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Per una sociologia impegnata nella realtà sociale / Por una sociología comprometida con la realidad social
Per una sociologia impegnata nella realtà sociale / Por una sociología comprometida con la realidad social
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Per una sociologia impegnata nella realtà sociale / Por una sociología comprometida con la realidad social

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Quanto viene proposto in queste pagine non è volto a creare un nuovo manuale di sociologia, ma a cambiare il modo non solo di “vedere” aspetti della vita sociale prima dimenticati o sottovalutati (come le relazioni tra mondi della vita e sistema sociale), ma anche di praticare il cambiamento della vita sociale per affrontare e risolvere i problemi in atto, spesso di difficile soluzione, affermando in definitiva il primato del benessere sociale (sia nella dimensione del Welfare che del Well-being). È questo un testo, in definitiva, che rappresenta un passo importante a cui devono seguire altri passi, per dare senso ad una sociologia “differente”.

El propósito de estas páginas no pretende crear un nuevo libro de texto de sociología, sino cambiar la forma en que «vemos» no solo aspectos de la vida social antes olvidados o subestimados (como las relaciones entre los mundos de la vida y el sistema social), sino también poner en práctica el cambio de la vida social para abordar y resolver los problemas actuales, que a menudo resultan difíciles de resolver, mediante la afirmación en última instancia de la primacía del bienestar social (tanto en la dimensión del welfare como del well-being). En definitiva, este texto representa un paso importante al que deberán seguir otros tantos, a fin de dar sentido a una sociología «diferente».
LanguageItaliano
PublisherHomeless Book
Release dateMay 5, 2022
ISBN9788832762273
Per una sociologia impegnata nella realtà sociale / Por una sociología comprometida con la realidad social

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    Per una sociologia impegnata nella realtà sociale / Por una sociología comprometida con la realidad social - Gianluca Piscitelli

    Presentazione

    di Everardo Minardi

    Una sociologia impegnata, comprometida, differente da quella a cui siamo abituati a riferirci nella attività di formazione e di ricerca, viene proposta - con una forte sollecitazione ad un approccio riflessivo - nei testi raccolti in questo Quaderno.

    Nel percorso che ci viene proposto viene proposta una rilettura del pensiero dei sociologi che ormai definiamo classici, in termini tali da leggere e comprendere in termini più esaustivi le elaborazioni teoriche e pratiche proposte da sociologi che hanno vissuto i processi e i drammi di una società che vive la sua modernità con drammatici eventi bellici e con una globalizzazione che rompe identità e appartenenze a culture, tradizioni normative e sociali, che aiutavano a costruire il senso di comunità, per molti aspetti disperso nella società post moderna.

    Sul contributo riflessivo di questi sociologi a noi contemporanei si avvia una sorta non di adattamento, ma di conversione della sociologia, da scienza dei sistemi e della loro regolazione sociale a conoscenza comprensiva dei processi sociali. La centralità di questi si manifesta infatti nelle crescenti tensioni tra le dimensioni soggettive e intersoggettive del micro e le dimensioni collettive, organizzative ed istituzionali del macro-sociale.

    Ci stiamo riferendo ad una sociologia, quindi, che si sente proiettata dentro ai social problems, non solo per la loro spiegazione, ma per una diagnosi che renda possibile il cambiamento degli stessi; quindi, una diagnosi che si traduca nella effettiva risoluzione dei problemi che, se incidono sulla funzionalità di mezzi e strutture sociali, producono effetti spesso disgreganti e conflittuali nella dimensione del micro-sociale.

    Una sociologia applicata, pratica, clinica sembra, perciò, trovare non tanto una sua giustificazione, quanto una sua legittimazione all’interno di un mondo sociale non più riconducibile alle regole di istituzioni e di organizzazioni sociali che obbligano i soggetti alle forme dei ruoli sociali, ma ai diversi contenuti relazionali (dalle emozioni ai comportamenti di ruolo) che si costruiscono nella dinamica di interazioni tra i mondi della vita e le strutture regolative della vita sociale.

    Intendiamo, quindi, riferirci ad una sociologia che non si riduce alla conferma dei suoi format logici, ma sia orientata a mettere in discussione le acquisizioni a cui è giunta attraverso una ricerca attiva e partecipativa; questa non si limita a misurare ed a rappresentare graficamente quanto avviene nel mondo sociale, ma coinvolge i soggetti che stanno al centro dei problemi sociali,coinvolgendoli per la loro soluzione; e ciò per produrre quel cambiamento sociale che è paradossalmente generativo della stessa vita del mondo sociale.

    I testi che vengono proposti in questo Quaderno sono caratterizzati, perciò, anche da linguaggi diversi che fanno riferimento a contesti sociali diversi. Si afferma la necessità di un confronto critico sul significato di una sociologia comprometida, con il contributo riflessivo di altri sociologi, prestando l’attenzione anche a casi particolari di vita sociale. Si può, quindi, mettere in evidenza il confronto tra testimoni di un fare sociologia in modo differente; e ciò per sottolineare le criticità del proprio lavoro, ma anche per evidenziare le innovazioni che si presentano con una lettura diversificata dei casi e dei fenomeni della vita sociale nella sua quotidianità.

