You are on page 1of 11

Globalizzazione e mondo moderno

Lupo legge Bayly

Storica, nn. 43-44-45

Cristopher A. Bayly, La nascita del mondo moderno,


1780-1914, Einaudi, Torino 2007, pp. XLVI-659.
Presentiamo qui la traduzione italiana di un libro,
uscito in edizione originale nel 2004, di Cristopher Bayly,
studioso dellimpero britannico e dellIndia coloniale, direttore del Centre of South Asian Studies dellUniversit
di Cambridge. Sin dallintroduzione, Bayly ci comunica i
suoi intenti, propone concetti-base, prende le distanze da
pratiche storiografiche consolidate richiamandosi viceversa ad altre. Si ispira dichiaratamente al concetto di world
history, ovvero prova a leggere insieme eventi e strutture
(materiali o mentali) delle pi diverse parti del mondo,
ordinandoli secondo logiche comuni, e afferma: non
veramente pi possibile scrivere una storia europea o
americana in senso stretto, necessario leggere le storie nazionali, regionali e locali come un tuttuno (p. XX).
Non delinea modelli da mettere a confronto; si impegna
in una trattazione storica unitaria, globale. Lo fa con quello che lui stesso definisce una storia tematica (p. XIX)
che colloca la nascita del mondo moderno in un lungo
Ottocento, cominciando dal 1780 (ma non mancano gli
sfondamenti cronologici allindietro) per finire con la prima guerra mondiale.
Descriviamo larticolazione del volume. Dopo lintroduzione, un primo capitolo ragiona di Antico regime e globalizzazione arcaica, cio cinque-seicentesca;
mentre il secondo tratta dei percorsi che da quei punti di
partenza portano allultimo quarto del XVIII secolo, agli
albori della modernit. Seguono quattro capitoli organiz-

480

Contrappunti

zati lungo un filo cronologico, ma anche intorno a nuclei


tematici: Rivoluzioni convergenti (1780-1820); Tra le rivoluzioni mondiali (1815-65); Lindustrializzazione e la
nuova citt; Nazioni, imperi ed etnicit (1860-1900). Poi
la trattazione si fa tutta tematica. Lautore ragiona di stato
moderno, di idee politiche, religioni, arti e letteratura, di
crisi e ricostituzione delle gerarchie sociali, di distruzione
dei popoli nativi e saccheggio ambientale. In conclusione torna a farsi guidare dalla cronologia, descrivendo una
grande accelerazione che porta sino al Novecento.
Bayly fa proprio il termine globalizzazione negando ovviamente, sin dalla prima pagina, che un tale
fenomeno sia da datare dal 1945 come da tanti si pretenderebbe. Parte da una globalizzazione arcaica cinqueseicentesca per soffermarsi su quella del lungo Ottocento. Sa bene che la creazione di uniformit globali non
esclude asimmetrie globali, anzi mostra quelle nuove, e
pi accentuate, che si vengono a creare nel periodo che
ci interessa: ci dice di un pianeta ancora policentrico
alla met del secolo XVIII, di una supremazia occidentale fattasi schiacciante alla fine del XIX. Concorrono
ovviamente due aspetti. Il primo quello economico,
che lautore sintetizza in questi termini: se il prodotto
interno lordo pro capite in Europa occidentale e sulla
costa nord-americana, nel 1800, era al massimo doppio
rispetto a quello dellAsia meridionale e di poco superiore a quello della Cina costiera, il differenziale si era
decuplicato, o anche pi, un secolo dopo (p. XXI).
Il secondo quello politico-militare: nel 1780 la gran
parte dellAfrica o dellOceania era governata da indigeni, lImpero ottomano e quello cinese erano a pieno
titolo grandi potenze, mentre nel 1900 tutto il mondo si
trovava sotto il controllo diretto o indiretto dellOccidente, molti popoli indigeni erano stati espropriati delle
loro terre o sterminati, gli stessi antichi imperi orientali
si erano rivelati incapaci di reggere il confronto.
Per Bayly tutto vuole fare fuorch descriverci un
meccanismo unilaterale, e sempre insiste sul concetto del
feed-back. Ci mostra un mondo nel quale circolano velocemente le navi, i treni e le persone, ma anche le informazioni e le idee: in un circuito nel quale la posizione delle
periferie (ma lui restio a usare questo termine) non
cos marginale e non cos passiva. La modernit, spiega,

