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INTRODUZIONE

C' un libro di filosofia che mi sempre piaciuto, fin da quando,


per la prima volta, me ne sono imbattuto al liceo. Non il libro pi
famoso del mondo, e probabilmente non nemmeno uno dei classici pi
importanti nella storia della cultura occidentale. Eppure, io l'ho sentito
"mio" fin dal primo momento, fin dall'et di sedici anni. Diceva cose
con cui io identificavo il mio modo di intendere la vita, e a cui mi sarei
adeguato sempre, e con la massima soddisfazione. Quel libro si intitola
De Ludo Mundi, il gioco del mondo, ed stato scritto nel 1460 da un
autore tedesco, il cui nome stato italianizzato in Nicola Cusano, o
Nicola da Cusa. Una frase, in particolare, mi rimasta indelebilmente
impressa nella memoria: quella che celebra il lavoro dell'intellettuale
come "serio ludere, et seriosissime iocari".
a questa massima, cos anacronistica nello stile di vita della
maggioranza degli "uomini illustri" (pensatori, studiosi, politici, gente di
spettacolo, critici, artisti) della nostra epoca, che ho voluto intitolare
questo libretto. L'ho fatto per ricordare ai miei futuri lettori che il
mestiere di pensare certo un mestiere nobile, certo una professione
che implica responsabilit sociale, certo un lavoro che deve spingere a
giudicare le cose che si studiano. Ma non vedo perch debba essere
svolto con sussiego, con senso di sofferenza fisica e morale, con spirito di
distanza dal mondo. Non vedo, insomma, perch, attuando l'arte del
commento e dell'interpretazione, non ci si possa e debba anche divertire, non si possa e debba anche far divertire.
C' un passo, nel libro di Nicola Cusano, che dovrebbe far riflettere. E che stato ripreso da tantissimi umanisti del Rinascimento. Vi si
tratta della questione del valore dei miti tramandati dai grandi scrittori
pagani dell'antichit classica. Si chiede il filosofo: dobbiamo considerarli
fonte di verit? La tradizione vorrebbe di no, visto che quelli sono
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pagani (cio nel falso per definizione) e noi cristiani (cio nel vero per
defimizione). La ragione, tuttavia, ci dice di s, visto che li troviamo
saggi, piacevoli, intelligenti. E allora, come la mettiamo? Ebbene, un
modo c'. Non li leggiamo alla lettera, ma per metfora. Se parlano di
cavalli alati, ninfe dei boschi, prodigi di deit bugiarde, non crediamo
all'esistenza di tutto questo. Ma se dietro le immagini fantastiche riconosciamo il vero, di questo terremo conto. E inseguiremo anche noi chimere, sirene e centauri, per gioco. Un gioco che ci faccia, tuttavia, pensare
seriamente.
Questo libro, certo, non si illude di compiere un'opera tanto audace
come quella degU umanisti del Rinascimento. Loro ritrovavano e legittimavano la grandezza del pensiero antico, lo, qui, propongo studi di cose
bizzarre: campioni senza valore. Mi diletto nel compiere analisi delle
Timberland e dello Swatch. Mi diverto nel ricordare la miglior trasmissione televisiva di tutti i tempi. Carosello. Inseguo interpretazioni dei
Peanuts. Mi interrogo sul funzionamento comunicativo della cernieralampo o del walkman. Ricavo una storia del cinema da come nei film si
accendono e si spengono gli interruttori della luce. Lo ammetto: non
Platone, non Orazio, non Ovidio. Eppure, io credo di fare, per
ischerzo ma seriamente, del lavoro interpretativo. Credo di produrre
degli exempla buoni per illustrare un metodo di ricerca. Credo di esercitarmi in una attivit che sempre interessante, quella di capire che cosa
possono voler dire e che cosa possono comportare ifenomeni pi curiosi,
strani, mitici della nostra vita nella societ di massa di oggi.
Autorevoli critici hanno di recente accusato i semiobgi (ai quali mi
vanto di appartenere) di "lesa intellettualit". Perch si occupano di
fenomeni futili, ai quali danno importanza con lo scientismo dei loro
metodi, e ai quali danno forse legittimazione, dato che li fanno prendere
per seri, e li introducono all'universit. Mi ribello a questa forma di
"ritorno all'ordine". E rivendico il diritto (se non addirittura il dovere)
di continuare ad essere mondani, cio vicini al mondo, vigili su quel che
11 mondo ci offre. Nonch il diritto (e di nuovo il dovere) di esemplificare i caratteri della disciplina che si esercita nel modo pi lieve, didascalico, ironico e autoironico che sia possibile. L'intellettuale che pensa solo
e soltanto ai Grandi Valori secondo me non un intellettuale: non
essendo capace di pensare in termini disincantati, divertiti, banali; non
essendo capace di trascorrere dall'astratto al quotidiano; non essendo
capace di vivere la vita comune, allora costui non serve. 1 Grandi Valori
non hanno senso, se non si vestono da tutti i giorni.
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