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L'IMPRENDITORE IN GENERALE
1. Impresa ed imprenditore nel sistema del codice civile e nel rapporto con le
norme costituzionali
L'imprenditore chi esercita professionalmente un'attivit economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art. 2082 c.c.). Occorre precisare,
preliminarmente, che impresa ed imprenditore costituiscono i pilastri del diritto
commerciale, dal momento che quella della societ la forma di esercizio d'impresa pi
diffusa, oltre al fatto che l'imprenditore quasi sempre controparte di contratti tipici ed
atipici, per non parlare della centralit che di fatto ha nell'ambito dei titoli di credito.
L'importanza data ad imprenditore ed impresa deriva addirittura dall'articolo 41 Cost.,
che la definisce libera e ne impedisce lo svolgimento se in contrasto con valori
social-esistenziali; tale articolo in realt inserito nel pi ampio ambito del Titolo
"Rapporti economici", che negli artt. 43, 45, 46, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 42, 47 Cost. cita
imprenditori ed impresa in materia di attivit economica e di rapporti di lavoro,
compresa la tutela dello stesso.
In definitiva, i principi pi importanti in questo ambito restano quelli dell'art. 41 Cost.:
libert d'iniziativa economica e compatibilit con l'utilit sociale; da questi due derivano
importanti corollari:
a) la libert d'iniziativa economica implica quattro libert: (i) di intraprendere l'attivit di
impresa, (ii) di svolgerla senza condizionamenti e (iii) di cessarla senza interferenze e
(iv) di agire in libera concorrenza. Per garantire l'effettiva attuazione di questi principi
esiste, dal 1990, un'autorit che previene fenomeni di monopolio di fatto,
concentrazioni, abuso di posizione dominante etc.;
b) inoltre, se da una parte l'idea di utilit sociale costituisce un limite pratico alla libert
di inziativa economica, dall'altra le leggi che dal principio costituzionale promanano
attraverso il legislatore dovrebbero condurre verso un maggiore benessere collettivo,
oltre a sollecitare le imprese a prevenire situazioni di disagio che esse stesse
contribuiscono a creare;
c) il terzo comma, infine, delinea le finalit sociali del coordinamento e
dell'indirizzamento dell'attivit economica da parte delle istituzioni pubbliche.
2. Nozione economica e nozione giuridica d'impresa. La "realt globale"
dell'impresa: imprenditore, attivit, azienda
La figura dell'imprenditore come concetto economico, prima che giuridico, consiste in
uno dei soggetti che concorrono ad organizzare la produzione e dunque a distribuire
ricchezza.
L'art. 2082 c.c. definisce l'imprenditore, pur definendo al tempo stesso l'impresa: tale
articolo si configura quindi come la definizione generale di entrambi gli istituti di impresa
ed imprenditore. Pi precisamente l'impresa, in qualit di fattispecie produttiva di effetti
giuridici, presuppone l'imprenditore, il quale costituisce un riferimento giuridico di tipo
soggettivo in ordine ad alcuni di quegli effetti e nell'ambito di essi.
Da questa norma definitoria, che pone quasi specularmente la figura dell'impresa e
dell'imprenditore, si dipana una disciplina che analizza l'impresa nei suoi vari aspetti di
rilevanza giuridica, senza che ne risenta la propria unitariet: infatti l'impresa colta nella
sul piano della giustizia sostanziale ci fa salvo il principio secondo il quale solo i terzi
devono valutare, con diligenza, l'opportunit di trattare di questioni patrimoniali con un
certo soggetto (in questo caso necessariamente l'imprenditore palese, per propria
stessa natura).
Nonostante dunque la responsabilit giuridica rifletta tendenzialmente il rischio
economico, esso da solo non qualifica l'imprenditore e nemmeno sufficiente
acciocch sorga responsabilit giuridica: sia perch possibile, in qualit ad esempio di
socio, sopportare un rischio senza porre in essere attivit di impresa, sia perch deve
esserci un certo meccanismo giuridico di imputazione di responsabilit in relazione al
compimento di atti, che in questo caso deve eludere i casi di assenza di rischio
economico per l'imprenditore palese, che comunque pone in essere atti giuridici.
Altre correnti propongono meccanismi diversi di impuazione della responsabilit per gli
atti compiuti, rivisitando anche la qualifica stessa di imprenditore e la responsabilit per
l'esercizio dell'impresa.