Lupo legge Bayly

481

prima di tutto unidea che coinvolge, e sconvolge, tutte


le parti del mondo, popoli avanzati e popoli arretrati
che vivono nello stesso mondo globalizzato, nello stesso
tempo. Un gran numero di individui, in luoghi tra loro remoti, leggono gli stessi libri, elaborano modelli interpretativi e di comportamento (privato e politico), formulano
risposte alle stesse domande, quelle della modernit.
Il XIX secolo stata lera della modernit proprio
perch un cospicuo numero di pensatori, uomini di stato
e scienziati che dominavano lordinamento sociale pensavano che fosse cos. Fu anche unet moderna perch i pi
poveri e subalterni, a livello mondiale, pensavano di poter
migliorare la propria condizione sociale e le proprie opportunit adottando i simboli di questa mitica modernit,
che fossero gli orologi da tasca, gli ombrelli o i nuovi testi
religiosi (p. XXXI).
Questa partecipazione attiva di individui e collettivit spiega perch il dominio occidentale sia stato molto
presto contestato con strumenti che qualcuno potrebbe
identificare con i valori occidentali stessi; ma che, per rispettare il punto di vista del nostro autore, dobbiamo
considerare come valori universali moderni. Discutendo
di nazionalismo, Bayly contraddice chi pensa si tratti di
una pianta nata su suolo europeo e solo dopo, eventualmente, acclimatatasi altrove. Riprende il noto argomento
di Benedict Anderson sulle Americhe come luogo ideale
di questo movimento, e lo radicalizza: il nazionalismo,
scrive, affior contemporaneamente in ampie parti
dellAsia, dellAfrica e delle Americhe (p. 231). Fedele al suo schema di circolazione planetaria delle idee, ci
mostra nazionalisti indiani trepidanti per gli irlandesi in
lotta contro il comune oppressore, impegnati a ragionare
delle teorie di Mazzini e delle imprese di Garibaldi. Ipotizza peraltro che alla met dellOttocento il sentimento
nazionale fosse forte in Giappone quanto in Germania e
pi che in Italia (p. 238). In effetti il Giappone rappresenta lantesignano di movimenti nazionalisti emergenti
tra i popoli di colore, la prima risposta efficace delle
antiche civilt asiatiche alla sfida europea: risposta che
parte da unidea di legittimit politica comune alle pi
diverse latitudini e che rivela lesistenza di fondamentali analogie tra almeno alcuni dei sistemi politici e delle
culture dellOttocento.

