioni della
narrazione non avevano minimamente toccato (con lunica eccezione della Com-
media, in cui si trova un rapporto fra cornice e narrazione assai diverso, ma per
certi versi anche affine a quello presente nel Decameron).
Lesposizione, sia pure a grandi linee, della trama di questo impianto chiarir
alcuni punti del discorso.
Bisogna dire, innanzitutto, che ci che comunemente sintende con cornice
del Decameron ossia lespediente narrativo delle sette fanciulle e dei tre giovani,
33
C. BOLOGNA, Tradizione testuale e fortuna dei classici cit., p. 659.
34
Ibid., p. 658.
35
Sui problemi della cornice ha scritto recentemente due saggi importanti, anche se discutibili, M. PICONE,
Tre tipi di cornice: modelli orientali e tradizione narrativa medievale, in Filologia e critica, XIII (1988), pp. 3-26; ID.,
Preistoria della cornice del Decameron, in Studi di italianistica in onore di Giovanni Cecchetti, a cura di P. Chierchi e M.
Picone, Ravenna 1988, pp. 91-104. Picone fa giustamente riferimento ad alcune intuizioni teoriche e analitiche di V.
KLOVSKIJ, La struttura della novella e del romanzo, in ID., Teoria della prosa, con una prefazione inedita dellautore
e un saggio di J. Mukarovsk, Torino 1976, pp. 73-99 e ID., Il Decameron di Boccaccio, in ID., Lenergia dellerrore,
Letteratura italiana Einaudi
26
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
che, per sfuggire alla peste, raggiungono una localit del contado di Firenze e l
passano il tempo raccontandosi novelle a sua volta incorniciato da un Proemio
e da una Conclusione dellautore, in cui il Boccaccio prende direttamente la parola
per esprimere le sue opinioni e le sue intenzioni intorno allopera medesima. Ci
accade, eccezionalmente, anche nella Introduzione alla Quarta Giornata, nella
quale la prima parte, assai lunga ( 1-43), costituita da un seguito di riflessioni
boccacciane intorno alle critiche dei detrattori dellopera, e la seconda, brevissima
( 44-45), una specie di riduzione concentrata dei motivi presenti comunemen-
te nelle altre Introduzioni, se si esclude la prima, che ha una qualit e una durata
tutte particolari. Interventi diretti del Boccaccio si possono cogliere anche qua e l
in altri punti della narrazione: per esempio, nella Conclusione della Sesta Giorna-
ta ( 20), lautore, per avvalorare la veridicit della sua descrizione di un luogo na-
turale particolarmente bello, se ne esce con questa imprevista affermazione: E se-
condo che alcuna di loro [donne] poi mi ridisse [...], ci che testimonia una pre-
senza sempre vigile dellautore dietro la presunta oggettivit della narrazione.
Il complesso di motivi, di cui la voce del Boccaccio si fa portatrice, verr
esaminato essenzialmente pi avanti, allinizio della sezione III, Tematiche e con-
tenuti.
1.1.Le rubriche.
Nel titolo dellopera sono limpidamente riassunti alcuni dei principali caratteri
strutturali della medesima: Comincia il libro chiamato Decameron cognomina-
to prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in diece d dette da
sette donne e da tre giovani uomini. Decameron significa di dieci giornate, e
risulta dallespressione greca, sommariamente coniata da Boccaccio sulla base
delle sue sommarie conoscenze di quella lingua de;;;ca hjmewn (ma il Boccaccio
conosceva questultima parola nella forma errata me;ro). Il titolo ricalcato
(forse anche parodisticamente?)
36
su Hexameron, nome della nota opera di
santAmbrogio e di alcuni trattati patristici e medievali sui sei giorni della crea-
zione del mondo.
Il Libro ha anche un secondo nome, che prencipe Galeotto: trasparente
allusione al verso dantesco Galeotto fu il libro e chi lo scrisse (Inf. V, 137), e al
ruolo attribuito a quella figura del ciclo arturiano dintermediario tra lamante e la
donna amata: nello stesso modo Boccaccio si pone, benevolo e amico, nei con-
fronti delle sofferenze delle donne, che egli eleva (Proemio e Introduzione alla
Quarta Giornata) a destinatarie privilegiate del suo novellare.
Roma 1984, pp. 67-80. F. Bruni ha discusso ampiamente tutta la materia nel capitolo IV, Sui princip compositivi del
Letteratura italiana Einaudi
27
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Il titolo (o, pi esattamente rubrica, che andava scritta con caratteri e tal-
volta con colori distinti dal testo) ricorre allinizio di ogni giornata e allinizio di
ogni novella (oltre che, come abbiamo detto, allinizio del Libro). Si tratta di testi
che varrebbe la pena di studiare pi accuratamente di quanto finora non si sia fat-
to: la loro brevit, infatti, risulta dallaccumulo in piccolo spazio degli elementi
che lautore doveva ritenere pi essenziali dal punto di vista dellinterpretazione
dei testi che essi introducono; da un certo punto di vista, la rubrica doveva servi-
re a facilitare nel lettore la memorizzazione dei contenuti, da un altro, a stimolare
la sua curiosit; nel caso delle giornate, la rubrica indicava con chiarezza la tema-
tizzazione prescelta, fornendo in anticipo un orientamento alla lettura. Come scri-
ve lo stesso Boccaccio, esplicitamente anche se un po ironicamente, nella Conclu-
sione dellautore ( 19), il lettore pu, scorrendo le rubriche, scegliere le novelle
che pi gli aggradano; infatti, elle [novelle], per non ingannare alcuna persona,
tutte nella fronte portano segnato quello che esse dentro del loro seno nascose
tengono.
1. 2. Pestilenza e scrittura.
LIntroduzione alla Prima Giornata serve, al contempo, come introduzione allin-
tera opera, e ci spiega la sua inconsueta lunghezza (115 paragrafi, contro, ad
esempio, i 4 della Seconda). Nei primi sette paragrafi Boccaccio, con sapiente
mossa retorica, riallaccia il suo discorso a quello del Proemio, giustificando alle
donne (Quantunque volte, graziosissime donne [...]) il malagevole percorso,
che egli le costringe a fare per cos aspro sentiero (cio, la descrizione della pe-
stilenza), prima di arrivare alle piacevolezze della narrazione vera e propria; nei
paragrafi 8-48 lautore svolge la sua mirabile descrizione della peste fiorentina co-
me occasione e stimolo alla congregazione dei giovani e alla narrazione delle no-
velle; nei paragrafi 49-89 viene descritto lincontro in Santa Maria Novella delle
sette donne e dei tre giovani uomini, da cui nasce il proposito di allontanarsi
insieme da Firenze e di trovare rifugio in una villa del contado, dove passare il
tempo, raccontandosi novelle.
Quello che colpisce in questa Introduzione lo sforzo di Boccaccio di descri-
vere loccasione dentro cui nasce il Libro come reale ed effettivamente accaduta.
Non solo, infatti, il pretesto dello svolgimento dei fatti consiste in un grandioso
avvenimento storico, i cui effetti non dimentichiamolo dovevano essere anco-
ra dolorosamente presenti a tutti indistintamente i lettori dellopera; ma anche i
personaggi-narranti, sebbene sia impossibile e vano cercare di dar loro un preciso
volto storico, vengono descritti in modo tale da suggerire limpressione che si
tratti di persone realmente esistite, con una loro fisionomia e un loro carattere, le-
gate fra loro da vincoli di parentela e di affetto, appartenenti ad una classe ben
Letteratura italiana Einaudi
28
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
precisa (quella magnatizia della Firenze del tempo), e cio quella stessa cui il li-
bro fondamentalmente si rivolgeva e dalla quale sarebbe stato, come abbiamo
detto, inizialmente pi apprezzato.
Analogamente si potrebbe dire dei tre personaggi maschili, che entrano in
chiesa per il desiderio di vedere le loro donne, le quali per ventura tutte e tre era-
no tralle predette sette, come che dellaltre alcune ne fossero congiunte parenti
dalcuni di loro ( 79): sebbene questi siano, com stato detto, anche espressio-
ne di tre diversi modi di essere del Boccaccio stesso e quindi pi dichiaratamente
stilizzati ciascuno in funzione del suo tipo.
1.2.1. I personaggi-narranti Le denominazioni, variamente congegnate,
con cui vengono indicati i personaggi-narranti, sono dunque, al tempo stesso,
una chiave per individuare la loro identit, una caratterizzazione stilizzata che al-
lude al loro tipo psicologico o passionale e, in taluni casi, un riferimento al
ruolo giocato da personaggi del medesimo nome nelle opere precedenti del Boc-
caccio (quindi, da questo punto di vista, un espediente per legare, nella mente
dei lettori, trama e situazioni del Decameron a quelle, da lui tuttaltro che oblia-
te, della sua produzione giovanile, in una fitta trama di riferimenti, che forse noi
possiamo cogliere necessariamente solo in parte)
37
: Pampinea, la pi adulta e
matura, che gi nel nome, richiamantesi alla foglia della vite, suggerisce unidea
di rigogliosit e di fecondit (rimanda a due opere del Boccaccio, ambedue alle-
goriche, dove esso era gi comparso, e cio Comedia, XXXV e Buccolicum car-
men, II); e poi, in ordine di et: Fiammetta, che gi nel nome richiama la fiamma
damore (personaggio ricorrente nellopera e nella biografia di Boccaccio: gi
presente nel Filocolo, I, 1, 15 sgg.; protagonista dellElegia); Filomena, lamata
o lamante del canto (secondo le bizzarre etimologie dal greco, cui Boccaccio
doveva essere particolarmente affezionato; era la dedicataria del Filostrato, la
donna del poeta prima di Fiammetta); Emilia, la lusinghiera (aijmuliva) (nome
ricorrente nelle opere di Boccaccio a Firenze dopo il Teseida: la Comedia, lAmo-
rosa visione, il ternario Contento quasi, anche se sembrerebbe di dover escludere
riferimenti a storie amorose del Boccaccio in questo periodo); Lauretta, allude
forse alla mitica donna del Petrarca; Neifile, la nuova innamorata o lamante
damor nuovo (con probabile allusione alla tematica dello Stilnovo e dello stes-
so Dante, anche in relazione alla pudicizia che sembrerebbe contraddistinguerla:
non solo per la dichiarazione fatta in 1, Intr., 81-83, ma anche per come la defi-
nisce Boccaccio allinizio di 1, 2: La quale, s come colei che non meno era di
Decameron , del suo Boccaccio Cit., pp. 235-88.
Letteratura italiana Einaudi
29
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
cortesi costumi che di bellezze ornata [...]); Elissa, allude allappassionata figu-
ra virgiliana di Didone, simbolo di amore totale.
Analoghe considerazioni si potrebbero fare sui tre giovani uomini, i quali,
nellordine con cui Boccaccio li presenta, sono
38
: Panfilo, il tutto amore, la-
mante infedele dellElegia di Madonna Fiammetta (per volont di Pampinea dice
la prima novella del Decameron; dice anche la prima novella della Quinta Giorna-
ta, quella di Cimone che esalta il potere trasfigurante e nobilitante dellamore;
incoronato re dellultima giornata, cui, con acconce parole, assegna come tema la
magnificenza; a lui Boccaccio affida il compito di chiudere la narrazione, ralle-
grandosi per lonest e la decenza con cui insieme hanno trascorso quelle giorna-
te e suggerendo con prudentissime considerazioni, che ben disegnano il carattere
del personaggio, di rientrare in Firenze [X, Concl., 2-7]); Filostrato, labbattuto
da amore, secondo una falsa etimologia e non, secondo la vera, lamante della
guerra ( il titolo dellomonimo poemetto giovanile in ottave, in cui sono cantate
le pene di Troiolo per la lontananza e il tradimento della donna amata, Criseida;
incoronato re da Neifile alla Conclusione della Terza Giornata, sceglie come argo-
mento della successiva, in coerenza con il proprio tipo, gli amori infelici, dandone
unampia motivazione [ 5-6]; in deroga alla consuetudine, canta anche la triste
canzone [Lagrimando dimostro] che chiude la Quarta Giornata, scelta che vie-
ne dalla regina Fiammetta chiaramente esplicitata con queste parole: [...] e per
ci che io son certa che tali sono le tue canzoni chenti sono le tue novelle, acci
che pi giorni che questo non sien turbati de tuoi infortunii, vogliamo che una ne
dichi qual pi ti piace: IV, Concl., 9; e Boccacco ci tiene a sottolineare la veridi-
cit di questo tormento, additandone la causa in una delle donne presenti [IV,
Concl., 18]); Dioneo, il lussurioso, il venereo (Venere era figlia di Dione; ha
la precisa funzione di animare con la sua verve licenziosa e talvolta decisamente
oscena il tessuto narrativo del Libro).
Sul rapporto fra elemento maschile ed elemento femminile nella cornice e pi
in generale nel Decameron torneremo pi avanti. Per ora ci limitiamo ad osserva-
re che il rapporto sette/tre ritorna pi volte nel Decameron: probabile, come
abbiamo visto, che si possa stabilire un certo ordine compositivo fra le prime tre
e le altre sette giornate dellopera; un analogo discorso si pu fare probabilmente,
come vedremo, fra le prime tre e le altre sette novelle della Prima Giornata. Quel-
lo che si pu dire che le fanciulle sono sette come i giorni della settimana e i
pianeti, come, secondo il simbolismo medievale, le direzioni dello spazio, a indi-
care ordine perfetto e totalit di un ciclo, come le virt teologali e cardinali, come
36
Dec., p. 3, nota 1.
Letteratura italiana Einaudi
30
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
i sette gradi di perfezione (IV, Intr., 35); come soprattutto le Arti liberali
39
. Mes-
se insieme ai tre giovani uomini, che a loro volta si raggruppano in un altro nu-
mero classicamente perfetto (il tre), dnno vita a questa associazione del dieci,
che a sua volta un numero particolarmente magico, quadrato, direi, in grado
di dar luogo ad una costruzione di assolute simmetrie: dieci personaggi-narranti,
dieci novelle a testa, dieci giornate, cento novelle: che tuttavia , non bisogna di-
menticarlo, il medesimo numero dei canti della Commedia dantesca, sebbene rag-
giunto con alchimie numeriche del tutto diverse.
1.2. 2. Moralit e narrazione. Dopo la parte dedicata alla fiera rappresentazio-
ne della pestilenza, lIntroduzione alla Prima Giornata congegnata in maniera da
rispondere anche ad alcuni delicati quesiti morali, dei quali il Boccaccio, data la
spregiudicatezza, in molti casi, della materia delle sue novelle, non poteva disfarsi
troppo tranquillamente. Infatti, essa contraddistinta da due momenti di disputa
nel corso dei quali le fanciulle (le fanciulle, si badi, non i giovani, che da questo
punto di vista risultano sostanzialmente passivi) decidono il da farsi, e che po-
tremmo cos sommariamente riassumere:
1) Pampinea, che la pi anziana e la testa forte del gruppo esorta le sue conso-
relle a prendersi cura di s, partendo dalla massima di ordine generale secon-
do cui a niuna persona fa ingiuria chi onestamente usa la sua ragione (
53); attraverso lulteriore, raccapricciante rappresentazione della terribilit
della peste, ella cerca di persuaderle ad abbandonare la citt, epicentro del
morbo, per il contado, che ella rappresenta in termini estremamente idilliaci,
che prefigurano altre descrizioni successive (Quivi sodono gli uccelletti
cantare, veggionvisi verdeggiare i colli e le pianure, e i campi pieni di biade
non altramenti ondeggiare che il mare []: 66);
2) Prima Filomena e poi Elissa, pur dichiarandosi daccordo con la proposta di
Pampinea, la giudicano imprudente, perch un gruppo di donne non pu af-
frontare una impresa del genere senza una scorta di uomini;
3) Sopravvengono i tre giovani a risolvere fortunatamente questa difficolt, co-
me subito giudica Pampinea (Ecco che la fortuna ai nostri cominciamenti
favorevole []: 80);
4) Neifile interviene per prontamente ad osservare che, siccome i tre giovani
sono notoriamente legati affettivamente ad altrettante di loro, questo accom-
pagnarsi insieme, nonch risolvere la difficolt di partenza, potrebbe procu-
37
Cfr. ibid., p. 31, nota 1.
Letteratura italiana Einaudi
31
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
rare loro infamia e riprensione (da ci sindovina che Neifile una delle tre
innamorate; ma sulla fisionomia di questi rapporti niente o pochissimo si rie-
sce a indovinare dal testo);
5) A questo punto Filomena chiude la discussione con un argomento semplice
ma decisivo, che entra a far parte dal massimario morale del Boccaccio (o, pi
esattamente, dal Decameron), sul quale pi avanti torneremo: come Pampi-
nea, in apertura di dialogo, aveva sentenziato: A niuna persona fa ingiuria chi
onestamente usa la sua ragione ( 53), cos Filomena, a chiusura dello stesso,
dichiara: Questo [la preoccupazione espressa da Neifile] non monta niente;
l dove io onestamente viva n mi rimorda di alcuna cosa la coscienza, parli
chi vuole in contrario: Idio e la verit larme per me prenderanno ( 84).
Ci che mi interessa soprattutto sottolineare che a fondamento della co-
struzione del Decameron in quanto Libro, cio come motivazione stessa dellespe-
diente narrativo, che sta alla base della cornice, e che rende possibile racco-
gliere le novelle dentro una logica coerente e unitaria, invece di continuare a far-
le circolare sparse, come esemplari di un piacevole divertissement quasi collo-
quiale e senza lalta dignit letteraria, cui Boccaccio, in emulazione con Dante e
Petrarca, aspirava , sta una vera e propria disputa, una quaestio morale, affronta-
ta e risolta in termini di assoluta pertinenza concettuale, anche se i protagonisti
non sono dei sapienti doctores ma delle umili donne.
Soltanto a questo punto pu prendere avvio il meccanismo dellazione, che si
dipana nei paragrafi successivi fino alla conclusione della Introduzione ( 90-
115). Infatti, come abbiamo gi preannunciato, i tre giovani, interpellati da Pam-
pinea affinch con puro e fratellevole animo a tener loro compagnia si dovesse-
ro disporre, non hanno nulla da obiettare (I giovani si credettero primieramen-
te essere beffati, ma poi che videro che da dovero parlava la donna, risposero lie-
tamente s essere apparecchiati []: ( 88); sicch la mattina del giorno succes-
sivo, che era un mercoled, tutti si trasferiscono, con serve e famigli, nel luogo
prescelto, un palagio con bello e gran cortile nel mezzo, a circa due miglia dal-
la citt, collocato sopra una piccola montagnetta, da ogni parte lontano alquan-
to alle nostre strade, di varii albuscelli e piante tutte di verdi fronde ripiene piace-
voli a riguardare ( 90).
1. 3. Mitopoiesi del racconto raccontato.
Da questo momento, particolari realistici ed eleganti stilizzazioni, il tentativo di
tenersi nellatmosfera di un avvenimento realmente accaduto e suggestive costru-
zioni simboliche continuamente si intrecciano nella costruzione della cornice del-
lopera. Del resto, come abbiamo indicato, gi i personaggi-narranti erano costi-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
tutivamente contraddistinti da questa doppia natura, di cui del resto Boccaccio
aveva fatto largo uso anche nelle opere precedenti (ad esempio, nellElegia di Ma-
donna Fiammetta): da una parte, infatti, in essi esiste e persiste una, io penso, non
indifferente caratterizzazione umana e individuale, di cui i lettori del tempo devo-
no aver saputo meglio di noi cogliere le tracce, dallaltra, per, tale caratterizza-
zione viene risolta in un tipo, di cui il fittizio appellativo tramite e maschera al
tempo stesso (e c effettivamente un elemento mascherato, un codice da castello
damore, in molte delle conversazioni che questi personaggi tengono fra loro, so-
prattutto quando si tratti di interlocutori maschili e femminili messi a confronto
fra loro): ma questo tipo, poi, a sua volta, non diventa una gabbia costrittiva per
il personaggio, che continua a muoversi con una certa libert tra le diverse opzio-
ni possibili di racconto.
Infatti, vano cercare di stabilire un rapporto tra il carattere dei singoli per-
sonaggi-narranti e la natura delle novelle da essi narrate, salvo che in alcuni casi:
ad esempio, Dioneo impronta del suo spirito libero e lascivo la maggior parte dei
racconti che escono dalla sua bocca (ma anche nel caso suo bisogner osservare
leccezione rappresentata da X, 10, lalta e patetica novella di Griselda)
40
; cos
come, qua e l, Boccaccio mette in luce una corrispondenza tra le predisposizio-
ni caratteriali del personaggio e il ruolo da esso giocato nella vicenda della corni-
ce (Filomena, la quale discretissima era [I, Intr. ], sostiene che le donne non
possono allontanarsi da sole da Firenze, e viene scelta da Pampinea come regina
della Seconda Giornata in quanto discretissima giovane [I, Concl., 3]; Filo-
strato impone largomento della Quarta Giornata, quello degli amori che ebbero
infelice fine, in stretta osservanza del tipo umano che il suo nome rivela e con-
nota); Boccaccio informa notizia che avrebbe veramente poco senso, se i per-
sonaggi-narranti non avessero nessuna origine storica che una delle fanciulle
ghibellina e quindi non vuole lodare la novella detta in onore del re Carlo
dAngi (X, 7, 2) mentre loda la novella successiva, che celebra Pietro dArago-
na, avversario degli Angi, detta da Pampinea ad esplicito risarcimento della pri-
ma (X, 8, 2); il pi delle volte c un rapporto preciso fra il carattere del per-
sonaggio-narrante e la ballata, che nella Conclusione di ogni giornata ciascuno di
loro di volta in volta canta.
Insediatisi nel locus amoenus, i giovani approntano in modo elegante e digni-
toso il loro alloggiamento in quella dimora: indi, siccome Dioneo protesta il suo
desiderio di passare piacevolmente il tempo in quella sorta di dorata reclusione,
Pampinea replica reclamando lesigenza di un ordine ([...] le cose che sono sen-
38
Cfr. ibid., p. 38, nota 7.
39
Ibid., p. 31, nota 1.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
za modo non possono lungamente durare: 95) e suggerendo che sia eletto ogni
giorno un re o una regina della brigata, che abbia potere assoluto sulla loro vita in
comune. Prescelta, com ovvio, la medesima Pampinea quale prima regina, ella
decide che per una certa parte della giornata il tempo si passi narrando e ascol-
tando a turno novelle, con la precisa motivazione, che abbiamo gi ricordato; e
cos faranno, fin quando ognuno dei giovani e delle fanciulle non avr occupato
almeno una volta quella carica.
1.3.1. Un Ordine separato e autonomo. Osserviamo che la narrazione delle
novelle, pur provocata, come occasione e come circostanza, dallo sconvolgimento
catastrofico della peste, non pu realizzarsi nel mezzo di tale sconvolgimento ma
ha bisogno di tranquillit, serenit e separatezza per potersi svolgere: il locus amoe-
nus la manifestazione simbolica di questo luogo dello spirito, dove il piacevo-
le interscambio delle intelligenze e delle piacevolezze pu manifestarsi pi com-
piutamente.
Questo idillio non pu per essere dis-ordinato, non lidillio panico, in
cui tutto permesso. Al contrario: al dis-ordine del mondo storico precipitato nel
caos naturale, si contrappone la creazione di un preciso ordo, che in quel mon-
do separato e apparentemente artificiale ricostruisce un insieme di regole umane,
per far durare nel tempo quella pur piccola ma preziosa comunit (ricordiamo le
parole di Pampinea).
significativo che lordine prescelto sia quello monarchico, sia pure a rota-
zione, affinch non possa chi nol pruova invidia avere alcuna ( 96). La cosa
tuttaltro che approssimativa, perch Pampinea, prima regina, e dotata dunque di
poteri eccezionali, costituisce un vero e proprio governo, attribuendo ai serventi
incarichi cos precisi, che non si giustificherebbero, se Boccaccio non avesse volu-
to attribuire allinsieme di queste disposizioni un significato di particolare rilievo
( 98-101). Ancor pi significativo che lordine interno presupponga la separa-
zione verso lesterno: cos, infatti, Pampinea comanda: E ciascun generalmente,
per quanto egli avr cara la nostra grazia, vogliamo e comandiamo che si guardi,
dove che egli vada, che che egli oda o vegga, niuna novella altra che lieta ci rechi
di fuori ( 101).
Anche gli atti delligiene, insistentemente descritti (lavarsi le mani e la faccia,
avere i bicchieri tersi, le tovaglie bianche e pulitissime: 104), oltre ad inserirsi in
un rituale di eleganza mondana, esprimono unesaltazione degli elementi corpo-
rali, fisici, e unattenzione alla pulizia materiale, che totalmente coerente con
quella alla pulizia morale e alla pi generale armonia dellinsieme (in un altro luo-
go Boccaccio scende in particolari cos minuziosi da far intendere il valore eleva-
to, che egli attribuiva a questa dimensione del vivere: La qual venuta [lora della
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
cena] e lungo al pelaghetto a tavola postisi, quivi al canto di mille uccelli, rinfre-
scati sempre da una aura soave che da quelle montagnette da torno nasceva, sen-
za alcuna mosca, riposatamente e con letizia cenarono: VII, Concl., 6). In questo
modo Boccaccio costruisce un vero e proprio monumento allarte del dire, un
contenitore elegante e prezioso, allaltezza del nuovo raccontare, di cui egli ,
consapevolmente, lo splendido iniziatore.
1.4.Architettura e urbanistica del racconto.
Cos impostata limpalcatura del Libro, Boccaccio la sviluppa con rispetto assolu-
to delle regole, senza grandi eccezioni ma anche senza grandi invenzioni, fino in
fondo. Ogni giornata si apre con una Introduzione, in genere assai breve, che ha la
funzione che pu avere in teatro lapertura di un sipario, e si chiude con una Con-
clusione un poco pi complessa, in cui si procede allelezione del nuovo re o regi-
na, alla descrizione degli altri svaghi (giochi, canti, danze), cui la brigata si dedica
dopo la cena e prima di andare a riposare, e alla definizione del tema della gior-
nata successiva (cosa che in qualche modo giustifica la perfetta disponibilit dei
personaggi-narranti ad esibirsi su tematiche tanto diverse fra loro: hanno, infatti,
qualche ora di tempo per prepararsi).
Inoltre, nella Conclusione, ognuno dei personaggi-narranti canta una ballata
o una canzone da lui stesso composta, che rappresenta, insieme con la canzonet-
ta presentata in X, 7, una manifestazione di bravura in campo poetico da parte
del Boccaccio e unaltra concessione allelegante e un po artificiata atmosfera di
questi angoli della cornice.
La narrazione si svolge tra lora nona (le tre del pomeriggio) e lora di cena,
quando [non fa] il sol gi tiepido alcuna noia a seguire (le sei, sei e mezza del
pomeriggio). La Prima Giornata viene narrata, come abbiamo detto, di merco-
led; alla fine della Seconda Giornata, la regina Neifile decide che si sospenda la
narrazione il venerd (giorno in cui Cristo sub la passione) e il sabato (giorno in
cui le donne si dedicano alla pulizia propria e della casa, e inoltre digiunano, e si
riposano in onore della sopravveniente domenica: II, Concl., 6). In conseguenza
di questo divieto, se i giorni della narrazione restano ovviamente dieci, i giorni
della permanenza fuori Firenze diventano quattordici: i giovani si sono incontrati
in Santa Maria Novella un marted, escono da Firenze e iniziano le narrazioni un
mercoled, concludono le narrazioni un marted e rientrano a Firenze un merco-
led di due settimane pi tardi (X, Concl., 16).
Lordine in cui i personaggi-narranti parlano, e il rapporto tra personaggi-
narranti e tematiche delle novelle non sembrano riconducibili a nessuna logica,
nonostante i tentativi di sistematizzazione operati dai critici. Invece, non sembra
casuale lordine abbastanza simmetrico in cui vengono eletti re e regine delle gior-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
nate: tre donne (Pampinea, Filomena, Neifile), un uomo (Filostrato), due donne
(Fiammetta, Elissa), un uomo (Dioneo), due donne (Lauretta, Emilia), un uomo
(Panfilo). Il primo a raccontare (I, 1) Panfilo, un uomo, perch siede opportu-
namente alla destra di Pampinea, che una donna, la prima regina; poi, seguono
gli altri, a partire da Neifile, andando per ordine, poich i personaggi-narranti sie-
dono in cerchio (I, Concl., 115; I, 2, 2). Uomo anche lultimo personaggio nar-
rante (Dioneo: X, 10), e anche questa combinazione del primo con lultimo non
sembra casuale.
Dioneo, personaggio-narrante altamente caratterizzato, dopo le prime novel-
le morali (I, 2 e 3) rivendica la libert di narrare la prima novella licenziosa del
Decameron ([] senza riprensione attender da voi intendo di raccontar brieve-
mente con che cautela un monaco il suo corpo di gravissima pena liberasse: I, 4,
3), e successivamente, facendone una questione di principio, chiede alla regina
della Seconda Giornata, appena eletta, e cio Filomena, di poter dire da quel mo-
mento in poi la novella qual pi [] gli piacer; e la regina, la quale lui e sol-
lazzevole uomo e festevole conoscea e ottimamente savis questo lui non chieder
se non per dovere la brigata, se stanca fosse del ragionare, rallegrare con alcuna
novella da ridere, col consentimento degli altri lietamente la grazia gli fece (I,
Concl., 12-14). Poich Dioneo stesso, per non esser sospettato di scarsa inventi-
vit novellistica, ha chiesto di poter parlare dopo tutti gli altri, uscendo dallordi-
ne circolare stabilito, dalla Seconda Giornata alla Decima egli tiene lultima posi-
zione, ben assolvendo al compito assegnatogli dallautore di risolvere in festa an-
che le giornate pi impegnative (oltre alla I, 4, gi ricordata, sono sue le novelle di
Paganino da Monaco [II, 10], di Alibech romita [III, 10], della moglie di un me-
dico che mette un suo amante adoppiato in unarca [IV, 10], di Pietro di Vinciolo
[V, 10], di frate Cipolla [VI, 10], di due sanesi che amano una donna comare del-
luno [VII, 10], di Salabaetto [VIII, 10], di donno Ganni [IX, 10], di Griselda
[X, 10]). C da osservare, tuttavia, che nellultimo caso Dioneo sembrerebbe
rientrare nella tematica della giornata corrispondente pi di quanto non faccia in
precedenza, sia pure in una forma antifrastica, che lo stesso Dioneo vuol mettere
in evidenza (Mansuete mie donne, per quel che mi paia, questo d doggi stato
dato a re e a soldani e a cos fatta gente: e per ci, acci che io troppo da voi non
mi scosti, vo ragionar dun marchese, non cosa magnifica ma una matta bestialit,
come che ben ne gli seguisse alla fine []: X, 10, 3).
Questo schema compositivo, sulla cui sapienza non il caso di richiamare an-
cora lattenzione, subisce poi delle variazioni, che testimoniano il carattere pro-
blematico e vivente, non rigido, di questa costruzione e che comunque Boccaccio
cerca di tenere tutte armonicamente collegate nel quadro del disegno complessi-
vo per mezzo di appropriate contromisure narrative.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Cos, ad esempio, lautore approfitta, per cos dire, degli spazi vuoti tempora-
li, che si aprono qua e l, per motivi diversi, nel tessuto cronologico estremamen-
te compatto ed organizzato della cornice per introdurre elementi di novit nel-
lordo della brigata.
Nella Conclusione della Seconda Giornata (gioved), Neifile, appena incoro-
nata regina, dopo aver stabilito, come abbiamo detto, che il venerd e il sabato
non si novella, propone di spostare altrove la loro dimora, con la precisa motiva-
zione che, trascorsi quattro giorni nella prima (mercoled, gioved, venerd e sa-
bato), la loro separazione potrebbe esser minacciata dallarrivo di gente nuova
(II, Concl., 5-7). Questa unaggiunta importante alle indicazioni precedente-
mente stabilite: non solo bisogna evitare che dallesterno arrivino brutte notizie
(I, Intr., 101); ma bisogna anche evitare che il sistema esemplare costituitosi le
sette fanciulle pi i tre giovani uomini, che narrano a turno, s da rispettare la mi-
sura complessiva ideale delle cento novelle sia turbato dallarrivo di altri ospiti:
sicch la mattina della domenica la reina [] con lento passo, accompagnata e
seguita dalle sue donne e dai tre giovani [...] prese il cammino verso loccidente, e
cianciando e motteggiando e ridendo con la sua brigata, senza essere andata oltre
a dumilia passi, assai avanti che mezza terza fosse a un bellissimo e ricco palagio,
il quale alquanto rilevato dal piano sopra un poggetto era posto, gli ebbe condot-
ti (III, Intr., 3).
Si ripete, ma ingigantita nei particolari e nelle descrizioni ammirate, la rap-
presentazione del locus amoenus di I, Intr., 90 sgg.: di nuovo e di bello c, oltre-
tutto, un grande e magnifico giardino, con una fonte al mezzo, ricca di reconditi
significati simbolici (luso dellacqua contraddistinto nel Decameron da unalta
valenza positiva, come alcuni degli esempi pi avanti richiamati ampiamente di-
mostrano). Labbondanza e linsistenza delle descrizioni inducono a pensare che
Boccaccio sposti consapevolmente la caratterizzazione del luogo dallamenit pa-
ganeggiante di quello precedente ad una vera e propria situazione edenica, del re-
sto esplicitamente richiamata nel testo: Il veder questo giardino, il suo bello or-
dine, le piante e la fontana co ruscelletti procedenti da quella tanto piacque a cia-
scuna donna e a tre giovani, che tutti cominciarono ad affermare che, se Paradiso
si potesse in terra fare, non sapevano conoscere che altra forma che quella di quel
giardino gli si potesse dare, n pensare, oltre a questo, qual bellezza gli si potesse
agiugnere (III, Intr., II).
NellIntroduzione alla Sesta Giornata, prima che cominci la narrazione delle
novelle, Boccaccio inserisce un singolare, anzi unico, episodio, e cio il vivacissi-
mo contrasto vera e propria commedia rusticale in nuce tra Licisca, fante
di Filomena, e Tindaro, famigliare di Filostrato: i nomi classici dei protagonisti,
la loro condizione di servi, il contenuto oscenamente allusivo della disputa (che in
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
realt non tale, poich la sola che parli la scatenata Licisca) ne fanno un esem-
pio senza riscontri nella narrativa boccacciana di un tpos drammaturgico, che
avr sviluppo soprattutto nel teatro italiano del Rinascimento.
Allallungamento della Introduzione alla Sesta Giornata corrisponde un allun-
gamento simmetrico della sua Conclusione. Questo forse il caso in cui la consa-
pevolezza boccacciana nel costruire i rapporti tra la cornice e la narrazione delle
novelle risulta pi evidente, e tanto pi evidente risulta il suo sforzo di riequilibra-
re il rapporto tra quella giornata e le altre. Infatti, scrive Boccaccio nella Conclu-
sione della giornata medesima, era ancora il sole molto alto, per ci che il ragio-
namento era stato breve ( 17). La Sesta Giornata resta comunque di gran lunga
la pi breve delle giornate del Decameron, ma lo sarebbe ancora di pi, se Boccac-
cio non avesse intenzionalmente lavorato, nella Introduzione e nella Conclusione,
per rendere la sproporzione meno appariscente: infatti, la somma delle parole di
queste due parti della cornice si colloca al terzo posto nella lista dei calcoli analo-
gamente compiuti per le altre giornate, dopo la Prima e la Quarta Giornata, prima
della Terza, che pure contiene la descrizione del passaggio dalluna allaltra ma-
gione, e in una dimensione da tre a quattro volte superiore a quella delle giornate
dove n nellIntroduzione n nella Conclusione si notano variazioni particolari ri-
spetto allo schema topico (la Seconda, la Quinta, la Decima, la Nona e lOttava).
La Conclusione della Sesta infatti occupata da un ulteriore, anche se provvi-
sorio, spostamento nellennesimo locus amoenus: Elissa, approfittando, appunto,
del fatto che la luce del giorno ancora alta, conduce le sue compagne in un bel-
lissimo posto, lontano non pi di un miglio dal secondo palagio, denominato
Valle delle Donne. I riferimenti possibili alle opere precedenti di Boccaccio, dal
Ninfale Fiesolano alla Caccia di Diana, non attenuano limpressione di grande vi-
vacit e freschezza narrativa, che tale idillica descrizione promana, anche se la na-
tura trasparentemente scenografica dellambiente mostra bene che Boccaccio
vuol costruire intorno ai suoi personaggi lennesimo appropriato scenario (Le
piagge delle quali montagnette cos digradando giuso verso il pian discendevano,
come ne teatri veggiamo dalla lor sommit i gradi infino allinfimo venire successi-
vamente ordinati, sempre ristrignendo il cerchio loro: VI, Concl., 21). Al centro
della Valle sta un laghetto dacqua purissima, questo non coltivato n regolato al-
la maniera delle acque della bella fontana del secondo palagio, ma al contrario
del tutto spontaneo e naturale. In esso le sette fanciulle simmergono nude, in una
scena che fra le pi delicatamente sensuali del Libro. I tre giovani, successiva-
mente avvertiti dalle fanciulle della loro scappatella, si recano anche loro, dopo
cena, al lago e vi si immergono con grande piacere. Il re della Settima Giornata,
che non a caso Dioneo, dispone che il luogo sia apparecchiato, affinch la mat-
tina dopo tutti vi possano piacevolmente soggiornare e novellare.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
possibile che ci sia una relazione fra questo spostamento nella Valle delle
Donne e largomento della Settima Giornata, scelto ovviamente da Dioneo, e
con non poche resistenze da parte delle donne, nella quale, com noto, si narra
delle beffe fatte dalle donne ai loro mariti. difficile per resistere alla tentazione
di pensare che la doppia cerimonia lustrale, cui assistiamo nella Conclusione della
Sesta, alluda ad un qualche rito di purificazione: giunte oltre la met del loro cam-
mino, e in attesa di una fatica ancora non piccola, le fanciulle sentono il bisogno
di sottoporre i loro corpi al benefico contatto con lelemento purificatore per ec-
cellenza, e i tre giovani uomini, con una scelta puramente imitativa, che non pri-
va di corrispondenze nel Decameron, simmergono nella loro medesima acqua.
Alla fine della Settima Giornata, i dieci giovani rientrano nel palazzo: Inver-
so la loro usata dimora con lento passo ripresero il cammino e al bel palagio as-
sai vicino di notte pervennero (VII, Concl., 7). Da questo momento in poi, e fino
al rientro in Firenze, la cornice scorre alquanto ripetitivamente (non a caso, le In-
troduzioni e le Conclusioni della Ottava, Nona e Decima Giornata sono le pi bre-
vi del Libro); salvo che, a segnalare fino in fondo lattenzione prestata dal Boc-
caccio alla componente realistica della cornice, nella Introduzione alla Decima
Giornata i personaggi-narranti vengono da lui rappresentati nellatto di preparar-
si a tale rientro, come se la chiusura del Libro non dovesse significare davvero la
loro fine come persone reali, quali esse, nella convenzione fermamente stabilita
dallautore, erano e dovevano continuare ad essere: E molte cose della loro futu-
ra vita insieme parlando e dicendo e rispondendo, per lungo spazio sandaron di-
portando (X, Intr., 3). C dunque un seguito prevedibile e ipotizzabile nella lo-
ro vicenda umana, che serve ad avvalorare, anche in chiusura, la veridicit delle-
sperienza metanarrativa descritta nella cornice.
2. La logica della struttura.
Si a lungo discusso se lorganizzazione della materia nelle dieci giornate rispon-
da ad una logica ascensionale, che troverebbe il suo culmine nella magnificen-
za e nella liberalit della Decima. Forse di un disegno cos preciso non si pu par-
lare; certo, per, difficile non accorgersi che Boccaccio dispone le giornate se-
condo blocchi di associazioni tematiche, il cui accostamento disegna quantomeno
un percorso. Se nella Prima e nella Nona Giornata non fissato un argomento
preciso (ovvero, vi si ragiona di quello che pi aggrada a ciascheduno, e se-
condo che gli piace e di quello che pi gli agrada a ciascuno), per motivi che for-
se sono riconducibili a quelli che qui abbiamo cercato di spiegare nella sezione I,
1. 2, nelle altre otto giornate la trama di un ragionamento analogico emerge con
sufficiente chiarezza.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
La Seconda e la Terza, in cui, rispettivamente, si ragiona di chi, da diverse
cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine e di chi alcuna co-
sa molto da lui disiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse, so-
no accomunate dal motivo del desiderio, che sintreccia, di volta in volta, con
quello della buona e della cattiva fortuna (prevalendo tuttavia sempre, in ambe-
due le giornate, la prima sulla seconda).
Il tratto dominante di queste due giornate dunque la Fortuna, e il Boccac-
cio lo mette esplicitamente in rilievo, desiderando forse che la cosa sia notata dal
lettore, dopo una Prima Giornata propedeutica, in cui sono esposti soprattutto
alcuni princip di carattere generale (ricordiamo Filomena, questa gregaria di
Pampinea, quando assegna il tema della Seconda: La quale [proposta], quando
questo vi piaccia, sia questa: che, con ci sia cosa che dal principio del mondo gli
uomini sieno stati da diversi casi della fortuna menati, e saranno infino al fine, cia-
scun debba dire sopra questo [...]: I, Concl., 10; segue Neifile, regina della Terza,
la quale chiede di tornare sul medesimo tema, s perch pi tempo da pensare
avrete e s perch sar ancora pi bello che un poco si ristringa del novellare la li-
cenzia e che sopra uno di molti fatti della fortuna si dica: II, Concl., 8; osservo
che Neifile adduce ad aumento di piacevolezza largomento contrario a quello
che usa Emilia in VIII, Concl., 3-6, per dare libert di racconto ai narratori della
Nona Giornata).
Boccaccio, dunque, esordisce con la Fortuna e prosegue con la Natura, se-
condo un suo preciso disegno mentale (cfr. qui la sezione III, 1.1).
Nella Quarta Giornata si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine;
con trasparente rovesciamento nella Quinta si ragiona di ci che a alcuno aman-
te, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse (non casuale
anche la scelta di Fiammetta, regina della Quinta, da contrapporre a Filostrato, re
della Quarta: e la contrapposizione esplicitata con chiarezza dalla regina mede-
sima: Filostrato, e io la prendo volentieri [la corona di regina]: e acci che me-
glio taveggi di quel che fatto hai, infino a ora voglio e comando che ciascun sap-
parecchi di dover doman ragionare di ci che [...]: IV, Concl., 5). Nella Sesta si
ragiona di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse, o con pronta ri-
sposta o avvedimento fugg perdita o pericolo o scorno: questa giornata, tutta
dedicata alla forza dellintelligenza che si esprime nella parola, forse non casual-
mente occupa un posto centrale e isolato nellorganizzazione del Libro.