    Quanto viene proposto in queste pagine non è volto, perciò, a creare un nuovo manuale di sociologia, ma a cambiare il modo non solo di vedere aspetti della vita sociale prima dimenticati o sottovalutati (come le relazioni tra mondi della vita e sistema sociale), ma anche di praticare il cambiamento della vita sociale per affrontare e risolvere i problemi in atto, spesso di difficile soluzione, affermando in definitiva il primato del benessere sociale (sia nella dimensione del Welfare che del Well-being).

    Un testo, in definitiva, che rappresenta un passo importante a cui devono seguire altri passi, per dare senso ad una sociologia differente.

    Capitolo 1

    Verso una sociologia plurale

    e applicata: la sociologia clinica

    AUTORI: Fernando de Yzaguirre García(1), Carlos Alberto Castillo Mendoza(2)

    (1) Universidad del Atlántico, de Barranquilla

    (2) Universidad Complutense, de Madrid

    CONTATTO: fdeyzaguirre@gmail.com

    Come citare il presente contributo:

    Yzaguirre, F. y Castillo#Mendoza, C.A. (2022). Verso una sociologia plurale e applicata: la sociologia clinica, in Quaderni di Sociologia Clinica, n. 29, pp. 9-47, Faenza, Homeless Book.

    1. Introduzione storica

    ¹

    Negli anni ’20 e ’30 del secolo passato, una serie di convergenze - storico-politiche e scientifiche - stimolano l’interesse per lo studio dei fenomeni di massa e i processi intersoggettivi. Non è certo un caso che è sempre in questo periodo che viene coniato, per la prima volta, il termine di ‘sociologia clinica’ negli Stati Uniti. Sarà proprio nel 1930, all’Università di Yale, che Milton Winternitz - patologo e decano della Facoltà di Medicina - scrisse una proposta per creare un dipartimento di sociologia clinica. Nello stesso anno, Abraham Flexner, direttore dell’Istituto di Studi Avanzati dell’Università di Princeton, menziona nel suo Universities: American, English, German la proposta avanzata da Winternitz.

    A titolo di curiosità, si dovrebbe sottolineare che non pochi dei primi sociologi nordamericani erano medici (oltre ai professori universitari), che tentavano di combinare nell’esercizio della loro pratica entrambi i ruoli. Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 ci furono sociologi clinici - come Louis Wirth, Harvey Zorbough o Leonard Cottrell - che lavorarono e diressero delle cliniche per bambini e tennero diversi corsi in cui formalizzarono la ‘sociologia clinica’.

    In questo stesso periodo, appaiono degni d’interesse i temi trattati dal neurologo James J. Putnam il quale sosteneva che è nelle relazioni sociali di ogni essere umano che la propria storia mentale è principalmente scritta ed è nelle sue relazioni sociali che, in via prioritaria, vanno cercate le cause dei disordini che minacciano la sua felicità e la sua efficienza, così come i mezzi per garantirsi la guarigione (Glassner e Friedman, 1985:13).

    Louis Wirth, sociologo appartenente alla Scuola di Chicago, scrisse un articolo dal titolo ‘Clinical Sociology’ pubblicato nell’American Journal of Sociology nel 1931, nel quale identificava la sociologia clinica come una delle più importanti branche della sociologia. Wirth considerava il sociologo clinico come un membro di una équipe terapeutica, responsabile di tre possibili attività: ricerca; docenza dell’approccio culturale a medici, psichiatri, psicologi e assistenti sociali; e sostegno a questi stessi professionisti con il ricorso alle storie sociali o mettendo in luce i problemi relativi alla comunità dei loro pazienti.

    Tuttavia, la prima volta che i termini ‘clinica’ e ‘sociologia appaiono vincolati in modo esplicito nell’ambito accademico è alla fine del secolo XIX in Spagna; i ‘sociologi clinici’ sono menzionati in una rivista scientifica da Rubio-y-Galì (1899), un importante medico chirurgo nato a Cadiz nel 1827, in un suo articolo da titolo ‘Clinica social’. Yzaguirre e Fernández-Cid (2017) analizzano nella rivista Psychofrenia i contributi di questi due lavori di Wirth e Rubio-y-Galì. Bisognerà attendere gli anni ’70 del secolo scorso affinché il campo acquisisca nuovamente l’attenzione del pubblico in generale e, soprattutto, dei sociologi. Lo sviluppo della sociologia clinica è stato dovuto in parte agli sforzi dell’Associazione di Sociologia applicata, che si trasformò nel 1978 nell’Associazione di Sociologia clinica. I direttori di questa associazione che seguirono si profusero in un grande sforzo di divulgazione e di formazione. In diversi lavori degli anni ’70 e ’80, negli Stati Uniti, la sociologia clinica viene definita come multidisciplinare, immersa in un campo umanistico che valuta e risolve problemi per mezzo dell’analisi e dell’intervento. Si credeva che l’uso sistematico della conoscenza sociologica fosse cruciale per la pratica clinica.

    A tal riguardo, possiamo introdurre una prima definizione di questa specializzazione: La sociologia clinica è l’attuazione di una varietà di pratiche applicate in una modalità critica finalizzata alla diagnosi e il trattamento sociologico dei gruppi e dei loro membri nelle comunità di riferimento (Glassner e Freedman, 1985:15). Per maggiori approfondimenti sul tema si rinvia a Fritz (2008) e, in particolare, a due paragrafi: il primo, sulla storia della sociologia clinica negli Stati Uniti, Quebec, Francia e Giappone; il secondo, dedicato alle sue diverse possibilità applicative.