482

Contrappunti

Si tratta daltronde di un concetto proposto da Bayly


gi in riferimento al mondo pre-moderno. Questo libro,
che fa cos poche concessioni al concetto di modello occidentale, del tutto estraneo allidea della sua unicit/
irriproducibilit che promana dalla grande riflessione settecentesca di Montesquieu e viene volgarizzato nelle tante
declinazioni successive del concetto del dispotismo orientale. Bayly spiega come limperatore della Cina o il Gran
Moghul fossero anchessi subordinati, al pari dei loro
colleghi occidentali, a regole, usanze, criteri di giustizia
socialmente accettati; come dovessero bilanciare i diversi
interessi di comunit locali e religiose, come rispettassero
lautonomia di regni vassalli e di autorit periferiche di
varia natura.
Insomma, il problema della legittimit non era estraneo n a loro n alle lite imperiali n a quelle locali n
agli altri sudditi. La tesi in effetti molto convincente;
non si capirebbe altrimenti perch la prima resistenza al
colonialismo europeo si sia ispirata a quei modelli di sovranit. NellIndia settentrionale del 1857, al tempo della
grande rivolta dei cepoys, gli insorti cercarono lultimo
discendente della dinastia Moghul e lo rimisero sul trono. In Cina buona parte dellOttocento fu percorsa da
vani appelli a una rinascita dellimpero e dei suoi antichi
valori. appena il caso di aggiungere che loperazione
pseudo-tradizionalista riusc in Giappone con la cosiddetta restaurazione (o riforma, lo stesso) Meji.
Notevole la parte dedicata in questo libro alle religioni. Si tratta di un tema che molto spesso del tutto
assente dalla manualistica e dalle trattazioni generali. In
forza a un pregiudizio progressista tipico di molte correnti ideali e intellettuali sette-ottocenteschi, un gran
numero di storici hanno pensato e tuttora (magari solo
per coazione a ripetere e pigrizia mentale) pensano alla
religione come a un elemento residuale, in via di scomparsa nel mondo moderno. Ora, noi parliamo certamente dellet della scienza e della secolarizzazione, quella
in cui alcuni aspetti dellorganizzazione sociale si sono
emancipati da riferimenti diretti alla dimensione trascendente. Non per questo, per, la religione scomparsa.
vero, al contrario, che un gran numero di esseri umani, e
tutti i popoli, hanno conservato credenze di questa natura nellOttocento come nel Novecento, e le conservano

Lupo legge Bayly

483

tuttoggi. Il punto che la religione non rappresenta solo


una spiegazione pre-scientifica dei fenomeni naturali.
Non c bisogno di conoscere a fondo la letteratura antropologica per capire che la religione, come in generale
la cultura, svolge funzioni ben pi complesse, risponde
a bisogni permanenti degli individui di dare un senso al
proprio passaggio nel mondo.
Torniamo a Bayly, che punta non tanto a evidenziare
gli elementi permanenti quanto quelli nuovi, moderni,
globalizzati. I nuovi e aggressivi Stati e Imperi europei, accanto ai nazionalismi insorgenti fuori dallEuropa,
promossero spesso la religione come proprio marchio
identitario anche quando parlavano il linguaggio del liberalismo e della scienza. E la gente comune che traeva
vantaggi dalle rivoluzioni industriose, sia che si trattasse
di musulmani, cristiani o ind, davano risalto alla loro
fede, perch devozione e rispettabilit andavano a braccetto. Inoltre, il mondo nascente della stampa e della
sfera pubblica diede altrettanto impulso alle religioni
quanto ai principi astratti della filosofia e della politica
(p. 396). Le grandi religioni mondiali operarono per rafforzare la propria identit, standardizzarono credenze e
culti, invasero zone della vita sociale prima presidiate
dagli anziani delle trib e dalle consuetudini sociali (p.
403), crearono dogmi e sancirono infallibilit. Insomma
assunsero la forma omogenea e prescrittiva tipica dello
stato amministrativo moderno.
Il cattolicesimo si diede poi con un buon successo,
soprattutto nellEuropa meridionale, alla riconquista
post-rivoluzionaria del suo popolo, il protestantesimo
conserv negli Stati Uniti dAmerica il ruolo da protagonista che mai aveva perduto, e il cristianesimo in generale riemp il mondo di missionari. LIslam, sentendosi
minacciato, reag a sua volta accentuando compattezza e
rigore. Linduismo divenne una vera e propria religione,
da insieme disorganico di culti qual era, per contrapporsi
alla concorrenza al suo stesso livello. I cinesi cercarono
di trasformare in religione lantica filosofia confuciana.
In realt, le grandi religioni effettuarono una notevole
rinascita dopo il 1815, e in questo processo trasformarono se stesse e le societ in cui operavano (p. 402). Fecero questo accettando la sfida della modernit, adottando
i metodi e i fini della modernit.