La Settima e lOttava Giornata sono strettamente legate dal tema della beffa:
infatti, nella prima si ragiona delle beffe, le quali o per amore o per salvamento
di loro le donne hanno gi fatte a suoi mariti, senza essersene avveduti o s; nel-
la seconda, di quelle beffe che tutto il giorno o donna a uomo o uomo a donna o
luno uomo allaltro si fanno. Si noti che la regina dellOttava, Lauretta, con at-
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
teggiamento polemico che ricorda quello di Fiammetta nei confronti di Filostra-
to, dichiara di aver pensato di far narrare delle beffe che gli uomini fanno alle lor
mogli: ma vi rinuncia, per non mostrare di essere di schiatta di can di botolo
che incontanente si vuol vendicare. Ci rivela che ai suoi occhi appare poco one-
sto che le donne beffino i loro mariti, cos come, ovviamente, il contrario. Questo
forse spiega perch nei vari casi contemplati di beffa, come si potuto vedere, lu-
nico che manchi quello di donna a unaltra donna.
Su questo schema che, appunto, non evolutivo, ma a blocchi narrativi giu-
stapposti, si potrebbero poi fare altre osservazioni. Come gi abbiamo in prece-
denza accennato, la Terza si pu considerare una giornata della fortuna solo in
un senso molto particolare, perch, se ben si guarda, dietro al tema genericamente
indicato in rubrica (alcuna cosa molto [...] disiderata), si nasconde un solo og-
getto, quello sessuale (o di uomo verso donna, o di donna verso uomo, a seconda
dei casi), sempre destinato a pervenire, o onestamente o nientaffatto onestamente,
o per intelligenza o per fortuna, o per queste due cose insieme, ad un esito positi-
vo. Se si guarda dunque alla sostanza delle cose, si potrebbe dire che Terza, Quar-
ta e Quinta compongono un trittico che vede evolversi il tema dAmore su questi
tre differenti registri: amore fortunato, sessualmente libero e spregiudicato; amore
tragico e sfortunato; amore fortunato, ma questa volta nella tonalit alta di un sen-
timento nobile ed intenso, che prima di risolversi positivamente deve passare at-
traverso le prove pi dure, secondo un tpos consolidato in tutta la cultura erotica
medievale (nella Quinta troviamo novelle di alto impegno morale ed esistenziale,
come Cimone [1], Gostanza e Martuccio Comito [2], Pietro Boccamazza e Agno-
lella [3], Guidotto da Cremona e Giacomin da Pavia [5], Gian di Procida [6], Teo-
doro e Violante [7], Nastagio degli Onesti [8], Federigo degli Alberighi [9]; appa-
rentemente farebbe eccezione la novella 4, quella di Ricciardo Mainardi e Lizio di
Valbona, ma qui leventuale oscenit del tema, se di ci si tratta, attenuata da uno
svolgimento delicatissimo e dalla conclusione molto ufficiale della vicenda il ma-
trimonio , che ben sadatta allatmosfera di alta dignit della giornata).
La Seconda, restando in questo modo isolata, accentuerebbe ancor di pi il
suo carattere di giornata dedicata ai grandi casi di fortuna, alle avventure senza
confini, alle quali personaggi maschili e femminili sono destinati da una volont
imperscrutabile, cui soggiacciono misteriosamente tutte le cose sublunari. Non
dimentichiamo che questa la giornata in cui troviamo novelle come quelle di
Landolfo Rufolo (4), Andreuccio da Perugia (5), madama Beritola (6), Alatiel (7),
il conte di Anguersa (8), Bernab da Genova (9): veri e propri grandiosi apologhi
sullincertezza e la precariet dei destini umani.
Se i rapporti fra le giornate stanno messi in questo modo, difficile resistere
alla tentazione di considerare la Decima (dopo la Nona, in cui si mescolano ete-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
rogeneamente modelli della Sesta [2] e della Ottava [1, 3, 5, 8] con altri pi diffi-
cilmente catalogabili) come una autentica e volontaria conclusione del sistema: vi
si ragiona, infatti, di chi liberalmente o vero magnificamente alcuna cosa operas-
se intorno a fatti damore o daltra cosa; si avvicina il momento del distacco dal-
lEden e del ritorno nel duro agone quotidiano; occorre prepararsi al rientro e il
re dellUltima Giornata, Panfilo, a ci non casualmente delegato, stabilisce un
rapporto esplicito tra largomento prescelto e il futuro, cui occorre guardare. In-
fatti, egli dice queste cose e dicendo e faccendo senza alcun dubbio gli animi vo-
stri ben disposti a valorosamente adoperare accender [...]; e non gli ci vuol me-
no di una pressoch esplicita citazione dantesca, e delle pi impegnative, per riaf-
fermare in questa sede decisiva il valore delletica umanistica fondata sulla virt,
sulla conoscenza e sulla perpetrazione della fama: [...] ch la vita nostra, che al-
tro che brieve esser non pu nel mortal corpo, si perpetuer nella laudevole fama;
il che ciascuno che al ventre solamente a guisa che le bestie fanno, non serve, dee
non solamente desiderare ma con ogni studio cercare e operare (IX, Concl., 5:
cfr. Dante, Inf. XXVI, 118-20: Considerate la vostra semenza: | fatti non foste a
viver come bruti, | ma per seguir virtute e canoscenza
41
). Del resto, difficile im-
maginare che sia casuale, in unopera come questa, la quadratura perfettamente
antifrastica tra la perversione estrema, illimitata, del primo personaggio del Deca-
meron, ser Cepparello, e laltrettanto estrema, senza confini, quasi inverosimile
dedizione al bene e alla legge dellultimo, Griselda (significher qualcosa anche il
fatto che si tratti di un personaggio maschile negativo contrapposto ad uno fem-
minile positivo?). In questo si manifesta una logica, che bisogna saper cogliere,
senza farne al tempo stesso un grimaldello ferreo, con cui capire tutto.
2. 1. Le novelle dentro le strutture.
Allinterno delle singole giornate la disposizione delle novelle potrebbe apparire,
e per lo pi , del tutto casuale, ma Boccaccio simpegna a correggere anche que-
sta impressione da raccolta pura e semplice, predisponendo espedienti narrati-
vi appositi. Far alcuni esempi fra i molti possibili, precisando fin dora che non
mi riferisco ai commenti e alle reazioni che la narrazione delle novelle suscita tal-
volta fra i giovani della brigata, trattandosi in questi casi di un corredo piuttosto
tradizionale, che solo in alcuni punti si anima di maggiore vivacit e interesse.
stato notato che quasi tutte le novelle della Prima Giornata sono costruite
con la tecnica del rovesciamento, peraltro ricorrente assai frequentemente nel
40
Cfr. A. DURANTI, Le novelle di Dioneo, in AA. VV., Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a Lanfranco
Caretti, I, Roma 1985, pp. 1-38.
Letteratura italiana Einaudi
42
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Decameron (il motteggiatore che cerca di motteggiare e viene motteggiato, il bef-
fatore beffato, lingannatore ingannato, ecc.)
42
. Nella ripetizione di questo tpos si
verificano poi vari moduli di associazioni pi particolari e circostanziate: per
esempio, del tutto chiaro che le tre novelle iniziali rispondono ad una intenzio-
ne comune, pur essendo strutturalmente assai diverse fra loro. Ancor pi stretta
la relazione fra I, 7, I, 8 e I, 9; infatti, in tutte e tre le novelle si susseguono in se-
quenza i medesimi nodi narrativi, che possono essere riassunti in questo modo: 1)
c un personaggio di rango elevato, che si comporta male; 2) un altro personag-
gio, di rango inferiore a quello precedente, o con un racconto o con un motto, lo
fa vergognare del suo cattivo comportamento; 3) il personaggio di rango elevato
si ravvede, apprende la lezione e gratifica di doni e di benevolenza il coraggioso
riprenditore.
Ora il punto che di queste associazioni i personaggi-narranti sono consape-
voli e lo dicono con grande chiarezza: cos Lauretta in I, 8, 3: La precedente no-
vella, care compagne, mi induce a voler dire come un valente uomo di corte si-
milmente, e non senza frutto, pugnesse di un ricchissimo mercatante la cupidigia
[...], ed Elissa in I, 9, 3: Il che assai bene appare nella novella raccontata dalla
Lauretta, e io ancora con unaltra assai brieve ve lo intendo dimostrare[...].
Chiamerei questo modo di procedere a grappolo narrativo.
Unaltra logica di disposizione delle novelle quella che definirei antifrasti-
ca, e Dioneo ne uno specialista. Abbiamo gi detto che in I, 4 egli narra la pri-
ma novella licenziosa del Libro per reagire esplicitamente alle prime tre, troppo
gravi e seriose per il suo gusto. In II, 10, 3 esordisce deprecando la bestialit del
protagonista della novella precedente, Bernab da Genova, il quale se nandava
tranquillamente per il mondo, immaginandosi che le donne a casa rimase si ten-
gan le mani a cintola, quasi noi non conosciamo, che tra esse nasciamo e crescia-
mo e stiamo, di che elle sien vaghe. Esattamente per dimostrare la giustezza di
questa sua tesi egli narra la novella di Paganino da Monaco (II, 10).
Un esempio analogo potrebbe essere quello di IV, 2, quando Pampinea, con-
travvenendo alla richiesta del re Filostrato, il quale vorrebbe niente di meno che
si narrasse una novella ancor pi crudele e tragica di quella di Tancredi e Ghi-
smunda, la quale pure aveva fatto lacrimare tutte le fanciulle presenti, cambia
provocatoriamente registro, raccontando di frate Alberto e dellagnol Gabriello,
con lintento preciso di dovere alquanto recrear loro che a dovere, fuori che del
comandamento solo, il re contentare ( 4). evidente che lantifrasi corrisponde
anche al precetto retorico per cui una medesima tonalit non va tenuta troppo a
41
Tutte le citazioni dantesche presenti nel testo sono tratte da D. ALIGHIERI, La Commedia secondo lantica
vulgata, edizione critica a cura di G. Petrocchi, 4 voll., Milano 1966-67.
Letteratura italiana Einaudi
43
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
lungo; si veda, di conseguenza, in IV, 3, 2-3: Filostrato, un po sorpreso dallo
scherzo fattogli da Pampinea, dichiara, quasi sovrapensiero, di avere apprezza-
to della novella di frate Alberto solo la trista conclusione, ma per il resto di avervi
trovato troppo pi da ridire di quanto non avrebbe voluto; e invita a sua volta la
successiva narratrice, Lauretta, a cambiare anchessa registro tornando, e meglio,
a quello iniziale: Donna, seguite appresso con una migliore, se esser pu. Lau-
retta, che pure ne ride, replica moltiplicando alla lettera le infelicit degli amanti:
narra infatti in una novella non le sventure di uno solo o di una sola, ma di tre li
quali igualmente mal capitarono, poco de loro amori essendo goduti.
Un caso speciale quello in cui le novelle si richiamano luna allaltra per la
ripresa dei principali protagonisti: il caso delle novelle di Bruno, Buffalmacco e
Calandrino, che spaziano in due giornate (VIII, 3; VIII, 6; IX, 3 e IX, 5), cui va
aggiunta la novella di maestro Simone, Bruno e Buffalmacco (VIII, 9). In ognuno
dei casi in cui protagonista della novella Calandrino, il personaggio-narrante fa
esplicito riferimento al fatto che narrare di lui sempre piacevole, o, come dice
Filostrato in IX, 3, 3, ragionar di quella maschera non pu altro che multiplicar
la festa, o, come dice Fiammetta in IX, 5, 5, quasi scusandosi di stare per ripeter
lennesima novella di Calandrino (sarebbe la quarta), poich essi son tutti piace-
voli [i fatti di Calandrino], ardir oltre alle dette dirvene una novella. In questo
caso, dunque, funziona da elemento connettivo della catena un personaggio-lea-
der, che occupa un posto di singolare rilievo nella gerarchia dei protagonisti del
Decameron ( lunico a comparire, insieme a Bruno e Buffalmacco, in pi di una
novella, accanto al maestoso, imponente personaggio del Saladino).
Casi di connessione pi semplice sono quelli in cui, ad esempio, una novel-
la si richiama a quella precedente per una localizzazione geografica (in IV, 5, 3 la
narratrice Filomena cos giustifica la scelta della novella che sta per raccontare:
e a ricordarmi di quella mi tira Messina poco innanzi ricordata, dove lacciden-
te avvenne, si badi che in IV, 4 il riferimento a Messina generico, uno fra i
tanti, quindi il motivo della localizzazione geografica in questo caso ha pura-
mente il valore di una sollecitazione mnemonica); per i rapporti intercorrenti
tra i due diversi personaggi (Pampinea, prima di raccontare la novella di Cisti
fornaio: Il che quanto in poca cosa Cisti fornaio il dichiarasse, gli occhi dello
ntelletto rimettendo a messer Geri Spina, il quale la novella di madonna Oret-
ta contata, che sua moglie fu, mha tornata nella memoria, mi piace in una no-
velletta assai piccola dimostrarvi: VI, 2, 7); per le frequenti riflessioni proemia-
li, nelle quali i personaggi-narranti mettono in luce loro stessi le relazioni fra va-
rie novelle precedenti e quella che essi stanno per narrare (Lauretta in VI, 3, 4,
discorrendo del motto e delle sue variet pi ammissibili: La qual cosa ottima-
mente fecero e le parole di madonna Oretta e la risposta di Cisti); per i nume-
Letteratura italiana Einaudi
44
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
rosi riferimenti a caratteri, comportamenti, abitudini comuni nei diversi centri
cittadini toccati dalla narrativa decameroniana (in particolare, Firenze, Venezia,
Napoli); per la ripresa di un tpos narrativo particolarmente significativo (per
esempio, quello del sogno in IV, 5 e IV, 6: il che spinge Panfilo, narratore della
Seconda, a elaborare una teoria intorno al carattere pi o meno premonitore dei
sogni, proprio a partire dalle esperienze raccontate nelle due novelle: Il sogno
nella precedente novella raccontato mi d materia di dovervene raccontare una
nella quale di due si fa menzione, li quali di cosa che a venire era, come quello
di cosa intervenuta, furono [...]: IV, 6, 3). Talvolta, come si vede, la ripetizione
del tpos comporta al tempo stesso una sua intensificazione retorico-narrativa:
invece di una sola coppia di amanti infelici, tre in una volta (IV, 3); invece di un
sogno, due (IV, 6).
Come si vede, in molti casi siamo di fronte a semplici espedienti per pas-
sarsi la parola dalluno allaltro personaggio-narrante con una parvenza di veri-
simiglianza. La moltiplicazione e anche la diversificazione degli espedienti stessi
costruiscono per ad un certo punto un vero e proprio tessuto, un tapis roulant
sempre in movimento, su cui il caleidoscopio delle novelle scorre con un alto
grado di sostenutezza e di decoro. La funzione narrativa di questo tessuto appa-
re evidente: si deve credere che la narrazione sia realmente avvenuta, il lettore
portato ad immaginarne, anzi a vederne in svolgimento modalit, caratteristiche
e procedure. Lui stesso diventa partecipe di quellelevato consesso, non solo nar-
rante, ma colloquiante. Le modalit di svolgimento del racconto sono reali, an-
che se i contenuti del medesimo racconto si presentano come finzione. Il rappor-
to con il mondo delloralit non potrebbe essere meglio espresso, anche nei par-
ticolari pi minuti.
2.2. Le strutture delle novelle.
A questo punto il discorso sulla struttura del Libro potrebbe considerarsi conclu-
so, se il Libro non fosse composto, oltre che da un tessuto connettivo che li lega
insieme, da cento organismi diversi le novelle, appunto ognuna delle quali
comporta un problema a s di struttura. Si capisce che il problema, cos posto,
non possa in questa sede neanche essere affrontato. Tuttavia, non vorremmo
chiudere il capitolo senza accennare ad una tematica, che, ove fosse svolta fino in
fondo, metterebbe in discussione la nozione stessa di novella boccacciana. Per
quante indagini si siano svolte su singole novelle, nessuna di esse, infatti, ha mai
messo seriamente in discussione una questione riguardante il tipo narrativo,
che nei secoli stato noto sotto questa definizione. Una diversificazione riporta-
bile alle tematiche affrontate: per esempio, le novelle di motto e quelle di beffa
hanno, nei loro rispettivi ambiti, numerose caratteristiche comuni; altrettanto si
Letteratura italiana Einaudi
45
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
potrebbe dire, ma con una variet interna di soluzioni molto maggiore, delle no-
velle di viaggio. Qualche elemento di analisi su questo punto lo forniremo nel ca-
pitolo successivo, affrontando il terreno delle tematiche e dei contenuti. Ma qui
desidero segnalare alcuni aspetti di carattere ancor pi generale, come quelli ri-
guardanti la struttura narrativa dei racconti, indipendentemente, se cos si pu di-
re, dagli argomenti in essi affrontati.
Una prima indicazione delle diversit strutturali, che passano tra le forme
narrative presenti nel Decameron, viene dallo stesso Boccaccio, il quale nel Proe-
mio ( 13) dichiara di voler narrare cento novelle, o favole o parabole o istorie
che dire le vogliamo. Detto in questa forma, si potrebbe anche pensare che
Boccaccio non distingua troppo tra le varie definizioni. Si tratterebbe, tuttavia,
di una spiegazione assai rinunciataria, visto che lo scrittore stesso sente il biso-
gno di elencare categorie diverse per quello che dovrebbe essere un medesimo
tipo narrativo.
Non c dubbio che con il termine novella Boccaccio intenda quel tipo di
narrazione di struttura relativamente semplice e di respiro alquanto breve, che
espone, in tono per lo pi realistico e talvolta con intenti morali e didascalici, fat-
ti immaginari o, in tutto o in parte, storici e reali, inserendoli nella trama di unu-
nica azione dominante
43
; tipo, di cui il Decameron rappresenta la prima grande
ed esemplare manifestazione sul piano europeo e, al tempo stesso, un serbatoio
infinito di modelli per le esperienze successive (non a caso nella rubrica dellope-
ra si parla di cento novelle, senza fare accenno ad ulteriori specificazioni). In
questo senso Boccaccio usa una parola che da poco era entrata nelluso, e che la
sua opera varr a consolidare definitivamente.
Per istorie intenderemo, probabilmente, quelle novelle e non sono poche
in cui sono presenti in maniera determinante elementi e personaggi storici.
Per quanto riguarda favole e parabole la chiave del loro senso va intera-
mente cercata in Genealogie deorum gentilium, XIV, IX, di cui ci dispiace di non
poter dare una illustrazione pi argomentata
44
. Il capitolo IX sintitola significa-
tivamente Composuisse fabulas apparet utile potiusquam damnosum, dove si affer-
ma: Concedo fabulosos, id est fabularum compositores, esse poetas
45
. In certo
42
G. PADOAN, Mondo aristocratico e mondo comunale nellideologia e nellarte di Giovanni Boccaccio (1964),
in ID., Il Boccaccio, le Muse cit., p. 58.
43
S. BATTAGLIA, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XI, Torino 1981, p. 60.
44
Cfr. G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium libri, XIV, IX, edizione critica a cura di V. Romano, II, Bari
1951, pp. 705-9; sullargomento cfr. A. ASOR ROSA, Princip di Scienza nuova dintorno alla comune origine della poe-
sia, in ID., La fondazione del laico, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, V. Le Questioni, Torino 1986, pp.
102-15 (con bibliografia relativa).
45
G. BOCCACCIO, Genealogie, in ID., Opere in versi. Corbaccio. Trattatello in laude di Dante. Prose latine.
Letteratura italiana Einaudi
46
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
qual modo, dunque, comporre favole quasi lo stesso che produrre poesia:
infatti, fabula est exemplaris seu demonstrativa sub figmento locutio, cuius
amoto cortice, patet intentio fabulantis
46
: riportata nella dimensione prosastica e
narrativa del Decameron, tale definizione far riferimento sia alla dimensione
creativa dellinsieme (da questo punto di vista anche una novella una favo-
la), sia a quelle pi specifiche creazioni narrative, in cui dietro il velame (per
usare un caratteristico termine dantesco-boccacciano) del racconto sta nascosto
un senso che il lettore deve saper cogliere. Non a caso Boccaccio parla di
exemplaris locutio, mettendoci sulla strada buona per recuperare e acquisire
nel suo pur cos diverso contesto anche la tradizione dellexemplum. A questo
punto, in logica successione sinnesta il discorso sulla parabola, che infatti per
Boccaccio una forma possibile di favola, applicata alle Sacre Scritture, per in-
dicare la parola di Ges Cristo, figliuolo dIddio, e che alcuni altri scrive Boc-
caccio chiamano exemplum
47
.
Non avrei dunque dubbi sul fatto che con questo elenco di termini Boccaccio
intenda indicare sia alcune forme narrative diverse fra loro, sia sfumature o acce-
zioni diverse del medesimo tipo. Non a caso, infatti, conclude: [...] che dire le
vogliamo, quasi ad indicare al tempo stesso la diversit e la contiguit dei con-
cetti usati. Ne risulta confermata lalta consapevolezza retorica dellimpresa che
veniva compiendo; e anche le difficolt del confronto con una serie di sperimen-
tazioni, che, pur muovendosi in direzioni molto diversificate, egli cercava al tem-
po stesso di ricondurre tutte sotto una poetica unitaria e onnicomprensiva.
Se poi passiamo dal terreno delle poetiche e degli enunciati a quello delle
analisi concrete del testo, tali impressioni ne risultano validamente verificate. In-
fatti, ad unosservazione anche grossolana dei testi non pu non risultare eviden-
te che nel Decameron Boccaccio ha raccolto esperienze narrative profondamente
diverse fra loro
48
.
Per dimostrare fino a che punto questo sia vero al di l delle impressioni pi
superficiali, ho usato il criterio della misurazione della lunghezza delle novelle,
Epistole, a cura di P. G. Ricci, Milano-Napoli 1965, pp. 956-57 (Concedo che i poeti sono narratori, cio composito-
ri di racconti).
46
Ibid., pp. 958-59 (La favola una locuzione esemplificativa ovvero dimostrativa sotto finzione; e rimossane
la corteccia, si vede lintenzione del favoleggiante).
47
Ibid., pp. 960-62: Si terciam, quod nequeunt, dixerunt esse damnandam, nil aliud erit quam eam sermonis
speciem damnasse qua sepissime usus est Cristus Ihesus, Dei filius, salvator noster, dum esset in carne, quanquam non
eo, quo poete, vocabulo sacre vocitent Lictere, quin imo vocavere parabolam; non nulli exemplum dicunt, eo
quod ratione dicatur exempli (Se la terza (ma non lo possono) dicono esser da condannare, non sar altro che con-
dannare quella specie di parlare della quale spessissime volte si serv Ges Cristo, figliuolo dIddio, nostro salvatore,
mentrera incarnato, bench non per quello vocabolo usato dai poeti le abbiamo chiamate le Sacre Scritture, ma per
parabola e in alcun luogo per esempio, per ragione desempio essendo detto).
48
Sulla diversit delle forme narrative ha avanzato interessanti ma embrionali proposte Mario Baratto nei capi-
Letteratura italiana Einaudi
47
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
quale si evidenzia dal conteggio delle parole, che in ognuna di esse sono contenu-
te (e, parallelamente, anche in tutti i vari segmenti della cornice)
49
. So bene che la
lunghezza di un racconto cosa diversa da ci che sintende per durata narrativa:
e per, oltre certi limiti, la lunghezza tende a diventare espressione o forma o con-
dizione di una determinata durata narrativa. Le differenze fra racconto e ro-
manzo in area moderna e contemporanea non possono non tener conto anche di
questo decisivo fattore di differenziazione, soprattutto quando questo assume le
dimensioni che vedremo: spesso e ci vale anche per il Decameron, come vedre-
mo la lunghezza rappresenta un veicolo essenziale per determinare temporalit
e spazialit nel racconto, nel senso che, ovviamente, l dove c un maggior nu-
mero di parole c anche la possibilit di allungare i tempi del racconto o di di-
versificare pi ampiamente i luoghi della narrazione. Ora, da questo punto di vi-
sta il Decameron rivela una diversit di dimensioni veramente impressionante tra
una novella e laltra, anche se poi larte del Boccaccio interviene coscientemente
con altri strumenti a riequilibrare anche in questo caso le sproporzioni che po-
trebbero crearsi da accostamenti troppo immediati e stridenti.
Tabella 1
Il computo delle parole stato realizzato dal dott. Lanfranco Fabriani, collaboratore tecnico
presso il Centro Interdipartimentale di Servizio per lAutomazione delle Discipline Umanistiche
dellUniversit di Roma La Sapienza. Per loperazione stato usato il programma WC (Word
Count), facente parte del sistema operativo Unix. Lunico trattamento subito dal testo stato la
separazione dellarticolo apostrofato dalla parola successiva, allo scopo di evitare che le due pa-
role venissero unite nel conteggio. La tabella d, per ogni giornata, i dati relativi a (nellordine):
rubriche delle novelle; novelle; rubriche delle giornate; introduzioni delle giornate; componi-
menti in versi nelle conclusioni; parti prosastiche delle conclusioni; componimenti in versi allin-
terno delle novelle. A parte vengono indicate le misure della rubrica del Libro, del Proemio e
della Conclusione dellautore.
Letteratura italiana Einaudi
48
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
toli Il racconto, Dal racconto al romanzo, Dal racconto alla novella, La novella esemplare, in M. BARATTO, Realt e sti-
Computo delle parole
Giornata Novella Totali
generali
Rubriche Novelle Rubriche Introduzioni Concl. Concl. Novelle
novelle giornate poesia prosa poesia
Prima 1 29 4761 -
2 24 1548 -
3 15 997 -
4 21 1320 -
5 22 956 -
6 13 855 -
7 22 1646 -
8 13 861 -
9 14 363 -
10 20 1105 -
44 6980 156 944 -
Totali 193 14412 44 6980 156 944 - 22729
Seconda 1 32 1707 -
2 28 2249 -
3 47 3052 -
4 34 1875 -
5 28 4659 -
6 67 4913 -
7 51 7824 -
8 46 5796 -
9 46 4606 -
10 45 2646 -
34 163 180 702 -
Totali 424 39327 34 163 180 702 - 40830
Terza 1 22 2421 -
2 30 1870 -
3 32 3502 -
4 34 1855 -
5 40 2136 -
6 46 3122 -
7 58 5983 -
8 48 3640 -
9 56 3288 -
10 21 1861 -
33 1105 265 745 -
Totali 387 29678 33 1105 265 745 - 32213
Letteratura italiana Einaudi
49
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Computo delle parole
Giornata Novella Totali
generali
Rubriche Novelle Rubriche Introduzioni Concl. Concl. Novelle
novelle giornate poesia prosa poesia
Quarta 1 31 3775 -
2 66 3585 -
3 77 2418 -
4 41 1784 -
5 54 1335 -
6 76 2624 -
7 43 1459 -
8 35 1972 -
9 43 1221 -
10 66 3241 -
27 2530 339 543 -
Totali 532 23414 27 2530 339 543 - 27385
Quinta 1 50 3981 -
2 49 2259 -
3 51 2547 -
4 25 1946 -
5 39 1983 -
6 38 1973 -
7 32 2438 -
8 64 2090 -
9 47 2235 -
10 88 3108 -
32 278 187 562 -
Totali 483 24560 32 278 187 562 - 26102
Sesta 1 24 520 -
2 16 1179 -
3 19 602 -
4 28 851 -
5 20 680 -
6 23 784 -
7 25 926 -
8 18 503 -
9 17 803 -
10 29 3037 -
39 738 207 1910 -
Totali 219 9885 39 738 207 1910 - 12998
Letteratura italiana Einaudi
50
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Computo delle parole
Giornata Novella Totali
generali
Rubriche Novelle Rubriche Introduzioni Concl. Concl. Novelle
novelle giornate poesia prosa poesia
Settima 1 33 1596 -
2 52 1543 -
3 22 1896 -
4 51 1532 -
5 52 2905 -
6 39 1264 -
7 39 2160 -
8 70 2795 -
9 48 3817 -
10 26 1300 -
43 418 258 646 -
Totali 432 20808 43 418 258 646 - 22605
Ottava 1 45 969 -
2 35 1967 -
3 47 2942 -
4 34 1902 -
5 19 1132 -
6 58 2077 -
7 53 8838 -
8 44 1584 -
9 36 5900 -
10 35 4129 -
41 119 179 549 -
Totali 406 31440 41 119 179 549 - 32734
Nona 1 43 2032 -
2 61 1025 -
3 34 1455 -
4 52 1405 -
5 31 2878 -
6 67 1707 -
7 26 767 -
8 19 1244 -
9 34 1832 -
10 35 1260 -
30 314 240 441 -
Totali 402 15605 30 314 240 441 - 17032
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Computo delle parole
Giornata Novella Totali
generali
Rubriche Novelle Rubriche Introduzioni Concl. Concl. Novelle
novelle giornate poesia prosa poesia
Decima 1 33 1019 -
2 35 1707 -
3 38 2329 -
4 39 2514 -
5 59 1595 -
6 21 2222 -
7 32 2302 223
8 84 6467 -
9 81 6369 -
10 91 4033 -
30 168 216 655 -
Totali 513 30557 30 168 216 655 223 32362
Generale Computo
delle parole
Rubrica 26
Proemio 941
Conclusione 1741
Letteratura italiana Einaudi
52
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Tabella 2.
La tabella indica i dati relativi allintero Decameron, distinti per giornate. La rubrica del Libro, il
Proemio e la Conclusione dellautore vengono sommate rispettivamente con le rubriche delle gior-
nate, le introduzioni delle giornate e le conclusioni delle giornate.
Computo delle parole
Giornata
Rubriche Novelle Rubriche Introduzioni Concl. Concl. Novelle Totali
novelle giornate poesia prosa poesia generali
Prima 193 14412 44 6980 156 944 - 22729
Seconda 424 39327 34 163 180 702 - 40830
Terza 387 29678 33 1105 265 745 - 32213
Quarta 532 23414 27 2530 339 543 - 27385
Quinta 483 24560 32 278 187 562 - 26102
Sesta 219 9885 39 738 207 1910 - 12998
Settima 432 20808 43 418 258 646 - 22605
Ottava 406 31440 41 119 179 549 - 32734
Nona 402 15605 30 314 240 441 - 17032
Decima 513 30557 30 168 216 655 223 32362
Parte generale 26 941 1741
Totali 3991 239686 379 13754 2227 9438 223
Totale complessivo 269698
Il senso di queste diversit si pu cominciare a cogliere, confrontando la pi
breve (Il re di Cipri, da una donna di Guascogna trafitto: I, 9) con la pi lunga
(Lo scolare e la vedova: VIII, 7) fra le novelle del Decameron: si passa dalle 363
parole della prima alle 8838 della seconda. Questo significa che nel Decameron
c unamplitudine estrema di registri narrativi: la pi piccola novella del Decame-
ron potrebbe stare ben 24,347 volte nella pi grande. Si capisce che, di fronte a
rapporti di tal genere, parlare genericamente di novella boccacciana ha davve-
ro poco senso.
Ha senso, invece, chiedersi se, usando il medesimo metro di misura sia possi-
bile elaborare un qualche criterio che ci consenta di stabilire una classificazione
delle cento novelle meno estrinseca di quella che solitamente viene elaborata per
temi o per tpoi. Nonostante la materia meriti di essere ancora approfondita, si
possono tuttavia avanzare alcune ipotesi, che del resto si incrociano e si sovrap-
pongono con altre gi da noi precedentemente affacciate.
Letteratura italiana Einaudi
53
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
2.2.1. Qualche banale dato quantitativo. Per avere davanti il problema nella
sua interezza, si possono raggruppare le novelle in classi progressive di 500 paro-
le, ottenendo il seguente risultato:
I. 0-500 (I): I, 9.
II. 501-1000 (14): VI, 8; VI, 1; VI, 3; VI, 5; IX, 7; VI, 6; VI, 9; VI, 4; I, 6;
I, 8; VI, 7; I, 5; VIII, 1; I, 3.
III. 1001-1500 (15): X, 1; IX, 2; I, 10; VIII, 5; VI, 2; IV, 9; IX, 8; IX, 10; VII,
6; VII, 10; I, 4; IV, 5; IX, 4; IX, 3; IV, 7.
IV. 1501-2000 (23): VII, 4; VII, 2; I, 2; VIII, 8; X, 5; VII, 1; I, 7; II, 1; IX, 6;
X, 2; IV, 4; IX, 9; III, 4; III, 10; III, 2; II, 4.
V. 2001-2500 (14): IX, 1; VIII, 6; V, 8; III, 5; VII, 7; X, 6; V, 9; II, 2; V, 2; X,
7; X, 3; IV, 3; III, 1; V, 7.
VI. 2501-3000 (8): X, 4; V, 3; IV, 6; II, 10; VII, 8; IX, 5; VII, 5; VIII, 3.
VII. 3001-3500 (6): VI, 10; II, 3; V, 10; III, 6; IV, 10; III, 9.
VIII. 3501-4000 (6): III, 3; IV, 2; III, 8; IV, 1; VII, 9; V, 1.
IX. 4001-4500 (2): X, 10; VIII, 10.
X. 4501-5000 (4): II, 9; II, 5; I, 1; II, 6.
XI. 5001-5500 (-):
XII. 5501-6000 (3): II, 8; VIII, 9; III, 7.
XIII. 6001-6500 (2): X, 9; X, 8.
XIV. 6501-7000 (-):
XV. 7001-7500 (-):
XVI. 7501-8000 (1): II, 7.
XVII. oltre 8000 (1): VIII, 7.
Un criterio puramente meccanico porterebbe a rilevare che tra le 500 e le
2500 parole si collocano ben 74 delle novelle del Decameron: difficile resistere
alla tentazione di cercare in questa ampia fascia ci che pi dovrebbe avvicinarsi,
almeno teoricamente, alle propensioni narrative pi spontanee e liberamente
espresse, e comunque il modulo pi frequentato dallautore nel corso del suo
lavoro di compilazione delle novelle.
Accostando un poco di pi lo sguardo alla classificazione, potremmo dire
che, nel segmento pi numeroso, quello che va dalle 1500 alle 2000 parole, tro-
viamo, tra le altre, novelle come quelle di Tofano (VII, 4), Peronella (VII, 7),
Abraam giudeo (I, 2), Gianni Lotteringhi (VII, 1), Bergamino (I, 7), Martellino
(II, 1), Ghino di Tacco (X, 2), Gerbino (IV, 4), Alibech romita (III, 10), Agilulf
(III, 2), Landolfo Rufolo (II, 4), Ricciardo Mainardi (V, 4), il prete da Varlungo
(VIII, 2), Girolamo e Salvestra (IV, 8), Gian di Procida (V, 6): dei prodigi di nar-
razione di media lunghezza, rapidi, sintetici, fortemente espressivi, proprio perch
non eccessivamente diffusi, costruiti con una sapiente preparazione al momento
spettacolare dello scioglimento.
Letteratura italiana Einaudi
54
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
2.2.2. Lunghezza, durata, ritmo narrativo, comparsa dei generi. Scendendo
ancor di pi nei particolari e contaminando il criterio della lunghezza con altri,
come quello tematico e quello stilistico, si potrebbe altres osservare che fra 363
e 1179 parole vi sono 20 novelle, o novellette, che potremmo considerare la va-
riante breve, essenziale, sintetica, della novella boccacciana. Si tratta, nellordi-
ne, di: I, 9; VI, 8; VI, 1; VI, 3; VI, 5; IX, 7; VI, 6; VI, 9; VI, 4; I, 6; I, 8; VI, 7; I,
5; VIII, 1; I, 3; X, 1; IX, 2; I, 10; VIII, 5; VI, 2. facile constatare che fra queste
son comprese quasi tutte le novelle della Sesta Giornata (9 su 10), e buona parte
delle novelle della Prima (6 su 10). Si tratta in tutti questi casi di novelle di mot-
ti, o affini: infatti, vi va aggiunta anche IX, 2, che appartiene sostanzialmente a
questo tipo. Nel gruppo compaiono anche la singolare novelletta di Talano dI-
mole, assai breve (IX, 7), la pi breve novella di cortesia (X, 1), e le due pi
brevi novelle di beffa del Decameron, e cio quella di Gulfardo e Guasparruo-
lo (VIII, 1) e dei tre giovani che traggono le brache ad un giudice (VIII, 5). In ca-
si come questi, la struttura narrativa ridotta allessenziale ed totalmente fun-
zionalizzata allo scioglimento, che pu consistere in una battuta o in una rapida
rivelazione (come ad esempio nella novella di Talano).
In una fascia superiore, che comprende tra le 1221 e le 3502 parole, trovia-
mo le novelle che, probabilmente, savvicinano di pi alla definizione canonica
di novella boccacciana. Sono 62 componimenti, che vanno dalla novella di
Guiglielmo Rossiglione e Guiglielmo Guardastagno (IV, 9) a quella della donna
che induce astutamente un solenne frate a farsi intermediario del suo desiderio
(III, 3), e che comprendono quasi tutte le novelle della Terza (8 su 10), della
Quarta (8 su 10), della Quinta (9 su 10), della Settima (8 su 10), della Nona (8 su
10). Tra di esse ci sono pressoch tutte le grandi novelle di beffa (Calandrino
pregno, IX, 3; Calandrino e il porco, IX, 6; Calandrino sinnamora di una giova-
ne, IX, 5; Calandrino e lelitropia, VIII, 3); le grandi novelle dellamore felice e
infelice (Lisabetta da Messina, IV, 5; Simona e Pasquino, IV, 7; Peronella, VII, 2;
Gerbino, IV, 4; Nastagio degli Onesti, V, 8; Federigo degli Alberighi, V, 9; Go-
stanza e Martuccio Comito, V, 2; Teodoro e Violante, V, 7; Pietro e Agnolella, V,
3; Andriuola e Gabriotto, IV, 6; Paganin da Monaco, II, 10; Ricciardo Minutolo,
III, 6); le novelle della virt e della fortuna (Bergamino, I, 7; Martellino, II, 1;
Ghino di Tacco, X, 2; Landolfo Rufolo, II, 4; frate Cipolla, VI, 10).
Oltre le 3500 parole e fino a 4913, il Boccaccio, pur non discostandosi di
molto dalle tematiche del gruppo precedente, sincammina decisamente sulla
strada del racconto lungo moderno, che, per la complessit dellintreccio e
delle tematiche investite, per la profondit della caratterizzazione psicologica
con cui egli saccosta ai personaggi e, in taluni casi, per la ricercata teatralit e la
spettacolarit delle soluzioni narrative, pu essere a stento compreso e sistemato
Letteratura italiana Einaudi
55
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
in quella nozione di novella, a cui pure Boccaccio ha dato un contributo decisi-
vo. Si tratta di 11 componimenti, che vale la pena di citare per intero, perch le-
lenco di per s eloquente. Sono: frate Alberto (IV, 2); Ferondo (III, 8); Tancre-
di e Ghismunda (IV, 1); Lidia e Pirro (VII, 9); Cimone (V, 1); Griselda (X, 10);
Salabaetto (VIII, 10); Bernab da Genova (II, 9); Andreuccio da Perugia (II, 5);
ser Cepparello (I, 1); Madama Beritola (II, 6).
In alcuni casi, questi racconti lunghi tendono a collegarsi al romanzesco
della classificazione superiore (Bernab da Genova, Madama Beritola); in altri,
al contrario, ci troviamo di fronte al fenomeno opposto, ossia allespansione di
un tipico modello novellistico, che per si sviluppa in una dimensione dellim-
maginario di inusuale ricchezza (frate Alberto, Salabaetto, Andreuccio da Peru-
gia, ser Cepparello). Si potrebbe dire, cio, che il nucleo tematico originario (che
pu essere anche in questi casi la beffa, il motto, la fortuna, il desiderio sessuale)
viene sviluppato non in una sola ma in pi direzioni, passando dalla dimensione
pi minuziosa e realistica della cronaca a quella senza confini dellavventura. Na-
turalmente questo si risolve, in diversi casi, in quella topica dimensione dellav-
ventura che il viaggio (Salabaetto, Bernab da Genova, Andreuccio da Perugia,
Madama Beritola); in altri, per, il viaggio un fatto soprattutto intellettuale, in-
teriore, che ha a che fare soprattutto con la rottura delle regole prestabilite (fra-
te Alberto e ser Cepparello, che pure coinvolgono, anche nel senso stretto del
termine, elementi geografici e ambientali fuori del comune contesto toscano; per
non parlare del povero Ferondo, che costretto addirittura ad affrontare un in-
crescioso viaggio in Purgatorio). Possiamo notare anche che fra queste novelle vi
sono le due che aprono (ser Cepparello) e chiudono (Griselda) il Decameron, a
riprova della particolare considerazione con cui Boccaccio doveva guardare a
questo tipo di livello narrativo.
Oltre le 5000 parole si entra in una dimensione ancora diversa.
Abbiamo qui sette soli componimenti, che per messi insieme costituiscono
un volume narrativo pi di cinque volte superiore a quello dellintera Sesta Gior-
nata: pensiamo di indicarli tutti, in questo caso con le relative quantit di parole,
perch anche gli stacchi fra luno e laltro sono cos rilevanti da far pensare a del-
le brusche accelerazioni verso direzioni narrative, che poi non sono state pi pra-
ticate n dal Boccaccio stesso n per molto e molto tempo da altri. Penso che ad
alcune di queste novelle soprattutto faccia riferimento Boccaccio, quando nella
Conclusione dellautore ( 20-21) accenna al fatto che qualcuno gli rimprove-
rer di averne inserito nel Decameron di troppo lunghe. Ci rivela, ancora una
volta, una precisa consapevolezza da parte sua delle procedure adottate e della
novit e, anche, della inusualit dei risultati raggiunti. La novella lunga , in-
fatti, totalmente estranea ai modelli narrativi pi diffusi al tempo del Boccaccio,
Letteratura italiana Einaudi
56
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
sia che si tratti di una tradizione laica (fabliaux, Novellino), sia che si tratti di una
tradizione morale e religiosa (exempla), riallacciandosi, se mai, ad esemplari fuo-
ri delle pi comuni conoscenze contemporanee (il romanzo antico). Ingegno-
sissima anche la risposta (o, come sarebbe pi esatto dire, linsieme delle rispo-
ste), che Boccaccio d al suo ipotetico critico. Infatti, egli dice che chi non ha
tempo da dedicare alla lettura, perch occupato in altre operazioni, sarebbe fol-
le a perdersi dietro novelle, ancorch brevi. Quindi, lo spazio della lettura, o,
per meglio dire, della lettura piacevole, si configura per Boccaccio come
quello dellozio: non a caso, Boccaccio, con arguzia raffinatissima, ricorda des-
sersi rivolto, allinizio dellopera (Proemio, 9 sgg. ) a quelle donne che fossero
oziose, e non allaltre. Si riconferma, dunque, e nello specifico del ragiona-
mento sulla novella troppo...lunga, perch il pubblico privilegiato del Decame-
ron sia formato da donne. Infatti, gli scritti brevi sono adatti soprattutto agli stu-
diosi, che faticano per utilmente adoperare il tempo: mentre le donne
conclude Boccaccio con sottile ironia , non avendo di queste preoccupazioni,
possono permettersi di usare tutto il tempo che vogliono: E oltre a questo, per
ci che n a Atene n a Bologna o a Parigi alcuna di voi non va a studiare, pi di-
stesamente parlar vi si conviene che a quegli che hanno negli studii glingegni as-
sottigliati.