    La sociologia clinica che qui tratteremo appartiene alla tradizione francese la quale, dalle sue origini, si iscrive nel sentiero tracciato dalla psicosociologia (Pagès, Palmade, Enriquez), ma anche dall’analisi istituzionale (Tosquelles, Oury), dalla socio-psicoanalisi (Mendel), dalla socioanalisi (Loureau, Lapassade), dalla psicoanalisi gruppale (Anzieu, Kaes) e dalla schizoanalisi (Deleuze e Guattari). Questa corrente, inoltre, riconosce l’importanza dei contributi degli studiosi nordamericani e, nel particolare, di quelli introdotti da Kurt Lewin, Jacob Lévy Moreno e Carl Rogers: molti di questi approcci condividono, a vari livelli, l’attenzione riguardo alle criticità legate al mettere in relazione la sociologia e il procedimento clinico.

    La sociologia clinica compare in Francia negli anni ’80 del secolo scorso. Nel 1988, a Ginevra, alcuni studiosi, dietro iniziativa di Robert Sèvigny, Gilles Houle, Eugène Enriquez e Vincent de Gaulejac costituiscono un gruppo di lavoro nell’ambito dell’Associazione Internazionale di sociologi di lingua francese. In tal modo, viene data continuità al cammino iniziato da Robert Sévigny e Jan Marie Fritz grazie ai loro sforzi per creare un gruppo di lavoro su questo approccio nell’ambito dell’Associazione Internazionale di Sociologia (I.S.A., International Sociological Association). Nel 1992, due gruppi vengono riconosciuti in termini di comitati permanenti di ricerca in entrambe le associazioni.

    Il primo ‘Colloquio di Sociologia clinica’ organizzato in Francia si terrà, sempre nel 1992, presso l’Université París VII, con il patrocinio del Laboratoire de Changement Social et Politique (LCSP). Si riuniscono più di 150 ricercatori provenienti da 15 paesi. Si costituisce così una rete internazionale che si svilupperà rapidamente. È una rete più che altro francofona e latina, con rappresentanti provenienti soprattutto dal Belgio, dalla Grecia e dall’Italia. Ma si è sviluppata anche in Messico, Brasile, Uruguay e Cile (Gaulejac e Yzaguirre, 2018). Dal 1992 si organizzeranno incontri in questi tre continenti, stimolando la produzione di molte pubblicazioni in francese, portoghese e spagnolo.

    Negli anni ’90, si instaurano i primi contatti in Argentina e quasi subito prendono avvio i ‘gruppi di implicazione e ricerca’ sulla storia familiare e la traiettoria sociale. Queste esperienze faranno emergere la consapevolezza dell’influenza dei lavori di Pichon Rivière sulla sociologia clinica, con particolare riferimento alla necessità di legare la prospettiva psicoanalitica alle problematiche socioculturali. Viene preso in considerazione il contributo indiscusso di Pichon-Rivière poiché il suo progetto era per molti aspetti similare a quello della sociologia clinica: sviluppare una vera psicologia sociale che riveli la relazione dialettica tra la struttura sociale e i fantasmi inconsci del soggetto, attraverso le relazioni di gruppo, nell’interfaccia tra lo psicosociale e il sociodinamico.

    Gli anni ’90 vedranno, poco alla volta, l’imporsi della sociologia clinica come un nuovo orientamento nell’ambito del campo delle scienze sociali, in particolare a partire dalle ricerche realizzate dal Laboratoire de Changement Social et Politique (LCSP) dell’Université París VII. Giovani ricercatori provenienti da diversi ambiti disciplinari scelgono di sperimentarsi in questo nuovo orientamento e cominciano a pubblicare i propri lavori; in tal modo si è giunti alla presentazione di più di venti tesi di dottorato in sociologia clinica.

    I principali lavori sono stati pubblicati nella collana Sociologie Clinique, prima a cura della casa editrice Desclée de Brouwer (16 lavori pubblicati) dal 1996 al 2002; e, successivamente, dall’ÉRÈS a partire dal ٢٠٠٢ (più di ٢٠ pubblicazioni). Tre eventi simboleggiano il riconoscimento definitivo della sociologia clinica in Francia: la fondazione dell’Istituto Internazionale di Sociologia Clinica a Parigi nel 2001; la creazione di una rete tematica di sociologia clinica in occasione della fondazione dell’Associazione Francese di Sociologia nel 2004; e, la creazione di un Master in Sociologia clinica e psicosociologia all’Università di Parigi VII - Denis Diderot - nel 2009.

    In questo contesto, vale la pena menzionare brevemente alcune esperienze relative all’emergere e allo sviluppo della sociologia clinica in Italia, Colombia e Spagna.

    Grazie al contributo di Everardo Minardi e Gianluca Piscitelli dell’Università degli Studi di Teramo, possiamo delineare una breve storia della sociologia clinica in Italia, dove i primi segni di rilevanza nel mondo accademico risalgono al 1992, quando il primo gruppo italiano di sociologia clinica fu istituito sotto la direzione del professor Francesco M. Battisti (Battisti e Tosi, 1995); e il professor Vincenzo M. B. Giorgino auspica la necessità di un approccio professionale applicato e clinico per lo sviluppo della sociologia.