484

Contrappunti

Veniamo a un altro punto interpretativo cruciale, da


Bayly stesso presentato come tale sin dallintroduzione.
Non pi possibile guardare alla rivoluzione industriale
come al motore immoto da cui secondo uno schema
marxista penetrato in profondo nella cultura storiografica
derivano, come un tuttuno, la Rivoluzione francese, la
democratizzazione americana, lo stato moderno, e tutte
le altre facce o manifestazioni della modernit di primo
Ottocento: se non altro perch a quella data lindustrializzazione era ai suoi inizi in alcune limitate aree del mondo,
e non poteva esercitare linfluenza supposta sul complesso
della societ. Quanto al tardo Ottocento, fu sicuramente let del capitale, ma anche questo periodo non pu
essere ridotto al capitale. Fu anche let dei nobili, dei
proprietari terrieri e dei preti e, in gran parte del mondo,
dei contadini (p. XXV).
Qui Bayly prende esplicitamente le distanze da
Hobsbawm
. Non per questo plaude, come si sarebbe potuto supporre, ad Arno Mayer e alla sua idea su La persistenza dellAncien Regime in Europa alla vigilia della prima guerra mondiale (si veda ad esempio p. 490). Infatti gli
interessa non la persistenza, ma la trasformazione, solo,
vuole leggerla in tempi pi lunghi, ricondurla a una pluralit di fattori, collocarla in una pluralit di luoghi, attribuirla a una pluralit di soggetti. Vuole uscire dai confini
del Lancashire, guardare oltre i sapienti meccanismi della
spinning jenny, sfuggire allinsistenza ossessiva sullaccoppiata borghesia-proletariato industriale.
Sul suo piano di storia generale, dunque in una certa
misura di alta divulgazione, Bayly riproduce qui una
linea interpretativa ormai molto consolidata tra gli studiosi. Cita pi volte il concetto di rivoluzioni industriose proposto da Jan de Vriers, stando al quale ad aprire la
strada alla modernit non fu una singola rivoluzione, ma
appunto varie rivoluzioni, non industriali ma industriose, ovvero manifatturiere, agricole, commerciali. Piccole
innovazioni tecnologiche si accompagnarono a mutamenti nella distribuzione delle merci e nei consumi materiali
della gente. Famiglie di contadini diventarono prospere
famiglie di fattori. Piccoli bottegai diventarono borghesi
di citt ad Amsterdam, a Malacca e a Fez. Essi aspiravano
a cibo e vestiti di miglior qualit, a un maggior prestigio
e a uno status pi elevato (p. XXV ma anche pp. 38-9 e

Lupo legge Bayly

485

passim). Questidea di una prima trasformazione economica moderna o immediatamente pre-moderna, in cui il
Massachusetts e la Cina meridionale vengono egualmente
coinvolti in un ruolo attivo, e non passivo, quella che pi
interessa al nostro autore.

Chi scrive ha molto apprezzato lo sforzo gigantesco


di Bayly di tenere insieme popoli e luoghi, argomenti e
suggestioni prestando ascolto a una storiografia aggiornata e raffinata. In alcune parti lanalisi molto brillante e
convincente. Il risultato senzaltro di grande interesse e
valore. Gli studiosi e gli studenti (purch di livello avanzato) se ne gioveranno molto.
Certo, non esiste world history che possa comprendere
tutto. Ogni sintesi di questa natura implica scelte forti: lascia fuori questioni di per s degne della massima
attenzione, e qualche volta rischia di inglobare in quadri
a unica tinta creature storiche che richiederebbero analisi
differenziate e specifiche.
Prendiamo le pagine in cui Bayly applica il concetto
di rivoluzioni industriose, che sono tra le migliori e pi
condivisibili del volume. Va detto veramente che luso del
termine rivoluzione, sia pure volto cos al plurale, indica il
peso persistente della tradizione che si vorrebbe superare:
meglio sarebbe rinunciare del tutto a questa parola che si
colloca in tuttaltro schema mentale, e parlare di innovazioni a grappolo, di combinazioni tra evoluzioni brevi e
lente, di progressi che conoscono pi di un momento di
regresso. In questo contesto sar possibile spiegare meglio
lintreccio tra industrializzazione e deindustrializzazione,
il collasso o viceversa la tenuta di alcune forme di artigianato o industria tradizionale, la stessa stratificazione
di diversi circuiti mercantili grandi o piccoli, la crisi ma
anche la ricostruzione delle gerarchie sociali, e alla fine gli
squilibri e le asimmetrie.
Con buona pace dei fedeli del Pil, credo sia pressoch
impossibile fornire per et pre-statistiche stime quantitative comparate della ricchezza individuale e collettiva in
diversi continenti. Veniamo dunque agli indicatori qua-