La novella lunga, dunque, nasce secondo Boccaccio anche come risposta
squisitamente estetica ad un passaggio decisivo nella storia del pubblico, in cui
alla prevalente destinazione utilitaria della lettura si sostituisce un godimento di-
sinteressato e senza fini pratici. Si comincia a leggere volentieri non ci che ser-
ve, ma ci che piace, e in questo schema le donne, almeno da un punto di vista
teorico, risultano avvantaggiate rispetto agli uomini.
Le novelle di questultimo gruppo sono: il conte dAnguersa, II, 8 (5796);
Bruno, Buffalmacco e maestro Simone, VIII, 9 (5900); Tedaldo, III, 7 (5983); il
Saladino e messer Torello, X, 9 (6369); Tito e Gisippo, X, 8 (6467); Alatiel, II, 7
(7824); lo scolare e la vedova, VIII, 7 (8838). In taluni di questi casi, c da ripe-
tere quanto abbiamo gi detto per il tipo precedente: una delle strade battute da
Boccaccio consiste evidentemente nella fantasiosa espansione di un topico moti-
vo novellistico: questo discorso vale, ad esempio, per le novelle di Maestro Si-
mone e di Tedaldo. In altri casi, invece, il conte di Anguersa, il Saladino e mes-
ser Torello, Tito e Gisippo e Alatiel (che di questa ultima classificazione costitui-
sce ovviamente lidealtipo) , siamo di fronte ad uno svolgimento della ricerca
narrativa boccacciana, che punta decisamente alla prosa di romanzo, sia per le-
spansione, anche in questo caso, dellorizzonte investito sia per la diversa tona-
lit fantastica, immaginosa, incoercibile del racconto.
Letteratura italiana Einaudi
57
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Anche allinterno di questultimo livello sorprende per la variet delle solu-
zioni narrative presenti. Componendo insieme elementi del penultimo e dellul-
timo livello, si potrebbe fare la seguente considerazione: nelle novelle pi lunghe
Boccaccio punta s verso un modo di narrare romanzesco, ma seguendo chiara-
mente due possibili strade.
La prima quella che insiste sulla moltiplicazione dei dati dellintreccio, an-
che a scapito dellapprofondimento della fabula, sulluso totalmente dispiegato
di localizzazioni esotiche e di elementi di viaggio, su di una tonalit alta di av-
ventura. Novelle inequivocabilmente di questo tipo sono quelle di Madama Be-
ritola, il conte di Anguersa, il Saladino e messer Torello, Alatiel.
Laltra strada quella del romanzo borghese, dove il motivo tematico, che
avrebbe potuto senza dubbio ritrovarsi anche in una novella di pi limitate di-
mensioni, viene sviscerato e arricchito con una ricchezza psicologica e con unat-
tenzione agli elementi affettuosi e patetici, che riportano indietro al clima di
unopera come lElegia di Madonna Fiammetta (che, infatti, muoveva anchessa
verso il romanzesco, battendo la strada del dramma passionale e dello studio psi-
cologico dei sentimenti). Novelle di questo tipo sono quelle di Tedaldo e dello
scolare e della vedova, interessantissime proprio per questo motivo, anche se
pu apparire discutibile la persuasivit dei risultati raggiunti.
A questi due tipi se ne affianca un altro, di rilievo minore, che quello delle
novelle di natura classicistico-erudita, come Lidia e Pirro, Cimone, Tito e Gisip-
po, che si muovono anchesse nella direzione romanzesca precedentemente de-
scritta ma soprattutto in una chiave altamente culturale e intellettualizzata, come
recupero di registri da tempo abbandonati, e recuperati da Boccaccio in una
chiave che si direbbe antiquaria. I romanzieri italiani del Seicento avranno ben
presenti tutti e tre questi registri narrativi, a testimonianza che c una conside-
revole influenza boccacciana anche in questo secolo, sebbene solitamente si veda
meno.
3. Le giornate e le strutture.
Qualche osservazione conclusiva sulla struttura delle giornate, che tenga conto
del criterio di misurazione delle novelle, quale lo abbiamo finora utilizzato. An-
che fra le giornate ci sono diversit di dimensioni piuttosto cospicue: la pi bre-
ve fra esse, la Sesta (9885 parole) meno di un quarto della pi lunga, la Secon-
da (39327 parole). Mi riferisco in questo caso, con le cifre, alla somma delle no-
velle contenute nelle rispettive giornate; infatti, se indicassimo la misura com-
plessiva delle due giornate (novelle pi cornice), la sproporzione si attenuerebbe
alquanto, perch la cornice della Sesta, come abbiamo gi detto, assai pi lun-
Letteratura italiana Einaudi
58
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
ga di quella della Seconda (rispettivamente, 3113 e 1503 parole). Una considera-
zione analoga si potrebbe fare a proposito della Prima Giornata, la cui notevole
brevit (14412 parole) attenuata dalla presenza di una cornice imponente
(8317), lunga pi di due terzi di tutte le novelle della giornata messe insieme.
Ci sembra che risulti evidente anche da queste osservazioni che Boccaccio
deve aver curato la sistemazione delle novelle in giornate, anche tenendo conto di
questi equilibri e di queste proporzioni. Forse soltanto della Quarta Giornata si
potrebbe dire che lesigenza di ampliare la cornice (la pi lunga del Decameron,
dopo quella della prima: 4421 parole) sia stata determinata da un fattore interno
allo svolgimento del discorso pi che da aspirazioni architettoniche.
Naturalmente, si potrebbe dire che la lunghezza delle giornate essenzial-
mente determinata dalla lunghezza delle singole novelle in ciascuna di esse conte-
nute: non pu sorprendere dunque che la Sesta Giornata sia la pi breve, visto
che 8 novelle su 10 stanno fra le 503 e le 926 parole, una sola di 1179, e una sol-
tanto, quella conclusiva di frate Cipolla, sale alle grandi dimensioni del racconto
(anche in questo caso si pu pensare ad una consapevole operazione di riequili-
brio della giornata, affidata nellultima sede allingegnosit di Dioneo, che aveva
pi tempo per narrare); n che la Seconda sia la pi lunga, visto che 6 novelle su
10 sono fra le 3000 e le 5000 parole, e 2 si pongono nel rango delle novelle di ec-
cezionale lunghezza: il conte dAnguersa (5796) e Alatiel (7824).
Il punto che, invece, esiste un rapporto intrinseco tra il problema della lun-
ghezza ed altri aspetti sostanziali caratterizzanti le singole giornate. Ad esempio:
la Sesta Giornata tutta stanziale (fiorentino-toscana) e la Seconda tutta di viag-
gio; lo spazio e il tempo coinvolgono dunque direttamente, nei due sensi esatta-
mente opposti, la durata della narrazione. La stanzialit, poi, ha rapporti con la
tematica del motto e della beffa: dove ci sono parecchie novelle di motto e di bef-
fa, la durata delle giornate si riduce drasticamente. Infatti, le giornate pi brevi
del Decameron (prescindendo dalle operazioni correttive condotte nella cornice),
sono nellordine la Sesta, la Prima, la Nona e la Settima; lOttava Giornata, an-
chessa di beffe, ha una lunghezza molto maggiore, soltanto perch contiene la
pi lunga novella del Decameron, quella dello scolare e della vedova, che da sola
occupa un quarto dellintera giornata, e che merita una considerazione tutta par-
ticolare.
La Seconda Giornata, invece, esprime la sua prevalente vocazione romanze-
sca, allungando a dismisura, rispetto alloriginario nucleo novellistico, lorizzonte
del narrativo. La Fortuna, quando dispiega in grande la sua potenza, vola da pae-
se a paese, da continente a continente, sorvola i mari o saggira inesausta per le vie
delle grandi citt: vuole spazio e tempo senza limiti, per conseguire fino in fondo
i propri fini.
Letteratura italiana Einaudi
59
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
III. TEMATICHE E CONTENUTI.
1. Il mondo del Libro.
1.1. Fortuna e Natura.
Alla variet delle strutture e delle scelte narrative praticate corrispondono lestre-
ma ricchezza e lamplitudine immensa delle tematiche affrontate. Lo stesso Boc-
caccio ce ne fornisce una precisa indicazione in Proemio, 14, dopo aver indicato
di quanti tipi potranno essere le sue narrazioni
50
: Nelle quali novelle piacevoli e
aspri casi damore e altri fortunati avvenimenti si vederanno cos nei moderni tem-
pi avvenuti come negli antichi [...]. Dunque, Boccaccio insiste su questa duplice
bipartizione della materia, consistente, da una parte, nellaffiancare ai casi di for-
tuna i casi damore (i quali, peraltro, rappresentano, come si vede, una varian-
te fondamentale dei primi: altri fortunati avvenimenti [...]), e, dallaltra, nel di-
stinguerli lungo larco temporale, sommario ma significativo, dellantico e del
moderno.
Come si vede, un valore predominante, nella cosmologia delle forze boccac-
ciane, lo assume senza alcun dubbio la Fortuna, la vera dominatrice dei destini
umani, lorizzonte (pratico, ma anche concettuale) dentro cui si inscrive la lotta
delluomo per raggiungere uno qualsiasi degli obiettivi desiderati
51
. Nel Decame-
ron questo lo si dice pi volte, ma mai forse con tanta chiarezza come da Pampi-
nea, non a caso prescelta anche questa volta a far da portavoce allautore:
E mentre che della buona notte che colei ebbe soghignando si ragionava, Pampinea,
che s allato allato a Filostrato vedea, avvisando, s come avvenne, che a lei la volta do-
vesse toccare, in se stessa recatasi quel che dovesse dire cominci a pensare; e, dopo il
comandamento della reina, non meno ardita che lieta cos cominci a parlare: Valoro-
se donne, quanto pi si parla de fatti della fortuna, tanto pi, a chi vuole le sue cose
ben riguardare, ne resta a poter dire: e di ci niuno dee aver maraviglia, se discreta-
mente pensa che tutte le cose, le quali noi scioccamente nostre chiamiamo, sieno nelle
sue mani, e per conseguente da lei, secondo il suo occulto giudicio, senza alcuna posa
duno in altro e daltro in uno successivamente, senza alcuno conosciuto ordine da noi,
esser da lei permutate
52
.
La sentenza pronunciata dopo la conclusione della novella di Rinaldo dA-
sti (II, 2) e come proemio a quella dei tre giovani che male il loro avere spendono
(II, 3), due esemplari apologhi sullinfluenza decisiva che la Fortuna pu esercita-
Letteratura italiana Einaudi
60
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
le nel Decameron, Roma 1984
2
, pp. 93-124, 125-54, 155-70, 171-95.
49
I risultati di tale analisi del testo sono riportati integralmente nelle Tabelle 1 e 2, qui alle pp. 512-15.
50
Su questo cfr. qui pp. 509-II.
51
Sul tema della Fortuna cfr. C. MUSCETTA, Giovanni Boccaccio cit., pp. 187-88. Cfr. anche V. BRANCA,
Tradizione medievale (1950), in ID., Boccaccio medievale Cit., p. 23; ma soprattutto il saggio di M. BARATTO, Orien-
re sui destini umani, in ambedue i casi, questa volta, in senso inaspettatamente
positivo. Del resto, come abbiamo ormai ripetuto pi volte, la seconda una tipi-
ca giornata della Fortuna (vi si ragiona [...] di chi, da diverse cose infestato, sia,
oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine), con esito tuttavia in ogni caso positi-
vo, anche se non nella maniera dichiarata e programmatica che risulter dalla ru-
brica della terza. In essa, infatti, sono contenute novelle in cui, del tutto indipen-
dentemente dal punto dinizio della narrazione, che pu essere determinato di
volta in volta dalla stupidit del personaggio o dalla sua totale passivit, dallaccu-
mularsi di circostanze esterne sfavorevoli o da mosse sbagliate dellintelligenza,
c un momento, un punto, in cui qualcosa desterno e di assolutamente impreve-
dibile interviene a modificare, e in tutti questi casi in meglio, il corso dellazione:
parliamo, per intenderci, oltre che delle due gi citate, di novelle stupende come
quelle di Martellino (II, 1), di Landolfo Rufolo (II, 4), di Andreuccio da Perugia
(II, 5), di Madama Beritola (II, 6), di Alatiel (II, 7), del Conte di Anguersa (II, 8),
di Bernab da Genova (II, 9).
Ma, naturalmente, in altri casi la Fortuna si presenta inesorabilmente nella
sua veste di destino cattivo, di persecutrice delle esistenze pi felici e fortunate:
ci accade, ad esempio, in quasi tutte le novelle della Quarta Giornata, ma in ma-
niera forse particolarmente aspra nelle novelle di Tancredi e Ghismunda (IV, 1),
di Gerbino (IV, 4), di Lisabetta da Messina (IV, 5), e in maniera ancor pi clamo-
rosa, per limprevedibilit e la totale occasionalit degli eventi sfortunati, che
stanno al centro dellazione, in quelle dellAndriuola e Gabriotto (IV, 6) e di Si-
mona e Pasquino (IV, 7). Pi in generale, si potrebbe dire che difficile indivi-
duare un passaggio narrativo allinterno del Decameron in cui non sia presente,
come dominatrice assoluta o in conflitto con altre forze, la Fortuna: basti pensare
ad alcune fra le pi importanti novelle della Quinta Giornata (Pietro e Agnolella,
3; Nastagio degli Onesti, 8; Federigo degli Alberighi, 9) o della Decima (ad esem-
pio, Torello e il Saladino, 9).
Non abbiamo lo spazio per soffermarci su questo punto, peraltro decisivo.
Possiamo soltanto dire che lintero universo antropologico di Giovanni Boccaccio
dominato da questo elemento. Quali che ne siano le premesse ideologico-reli-
giose, essenziale constatare che Boccaccio contempla il mondo, e conseguente-
mente lo rappresenta, come se fosse un mondo continuamente a rischio, in cui gli
elementi di durabilit e di certezza (gli affetti, le stesse fortune mondane, i desi-
deri e le aspirazioni) sono continuamente messi in crisi e stravolti e spesso spazza-
ti via, da elementi di precariet e dincertezza (molte volte il caso puro, ma altre
volte anche la tirannia delle convenienze e delle regole sociali o lincredibile cru-
delt degli uomini stessi). O non la stessa premessa o cornice che dir si vo-
glia del Decameron introdotta e determinata da un colossale caso di fortuna co-
Letteratura italiana Einaudi
61
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
me la pestilenza, che, sconvolgendo in profondit ogni ordine costituito, rende
necessario fondarne un altro, perch, a sua volta, la narrazione sia resa possibile
in questo imprevisto spazio di libert aperto dalla catastrofe?
Questo universo, Boccaccio lo deduce in qualche modo da Dante, il quale
tuttavia cerca di mantenerlo ancorato e, verrebbe voglia di dire, regolato e sorve-
gliato allinterno del sistema ideologico-religioso tomistico. Quando, in Par. XVII,
il poeta esprime allantenato Cacciaguida la voglia dintender qual fortuna mi
sappressa (vv. 26-27), la risposta, prima di delinearsi nella forma di una profezia
personale estremamente circostanziata e precisa, parte dalla definizione del rap-
porto fra antiveggenza, volont divina e predestinazione: La contingenza, che
fuor dal quaderno | de la vostra matera non si stende, | tutta dipinta nel cospetto
eterno; | necessit per quindi non prende | se non come dal viso che si specchia |
nave che per torrente gi discende (vv. 37-42). Lardua dimostrazione, non a ca-
so risolta con una straordinaria metafora (come, del resto, sovente Dante fa, quan-
do gli vengon meno gli strumenti puramente logici del discorso), mentre riporta
anche il problema della fortuna personale a quello della Provvidenza divina, lascia
per sostanzialmente inalterato il punto relativo allinfluenza, che, di fatto, la for-
tuna esercita sui casi umani, limitandosi se mai a colorarlo di venature etico-reli-
giose. Non a caso, infatti, il tema della Fortuna compare spesso nella Commedia in
contesti profetici, come simbolo della contraddizione che si manifesta tra lauten-
tico valore del singolo e la sua sfortuna mondana e come impegno soggettivo a
contrastarle nonostante tutto il passo, ad opporle il senso della legge e della mora-
le. Cos, ad esempio, nel canto di Brunetto Latini (anticipazione e corrispettivo, in
qualche modo, di Cacciaguida), dove Dante si mette in bocca queste parole: Tan-
to voglio che vi sia manifesto, | pur che la mia coscienza non mi garra, | cha la
Fortuna, come vuol, son presto. | Non nuova a li orecchi miei tal arra: | per giri
Fortuna la sua rota | come le piace, e l villan la sua marra (Inf. XV, 91-96).
Si ha limpressione, tuttavia, che, ove si sciolga il nesso astrattamente ideolo-
gico-religioso tra Fortuna mondana e Provvidenza divina, anche in Dante, nella
costruzione dei singoli destini dei suoi personaggi, svolga un ruolo rilevantissimo
il tema dellaccidentalit e imprevedibilit dei casi umani. Boccaccio, il quale no-
toriamente sispira alla lezione dantesca pi per ci che riguarda le concrete solu-
zioni poetiche e metaforiche adottate che per le tesi dordine religioso e filosofico,
pu avere, anche da questo punto di vista, attinto spunti e suggestioni nellim-
menso serbatoio di storie della Commedia, per trarne conferma a questa sua vi-
sione del mondo.
Naturalmente, e anche da quanto noi ne siamo venuti brevemente accennan-
do si pu arrivare a questa conclusione, il tema della Fortuna tipicamente me-
dievale, da Boezio ad Arrigo da Settimello a Dante, allo stesso Petrarca. Ma Boc-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
caccio ci consente di vedere nel Decameron come le tematiche tradizionali si evolva-
no, senza brusche soluzioni di continuit, verso nuovi orizzonti antropologici e let-
terari. Quello che in Dante era solo potenziale, in Boccaccio diventa atto. Boccaccio
scioglie del tutto, e definitivamente, il nesso esistente tra spiegazione teologica e ca-
si umani (quali che siano i residui lasciati in alcuni pochi punti del testo dal formu-
lario tradizionale, che sappellava alla divinit per spiegare luniverso mondo) e, per
la prima volta con questa chiarezza nella storia delle letterature occidentali moder-
ne, concepiva il mondo, sia umano sia naturale, come un terreno di conflitto tra im-
prevedibilit, accidentalit e incoercibilit della Fortuna, da una parte, e logiche co-
struttive degli affetti e dellingegno umani, dallaltra. cos aperta la strada a quel
lungo percorso tematico, che, senza interruzioni, arriver, culminandovi, fino a Ma-
chiavelli, Ariosto e oltre (fino, vogliamo dire, alla fiera battaglia condotta dalla Con-
troriforma per ricondurre le cose umane dentro un ordine sicuro e prestabilito).
Sarebbe fuor di luogo restaurare su questa base contrapposizioni obsolete tra
medievale e moderno. bens vero che, se non si coglie la direzione di un
processo, e lasse di un mutamento, si corre il rischio anche di non avvertire il sen-
so di certe esperienze nuove nella loro irripetibile individualit e anche, magari, il
carattere, o i caratteri, distintivi delle nuove culture, a mano a mano che queste si
vanno formando. Ora, fuor di dubbio che un tratto distintivo del nuovo univer-
so culturale umanistico-rinascimentale rappresentato dalla rottura di un sistema
sostanzialmente monolitico, al cui interno mondo celeste e mondo terreno si cor-
rispondevano (con una pressoch totale subalternit del secondo al primo) e dal-
la conseguente irruzione di potenti fattori dinstabilit e di precariet nel mondo
umano, che viene da quel momento in poi considerato un campo di lotte non de-
finite n risolte in partenza. Per quanto sia eccessivo e distorcente fare di Boccac-
cio un antesignano del nichilismo occidentale, sarebbe altrettanto riduttivo non
cogliere in lui il senso di un dramma che si sta svolgendo: al di l del sistema chiu-
so dantesco (anchesso, per, percorso, come abbiamo detto, da non poche vena-
ture e crepe) e per in maniera assolutamente diversa dal monismo egocentrico,
che Petrarca ossessivamente contrappone a quel sistema chiuso, Boccaccio mette
i suoi uomini e le sue donne a battagliare nel vero senso del termine dentro
questo vuoto di princip e di valori, che si creato. E, mentre prende atto della
dissoluzione avvenuta, registra, con sguardo singolarmente acuto e premonitore,
lemergere di nuove forze e di nuove regole. Buona parte del suo realismo con-
siste in questo tentativo di aderire alle cose come sono nella condizione di tota-
le fallibilit dei sistemi, che nel mondo umano si determinata.
In questo mondo nuovo, liberato dai sistemi e regolato da altri princip, una
forza determinante costituita dalla Natura. La Natura, come la Fortuna, un
termine ricchissimo nel Decameron di valenze semantiche diverse. Da quelle pi
Letteratura italiana Einaudi
63
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
circostanziate e particolari pu essere usato per indicare il temperamento del
singolo individuo: di ser Ciappelletto si dice che fuori di sua natura benigna-
mente e mansuetamente cominci a voler riscuotere (I, 1, 19) si pu passare a
quelle pi generali, in cui Natura vale, al pari della Fortuna, come potente
ordinatrice del mondo.
Ci detto pi volte nel Decameron, ma in nessun luogo con tanta chiarezza
come nella Introduzione alla Quarta Giornata, vero manifesto programmatico
dello scrittore, dove la riaffermazione del suo desiderio e della sua intenzione di
servire in tutto e per tutto le donne sbocca su questo spunto teorico, con il quale
non a caso il ragionamento poi si chiude:
E se mai con tutta la mia forza a dovervi in cosa alcuna compiacere mi disposi, ora pi
che mai mi vi disporr, per ci che io conosco che altra cosa dir non potr alcuno con
ragione, se non che gli altri e io, che vamiamo, naturalmente operiamo; alle cui leggi,
cio della natura, voler contrastare troppo gran forze bisognano, e spesse volte non so-
lamente invano ma con grandissimo danno del faticante sadoperano. Le quali forze io
confesso che io non lho n daverle disidero in questo; e se io lavessi, pi tosto a altrui
le presterei che io per me ladoperassi. Per che tacciansi i morditori, e se essi riscaldar
non si possono, assiderati si vivano: e ne lor diletti, anzi appetiti corrotti standosi, me
nel mio, questa brieve vita che posta n, lascino stare
53
.
Si notino le seguenti affermazioni: chi ama le donne, opera secondo natura;
non ci si pu opporre alle leggi di natura, anzi, opporvisi procura gran danno a
chi tenta di farlo. Lo scrittore non ha queste forze. Ma se pure le avesse, si guar-
derebbe bene dallutilizzarle, preferirebbe (ironicamente) prestarle ad altri.
Del resto, il Filippo Balducci, protagonista della novelletta delle papere, che,
nellIntroduzione alla Quarta Giornata, serve a consolidare in forma di apologo il
ragionamento boccacciano, quando saccorge che il figlio attratto irresistibil-
mente dalle fanciulle, pur non avendone mai vista una prima, anche lui sent in-
contanente pi aver di forza la natura che il suo ingegno
54
.
La forza naturale trama di s tutto il Libro, e naturalmente, in modo particola-
re, le giornate Quarta e Quinta, che, nei vari casi damore, rappresentano di volta in
volta tragicamente o comicamente limpulso irresistibile di questa passione prima-
ria e fondamentale: dallorazione alta e spregiudicata di Ghismunda a suo padre (I,
1, 31-45), che tutta unesaltazione della supremazia della carne e del sangue veri,
autentici, sullastratta nobilt di lignaggio (ma lamante Guiscardo aveva gi espres-
so lo stesso concetto con sintetica e dignitosa semplicit a Tancredi, che lo rimpro-
verava per il tradimento commesso: Amor pu troppo pi che n voi n io possia-
tamenti morali del Boccaccio, in ID., Realt e stile nel Decameron cit., pp. 49-68.
52
Dec., II, 3, 4, p. 153.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
mo, 23), alla indulgente e deliziosamente opportunistica comprensione di mes-
sere Ricciardo Mainardi di fronte alla colpa commessa dalla figlia e da Lizio di Val-
bona, trasparente antifrasi in tono leggero della truce novella precedente (Ricciar-
do, questo non merit lamore il quale io ti portava e la fede la quale io aveva in te;
ma pur, poi che cos e a tanto fallo tha trasportato la giovanezza, acci che tu tol-
ga a te la morte e a me la vergogna, sposa per tua legittima moglie la Caterina, acci
che, come ella stata questa notte tua, cos sia mentre ella viver: V, 4, 43).
Se la varia materia di amore pi soggetta di altre, o anche solo soggetta pi vi-
sibilmente, allinfluenza determinante del fattore naturale, non bisogna per pen-
sare che questo non sia presente anche in altri snodi decisivi dellesistenza umana:
per esempio, nella determinazione di quel carattere, di quel tratto tipico del
singolo individuo, che spesso pu essere in contraddizione con la sua condizione
sociale e con la sua collocazione mondana. In casi come questi, Boccaccio riflette, e
fa riflettere, sul conflitto fra Natura e Fortuna, che impronta di s tanta parte della
storia umana. Le due grandi forze possono dunque essere armonicamente conver-
genti nella medesima direzione; ma possono anche combattersi fra loro, spingendo
in direzioni contrapposte, fino a produrre conseguenze catastrofiche. Nella mede-
sima novella per esempio quella gi richiamata di Tancredi e Ghismunda si pos-
sono trovare ambedue i movimenti: Natura e Fortuna si alleano nel rendere possi-
bile lappassionato amore di Ghismunda e Guiscardo; Natura e Fortuna confliggo-
no, perch lumile condizione sociale di Guiscardo, e quindi lira nobiliare di Tan-
credi, preparano e rendono inevitabile la conclusione tragica di tale amore
55
.
Aggiungo che, nella medesima novella, pu osservarsi anche il caso singolare di
una fortuna che, nel corso della stessa vicenda, come capita, mostra prima il suo vol-
to buono e poi quello cattivo. Come dice Ghismunda, elencando le forze, che aveva-
no favorito allinizio il soddisfacimento della sua passione: Alla qual cosa e pietoso
Amore e benigna fortuna assai occulta via mavean trovata e mostrata, per la quale,
senza sentirlo alcuno, io amiei disideri perveniva [...] (IV, 1, 36). Ma, siccome lin-
vidia una tra le forze umane pi perniciose, anche la fortuna, antropomorfizzando-
si, pu cambiare la sua benignit in malignit e scaricare sugli amanti i veleni della
sua potenza nemica: Ma la fortuna, invidiosa di cos lungo e di cos gran diletto, con
doloroso avvenimento la letizia de due amanti rivolse in tristo pianto (IV, 1, 15).
Ma pu esserci anche una visione limpida e positiva di tale conflitto tra Na-
tura e Fortuna. Non a caso la teorizzazione pi compiuta dei rapporti tra Natura
e Fortuna viene messa dallautore in bocca ancora una volta a Pampinea, la quale
cos si esprime, introducendo la novella di Cisti fornaio:
53
Dec., IV, Intr., 42, p. 470.
54
Ibid., 29, p. 465.
Letteratura italiana Einaudi
65
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Belle donne, io non so da me medesima vedere che pi in questo si pecchi, o la natura
apparecchiando a una nobile anima un vil corpo, o la fortuna apparecchiando a un cor-
po dotato danima nobile vil mestiero, s come in Cisti nostro cittadino e in molti anco-
ra abbiamo potuto vedere avvenire; il qual Cisti, daltissimo animo fornito, la fortuna
fece fornaio. E certo io maladicerei e la natura parimente e la fortuna, se io non cono-
scessi la natura esser discretissima e la fortuna aver mille occhi, come che gli sciocchi lei
cieca figurino. Le quali io avviso che, s come molto avvedute, fanno quello che i mor-
tali spesse volte fanno, li quali, incerti de futuri casi, per le loro oportunit le loro pi
care cose ne pi vili luoghi delle lor case, s come meno sospetti, sepelliscono, e quindi
ne maggior bisogni le traggono, avendole il vil luogo pi sicuramente servate che la
bella camera non avrebbe. E cos le due ministre del mondo spesso le lor cose pi care
nascondono sotto lombra dellarti reputate pi vili, acci che di quelle alle necessit
traendole pi chiaro appaia il loro splendore
56
.
Laccostamento fra la teoria e lexemplum addotto qui meno casuale che al-
trove. Infatti, non c forse nel Decameron un personaggio in cui, come in Cisti, si
manifesti in cos alto grado e al tempo stesso in una forma cos semplice la lezione
che pu derivare dallesaltazione delle doti naturali, positive, di un individuo
umano. Il ritratto che ne scaturisce, solare, oserei dire, con quel sentore di puli-
zia e di nativa eleganza e quei riflessi di bianco e di lucentezza sparsi dappertutto,
la pi persuasiva dimostrazione della tesi che non nobile chi nato da una
famiglia nobile, ma, puramente e semplicemente, chi nato nobile.
giocoforza ammettere, nonostante il gran parlare che se ne fatto, che Boc-
caccio non riserba alla virt umana il medesimo trattamento esemplare fatto alla
Fortuna e alla Natura, le due ministre del mondo. Forse il discorso teorico non
era su questo punto ancora cos maturo come sugli altri, e Boccaccio si limitava a
registrare gli eventi cos come gli sembrava che si verificassero, senza cercare di ri-
durre un insieme vitale di atteggiamenti ad un unicum sistematico; forse lo interes-
sava di pi scorgere in filigrana la dinamica delle spinte e controspinte umane in ac-
cordo o in lotta con i princip superiori di Natura e Fortuna, senza far emergere la
trama di riferimenti sottostanti alle cose. Forse ed lipotesi pi probabile la
vrt umana non era per lui che una manifestazione di Natura, riconoscibile e spie-
gabile in quel grande quadro teorico, senza bisogno di ulteriori specificazioni.
Per un verso, virt sidentifica per Boccaccio con la parola eponima della
Terza Giornata, industria (...di chi alcuna cosa molto da lui disiduata con in-
dustria acquistasse o la perduta ricoverasse): in questo caso, il termine non pre-
senta alcuna connotazione morale, pu valere di volta in volta come astuzia, abi-
lit, capacit dinfingimento, ecc. ecc.
55
Cfr. G. GETTO, La novella di Ghismonda e la struttura della Quarta Giornata, in ID., Vita di forme e forme di
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Ma altrove virt eleva di molto i suoi contenuti, tende a coincidere con una
concezione alta dellattivit umana. Non un caso che gli accenni Pi espliciti ad
una teoria della virt umana si trovino in quel discorso dellintrepida Ghismunda,
che rappresenta, come abbiamo gi detto, un vero manifesto del conflitto tra Na-
tura e Fortuna.
La forma positiva, che la Natura assume in Guiscardo, prende per lappunto
il nome di virt, e il perno delloratio defensoria pronunciata da Ghismunda
rappresentato dalla persuasione che Guiscardo fosse uom di nazione assai umile
ma per virt e per costumi nobile (IV, 1, 6), e che questo fosse il principale mo-
tivo ma anche la pi attendibile giustificazione dellinnamoramento di lei per lui.
Trasparente la ripresa della teoria stilnovistica della gentilezza, ma come irro-
bustita e rafforzata da un sentimento corposo anzi carnale, il caso di dirlo
della vita umana, che si spinge fino ad invocare un rovesciamento dei rapporti so-
ciali esistenti, almeno sul piano sentimentale ed affettivo:
Ma lasciamo or questo, e riguarda alquanto aprincipii delle cose: tu vedrai noi duna
massa di carne tutti la carne avere e da uno medesimo Creatore tutte lanime con iguali
forze, con iguali potenze, con iguali vert create. La vert primieramente noi, che tutti
nascemmo e nasciamo iguali, ne distinse; e quegli che di lei maggior parte avevano e
adoperavano nobili furon detti, e il rimanente rimase non nobile. E bench contraria
usanza poi abbia questa legge nascosa, ella non ancor tolta via n guasta dalla natura
n da buon costumi; e per ci colui che virtuosamente adopera, apertamente s mostra
gentile, e chi altramenti il chiama, non colui che chiamato ma colui che chiama com-
mette difetto. Raguarda tra tutti i tuoi nobili uomini e essamina la lor vita, i lor costumi
e le loro maniere, e daltra parte quelle di Guiscardo raguarda: se tu vorrai senza animo-
sit giudicare, tu dirai lui nobilissimo e questi tuoi nobili tutti esser villani. Delle virt e
del valor di Guiscardo io non credetti al giudicio dalcuna altra persona che a quello
delle tue parole e de miei occhi. Chi il commend mai tanto quanto tu commendavi in
tutte quelle cose laudevoli che valoroso uomo dee essere commendato? E certo non a
torto: ch, se miei occhi non mingannarono, niuna laude da te data gli fu che io lui
operarla, e pi mirabilmente che le tue parole non poteano esprimere, non vedessi: e se
pure in ci alcuno inganno ricevuto avessi, da te sarei stata ingannata. Dirai dunque che
io con uomo di bassa condizion mi sia posta? Tu non dirai il vero: ma per avventura se
tu dicessi con povero, con tua vergogna si potrebbe concedere, ch cos hai saputo un
valente uomo tuo servidore mettere in buono stato; ma la povert non toglie gentilezza
a alcuno ma s avere. Molti re, molti gran prencipi furon gi poveri, e molti di quegli che
la terra zappano e guardan le pecore gi ricchissimi furono e sonne
57
.
Questa virt umana si spinge, per un verso, fino allesaltazione della cortesia,
della magnificenza e della liberalit, manifestazioni raffinate di virt, che in que-
sto senso completano il movimento ascensionale degli istinti buoni umani, per un
vita nel Decameron, Torino 1972
3
, pp. 115-39
Letteratura italiana Einaudi
67
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
altro, declina fin verso le basse sfere dellattivit umana, diventa gusto per lim-
broglio e per la frode, ricerca ingegnosa dellobbiettivo da raggiungere quale che
sia, impulso straordinario a soddisfare il proprio istinto con i mezzi pi appro-
priati. In mezzo, linfinita gamma degli espedienti umani per raggiungere un bene
desiderato o riacquistare quello perduto: dai pi bestiali ai pi nobili. Ogni movi-
mento del desiderio si configura come conflitto, come guerra: da Tedaldo a Ci-
mone, da Andreuccio a Federico, dal conte di Anguersa allabate licenzioso di I,
4, da Landolfo Rufolo a frate Alberto, da Gerbino a Gian di Procida, da Pietro di
Vinciolo a Peronella, da Filippa a Lidia, da Salabaetto a Torello, ognuno combat-
te la sua piccola o grande battaglia, fortunata o sfortunata, contro le avversit, le
circostanze negative, la propria stessa stupidit, linvidia della sorte e delle perso-
ne, per conseguire loggetto del proprio desiderio o del proprio interesse. Nello
spazio vuoto, aperto dal declino, anzi dal tramonto dei grandi princip sintetici, la
vita si configura ormai come lotta: talvolta con esito positivo e felice, talvolta con
esito catastrofico; ma sempre in condizioni di perenne agonismo, perch di certo
non c pi nulla.
1.2. Eros.
O meglio, come si gi accennato, di certo ci sono soltanto le forze e gli impulsi
naturali. Fra questi occupa un posto di eccezionale rilievo lamore: quasi che, po-
tendo scegliere tra i tanti diversi impulsi umani (e altri ce ne sono nel Decameron,
dallavidit di guadagno allorgoglio alla superbia), Boccaccio non avesse dubbi
nel concedere la palma allEros, coerentemente, del resto, con quanto aveva fatto
e sostenuto fino a quel momento in tutta la produzione letteraria precedente e in
tutto il suo percorso biografico-culturale
58
. Del resto, Boccaccio, cos facendo,
non si discostava dallasse fondamentale della cultura letteraria italiana delle ori-
56
Dec, VI, 2, 3-6, pp. 720-21.
57
Ibid., IV, 1, 39-44, pp. 480-82.
58
Rispetto al peso enorme che questo tema ha nel Libro, la critica gli ha riservato nel tempo unattenzione in-
credibilmente minore. In fondo, soltanto un secolo fa, Francesco De Sanctis poteva ancora scrivere del Decameron,
quasi riflettendo una lontana eco di spirito controriformistico: il mondo cinico e malizioso della carne, rimasto nel-
le basse sfere della sensualit e della caricatura spesso buffonesca, inviluppato leggiadramente nelle grazie e ne versi
di una forma piena di civetteria, un mondo plebeo che fa le fiche allo spirito, grossolano nei sentimenti, raggentilito e
imbellettato dallimmaginazione, entro del quale si muove elegantemente il mondo borghese dello spirito e della col-
tura con reminiscenze cavalleresche (Storia della letteratura italiana, I, a cura di N. Gallo, con introduzione di N. Sa-
pegno, Torino 1958, p. 384). Direi che un po (o parecchio) di questo pregiudizio rimasto attaccato alla maggior par-
te dei critici contemporanei, fino a tempi molto recenti. Questa disattenzione (o censura) testimoniata anche da un
libro peraltro importante come quello di C. S. LEWIS, The Allegory of love. A Study in Medieval Tradition, 1936 (trad.
it. Lallegoria damore. Saggio sulla tradizione medievale, Torino 1969), che parla di Chaucer, ma non di Boccaccio (li-
mite, attenuato tuttavia dal fatto che il libro ha un epicentro storico-culturale diverso). Osservazioni interessanti, ma
ancora molto parziali, si possono leggere ora in M. OLSEN, Les transformations du triangle rotique, Copenhagen
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
gini, dove la fenomenologia erotica si era accompagnata e strettamente intreccia-
ta alla scoperta e alluso del volgare come lingua di cultura e di poesia: per certi
versi, si potrebbe dire anzi che egli attualizza e concretizza, con il passaggio alla
prosa narrativa, il messaggio lirico altamente raffinato e spirituale dello Stilnovo,
di Dante e di Petrarca.
La preminenza di questo tema ha un riflesso immediato nellorganizzazione
narrativa del libro: infatti, le novelle che toccano, direttamente o indirettamente,
un soggetto erotico, sono pi di settanta.
Innanzitutto, le venti novelle delle Giornate Quarta e Quinta, per lovvio
motivo che il loro tema si richiama esplicitamente allAmore, infelice o felice che
sia (e in questo caso non fanno eccezione neanche le ultime due novelle delle
giornate, rispettivamente quella della moglie di un medico che mette per morto
un suo amante adoppiato in unarca e quella di Pietro di Vinciolo, nelle quali il
narratore Dioneo riprende, sia pure in un modo stravolto e parodistico, il tema
amoroso); notiamo che qui viene ripresa puntualmente da Boccaccio la biparti-
zione programmatica in piacevoli e aspri casi damore, da lui introdotta nel
Proemio, solo limitandosi a rovesciarne lo svolgimento (prima il dolore dellamo-
re, e poi il piacere).
Ma interamente erotiche risultano anche la Terza Giornata (squisitamente
sessuale, anche se camuffata da giornata di virt e di fortuna) e la Settima (gior-
nata di beffe delle mogli ai mariti, cui sempre sottende unintenzione licenziosa e
adulterina); anche in queste due giornate, Dioneo, invece di distinguersi dal tema,
lo riprende, se mai calcandone gli accenti e parodizzandolo.
Oltre a queste quattro giornate interamente erotiche, ci sono altre ventisette
novelle, che si aggirano intorno al medesimo soggetto, e sono:
I: 4, 5, 10. VIII: 2, 4, 7, 8, 10.
II: 2, 3, 7, 8, 9, 10. IX: 1, 2, 5, 6, 10.
VI: 3, 7. X: 4, 5, 6, 7, 8, 10.
In un altro gruppo di novelle lelemento erotico o sessuale non cos centra-
le come in quelle precedentemente elencate, e tuttavia esercita, in un modo o
nellaltro, una funzione assai importante: sono le novelle di Andreuccio da Peru-
gia (II, 5), dove lincontro con la prostituta, che egli ritiene innamorata di lui,
prima di rivederla sotto mentite spoglie di sorella, orienta in modo determinante
lazione; di Madama Beritola (II, 6), novella, se si vuole, dellamor materno, do-
ve leros tuttavia compare esplicitamente anche nella storia di Giuffredi e Spina,
due anticipatori fortunati di Guiscardo e Ghismunda; di Chichibio (VI, 4), in-
dotto a commettere linfrazione che costituisce il vero oggetto della novella, dal-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
le grazie della bella Brunetta; di Gulfardo e Guasparruolo (VIII, 1), dove la sto-
ria del prestito nasce dalla pretesa della donna di far pagare duecento fiorini do-
ro le sue prestazioni sessuali; dei due giovani che domandano consiglio a Sala-
mone (IX, 9), essendo tormentati da problemi coniugali; di Saladino e messer
Torello (X, 9) che, pur ruotando fondamentalmente intorno al tema dellamicizia
fra i due protagonisti, si conclude nellepisodio delicatissimo dellamore fra To-
rello e sua moglie.
Delleros Boccaccio conosce, pratica e rappresenta tutti i gradini, e questo
ha veramente del prodigioso. Il nocciolo delleros il concupiscibile appetito
(II, 2, 35; III, 1, 4; IV, Intr., 23; X, 8, 14), il naturale appetito (II, 9,17), il car-
nale appetito (VIII, 7, 67): limpulso a congiungere la carne alla carne, il sesso
al sesso, che muove personaggi elementari e fisicissimi, come Masetto da Lam-
porecchio (III, 1), il monaco Rustico (III, 10), il figlio di Filippo Balducci nella
novelletta delle papere (IV, Intr.), lomosessuale Pietro di Vinciolo (V, 10), la-
stuto donno Gianni (IX, 10) ( evidente che questo un terreno in cui eccelle il
personaggio-narrante Dioneo, per cui, non a caso, le giornate terminano spesso
su questa tonalit sessuale forte); ma anche personaggi pi intensi e delicati co-
me Rinaldo dAsti, il cui incontro, del tutto casuale e imprevisto, con la bella ve-
dova, sanima di questo sbito e trascinante balenare e riconoscimento di desi-
deri (Rinaldo, queste parole udendo e il lampeggiar degli occhi della donna veg-
gendo, come colui che mentacatto non era, fattolesi incontro con le braccia aper-
te, disse [...]: II, 2, 3 8).
Questo impulso originario delleros non mai abbandonato veramente, an-
che se Boccaccio lo sa rivestire sia dei panni eleganti dun corteggiamento mali-
zioso ed intelligente (novella del Zima, III, 5), sia dei toni di appassionata elegia
di un destino solitario e infelice (novella di Lisabetta da Messina, IV, 5), sia delle
tonalit alte e persino un po enfatiche della tragedia (novella di Tancredi e Ghi-
smunda, IV, 1), sia delle coloriture patetiche di una totale e quasi dissennata de-
dizione (novella di Ghiselda, X, 10).
Non staremo a discettare su quale di questi livelli corrisponda di pi al ge-
nio di Boccaccio, anche se pensiamo che egli eccella soprattutto in quelle no-
velle, in cui lincastro dei desideri pi solarmente e positivamente rappresen-
tato (novelle di Gostanza e Martuccio Comito, V, 2; di Pietro Boccamazza e del-
lAgnolella, V, 3; di Gian di Procida, V, 6; o, su di un altro versante, la sensua-
lissima e affascinante novella di Salabaetto, VIII, 10). Ma faremo soltanto due
osservazioni.