    Attualmente, Giorgino è impegnato nell’approfondimento dell’integrazione tra la conoscenza contemplativa e la sociologia clinica (Giorgino, 2019). Negli anni ’90 ci furono anche diversi tentativi di riconoscere questo modo di fare sociologia applicata: il professor Leonardo Benvenuti dell’Università di Bologna fondò l’Associazione Italiana di Socioterapia (A.I.S.T.) e uno dei suoi studenti, Giuseppe Gargano, costituì l’Associazione Italiana di sociologia clinica (A.I.S.C.), oggi inattiva. A Napoli, il professor Massimo Corsale utilizzerà l’approccio clinico nelle scienze sociali nella sua attività di consulente presso il Ministero della Giustizia italiano e contribuirà a ridefinire il ruolo professionale del sociologo nel mondo contemporaneo (Corsale, 2000). Lucio Luison, da parte sua, svilupperà la mediazione sociale da una prospettiva socio-clinica (Luison, 2006).

    Nel 2006, grazie allo sforzo congiunto tra le associazioni professionali e il mondo accademico italiano, un importante traguardo verrà raggiunto con la creazione - prima esperienza al mondo - del Master universitario di II livello in Sociologia clinica. Questo Master si è svolto presso l’Università di Teramo sotto la direzione scientifica del Prof. Everardo Minardi; riguardo a questa esperienza, si rinvia a Minardi e Cifiello (2005) e a Piscitelli (2010, 2019). Tra le pubblicazioni più recenti del Prof. Minardi, due meritano di essere menzionate: Sociologia accademica e sociologia professionale e La costruzione dell’intervento sociale (Minardi: 2019a, 2019b). Attualmente la comunità italiana di sociologi clinici è rappresentata dal Laboratorio di Sociologia Pratica, Applicata e Clinica (www.sociologiaclinica.it), nato su iniziativa del Prof. Everardo Minardi e del Dr. Gianluca Piscitelli. Il laboratorio si occupa, tra l’altro, della pubblicazione di due collane editoriali: la QSC-Quaderni della Sociologia Clinica, dedicata alla conoscenza teorica della sociologia pratica, applicata e clinica; e OnTheRoad, che raccoglie e cerca di valorizzare le esperienze professionali dei lavoratori del sociale e degli operatori non accademici.

    Riguardo alla Colombia, è opportuno menzionare un’esperienza accademica interessante consistita nella creazione di una sorta di road map formativa in sociologia clinica, sviluppata nell’ambito del corso di laurea in sociologia della Facoltà di Scienze Umane dell’Universidad delAtlantico di Baranquilla (Yzaguirre, 2021:240-241). Questo percorso formativo è stato inaugurato nel 2015 con due corsi facoltativi erogati in maniera alternata nel tempo: ‘Sociologia clinica delle organizzazioni’, orientata a offrire una prospettiva critica e ad accompagnare il cambiamento nelle organizzazioni, attraverso il ricorso a delle pratiche di teatro-forum; e, l’altra Approccio socio-clinico e intervento psicosociologico orientato all’intervento sociale in gruppi e comunità vulnerabili, attraverso le pratiche di utilizzo delle storie di vita. Nello stesso anno, su richiesta degli studenti, fu creato il ‘Seminario di Sociologia clinica e dell’intervento psicosociologico’ (SOCLIP²) per la formazione, la progettazione e l’implementazione di interventi socio-clinici.

    Nel 2016, il ‘Diploma in Facilitazione Socio-clinica’ è nato per offrire una formazione specializzata nell’intervento sociale, in cui gli studenti svolgono delle pratiche animando dei seminari socio-clinici di implicazione, per rafforzare l’orientamento vocazionale degli studenti delle scuole superiori che si trovano in condizioni di vulnerabilità, un’esperienza che è stata pubblicato in un libro che ha avuto risonanza a livello internazionale (Yzaguirre et al, 2021a; Yzaguirre, 2021).

    Nel 2017 venne finanziato un progetto di ricerca-intervento orientato a prevenire l’abbandono degli studi universitari: Acompredes³, progetto nell’ambito del quale trentuno studenti che avevano superato gli esami relativi ai due predetti corsi, e partecipato al Seminario (SOCLIP), svolsero per sei mesi il proprio tirocinio formativo in qualità di facilitatori. Quattro di questi studenti, poi, hanno presentato altrettanti contributi in occasione del Congresso dell’ALAS 2017 sull’esperienza fatta con il già menzionato progetto.

    Grazie alla combinazione tra i corsi facoltativi, le attività del Seminario SOCLIP, il corso di laurea in Facilitazione; il progetto Acompredes per prevenire l’abbandono degli studi universitari e garantire la conclusione dei lavori di tesi di laurea che avevano a che fare con lo stesso progetto; si è venuto definendo un percorso formativo che ha funzionato in termini di ciclo propedeutico di specializzazione in sociologia applicata e intervento sociale proprio mentre, nella stessa Università, l’applicazione della conoscenza erogata per ridurre l’abbandono degli studi cominciava a esercitare i suoi effetti e si realizzavano programmi di sensibilizzazione universitaria a beneficio della comunità.