486

Contrappunti

litativi, stando ai quali a Malacca e a Fez, ad Amsterdam


e a Boston, le nuove economie (industriose, diciamo)
assumono modalit tra loro molto diverse, si sovrappongono diversamente alleconomia vecchia, danno insomma
risultati complessivi differenziati (magari opposti). Noi
restiamo convinti, con Bayly, dellesistenza di un circuito planetario unico gi tra Sette e Ottocento, e della sua
straordinaria importanza; per immaginiamo che esistano
pur sempre altri circuiti che interferiscono tra di loro e
con quello grande, in grado di determinare o confermare le differenze tra tipi di politica e societ, coesistenti
nello stesso tempo, ma in luoghi diversi.
Veniamo alla politica. In un brano che ho sopra citato, il nostro autore pretende che il nazionalismo si sia
affermato contemporaneamente in Europa, nelle Americhe, in Asia e in Africa. La tesi non argomentata, e non
risulta di per s convincente. Non basta per convincerci la constatazione dellesistenza di un circuito globale
delle idee, la collazione di testi che sostengono gli stessi
concetti e usano magari le stesse parole, se non ne conosciamo limpatto sociale e la ricezione collettiva. Molti di
noi avrebbero scommesso, prima di aprire il libro in questione, sulla radicale alterit tra la struttura della societ
in Europa e in Africa, avrebbero detto che il concetto
di opinione pubblica applicabile alluno e non allaltro
caso. Forse si tratta di un pre-giudizio. Bayly comunque
non d la possibilit di confermarlo o smentirlo.
Questo il problema maggiore di studi che maneggiano spazi (fisici e sociali) cos ampi ed eterogenei: hanno
difficolt a provare molte delle loro tesi perch mantengono uneccessiva distanza rispetto al loro oggetto, e alle
fonti necessarie per conoscerlo.
Prendiamo il capitolo terzo, Rivoluzioni convergenti
(1780-1820), nel quale si discute di una crisi mondiale e di
un indebolimento della legittimit dello stato che andrebbe dalla Francia alla Cina. Prendiamo il capitolo quarto,
Tra le rivoluzioni mondiali (1815-65), nel quale viceversa
si tratta del rafforzamento dello stato, delle guerre di legittimit in Asia, della rivoluzione europea del 48, della
guerra civile americana come evento globale. Limpressione che si tratti di accadimenti storici del tutto eterogenei, semplicemente riuniti in unico capitolo.