La prima consiste nel rilevare che, di fronte al godimento damore, ogni al-
tra legge o regola deve cedere il passo. Madonna Filippa (VI, 7, 13-15) arriva fi -
no ad invocare una codificazione giuridica del diritto delle donne a disporre del
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
proprio corpo a lor piacimento, una volta che il dovere coniugale sia da parte lo-
ro esaudito. La moglie di messere Francesco Vergellesi, corteggiata appassiona-
tamente dal Zima, gli cede infine, quando capisce che in amore, pi che in qual-
siasi altra attivit umana, colpevole non afferrare e godere loccasione quando
si presenta:
Che fo io? perch perdo io la mia giovanezza? Questi se ne andato a Melano e non
torner di questi sei mesi; e quando me gli ristorer egli giammai? quando io sar vec-
chia? E oltre a questo, quando trover io mai un cos fatto amante come il Zima? Io
son sola, n ho dalcuna persona paura: io non so perch io non mi prendo questo buon
tempo mentre che io posso. Io non avr sempre spazio come io ho al presente: questa
cosa non sapr mai persona: e, se egli pur si dovesse risapere, s egli meglio fare e pen-
tere che starsi e pentersi
59
.
Del resto, di questa donna, che nel corso della novella si trasforma da pudica
e contegnosa in spregiudicata e vogliosa, Boccaccio aveva offerto gi un inequivo-
cabile senhal durante il primo approccio con il Zima, additandone alcun lam-
peggiar docchi di lei verso lui alcuna volta
60
: il medesimo irrefrenabile sprizzare
denergie vitali, che aveva contraddistinto la bella vedova di II, 2, quasi a rimarca-
re lesistenza di unintima parentela fra le due belle appassionate.
La seconda osservazione riguarda la novella di Alatiel (II, 7), il pi prodi-
gioso apologo sugli intrecci fra amore e destino che sia mai stato scritto
61
. Qui il
Boccaccio svincola il tema dellamore sensuale dalle sue contingenze episodiche
e casuali, e lo fa diventare come un fattore astratto, indefinibile e inafferrabile,
ma al tempo stesso estremamente corposo e determinante della vita umana. Ala-
tiel la figlia del sultano di Babilonia, mandata come sposa per mare al re del
Garbo. Sorpresa da una tempesta, la sua nave naufraga, ed ella cade nelle mani
di un signore di Maiorca, di cui diviene, volente o nolente, lamante. Il punto
che la bellezza di Alatiel straordinaria, assolutamente fuori dal comune; anzi,
1976, pp. 73-109 (con qualche sospetto, tuttavia, di un certo meccanicismo dimostrativo) e in G. MAZZOTTA, The
World at Play cit., soprattutto nei capitoli The Heart of Love, pp. 131-58, e The Comedy of Love, pp. 159-85.
59
Dec., III, 5, 30, pp. 375-76. Quasi con le stesse parole viene descritto il sentimento riposto del vecchio abate,
quando si trova a contemplare le grazie della bella fanciulla e sente ridestarsi gli stimoli della carne: Deh, perch
non prendo io del piacere quando io ne posso avere, con ci sia cosa che il dispiacere e la noia, sempre che io ne vorr,
sieno apparecchiati? Costei una bella giovane e qui che niuna persona del mondo il sa; se io la posso recare a fare
i piaceri miei, io non so perch io nol mi faccia. Chi il sapr? Egli nol sapr persona mai, e peccato celato mezzo per-
donato. Questo caso non avverr forse mai pi: io estimo chegli sia gran senno a pigliarsi del bene, quando Domene-
dio ne manda altrui (ibid., I, 4,15-16, pp. 86-87). Questo senso della fuggevolezza del piacere carnale, che bene per-
ci afferrare quando se ne presenta loccasione, avr una sua storia nella cultura letteraria erotica italiana successiva.
60
Ibid., III, 5, 18, p. 373.
61
Cfr. C. SEGRE, Comicit strutturale nella novella di Alatiel (1972), in ID., Le strutture e il tempo, Torino
1974, pp. 145-59; G. MAZZACURATI, Alatiel ovvero gli alibi del desiderio (1972-73), in ID., Forma e ideologia, Na-
poli 1974, pp. 25-65; G. ALMANSI, Lettura della novella di Alatiel (1971), in ID., Lestetica dellosceno, Torino 1974,
Letteratura italiana Einaudi
71
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
per dirla con le parole del Boccaccio, essa era la pi bella femina che si vedeva
in quei tempi nel mondo ( 9). Questa bellezza esercita un fascino irresistibile
sugli uomini, i quali, daltra parte, la trattano come un bene materiale da con-
quistare, possedere e godere, quasi come una mercanzia di gran pregio, priva
per di personalit e dindividualit. Questo bene astratto non comunica, per
giunta, con i suoi possessori (almeno in tutta la fase iniziale della vicenda): infat-
ti, Alatiel passa di mano in mano, o, per meglio dire, di letto in letto, senza nean-
che poter parlare con coloro che, anche attraverso nefandezze inaudite, se la di-
sputano, perch non conosce i loro linguaggi e loro non conoscono il suo. Ella si
limita a sovrastare i concupiscenti con la sua immensa bellezza, dando e dando-
si molto piacere, ma conservando al tempo stesso una sua imperturbabilit, un
suo distacco dalle malvagit e dalle turpitudini, che tuttavia lei stessa scatena
con la sua sola presenza fisica. Alla fine ritorna al padre, e Alatiel, posseduta da
ben otto amanti diversi e passata attraverso una vera epopea sessuale, riesce a far
credere di aver trascorso tutto quel tempo in un monastero di pie religiose in
condizioni di assoluta castit. Sul motivo erotico (fortissimo) e su quello dram-
matico (anchesso molto forte) sinnesta il motivo comico, lo scioglimento fortu-
nato e sorridente dellavventura: dopo tanto vagabondare, tutto torna come pri-
ma, e lordine viene tranquillamente restituito (con grande vantaggio della mo-
rale: la conclusione del racconto pu anche significare che un astuto infingi-
mento consentito, se, come in questo caso, in grado di produrre effetti bene-
fici. Infatti, Alatiel viene rimandata come nuova al re del Garbo, che ben feli-
ce di sposarla).
Nella storia di Alatiel, Boccaccio raggiunge il culmine della rappresentazio-
ne del sessuale, e al tempo stesso della sua ironica denegazione. Fra il desiderio e
il suo soddisfacimento non c pi nemmeno la mediazione del linguaggio: ci
che resta il meraviglioso piacere, che sotto le lenzuola si pu prendere. Ma
Alatiel, posseduta e al tempo stesso non posseduta, vittima ma anche complice
dei suoi amanti, resta intangibile al loro contatto, individualit non formata e
perci non consumabile n consumata. Vuol dire che, nellessenza, la fruizione
del piacere non tange oltre la superficie la personalit degli uomini e delle don-
ne, che pure ampiamente se ne giovano? Vuol dire, forse, che il sesso non lascia
tracce negative su chi anche molto lo eserciti; vuol dire, forse, che il sesso non
peccato, che se ne pu usare tranquillamente senza porsi problemi di consunzio-
ne n fisica n intellettuale n morale. Cos pot essere considerata vergine
(pulcella) una fanciulla che con otto uomini forse diecemilia volte giaciuta
era: lo sberleffo finale di quel grande e ironico facitore di storie, dopo aver
immaginato una danza strepitosa di appetiti e amplessi su tutti i golfi e le isole
del Mediterraneo.
Letteratura italiana Einaudi
72
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
2. Il resto del mondo.
La tematica erotica, per la sua eccezionale ampiezza, non pu neanche esser con-
siderata, a rigor di termini, un genere della narrativa boccacciana, ma piuttosto
un macromotivo, che sintreccia e contamina con molti altri: per esempio, ci so-
no novelle di beffa e di motto a contenuto erotico, come ce ne sono altre in cui,
pur essendo il motivo erotico assai importante, lo svolgimento narrativo, in con-
creto, sviluppa di pi altri motivi e direzioni (lavventura, il viaggio, ecc.).
Pur tenendo conto di queste molteplici possibilit di sovrapposizione e din-
crocio, pu essere interessante, al fine di individuare i margini e i confini ancora
mancanti del mondo di Boccaccio, elencare le novelle, in cui non presente, n
come tema centrale n come spunto periferico, n direttamente n indirettamen-
te, il motivo erotico. Sono ventisette, cos distribuite:
I: 1,2, 3, 6, 7, 8, 9. VIII: 3, 5, 6, 9.
II: I, 4. IX: 3, 4, 7, 8.
VI: 1, 2, 5, 6, 8, 9, 10. X: 1, 2, 3.
Non ci addentreremo nellanalisi dei motivi di concentrazione in particolari
giornate, perch essi ci sembrano fin troppo evidenti (sono quasi tutte nella Pri-
ma e nella Nona, di soggetto libero, nella Sesta, giornata di motti, e nella Ottava,
giornata di beffe). Pi interessante ci sembrano le possibilit di raggruppamento,
ognuna delle quali evidenzia una categoria tematica abbastanza precisa.
Ci sono, innanzitutto, le novelle che affrontano (con la solita variet di stili,
che vanno dal grottesco al serio) temi di carattere ideologico-religioso. Sono le
novelle di ser Ciappelletto (I, 1), di Abraam giudeo (I, 2), di Melchisedech (I,
3), della malvagia ipocresia de religiosi (I, 6), di Martellino (II, 1), di frate
Cipolla (VI, 10).
Poi quelle che, attraverso larma pungente di una battuta o di un motto di
spirito, tendono a definire un comportamento, unattitudine morale, una scelta
mondana. Sono pressoch tutte le novelle residue della Sesta Giornata, e cio
quelle di madonna Oretta (VI, 1), di Cisti fornaio (VI, 2), di Forese e Giotto
(VI, 5), di Michele Scalza e dei Baronci (VI, 6), di Fresco (VI, 8), di Guido Ca-
valcanti (VI, 9).
Poi quelle che affrontano, con la parola o con lazione, questioni di cortesia,
nobilt e cavalleria. Sono quelle di Bergamno (I, 7), di Guiglielmo Borsiere (I, 8),
del re di Cipri (1, 9), dun cavaliere che serve il re di Spagna (X, 1), di Ghino di
Tacco (X, 2), di Mitridanes e Natan (X, 3).
Poi, ci sono le novelle di pura beffa: quelle di Calandrino e lelitropia (VIII,
3), dei tre giovani che traggono le brache a un giudice marchigiano (VIII, 5), di
Letteratura italiana Einaudi
73
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Calandrino e del porco imbolato (VIII, 6), di Bruno, Buffalmacco e maestro Si-
mone (VIII, 9), di Calandrino pregno (IX, 3), di Biondello e Ciacco (IX, 8).
Difficilmente classificabili, e proprio perci anche da questo punto di vista
contraddistinte da uneccezionale peculiarit, novelle di pura avventura come
quella di Landolfo Rufolo (II, 4), di exemplum come quella di Talano dImole
(IX, 7), di singolare ricamo sulla bizzarria dei caratteri umani come quella di
Cecco Angiolieri e di Cecco di messere Fortarrigo (VIII, 4). Osserviamo di
sfuggita che la novella di Andreuccio da Perugia (II, 5), in cui il motivo erotico
molto marginale, potrebbe essere affiancata senza difficolt a quella di Lan-
dolfo Rufolo (II, 4), a costituire un dittico perfetto sul valore della fortuna e
dellavventura (e la collocazione contigua sembrerebbe additare proprio questa
parentela).
2.1. Etica e religione.
Difficile resistere alla tentazione di considerare la collocazione di novelle come
quelle di ser Ciappelletto, di Abraam giudeo e di Melchisedech ai primi tre posti
della Prima Giornata come leffetto di una scelta programmatica e voluta. Non si
tratta di fare di Boccaccio un riformatore religioso. Si tratta per di cogliere il
senso di una rottura, che investe molto seriamente formalit e procedure della re-
ligiosit dominante. Il dogma viene escluso e accantonato, a testimonianza di un
passaggio di sensibilit, che nel giro di pochi decenni modifica radicalmente un
clima e una mentalit. Ma su tutto il resto aperta la disputa, anzi, in qualche mo-
do la disputa si apre pi fieramente proprio in quanto il dogma stato escluso e
abbandonato
62
.
Non ho lo spazio per aprire un discorso su di una novella complessa e
profonda come quella di ser Ciappelletto. Voglio per dire almeno che la conclu-
sione della novella, ipotizzando come effettivamente possibile la salvazione di
quel grandissimo peccatore, per subito poi scartarla, allo scopo di esaltare ancor
di pi la grandezza di Dio, che riesce a farsi uno strumento anche del pi perver-
so fra gli uomini, non pu non esser considerata come la logica conseguenza e
prosecuzione della beffa giocata da ser Ciappelletto al santo frate un po sto-
lido: solo che ora Boccaccio ammicca ai lettori intendenti, perch sappiano di-
stinguersi da quelli fatti della stessa pasta grossolana del credulo confessore:
pp. 143-60; G. BRBERI SQUAROTTI, Lorazione di Alatiel, in ID., Il potere della parola, Studi sul Decameron,
Napoli 1983, pp. 64-96.
62
La critica si sempre mossa in direzione contraria a quella da noi suggerita. Cfr. per tutti G. GETTO, Strut-
tura e linguaggio nella novella di ser Ciappelletto, in ID., Vita di forme e forme di vita nel Decameron cit., pp. 34-77.
Puntuali indicazioni in I. BALDELLI, La Parola di Francesco e le nuove lingue dEuropa (1986), in ID., Conti, glos-
Letteratura italiana Einaudi
74
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Cos adunque visse e mor ser Cepparello da Prato e santo divenne come ave-
te udito. Il quale negar non voglio esser possibile lui esser beato nella presenza di
Dio, per ci che, come che la sua vita fosse scellerata e malvagia, egli pot in su lo
stremo aver s fatta contrizione, che per avventura Idio ebbe misericordia di lui e
nel suo regno il ricevette: ma per ci che questo n occulto, secondo quello che
ne pu apparire ragiono, e dico costui pi tosto dovere essere nelle mani del dia-
volo in perdizione che in Paradiso. E se cos , grandissima si pu la benignit di
Dio cognoscere verso noi, la quale non al nostro errore ma alla purit della f ri-
guardando, cos faccendo noi nostro mezzano un suo nemico, amico credendolo,
ci essaudisce, come se a uno veramente santo per mezzano della sua grazia ricor-
ressimo. E per ci, acci che noi per la sua grazia nelle presenti avversit e in que-
sta compagnia cos lieta siamo sani e salvi servati, lodando il suo nome nel quale
cominciata labbiamo, Lui in reverenza avendo, ne nostri bisogni gli ci racco-
manderemo sicurissimi dessere uditi
63
.
Se invece si leggono queste parole seriamente, e come un brusco passag-
gio dal tono irridente della novella a quello compunto del commento, temo che
non si sia in grado di comprendere lo spirito di Giovanni Boccaccio. Ci con cui
questi se la prende , da una parte, la grossolanit e lignoranza di certe categorie
di religiosi in particolare gli ordini predicatori , dallaltra il culto dei santi e
delle reliquie, fatto oggetto non solo qui di dileggio (cfr. Martellino, II, 1; frate
Cipolla, VI, 10).
La polemica antiecclesiastica percorre da cima a fondo il Libro, sia che si trat-
ti di denunciare la disgustosa immoralit e concupiscenza dei frati (dom Felice e
frate Puccio, III, 4; Ferondo, III, 8; frate Alberto, IV, 2; frate Rinaldo, VII, 3; il
proposto di Fiesole, VIII, 4), sia che si tratti di sanzionare le alte cariche ecclesia-
stiche (il vescovo di Firenze di monna Nonna de Pulci, VI, 3), sia che si tratti di
prendere a gabbo lottusit di molti componenti degli ordini (il santo frate, che,
come il confessore di ser Ciappelletto, era tondo e grosso uomo, di III, 3). Altre
volte sono investite intere comunit ecclesiastiche, monasteri sia maschili sia fem-
minili, vere sentine di nequizie e di peccato (un monaco rimprovera allabate, I, 4;
Masetto, III, 1; la badessa e le brache del prete, IX, 2). Altre volte la rappresenta-
zione del comportamento irregolare dei religiosi si distende in una sorta di sor-
riso divertito e complice (il prete da Varlungo, VIII, 2; donno Gianni, IX, 10: sar
un caso, o in ambedue queste novelle il protagonista un prete povero di campa-
gna, al quale Boccaccio sembra guardare con pi indulgenza che a quegli scatena-
tissimi e spudoratissimi frati di citt o di monastero?) Non sono risparmiati nean-
se e riscritture dal XI al secolo XX, Napoli 1988, pp. 109-147, e in C. . CUILLEANIN, Religion and Clergy in Boc-
Letteratura italiana Einaudi
75
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
che i Domenicani, i quali, al contrario, vengono esemplarmente chiamati a render
conto della malvagia ipocresia de religiosi (I, 6), laltro grande peccato, accan-
to a quello della concupiscenza, che Boccaccio non riesce a mandar gi.
Che non si tratti di pura e semplice polemica tanto per tirarne fuori motivi di
divertimento e di spasso, lo dimostra loratio accusatoria, che Tedaldo, per uno
spazio inverosimilmente lungo rispetto allo spazio strettamente narrativo della
novella di cui protagonista, pronuncia innanzitutto contro il fraticello pazzo,
bestiale e invidioso, cui era dovuta la rottura tra lui e la donna amata, e poi con-
tro lintera specie, rampognata per la sua lussuria, ipocrisia, avidit, invidia,
amore del lusso e delle apparenze mondane (III, 7, 30-54).
Lunico aspetto positivo di questa dura e spietata critica il richiamo allo spi-
rito originario del Vangelo, da interpretare alla lettera, secondo una linea non
ignota ovviamente n a Dante n a Petrarca: Perch non si stanno egli innanzi a
casa, se astinenti e santi non si credon potere essere? o se pure a questo dar si vo-
gliono, perch non seguitano quellaltra santa parola dellEvangelio Incominci
Cristo a fare e a insegnare? (III, 7, 42). Boccaccio, cio, reclama il ritorno alla
lettura del Vangelo, alla sua applicazione integrale e disinteressata (e la rivendica-
zione tanto pi significativa, in quanto non sono da escludere risvolti autobio-
grafici nel personaggio di Tedaldo). Inscrive dunque chiaramente la sua polemica
dentro un orizzonte riformatore, in cui il superamento del dogma morto compor-
ta un rilancio, un rinvigorimento della vita morale e un rispetto pi profondo del
senso autentico, non dellesteriorit, della parola cristiana.
Ritorniamo con questo alle novelle iniziali del Decameron. Pu essere un caso
che Boccaccio abbia affidato alla viva voce di due giudei, Abraam e Melchisede-
ch, alcune fra le pi esplicite opinioni sue in merito alla verit e alle funzioni del-
la religione? Abraam si fa cristiano, persuaso dal fatto che questa religione, nono-
stante la gravit dei peccati commessi dai suoi pi alti capi, non declina ma pro-
spera (si tratta di una dimostrazione iperbolica e paradossale della grandezza di
Dio, che coincide sostanzialmente con quella che si legge nella conclusione di I, 1,
cio della novella precedente a questa). Melchisedech, riprendendo unantica pa-
rabola, dimostra impossibile giudicare quale sia, tra la cristiana, la mussulmana e
lebraica, la vera religione, e con ci arriva implicitamente alla conclusione che
ognuna di esse uguale di fronte a Dio, quando sia praticata sinceramente e con
spirito di giustizia (E cos vi dico, signor mio, delle tre leggi alli tre popoli date
da Dio padre, delle quali la quistion proponeste: ciascun la sua eredit, la sua ve-
ra legge e i suoi comandamenti dirittamente si crede avere e fare, ma chi se lab-
bia, come degli anelli, ancora ne pende la quistione : I, 3, 16).
Separare questo aspetto di riflessione etico-religiosa dallesplosione della te-
matica erotica assolutamente impossibile: perch Boccaccio mostra in realt co-
Letteratura italiana Einaudi
76
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
me i due filoni del naturalismo e della tolleranza religiosa nascano insieme in am-
bito umanistico, salvo poi a separarsi e magari a contrapporsi pi avanti. Lesalta-
zione della Natura, come fonte di tutti i fondamentali impulsi umani, si sviluppa
parallelamente al superamento di una concezione al tempo stesso fideistica e for-
malistica della religione. Boccaccio guarda probabilmente con favore ad una
umanizzazione del cristianesimo, ad una sua riforma intellettuale e morale, e per
questo al suo tempo gli furono tanto cari gli agostiniani quanto gli dispiacquero
francescani e domenicani, corrotti dal denaro e dal potere. Ben diciannove com-
ponimenti dedicati a sviscerare su diversissimi registri com suo costume un
argomento del genere (quasi un quinto del totale), costituiscono una sezione di ri-
levantissima importanza nel suo repertorio narrativo. Ma soprattutto compongo-
no un caposaldo del suo pensiero.
2.2. Cortesia, cavalleria, comportamento.
C unobbiettiva congruenza fra le novelle della Decima e quelle della Sesta
Giornata, e cio che, a diversi livelli, e con diversi registri stilistici, com sempre
uso fare Boccaccio, esse affrontano problemi e quesiti di comportamento monda-
no. Se a quelle delle due giornate aggiungiamo altre novelle, da questo punto di
vista esemplari, come quelle di Bergamino (I, 7), di Guiglielmo Borsiere (I, 8), del
re di Cipri (1, 9), di Nastagio degli Onesti (V, 8), di Federigo degli Alberighi (V, 9)
avremo un quadro pi completo e facilmente leggibile.
Non c alcun dubbio che il mondo di Boccaccio, se dominato da Fortuna e
Natura, pu essere tuttavia regolato da un ordine, e questordine umano. Gli
stessi particolari della costruzione del Libro, compreso il senso e lo scopo della
cornice, come abbiamo visto, ce lo dimostrano.
Nel mondo vero, non quello della bella finzione, assai pi difficile mantene-
re un ordine, e Boccaccio lo sa. Del resto, c allinterno della sua visione, in que-
sto senso, una contraddizione, perch il suo universo pulsa di tali e tanti fattori vi-
tali da non poter essere ridotto n semplicemente n facilmente alle dimensioni di
un determinato ordine. Si dovr pensare piuttosto ad alcuni elementi regolativi,
lanciati nel grande caos dellesistenza umana a fungere da freno o da impedimento
agli istinti peggiori delluomo. Intorno a questi elementi si formano codici, sistemi
di comportamento e valori, ai quali far riferimento costante in caso di necessit.
Su questo terreno soprattutto si vede bene come sia riduttivo fare di Boccac-
cio laedo del mondo mercantile allora in ascesa
64
. Se mai, vero che etica ed in-
caccios Decameron, Roma 1984.
63
Dec., I, 1, 89-91, pp. 69-70.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
dividualit mercantili influenzano la concezione magmatica e agonistica, che al-
la base della visione boccacciana del mondo. Ma, risalendo per li rami, Boccaccio,
che forse tiene ancora presenti le sue esperienze giovanili, impasta fra loro fattori
di origine diversa, contaminando disinvoltamente etiche e culture. Naturalmente
si potrebbe dire e sarebbe gi pi giusto che il medesimo procedimento eclet-
tico, di assorbimento degli ideali della classe precedentemente dominante, quella
cavalleresca e feudale, lo aveva gi fatto, o lo stava facendo, la classe mercantile, a
cui Boccaccio a sua volta faceva riferimento. Certo che il Libro di Boccaccio
mette in stretto rapporto fra loro questi elementi culturali diversi, con lesplicita
ambizione di comporli in un sistema: e questo forse qualcosa di pi di quanto
non avessero fatto fin allora gli Acciaiuoli e i Bardi e gli Albizzi.
Dunque, nella Prima Giornata cinque novelle su dieci (I, 1, 2, 3, 4 e 6) posso-
no essere ascritte alla polemica teologico-religiosa; delle altre cinque, tre sono ri-
conducibili direttamente alla tematica del comportamento (I, 7, 8 e 9), e le altre
due (quella della marchesana di Monferrato, I, 5, e quella di maestro Alberto, I,
10), vi pervengono anchesse con chiarezza, passando attraverso un espediente
erotico (non a caso, si tratta di due corteggiamenti falliti, che approdano tuttavia
a insegnamenti diversi).
Siamo, dunque, con la Prima Giornata, nel pieno di una lezione propedeutica
allintero Decameron, nel corso della quale vengono esposte le massime delle fon-
damentali persuasioni boccacciane, sulluno come sullaltro versante. Di questa
etica superiore sono portavoce innanzitutto, ad apertura di Libro e come po-
trebbe essere un caso? personalit tipiche di un mondo feudale e cavalleresco,
come Bergamino (che oltretutto si riproduce allinterno della sua stessa narrazione
nel suo doppio Primasso) e come Guiglielmo Borsiere, estratto di peso da quel
Dante (Inf. XVI, 70-72), il quale, del resto, nel Marco Lombardo di Purg. XVI ave-
va gi fornito di questa figura un immortale prototipo. La lotta, che qui Boccaccio
descrive con animo partecipe, quella tra magnificenzia e avarizia; ed , si ba-
di, una lotta sovrastata da un principio puramente astratto, formale, ossia da un
Valore, poich, da un punto di vista strettamente mercantile, sia Bergamino sia
Guiglielmo Borsiere non potrebbero essere considerati che dei parassiti, non ser-
vendo che a illustrare, appunto, con la loro educazone e intelligenza, la casa del si-
gnore (Cangrande della Scala, labate di Cligny, suo contraltare nella vicenda di
Primasso, il genovese Ermino de Grimaldi). La parola serve a emendare il Signo-
re colpevole (si pensi a quanto accade anche nella novella della marchesana di
Monferrato: I, 5, e in quella del re di Cipri: I, 9), e questo comporta che le storie di
cortesia e di gentilezza finiscano sempre bene, a testimonianza del fatto che un or-
dine razionale ha la possibilit di prevalere sulla Fortuna e sulla Natura (se, ad
esempio, lavarizia o la pavidit sono anchesse espressioni di inclinazioni naturali).
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Storie bellissime di educazione alla cortesia sono, nella Decima, le novelle
del cavaliere e del re di Spagna (X, 1), di Ghino di Tacco (X, 2), di Natan e Mi-
tridanes (X, 3), fino a quelle, veramente eccezionali, di cui Boccaccio fa protago-
nisti due re, Carlo dAngi e Pietro dAragona (X, 6 e X, 7), quasi per rendere
pi esemplare la loro lezione.
Questa etica mondana, fondata su cortesia, dignit, culto del valore, gratitu-
dine, pur avendo le sue radici nelle classi alte, scende poi via via, di gradino in
gradino, verso il basso, fino a sistemarsi in un prontuario di comportamenti, che
hanno anche un valore immediato, pratico, quotidiano. Le novelle della Sesta
Giornata sono, ad esempio, novelle di motto, per quanto riguarda il genere,
ma, per quanto riguarda limpianto tematico, sono novelle in cui si riflette un in-
sieme di questioni di comportamento, da quelle pi semplici (che, ad esempio,
non debba narrare novelle chi non capace di farlo: VI, 1; o che si debba pun-
golare la vanit femminile: VI, 6), a quelle pi complesse (che, ad esempio, la no-
bilt non sta nel sangue, ma nella natura, come nellammirevole novella di Cisti
fornaio: VI, 2), fino alla delineazione elegante e profonda di una figura di loico
fuori del comune (come nella novella di Guido Cavalcanti: VI, 9)
65
.
A questo livello, cortesia e magnificenza diventano senso della misura, equi-
librio e dignit nei rapporti umani, culto dei valori intellettuali, contrapposto al-
la rozzezza e allignoranza dei pi. Su di un piano esplicitamente e dichiarata-
mente borghese, questo il senso della storia di Federigo degli Alberighi (V, 9),
che, dopo aver tentato di sedurre la donna amata con lostentazione di una ma-
gnificenza cavalleresca piuttosto esteriore e di parata, raggiunge il suo scopo,
senza neanche pi saperlo n volerlo, con la forma pi estrema di cortesia che gli
fosse concesso di esercitare: il sacrificio del tutto disinteressato dellunico bene
rimastogli. Il matrimonio, cui la vicenda perviene, funziona l, come altrove nel
Decameron, quale sanzione giuridica di un equilibrio dei rapporti gi raggiunti in
precedenza sul piano affettivo. Questo fa capire molto dello spirito e delletica
dellautore del Libro. Si direbbe che per Boccaccio il matrimonio sia, pi che un
atto damore, il consolidamento opportuno e necessario, sul piano dei rapporti
mondani, di qualcosa che sarebbe male comunque lasciare allo stadio naturale.
Esso fa parte, insomma, di un sistema di procedure civili, che servono a tenere in-
sieme la convivenza umana, e per questo Boccaccio lo inscrive nel proprio siste-
ma, anche se gli intimamente estraneo come forma mentis e costume (cfr. II, 6,
52-57; II, 7, 121-22; V, 4, 43-45; V, 7, 48-51; V, 9, 39-43; ed altre).
64
questo il punto in cui la posizione di Branca (Lepopea dei mercatanti, in ID., Boccaccio medievale cit., pp.
134-64) ci sembra meno condivisibile.
Letteratura italiana Einaudi
79
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
2.3. La parola e il gesto.
Se le guardiamo dal punto di vista delle tematiche, le novelle del Libro sono or-
ganizzabili in gruppi o in associazioni di gruppi, la cui griglia non sempre corri-
sponde esattamente a quella sovrastante o sottostante delle forme stilistiche e
dei generi. unosservazione, che abbiamo espresso altre volte, in riferimento
a problemi analoghi. Per esempio, possiamo avere una novella a sfondo sessuale,
che al tempo stesso una novella di viaggio o di motto o di beffa, o parecchie di
queste cose insieme, a seconda dellangolo visuale da cui la si affronta. Voglio di-
re che, in unanalisi concreta del testo, bisognerebbe tener presenti contempora-
neamente pi punti di vista, servendosi delle indicazioni che noi veniamo fornen-
do non come chiavi universali di lettura, ma come utili strumenti ermeneutici per
capire di volta in volta luno o laltro aspetto del Libro.
Calate nella concretezza delle singole narrazioni, le tematiche finora elencate
assumono coloriture e forme particolari in relazione al gioco delle parole e delle
azioni, che effettivamente le incarnano. Boccaccio, se si possono indicare in un
caso come il suo gerarchie di valori letterari, sapientissimo sia nelluso degli
strumenti pi propriamente verbali sia nella rappresentazione fisica, quasi sceni-
ca, degli avvenimenti e degli atti. E ci in relazione, probabilmente, con il supera-
mento di alcuni tab tradizionali sia nei confronti della parola sia nei confronti
del corpo umano. Di questa abilit particolarissima potremmo dar ragione solo
scendendo in profondit nellanalisi di singoli esemplari di novella. Poich questo
non ci possibile, vorremmo concentrare lattenzione su due gruppi di componi-
menti, nei quali la conformit delle tematiche diventa costruzione di un genere,
nei quali, cio, lo sviluppo sistematico di un tema produce una forma conseguen-
te e altrettanto consolidata: si tratta delle novelle di motto e delle novelle di
beffa.
2.3.1. Il motto. Il cuore della novella la parola, e la forma pi incisiva ed
elementare della parola il motto. Al motto si richiama ovviamente lintera Sesta
Giornata (poich, forse, anche la novella di frate Cipolla si potrebbe considerare
una novella di motto espanso). Ma sono chiaramente novelle di motto anche I,
3, 5, 6, 7, 8 e 9, con parentele anche in I, 2 e I, 4 (da questo punto di vista anche
la Prima Giornata potrebbe esser considerata quasi interamente una giornata di
motti, anche se su di una tonalit ideologicamente pi elevata ed impegnativa del-
la Sesta); e inoltre IX, 2, e per un certo verso anche IX, 9. Il motto, tuttavia,
sparso come un saporito condimento qua e l nel corso anche di narrazioni mag-
giori, e quindi , oltre che un genere della novella, anche una peculiare conforma-
zione delluniverso dialogico boccacciano.
Letteratura italiana Einaudi
80
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Quanto alla struttura del motto, Boccaccio, nella rubrica della Sesta Giorna-
ta, ne distingue due tipi: in essa, infatti, si ragiona di chi con alcun leggiadro
motto, tentato, si riscotesse, o con pronta risposta o avvenimento fugg perdita o
pericolo o scorno: dunque, il motto pu servire a riprendere il sopravvento nei
confronti di un provocatore ( il caso, esemplare, di Guido Cavalcanti in IV, 9);
oppure pu servire ad evitare un danno, che minacciosamente sovrasta ( il caso,
altrettanto esemplare, di Chichibio in VI, 4). In pratica, la differenza non sem-
pre visibile, a meno che non consista in un quoziente maggiore o minore di uti-
lit pratica raggiunta. Sempre, per, il motto ha il dovere desser leggiadro,
cio di rispondere anchesso a quelle regole di convenienza e di cortesia, in nome
delle quali sovente emesso. In VI, 3, 3-4, Lauretta spiega che lunica eccezione
a questa regola generale, secondo cui il motto deve mordere come pecora e
non come cane, sarebbe quando il provocatore abbia lui stesso per primo morso
come cane: in tal caso, non riprovevole se la risposta supera la misura della
leggiadria.
Limportanza che Boccaccio attribuisce nel proprio sistema al motto testi-
moniata anche dalle frequenti teorizzazioni che lo scrittore gli dedica. Oltre che
in VI, 3, gi rammentato, troviamo un punto importante in I, 9, 3, dove, molto
precocemente rispetto alla giornata dei motti, Elissa teorizza limportanza che an-
che una singola parola, molte volte per accidente, non che ex proposito pu
avere nel realizzare un determinato risultato, che varie riprensioni e molte pene
date a alcuno non avevano conseguito. Ma il discorso pi concentrato ed essen-
ziale lo troviamo gi in I, 10, dove Pampinea (naturalmente!) spiega quale ruolo il
motto abbia nella dimensione espressiva dei narratori, accompagnando la dimo-
strazione con una rampogna al decaduto costume delle donne:
Valorose giovani, come ne lucidi sereni sono le stelle ornamento del cielo e nella pri-
mavera i fiori ne verdi prati, cos de laudevoli costumi e de ragionamenti piacevoli so-
no i leggiadri motti; li quali, per ci che brievi sono, molto meglio alle donne stanno che
agli uomini, in quanto pi alle donne che agli uomini il molto parlare e lungo, quando
senza esso si possa far, si disdice, come che oggi poche o niuna donna rimasa ci sia la
quale o ne ntenda alcun leggiadro o a quello, se pur lo ntendesse, sappia rispondere:
general vergogna di noi e di tutte quelle che vivono. Per ci che quella vert che gi fu
nellanime delle passate hanno le moderne rivolta in ornamenti del corpo; e colei la
quale si vede indosso li panni pi screziati e pi vergati e con pi fregi si crede dovere
essere da molto pi tenuta e pi che laltre onorata, non pensando che, se fosse chi
adosso o indosso gliele ponesse, uno asino ne porterebbe troppo pi che alcuna di loro:
n per ci pi da onorar sarebbe che uno asino. Io mi vergogno di dirlo, per ci che
contro allaltre non posso dire che io contro a me non dica: queste cos fregiate, cos di-
pinte, cos screziate o come statue di marmo mutole e insensibili stanno o s rispondo-
no, se sono addomandate, che molto sarebbe meglio laver taciuto; e fannosi a credere
che da purit danimo proceda il non saper tralle donne e co valenti uomini favellare, e
Letteratura italiana Einaudi
81
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
alla lor milensaggine hanno posto nome onest, quasi niuna donna onesta sia se non co-
lei che con la fante o con la lavandaia o con la sua fornaia favella: il che se la natura aves-
se voluto, come elle si fanno a credere, per altro modo loro avrebbe limitato il cinguet-
tare. vero che, cos come nellaltre cose, in questa da riguardare e il tempo e il luo-
go e con cui si favella, per ci che talvolta avviene che, credendo alcuna donna o uomo
con alcuna paroletta leggiadra fare altrui arrossare, non avendo ben le sue forze con
quelle di quel cotal misurate, quello rossore che in altrui ha creduto gittare sopra s lha
sentito tornare
66
.
molto singolare, e proprio perci assai significativo, che tale discorso venga
ripreso di pari peso (caso pressoch unico nel Decameron), nellintroduzione alla
prima novella della Sesta Giornata (VI, 1, 2-4), da Filomena, la quale del resto
non manca di richiamarsi esplicitamente alla precedente esposizione della sua
grande ispiratrice e plagiaria Pampinea.
La situazione della novella di motto presto detta, nella sua semplicit, ol-
tretutto alquanto ripetitiva (anche se le variazioni sullo schema sono numerose, e
tutte ingegnosissime):
1) Il protagonista, non importa se per colpa sua o del tutto innocentemente,
subisce offesa, oppure si trova in pericolo, oppure ha ragione di temere
per s o per la propria fortuna, oppure avvilito dal comportamento
scortese del proprio interlocutore o avversario;
2) Con una battuta bene azzeccata si sottrae allinsidia, si leva di pericolo,
da mortificato si fa mortificatore;
3) La battuta coglie linterlocutore-avversario nel suo punto pi debole, sco-
perchiandolo o rivelandolo (Guiglielmo Borsiere, madonna Oretta, mon-
na Nonna ecc.), oppure oppone al pericolo una divertente invenzione,
che storna lira dellinterlocutore e la risolve in risata (Chichibio), oppure
svela una situazione di cui linterlocutore, ottusamente, non aveva preso
nozione (Cisti), oppure alza il livello dello scontro, mostrando la differen-
za intellettuale insormontabile che passa fra i due (Guido Cavalcanti);
4) Segue la mortificazione delloffensore;
5) Talvolta alla mortificazione delloffensore segue il risarcimento del
danno subito dal protagonista.
Su questa struttura mi sembra possibile fare le seguenti osservazioni.
1) Il motto riflette, nella sua forma sintetica ed essenziale, la grande im-
portanza rivestita dal discorso in un ambito di civilt, dove non sempre
65
Sulla Sesta Giornata cfr. G. GETTO, Culto della forma e civilt fiorentina nella Sesta Giornata, in ID., Vita di
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82
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
le possibilit di offesa e di sopraffazione erano temperate e limitate dalle
leggi. In questo quadro la parola ha un valore sommamente etico e
correttivo, e infatti non a caso abbiamo visto collegato il genere del mot-
to alla tematica del comportamento (e, com probabile, almeno in
origine, al genere stesso dellexemplum).
2) Non c ombra di dubbio, anche sul piano della tradizione storico-lettera-
ria, che il motto rappresenti il nucleo molecolare di strutture narrative
pi complesse presenti nel Decameron, sia nel senso che il motto resta pre-
sente embrionalmente quasi ovunque, sia nelle forme di tipo oratorio sia
in quelle di tipo dialogico, sia perch sarebbe dimostrabile che la novella
di motti in nuce il tipo della novella boccacciana nella sua accezione
pi vulgata. Intorno a quel nucleo cresciuta la carne delle grandi novel-
le, ma lorigine non mai dimenticata, anche quando Boccaccio sallonta-
na verso altre direzioni (e se si rammenta il ruolo che il motto occupa gi
nel Novellino si potr meglio intendere il senso di questo processo, che
dal microscopico e dallelementare va verso il complesso e larticolato).
2.3.2. La beffa. Accanto al meccanismo di parole, rappresentato dal motto, si
colloca quel dispositivo combinato di parole e di atti ma lazione in questo ca-
so risolutiva , che si definisce beffa. Si tratta di due procedure che si corri-
spondono, si contrappongono e si integrano a seconda dei casi, sicch non sono
rare le forme miste, in cui motto e beffa sono ugualmente presenti.
Com noto, Dioneo, re della Settima (non casualmente), dichiara dessergli
venuta lidea di far narrare delle beffe giocate dalle mogli ai lor mariti dalle paro-
le della serva Licisca, nel corso di quella commedia rusticale, che anima lIntro-
duzione alla Sesta Giornata: viene cos confessata, fin dallinizio, lorigine bassa
dello spunto, che del resto Lauretta, regina dellOttava, chiaramente individua e
denuncia (VII, Concl., 3-4). Che si tratti di un meccanismo assai profondo ed es-
senziale dellimmaginario boccacciano, lo dimostra innanzi tutto il peso quantita-
tivo che esso assume nel Libro. Oltre alle prime nove novelle della Settima Gior-
nata (il re Dioneo, con un lunghissimo ragionamento, spiega come avesse avuto
allinizio intenzione di tener fede allargamento della giornata, da lui stesso co-
mandato, ma avesse poi deciso di tornare alla sua solita libert: VII, 10, 3-6), e al-
le dieci dellOttava (qui Dioneo invece si adegua), novelle inequivocabilmente di
beffa sono IX, 3, 5 e 8, ed elementi di beffa sono sicuramente presenti in III, 4;
III, 5; III, 8; IV, 2; VI, 10; IX, 1; IX, 4; IX, 10, e forse anche in I, 1 e II, 1. Sono
circa trenta componimenti. Se vi si aggiungono i venti circa, che abbiamo defini-
to di motto, abbiamo uno spaccato del mondo del Decameron cos rilevante da
non aver bisogno dessere commentato.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Rispetto al meccanismo del motto, che tipicamente difensivo, il meccanismo
della beffa invece tipicamente offensivo, anche se pu essere messo in moto ini-
zialmente da una reazione difensiva. C dietro, come nel caso del motto, una radi-
ce antropologica profonda, e cio un modo dessere dei rapporti umani, che travali-
ca la sfera puramente razionale per attingere al livello delle pulsioni elementari.
Ci sono beffe gratuite e beffe con uno scopo utile. In questo secondo caso la
beffa , sul piano pratico, uno strumento per raggiungere loggetto desiderato
(non a caso novelle di beffa si ritrovano frequentemente nella Terza Giornata, do-
ve si ragiona di chi alcuna cosa molto da lui disiderata con industria acquistasse
o la perduta ricoverasse, dove per, come abbiamo ricordato pi volte, la cosa
una sola, quella sessuale, in stretta relazione, dunque, con largomento della Set-
tima Giornata). Loggetto desiderato, tuttavia, si pu raggiungere in molti modi:
la procedura di beffa (generalmente adottata) comporta che esso venga raggiun-
to, conseguendo al tempo stesso lumiliazione della persona che vi fa ostacolo (si
pensi alle novelle di Ferondo e di frate Puccio, esemplari). Siccome lho gi det-
to loggetto desiderato in questi casi sempre quello sessuale, e lostacolo
pressoch sempre rappresentato da un marito sciocco, bigotto o eccessivamente
geloso, ne consegue che, su questo versante, la beffa si configura come una pro-
cedura di guerra, che non solo serve a soddisfare le voglie sessuali di una moglie e
di un suo amante pi o meno improvvisato (sovente un frate), ma anche deve, per
un incremento maggiore del piacere, umiliare il soccombente, il marito. C dun-
que un elemento inconfondibile di crudelt in questa procedura, che in alcuni ca-
si, quando il meccanismo si complica, affiancando al meccanismo di beffa un
meccanismo di controbeffa, allinterno della medesima novella (come in quella,
celeberrima e inquietante, dello scolare e della vedova: VIII, 7) raggiunge punte
alte e persino inquietanti di sadismo (ma il meccanismo beffa/controbeffa, con la
sua peculiare spietatezza, presente anche in novelle pi semplici e ridenti, come
ad esempio in quella di Ciacco e Biondello: IX, 8).