    Un altro obbiettivo raggiunto è stata la nascita dell’Associazione professionale SOCIOCARIBE: professionisti e ricercatori in sociologia clinica e intervento psicosociale del Caribe⁴,grazie a una dozzina di membri del SOCLIP già laureati; questa opera come una sorta di ‘società di consulenza sociale’ specializzata nell’ambito delle organizzazioni e a favore dei gruppi più vulnerabili. Nel corso di quattro anni è stato messo a punto un percorso teorico-pratico completo - specialistico nell’area dell’intervento socio-clinico - a conferma che è possibile formare in sociologia applicata gli studenti durante il loro corso di laurea fornendo, soprattutto a coloro che hanno difficoltà ad accedere ai master, una cassetta degli attrezzi più adeguata a posizionarsi nel mercato del lavoro (Yzaguirre, 2021).

    Per quanto riguarda la Spagna, tra i precedenti è da menzionare il corso estivo tenuto presso l’Università Complutense dal tema: Sulla sociologia clinica: teoria e pratica nelle scienze sociali (luglio 2007), organizzato dal Dipartimento di Psicologia Sociale della Facoltà di Scienze Politiche e Sociologia e dal Colegio profesional Nacional de Politólogos y Sociólogos. La collaborazione tra le due istituzioni si è riproposta dal 2012 al 2015, con la creazione del Seminario di Sociologia Clinica, sotto la direzione del professor José RamónTorregrosa. Vale anche la pena ricordare il Laboratorio di Ricerca in Sociologia Clinica della Escuela de RelacionesLaborales (Scuola di Relazioni Industriali, N.d.T.) della U.C.M. (Universidad Complutense Madrid), attivo dal 2006. Tuttavia, la creazione nel 2012 della Commissione di Sociologia Clinica del Colegio profesionalNacional de Politólogos y Sociólogos (COSOCLI), ha permesso l’instaurarsi di una comunità costituita da un gran numero di professionisti e accademici, interessati alle metodologie e alle opportunità professionali di questo approccio, alcuni dei quali hanno poi costituito l’Istituto di Sociologia Clinica La sfera. Nell’ambito del Colegio si è potuta realizzare un’esperienza applicata per sostenere chi stava facendo fronte ad uno stato di disoccupazione di lunga durata (Yzaguirre et al, 2021b). Infine, va ricordato che il RC46 (Research Commitee) dell’International Sociological Association, presieduto da Jan Marie Fritz, ha organizzato un incontro internazionale a Madrid, nel marzo 2013, con il titolo Clinical Sociology: Improving Lives and Communities through Analysis and Intervention.

    A conclusione del presente paragrafo, è opportuno ricordare gli importanti sviluppi della sociologia clinica negli ultimi due decenni in Messico, Brasile, Uruguay, Cile e Argentina (Gaulejac e Yzaguirre, 2018); oltre a citare la creazione, nel 2015, di una collana editoriale di sociologia clinica in spagnolo che conta ormai sei titoli⁵.

    2. Concezioni generali di sociologia clinica

    2.1. Introduzione

    Una caratteristica della sociologia clinica è quella di nutrirsi di una pluralità di correnti teoriche e metodologiche, oltrepassando le barriere disciplinari. Tra gli autori, le cui idee possono essere considerate alla base delle concezioni generali proprie della sociologia clinica, ricordiamo:

    Emile Durkheim e il suo riconoscere la necessità per il sociologo di studiare i fatti psichici e il fatto che, sebbene non si possa dire che la vita collettiva derivi da quella individuale, entrambe sono strettamente correlate e l’ultima facilita la spiegazione della prima;

    Marcel Mauss e la suaproposta di lavorare con l’idea dell’uomo totale, così come il riconoscere che i fenomeni sociali sono, allo stesso tempo, psicologici e sociologici, ossia relativi a delle scienze che per questo autore sono appartenenti all’antropologia;

    Sigmund Freud e, nel particolare, il suo Psicologia delle masse e analisidell’Io che, per Eugene Enriquez, è il testo da cui prende avvio la psicosociologia clinica, la scienza dei gruppi, delle organizzazioni e delle istituzioni;

    Wilhelm Reich e il suo proposito di connettere il marxismo e la psicoanalisi;

    Max Horkheimer e il suo interesse a studiare - attraverso la problematizzazione multipla e la combinazione di diverse metodologie - il rapporto tra la vita economica e la società, lo sviluppo psichico degli individui, e le sue trasformazioni nelle aree culturali;

    Georges Devereux e la sua etno-psicoanalisi;

    Norbert Elias e il suo modo di cogliere la complessità individuo-società, gettando un ponte tra la micro e la macrosociologia;

    Alain Touraine e la rivendicazione del soggettivo, dell’uomo come soggetto di soggettività, così come l’intervento sociologico;

    la ricerca-azione di Kurt Lewin;

    infine, i lavori di Max Pagès e lo sviluppo dei metodi d’intervento nelle imprese.

    2.2. Epistemologia

    Jacques Rhéaume (2005:55 e ss.) sottolinea che le scienze sociali e umane intrattengono una relazione particolare con il sapere e le sue condizioni di produzione. Il loro oggetto di studio non è inerte e sia il ricercatore sia il suo ‘oggetto’ di studio sono allo stesso tempo un soggetto e un attore sociale che condividono un mondo ad essi comune. L’impostazione clinica è particolarmente sensibile al problema di stabilire una relazione di uguaglianza fondamentale, a livello etico ed epistemologico, tra il ricercatore e il soggetto (oggetto della ricerca), entrambi soggetti di conoscenza.