Lupo legge Bayly

487

La guerra civile americana come evento globale. In


effetti questo conflitto comport effetti planetari, una
fulminante oscillazione dei prezzi della materia prima
cruciale nella precedente ondata dellindustrializzazio
ne, un conseguente incremento della produzione di cotone in Egitto e in India, e qualche non irrilevante svolta
politica nel primo dei due Paesi. Quanto allo schiavismo, Bayly ci ricorda opportunamente che nel periodo
in questione era anchesso un fenomeno globale: sostiene anzi (con qualche esagerazione) che la prima met
dellOttocento ha probabilmente rappresentato lapogeo
del sistema schiavistico (p. 498), e cita i noti studi di
Fogel e Engermann sullefficienza di questo sistema di
produzione nel sud degli Stati Uniti. vero per che gli
americani sapevano bene quanto si ponessero fuori dal
mainstream della civilizzazione ottocentesca mantenendo quella peculiare quanto barbara istituzione nello
stesso luogo fisico e istituzionale in cui si celebravano i
diritti delluomo. La discussione e il conflitto che ne conseguono sono dunque in parte inquadrabili in una logica
globale ma per unaltra parte, direi maggiore, richiedono
analisi assai particolari. Labrogazionismo radicale del
nord e lo schiavismo al sud sono di certo il frutto di due
correnti ideali e di due modelli economico-sociali propri degli Stati Uniti, di una miriade di universi locali che
variamente reagiscono allidea della secessione. Non so
poi come si possa risolvere in termini di analisi globale
il tema della cultura politico-religiosa protestante, che
spaccandosi al suo interno in chiese locali e comunitarie rafforza sul medio periodo le identit contrapposte
di entrambi i contendenti; per poi fornirne unaltra agli
schiavi liberati, ma privi nel sud dellapartheid di ogni
diritto e istituzione comunitaria propria se non appunto quella delle loro chiese.
Convergenza o differenza? Si chiede lautore, rendendosi evidentemente conto del problema, in un apposito
paragrafo: laddove conclude che tocca alla world history
cercare le connessioni tra realt diverse, senn hanno ragione i cultori dei post-colonial studies e pi in generale
gli storici del frammento (pp. 184-5). Lattenzione al
cosiddetto frammento corrisponde per allo studio di situazioni storiche concrete, nel corso del quale fatti, gruppi umani e strutture, condizioni soggettive e condizioni

488

Contrappunti

oggettive dellesistenza, possono essere studiati individualmente e in maniera approfondita. Qui lo sguardo pu
arrivare pi in profondit, lo studioso pu trovare risposte pi credibili alla domanda: cosa si nasconde dietro parole quali borghesi, lavoratori, contadini, patrioti, ribelli,
possidenti, feudatari, banditi, schiavi, ricchezza, povert,
legittimit, ingiustizia?
Unultima notazione. Poco spazio riservato da Bayly allItalia, e nessun libro di storici italiani figura nella
sua bibliografia. Non gliene facciamo una colpa perch
sappiamo quanto poco la nostra storiografia conti nella
riflessione internazionale. Si consideri per questo brano: Nel 1870, sotto la guida di un Piemonte in via di
rapida industrializzazione e modernizzazione, lItalia si
unific definitivamente. [] Bench specialmente al Sud
i latifondisti vi mantenessero un grande potere, una piccola classe media industriale con proprie basi a Torino
e Milano, adottando consapevolmente il toscano come
lingua parlata, seppe dare al paese un certo grado di consistenza (p. 239).
Il Piemonte non assunse la guida del movimento nazionale per il suo livello di industrializzazione (lindustrializzazione non era nemmeno cominciata a quella
data), non so immaginare cosa si intenda per piccola
classe media industriale di Torino e Milano. Non questo il periodo in cui fu fatta la scelta del toscano come
lingua nazionale, e non comprendo comunque perch
mai questa scelta dovrebbe essere attribuita a una e non
a unaltra frazione regionale della classe dirigente della nuova Italia. Eppure Bayly sa, e scrive, che al 1870
llite dirigente, anche in Paesi pi avanzati dellItalia,
era composta da professionisti, notabili, possidenti, e in
una misura davvero modesta da industriali. Siamo evidentemente di fronte a una difficolt nel definire realisticamente i gruppi sociali-locali che va imputata alla
storiografia cui il nostro autore attinge, anche se a lui
va imputata una qualche mancanza di senso critico.
ironico che nella trattazione di un caso specifico, magari marginale, lo stereotipo dellindustrializzazione come
motore immoto della modernit riacchiappi anche lui,
cos impegnato a confutarlo in linea generale. Mi confermo nellidea che la relazione tra storia globale e storie
nazionali (per non dire delle storie locali) resti proble-

Lupo legge Bayly

489

matica, proponga difficolt di metodi e di fonti, richieda


nuovi sforzi di ricerca e interpretazione.
Salvatore Lupo

You might also like