Questo meccanismo, tuttavia, raggiunge il suo culmine quando la beffa si fa
gratuita, oppure quando, pur mirando ad ottenere un risultato utile minimo (un
porco, un paio di capponi), mantiene il suo centro nella giocosa gratuit dellespe-
rienza. Di queste novelle, dove il meccanismo di beffa appare allo stadio puro, oltre
a quelle di cui sono protagonisti Bruno e Buffalmacco (VIII, 3, 6 e 9; IX, 3 e 5), ce
ne sono poche altre nel libro, e in genere minori (ad esempio VIII, 4 e IX, 8). in
queste novelle che il meccanismo boccacciano del comico si libera totalmente, svin-
colandosi da qualsiasi pratica finalizzazione ( quel che ne pensa Maso del Saggio,
in VIII, 3, 5, il quale, udendo alcune cose della semplicit di Calandrino, propose
di voler prendere diletto de fatti suoi col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna
nuova cosa). chiaro che il comico della pura beffa nasce dalla contrapposizione
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
stupidit/astuzia, che viene praticata senza esclusione di colpi. Anche questo rap-
porto crudele, anzi pi crudele dellaltro, perch Calandrino non un marito in-
gombrante, che faccia ostacolo alle voglie sessuali di sua moglie e di un eventuale
amante: solo uno svantaggiato, che, oltre ad essere di corto comprendonio, ha una
capacit immaginativa superiore al comune, poich disposto a vedere cose che gli
uomini normali riterrebbero inverosimili (ad esempio, di poter diventare invisibili
per virt di una pietra, o pregno come una donna). Il semplice non dunque pro-
priamente lo sciocco: colui che illuminato da una illimitata luce interna di au-
topersuasione e di fiducia, che la realt puntualmente sincarica di smentire (perci
Calandrino un immortale personaggio poetico, contraddistinto da disillusioni su-
blimi, e non un ottuso cane come frate Puccio o Ferondo).
Anche la beffa, come il motto, segue uno schema nelle grandi linee ripetitivo.
Nella beffa, dunque, linteresse si colloca pricipalmente non nel conseguimento
del risultato, ma nelle modalit e nello svolgimento della procedura. Gli elementi
fondamentali della procedura di beffa sono:
1) Loccasione (in genere, il beffato stesso che contribuisce a crearla, con la
sua imprudenza o semplicit);
2) Lideazione (la trappola deve essere attentamente congegnata, in modo
da lusingare, aderendovi simpateticamente, le caratteristiche o i bisogni o
i desideri del beffando);
3) Lo strumento (, in genere, unassociazione di amici scaltri e disinvolti,
che agisce ai danni di un amico-nemico isolato, una delle tante forme in
cui si traveste e ricompare quella forma tipica della comunit maschile
medievale, che la brigata);
4) Lo svolgimento (consiste nellapplicazione rigorosa, punto per punto, del
progetto, che passa per spesso attraverso un uso equivoco della lingua:
su questo terreno le procedure di parole e quelle di azioni si fondono ar-
monicamente insieme);
5) La conclusione (consiste nellannichilimento del beffato, che non comporta
per il disvelamento a lui della beffa che ha subito; in taluni casi, ad esem-
pio VIII, 6, il massimo della beffa consiste nel far passare il beffato per bef-
fatore, caricandolo, come si dice, oltre che del danno, anche della beffa).
Nelle pieghe di una nuova civilt in formazione, Boccaccio coglie e valorizza
forme di espressione e di reazione, che rappresentano, si direbbe, un retaggio bar-
barico in via di dissoluzione. Anche la sopraffazione e la violenza nei confronti del
pi debole possono essere occasione di riso, quando rientrino allinterno di deter-
minate regole: la beffa, ad esempio, non comporta spargimenti di sangue, ed
Letteratura italiana Einaudi
85
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
dunque come la neutralizzazione civile di un costume aggressivo, che nelle lotte
feudali e comunali ha non poche altre e ben pi radicali manifestazioni. Al massi-
mo pu accadere al beffato di essere precipitato in un mare di sterco, come a mae-
stro Simone, in VIII, 9, 97-100, in una specie di parodistica discesa alle Malebolge
di Inferno (cfr. Inf. XVIII, 103 sgg.). Ma in questo caso maestro Simone non quel
semplice di Calandrino, ma un vanitoso e sciocco medico, per giunta non fio-
rentino, e se l meritata, come commenta la regina della giornata, che anche il
personaggio-narrante, ossia Lauretta, sostenendo che ci sono beffe non riprovevo-
li in ragione della motivazione in base alla quale vengono eseguite (VIII, 9, 3). In
casi come questo, la beffa pu anchessa diventare, come il motto, strumento di
punizione e di giusta correzione, cio essere adottata come norma di sanzione mo-
rale e sociale (gli intelligenti puniscono gli sciocchi della loro tronfia stupidit).
3. Le coordinate spazio-temporali del racconto.
Tutta limmensa massa di temi, motivi, suggestioni, e di generi, lunghezze, solu-
zioni ed esperimenti narrativi e stilistici, dovrebbe poi essere pensata o immagi-
nata come distribuita su di unimmensa mappa, su cui Boccaccio fa funzionare
contemporaneamente due altre grandi coordinate del racconto, che sono lo spa-
zio e il tempo. Infatti, nel suo immaginario, le determinazioni geografiche o, per
meglio dire, laccurata individuazione e descrizione dei luoghi e degli ambienti
e quelle storiche o per meglio dire, la preoccupazione di collocare il racconto
nella maniera pi precisa possibile dentro lo svolgimento della storia occupano
un posto di rilievo eccezionale. Dallincrocio dei meridiani storici con i paralleli
geografici assume spesso concretezza e realt la fisionomia del racconto. E, come
accade per quasi tutti gli aspetti del Libro, non si pu non rimanere stupiti dal-
leccezionale ricchezza dellinventiva boccacciana anche su questi due terreni fon-
damentali, e dalla quantit di conseguenze, che ne derivano anche sul piano stret-
tamente narrativo.
3.1. La geografia.
Si potrebbe dire che la geografia boccacciana un universo che si espande a cer-
chi concentrici, talvolta mantenendo una linea di rapporto tra il centro e la peri-
feria (linea, che spesso rappresentata dai personaggi fiorentini, che, continuan-
do a conservare intatta la loro identit dorigine, si muovono in ambienti anche
molto lontani dalla citt di provenienza)
67
.
forme e forme di vita nel Decameron cit., pp. 140-64
66
Dec., I, 10, 3-7, pp. 116-18.
67
Sulla funzione della localizzazione geografica nel Decameron ha fini osservazioni G. PADOAN, Sulla genesi e
Letteratura italiana Einaudi
86
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
A) Il centro rappresentato, solidamente, dalle storie ambientate a Firenze e
nel suo contado, e agite da personaggi generalmente fiorentini, con qualche
escursione in altri luoghi, che nellelenco sottostante indichiamo fra parentesi:
I: 6.
III: 3, 4, 7 (Ancona, Cipri).
IV: 7, 8 (Parigi).
V: 9.
VI: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9.
VII: 1, 6, 8.
VIII: 2 (Varlungo), 3, 4, 5, 6, 7 (Parigi), 9.
IX: 3, 5, 6 (Pian di Mugnone), 7, 8.
B) C poi un gruppo di novelle, di cui sono protagonisti fiorentini o toscani,
ma in situazioni e ambienti lontani dalla citt dorigine (la fonte di tali narrazioni,
nondimeno, come nel gruppo A, resta sostanzialmente la cronaca cittadina):
I: 1 (Parigi, Fiandre).
II: 1 (Treviso), 3 (Inghilterra).
IV: 5 (Messina).
VIII: 10 (Sicilia).
X: 1 (Castiglia), 7 (Sicilia).
C) Consistente anche il contributo toscano, di cui indichiamo, novella per
novella, la localizzazione:
III: 1(Pistoiese?), 5 (Pistoia), 8 (Toscana).
VI: 7 (Prato), 10 (Certaldo).
VII: 3 (Siena), 4 (Arezzo), 10 (Siena).
VIII: 8 (Siena).
IX: 1 (Pistoia), 4 (Siena).
X: 2 (Radicofani - Roma).
D) Di straordinaria variet e bellezza anche il gruppo delle novelle di
ambientazione italiana, allinterno delle quali Boccaccio mostra di sapersi
muovere con incredibile famigliarit (abbiamo accantonato, per inserirle nel-
lultimo gruppo, tutte quelle novelle, che, pur partendo dallItalia, e magari ri-
tornandovi, trovano per il loro svolgimento decisivo in altre contrade, lonta-
ne ed esotiche):
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
I: 4 (Lunigiana), 5 (Monferrato), 7 (Verona; ingloba Cligny), 8 (Genova),
10 (Bologna).
Il: 2 (Ferrara - Verona), 5 (Perugia - Napoli), 6 (Sicilia - Lunigiana - Sicilia).
III: 2 (Pavia), 6 (Napoli).
IV: 1 (Salerno), 2 (Imola - Venezia), 4 (Sicilia), 6 (Brescia), 10 (Salerno).
V: 3 (Roma e la campagna romana), 4 (Romagna), 5 (Cremona, Pavia,
Faenza), 6 (Procida - Sicilia), 7 (Trapani), 8 (Ravenna), 10 (Perugia).
VII: 2 (Napoli), 5 (Rimini), 7 (Bologna).
VIII: 1 (Milano).
IX: 2 (Lombardia), 10 (Puglia).
X: 4 (Modena - Bologna), 5 (Friuli), 6 (Castellammare di Stabia), 10 (Sa-
luzzo).
E) Non meno rilevante la lista delle citt e dei paesi, che fuori dItalia, in
Europa o nel resto del mondo, Boccaccio include nel suo sistema:
I: 2 (Parigi - Roma), 3 (Babilonia - Alessandria), 9 (Cipri - Guascogna).
II: 4 (Amalfi - Mediterraneo orientale), 7 (Babilonia - Mediterraneo), 8
(Anversa - Francia - Inghilterra - Anversa), 9 (Genova - Alessandria
dEgitto), 10 (Pisa - Monaco).
III: 9 (Provenza - Parigi - Firenze), 10 (Barberia - Tebaide).
IV: 3 (Marsiglia - Creta), 9 (Provenza).
V: 1 (Cipri - Mediterraneo orientale), 2 (Lipari - Tunisia).
VII: 9 (Argo, antica citt di Acaia).
IX: 9 (Medio Oriente e Gerusalemme).
X: 3 (Cataio), 8 (Atene e Roma nellantichit), 9 (Pavia - Babilonia).
Qualche considerazione sui quadri. Se si sommano insieme le novelle dei
gruppi A, B e C, facile vedere che sono fiorentini e toscani i protagonisti di
quarantasei novelle su cento: non sono poche, ma forse ci si aspetterebbe di pi
da un autore cos profondamente radicato nella cultura e nella realt fiorentina
del tempo.
Quel che veramente colpisce , semmai, il dato che si muove in direzione op-
posta: a tener conto rigorosamente della effettiva localizzazione dellazione delle
novelle, si arriva alla conclusione che ben cinquantotto novelle si svolgono fuori
dal territorio toscano (B + D + E), settanta fuori dal territorio di Firenze e del suo
contado (B + C + D + E).
la conferma di quella straordinaria apertura di orizzonti (e quindi di quella
straordinaria ricchezza delle tematiche, dei costumi, delle caratterizzazioni dei
Letteratura italiana Einaudi
88
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
personaggi), che sorprende ogni lettore del Decameron, ogniqualvolta se ne riper-
corrano le strutture portanti. Oltre le mura di Firenze, abbiamo unItalia vivacis-
simamente rappresentata (B + C + D), con una particolare predilezione per Siena,
Venezia, Bologna e la Romagna, Napoli e la Sicilia (localit e zone a lui in gran
parte note in conseguenza dei suoi soggiorni e viaggi, oppure conosciute per
informazioni pervenutegli di prima mano: per esempio, la conoscenza minuziosa
della Sicilia risale al periodo napoletano). Ma soprattutto abbiamo uninconsueta
apertura europea, e una fantastica proposta mediterranea, che si spinge a con-
templare con curiosit infaticabile, ma anche con atteggiamento estremamente ri-
spettoso, popolazioni, razze e religioni fuori dallorbita cristiana: per esempio,
con grande rilievo, giudei e musulmani; e mari, isole, porti e citt, che una univer-
sale consuetudine mercantile e marinara aveva reso famigliari ai contemporanei di
Boccaccio, ma che Boccaccio rivive come in un grandioso sogno di liberazione
fantastica. C da chiedersi a quale vena profonda del suo sentimento debba esser
ricondotta questa straordinaria percezione delluniverso marino in uno come lui,
cittadino e terricolo da ogni altro punto di vista
68
.
Boccaccio usa spesso la geografia per dar voce al suo acuto nazionalismo
fiorentino: sono ben note, ad esempio, le sue penetranti frecciate a Senesi e Ve-
neziani. Se, per, si guarda alla localizzazione geografica, tenendo al tempo
stesso in trasparenza i diversi discorsi sulle strutture e sulle tematiche del Libro,
che abbiamo svolto in precedenza, potremmo arrivare a conclusioni un po di-
verse da quelle che mettono Firenze in testa ai valori del Decameron (sebbene
essa resti sempre, per Boccaccio, legregia citt...oltre a ognaltra italica bellis-
sima: I, Intr., 8).
Per esempio, sovrapponendo i diversi quadri, possiamo vedere che esiste una
giornata totalmente toscana, la Sesta (A8 + C2) e altre due giornate fondamental-
mente toscane, ossia lOttava (A7 + B1 + C1) e la Nona (A5 + C2), mentre in al-
tre due possibile registrare una prevalenza dellelemento fiorentino-toscano, e
cio la Terza (A3 + D3) e la Settima (A3 + C3). Questo vuol dire, in sostanza, che
larea fiorentino-toscana coincide sostanzialmente con quella dei generi novella
di motto e novella di beffa (infatti, anche le novelle qui registrate della Terza e
Settima Giornata coincidono quasi tutte con tale classificazione). Queste coinci-
denze hanno effetto, come abbiamo notato a suo tempo, anche sui problemi del-
la lunghezza narrativa.
Lamore, invece, sembra un fatto essenzialmente italico, certamente non fio-
rentino n toscano: nella Quarta Giornata, ad esempio, troviamo A2 + B1 + C5 +
D2, e nella Quinta, addirittura, A1 + C7 + D2.
la pubblicazione del Decamern cit., e ID., La novella veneziana del Decamern (1978), in ID., Il Boccaccio, le Mu-
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Pressoch totalmente non toscane sono la Prima Giornata (B1 + D5 + E3),
la Seconda (B2 + D3 + E5) e la Decima (B2 + D4 + E3). Se questo appare abba-
stanza logico per la Seconda, giornata di fortuna, di avventure e dunque di viag-
gi, desta qualche stupore per la Prima e per la Decima: evidentemente Boccac-
cio, pi o meno consapevolmente, non considera la propria citt e la regione cir-
costante le pi adatte ad affrontare una problematica ideologico-religiosa e un
dibattito comportamentale dei pi impegnativi, n a fornire esempi di magnifi-
cenza e di liberalit. Per fare questo occorre evidentemente attivare un immagi-
nario pi distaccato o pi nostalgico, inseguendo i sogni della sua fantasia fino a
Parigi, nel Monferrato, a Verona, a Bologna o alla lontana isola di Cipro, nella
mitica Alessandria dEgitto, nellancor pi lontano Cataio o addirittura, con
straordinaria trasposizione spazio-temporale, nelle leggendarie citt antiche, co-
me Atene e Roma.
Questo vuol dire, in conclusione, che i luoghi geografici non sono meccani-
che collocazioni dellazione in un ambito qualsiasi determinato spazialmente,
ma rappresentano dimensioni e simboli dellimmaginario, conformati in modo
tale da cogliere ed esprimere le fantasie dellautore. Ognuno dei luoghi boccac-
ciani produce un proprio adeguato immaginario e orienta le soluzioni narrative
conseguenti.
3.1.1. Il viaggio. La forma narrativa, in cui spesso la geografia prende corpo,
il viaggio. Il viaggio , al tempo stesso, un tpos narrativo classico, una dimen-
sione dellimmaginario e unespressione assai tipica del mondo fantastico boccac-
ciano. Abbiamo qui una lampante conferma dellapertura mentale del grande
scrittore fiorentino e della sua inesauribile curiosit per il mondo extracittadino
ed extramunicipale. Questo tema meriterebbe perci una lunga trattazione, ma io
mi limito qui a darne alcuni cenni e a formulare alcune ipotesi
69
.
Distinguo le novelle, in cui il viaggio presente, in tre classi: in V1 colloco
quelle in cui il viaggio ha un rapporto assolutamente intrinseco con la narrazione,
e rappresenta insomma un elemento strutturante vero e proprio; in V2 e V3, quel-
le che hanno al proprio interno elementi di viaggio e spostamento di persone da
un luogo allaltro, senza che per la narrazione poggi strutturalmente su di essi,
anche se, ovviamente, avr qualcosa a che fare con lo sviluppo della vicenda (in
V2 saranno collocate quelle che hanno in s elementi di grande viaggio, e in V3
elementi di piccolo viaggio, per es. : Siena Buonconvento e ritorno).
se cit., pp. 93-121 e 123-50.
68
Cfr. V. BRANCA, Lepopea dei mercatanti cit., in particolare alle pp. 139-49.
69
Sul tema del viaggio e della peripezia ho tenuto presente soprattutto la tesi di dottorato di M. C. STORINI,
Letteratura italiana Einaudi
90
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
La distribuzione delle novelle di viaggio la seguente:
I: V1 V: V1 1, 2, 3, 6. VIII: V1
V2 1, 2, 5, 9. V2 7. V2 7, 10.
V3 7. V3 5, 8, 9. V3
II: V1 3, 4, 6, 7, 8, 9. VI: V1 IX: V1
V2 V2 V2 9.
V3 1, 2, 5, 10. V3 V3 4, 6, 10.
III: V1 9. VII: V1 X: V1 9.
V2 7, 10. V2 7. V2 l, 2, 8.
V3 V3 V3
IV V1 3.
V2 2, 4, 8.
V3 5.
Si tratta, in totale, di una quarantina di componimenti, in cui lo spostamento
del luogo dellazione incide sulla vicenda narrata. Naturalmente, come si pu ve-
dere, le collocazioni allinterno delle giornate coincidono perfettamente con le os-
servazioni gi in precedenza avanzate: c una giornata tutta di viaggi, la Seconda,
ed una dove non ci si sposta mai o quasi mai dal luogo dellazione, e cio la Sesta.
Molto forte la presenza di novelle di viaggi anche nella Quinta Giornata (8 su
10), quella degli amori italici.
Potremmo aggiungere qualche osservazione utile per comprendere ottiche e
procedure compositive anche nella costruzione del Libro. Per esempio, nella Pri-
ma e nella Seconda Giornata Firenze non esiste quasi (una sola novella, I, 6, vi si
svolge, e di altre tre sono protagonisti fiorentini emigrati: I, 1, II, 1 e 3); nella Ter-
za compare in due novelle (III, 3 e 4), mentre in altre due (III, 7 e 9) si mescola
con elementi di viaggio; nella Quarta soltanto in una, caratterizzata per dalla
presenza di personaggi molto popolari (IV, 7), in unaltra mescolata con ele-
menti di viaggio (IV, 8); nella Quinta in una sola, quella di Federigo degli Alberi-
ghi (V, 9). Firenze, invece, domina nella Sesta, molto presente nella Settima, Ot-
tava e Nona e torna a scomparire del tutto nella Decima ( fiorentino il protago-
nista, in Spagna, di X, 1).
Concentriamo lattenzione sulle novelle di V1. Esse sono: tre giovani, male il
loro avere spendendo, impoveriscono (II, 3); Landolfo Rufolo (II, 4); Madama
Beritola (III, 6); Alatiel (II, 7); Il conte di Anguersa (II, 8); Bernab di Genova
(II, 9); Giletta di Nerbona (III, 9); tre giovani amano tre sorelle (IV, 3); Cimone
(V, 1); Gostanza e Martuccio Comito (V, 2); Pietro Boccamazza e lAgnolella (V,
3); Gian di Procida (V, 6); Saladino e messer Torello (X, 9).
Letteratura italiana Einaudi
91
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Nel loro insieme, esse costituiscono forse il pi bel repertorio di racconti di
viaggio, fondati sul gusto dellavventura e dellesotico, che sia mai apparso in Eu-
ropa, fino agli scrittori di viaggio del Seicento e ai narratori del Settecento. Boc-
caccio vi applica tecniche raffinatissime di costruzione dellintreccio, che rivelano
un perfetto controllo delle situazioni con cui la sua immaginazione si trovata a
confrontarsi, anche molto al di l della sfera di esperienze pi direttamente da lui
praticata. Molto schematicamente, potremmo indicare le seguenti possibilit:
1) Andata e ritorno semplice (ad esempio: Abraam giudeo, I, 2: Parigi-Ro-
ma-Parigi; Andreuccio da Perugia, II, 5: Perugia-Napoli-Perugia);
2) Andata e ritorno complesso (il protagonista ritorna come nel tipo prece-
dente al punto di partenza, ma per farlo deve affrontare unintera se-
quenza di avventure, che mette in crisi la linearit semplice dello sposta-
mento: ad esempio, Landolfo Rufolo, II, 4);
3) Viaggio ciclico (da Oriente verso Occidente, e poi viceversa, con ripetizio-
ne rovesciata di accadimenti lungo tutto il duplice percorso: ad esempio,
il conte di Anguersa, II, 8);
4) Viaggio a fasi successive (spesso con intervalli temporali molto grandi fra
un momento e laltro del viaggio, e sparpagliamento progressivo in luo-
ghi diversi dei vari protagonisti della vicenda: da un certo momento in
poi, inizia il processo opposto, e cio la congregazione dei protagonisti in
un medesimo luogo, cui segue il ritorno finale al punto di partenza: ad
esempio, Madama Beritola, II, 6);
5) Viaggio circolare (stupefacente metafora del vissuto, che corrisponde per-
fettamente al senso della vicenda narrata: ovviamente, Alatiel, II, 7, la
quale, dopo aver compiuto un lungo cerchio, ritorna anche lei al punto
di partenza, per ripartire di nuovo verso la destinazione originaria);
6) Viaggio-peripezia (ovviamente, ogni tema di viaggio contiene un elemen-
to di peripezia, ma c almeno una novella nel Decameron, quella di Pie-
tro Boccamazza e dellAgnolella, V, 3, in cui la peripezia, nella sua forma
pi classica e pi antropologicamente fondata, il viaggio).
Si aggiunga a questo catalogo che elementi di viaggio, per quanto fantastico,
immaginario e spropositato, sono presenti nella novella di frate Cipolla (VI, 10) e
in quella di Calandrino e lelitropia (VIII, 3), e avremo unidea dellimportanza
che il motivo riveste nellispirazione boccacciana.
Naturalmente, bisognerebbe esaminare ognuno dei modelli elencati, e ancor
pi ognuna delle novelle che vi fanno riferimento, per dar conto di quanto lo spo-
stamento del viaggio comporti lo spostamento di destini, amori, ricchezze. Non
Letteratura italiana Einaudi
92
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
c dubbio che il viaggio abbia molto a che fare, per la sua connaturata instabilit
e precariet, con il tema della Fortuna, di cui quasi una grande metafora; ma
poich, spesso, attraverso il viaggio si realizza una qute amorosa (Gostanza e
Martuccio Comito, Gian di Procida) o una ricerca intrepida di benessere (Lan-
dolfo Rufolo) o una progressiva conquista di maturit e didentit (Cimone), il
viaggio ha anche a che fare con quella virt umana, che sfida lignoto e il pericolo
per raggiungere il fine desiderato.
Soprattutto, il modo-strumento, con cui Boccaccio spazia tanto al di l del-
le mura della natia Firenze, dentro cui avrebbe potuto restare cos facilmente
chiuso. Egli invece rivolge uno dei suoi occhi vagabondo per il mondo, e il risul-
tato questo inesauribile caleidoscopio dimmagini e sensazioni.
3.2. La storia.
Boccaccio si preoccupa spesso di collocare esattamente dal punto di vista storico
la narrazione delle sue novelle, se non con una data precisa, perlomeno con un
riferimento ad una situazione o ad un personaggio, che ne consentano lidentifi-
cazione. Ad esempio, in I, 1, 7: Ragionasi adunque che essendo Musciatto
Franzesi di ricchissimo e gran mercatante in Francia cavalier divenuto e doven-
done in Toscana venire con messere Carlo Senzaterra, fratello del re di Francia,
da papa Bonifazio addomandato [...]: ecc. ecc. : il che come dire che la prima
novella del Libro collocabile nel 1301 (ossia, poco dopo linizio del viaggio nel-
lOltretomba di Dante). Poich si parla spesso, genericamente, di realismo boc-
cacciano, varr la pena di segnalare anche questo elemento di precisione descrit-
tiva, che serve senza alcun dubbio ad accentuare la verisimiglianza della narra-
zione. Fra le trentasei e le quaranta novelle del gran Libro contengono riferi-
menti abbastanza precisi da consentirne una datazione storica. In parecchi casi,
tuttavia, la datazione non fa altro che registrare un avvenimento appartenente al-
la medesima area cronologica della contemporaneit, a cui appartengono molte
altre novelle della raccolta. Ad esempio, il riferimento a Cangrande della Scala
vivo, in I, 7, ci consente di collocare la novella di Bergamino fra il 1311 e il 1329.
Tenendo presente che in parecchi casi qualsiasi datazione impossibile, e adot-
tando il 1300 come spartiacque fra la storicit e la contemporaneit, si potrebbe
dire che ci sono venti novelle sicuramente databili in un passato pi o meno lon-
tano, e cio:
I: 3 (Saladino, 1137-93), 5 (la Marchesana di Monferrato, 1165-1223), 9 (il
re di Cipri, 1192-94).
II: 6 (Madama Beritola, 1266-82), 7 (Alatiel, molto tempo addietro: Gi
buon tempo passato []), 8 (il conte di Anguersa, dopo il 962).
Letteratura italiana Einaudi
93
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
III: 2 (Agilulf, 590-615).
IV: 1 (Tancredi, principato normanno di Salerno); 4 (Gerbino, 1166-89).
V: 1 (Cimone, Cipro nellantichit), 5 (Guidotto da Cremona, poco dopo il
1170), 7 (Teodoro, 1166-89).
VII: 9 (Lidia e Pirro, antica Grecia).
IX: 9 (Salomone, antica Israele).
X: 1 (Alfonso VIII di Castiglia, 1155-1214), 6 (Carlo dAngi vecchio, in-
torno al 1280), 7 (Pietro dAragona, 1282-85), 8 (Tito e Gisippo, intor-
no al 23 a. C.), 9 (Saladino e Torello, 1137-93), 10 (il marchese di Saluz-
zo, molto tempo addietro: Gi gran tempo [...]).
Raggruppando le tematiche, potremmo dire che Boccaccio affronta i temi
dellantichit classica in tre novelle (V, 1, VII, 9 e X, 8), dellantico Stato dIsraele
in una (IX, 9), dellet longobarda in una (III, 2), dellet ottoniana in una (II, 8),
del tempo di Saladino in due (I, 3 e X, 9), dellet normanna in tre (IV, 1, IV, 4 e
V, 7), del periodo del conflitto tra angioini e aragonesi in tre (II, 6, X, 6 e X, 7),
della fase pi genericamente compresa tra la fine del secolo XII e la seconda met
del XIII in cinque (I, 5, I, 9, V, 5, X, 1 e X, 10).
Il parametro temporale agisce dunque, se non con altrettanta profondit di
quello geografico, certo molto efficacemente ad allungare, oltre ogni misura fino
ad allora praticata, la prospettiva del narratore. Boccaccio fa tesoro delle sue let-
ture di storici e di cronisti, quasi per tener fede al secondo impegno assunto nel
Proemio dellopera: [...] si vederanno cos ne moderni tempi avvenuti come ne-
gli antichi ( 14). Per la prima volta nella storia della cultura occidentale un nar-
ratore pratica la distinzione fra antico e moderno, mostrando di averne una
cos precisa consapevolezza. Al di l dei travestimenti contemporaneizzanti, a cui
Boccaccio, sulla scia della cultura medievale, continua a sottoporre i suoi perso-
naggi del passato, ci che conta labile composizione nel Libro di realt diver-
sissime nel tempo, con lintento di fornire un quadro il pi completo possibile
delle fenomenologie umane nel campo degli affetti e delle passioni: come nel
mondo allora conosciuto, cos nella storia, fin dove lo sguardo suo poteva risalire.
Se si guarda poi alla collocazione del vettore storia nel sistema del libro, non
se ne pu trarre altro che conferme alle nostre precedenti osservazioni. La storia
lontana totalmente assente nella Sesta e Ottava Giornata, e pressoch totalmen-
te assente nella Terza, nella Settima e nella Nona; mentre recita un ruolo impor-
tante nella Prima, nella Seconda, nella Quarta e nella Quinta, ed un ruolo decisi-
vo nella Decima (6 su 10).
Storia e geografia perfettamente coincidono. La stanzialit fiorentina e quel-
la toscana (motto e beffa) si risolvono nella registrazione della pura sincronia:
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
la vita vivente, colta nel suo svolgimento intorno allattento osservatore, che qui
la fa da padrona, in una dimensione, dunque, di preminente scambio orale.
I miti dellamore, e quelli della peripezia, dellesempio alto e delleducazione
sentimentale, e, ancor pi, quelli della magnificenza e della cortesia, richiedono
invece un distanziamento ottico, che nella contemporaneit trova poco di degno
da osservare. In questo senso, la storia diventa un grande serbatoio, a cui dante-
scamente attingere, nella desolante penuria di esempi imitabili, che il mondo con-
temporaneo offre.
3.2.1. Le classi sociali. Il caleidoscopio del gran Libro continuerebbe a pro-
durre sempre nuovi ed inesauribili riflessi, se solo si continuasse a girarlo, interro-
gandolo sui molteplici aspetti e livelli della sua costruzione. Ci fermiamo, invece,
ponendo unultima questione, che ci sembra particolarmente rilevante per capire
altri aspetti dellopera: quella relativa alla presenza delle classi sociali nellimma-
ginario boccacciano.
Constatiamo innanzitutto che, come per gli orizzonti geografici e i parame-
tri storici, anche per la dimensione sociale non c nessun ostacolo di fronte a
cui sarresti linventiva dello scrittore. Qui la rottura degli schemi totale, an-
che se, ovviamente, Boccaccio continua ad avere una precisa visione gerarchica
della scala sociale. Non ci sono limiti, infatti, allassunzione di personaggi di
ogni condizione nella veste di protagonisti delle novelle del Libro. Fra essi tro-
viamo re e sultani, principi e nobili, modeste donne di casa e principesse, notai
e medici, mercanti e possidenti, grandi ecclesiastici e monaci, preti ricchi e pre-
ti poveri, francescani e domenicani, eremiti e contadini, palafrenieri e operai,
medici e notai, artisti e cortigiani, e usurai, corsari, marinai, soldati, giullari, ne-
gromanti, speziali, poeti, lenoni, prostitute. Se possibile, statisticamente, indi-
care in questa casistica una prevalenza del ceto mercantile, resta del tutto evi-
dente che il mondo del Libro presenta da questo punto di vista unapertura a
trecentosessanta gradi: in linea teorica, Boccaccio non esclude nessuno dal pri-
vilegio di diventare protagonista di una storia degna dessere narrata. E, quel
che pi importante, stabilisce in linea di principio una pari dignit tra perso-
naggi di assai diversa condizione, anche se, come vedremo, non a tutti con-
sentito tutto. Questo verificabile su di un terreno decisivo, com da molti
punti di vista il racconto damore.
Nella Quarta Giornata, lo schema tipico della tragedia amorosa, che prevede
la scomparsa in vario modo traumatica di ambedue gli amanti, viene applicato da
Boccaccio senza riguardo alcuno alle classificazioni sociali. Per essere pi persuasi-
vi, si potrebbe dire che Boccaccio racconta storie che riguardano personaggi di no-
bilissima condizione, cio principi e sovrani (1 e 4), nobili di meno elevata condi-
Letteratura italiana Einaudi
95
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
zione (9), mercanti e nobili (3), mercanti (5); e anche amanti di diversa condizione
sociale fra loro, ci che costituisce di per s un fattore decisivo di contrasto tragico
per esempio, una ricca e un povero (6); una povera e un ricco (8). Ora, nella set-
tima novella, Boccaccio fa protagonisti della storia due giovani operai della lana,
Simona e Pasquino, ritratti oltretutto con grandissima fedelt allinterno del loro
ambiente sociale di vita e di lavoro. Si tratta della prima apparizione nellarea let-
teraria occidentale di un soggetto del genere, trattato seriamente. E siccome at-
tentissimo agli aspetti pi inediti e sorprendenti della propria opera, Boccaccio
non manca di segnalare la profonda novit della cosa con queste parole:
E come altra volta tra noi stato detto, quantunque Amor volentieri le case de nobili uo-
mini abiti, esso per ci non rifiuta lo mperio di quelle de poveri, anzi in quelle s alcuna
volta le sue forze dimostra, che come potentissimo signore da pi ricchi si fa temere
70
.
Si tratta, com facile capire, dun passaggio ideologico e antropologico di
enorme importanza, in cui Boccaccio riprende e radicalizza tutta una serie di sug-
gestioni provenienti da un filone preciso della cultura medievale, da Andrea Cap-
pellano allo Stilnovo. Vero che a Simona e Pasquino non concessa la fine alta-
mente tragica di Ghismunda e Guiscardo: essi, infatti, non muoiono per la vendet-
ta di un padre crudele n per una consapevole ed eroica scelta, ma del tutto ca-
sualmente, per unimprevedibile e straordinaria avversit della Fortuna, nel corso
dun semplice e spoglio convegno damore in un giardino del centro di Firenze.
Ma, se non possono morire da eroi per il loro amore, essi tuttavia escono
splendidamente da quellatmosfera un po fiabesca e fantastica, e talvolta addi-
rittura favolistica, che circonda le storie dei re, dei principi e dei nobili (si ram-
menti Gerbino). Categorie ormai pi volte chiamate in causa trovano qui unul-
teriore conferma: storia passato esotismo fantasia nobilt, una linea che
si contrappone allaltra: contemporaneit sincronia cronaca municipale
condizione sociale bassa o mediana. Alla formula temporale favolistica Gi
buon tempo passato (II, 7), Gi gran tempo (X, 10), si contrappone visto-
samente nella novella di Simona e Pasquino la formula della cronaca: Fu adun-
que, non ancora gran tempo, in Firenze [...], che raccoglie sinteticamente sia
la determinazione temporale sia quella geografica, localistica. Il proletariato en-
tra nella letteratura moderna, portatore di una scarna e pur delicata istanza rea-
listica: si pu dire senza enfasi che Boccaccio ha scorto luomo e la donna l do-
ve fino a quel momento nessuno sera degnato di abbassare lo sguardo, e la cosa
pi straordinaria che lo fa senza concessione elegiaca alcuna, ma con la sempli-
cit di unosservazione senza confini.
Cavalieri, santi e viaggiatori: avventura e peripezia nella prosa volgare del Medioevo, discussa ed approvata il 21 giugno
Letteratura italiana Einaudi
96
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
La forma della societ, dunque, nel Libro, come la storia e la geografia,
una scansione attiva, non passiva non una mera registrazione di dati obbiettivi,
di una dimensione fantastica, in cui ognuno dei personaggi vale in funzione,
strettamente, del valore universale della vicenda di cui protagonista. in que-
sto modo che Boccaccio, allargando smisuratamente il suo angolo visuale, riesce
a creare un universo umano da cui nulla resta escluso.
IV. MODELLI E FONTI.
Parlare di modelli e fonti a proposito di un organismo articolato e complesso, e
ricchissimo di derivazioni e sfumature, come quello che abbiamo cercato sin qui
di descrivere, impresa disperata, soprattutto se si hanno a disposizione poche
pagine e non i molti volumi che sarebbero necessari per una trattazione esaurien-
te
71
. Inoltre, la difficolt aumentata dal fatto che la forma finale del Libro, su
cui pi volte ci siamo soffermati, presenta problemi diversi, anche da questo pun-
to di vista, dal problema compositivo riguardante linsieme delle novelle, e, ancor
pi, dal problema compositivo riguardante ciascuna di esse. Il Decameron, per in-
tenderci, non la Commedia, e neanche il Canzoniere (al quale, tuttavia, alcuni
tratti laccomunano: in ambedue i casi, infatti, siamo di fronte a raccolte di sin-
goli microrganismi letterari, che, riuniti in un solo macrorganismo, assumono va-
lenze e significati diversi da quelli che avrebbe potuto suggerire una loro lettura
sciolta e fuori dallo schema). Sia nella Commedia sia nel Canzoniere, infatti, la
forma finale del libro coincide esattamente ed immediatamente con lassemblag-
gio delle sue singole parti, canti o rime che siano (infatti, suprema invenzione, Pe-
trarca rinuncia alla cornice introduttiva ed espositiva ancora presente nella Vi-
ta nuova, per affidare la sua storia sentimentale ed intellettuale allo svolgimento
tutto interno, e tutto interiore, delle rime messe in immediata successione fra lo-
ro). Per il Decameron per quanto sia fuori discussione lunit e lorganicit della
forma finale raggiunta dal Libro questo medesimo risultato si ottiene attraverso
la mediazione della cornice, pi vicina da questo punto di vista alla forma Vita
nuova che alla forma Canzoniere. Il rapporto fra luno e le parti dunque indub-
biamente pi complesso che nelle altre due grandi opere del Trecento: lunit del-
linsieme, infatti, non cancella del tutto lautonomia delle singole parti. E questa
maggiore articolazione dellopera si riflette anche sul problema dellindividuazio-
ne di eventuali modelli e fonti, che pu essere pertinente alla migliore compren-
1991, in corso di pubblicazione.
70
Dec, IV, 7, 4, p. 547.
71
Si veda, comunque, almeno M. LANDAU, Die Quellen des Dekameron, Stuttgart 1884 e G. GRBER, (ber
die Quellen von Boccaccios Dekameron, Strasbourg 1913, Sui motivi ricavati dalla tradizione narrativa popolare cfr. S.
THOMPSON, Motif-Index of Folk-Literature, Helsinki 1932 sgg. e D. P. ROTUNDA, Motif-Index on the Italian No-
Letteratura italiana Einaudi
97
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
sione sia delle procedure unificanti (cornice, giornate, personaggi narranti) sia dei
singoli microrganismi contenuti nellinsieme (novelle).
Ci che si pu dire che il Boccaccio, con il Decameron, si colloca ad un pun-
to di confluenza di pressoch tutte le grandi tradizioni narrative note al suo tempo,
e cio quella di origine classica (greco-latina), quella orientale e quella occidentale
(o moderna, o volgare-romanza, o latino-medievale). Ma questo risultato da lui
conseguito con grande libert e scioltezza, non sulla base, si direbbe, di un intento
esplicito e programmatico, di cui non c traccia nellopera, ma proprio come ef-
fetto di una poderosa vocazione narrativa, che sottomette tutti i materiali possibili
alla propria logica, sottoponendoli ad un processo di rifusione e omogeneizzazio-
ne, che ha del prodigioso (e sul quale torneremo nella sezione successiva del nostro
saggio). Del resto, se si guarda a quello che, dal punto di vista cronologico come
dal punto di vista dellevoluzione delle forme, si dovrebbe considerare lantece-
dente immediato del Decameron, e cio il Libro di novelle e di bel parlar gientile,
pi noto con il nome di Il Novellino, ci che colpisce, pi che le possibili analogie
e punti di contatto, che pure esistono, labissale differenza delle dimensioni e del-
la qualit dei risultati raggiunti in quel breve spazio di circa cinquantanni, che do-
vrebbe separare, secondo le congetture pi attendibili, la composizione delle due
opere. Da questo punto di vista il Decameron condivide pienamente con la Com-
media e il Canzoniere la caratteristica dessere una di quelle opere che segnano un
passaggio depoca, in base ad una serie di fattori fra i quali predomina quello per
cui tutti gli elementi delle culture precedenti, pur persistendo e potendo essere
scorti in filigrana, assumono un volto e un senso nuovi allinterno dellorganismo
72
.
Con queste premesse e rinunciando consapevolmente ad ogni pretesa di
completezza , piuttosto che partire dallesposizione sistematica di alcuni grandi
filoni della ricerca narrativa antica e moderna, preferiamo muovere dallanalisi
concreta del testo decameroniano, passando dal certo allincerto, come abbiamo
gi fatto in precedenza, e indicando alla fine anche talune fonti indirette delle-
sposizione boccacciana, se tali possono essere definite, non perci meno impor-
tanti di quelle pi dirette e documentabili.
Per quanto riguarda la cornice
73
, non c alcun dubbio che essa riproduca per
molti versi unispirazione presente nelle grandi raccolte novellistiche di origine
vella in Prose, Bloomington Ind. 1942. Nella nota introduttiva a ognuna delle novelle V. Branca indica, nelledizione
cit., leventuale fonte.
72
Cfr. A. ASOR ROSA, La fondazione del laico cit., pp. 17-24.
73
Cfr. M. PICONE, Tre tipi di cornice cit. Sulla novellistica orientale, e sui problemi della sua trasmissione in
area occidentale, cfr., tra gli altri, G. PARIS, Les contes orientaux dans la littrature franaise du Moyen ge, in ID., La
posie du Moyen ge. Leons et lectures, II
e
serie, Paris 1985, pp. 75-108; R. E. MARSAN, Itinraire espagnol du conte
mdival, Paris 1974; M. J. LACARRA, Cuentstica medieval en Espaa. Los orgines, Zaragoza 1979; A. VARVARO,
Forme di intertestualit. La narrativa spagnola tra Oriente e Occidente, in Annali dellIstituto Universitario Orientale.
Letteratura italiana Einaudi
98
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
orientale, in gran parte note in Occidente attraverso la mediazione della cultura
spagnola della seconda met del secolo XIII. In particolare, tre opere possono in-
teressare questo nostro discorso: il Calila e Dimna (la cui versione fu voluta verso
la met del XII secolo dal grande re castigliano, Alfonso X il Savio, mecenate e
protettore delle arti e letterato lui stesso), il Sendebar (la cui versione fu voluta da
don Fadrique, fratello di Alfonso), e la Storia di Barlaam e Josaphat.
Queste tre raccolte si possono far risalire con sicurezza ad esemplari indosta-
nici: alcuni capitoli di Calila e Dimna sono tratti di peso dal Pacatantra, antichis-
sima raccolta indiana di novelle e di fiabe; il Sendebar o Libro di Sindibad deriva
dalloriginale indostanico del Libro dei Sette Savi; la Storia di Barlaam e Josaphat
rielabora la traccia delle avventure spirituali del Gothamo Buddha, a quale, com
noto, era indiano. Per rendere pi perspicuo tale processo, tracciamo schematica-
mente la storia di questi tre testi.