    Nella pratica della sociologia clinica, tanto nel caso della ricerca quanto in quello dell’intervento sociale, adottando una prospettiva fenomenologica esistenziale e critica - propria di autori come Sartre, Merleau-Ponty, Castoriadis, Habermas o Giddens - ci imbattiamo in un’epistemologia pluralista attorno a quelle che possono essere definite come le ‘basi della conoscenza’. La conoscenza è l’attività che consente al soggetto-nel-mondo di realizzarsi alle migliori condizioni possibili; tale attività si basa sulla relazione dialettica tra i soggetti umani coscienti e il mondo in cui sono immersi. Ma questa soggettività cosciente non diviene consapevole di sé stessa e del mondo, se non nella pratica del dire e del fare, una mediazione necessaria per connettere i soggetti e il mondo.

    Rispetto alla visione dei fenomeni del mondo come cose inerti - fenomeni osservati e analizzati con tutta l’obiettività e l’esteriorità di cui è capace il ricercatore - c’è la visione del fatto sociale come risultato del fare e del dire, che considera l’esistenza di una relazione dialettica tra il soggetto e il mondo. Se così è, il pensiero e il sapere sono pratiche sociali.

    Il sapere, quindi, è dire e fare insieme, e si basa sulla relazione intersoggettiva tra i soggetti; e la conoscenza scientifica nelle scienze umane e sociali ha come oggetto, quindi, le relazioni interattive dei soggetti-nel-loro-mondo. Siamo tutti soggetti di conoscenza; il sapere è plurale. Come dice J. Rhéaume "une approche clinique en sciences humaines et sociales est soucieuse des sujets humains dans la production de la connaissance (…) L’expérience clinique est un levier de changement…" (Rhéaume, 2005:73)⁷. L’approccio clinico liberalizza il sapere mettendo in discussione la gerarchia dominante dei saperi, l’origine del potere e il dominio nelle relazioni sociali.

    Da parte sua, Barus-Michel (2004:8) sottolinea che ciò che è fondamentale nelle scienze cliniche umane non è l’oggettività dei fatti, ma i processi attraverso i quali i soggetti danno significato: "ce n’est pas l’objectivité des faits qui est l’essentiel en sciences humaines cliniques, mais les processus par lesquels les sujets donnent signification (ou y achoppent), à ce qu’ils tiennent pour des faits…"⁸.

    Torregrosa mostra il suo interesse per la sociologia clinica a partire dalla maggiore validità dei suoi presupposti epistemologici e ontologici rispetto a quelli che si configurano per la psicologia sociale… (Gaulejac e Yzaguirre, 2018:251). Come altri autori, egli intende il termine clinico in un ampio senso di produzione intenzionale di cambiamento personale, gruppale o comunitario. Torregrosa richiama l’attenzione sull’importanza che la scienza sociale prenda sul serio le implicazioni pratiche del corpus di conoscenze di cui dispone; e da qui il suo interesse per la dimensione pratico-interventistica proposta dalla sociologia clinica.

    2.3. L’impostazione clinica in Sociologia

    I fenomeni sociali non sono mai puramente sociali; sono complessi e multidimensionali. La sociologia clinica ha come scopo quello di sbrogliare i complicati nodi tra i determinismi sociali e quelli psichici nei comportamenti tanto degli individui quanto dei gruppi, così come le rappresentazioni che gli stessi si fanno dei propri comportamenti (Gaulejac, 1998a: 21).

    La clinica, come avremo modo di insistere in più di un’occasione, si situa vicino al soggetto, vicino al suo capezzale. Tutto ciò è già parte dell’etimologia della parola: clinico viene dal greco [klīn(ē) κλίνη gr. ‘lecho’ + -ik-os/-ik-ē gr. ‘in relazione con’]. Come osserva Taracena (2010:55) il metodo clinico aprì alla medicina la possibilità di dare la parola al paziente al fine di conoscere la sua sofferenza; da lì passò alla psichiatria, alla psicoanalisi, alla psicologia e, successivamente, ad altre discipline; o, detto in altri termini, "(…), la clinica, superando i limiti di un’accezione medica totalmente restrittiva, è diventata un metodo delle scienze umane, un approccio specifico della psicologia, della psicologia sociale e, infine, della sociologia" (Barus-Michel et al., 2009:98).

    La singolarità di questa prospettiva risiede principalmente nell’introduzione della procedura clinica che sollecita:

    all’ascolto dell’esperienza, il più vicino possibile, degli attori;

    a considerare che l’esplorazione della soggettività, conscia e inconscia, è necessaria per la conoscenza dei fenomeni sociali;

    a considerare che il ricercatore è coinvolto con i suoi oggetti di ricerca e che una delle dimensioni centrali dell’oggetto della sociologia è l’esplorazione della dimensione esistenziale delle relazioni sociali.

    Nella misura in cui consideriamo che i ‘fatti sociali’ non sono cose, conviene cercare di comprenderli tanto dall’esterno - come fenomeni che strutturano l’esistenza sociale degli uomini, la determinano e la condizionano - quanto dall’interno, nella misura in cui operano nel se stesso (riferito al singolo attore, N.d.R.).

    Questa interiorità del mondo sociale mette in discussione radicalmente le abituali equivalenze tra, da una parte, psicologia/interiorità/psichico e, dall’altra, sociologia/esteriorità/sociale. Il ‘sociale’ e lo ‘psichico’ si nutrono permanentemente l’uno dell’altro, in maniera indissociabile. Nella maggior parte dei casi, infatti, abbiamo a che fare con dei fenomeni socio-psichici.

    2.4. La questione del soggetto e la storicità

    La questione del soggetto è ineludibile. Non solo per riabilitare la figura di un soggetto cosciente, autonomo, trasparente a se stesso, dotato di libero arbitrio e padrone del suo destino; ma anche per cercare di comprendere il soggetto che cerca di emergere, nel dubbio, a fronte di molteplici contraddizioni e condizionamenti che hanno a che fare con i diversi modi in cui ci si può definire ‘soggetto’.

    Enriquez (Abels-Eber, 2006:15) osserva che la parola ‘soggetto’ si riferisce a due cose contraddittorie. Da una parte, essere padroni del proprio destino, ossia essere soggetto delle proprie azioni; dall’altra, essere soggetto a.

    Più precisamente, il soggetto non si riduce all’individuo, unità seriale e indivisibile, biologica, economica, senza una storia propria. I concetti di attore o agente sono da considerarsi lontani da quello di soggetto. L’agente si caratterizza univocamente per la sua funzione, i suoi compiti e le sue competenze. L’attore è un agente umanizzato, socializzato, che si avvicina a ciò che intendiamo per soggetto egli, però, gioca un ruolo su un certo scenario che non è il suo. Il soggetto, invece, ha molte dimensioni. È un’identità unica e singolare, con storia e storicità, dotata di proprie qualità, di interiorità e inconscio; con la nozione di intenzionalità ci imbattiamo nel soggetto fenomenologico, il quale dà senso all’esperienza. Il soggetto si proietta nel mondo, lo inventa e inventa se stesso. Allo psicosociologo interessa il soggetto sul piano clinico.

    Nella prospettiva clinica, il soggetto si manifesta come soggetto di enunciazione (parla) e d’intenzione (desidera), inscritto in un contesto spazio-temporale e sociale; è un progetto che cerca una singolarità significativa. Il soggetto aspira al significato; decodifica o costruisce un senso per dirsi ‘soggetto’. Cerca di essere l’autore della propria traiettoria di vita, riorganizzando le proprie ragioni, definendo i propri obiettivi, i fini e i valori. Il soggetto sociale ci conduce a una prospettiva clinica e alla dinamica dell’intersoggettività. Ogni soggetto partecipa alla elaborazione di un senso e un’identità collettivi che alimentano la propria unicità. (Barus-Michel et al, 2006: 258-265).

    La storicità è un concetto molto amato dalla sociologia clinica. L’individuo è prodotto dalla propria storia, sebbene ogni storia sia diversa ed iscritta, allo stesso tempo, in una storia comune. Quando prendiamo coscienza del modo in cui le nostre scelte sono condizionate dalla storia, possiamo arrivare a modificarle comprendendo fino a che punto siamo stati costretti a comportarci in quella certa maniera. L’individuo ha la capacità di auto-costituirsi come soggetto, di prendere distanza dalla propria storia e modificarne il senso; questa possibilità la rende possibile la storicità.

    La storicità è un concetto fenomenologico che consente di concepire la storia in modo dinamico e mette in relazione ciò che è accaduto con ciò che può accadere. Avere una storia - con la possibilità di integrarla - ti permette di fare una storia - e, quindi, investire sul futuro. Attraverso il romanzo familiare introduciamo nella nostra storia l’attività fantasmatica, la quale ci consente di costruire una storia.

    La storicità stabilisce la capacità di un individuo di integrare la propria storia. Sartre parla del soggetto che si storicizza operando un cambiamento nel suo rapporto con il mondo per costituire un ‘se stesso’, all’interno della dialettica della storicità esistente tra un diventiamo ciò che siamo e un è questo quello che siamo diventati. Non abbiamo una significatività assegnata una volta per tutte, ma significatività in corso (Gaulejac et al, 2005: 81-85).

    Con la sociologia clinica ci posizioniamo al crocevia di quattro universi.

    Primo: l’universo della società (cultura, economia, istituzioni), in cui l’individuo è un soggetto socio-storico che fa fronte a molteplici determinazioni, collegate al contesto al quale appartiene.

    Secondo: l’universo dell’inconscio, delle pulsioni, delle fantasie, dell’immaginario, dove l’individuo si confronta con il desiderio dell’altro, che contribuisce a costruirlo e/o assoggettarlo: l’altro, così, mi porta allo scoperto dinnanzi al mio proprio desiderio e, allo stesso tempo, mi pone di fronte al rischio di vedermi assoggettato al suo stesso desiderio.

    Terzo: l’universo cognitivo della riflessività, in cui l’individuo si costituisce soggetto di una parola che gli consente di affermare se stesso, di pensare, e che gli dà un certo dominio sul mondo, poiché fonda l’ordine simbolico che consente di effettuare una mediazione tra l’immaginario e il reale.