Il contenuto del Calila e Dimna non facile da riassumere. Danno il titolo al-
la raccolta due astuti fratelli, gli sciacalli Calila e Dimna, che sono peraltro prota-
gonisti di uno solo dei tanti episodi che la compongono; una cornice abbastanza
semplice la inquadra: il re Abendubec rivolge una serie di domande al suo consi-
gliere Bidpay, che gli risponde con apologhi ed esempi; tutta lopera introdotta
dal filosofo Bersehuey, fisico di Anuxirvan, re di Persia, il quale narra di essere
andato in India alla ricerca di erbe capaci di risuscitare i morti e di aver infine
compreso che vera morte solo la stoltezza e che solo rimedio alla stoltezza lo
studio dei libri della sapienza: il contenuto di questi libri egli riporta al suo re.
Da notare due importanti caratteristiche dellopera, che sono comuni a tutta
la produzione novellistica orientale, e che saranno conservate tali e quali in tutte
le prime rielaborazioni europee inserite in questo filone: il carattere esemplare
della novella e lalta destinazione morale del suo contenuto. La novella non ha as-
solutamente un fine artistico, ma morale o religioso: serve, come riferimento
pratico, didascalico, ad illustrare una tesi dottrinale (questo spiega il larghissimo
uso che ne faranno i predicatori medievali). Essa quindi non nasce con la veste
giocosa o realistica, che assumer pi tardi, ma con un significato spirituale e un
intento pedagogico, che non sono senza riflessi sulla forma spesso monotona e ri-
petuta particolarmente della cornice, in cui essa viene inserita (domande e rispo-
ste, seccamente scandite).
Ritornando alla storia del Calila e Dimna, dunque certo che essa risale a un
remoto originale indostanico: attraverso la versione pehlvi (la lingua dellImpero
sassanide persiano), datane nel VI secolo d. C. da Bersehuey, e una traduzione
araba della met del secolo VIII discende una vera famiglia di traduzioni e riela-
borazioni in siriaco, greco, ebraico, castigliano, persiano moderno. Di una delle
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
due redazioni ebraiche Giovanni da Capua diede la versione in latino, dal titolo
Directorium vitae humanae; dalla versione in latino derivarono, secoli dopo, le
imitazioni del Firenzuola e del Doni in italiano. La datazione della versione in ca-
stigliano incerta, ma appartiene certamente alla seconda met del secolo XIII
(1251, 1261, 1291).
Il Libro di Sindibad narra le vicissitudini di un giovane figlio di re, il quale
accusato dalla matrigna e condannato a morte, per aver resistito alle sue proposte
damore. Intervengono allora sette savi, i quali narrano a turno due racconti al
giorno sulla malvagit e sugli inganni delle donne: risponde la matrigna, narrando
altre storie, a sostegno della propria tesi. Infine, linnocenza del giovane prova-
ta e la perfida donna viene al suo posto condotta a morte. La trama simile a
quella della celeberrima raccolta Le mille e una notte. La versione spagnola fu fat-
ta direttamente dallarabo nel 1238, col titolo Libro de los engannos et de los
asayamientos de las mujeres. Questa raccolta ebbe uneccezionale diffusione in
Europa. In Francia vi furono numerose redazioni, correnti sotto il titolo di Ystoi-
re de sept sages. Esistono anche due redazioni italiane, della seconda met del se-
colo XIII, derivanti per da testi francesi o franco-veneti (Libro dei sette savi).
Di enorme importanza per la comprensione del modo con cui certi spunti
orientali furono assimilati e rielaborati nellarea della cristianit, la Storia di Bar-
laam e Josaphat, in cui vennero originariamente adombrate le esperienze spiritua-
li del giovane Buddha. Il cristianesimo trasform i due protagonisti dellopera in
santi (Storia dei SS. Barlaam e Josaphat) e li assimil alla propria agiografia. Del-
lopera esiste un libero rimaneggiamento in volgare spagnolo della fine del secolo
XIV; ma di essa si erano gi ampiamente serviti altri compilatori, come, ad esem-
pio, Pedro Alfonso.
Altro grande mediatore di queste suggestioni orientali in area occidentale fu,
per lappunto, Pedro Alfonso (o Petrus Alfunsi), che per la sua condizione di
ebreo spagnolo convertito al cristianesimo (aveva fatto questa scelta nel 1106, nel
suo quarantaquattresimo anno di et, avendo come padrino lo stesso re dArago-
na Alfonso VI) poteva accedere ai tesori di ben quattro lingue e culture contem-
poraneamente (araba, ebraica, latina e volgare). Nella sua Disciplina clericalis con-
fluiscono molti motivi delle opere precedentemente indicate.
Quanto alle fonti cui lo scrittore attinse, egli stesso nellintroduzione cinfor-
ma: Libellum compegi partim ex proverbiis philosophorum, partim ex prover-
biis et castigationibus arabicis et fabulis et versibus, partim ex animalium et volu-
crum similitudinibus (ho composto il libro parte con i proverbi dei filosofi,
parte con i proverbi e gli ammaestramenti e le favole e le composizioni in versi de-
gli arabi, parte con apologhi degli animali e degli uccelli); dove sono elencate, sia
pure genericamente, le tre principali direzioni verso cui egli assimil e rielabor:
Letteratura italiana Einaudi
100
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
la filosofia cristiana medievale e tardoellenistica, la novellistica orientale (senzal-
tro la fonte prevalente), la favola animale di origine esopica.
Quanto alla destinazione del volumetto (ecco la giustificazione di quella che
noi abbiamo chiamato novella esemplare), lAlfonso scrive: ...Est nomen ex re:
Clericalis disciplina, reddit enim clericum disciplinatum (il titolo viene dallo
scopo: Disciplina dei chierici; essa fa in modo infatti che il chierico divenga istrui-
to). Sia che sintenda chierico nel senso di ecclesiastico, sia che sintenda, come
alcuni studiosi vogliono, nel senso di studente o uomo di cultura (ricordando i
clerices vagantes delle Universit medievali), quello che importa la destinazione
pedagogica dellopera, la sua funzione di ammaestramento e di guida, la caratteri-
stica, che la novella ha sempre nellAlfonso, di parabola morale, piuttosto che
di puro divertimento narrativo.
Del resto, non solo la novella in s, ma anche la cornice dellopera adattata
a tale scopo: protagonista fondamentale ne infatti un vecchio padre arabo, che
ammaestra il suo figliolo con esempi che valgano a metterlo sulla via della retti-
tudine e della bont. Accanto a questi due, altri personaggi filosofi in genere
animano la scena con i loro interventi, da cui sgorgano allimprovviso, nel piano
andamento dei discorsi, le novelle vere e proprie, legate tanto strettamente alla
parte discorsiva e moraleggiante da non costituire in nessun modo delle narrazio-
ni a s: tanto vero che il discorso, interrotto improvvisamente per dar luogo al-
lesempio, altrettanto improvvisamente riprende quando lesempio concluso,
perch su di esso possano essere espressi pareri e conclusioni, che a loro volta,
complicandosi in un nodo nuovo di problemi, fanno sorgere la necessit intrinse-
ca e naturale di una nuova esemplicazione. Il procedimento intendiamoci ri-
vela tutti i difetti di una sintassi poco elaborata e, soprattutto, lincapacit dellau-
tore di distinguere particolari essenziali da particolari superflui o comunque me-
no importanti, e di costituire quindi con sicurezza quella scala di valori estetici, da
cui scaturisce la forza di un racconto. Tuttavia lAlfonso gi assai avanti nellos-
servazione morale e non manca nemmeno di raffinatezze narrative, numerose so-
prattutto laddove egli si fa pi libero narratore, o, quel che lo stesso in questo
caso, pi attento e modesto imitatore dei pi compiuti originali arabi.
La Disciplina clericalis fu molto tradotta nel corso dei due secoli successivi dal
testo latino di Pietro Alfonso. Particolarmente numerose le versioni in antico
francese, che, pi o meno fedelmente, si rifacevano a questopera sotto i titoli di
Discipline de clergie o Castoiement dun pre son fils. In Italia arriv sicuramen-
te, anche se non se ne possiede un volgarizzamento completo, ma solo un fram-
mento degli ultimi anni del secolo XIII o dei primi del XIV, che risult essere, se
non proprio una traduzione, una versione abbastanza fedele in dialetto toscano
dellopera dellAlfonso. Boccaccio sicuramente la conobbe, e la predilesse.
Letteratura italiana Einaudi
101
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Anche sulla base di queste cos schematiche informazioni, potremmo dire
che la motivazione della cornice risponde ad un bisogno primordiale di legare
le singole narrazioni in un filo continuo, che al tempo stesso le organizza, ne
giustifica lorigine e ne agevola la lettura. Considerazioni analoghe, del resto, si
potrebbero fare a proposito delle Metamorfosi di Apuleio, scrittore assai amato
dal Boccaccio, il quale, pur in un quadro ben diverso dalle raccolte orientali,
tuttavia sistema i singoli racconti dentro una macrostoria, che tutti li compren-
de e li giustifica. In fondo, proprio le raccolte di novelle e racconti slegati fra lo-
ro appaiono il prodotto di una cultura pi smaliziata e moderna, a cui linqua-
dramento in una cornice arriva a sembrare una pura impalcatura architettonica,
un abbellimento decisamente esteriore e perci superfluo (e questo probabil-
mente uno dei motivi per cui la cornice caduta abbastanza presto dallatten-
zione e dallinteresse dei lettori del Decameron, che non erano pi in grado da
un certo momento in poi di apprezzarne istintivamente la funzione e il signi-
ficato; rammento che la prima grande raccolta novellistica italiana, che, nel se-
condo Cinquecento, e ormai verso let moderna, segna il passaggio ad una fase
nuova e diversa della nostra narrativa, quella delle Novelle di Matteo Bandel-
lo, le quali, nel liberarsi del tutto da qualsiasi sistemazione organica, inaugurano
al tempo stesso un nuovo rapporto con lesercizio della scrittura e con quello
della lettura).
Se, dunque, impossibile non vedere le ragioni che legano il Decameron, in-
teso come macrostruttura, a questa tradizione millenaria, il semplice accosta-
mento dei dati qui forniti allillustrazione in precedenza sviluppata dei caratteri
strutturali dellopera boccacciana consente anche di vedere le differenze enormi
che passano tra le due diverse applicazioni del medesimo modello di base. Ha
scritto Michelangelo Picone a proposito del problema della cornice:
Tre sono i tipi fondamentali di cornice elaborati dalla letteratura indiana, e di qui tra-
smigrati in area semitica, di solito passando attraverso una fase medio-persiana: 1) rac-
conti per ritardare il compimento di unazione, pi in particolare per rimandare une-
secuzione capitale []; 2) racconti per provare una certa idea, pi in particolare per
ammaestrare un allievo []; 3) racconti in itinere, per intervallare le tappe e per alle-
viare il tedio del viaggio []
74
.
facile accorgersi che questi tre schemi rispondono perfettamente ad alcu-
ne opere da noi in precedenza elencate: ad esempio, il Libro di Sindibad al pri-
mo, il Calila e Dimna e la Disciplina clericalis al secondo, il Barlaam e Josaphat al
secondo e al terzo. Picone soggiunge:
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Sezione Romanza, XXVII (1985), pp. 49-65; e inoltre lutile reader Il racconto, a cura di M. Picone, Bologna 1985
di capitale rilievo osservare che non solo il primo schema qui descritto, ma tutti e tre
questi schemi organizzativi dei racconti si trovano ad essere impiegati nel Decameron,
e proprio per articolare lo spazio del commento. Riprese allusive dei tre schemi sono
continue in tutto il libro, e vengono spesso intrecciate fra loro
75
.
Ora, tutto ci vero e non vero nello stesso tempo. vero, se sintende che
frammenti di questi precedenti modelli si possono trovare disseminati nella cor-
nice o anche nelle singole novelle (per esempio, lo stesso Picone rileva che il mo-
tivo del viaggio, con risvolti metaforici molto marcati, viene svolto nella breve
novella di madonna Orietta VI, 1). Non vero, se sintende che la macrostruttu-
ra del Decameron sia riconducibile nel senso stretto del termine ad uno di questi
tre tipi, o anche ad una precisa, ben identificabile commistione fra essi. Basta esa-
minare la distanza che passa fra il primo schema (narrare allo scopo di ritardare il
compimento dellazione) e quello da cui prende effettivamente avvio la narrazio-
ne della cornice nel Decameron. Nel Libro di Sindibad i racconti vengono narrati
allo scopo di dilazionare la morte del giovane figlio del re; nel Decameron, invece,
la narrazione riempie autonomamente e a puri fini di diletto lo spazio vuoto, lin-
tervallo, che si aperto nella vita quotidiana e comune dei dieci giovani a cau-
sa della pestilenza. Dunque, la logica della cornice del Decameron tutta diversa:
a sovrastare, quale braccio inconsapevole del fato, c un elemento reale, storico,
assunto per nella sua forma irresistibile, dilagante, di formidabile evento natura-
le; la congregazione dei giovani determinata, necessitata, non da un intento
morale n da uno scopo benefico, ma dalla stretta ferrea degli eventi; e la scelta di
raccontare novelle invece che di, putacaso, darsi al bel tempo, al gioco e alla cra-
pula viene liberata da ogni finalizzazione esterna, incastonandosi perfettamente
dentro latmosfera da elegante e raffinato locus amoenus in cui il rifugio stato
trovato: la sua motivazione fondamentale, infatti, del resto espressa con grande
semplicit, di dare e darsi piacere, in comune; anzi, la novit vera proprio que-
sta, e cio che, con limpegno di volta in volta di uno solo fra loro, tutti insieme ne
traggono giovamento (sono parole di Pampinea, grande architetto dellimpre-
sa: Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel quale lanimo del-
luna delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dellaltra o di chi sta a
vedere, ma novellando (il che pu porgere, dicendo uno, a tutta la compagnia che
ascolta diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo: I, Intr., III).
Detto in breve, si potrebbe concludere che Boccaccio supera totalmente ogni
funzionalit etica, ogni esemplarit morale del racconto, e di conseguenza la corni-
ce si adegua in maniera perfetta a questa dimensione edonistica nuova in cui le-
sercizio del narrare si colloca. Questo non vuol dire, come abbiamo gi visto, e co-
(con bibliografia).
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
me vedremo, che la narrativa boccacciana sia priva dintenti morali e anche dimo-
strativi: il nesso che lega gli argomenti delle novelle agli argomenti delle otto gior-
nate tematizzate dimostra che Boccaccio avverte ancora lesistenza di un rapporto
funzionale, e anche di una destinazione, tra le singole narrazioni e i gruppi temati-
ci, a cui esse possono essere ricondotte. Si tratta, per, come abbiamo detto pi
volte, di un rapporto tutto interno alla funzione narrativa strettamente intesa come
tale. Diventa centrale in questo quadro il concetto del si ragiona, che ritorna co-
stantemente nelle rubriche di tutte le Giornate, e principalmente in quella della
Prima, dove viene ripetuto due volte, a sottolineare che proprio questa la funzio-
ne narrativa determinante dellintera opera: Comincia la Prima giornata del Deca-
meron, nella quale, dopo la dimostrazione fatta dallautore per che cagione avvenisse
di doversi quelle persone, che appresso si mostrano, ragunare a ragionare insieme,
sotto il reggimento di Pampinea si ragiona di quello che pi aggrada a ciascheduno.
Il civile ragionamento ha soppiantato qualsiasi forma di esemplarit etica e reli-
giosa, e la cornice, dunque, diventata totalmente autoreferenziale, non pi un
mero espediente dialogico costruito per il raggiungimento di uno scopo sostanzial-
mente esterno, ma la struttura stessa del discorso, che si autorganizza nei suoi di-
versi piani per essere meglio detto, ovvero la forma dellopera, che si giustifica per
a fatto stesso di esserci. Da questo punto di vista, Boccaccio guarda forse, ma mol-
to alla lontana, oltre che alle raccolte novellistiche orientali, anche al Roman de la
Rose, che aveva mostrato di non ignorare soprattutto in certa sua produzione di-
dascalico-narrativa in versi, come la Comedia de le ninfe fiorentine e lAmorosa vi-
sione (ma anche qui le differenze sono incomparabilmente superiori alle affinit).
Questa libert nel rimaneggiare compiutamente lespediente della cornice si
riflette anche nella scelta delle tematiche preferite, che sono tipicamente boccac-
ciane, e quindi negli argomenti delle otto Giornate tematizzate, per quanto non
sia inutile ricordare che Il Novellino nel suo incipit portava una serie di indicazio-
ni, le quali potrebbero considerarsi come a mezza strada fra il linguaggio e la cul-
tura delle artes dictandi e delle summae exemplorum e quelli, tanto pi maturi e
indipendenti, del Decameron: Questo libro tratta dalquanti fiori di parlare, di
belle cortesie e di be risposi e di belle valentie e doni, secondo che per lo tempo
passato hanno fatti molti valenti uomini
76
.
74
M. PICONE, Tre tipi di cornice cit., pp. 95-96.
75
Ibid., p. 96.
76
Per il Novellino vedi il testo offerto da C. Segre, in La prosa del Duecento, a cura di C. Segre e M. Marti, Mi-
lano-Napoli 1959, pp. 793-881. Sul Novellino cfr. S. BATTAGLIA, Premesse per una valutazione del Novellino
(1955), in ID., La coscienza letteraria del Medioevo, Napoli 1965, pp. 549-84. Pi in generale, si pu dire che i saggi
boccacciani raccolti nel volume di Battaglia sono fondamentali per la comprensione del passaggio da forme narrative
precedenti (in particolare lexemplum) a quelle presenti nel Decameron. Molto utile la ricostruzione di tale processo in
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Si potrebbe dire, dunque, che larea tematica del Novellino copre, grosso mo-
do, quella che nel Decameron rappresentata nella Sesta Giornata ([] nella
quale [] si ragiona di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse, o con
pronta risposta o avvenimento fugg perdita o pericolo o scorno), con gli ovvi
sconfinamenti, che, come abbiamo spiegato, la novella di motto fa nelle altre
Giornate (infatti, novelle di motti sono sostanzialmente tutte quelle che Boc-
caccio riprende dal Novellino, come pi avanti diciamo), e dalla Decima ([]
nella quale [] si ragiona di chi liberalmente o vero magnificamente alcuna cosa
operasse intorno a fatti damore o daltra cosa). Ha una sua naturale evidenza il
fatto che il passaggio dalla tematica predominante nel Novellino a quella del De-
cameron comporti la comparsa delle imprese damore (Terza, Quarta e Quinta
Giornata), delle avventure di fortuna (Seconda e Terza Giornata), delle invenzio-
ni di beffa (Settima e Ottava), intorno alle quali, come s detto, si determinano i
fulcri pi originalmente boccacciani dellopera.
Per quanto riguarda le singole novelle, possiamo dire che soltanto in un nu-
mero assai limitato di casi possibile indicare con esattezza una fonte. Anche in
questi casi, tuttavia, lindicazione di una fonte non ne esclude altre.
Si pu dire con sufficiente sicurezza che I, 3 (Melchisedech giudeo), I, 4 (Un
monaco rimprovera al suo abate la medesima colpa da lui commessa) e I, 9 (Il
re di Cipri, da una donna di Guascogna trafitto) hanno precedenti nel Novellino
(rispettivamente: LXXIII, LIV, LI). probabile che laddensamento di queste tre
novelle nella Prima Giornata del Decameron significhi qualcosa anche dal punto
di vista della storia compositiva dellopera. Il confronto fra Decameron, I, 9 e No-
vellino, LI estremamente interessante: infatti, qui si potrebbe vedere come da
un microcosmo narrativo di appena cinque-sei righe (uno dei pi piccoli compo-
nimenti del Novellino) Boccaccio sviluppi un racconto articolato, per quanto sin-
tetico, dove levoluzione psicologica del re di Cipro, che nel testo precedente era
cos compressa da apparire inesplicabile, viene con rapidi ma efficaci tocchi viva-
cemente ricostruita. Le proporzioni, tuttavia, sono rispettate: infatti, come abbia-
mo gi detto, la I, 9 la novella pi breve del Decameron, e non irragionevole
pensare che da questo punto di vista la struttura della fonte abbia influenzato la
soluzione narrativa boccacciana.
Dal Novellino (XIV) deriva anche la novelletta delle papere narrata nellIn-
troduzione alla Quarta Giornata: il confronto fra i due testi, tuttavia, metterebbe
ancora una volta in luce labissale differenza che passa tra lanonimo estensore del
Novellino e Giovanni Boccaccio. Questo, tuttavia, un altro caso tipico della dif-
ficolt di ancorare la produzione boccacciana allimitazione di fonti ben definite e
sicure: infatti, dietro il tema presente in ambedue i testi ci sono origini orientali e
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
una vasta diffusione in area occidentale (ad esempio, gli Exempla di Jaques de Vi-
try [LXXXII], la Legenda aurea [180], lo Speculum di Vincenzo di Beauvais [XV,
41], ecc.): per cui, estremamente azzardato dire da dove Boccaccio abbia attin-
to effettivamente.
Le novelle V, 10 (Pietro di Vinciolo) e VII, 2 (Peronella), che pure son tra le
pi vive della raccolta e, si direbbe, tra le pi tipicamente boccacciane, derivano
direttamente dalle Metamorfosi di Apuleio (rispettivamente: IX, I4-28 e IX, 5),
opera che, proprio negli anni della composizione del Decameron, Boccaccio rico-
piava nel manoscritto ora Laurenziano LIV 32
77
.
Dalla Disciplina clericalis di Pietro Alfonso, di cui abbiamo gi detto, sem-
brano derivare VII, 4 (Tofano) e X, 8 (Tito e Gisippo) (rispettivamente: ex. XIV
e ex. II).
Dalla Comoedia Lydiae, poemetto attribuito a Matteo di Vendme, trascritto
di proprio pugno dal Boccaccio nel codice Laurenziano XXXIII 31, appartenen-
te a quel genere piuttosto diffuso in area medievale che viene denominato com-
media elegiaca, deriva la novella VII, 9 (Lidia, Nicostrato e Pirro). La novella
IX, 6 (Due giovani albergano con uno) sembrerebbe dipendere dal fabliau di
Jean de Boves, De Gombert et des deux clers, e specialmente da uno anonimo, Le
meunier et des deux clers. La presenza della tematica dei fabliaux tuttavia assai
pi diffusa nel Decameron di quanto non lasci supporre questunico puntuale ri-
ferimento (si pensi, ad esempio, a III, 8, VII, 5, VII, 7 e IX, 10; e altri spunti); per
quanto tra limpianto strutturale di un fabliau e quello di una novella decamero-
niana ci sia un abisso.
Accanto a questi appena nove-dieci esemplari sicuramente individuabili, ci
sono i riscontri interni allopera stessa del Boccaccio, che per, a loro volta, ri-
mandano ad altri possibili modelli e fonti.
Per esempio, la prima parte di II, 10 (Paganino da Monaco) rimanda alla
Commedia de le ninfe fiorentine (XXXII, 8 sgg.); V, 6 (Gian di Procida) in gran
parte la trascrizione di un episodio centrale del Filocolo (IV, 126 sgg.); X, 4 (mes-
sere Gentile de Carisendi) ha un antecedente diretto e immediato nella tredice-
sima questione damore del Filocolo (IV, 67); X, 5 (madonna Dianora) nella
quarta questione damore (IV, 31) (in questi ultimi due casi, daltra parte, dal-
le giovanili questioni damore bisognerebbe risalire allindietro verso sugge-
stioni orientali).
Infine, esiste una vasta area di novelle, delle quali, pur non potendo indicare
con esattezza le fonti, ragionevole supporre che siano dipendenti da tradizioni
L. BATTAGLIA RICCI, Introduzione alla sua edizione di Novelle italiane. I1 Duecento e il Trecento, Milano 1982; e
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
narrative e culturali precedenti. Naturalmente, in questo pi che in altri casi una
determinata affermazione sempre sottoposta alle modifiche della ricerca in atto.
Tenendo conto che, in numerosi casi, non possibile indicare a quale delle diver-
se fonti possibili Boccaccio abbia fatto esatto riferimento (spesso, probabilmente,
a pi di una nello stesso tempo), si potrebbero indicare questi sommari e provvi-
sori riferimenti.
Novelle come la III, 8 (Ferondo) e II, 2 (Rinaldo dAsti) vanno inscritte nel
vasto settore di derivazione dalla letteratura devozionale ed esemplare; alla mede-
sima categoria, anche se in maniera pi libera, vanno accostate I, 2, III, 10, VII,
10 e IX, 2.
Fonti orientali sono variamente presenti in I, 5, VII, 3, VII, 8, IX, 3 e IX, 9.
Fonti medievali varie (lais, novellistica, cronache, racconti popolari), oltre a
quelle gi indicate nei fabliaux, sono ravvisabili in II, 8, III, 1, IV, 9, V, 4, VI, 1,
VII, 6 e VIII, 7.
I modelli del romanzo ellenistico e della letteratura greco-bizantina sembre-
rebbero esser presenti in II, 4, II, 7, IV, 2, IV, 3, V, 1 e V, 7.
Fonti classiche antiche (soprattutto nellambito della commedia plautina e te-
renziana) sono ravvisabili in V, 5 e VIII, 4.
Ad un livello ancora pi vago si potrebbe dire che suggestioni antiche e mo-
derne di ogni tipo, occidentali ed orientali, colte e folkloriche, sintrecciano in III,
2, III, 6, V, 8, VIII, 10, X, 1, X, 9 e X, 10.
Le novelle fin qui elencate senza, come abbiamo detto, nessuna presunzio-
ne di completezza sono quarantotto: questo significa un dato di per s assai im-
portante, e cio che di pi della met delle novelle del Decameron non possibile
indicare in nessun modo un possibile aggancio con le tradizioni narrative prece-
denti. Ma anche in molte delle quarantotto novelle, che suggeriscono qualche ri-
ferimento, non si tratta, come abbiamo gi detto, che di vaghe e spesso approssi-
mative suggestioni. Questo vale, solo per fare un esempio particolarmente signifi-
cativo, per quasi tutte le narrazioni, che sembrerebbero inscritte in unarea ales-
sandrina o greco-bizantina: per novelle come quelle di Landolfo Ruffolo, Alatiel,
Cimone, ecc., la natura stessa del tema, e il suo svolgimento libero e fantasioso,
e spesso la sua esotica ambientazione geografica, a richiamare una tale origine, ma
antecedenti diretti non possibile indicarne; e il medesimo discorso va fatto a
proposito di altre novelle, in cui si verifica come un precipitato di temi diversi,
senza per che la narrazione boccacciana possa essere ricondotta quasi mai ad un
unico modello.
La conclusione pi importante che si possa ricavare dallanalisi delle fonti e
dei modelli nel Decameron dunque paradossale. Si direbbe, infatti, che Boc-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
caccio ne faccia splendidamente a meno, o, per meglio dire, che egli fondi e ri-
plasmi ogni suggestione cos profondamente da camuffare o disciogliere tutti i
temi di riferimento nella propria personale creazione. Ci, tuttavia, meno sor-
prendente di quanto non possa apparire a prima vista. Lelemento di novit pre-
sente nellispirazione boccacciana talmente poderoso da cancellare ogni traccia
di visibile dipendenza. Inoltre, Boccaccio guarda senza dubbio alle tradizioni
narrative precedenti, e mostra di ben conoscerle, ma non detto che per lui e
per la sua concezione della narrativit sia pi importante aver letto la Disciplina
clericalis di Pietro Alfonso oppure la Commedia di Dante. Voglio dire che il De-
cameron creazione cos originale e nuova, anche perch discende da una rifles-
sione sullintera cultura letteraria del suo tempo e non da solo una semplice e cir-
coscritta prosecuzione degli esperimenti narrativi precedenti. Se mai, risulta pro-
digioso come egli sia riuscito a trascrivere nel codice particolare della prosa nar-
rativa le conquiste pi avanzate della lirica damore contemporanea, molto pi
avanzate di quanto non fossero state mai fino a quel momento quelle della cro-
naca e della novellistica.
Una conferma di questo ragionamento si pu avere, se si va a guardare quel-
le novelle, che sembrerebbero non riconducibili a nessun modello precedente, e
che sono, come abbiamo detto, la maggioranza. facile arrivare alla conclusione
che quanto a Boccaccio non deriva da tradizioni novellistiche precedenti, pi o
meno rigorosamente individuabili, proviene a lui da due grandi serbatoi, che so-
no, da una parte, la cronaca municipale fiorentina, e, dallaltra, la cronaca degli al-
tri centri italiani, ossia le storie cos tipicamente italiane da lui narrate, con una
base che pu essere, a seconda dei casi, o storica o aneddotica.
Ci riferiamo, in sostanza, ai gruppi A, B, C e D della geografia del Libro,
come li abbiamo elencati qui nella sezione III, 3. 1.
Tra queste novelle, ci sono alcune fra le pi belle ed originali creazioni della
fantasia boccacciana: ser Cepparello (I, 1); Martellino (II, 1); Andreuccio da Pe-
rugia (II, 5); Madama Beritola (II, 6); Bernab da Genova (II, 9); Tedaldo (III,
7); Tancredi e Ghismunda (IV, 1); Lisabetta da Messina (IV, 5); Federigo degli
Alberighi (V, 9); Guido Cavalcanti (VI, 9); frate Cipolla (VI, 10); Ghino di Tac-
co (X, 2); oltre che, naturalmente, tutte le grandi novelle di beffa: Calandrino e
lelitropia (VIII, 3), Calandrino e il porco (VIII, 6), Bruno, Buffalmacco e mae-
stro Simone (VIII, 9), Calandrino pregno (IX, 3), Calandrino innamorato di una
giovane (IX, 5); e quelle due bellissime novelle storiche, che occupano un posto
di grande rilievo nella Decima Giornata, ossia il re Carlo Vecchio (X, 6) e il re
Piero (X, 7).
Il nostro lettore si sar accorto che a questo punto si possono far quadrare
pressoch tutte le osservazioni precedenti con quelle qui avanzate sul quadro te-
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
matico e delle fonti boccacciano. Non difficile constatare, infatti, che la parte
pi povera di modelli e fonti coincide quasi alla lettera con quella delle novelle
incardinate nella realt comunale e italiana del tempo, mentre non c pratica-
mente una sola novella, ambientata in una localit diversa dalla Toscana o dallI-
talia, che non possa esibire almeno una fonte, o, in parecchi casi, anche un in-
treccio di fonti.
Faccio riferimento alle novelle contenute nel gruppo geografico E (di cui a
p. 546): abbastanza ovvio, forse, ma comunque ugualmente significativo, che la
presenza dellesotico e del lontano comporti laffiorare di fonti e la comparsa di
tpoi narrativi gi consolidati: e forse si va al di l della pura tassonomia narrato-
logica, se, elencando alcune novelle fra le pi prestigiose di questa rassegna (ad
esempio: Alatiel (II, 7), il conte dAnguersa (II, 8), Cimone (V, 1), Mitridanes e
Natan (X, 3), Tito e Gisippo (X, 8)), constatiamo come in esse ci sia (contempo-
raneamente): 1) un tema collocato geograficamente in ambito esotico e comun-
que lontano, 2) un fascio di riferimenti ed esperimenti narrativi precedenti e 3)
un modello narrativo cos diverso da quello delle novelle elencate in precedenza.
Siamo in presenza di due mondi assai lontani fra loro, anche se larte straordina-
ria del Boccaccio non teme di cimentarsi con limpresa altrettanto straordinaria
di tenerli insieme dentro la medesima architettura narrativa.
Questa diversa distribuzione dei materiali ripresi o imitati produce qualche
riflesso anche nella costruzione e nella caratterizzazione delle singole giornate:
per esempio, del tutto evidente che la Quarta, la Sesta e lOttava, che sono gior-
nate ad alta caratterizzazione municipale fiorentina, presentano appigli minimi
per una ricerca di modelli e fonti, e, al contrario, una vera moltitudine di riferi-
menti alla tradizione localistica e municipale; mentre la Decima, che spazia su di
un orizzonte vastissimo sia dal punto di vista tematico sia dal punto di vista geo-
grafico, offre una messe inesauribile di spunti per una ricerca sulla storia delle
grandi tematiche affrontate.
Quanto ai processi di elaborazione che stanno alla base di quella vasta se-
zione di novelle di cui non possibile indicare fonti, bisogna immaginare che
Boccaccio abbia fatto ricorso a quel grande ed inesauribile serbatoio del novel-
latore, che il mondo delloralit: buon ascoltatore, dunque, almeno altrettan-
to quanto buon lettore, soprattutto in relazione a quella molteplice realt fio-
rentina, toscana e italiana, di cui a Napoli, a Firenze, nelle Romagne, nel Vene-
to gli era capitato di ascoltare di persona le chiacchiere, le cronache, gli aned-
doti, le leggende e le storie. Anche questa una fonte e, come abbiamo cre-
duto di dimostrare, delle primarie. Forse in questa direzione che bisogner
soprattutto scavare in futuro alla ricerca dei fondamenti antropologici della
narrativa boccacciana.
Letteratura italiana Einaudi
109
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
V. LUNIT DELLOPERA.
La minuziosa indagine sui caratteri strutturali e sulle tematiche del Libro porta
a scorgerne, probabilmente, soprattutto i vari aggregati di cui esso si compone.
Ora, il processo di scomposizione delle parti, a cui finora mi sono prevalente-
mente dedicato, non deve per impedire di vedere che il Libro si presenta nel
suo insieme come un blocco prodigiosamente unitario, nonostante le molte di-
versit e difformit presenti al suo interno. La combinazione dei fattori storici
con quelli cronistici, di quelli fantastici e favolistici con quelli realistici e docu-
mentari, di quelli cortesi ed eticamente elevati con quelli bassi, licenziosi ed
osceni, non approda alla fine ad un semplice puzzle di tensioni e colori contra-
stanti. Ci sono invece forze, che Boccaccio estrae dal suo corredo ideale e intel-
lettuale, le quali spingono per dar luogo ad una rifusione e omogeneizzazione
del tutto. Su queste forze intendiamo concentrare lattenzione in questultima
sezione.
1. Umana cosa....
Il Proemio, da questo punto di vista, contiene molti elementi rivelatori, per capire
con quale occhio Boccaccio guardi alla sua impresa, una volta che essa si sia av-
viata alla conclusione.
Giustamente celebre lesordio del Decameron:
Umana cosa aver compassione degli afflitti [...]
78
.
Come si vede, Boccaccio inscrive inequivocabilmente lintera operazione di
discorso compiuta con il Decameron dentro questo segno e messaggio consola-
torio, dallevidente sapore etico-laico. E non si tratta soltanto di un omaggio ad
una consuetudine consolidata
79
. C, infatti, una connessione precisa tra questa
affermazione iniziale e limpianto etico dellintera opera, e persino con la preva-
lenza di certe tematiche rispetto ad altre. Prosegue infatti Boccaccio:
[...] e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro massimamente ri-
chesto li quali gi hanno di conforto avuto mestiere e hannol trovato in alcuni; fra
quali, se alcuno mai nebbe bisogno o gli fu caro o gi ne ricevette piacere, io so-
no uno di quegli
80
.
della stessa autrice il profilo del Novellino, qui alle pp. 61-83.
77
Cfr. L. SANGUINETI WHITE, Apuleio e Boccaccio, Bologna 1977 (con bibliografia precedente).
78
Dec., Proemio, 2, p. 5.
79
Verso questa direzione sembra propendere il Branca: cfr. ibid., p. 5, nota 1. Al Proemio la critica, del resto, ha
in genere dedicato scarsa attenzione, inglobandone la trattazione in quella sullIntroduzione alla Prima Giornata; in-
vece, il Proemio, insieme con la Conclusione dellautore, costituiscono il primo livello della voce del Boccaccio, una
specie di super-cornice, di tipo retorico ed etico-ideologico, che ingloba, e giustifica, la narrazione vera e propria.
Letteratura italiana Einaudi
110
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Dunque, Boccaccio dice: della compassione hanno bisogno tutti, ma soprat-
tutto quelli che, costretti dalla necessit, hanno cercato conforto in altri; ma fra
tutti Boccaccio medesimo ha avvertito il bisogno, e provato il piacere, della com-
passione.
Prima di andare avanti, osserver che, con queste parole, Boccaccio mette in
connessione loperazione etica, che consiste nellaver compassione degli afflitti,
con la radice autobiografica della propria esperienza. Certo, questo rapporto non
dello stesso tipo che si pu ritrovare nella poesia damore a lui contemporanea,
perch le novelle, in quanto narrazioni di situazioni in qualche modo obiettive,
comportano una straniazione, che non si esercita o si esercita in maniera total-
mente diversa da parte dellautore nella singola poesia lirica. Per, abbastanza
straordinario che Boccaccio riconnetta un libro di narrativa alle vicende perso-
nali e letterarie del suo autore, additandolo chiaramente come il punto darrivo
di tutta la sua storia precedente
81
.
Infatti spiega successivamente Boccaccio , egli, fin dalla prima giovinezza,
ha sofferto per un possente e impetuoso amore, forse di troppo superiore alla sua
bassa condizione (Boccaccio insinua qui il motivo della disparit di condizione
tra i due amanti, che avr largo sviluppo nelle novelle del Libro), che lo ha fatto a
lungo soffrire, certo non aggiunge per crudelt della donna amata, ma per
soverchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito ( 3) (si noti la
pertinenza psichico-materialistica di queste espressioni, che fa capo comunque ad
una tradizione risalente al De amore di Andrea Cappellano).
Nella noia gli avevano procurato ristoro (rifrigerio) i piacevoli ragiona-
menti e le laudevoli consolazioni di qualche amico. Boccaccio, dunque, ha ap-
preso per esperienza come si fa a dar conforto a chi soffre: si noti che in questo
modo si costituisce un quadrato delle forze, che ha ad uno dei vertici lamore, ad
uno degli altri la sofferenza fattori pressoch inscindibili fra loro , e agli altri
due il ragionare (cio luso del discorso umano in forma narrativa) e il con-
solare (cio lesercizio di quellattivit umana benefica, che discende dalla com-
passione).
Cammin facendo, lamore provato da Boccaccio ebbe ad attenuarsi (per se
medesimo in processo di tempo si diminu: 5), precisamente come accade per
ogni fenomeno vivente (poich tutte le cose mondane hanno fine), quando
tutti i propositi volontari si erano ormai rivelati impari alla bisogna. Quando la-
more violento sbolle, da faticoso resta dilettevole, ogni affanno togliendo
M. PICONE, Preistoria della cornice del Decameron cit., pp. 91-92, chiama questo livello extradiegetico.
80
Dec., Proemio, 2, p. 5.
81
Si tratta di tuttaltra cosa, beninteso, rispetto a quellautobiografia leggendaria, che si era pensato di trarre
Letteratura italiana Einaudi
111
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
via. E luscir di affanno consente a Boccaccio di aiutare a sua volta quelli che sof-
frono, e, se non precisamente quelli che aiutarono lui, gli altri che ne hanno mag-
gior bisogno: resta, infatti, la memoria [...] dei benefici gi ricevuti, e, con essa,
la gratitudine, la quale trallaltre virt sommamente da commendare, il con-
trario da biasimare ( 7).
Boccaccio vuol dire dunque che c bisogno contemporaneamente di una
forte esperienza amorosa, per poter cogliere e raccogliere il disegno di Natura e
Fortuna impresso sulle cose umane, ma anche di unattenzione e di un distanzia-
mento dal sentimento troppo appassionato, per poterle contemplare con la sere-
nit propria della poesia. Lo dir con chiarezza ancora maggiore nella conclusio-
ne del Proemio, quando si augura che il Libro possa giovare ai suoi lettori (o me-
glio, lettrici, come vedremo): Il che se avviene, che voglia Iddio che cos sia, a
Amore ne rendano grazie [le donne], il quale liberandomi da suoi legami mi ha
conceduto il potere attendere a lor piaceri ( 15).
A proposito di queste affermazioni stato giustamente richiamato
82
il sonet-
to proemiale al Canzoniere di Francesco Petrarca: Voi chascoltate in rime spar-
se il suono | di quei sospiri ondio nudriva l core | in sul mio primo giovenile er-
rore | quandera in parte altruom da quel chi sono [...] (vv. 1-4). A me pare,
tuttavia, che in Boccaccio la deprecazione del giovenile errore e la rivendica-
zione della raggiunta maturit e serenit come condizione per poter esprimere a
livello poetico alto la materia autobiografica passata, si combinino in una miscela,
in cui i valori di socialit (onest, gratitudine, compassione) risultano pre-
valenti rispetto a quelli strettamente individuali. La letteratura pur ponendosi,
come vedremo, in perfetta autonomia rispetto alle altre sfere dello spirito ha
una sua eticit, che passa anchessa, come lamore, non attraverso la mortificazio-
ne della rinuncia ma attraverso il piacere del godimento. E il piacere pu diventa-
re un fatto di cui usufruire allinterno di una collettivit meglio organizzata, senza
entrare in conflitto con lonest (si pensi alla struttura utopica dellOrdo contem-
plato nella cornice)
83
. A me pare che in questo modo Boccaccio compia unope-
razione intellettuale, che va bene al di l delletica dominante al tempo suo e, co-
me tutti i grandissimi scrittori, prefiguri una situazione ideale, che non era e non
sarebbe mai diventata realt nel senso stretto, quotidiano, del termine.
dalle opere stesse di Boccaccio, discussa giustamente da V. BRANCA, Schemi letterari e schemi autobiografici (1946),
in ID., Boccaccio medievale cit., pp. 191-249.
82
Cfr. Dec., p. 10, nota 1. Ma siccome stato dimostrato che il sonetto proemiale di Petrarca riprende non po-
chi luoghi dai canti proemiali del Purgatorio e del Paradiso danteschi, si dovr concludere che si stabilita anche in
questo caso una di quelle catene ereditarie, che legano strettamente Dante a Petrarca a Boccaccio (cfr. R. MERCURI,
Genesi della tradizione letteraria italiana in Dante, Petrarca e Boccaccio, in Letteratura italiana. Storia e geografia, diret-
ta da A. Asor Rosa, I. Let medievale, Torino 1987, pp. 359-62, e, per un riscontro perfettamente simmetrico, il sag-
gio di Roberto Antonelli sui Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca, in questo volume, al 4. 4.
Letteratura italiana Einaudi
112
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Vale a dire: il Decameron non esce ancora del tutto dallambito concettuale di
una cultura esemplare ed utilitaria: lo dice Boccaccio nel Proemio, parlando del
diletto e dellutile consiglio, che parimente le donne potranno trarre dalla
lettura delle novelle, e ripetendolo continuamente, sia in apertura che in chiusura
delle novelle, attraverso lesplicitazione delle moralit in esse contenute. Ma ci
che cambia in maniera radicale il contenuto dellinsegnamento propinato: nes-
suna norma rigida, fissa, obbligante, ma un vero distillato di esperienze umane,
che oltretutto, legandosi a catena fra loro, determinano un prontuario di compor-
tamenti adeguati alle situazioni nelle quali un essere umano, di sesso maschile o
femminile, destinato probabilmente a trovarsi. Come sempre in Boccaccio, an-
che la morale pu andare dal rispetto di certe regole comportamentali, di livello
quotidiano o anche basso, al livello sublime dei grandi sentimenti e delle grandi
passioni. Ma un filo continuo corre tra i diversi livelli e li unifica. Alcuni valori
umani non possono essere messi in discussione, anzi, sono rafforzati dalla spre-
giudicatezza dinsieme del pensiero boccacciano.