    Infine: l’universodell’azione, nella misura in cui il soggetto si rivela in ciò che produce, negli atti concreti che segnano la sua esistenza (corsivi nostri, N.d.R.).

    In virtù di tutto ciò, è opportuno precisare che il soggetto può emergere solo perché esiste la condizione di assoggettamento. I suoi margini di manovra non derivano da un’assenza di determinazioni ma, al contrario, dalla loro molteplicità ed eterogeneità. Il soggetto emerge per il fatto che queste forze polisemiche non vanno tutte nella stessa direzione. Di conseguenza, è portato a prendere delle decisioni, a scegliere, in quello spazio di indeterminatezza che viene a crearsi in ragione di tutte le contraddizioni che lo attraversano. Spetta al sociologo comprendere meglio l’insieme dei processi socio-psichici che costituiscono tale assoggettamento e i diversi modi in cui il soggetto reagisce per cercare di affrancarsene. L’accompagnamento in questo processo di soggettivazione è uno dei compiti del sociologo clinico.

    Comunque, ciò non significa che la clinica possa ridursi alla questione del trattamento o all’aiuto finalizzato a risolvere i problemi individuali o collettivi. I conflitti, di per sé, non sono nefasti né distruttivi. Sono l’espressione delle contraddizioni del mondo sociale e dei meandri dello psichismo. L’incapacità di affrontare questi conflitti è ciò che fa sorgere un problema. I metodi clinici sono costruiti per consentire al soggetto di analizzare questi conflitti, tentare delle risposte e cercare una mediazione tra queste stesse contraddizioni.

    Si tratta, quindi, di avvicinarsi il più possibile all’esperienza degli attori al fine di effettuare detta analisi e, elaborando insieme a loro delle possibili ‘risposte’, stimolare gli opportuni cambiamenti. Avviamo, in questo modo, un processo di durata indefinibile senza che questo giustifichi il cercare di ottenere dei risultati programmati. I risultati emergeranno lungo il cammino, nel processo stesso, poiché ogni fase apre nuovi possibili risultati che non possono essere previsti all’inizio. L’essenziale non risiede tanto nel momento culminante del processo, quanto nei contributi che il soggetto apporta nelle diverse fasi di esso. Di conseguenza, la prova è più focalizzata sulla qualità del processo implementato, che sul controllo ex post dei risultati. La rilevanza delle ipotesi prodotte viene misurata in relazione al modo in cui gli attori, coinvolti nei fenomeni studiati, le fanno proprie perché hanno un senso per loro.

    La coerenza del processo si controlla, inoltre, grazie all’attenzione prestata alla connessione tra conoscenza intellettuale e conoscenza sensibile, tra il registro della riflessione e il registro dei sentimenti. Il ritenere che le emozioni e i sentimenti debbano essere controllati, neutralizzati fino ad eliminarli perché apparterrebbero all’ordine dell’irrazionale, non è solo una presa di posizione limitata bensì comporta il privarsi di una dimensione essenziale dell’umano. Le emozioni sono gli orologi della soggettività (corsivo nostro, N.d.R.). Offrono indicazioni di un valore inestimabile sul modo in cui i fenomeni sociali vengono vissuti, sentiti, sperimentati. Sono una dimensione essenziale delle relazioni sociali, e occupano il centro stesso, sia dell’essere dell’uomo che dell’essere della società.

    La procedura clinica prende le distanze fino alla rottura con il metodo sperimentale, ossia con la posizione assunto dallo scienziato che si affida alle leggi per produrre un discorso di verità. La procedura clinica è concepita per favorire l’ascolto, l’empatia, la comprensione reciproca, la co-costruzione di ipotesi, il confronto tra i saperi teorici, pratici e derivanti dall’esperienza. La cornice nella quale si inserisce dove favorire il coinvolgimento e il distanziamento, l’analisi oggettiva e l’espressione soggettiva, l’analisi delle relazioni di transfert - tanto tra il ricercatore e il suo ‘oggetto’, così come tra i diversi interlocutori coinvolti - e avvicinarsi il più possibile all’esperienza, favorendo al contempo l’elaborazione di una riflessione concettuale in profondità.

    2.5. Oggetto e pratica della sociologia clinica

    La sociologia clinica presta un’attenzione particolare alle dimensioni individuali, personali, psichiche, affettive ed esistenziali delle relazioni sociali. Da qui l’importanza riconosciuta ai processi socio-psichici.

    Ma c’è una questione cruciale riguardo alla quale la sociologia non può cedere: quella della preminenza del sociale sullo psichico, o delle relazioni sociali sull’individuo. Va anche notato che questo non dovrebbe essere inteso come una presa di posizione normativa, per mezzo della quale si concederebbe più valore al sociale che allo psichico né, in definitiva, come la manifestazione di una volontà egemonica, un tentativo di esercitare la supremazia da parte del sociologo nella sua presunta lotta contro lo psicologo.

    La preminenza del sociale sullo psichico, in questo caso, significa semplicemente che le relazioni sociali preesistono rispetto agli individui che sono coinvolti e che sono prodotti al loro interno. Ma ciò non mette in alcun modo in discussione la capacità di trasformazione degli individui stessi, poiché la relazione non può essere pensata qui al di fuori di un principio di ricorsività (corsivo nostro, N.d.R.): ciò che viene prodotto diventa produttore di ciò che lo produce. In questo caso,

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