Ad esempio, inequivocabile che Boccaccio consideri con grandissimo rispet-
to il valore di onest, cui tutto il comportamento della brigata si ispira, oltre che i
personaggi di molte novelle. Se mai, da credere che per lui unapplicazione cor-
retta e autentica di onest comporti un conflitto con altre pratiche fortemente
dominanti nella vita quotidiana, ed anche nel costume religioso del tempo: ad esem-
pio, lipocrisia (cfr. 16). Persino luscita della brigata dalla citt impestata e im-
pestata, si badi, non solo dal morbo ma anche dalla corruzione morale degli uomini
viene giustificata da Pampinea con una motivazione di questo genere: [...] Io giu-
dicherei ottimamente fatto che noi, s come noi siamo, s come molti innanzi a noi
hanno fatto e fanno, di questa terra uscissimo, e fuggendo come la morte i disonesti
essempli degli altri onestamente a nostri luoghi in contado, de quali a ciascuna di
noi gran copia, ce ne andassimo a stare, e quivi quella festa, quella allegrezza, quel-
lo piacere che noi potessimo, senza trapassare in alcuno atto il segno della ragione,
prendessimo (I, Intr., 65). Del resto, poco dopo, Filomena, riecheggiando ancora
una volta, ma con maggiore incisivit di altre, il pensiero di Pampinea, esprimer la
massima, in cui si condensa il senso sia delloperazione estetica compiuta con il De-
cameron sia delletica seria e spregiudicata, che sta alla base dellopera: [...] l dove
io onestamente viva n mi rimorda dalcuna cosa la coscienza, parli chi vuole in con-
trario: Idio e la verit larme per me prenderanno (I, Intr., 84).
I medesimi accenti, ma applicati questa volta alla poetica stessa che presiede
allopera, si troveranno anche nella Conclusione dellautore: Niuna corrotta men-
te intese mai sanamente parola; e cos come le oneste a quella non giovano, cos
quelle che tanto oneste non sono la ben disposta non posson contaminare, se non
come il loto i solari raggi o le terrene brutture le bellezze del cielo ( II).
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Il fatto che qui sia possibile cogliere un eco della famosa canzone di Guiniz-
zelli Al cor gentil rempaira sempre amore (Fere lo sole l fango tutto l giorno | vi-
le riman, n l sol perde calore: vv. 31-32), serve soltanto a misurare la distanza
che passa tra lesile poetica stilnovistica e la robustissima rivendicazione di una
moralit insita nelloperazione stessa del raccontare, di cui Boccaccio si fa bandi-
tore. Omnia munda mundis, insomma, si dir ancora pi avanti, in un corso stori-
co della letteratura italiana ancora di l da venire: e il riferimento sacro, che resta
nello sfondo (Paolo, Lettera a Tito, I, 15), ben si adatta alla seriet del discorso
che si sta facendo. Il doveroso rispetto della verit da principio estetico diventa
principio etico, ovvero da principio etico si fa principio estetico. E, naturalmente,
lonest rappresenta in questo caso la garanzia, il sigillo, che, sulluno come sul-
laltro piano, lo scrittore si sente e ha la coscienza a posto.
Potremmo dunque dire che, da questo punto di vista, il Decameron resta un
grande libro di exempla, il cui contenuto non per una qualsiasi legge, astratta e
prepotente, che vada semplicemente mostrata o dimostrata, ma lesperienza
stessa umana, colta nei vari modi e possibilit del suo formarsi.
2. Quantunque volte, graziosissime donne....
Quanto abbiamo detto, assume un rilievo ancor maggiore, se si pensa che desti-
natarie privilegiate del discorso di Boccaccio sono le donne. Questo un punto di
grande rilievo, che merita di essere approfondito molto pi di quanto sia accadu-
to in passato, sebbene i lineamenti del discorso siano ora gi stati indicati
84
. Non
si pu, infatti, considerare in nessun modo o marginale od occasionale questo
aspetto dellimpostazione mentale del Boccaccio. Non solo, infatti, ne risultano
investite le tematiche del Libro (di almeno quaranta novelle risultano principali
protagoniste o almeno co-protagoniste fondamentali le donne), e le sue principa-
li tendenze narrative ( del tutto evidente che esiste una qualche relazione tra la-
more e la figura della donna, anche se non sempre la presenza del motivo damo-
re comporta la preminenza del personaggio femminile); ma la stessa sostanza
etico-concettuale dellopera a risultarne tutta influenzata.
Il filo del ragionamento boccacciano nel Proemio continua cos. Fra quelli che
hanno maggior bisogno di alcuno alleggiamento, lo scrittore mette le donne, e
ci per pi motivi: perch le donne sono costrette a tenere il pi delle volte la-
morose fiamme nascose dentro a dilicati petti, e questo accentua la sofferenza,
in quanto le passioni amorose celate risultano assai pi violente ed impetuose di
quelle palesi; e perch esse, costrette e quasi rese prigioniere da voleri, da pia-
83
Sul tema della morale nel Decameron, oltre al pi volte citato M. BARATTO, Realt e stile nel Decame-
Letteratura italiana Einaudi
114
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
ceri, da comandamenti de padri, delle madri, de fratelli e de mariti, non pos-
sono non pensare continuamente nella clausura domestica al motivo della loro
sofferenza, lasciandosi sopraffare da alcuna malinconia ( 10). Il motivo della
reclusione delle donne in casa ritorna con assunti polemici in VII, 5, 3-6, per boc-
ca di Fiammetta. Per giunta, le donne hanno meno forza degli uomini a sopporta-
re le sofferenze amorose; e, trasportandosi sul piano mondano, hanno molto mi-
nori possibilit di svago per alleviare la sofferenza (landare a torno, udire e veder
molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: 12).
Fin qui, si potrebbe pensare ad una mossa elegante, mondana, per giustifica-
re lofferta a un tale dedicatario di un Libro in un certo senso di svago e di sollaz-
zo, non abbastanza impegnativo da poter essere dedicato a un potente signore o a
qualche altro personaggio del genere: e Boccaccio insiste pi volte (ironicamente)
sul carattere minore del suo Libro, come quando in IV, Intr., 3 definisce con falsa
modestia i suoi componimenti novellette [...] non solamente in fiorentin volgare
e in prosa scritte [] e senza titolo, ma ancora in istilo umilissimo e rimesso
quanto il pi si possono []. E questo, per un certo verso, senza dubbio vero:
lesperimento stilistico-narrativo del Decameron tutto in chiave minore rispetto
ai modelli della tradizione letteraria alta; giusto, di conseguenza, che a leggerlo
siano soprattutto questi lettori minori, che sono le donne.
Ma, esaminando il Libro nella sua interezza, ci si accorge che il ricorso alle-
lemento femminile ha ben altro valore, non tanto sociologico e comportamentale
( dubbio che le donne veramente fossero tra i lettori pi assidui di Boccaccio),
quanto altamente simbolico e concettuale. Le donne della cornice svolgono, co-
me abbiamo detto, un ruolo essenziale nella invenzione e preparazione degli
espedienti, che consentiranno la narrazione delle novelle, e quindi il comporsi, il
formarsi del Libro. vero che lelemento femminile non pu realizzarsi in un Or-
dine, senza il contributo maschile, che al tempo stesso feconda e regola la costitu-
zione di tale ordine (le donne sono rappresentate generalmente come instabili,
mobili, riottose); ma vero anche che lelemento veramente originario, la culla
della genesi insomma, il fattore materno, per dirla pi semplicemente , resta
quello femminile (si tratta di osservazioni ovvie, me ne rendo conto, ma bisogna
pur farle). Quando il Boccaccio sente il bisogno dimpostare il discorso ad un li-
vello alto, eloquente e programmatico, e ci accade almeno allinizio dellIntro-
duzione alla Prima Giornata, allinizio dellIntroduzione alla Quarta Giornata e al-
linizio della Conclusione dellautore, cio, allinizio dei tre brani della cornice de-
cisivi dal punto di vista dellideologia boccacciana , sempre si rivolge alle donne
come ad interlocutori che sono in grado di andare ben al di l della loro semplice
disponibilit affettiva e sentimentale: Quantunque volte, graziosissime donne
[] (I, Intr., 2); Carissime donne [] (IV, Intr., 2); Nobilissime giovani, a
Letteratura italiana Einaudi
115
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
consolazion delle quali io a cos lunga fatica messo mi sono [] (Conclusione del-
lautore, 1). evidente che stiamo in questo senso ad un livello di simbolicit as-
sai pi elevato di quello che comporterebbe un qualsiasi approccio puramente
mondano al problema.
Di questa introiezione dellelemento femminile nel proprio universo concettua-
le e antropologico si potrebbero dare tre spiegazioni, legate strettamente tra loro.
La prima che Boccaccio compia un transfert personale nella condizione
della donna, riscoprendo l, sotto quelle vesti, aspetti e sensibilit della propria
condizione, che altrimenti sarebbero rimasti pi celati ed occulti. Lo aveva gi
fatto nellElegia di Madonna Fiammetta. Lo rif, ancora pi in grande, nel Deca-
meron. Quando Boccaccio qui si rivolge alle donne, dunque come se, attraver-
so se stesso, parlasse ad un pubblico pi nobile di quello che si sarebbe mai po-
tuto aspettare.
In secondo luogo, bisogna precisare che Boccaccio elegge nel suo Olimpo di
spiriti magni soltanto le donne che amano, per ci che allaltre assai lago e l
fuso e larcolaio (Proemio, 13). Il tratto costitutivo della nobilt femminile dun-
que la passione amorosa, quella passione su cui, in generale, convergono le forze
pi possenti ed irresistibili della natura umana (come Boccaccio spiega con gran-
de eloquenza nella Introduzione alla Quarta Giornata, in particolare ai 41-42, e
anche nella Conclusione dellautore). In virt della sua maggiore delicatezza, e an-
che delle sue minori capacit di resistenza e di difesa, la donna al tempo stesso
oggetto, soggetto e simbolo di questa trascinante passione umana, di cui il Deca-
meron il poema.
Infine, non c dubbio che la donna per Boccaccio il tramite e ancora una
volta il simbolo di quellideale di poesia, cui con tutto il suo essere egli aspirava.
questo il ragionamento che Boccaccio, con grande arguzia e verve polemica,
svolge soprattutto nellIntroduzione alla Quarta Giornata (in relazione alla fun-
zione delleros rispetto a Natura, di cui abbiamo gi parlato al 1. 2 della sezio-
ne III. C chi, osserva Boccaccio, lo rimprovera di ragionar di donne o [...]
compiacer loro, invece di starsi con le Muse in Parnaso ( 6). C qui la con-
trapposizione tradizionale fra donne e grande poesia, con cui Boccaccio deve fare
i conti. La risposta di Boccaccio ha la semplice grandezza dei passaggi teorici ve-
ramente decisivi:
Che io con le Muse in Parnaso mi debbia stare, affermo che buon consiglio, ma tutta-
via n noi possiamo dimorar con le Muse n esse con essonoi. Se quando avviene che
luomo da lor si parte, dilettarsi di veder cosa che le somigli, questo non cosa da bia-
simare: le Muse son donne, e bench le donne quel che le Muse vagliono non vagliano,
pure esse hanno nel primo aspetto simiglianza di quelle, s che, quando per altro non mi
piacessero, per quello mi dovrebber piacere; senza che le donne gi mi fur cagione di
Letteratura italiana Einaudi
116
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
comporre mille versi, dove le Muse mai non mi furono di farne alcun cagione. Aiuta-
ronmi elle bene e mostraronmi comporre que mille; e forse a queste cose scrivere,
quantunque sieno umilissime, si sono elle venute parecchie volte a starsi meco, in servi-
gio forse e in onore della simiglianza che le donne hanno a esse; per che, queste cose
tessendo, n dal monte Parnaso n dalle Muse non mi allontano quanto molti per av-
ventura savisano
85
.
Le Muse sono donne, o, per meglio dire, le donne sono Muse nella concreta
e fisica evidenza della loro personalit umana. La loro forza di ispirazione mol-
to pi grande e ricca di un qualsiasi principio astratto. Boccaccio vuol dire, in so-
stanza, che lispirazione poetica si aggira anchessa tra le forze naturali, a cui nul-
la sfugge nelluniverso umano. Le donne spingono a sublimazione le correnti e le
pulsioni pi profonde dellessere maschile: senza questo richiamo verso lalto il
pi poderoso che ci sia non avremmo mai avuto le favole dei poeti. Lelemen-
to femminile ha perci a che fare con la cosa pi nobile che luomo abbia mai pro-
dotto, cio la poesia. Esse son dunque, a giusto titolo, le vere dedicatarie e inter-
locutrici dellopera, quandanche, analfabete, debbano ricorrere alla voce altrui
per entrare a conoscenza delle ricchezze in essa contenute
86
.
Prima di affrontare gli sviluppi che, sul piano della concezione della poesia,
una tale visione erotica comporta, dobbiamo per cercare di dare una spiegazio-
ne sulle ragioni e sui modi in cui in Boccaccio a queste manifestazioni di filogenia
(come sono state sovente definite), se ne accompagnano altre, altrettanto intense
e clamorose, di misoginia.
A me non pare che si possa parlare di due momenti distinti e anche cronolo-
gicamente successivi della posizione boccacciana: prima, una solare e sensuale
esaltazione della donna; poi, una svalutazione iraconda, che non sarresta nean-
che di fronte allaccusa pi infamante o allimmaginario pi osceno. Del resto, se
il Corbaccio di qualche anno pi tardo del Decameron, nel Decameron ci sono
manifestazioni inconfutabili e appariscenti di misoginia (se questo il termine
giusto per definirla), quali le dichiarazioni autodenigratorie messe in bocca ad
alcuni dei personaggi-narranti femminili (Filomena: I, Intr., 74-75; Elissa: I, In-
tr., 76-77), e soprattutto la durissima novella dello scolare e della vedova (VIII,
7), trasparente e autobiografica anticipazione del tema e del tono del Corbaccio.
Bisogner piuttosto pensare a due aspetti sempre compresenti nellimmaginario
erotico boccacciano, in analogia con quanto aveva gi spinto in passato Andrea
Cappellano a dedicare il terzo libro del suo De amore al tema del De reprobatio-
ron, cfr. ora G. MAZZOTTA, The Virtues: Ethics and Rhetoric, in ID., The World at Play cit., pp. 241-69.
84
Cfr. M. ZANCAN, La donna, in Letteratura italiana, V. cit., particolarmente alle pp. 772-76.
85
Dec., IV, Intr., 35-36, pp. 467-68.
86
Sulla diversit di livelli con cui Boccaccio affronta il tema della donna nel Decameron cfr. V. RUSSO, Perora-
Letteratura italiana Einaudi
117
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
ne amoris; anche se non da escludere che luno abbia finito per prevalere sul-
laltro in relazione, anche, con la comparsa delle prime manifestazioni della vec-
chiezza (come chiaramente scrive Boccaccio nel Corbaccio).
Di questa compresenza ci fornisce una chiave la regina Emilia nellesordio
di IX, 9, la novella di due giovani che chiedon consiglio a Salamone, per sapere
come ridurre allordine le loro riottose coniugi. La tesi sostenuta che, proprio
in quanto le donne sono nei corpi dilicate e morbide, negli animi timide e
paurose, nelle menti benigne e pietose, ed hanno le corporali forze leggieri,
le voci piacevoli e i movimenti de membri soavi ( 4), proprio in quanto,
cio, sono dotate di femminilit sia corporale sia intellettuale, hanno bisogno
di essere governate dagli uomini (argomento, del resto, gi svolto da Filomena
ed Elissa nella Introduzione alla Prima Giornata). Quando le donne si allonta-
nano dallosservanza di questa regola, che la natura, lusanza e le leggi vo-
glion, sono meritevoli dei peggiori castighi (ad esempio, il bastone consi-
gliato da Salamone).
Per analogia, finisce per essere colpevole qualsiasi donna si comporti inde-
gnamente nei confronti di un uomo (cfr. la novella dello scolare e della vedova), e
meritevole dunque anche delle pi atroci e sadiche punizioni.
Limmaginario di Boccaccio dunque bifronte, non in quanto esprime une-
voluzione vera e propria nella storia interiore dello scrittore, ma in quanto, pre-
cisamente, un immaginario maschile particolarmente robusto e trasparente: da
una parte, nelle delicate bellezze della donna esso scorge un qualche riflesso di
una felice condizione generativa, che, di gradino in gradino, conduce fino alle-
saltazione dellelemento poetico, fatto coincidere con limmagine di donna (Mu-
se = donne = Muse); dallaltra, nellimperfezione caratteriale e nella debolezza fi-
sica ed intellettuale della donna medesima individua i presupposti di quella man-
canza di fede e di quella carica oscena, che contraddistinguerebbe tanti esempla-
ri di quella razza. Che il medesimo soggetto possa essere tanto superiore e tanto
inferiore allinterno del medesimo immaginario maschile, esperienza abbastan-
za nota e appariscente allinterno della cultura letteraria occidentale da molti se-
coli a questa parte, e a cui non sono estranee neanche personalit come quelle di
Dante e Petrarca
87
: solo che Boccaccio, sottraendosi al clima di astrazione nel
quale si erano mossi i due grandi maestri, e calandosi nella concretezza delle-
sperienza vissuta, accentua ancor pi radicalmente la contrapposizione e al tem-
po stesso la mostra nella sua immensa estensivit: non solo, cos, nella sua com-
media, il sesso della donna pu essere quello eroico di Ghismunda e quello
grottesco e repugnante della Ciutazza; ma anche, allinterno del suo sistema, ci
zione damore da parte di donne e femmine nel Decameron, in ID., Con le Muse in Parnaso. Tre studi sul Boc-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
pu essere una vera e propria sublimazione del sesso nella sfera delle attivit in-
tellettuali e affettive superiori, e al tempo stesso la percezione della sua disgusto-
sa e degradante bassezza. In questa atmosfera non sono impossibili, dentro la li-
bert intellettuale di questo geniale scrittore, impressionanti recuperi di tab ses-
suali religiosi cristiani (lo scolare alla vedova, sottoposta alla tortura del sole: Voi
non vaccorgete, animali senza intelletto, quanto di male sotto quella poca di bel-
la apparenza stea nascoso: VIII, 7, 104).
Non sar dunque un caso che il Libro si concluda con la narrazione da par-
te di Dioneo di Dioneo, si badi della pateticissima vicenda di Griselda, la
giovane contadina impalmata quasi per ripicca dal marchese di Saluzzo, il qua-
le la sottopone ad una serie infinita e perversa di umiliazioni e maltrattamenti,
tanto che il personaggio-narrante stesso non esita a definirla non cosa magnifi-
ca ma una matta bestialit (X, 10, 3). Ebbene, nel personaggio di Griselda non
c dubbio che Boccaccio abbia sublimato in una figura ideale e tipicissima le
persuasioni gi messe in bocca a Filomena e Elissa nellIntroduzione alla Prima
Giornata ( 74-77): e cio che il compito pratico della donna quello di stare
sottomessa alluomo, anche quando le richieste e le pretese di questi possano
essere reputate agre e intollerabili (X, 10, 66). Il cerchio qui si chiude dal
lezzo putibondo delloscenit alla suprema affermazione dellamore, che tocca
anche il livello del tragico e del sublime, passando per un atto concreto, civile e
morale, di totale sottomissione. Forse per questo che tale novella piacque tan-
to a Petrarca da indurlo a tradurla in un fluente e nobilissimo latino, sotto il ti-
tolo inequivocabile di De insigni obedientia et fide uxoris (Seniles, XVII, 3):
quel Petrarca, a cui pure il sesso femminile ispirava tanta stupefatta ammirazio-
ne e tanta impressionata repulsione (s da indurlo a sigillare i Rerum vulgarium
fragmenta con lomaggio ad unimmagine celestiale e perfettamente desessualiz-
zata della donna, quale poteva essere quella di Maria, corrispettivo religioso di
Griselda). Le parole con cui il marchese Gualtieri conclude lo spietato Bildung-
sroman della sua povera sposa testimoniano bene il modo come la vampa delle
passioni anche in Boccaccio possa acquetarsi nella calma pacificata e crudele di
una norma:
Griselda, tempo omai che tu senta frutto della tua lunga pazienza, e che coloro li qua-
li me hanno reputato crudele e iniquo e bestiale conoscano che ci che io faceva a anti-
veduto fine operava, volendoti insegnar desser moglie e a loro di saperla tenere, e a me
partorire perpetua quiete mentre teco a vivere avessi: il che, quando venni a prender
moglie, gran paura ebbi che non mintervenisse, e per ci, per prova pigliarne, in quan-
ti modi tu sai ti punsi e trafissi. E per che io mai non mi sono accorto che in parola n
in fatto dal mio piacere partita ti sii, parendo a me aver di te quella consolazione che io
disiderava, intendo di rendere a te a unora ci che io tra molte ti tolsi e con somma dol-
cezza le punture ristorare che io ti diedi. E per ci con lieto animo prendi questa che tu
Letteratura italiana Einaudi
119
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
mia sposa credi, e il suo fratello, per tuoi e miei figliuoli: essi sono quegli li quali tu e
molti altri lungamente stimato avete che io crudelmente uccider facessi; e io sono il tuo
marito, il quale sopra ogni altra cosa tamo, credendomi poter dar vanto che niuno al-
tro sia che, s comio, si possa di sua moglier contentare
88
.
3. La dea Poesia.
Dunque, Boccaccio consente con i suoi detrattori che lo scrittore debba stare
con le Muse, ma pretende che queste Muse abbiano la concretezza di quelle figu-
re ben individuate e reali, che sono le donne. La metafora, sublimemente ironica,
non pu far tuttavia dimenticare che lIntroduzione alla Quarta Giornata si pre-
senta come una vera e propria difesa della poesia, genere nel quale Boccaccio
era maestro, ma questa volta nel contesto specifico e particolare del Decameron
89
.
La relazione con i due ultimi libri delle Genealogie deorum gentilium e con i
capitoli XXI e XXII della Vita di Dante fortissima, e questi testi vanno letti lu-
no accanto allaltro come uno sforzo unitario, anche se al proprio interno diversi-
ficato per temi e per contenuti, di dare una risposta sostanzialmente omogenea ai
problemi della costruzione letteraria e poetica. Del resto, come abbiamo gi ac-
cennato, non pu essere casuale che Boccaccio intraprendesse la compilazione
delle Genealogie (1350) nel cuore stesso del periodo di composizione del Deca-
meron. Si potrebbe parlare, dunque, pi che di due discorsi distinti e contrappo-
sti, di due livelli del medesimo discorso: da una parte, una vera e propria poetica
del narrativo, adattata a temi e situazioni del Decameron, e, dallaltra, una teoria
generale della poesia, con lambizione di dare una spiegazione (e una storia) anche
di fenomeni molto diversi fra loro (non dimentichiamo che negli altri testi ricor-
dati Boccaccio risale fino alle origini mitiche della poesia, intrecciandole con
quelle della civilt umana stessa). Ma la poetica non discordante dalla teoria ge-
nerale della poesia, anzi vi facilmente e spontaneamente ricompresa.
A parte le connessioni pi generali, ci sono, soprattutto fra il libro XIV delle
Genealogie e lIntroduzione alla Quarta Giornata, alcuni evidenti punti di contat-
to, che la critica non ha sufficientemente sottolineato. In IV, Intr., 2 Boccaccio in-
dividua nella invidia la forza maligna che muove i suoi detrattori (lo mpetuo-
so vento e ardente della nvidia): la medesima invidia richiamata, in apertura di
discorso, nelle Genealogie come la forza per il cui impulso agiscono tutti i nemici
della poesia: Preterea livor edax, letalis viventium pestis, adeo occupavit a prime-
vo hominum pectora, ut rarissima, eo exurente, equa in quem mavis prestentur
caccio, Napoli 1983, pp. 89-107.
87
Cfr. A. ASOR ROSA, La fondazione del laico cit., pp. 34-37.
88
Dec., X, 10, 61-63, p. 1247.
89
Cfr. F. TATEO, Poesia e favola nella poetica del Boccaccio, in ID., Retorica e Poetica fra Medioevo e Rinasci-
Letteratura italiana Einaudi
120
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
iudicia. Quam ob causam in eum surgent rabido latratu plurimi, et quas compe-
rient partes minus acri soliditate firmatas, morsu impio auferent et discerpent
90
.
Uno degli argomenti che gli invidiosi usano contro Boccaccio nella Introduzione
alla Quarta Giornata, oltre allaccusa di compiacere troppo le donne, di non cu-
rarsi abbastanza delle ricchezze o, pi semplicemente, di non attendere, come do-
vrebbe, a procurarsi il pane: E son di quegli ancora che, pi dispettosamente che
saviamente parlando, hanno detto che io farei pi discretamente a pensare donde
io dovessi aver del pane che dietro a queste frasche andarmi pascendo di vento
( 7). La risposta di Boccaccio, poco pi avanti, molto significativa:
Ma che direm noi a coloro che della mia fame hanno tanta compassione che
mi consigliano che io procuri del pane? Certo io non so, se non che, volendo me-
co pensare quale sarebbe la loro risposta se io per bisogno loro ne dimandassi,
maviso che direbbono: Va cercane tralle favole
91
.
Largomentazione relativa alla povert dei poeti, contrapposta, ad esempio,
alla ricchezza dei giuristi, percorre da cima a fondo tutto il libro I delle Genealo-
gie: Dicunt igitur splendidi legum interpretes poesim nullas afferre divitias, vo-
lentes ob id, ut satis percipi potest, eam ab imitandis excludere, quasi nullius in-
ter scientias reliquas sit momenti
92
. Ma ci, secondo Boccaccio, ha poca impor-
tanza, perch la poesia forza che scende dal cielo, illuminando le menti umane,
anche se sulla terra pu collocarsi (metaforicamente) nelle sedi pi umili e mode-
ste: Et, si quando, placidis vocata precibus e sublimi sede descendit in terras, sa-
cris comitata Musis, non celsa regum palatia, non molles deliciosorum domus ex-
quirit habitatura, verum antra atque prerupta montium, umbras nemorum, fontes
argenteos, sucessusque studentium, quantumcunque pauperrimos et luce peritu-
ra vacuos, intrat et incolit; quod alibi forsan plenius ostendetur, exigente mate-
ria
93
. questo un concetto, importantissimo, che nella Introduzione alla Quarta
mento, Bari 1960, pp. 67-204 (ma particolarmente alle pp. 67-160); R. STEFANELLI, Boccaccio e la poesia, Napoli
1978. Unapprofondita discussione del tema si pu trovare in A. ASOR ROSA, La fondazione del laico cit., pp. 102-15.
90
G. BOCCACCIO, Genealogie cit., pp. 900-1 (Oltre a ci ledace livore, mortal peste de viventi, di maniera
sin dalla prima et ha occupato i petti degli uomini, che rarissimi giusti giudizi, mentre quello brucia, sono a chic-
chessia conceduti. Laonde con rabbioso latrare gli si leveranno molti contra, e con crudel morso gli leveranno e strac-
ceranno quelle parti che ritroveranno con men salda fermezza unite e fortificate). Sul ruolo giocato dallinvidia
nellantropologia culturale e letteraria medievale cfr. A. ASOR ROSA, La fondazione del laico cit., pp. 70-72 (riguarda
soprattutto F. Petrarca).
91
Dec., IV, Intr., 37, pp. 468-69.
92
G. BOCCACCIO, Genealogie cit., pp. 912-13 (Dicono adunque gli splendidi interpreti delle leggi la poesia
non apportare alcuna ricchezza, volendo perci (come abbastanza si pu comprendere) escludere quella dalle cose
degne dessere seguite, s come di niuno momento tra le altre scienze). Il cap. IV del libro XIV porta del resto come
titolo: Quaedam in iuris peritos, paucis de paupertate laudibus immixtis (Alcune poche parole contra li giuristi,
insieme con alquante lodi della povert): a spunti topici risalenti alla cultura classica, vi si mescolano argomentazio-
ni dantesche e petrarchesche.
93
Ibid., pp. 914-15 (E se mai, chiamata con benigni preci, dalla alta sede scende in terra accompagnata dalle
sacre Muse, non ricerca per abitare gli alti palazzi dei re, non le delicate dimore degli oziosi, ma entra e abita negli an-
Letteratura italiana Einaudi
121
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Giornata Boccaccio riprende, sciogliendolo per in due parti: allinizio, quando
spiega che per fuggire il violento vento dellinvidia non solamente pe piani ma
ancora per le profondissime valli mi sono ingegnato dandare ( 3), con la mo-
destia intenzionale delle sue novellette, scritte in prosa e per di pi in volgare;
nella conclusione, quando riprende il tema iniziale della modestia, ma sviluppan-
dolo in maniera tale da concludere con unaffermazione orgogliosa di superiorit
(trasparente metafora della poesia stessa, che, quandanche composta di materia-
li umili, pi alta di qualsiasi altra manifestazione mondana):
E volendo per questa volta assai aver risposto, dico che dallaiuto di Dio e dal vostro,
gentilissime donne, nel quale io spero, armato, e di buona pazienza, con esso proceder
avanti, dando le spalle a questo vento e lasciandol soffiar: per ci che io non veggo che
di me altro possa avvenire che quello che della minuta polvere avviene, la quale, spiran-
te turbo, o egli di terra non la muove, o se la muove la porta in alto e spesse volte sopra
le teste degli uomini, sopra le corone dei re e deglimperadori, e talvolta sopra gli alti
palagi e sopra le eccelse torri [forse un richiamo a celsa regum palatia?] la lascia; delle
quali se ella cade, pi gi andar non pu che a luogo onde levata fu
94
.
La dimostrazione e i confronti potrebbero continuare a lungo, ma quanto ho
scritto finora consente, mi pare, di arrivare a questa prima conclusione. Boccaccio
seriamente impegnato a mettere in rapporto coerente e armonico due cose ap-
parentemente contraddittorie, e cio lumilt della materia affrontata e degli stru-
menti linguistici ed espressivi utilizzati (umilt, sintende, se valutata secondo i
metri di misura allora tradizionali), e lambizione di una poetica alta, in grado di
misurarsi con le grandi opere degli antichi. Questo problema era gi stato affron-
tato, con soluzioni peculiari per ciascuno dei due, da Dante e da Petrarca (e il bi-
linguismo, ad esempio, nel Dante del De vulgari eloquentia, si giustificava, come
nel Boccaccio delle Genealogie, con il desiderio di comunicare anche al mondo
dei dotti le risultanze della nuova poesia e persino le conquiste della nuova lingua,
il volgare). Per Boccaccio il problema era complicato dal fatto che, oltre agli anti-
chi, egli doveva tener presente e misurarsi anche con tutta la recente tradizione
volgare e, in particolare, con Dante e Petrarca, maestri sublimi ma ingombranti
per uno come lui, che doveva compiere lultimo e decisivo passo nel grande pro-
cesso di istituzionalizzazione del volgare.
Ben pi arduo, infatti, rispetto a loro, doveva risultare il suo compito. Di-
gnificare la prosa narrativa in volgare era infatti impresa teoricamente assai pi
complicata che fare la medesima operazione nei confronti della poesia, epico-nar-
rativa o lirica che fosse. Daltra parte, a testimonianza del carattere inedito e con-
cettualmente complesso di questo passaggio, il residuo di una difficolt ad accet-
tri e negli anfratti dei monti, nelle ombre dei boschi, nei fonti cristallini e nelle abitazioni degli studiosi, bench pove-
Letteratura italiana Einaudi
122
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
tare fino in fondo il senso di questa operazione si ritrova ancora in Petrarca nel
ruolo almeno apparentemente minore da lui attribuito a Rerum vulgarium frag-
menta, nugae, nugellae. In ogni caso, mi pare del tutto evidente che Boccac-
cio su questo terreno si riallaccia direttamente, pi che al Canzoniere petrarche-
sco, alla grande impresa della Commedia dantesca. Il binario di congiunzione
rappresentato dallidea del comico, dantescamente intesa: Comedia vero in-
choat asperitatem alicuius rei, sed eius materia prospere terminatur, ut patet per
Terentium in suis comediis
95
; Similiter differunt in modo loquendi: elate et su-
blime tragedia; comedia vero remisse et humiliter [...]
96
; Et per hoc patet quod
Comedia dicitur presens opus. Nam si ad materiam respiciamus, a principio hor-
ribilis et fetida est, quia Infernus, in fine prospera, desiderabilis et grata, quia Pa-
radisus; ad modum loquendi, remissus est modus et humilis, quia locutio vulgaris
in qua et muliercule comunicant
97
. Si sa che queste autodefinizioni dellEpistola
XIII si adattano con qualche difficolt alla materia assai pi cangiante e mutevole
della Commedia dantesca: non ci si pu stupire che appaiano solo molto parzial-
mente calzanti al Decameron di Giovanni Boccaccio. Tuttavia, anche le analogie
saltano allocchio, e nella struttura compositiva del Libro e nelle singole soluzioni
narrative e stilistiche.
Nella struttura compositiva del Libro, perch anche qui esso ha un principio
horribilis et fetidus (la pestilenza), e una conclusione desiderabilis et grata
(Boccaccio ritiene di aver assolto al suo compito di dar consolazione alle don-
ne): e la contrapposizione vive forse anche nella diversit radicale fra la novella di
ser Ciappelletto (I, 1) e quella di Griselda (X, 10), o, anche, in quella fra lo spiri-
to, aspro e difficile, della Prima Giornata, e lispirazione magnificente e solare
della Decima.
Ma soprattutto nelle singole soluzioni narrative e stilistiche, perch, abban-
donando lidea che il comico coincida sempre con il lieto fine, si pu dire che
esso rappresenta nel Decameron il tentativo di dare una soluzione dignitosa ed
elevata sul piano espressivo ad una serie di tematiche, che rientrano pienamente
nellambito delle esperienze umane possibili, cio, per dirla con il Boccaccio del-
rissime e prive di quella luce che non leterna; il che forse si dimostrer pi a pieno altrove, ricercando ci la mate-
ria).
94
Dec., IV, Intr., 40, pp. 469-70.
95
D. ALIGHIERI, Epistola XIII, a cura di G. Brugnoli, in ID., Opere minori, II, a cura di P. V. Mengaldo, B.
Nardi, A. Frugoni, G. Brugnoli, E. Cecchini e F. Mazzoni, Milano-Napoli 1979, pp. 616-18 (La comeda invece ini-
zia dalla narrazione di situazioni diffcili, ma la sua materia finisce bene, come risolta dalle comede di Terenzio).
Non entro nel merito dellattribuzione, pur propendendo per lipotesi che lEpistola sia di Dante.
96
Ibid., p. 618 (Similmente trageda e comeda si diversificano per il linguaggio che alto e sublime nella tra-
geda, dimesso e umile nella trageda [...]).
97
Ibid., pp. 620-22 (E da questo chiaro che Comeda si pu definire la presente opera. Infatti se guardiamo
Letteratura italiana Einaudi
123
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
la Introduzione alla Quarta Giornata, si presentano come delle Muse ma con il
volto di donna. La soluzione stilistica del Decameron il punto di incontro, la
combinazione di queste diverse esigenze. Limpegno intellettuale, che lesperien-
za comportava, sta forse alla radice della riflessione veramente straordinaria di
Boccaccio che in questa forma cos esplicita e sistematica non ha corrispettivi n
in Dante n in Petrarca sullorigine, la funzione e lutilit della poesia. La fon-
dazione della prosa narrativa moderna non richiedeva un livello di discorso e di
riflessione inferiore a questo.
3. 1. La poesia in atto.
Questo complesso veramente straordinario di riflessioni approda ad una conce-
zione modernissima dei rapporti tra contenuto e forma, al cui centro sta il
principio costitutivo della congruenza. Scrive Boccaccio nella Conclusione del-
lautore, replicando allaccusa che abbia narrato storie licenziose o usato parole
poco oneste:
Dico a rispondere perch io abbia ci fatto assai ragion vengon prontissime. Primiera-
mente se alcuna cosa in alcuna n, la qualit delle novelle lhanno richesta, le quali se con
ragionevole occhio da intendente persona fian riguardate, assai aperto sar conosciuto, se
io quelle della loro forma trar non avessi voluto, altramenti raccontar non poterlo
98
.
Pi avanti, ammettendo che non tutte le novelle del Libro possano essere in
egual misura belle, osserva tuttavia, con la fine ironia che gli propria: Ma io
non pote n doveva scrivere se non le raccontate, e per ci esse che le dissero le
dovevan dir belle e io lavrei scritte belle ( 16): che come ribadire che lo
scrittore, il quale, secondo questa versione, non coincide con linventore, re-
sponsabile soltanto dellautenticit della trascrizione, e non dei molteplici valori e
significati e risultati, di cui ogni singolo racconto in s portatore.
Naturalmente, Boccaccio, qui come altrove, si diverte a giocare con le molte-
plici possibilit che la macchina, da lui stesso creata, gli offre: per esempio, sol-
tanto in questa Conclusione dellautore si capisce fino in fondo quale serbatoio di
valenze semantiche ed etiche avesse messo a sua disposizione linvenzione della
cornice, ossia la forma del Libro.
Ma, pi in generale, si capisce con quali motivazioni Boccaccio giungesse a
concepire loriginale soluzione stilistico-formale del suo cos peculiare modo di
raccontare. La sua tensione a raggiungere nellambito della prosa narrativa la me-
desima elevatezza raggiunta dagli antichi e, pi recentemente, da Dante e Petrar-
alla materia, allinizio essa paurosa e fetida perch tratta dallInferno, ma ha una fine buona, desiderabile e gradita,
Letteratura italiana Einaudi
124
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
ca nellambito della poesia epico-narrativa e di quella lirica, gli imponeva di bat-
tere la strada di uno stile alto, sostenuto e complesso, del tutto agli antipodi ri-
spetto alla modestia cronistica e documentaria dei prosatori precedenti. E dove
trovare un tale stile, se non, appunto, nellimitazione degli antichi?
Linnesto sul robustissimo e fiorente ceppo romanzo delleredit classica re-
centemente riconquistata avveniva dunque internamente alla stessa conseguita
maturit dellispirazione boccacciana, non certo come effetto di unoperazione
puramente retorica. Si trattava non di un rivestimento, ma dellespressione di un
punto di vista superiore sulle cose del mondo e sul loro svolgimento. Boccaccio
non sarebbe arrivato a tanto, senza collocarsi in questo luogo dosservazione cos
elevato e onnicomprensivo.
Ci che bisogna capire, per apprezzare lesito dellesperimento boccacciano,
che, in generale, Boccaccio persegue un principio rigoroso di uniformit dello sti-
le, muovendosi dunque in senso esattamente contrario a quello della variet degli
stili. Da questo punto di vista, molto pi vario e mosso il Dante della Commedia,
mentre Boccaccio recepisce e applica rigorosamente un principio di convenien-
za senza dubbio gi umanisticamente orientato. Ma, per lappunto, luniformit
dello stile, costantemente elevato, che consente a Boccaccio di sollevare le mode-
ste novellette, le quali non solamente in fiorentin volgare e in prosa scritte [...] e
senza titolo, ma ancora in istilo umilissimo e rimesso quanto il pi si possono (IV,
Intr., 3), sulla vetta di quel monte Parnaso, a cui tutte le sue aspirazioni tendeva-
no. Ma, naturalmente, non si trattava soltanto della ricerca e della conquista di
unimmagine: la fluente solennit di questa prosa dignificava nello stesso modo
la tragedia e la commedia, la beffa, la burla, loscenit e il sacrificio: Pasquino e Si-
mona erano raccontati con non minore cura e dignit di Ghismunda e Guiscar-
do. Ricomponeva, insomma, in unit il mondo intiero sub specie poetica.
Luniformit dello stile non impedisce poi un gran lavorio di variazioni, una
ricchezza notevole di registri stilistici interni, dai toni alti, persino oratori, di certi
momenti tragici, alla piacevolezza festosa di taluni dialoghi, alla precisione de-
scrittiva e alla minuzia documentaria di certe descrizioni di ambienti e dinterni
99
.
Naturalmente, preme sullo stile al fine di determinarlo anche la tematica di volta
in volta affrontata.
Nelle novelle romanzesche, ad esempio, Boccaccio ha aperture di grande
suggestione evocativa, in cui gli elementi naturali e quelli umani sapientemente si
mescolano:
perch tratta dal Paradiso. Per quel che riguarda il linguaggio questo dimesso e umile perch si tratta della parlata
volgare che usano anche le donnette).
98
Dec., Conclusione dellautore, 4, p. 1255.
Letteratura italiana Einaudi
125
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
I marinari, come videro il tempo ben disposto, diedero le vele a venti e del porto dAl-
lessandria si partirono e pi giorni felicemente navigarono: e gi avendo la Sardigna
passata, parendo loro alla fine del loro cammino esser vicini, si levarono subitamente un
giorno diversi venti, li quali, essendo ciascuno oltre modo impetuoso, s faticaron la na-
ve dove la donna era e marinari, che pi volte per perduti si tennero. Ma pure, come
valenti uomini, ogni arte e ogni forza operando, essendo da infinito mare combattuti,
due d si sostennero; e surgendo gi dalla tempesta cominciata la terza notte e quella
non cessando ma crescendo tuttafiata, non sappiendo essi dove si fossero n potendolo
per estimazion marineresca comprendere n per vista, per ci che obscurissimo di nu-
voli e di buia notte era il cielo, essendo essi non guari sopra Maiolica, sentirono la nave
sdruscire
100
.
In certe novelle di beffa, invece, la solennit dellargomentare riesce allo sco-
po, perfettamente antifrastico, di segnalare meglio la comicit dellaccaduto e la
grossolanit delle situazioni descritte:
Allora Buffalmacco pianamente sincominci a dirizzare verso Santa Maria della Scala, e
andando carpone infino presso le donne di Ripole il condusse. Erano allora per quella
contrada fosse, nelle quali i lavoratori di quei campi facevan votare la contessa a Civilla-
ri per ingrassare i campi loro. Alle quali come Buffalmacco fu vicino, accostatosi alla
proda duna e preso tempo, messa la mano sotto allun de piedi del medico e con essa
sospintolsi da dosso, di netto col capo innanzi il gitt in essa e cominci a ringhiar forte
e a saltare e a imperversare e a andarsene lungo Santa Maria della Scala verso il prato
dOgni santi, dove ritrov Bruno che per non poter tener le risa fuggito sera: e ammen-
duni festa faccendosi di lontan si misero a veder quello che il medico impastato facesse.
Messer lo medico, sentendosi in questo luogo cos abominevole, si sforz di rilevare e di
volersi aiutar per uscirne, e ora in qua e ora in qua ricadendo, tutto dal capo al pi im-
pastato, dolente e cattivo, avendone alquante dragme ingozzate, pur n usc fuori e la-
sciovvi il cappuccio: e spastandosi con le mani come poteva il meglio, non sappiendo
che altro consiglio pigliarsi, se ne torn a casa sua e picchi tanto che aperto gli fu
101
.
In ambedue i casi, per, colpisce luso al tempo stesso esteso ed agile, pos-
sente e fluente, del periodo ipotattico: frasi lunghe e brevi, incastrate luna nellal-
tra secondo precise gerarchie, con un continuo artificio che tuttavia pare natura-
lezza; misure metriche varie inglobate nel ritmo prosastico (frequente lendecasil-
labo), e clausole che hanno il potere di concludere il discorso in maniera sonante
ed incisiva, di volta in volta salendo o scendendo rispetto al tono preceden-
temente utilizzato, secondo le opportunit stilistico-semantiche del momento
([...] che pi volte per perduti si tennero; sentirono la nave sdruscire; di
lontan si misero a veder quello che il medico impastato facesse; picchi tanto
che aperto fu).
99
Cfr. V. BRANCA, Registri strutturali e stilistici, in ID., Boccaccio medievale cit., pp. 86-133. Sul tono tragi-
co, giustamente valorizzandolo, ha scritto pagine molto belle V. RUSSO, Il senso del tragico nel Decameron (1965),
Letteratura italiana Einaudi
126
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Il drammatico e il comico non si diversificano dunque in base ad un muta-
mento consistente del sottofondo sintattico stesso, che resta sempre pressoch
identico (la medesima voce-narrante, che, con eguaglianza ininterrotta, recita
la narrazione), ma in conseguenza del rapporti assai sottili di congruenza o di
contrasto fra il sottofondo sintattico e i vari temi da svolgere. come se Boc-
caccio spingesse il pedale di un piano per ottenere o accelerazioni o ritardi o atte-
nuazioni nei registri del suono.
Da tecniche narrative cosiffatte deriva nel Libro una presenza cos fitta di ele-
menti teatrali e spettacolari
102
: il Decameron come pregno di spunti e situazioni,
che avranno successivamente splendide evoluzioni sia sul piano tragico sia sul pia-
no comico (dai quali, pure, a loro volta vistosamente derivano): sia che si tratti del-
lorganizzazione scenografica di certi passaggi narrativi decisivi (la calata di An-
dreuccio da Perugia nel pozzo prima, e poi nellarca del Vescovo), oppure dellim-
postazione oratoria, a scena aperta, di certe voci parlanti (quelle di Ghismunda e Fi-
lippa, ad esempio), oppure di certe uscite, che hanno chiaramente il sapore di
una soluzione teatrale vera e propria (Guido Cavalcanti, che scavalca agilmente lar-
ca, liberandosi dallassedio dellincomoda brigata), sia che si tratti di vere e proprie
costruzioni immaginate per essere viste oltre che raccontate (come nella deli-
ziosa commedia degli equivoci di IX, 6, imperniata sul gioco perfettamente geo-
metrico delle corrispondenze e degli incastri), sia che si tratti delluso veramente so-
praffino del mascheramento e del travestimento, che rivela in Boccaccio una
profonda attrazione per il mondo oscuro del carnevalesco (come in tutta la con-
clusione della novella di frate Alberto, IV, 2, o nella scena notturna, quasi invasata
di acri umori offensivi, della beffa giocata a Maestro Simone, sopra citata, VIII, 9).
Anche laffiorare, dentro la predominante tonalit narrativa, di spinte espres-
sive diverse e nuove, le quali a loro volta alludono ad un successivo sviluppo dei
generi letterari, che Boccaccio genialmente prefigura, ci fa capire meglio, in con-
clusione, quale sia il registro dentro cui il Decameron generalmente si muove. Si
parlato di realismoe di comico, e Auerbach ha insistito sulla nozione di sti-
le medio elegante
103
, nozione il cui eco si ritrova anche nel concetto di lettera-
in ID., Con le Muse in Parnaso cit., pp. II-88.
100
Dec., II, 7, 10-II, pp. 227-28.
101
Ibid., VIII, 7, 97-100, pp. 1004-5.
102
Negli ultimi trentanni la critica ha accumulato molti elementi a favore di una lettura spettacolare del De-
cameron: dalle prime proposte di M. BARATTO, Realt e stile nel Decameron cit., soprattutto nei capitoli Verso la
commedia: il mimo e La commedia, pp. 239-69 e 271-322, a G. PADOAN, Il senso del teatro nei secoli senza teatro, in
Concetto, storia, miti e immagini del Medio Evo, a cura di V. Branca, Firenze 1973, pp. 325-38; N. BORSELLINO,
Decameron come teatro, in ID., Rozzi e Intronati, Roma 1976
2
, pp. 12-50; L. SANGUINETI WHITE, La scena con-
viviale e la sua funzione nel mondo del Boccaccio, Firenze 1983; P. D. STEWART, Retorica e mimica nel Decameron
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
tura mezzana recentemente usato
104
. Ora, a me pare che Boccaccio, coerente-
mente ai presupposti della sua formazione e della sua ideologia, ma anche ispi-
randosi ad una visione letteraria e poetica assolutamente innovativa, abbia fuso
nello stile (come gi abbiamo accennato) due esigenze contrapposte:
1) Fare della materia prosastica e narrativa, in s di livello inferiore a
quella poetica, un argomento di letteratura alta, alta anche se, ovvia-
mente, non sublime, sottraendola definitivamente, per tutti i secoli suc-
cessivi, al rischio di una sorte minore, che in quel momento era tuttaltro
da escludere;
2) Aprire la letteratura, attraverso la prosa narrativa, ad una estensione
pressoch illimitata di tematiche e di argomenti, spezzando ogni barriera
di tipo tematico o ideologico. Alzare il basso verso lalto, e liberare lalto
da ogni esclusione pregiudiziale.
Lo stile del Libro questo. Certo, da un determinato punto di vista non si
pu non parlare di realismo, perch il referente del testo senza ombra di dubbio
la realt umana, per giunta considerata nella sua accezione pi illimitata; ma si
tratta di un realismo quale pu filtrare e determinarsi attraverso loperazione let-
teraria pi costruita e distanziante che si possa immaginare: si potrebbe dire
che nel Libro il valore di documento delle testimonianze di vita vissuta come il
fantasma, imprescindibile ma lontano, da cui un immaginario possente ha preso
semplicemente le mosse per produrre un mondo autonomo e separato il mon-
do, appunto, del Libro , una volta che lintero percorso dallosservazione empi-
rica del reale al testo sia stato compiuto. A me pare che le formule mediet,
mezzano, non rendano giustizia a pieno a questo poderoso sforzo boccacciano
di risistemare su questo altipiano uniformemente elevato di questa prosa-poesia
le cento facce di una realt umana tutte diverse fra loro.
Sul piano storico si potrebbe dire, pi semplicemente, che Boccaccio fonda la
possibilit stessa di una prosa narrativa moderna, la quale partir sempre dal pre-
supposto che il reale, tutto il reale, pu essere descritto e raccontato. Pi in gene-
rale, direi che a lui si deve lintroduzione, nellarea occidentale, di una concezione
praticamente illimitata, sia sul piano dei contenuti sia sul piano delle funzioni,
della letteratura. Dante aveva gi operato in questa direzione, non v dubbio, ma
mantenendosi saldamente ancorato al circolo e al piano della trascendenza: Boc-
caccio rompe anche questultima limitazione e si proietta sul piano umano senza
pi tener conto di alcun confine.
e nella Commedia del Cinquecento, Firenze 1986.
Letteratura italiana Einaudi
128
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Figlio di Dante, e fratello minore di Petrarca, Boccaccio ha sofferto spesso,
nella considerazione critica, di queste ingombranti contiguit e affinit. Pi giu-
sto sarebbe dire che, nella sua sfera, non secondo a nessuno. Laccusa, che
spesso gli stata mossa gi a partire dal XVII secolo, daver operato quella sua
rivoluzione dentro il canale eccessivamente ristretto di una prosa volgare troppo
precocemente umanistica, del tutto anacronistica: spero di aver dimostrato che
senza quella prosa, e senza quella poetica, quella rivoluzione non ci sarebbe mai
stata.
Solo la lettura integrale del Libro, ahim cos rara, pu dar conto fino in fon-
do di queste mie conclusioni. Infatti, questa una tipica opera, in cui linsieme
non pu prescindere dalla conoscenza di tutte le singole parti, mentre assai dif-
fusa la persuasione contraria. Ma, se si superano le difficolt linguistiche, e so-
prattutto quelle del tempo (bisogna essere oziosi per poter leggere: lo sapeva
gi Boccaccio, e la massima ha assunto oggi una validit quasi drammatica), il te-
sto del Libro continua a fornire infallibilmente quei due mieli per cui fu scritto
gi gran tempo, e cio piacere e consolazione: piacere, per la variet ine-
sauribile delle vicende narrate e dei modi usati per narrarle; consolazione, perch
nello specchio del Libro ritroviamo al tempo stesso la caducit e la perennit dei
casi umani, e, intrecciate insieme, la tragedia e la commedia, che ancora oggi
compongono la nostra vita. Non si pu chiedere di pi a un libro per definirlo e
viverlo dentro noi stessi come un capolavoro assoluto.
VI. Nota bibliografica.
Sulle vicende delledizione critica del testo ci siamo soffermati a lungo nella
sezione I di questo saggio. Ci basti qui ricordare che ledizione propriamente cri-
tica dellautografo (ms. Hamiltoniano 90, Berlin, Staatsbibliothek Kulturbesitz)
stata procurata da Vittore Branca per le edizioni dellAccademia della Crusca, Fi-
renze 1976; successivamente, tale edizione stata ripubblicata da Einaudi, Torino
1987
3
(ora in edizione tascabile, Torino 1992) con aggiornamenti (questo volume,
veramente eccellente, comprende, oltre al testo, unintroduzione dello stesso
Branca, una nota biografica, unampia bibliografia, distribuita anche per giornate
e per novelle, e un ricco apparato, dove gli aspetti linguistici e una ricognizione
delle fonti sono esaminati con grande accuratezza e acribia). V. Branca ha pubbli-
cato anche una riproduzione fotografica del codice: G. BOCCACCIO, Decame-
ron. Facsimile dellautografo conservato nel codice Hamilton 90 della Staatsbi-
bliothek Preussischer Kulturbesitz di Berlino, Firenze 1975. Ch. S. Singleton ha
pubblicato invece unedizione diplomatico-interpretativa dellautografo Hamil-
ton 90 (Baltimore-London 1974), con la collaborazione di F. Petrucci, A. Petruc-
ci, G. Savinio, M. Mardersteig.
Letteratura italiana Einaudi
129
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Naturalmente, quasi infinita la serie delle edizioni complete e delle scelte
commentate. Ricordiamo soltanto le principali, anche a testimonianza del percor-
so storico compiuto dallapproccio testuale a questa grande opera: fra le prime,
quelle curate da G. Petronio (Torino 1950), da N. Sapegno (Torino 1956), da M.
Marti (Milano 1958), da C. Segre e M. Consigli Segre (in ID., Opere, Milano
1963), da A. E. Quaglio (Milano 1974); fra le seconde, ID., Novelle e opere mino-
ri, scelte e commentate da G. A. Levi, Torino 1937; ID., Il Decameron. Venticin-
que novelle [...] e ventisette postille, a cura di L. Russo, Firenze 1939; ID., Dal De-
camerone e dalle opere minori, pagine scelte e commentate a cura di N. Sapegno,
Firenze 1941; ID., Decameron [...], scelta, introduzione e note a cura di G. Petro-
nio, Milano 1946.
Per quanto riguarda la storia delledizione critica e i molteplici problemi rela-
tivi Vittore Branca ha raccolto in Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio,
II. Un secondo elenco di manoscritti e studi sul testo del Decameron, Roma
1991, praticamente linsieme imponente dei suoi contributi alla vicenda, ivi com-
presi i due articoli Per il testo del Decameron. I: La prima diffusione del De-
cameron (1950) e Per il testo del Decameron. II: Testimonianze della tradizio-
ne volgata (1953), che hanno valore fondativo per questo genere di studi. Branca
ha condensato inoltre il senso delle sue ricerche nel saggio Un caso esemplare: il
Boccaccio, in V. BRANCA e J. STAROBINSKI, La filologia e la critica letteraria,
Milano 1977, pp. 52-79.
Importante a me pare anche il saggio di F. BRAMBILLA AGENO, Il proble-
ma dei rapporti fra il codice berlinese e il codice Mannelli del Decameron, in
Studi sul Boccaccio, XII (1980), pp. 5-37, che discute le tesi di Branca sullar-
gomento. Naturalmente, per avere un quadro pi completo della storia del pro-
blema, bisogna risalire fino alle indagini degli studiosi tedeschi di fine Ottocento:
A. TOBLER, Die Berliner Handschrift des Decameron, in Sitzungsberichte der
Kniglich Preussischen Akademie des Wissenschaften zu Berlin, XXV (1887),
pp. 375-405; O. HECKER, Die Berliner Decameron. Handschrift und ihr
Verhltniss zum Codice Mannelli, 1892 (trad. it. Della parentela esistente fra il
ms. Berlinese del Decameron ed il codice Mannelli, in Giornale storico della let-
teratura italiana, XXVI [1895], pp. 162-75); e passare poi per le felici, ancorch
incompiute intuizioni, di M. BARBI, La nuova filologia e ledizione dei nostri
scrittori, Firenze 1938, pp. 35-85, e di A. CHIARI, Un autografo del Decame-
ron?, in La Fiera letteraria, III (1948), p. 27. Sullautografia dellHamilton 90,
cfr. V. BRANCA e P. G. RICCI, Un autografo del Decameron (Codice Hamil-
toniano 90), Padova 1962; A. PETRUCCI, Il ms. Berlinese Hamiltoniano 90. No-
te codicologiche e paleografiche, in G. BOCCACCIO, Decameron, ed. Singleton
cit., pp. 647-661. Sullintera questione, particolarmente equilibrate risultano le
Letteratura italiana Einaudi
130
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
conclusioni cui perviene C. BOLOGNA, Tradizione testuale e fortuna dei classi-
ci italiani, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, VI. Teatro, musica, tra-
dizione dei classici, Torino 1986, pp. 648-63. Importante, anche se successiva-
mente riassorbito dagli elenchi di Branca in Tradizione delle opere cit., G. AUZ-
ZAS, I codici autografi. Elenco e bibliografia, in Studi sul Boccaccio, VII
(1973), pp. 1-20.
Sulla fortuna del Decameron si veda A. TARTARO, Boccaccio, Palermo 1981
(con bibliografia e scelta di testi critici). Importante, naturalmente, il capitolo Pri-
me testimonianze a stampa e profilo della storia delle edizioni principali di V.
BRANCA, Tradizione del testo del Decameron (1950 e 1953), in ID., Tradizione
delle opere cit., pp. 305-29. Sulledizione dei Deputati e sugli episodi di censura
controriformistica di fine Cinquecento, cfr. R. MORDENTI, Le due censure: la
collazione dei testi del Decameron rassettati da Vincenzo Borghini e Lionardo
Salviati, in AA. VV., Le pouvoir et la plume. Incitation, contrle et rpression dans
lItalie du XVI
e
sicle. Actes du Colloque international, Paris 1982, pp. 253-273;
ID., Per unanalisi dei testi censurati: strategia testuale e impianto ecdotico della
rassettatura di Lionardo Salviati, in FM. Annali dellIstituto di filologia moder-
na dellUniversit di Roma, I (1982), pp. 7-51.
Ampie bibliografie si possono trovare, oltre che nella citata edizione einau-
diana del Decameron curata da Branca, nelle voci Boccaccio, Giovanni redatte
da N. Sapegno per il Dizionario biografico degli Italiani (X, Roma 1968, pp. 838-
56) e da V. Branca per il Dizionario Critico della letteratura italiana (I, Torino
1986, pp. 360 sgg.) e in calce ai saggi di C. MUSCETTA, Boccaccio, e di F. BRU-
NI, Boccaccio e la narrativa toscana, citati infra. Si veda anche: E. ESPOSITO,
Boccacciana. Bibliografia delle edizioni e degli scritti critici (1939-1974), Ravenna
1976.
Sulla biografia di Boccaccio, cfr. V. BRANCA, Giovanni Boccaccio. Profilo
biografico, Firenze 1977 (oltre che i vecchi, ma non inutili, M. LANDAU, Gio-
vanni Boccaccio, sua vita e sue opere, Napoli 1881-82, e H. HAUVETTE, Boccace.
tude biographique et littraire, Paris 1914).
Sui problemi della composizione del Decameron, oltre alle pp. 77-81 del Pro-
filo biografico cit. del Branca, e al capitolo Composizione dellopera e testimonian-
ze fino alla morte del Boccaccio del saggio Prima diffusione del medesimo Branca
(in V. BRANCA, Tradizione delle opere cit., pp. 147-81), si veda G. PADOAN,
Sulla genesi e la pubblicazione del Decameron (1975), in ID., Il Boccaccio, le Mu-
se, il Parnaso e lArno, Firenze 1978, pp. 93-121. Ma si vedano anche le osserva-
zioni contenute nei saggi di G. BILLANOVICH, Restauri boccacceschi, Roma
1946, e ID., Petrarca letterato, I. Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947; e le sensate
considerazioni C. BOLOGNA, Tradizione testuale e fortuna dei classici cit., p.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
651, riprese da L. BATTAGLIA RICCI, Ragionare nel giardino. Boccaccio e i cicli
pittorici del Trionfo della morte, Roma 1987, pp. 17-20.
Molti sono i saggi complessivi sullopera del Boccaccio da tener presenti an-
che per la comprensione del Decameron. Innanzitutto, quelli ospitati dalla Lette-
ratura italiana Einaudi, diretta da A. Asor Rosa. Ricordiamo: A. TARTARO, Le-
sperienza narrativa di Boccaccio, in Letteratura italiana cit., III/2. La prosa, Torino
1984, pp. 652-77; R. MERCURI, Il Decameron, in Letteratura italiana. Storia e
geografia, I. Let medievale, Torino 1987, pp. 397-429; F. GAETA, Boccaccio: rap-
presentazione e critica del potere borghese, in Letteratura italiana cit., I. Il letterato
e le istituzioni, Torino 1982, pp. 215-28; A. PETRUCCI, Il libro manoscritto, ibid.,
II. Produzione e consumo, Torino 1983, pp. 513-15. Sul processo che porta alla
creazione delle grandi opere del Trecento, cfr. A. ASOR ROSA, La fondazione del
laico, ibid., V. Le Questioni, Torino 1986, pp. 17-124. Sulle questioni della tradi-
zione e del testo il gi citato C. BOLOGNA, Tradizione testuale e fortuna dei clas-
sici. Sulla presenza dellelemento femminile nel Decameron M. ZANCAN, La
donna, ibid., V cit., pp. 772-76. Da tenere presenti: il capitolo boccacciano di N.
SAPEGNO, Il Trecento (1933), Milano 1966, pp. 269-373, che ha rappresentato
a lungo il punto di riferimento pi sicuro per gli studi successivi; il capitolo di C.
MUSCETTA, Giovanni Boccaccio, in Letteratura italiana. Storia e testi, Bari 1976,
pi volte ristampato a parte, che nellultima edizione (Bari 1992) porta anche un
utile aggiornamento bibliografico (Muscetta vi ha rifuso il capitolo boccacciano
della Storia della Letteratura Italiana Garzanti); e il pi recente e aggiornato F.
BRUNI, Boccaccio e la narrativa toscana, in Storia della civilt letteraria italiana,
diretta da G. Brberi Squarotti, I/2, Torino 1990, pp. 839-936.
Elenchiamo qui di seguito una serie di volumi o di saggi, che hanno segnato
unimpronta nella storia della critica sul Decameron, prescindendo in questa sede
da ogni valutazione sul merito o la qualit o la persistenza dei risultati conseguiti.
U. FOSCOLO, Discorso storico sul testo del Decamerone (1825), in ID., Opere,
edizione nazionale, X. Saggi e discorsi critici, Firenze 1953, pp. 304-75; F. DE-
SANCTIS, Il Decamerone, in ID., Storia della letteratura italiana, a cura di N.
Gallo, introduzione di N. Sapegno, Torino 1958, pp. 313-84; B. CROCE, La no-
vella di Andreuccio da Perugia (1911), in ID., Storie e leggende napoletane, Bari
1967
6
, pp. 45-84; E. G. PARODI, Giovanni Boccaccio: per il sesto centenario
(1913), in ID., Lingua e letteratura. Studi di Teoria linguistica e di Storia dellitalia-
no antico, a cura di G. Folena, con un saggio introduttivo di A. Schiaffini, II, Ve-
nezia 1957, pp. 462-69; ID., La cultura e lo stile del Boccaccio (1913), ibid., pp.
470-79; ID., Osservazioni sul cursus nelle opere latine e volgari del Boccaccio
(1913), ibid., pp. 480-92; ID., I1 Boccaccio in laude di Dante, ossia il mito del poe-
ta (1907), ibid., pp. 493-500; U. BOSCO, Il Decameron, Rieti 1929; G. PE-
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
TRONIO, Il Decamerone, Bari 1935; ID., La posizione del Decameron, in
La rassegna della letteratura italiana, VII (1957), pp. 189-207; L. RUSSO, Let-
ture critiche del Decameron, Bari 1956; E. AUERBACH, Frate Alberto, in ID.,
Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendlndischen Literatur, 1946 (trad. it.
Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino 1956, pp. 212-40); V.
BRANCA, Boccaccio medievale, Firenze 1956 (pi volte ristampato, e anche re-
centemente, 1990
7
, col titolo Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron);
G. GETTO, Vita di forme e forme di vita nel Decameron (1958), Torino 1972
3
;
V. KLOVSKIJ, Lettura del Decameron, Bologna 1969 (ora con il titolo Il Deca-
meron di Boccaccio, in ID., Lenergia dellerrore, Roma 1984, pp. 67-80; si veda
anche ID., La struttura della novella e del romanzo, in ID., Teoria della prosa, con
una prefazione inedita dellautore e un saggio di J. Mukarovsk, Torino 1976, pp.
73-99); T. TODOROV, Grammaire du Dcamron, La Haye - Paris 1969; M. BA-
RATTO, Realt e stile nel Decameron (1970), Roma 1984
2
; C. SEGRE, Funzio-
ni, opposizioni e simmetrie nella Giornata VII del Decameron (1971), in ID., Le
strutture e il tempo, Torino 1974, pp. 117-43, e ID., Comicit strutturale nella no-
vella di Alatiel (1972), ibid., pp. 145-59; G. PADOAN, Il Boccaccio, le Muse cit.;
A. ROSSI, Il Decameron. Pratiche testuali e interpretative, Bologna 1982; G.
BRBERI SQUAROTTI, Il potere della parola. Studi sul Decameron, Napoli
1983; V. RUSSO, Con le Muse in Parnaso. Tre studi su Boccaccio, Napoli 1983;
A. BALDUINO, Boccaccio, Petrarca e altri poeti del Trecento, Firenze 1984; G.
MAZZOTTA, The World at Play in Boccaccios Decameron, Princeton N. J.
1986; E. SANGUINETI, Lettura del Decameron, Salerno 1989 (si tratta di un cor-
so universitario svolto nellUniversit di Salerno nellanno accademico 1973-74;
come introduzione viene premesso il saggio Gli schemata del Decameron, ap-
parso in Studi di filologia e letteratura, II-III (1975), volume dedicato a V. Per-
nicone, pp. 141-53, per cui cfr. C. VAN DER VOORT, Convergenze cit. infra); F.
BRUNI, Boccaccio. Linvenzione della letteratura mezzana, Bologna 1990.
Sulle singole giornate e novelle i saggi e le interpretazioni sono, naturalmen-
te, infiniti. Citiamo, qui di seguito, soltanto quelli che abbiamo tenuti presenti di-
rettamente nel testo (cfr. anche i citati volumi di B. Croce, E. Auerbach, G. Get-
to, C. Segre, G. Brberi Squarotti): G. MAZZACURATI, Lettura della novella di
Alatiel (1972-73), in ID., Forma e ideologia, Napoli 1974, pp. 25-65; A. FREED-
MAN, Il cavallo del Boccaccio: fonte, struttura e funzione della metanovella di ma-
donna Oretta, in Studi sul Boccaccio, IX (1975-76), pp. 225-41; M. PASTORE
STOCCHI, Dioneo e lorazione di Frate Cipolla, ibid., X (1977-78), pp. 201-15; C.
VAN DER VOORT, Convergenze e divaricazioni tra la Prima e la Sesta Giornata
del Decameron, ibid., XI (1979), pp. 207-41 (a proposito del saggio di E. SAN-
GUINETI, Gli schemata del Decameron cit.); M. PICONE, Il rendez-vous
Letteratura italiana Einaudi
133
Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
sotto il pino Decameron, VII, 7), in Studi e problemi di critica testuale, XXII
(1981), pp. 71-85; L. Cuomo, Sillogizzare motteggiando e motteggiare sillogizzan-
do: dal Novellino alla VI Giornata del Decameron, in Studi sul Boccaccio,
XIII (1982-83), pp. 217-65; A. DURANTI, Le novelle di Dioneo, in AA. VV., Stu-
di di filologia e critica offerti dagli allievi a Lanfranco Caretti, I, Roma 1985, pp. 1-
38; P. M. FORNI, Zima sermocinante (Decameron , III, 5), in Giornale storico
della letteratura italiana, CLXIII (1986), pp. 63-74; ID., Retorica del reale nel
Decameron, in Studi sul Boccaccio, XVII (1988), pp. 183-202; R. MORABI-
TO, La diffusione della storia di Griselda dal XIV al XX secolo, ibid., XVII (1988),
pp. 237-85 (cfr. anche gli Atti del Convegno di studi (LAquila, 3-4 dicembre 1986)
su: La circolazione dei temi e degli intrecci narrativi: il caso Griselda, a cura di R.
Morabito, LAquila-Roma 1988); M. PICONE, Lautore allo specchio dellopera:
una lettura di Decameron I, 7, in Studi sul Boccaccio, XIX (1990), pp. 27-46;
G. INGLESE, Per Guido filosofo (Decamern VI, 9), in La Cultura, XXX
(1992), I, pp. 75-95. Si vedano anche i saggi raccolti in AA. VV., Boccaccio e din-
torni. Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, II, Firenze 1983 (in partico-
lare, ai fini del nostro discorso, C. DE MICHELIS, Contraddizioni nelDecame-
ron, pp. 95-109).
Sui problemi della cornice e della struttura, cfr. V. BRANCA, Coerenza ideale
e funzione unitaria dellIntroduzione (1960), in ID., Boccaccio medievale cit., pp.
31-44; C. MUSCETTA, Boccaccio cit., pp. 31-44; G. BRBERI SQUAROTTI, La
cornice del Decameron o il mito di Robinson (1970), in ID., Il potere della pa-
rola cit., pp. 5-63; G. MAZZOTTA, Plague and Play, in ID., The World at Play
cit., pp. 13-46; L. BATTAGLIA RICCI, Il libro, in ID., Ragionare nel giardino cit.,
pp. 17-44, e ID., La peste e la cultura della penitenza, ibid., pp. 45-96; L. SUR-
DICH, La cornice di amore. Studi sul Boccaccio, Pisa 1987; M. PICONE, Tre tipi
di cornice: modelli orientali e tradizione narrativa medievale, in Filologia e critica
, XIII (1988), pp. 3-26; ID., Preistoria della cornice del Decameron, in Studi di
italianistica in onore di Lanfranco Caretti, a cura di P. Chierchi e M. Picone, Ra-
venna 1988, pp. 91-104; F. BRUNI, Sui princip compositivi del Decameron, in
ID., Boccaccio cit., pp. 235-88.
Sui temi e sui filoni narrativi hanno, ovviamente, scritto un po tutti i critici e
gli storici elencati supra; nellapparato delle note abbiamo di volta in volta indica-
to i riferimenti pi cospicui e interessanti a punti specifici del testo. Indichiamo
qui di seguito alcuni altri lavori, che hanno indagato aspetti particolari delle te-
matiche decameroniane. Sui temi religiosi e sulla polemica anticlericale cfr. C. .
CUILLEANIN, Religion and Clergy in Boccaccios Decameron, Roma 1984.
Sugli aspetti magici M. COTTINO JONES, Magic and superstition in Boccaccios
Decameron, in Italian Quarterly, XVIII (1974-75), pp. 5-32 (cfr. anche ID.,
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Order from Chaos. Social and Aesthetic Harmonies in Boccaccios Decameron,
Washington D.C. 1982). Sui rapporti tra il Decameron e il mondo figurativo del
tempo cfr. limportante L. BATTAGLIA RICCI, Il Trionfo della Morte del Cam-
posanto vecchio, in ID., Ragionare nel giardino cit., pp. 97-161, e ID., Ragionare
nel giardino. G. Boccaccio e i Trionfi della Morte, ibid., pp. 162-78. Sul tema del-
la pestilenza, pi in generale, si veda M. MEISS, Painting in Florence and Siena af-
ter the Black Death, 1951 (trad. it. Pittura a Firenze e Siena dopo la morte nera, To-
rino 1982). Sulla presenza delle classi sociali nellideologia di Boccaccio e nelle te-
matiche del Decameron cfr. V. BRANCA, Lepopea dei mercatanti, in ID., Boccac-
cio medievale cit., pp. 134-64; G. PADOAN, Mondo aristocratico e mondo comu-
nale nellideologia e nellarte di Giovanni Boccaccio (1964), in ID., Il Boccaccio, le
Muse cit., pp. 1-91. Sul tema dei valori nel Decameron, cfr. M. BARATTO,
Realt e stile nel Decameron cit. (in particolare, il capitolo Orientamenti morali
del Boccaccio, pp. 49-68); G. MAZZOTTA, The Virtues: Ethics and Rhetoric, in
ID., The World at Play cit., pp. 2411-69; R. HOLLANDER, Utilit in Boccac-
cios Decameron, in Studi sul Boccaccio, XV (1985-86), pp. 215-33. Sul tema
del viaggio e della peripezia cfr. la tesi di dottorato di M. C. STORINI, Cavalieri,
santi e viaggiatori: avventura e peripezia nella prosa volgare del Medioevo, discussa
ed approvata il 21 giugno 1991, in corso di pubblicazione. Sui temi della localiz-
zazione e ambientazione geografica della spazialit narrativa, cfr. G. PADOAN,
Sulla genesi e la pubblicazione del Decamern (1977) e ID., La novella veneziana
del Decamern, in ID., I1 Boccaccio, le Muse cit., pp. 93-121 e 123-50; M.
COTTINO JONES, The city/country conflict in the Decameron, in Studi sul
Boccaccio, VIII (1974), pp. 147-84. Per la cultura erotica di Boccaccio impor-
tante, naturalmente, tener presente ANDREA CAPPELLANO, De amore libri
tres, a cura di E. Trojel, Copenhagen 1892 (ristampata e aggiornata a cura di W.
Bulst, Mnchen 1964); sul tema cfr. C. GRABHER, Particolari influssi di Andrea
Cappellano sul Boccaccio, in Annali della Facolt di Lettere [...] Universit di Ca-
gliari, XXI (1953), pp. 47-66. Sui temi amorosi, cfr. inoltre P. ORVIETO, Boc-
caccio mediatore di generi o dellallegoria damore, in Interpres, II (1979), pp. 7-
104 (che risulta essere, peraltro, una ricostruzione complessiva della cultura ero-
tico-letteraria fiorentina di fine Tre e Quattrocento); L. ROSSI, Il cuore, mistico
pasto damore: dal Lai Guirun al Decameron, LAquila 1983 (Studi proven-
zali e francesi, n. 82; ricostruzione della tradizione romanza del cuore mangia-
to, che alla base di Dec., IV,9); M. OLSEN, Les transformations du triangle ro-
tique, Copenhagen 1976, pp. 73-109; G. MAZZOTTA, The World at Play cit., pp.
131-85. Naturalmente, sul tema amoroso da tener presente C. S. LEWIS, The
Allegory of Love, 1936 (trad. it. Lallegoria damore. Saggio sulla tradizione medie-
vale, Torino 1969), che per non affronta direttamente Boccaccio.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Per quanto riguarda le fonti, bene innanzitutto avere presenti alcune edi-
zioni dei testi, dai quali Boccaccio pu aver tratto ispirazione, come abbiamo det-
to, per alcune delle novelle o per certi aspetti strutturali del suo Decameron. In
particolare: Il Novellino, a cura di G. Favati, Genova 1970 (ma cfr. anche lagile
raccolta Novelle italiane. I1 Duecento e il Trecento, a cura di L. Battaglia Ricci,
Milano 1982); J. BDIER, Les Fabliaux, Paris 1911
2
(cfr. anche P. NYKROG, Les
Fabliaux, Copenhagen 1957); Fabliaux. Racconti francesi medievali, a cura di R.
Brusegan, Torino 1980; Les Lais de Marie de France, a cura di J. Rychner, Paris
1983; Le mille e una notte, a cura di F. Gabrieli, Torino 1948; APULEIO, Le Me-
tamorfosi o LAsino doro, Bologna 1967 (libri I-IV, a cura di G. Vitali; libri VII-
XI, a cura di M. Pagliano). Validi, anche se invecchiati, i contributi positivistici di
M. LANDAU, Die Quellen des Dekameron, Stuttgart 1884, e G. GRBER, ber
die Quellen von Boccaccios Dekameron, Strasbourg 1913; sui motivi ricavati dalla
tradizione narrativa popolare cfr. S. THOMPSON, Motif-Index of Folk-Literatu-
re, Helsinki 1932 sgg., e D. P. ROTUNDA, Motif-Index of the Italian Novella in
Prose, Bloomington Ind. 1942. Nella nota introduttiva ad ognuna delle novelle
nelledizione Einaudi da lui curata, V. Branca indica di volta in volta leventuale
fonte. Sul complesso dei motivi, che partono dalle esperienze narrative preceden-
ti al Decameron, fondamentali restano i saggi raccolti in S. BATTAGLIA, La co-
scienza letteraria del Medioevo, Napoli 1965 (soprattutto per ci che riguarda Il
Novellino e lexemplum). Cfr. inoltre: H.-J. NEUSCHFER, Boccaccio und der
Beginn der Novelle, Mnchen 1969 (trad. it. in Il racconto, a cura di M. Picone,
Bologna 1985, pp. 299-312, silloge che peraltro costituisce da molti punti di vista
un utile punto di riferimento per quanti affrontino il problema delle origini della
novella occidentale); C. DELCORNO, Exemplum e letteratura tra Medioevo e Ri-
nascimento, Bologna 1990 (con limportante saggio Metamorfosi boccacciana
dellexemplum (1985-86), pp. 265-94); M. PASTORE STOCCHI, Un antece-
dente latino-medievale di Pietro di Vinciolo (Decameron, V, 10), in Studi sul
Boccaccio, I (1963), pp. 349-62; F. BRAMBILLA AGENO, Una fonte della no-
vella di Alatiel, ibid., X (1977-78), pp. 145-48. Sul filone della commedia elegia-
ca cfr. F. BERTINI, Una novella del Boccaccio e lAlda di Guglielmo di Blois, in
Maia, XXIX-XXX (1977-78), pp. 135-41; D. GOLDIN, Lettura dellAlda di
Guglielmo di Blois, in AA. VV., Studi di filologia romanza e italiana offerti a Gian-
franco Folena dagli allievi padovani, in Cultura neolatina, XL (1980), pp. 17-32;
ID., I1 Boccaccio e la poesia francese del XII secolo, in Studi sul Boccaccio, XIII
(1981-82), pp. 327-62. Sulla presenza di Apuleio nel Decameron, cfr. L. SAN-
GUINETI WHITE, Apuleio e Boccaccio. Caratteri differenziali nella struttura nar-
rativa del Decameron, Bologna 1977. Per i rapporti tra Boccaccio e Chaucer,
cfr. innanzitutto G. CHAUCER, The Canterbury Tales (trad. it. di C. Chiarini e C.
Letteratura italiana Einaudi
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
Foligno, I racconti di Canterbury, introduzione e note di A. Brilli, Milano 1985); e
poi Chaucer and Italian Trecento, a cura di P. Boitani, Cambridge 1985
2
.
Per la conoscenza della cultura boccacciana, molto importante A. MAZZA,
Linventario della parva libraria di Santo Spirito e la biblioteca del Boccaccio, in
Italia medioevale e umanistica, IX (1966), pp. 1-74.
Sui rapporti fra Dante e il Decameron: A. BETTINZOLI, Per una definizio-
ne delle presenze dantesche nel Decameron. I. I registri ideologici, lirici,
drammatici, in Studi sul Boccaccio, XIII (1981-82), pp. 267-326; ID., II. Iro-
nizzazione e espressivismo antifrastico-deformativo, ibid., XIV (1983-84), pp.
209-340; R. HOLLANDER, Boccaccios Dante: imitative distance (Decameron
I, 1 and VI, 10), ibid., XIII (1981-82), pp. 169-98; ID., Decameron: The sun ri-
ses in Dante, ibid., XIV (1983-84), pp. 241-54.
Sulle concezioni poetiche del Boccaccio, sulle Genealogie deorum gentilium,
Vita di Dante, ecc., cfr. : F. TATEO, Poesia e favola nella poetica del Boccaccio, in
ID., Retorica e Poetica fra Medioevo e Rinascimento, Bari 1960, pp. 67-204;
. GILSON, Posie et vrit dans la Genealogia de Boccace, in Studi sul Boc-
caccio, II (1964), pp. 253-82; G. MARTELLOTTI, La difesa della poesia nel
Boccaccio e un giudizio su Lucano (1967), in ID., Dante Boccaccio e altri scritto-
ri dallUmanesimo al Rinascimento, Firenze 1983, pp. 165-83; M. GUGLIELMI-
NETTI, Boccaccio in difesa di s e dei poeti, in ID., Memoria e scrittura. Lauto-
biografia da Dante a Cellini, Torino 1977, pp. 159-80; R. STEFANELLI, Boccac-
cio e la poesia, Napoli 1978; C. MSONIAT, Poetica Theologia. La Lucula
noctis di Giovanni Dominici e le dispute letterarie tra 300 e 400, Roma 1984;
M. PASTORE STOCCHI, Da Crisippo a Boccaccio, in Tradizione classica e let-
teratura umanistica. Per Alessandro Perosa, a cura di R. Cardini, E. Garin, L. Ce-
sarini Martinelli e G. Pascucci, I, Roma 1985, pp. 139-58.
Sugli aspetti stilistici e sintattici della prosa del Decameron cfr. V. BRANCA,
Strutture della prosa: scuola di retorica e ritmi di fantasia (1951); Registri struttu-
rali e stilistici; Tre nuovi studi sui procedimenti narrativi nel Decameron, in
ID., Boccaccio medievale cit., pp. 45-85, 86-133, 335-77; G. GETTO, Vita di for-
me e forme di vita nel Decameron cit.; C. SEGRE, Le strutture e il tempo cit.
Sugli aspetti linguistici e sintattici cfr. G. HERCZEG, Saggi linguistici e stilistici,
Firenze 1972. Sul livello del tragico, cfr. V. RUSSO, il senso del tragico nel
Decameron (1965), in ID., Con le Muse in Parnaso cit., pp. 11-88.
Sugli aspetti teatrali e spettacolari: M. BARATTO, Realt e stile nel Deca-
meron cit., pp. 239-322; G. PADOAN, Il senso del teatro nei secoli senza teatro,
in Concetto, storia, miti e immagini del Medio Evo, a cura di V. Branca, Firenze
1973, pp. 325-38; N. BORSELLINO, Decameron come teatro, in ID., Rozzi e
Intronati, Roma 1976
2
, pp. II-50; A. STUBLE, La brigata del Decameron
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Decameron di Giovanni Boccaccio - Alberto Asor Rosa
come pubblico teatrale, in Studi sul Boccaccio, IX (1975-76), pp. 103-17; L.
SANGUINETI WHITE, La scena conviviale e la sua funzione nel mondo del Boc-
caccio, Firenze 1983; P. D. STEWART, Retorica e mimica nel Decameron e nella
Commedia del Cinquecento, Firenze 1986.
Recentemente V. Branca ha iniziato, da solo e in quipe, unesplorazione si-
stematica delle interpretazioni visuali del Decameron, anche con scorrerie nel
campo delle arti figurative contemporanee e dei secoli successivi. Si veda qui di
seguito lelenco dei saggi comparsi negli Studi sul Boccaccio: V. BRANCA, P. F.
WATSON e V. KIRKHAM, Boccaccio visualizzato. I: Interpretazioni visuali del
Decameron (V. B.), II: Un primo elenco di codici illustrati di opere del Boccaccio
(V. B.), III: A preliminary list of subjects from Boccaccio in Italian painting, 1400-
1550 (P. W.), IV: A preliminary list of Boccaccio portraits from the 14
th
to the mid
16
th
centuries (V. K.), in Studi sul Boccaccio, XV (1985-86), pp. 85-188; V.
BRANCA, S. MARCON, P. F. WATSON e V. KIRKHAM, Boccaccio visualizzato.
II. 1. Un secondo elenco di codici illustrati. 2. Descrizione dei codici nelle bibliote-
che veneziane. 3. More subjects from Boccaccio in Italian Renaissance painting. 4.
Portraits of Boccaccio, ibid., XVI (1987), pp. 247-305; V. BRANCA, S. MARCON
e C. REYNOLDS, Boccaccio visualizzato. III. 1. Nuove segnalazioni di manoscritti
e dipinti (V. B.), 2. I codici di Verona (S. M.), 3. Illustrated Boccaccio Manuscripts in
the British Library (London) (C. R.), ibid., XVII (1988), pp. 99-181; V. BRANCA,
C. REYNOLDS e M.-H. TESNIRE, Boccaccio visualizzato. IV. 1. Ancora mano-
scritti figurati (V. B.), 2. Illustrated Boccaccio manuscripts in the British Library
(London). Additional list (C. R.), 3. Lectures illustrs de Boccace, en France, au
XV
e
sicle (M.-H. T.), ibid., XVIII (1989), pp. 167-280; V. BRANCA, Boccaccio vi-
sualizzato. V. 1. Ancora manoscritti figurati, 2. Opere darte autonome, ibid., XIX
(1990), pp. 209-II. Una prima sistematizzazione della ricerca in ID., Prime inter-
pretazioni visuali delDecameron (due lezioni tenute al Warburg Institute di
Londra e al Collge de France nel 1984), in ID., Boccaccio medievale cit., pp. 395-
432. Si veda anche P. VESCOVO, Ghismonda e i codici della pittura narrativa ve-
neziana, in Studi sul Boccaccio, XIX (1990), pp. 213-27.
Strumenti indispensabili di lavoro sono per i decameronisti le Concordanze
del Decameron, a cura di A. Barbina, sotto la direzione di U. Bosco, 2 voll., Fi-
renze 1969, e i benemeriti Studi sul Boccaccio, che dal 1963, sotto la direzione
di V. Branca, pubblicano pressoch regolarmente un volume allanno, ricchi di
studi, suggestioni e proposte.
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