A) La spendita del nome non pu essere l'unico criterio di imputazione, con la
conseguenza che la paternit dell'agire viene attribuita solo all'autore effettivo dell'atto,
indipendentemente dal nome che spende nelle relazioni giuridiche intrattenute. Dunque
imprenditore non chi consente l'uso del proprio nome, ma chi agisce in nome altrui:
cfr. la c.d. ditta derivata.
B) La qualifica di imprenditore spetta al soggetto il cui nome speso, il quale,
congiuntamente al soggetto (o ai soggetti) nel cui interesse l'attivit svolta, risponde
delle obbligazioni societarie: ci deriva dalla correlazione tra potere di direzione
d'impresa e responsabilit patrimoniale (artt. 2257, 2267, 2291, 2318 c.c.)
C) Dal momento che la procedura fallimentare espone alle medesime responsabilit
patrimoniali sia soci palesi che occulti (a prescindere dal principio della spendita del
nome) sembra ragionevole considerare imprenditore sia il soggetto il cui nome speso,
sia il soggetto che del primo si avvalso nell'esercizio dell'impresa. E' previsto il
"fallimento di socio occulto di societ palese", ma anche il "fallimento di socio occulto di
societ occulta", quando fallisca una societ palese dietro la quale se ne celi una
occulta. Risulterebbe responsabile quindi chiunque eserciti di fatto un'impresa di cui non
formalmente titolare.
Le obiezioni adducono l'assenza di attribuzione al prestanome dominus, da parte della
disciplina societaria e fallimentare, di responsabilit connesse all'esercizio di attivit di
impresa:
in quella societaria non c' infatti connessione tra potere di gestione e responsabilit
illimitata, dato che il complesso di soci finanziatori risponde delle obbligazioni, anche
non possedendo i poteri di gestione (artt. 2257, 2259, 2291 c.c. e, per le societ di
capitali artt. 2325, 2462 c.c.); nell'ambito delle societ di capitali, l'autonomia
patrimoniale perfetta pone il socio responsabile del solo capitale sociale, senza che
l'essere unico socio costituisca una deroga al principio di autonomia patrimoniale;
in quella fallimentare anche, per parit di trattamento tra soci occulti e soci palesi
nell'ambito del fallimento della societ, non si rinviene un'esenzione di responsabilit
per il titolare che si avvale del nome altrui, dal momento che ha una partecipazione
sociale. Infatti questa parit di trattamento tra soci palesi e soci occulti, apparentemente
fuorviante rispetto alla scissione tra potere di gestione e responsabilit patrimoniale che
possibile rinvenire nella disciplina societaria, sottost alla condizione che chi venga
assoggettato al fallimento abbia partecipazioni nella societ.
La ricerca di criteri diversi di imputazione dell'impresa, per quanto discutibili,
contribuiscono ad evitare fenomeni di abuso di interposizione.
A tale proposito la giurisprudenza, salvi i requisiti dell'art. 2082 c.c., considera come
autonoma impresa commerciale l'attivit con la quale un azionista c.d. "tiranno" abusi
della propria posizione favorendo i propri interessi con comportamenti tipici, agendo
come fosse socio unico, mediante la gestione della societ nell'ambito della quale
possiede una partecipazione. Si tratta di una scissione tra societ originaria e la societ
di fatto c.d. "fiancheggiatrice" che ha nella propria ragion d'essere il comportamento
dell'azionista tiranno. Costui, diventando cos titolare di un'impresa autonoma e distinta
dalla societ originaria, responsabile delle obbligazioni che contrae ed esposto alla
possibilit di fallimento anch'esso autonomo.
Se da una parte questo tutela gli altri azionisti della societ originaria, non senza
ripercussioni patrimoniali negative, la tutela dei creditori limitata a coloro i quali,
vantando titoli di credito nella societ fiancheggiatrice, possono insinuarsi nel suo
fallimento traendone vantaggio; d'altra parte, l'idea di societ fiancheggiatrice come
impresa commerciale autonoma tende a scoraggiare fenomeni di abuso o di uso
distorsivo degli strumenti societari.
6.1. L'imputazione dell'attivit d'impresa, con riferimento alla "veste" esterna del
soggetto che la esercita: gli statuti dell'imprenditore. L'impresa senza
imprenditore
Dato che sia persone fisiche, che persone giuridiche, che entit non riconosciute dalla
legge possono essere imprenditori, opportuno precisare che, oltre alla disciplina che
ha ad oggetto l'esercizio dell'attivit di impresa, esiste anche quella che ha ad oggetto il
tipo di imprenditore e dunque la veste con la quale viene esercitata l'attivit d'impresa.
Possono infatti esservi imprenditori "in generale", tra cui imprenditori agricoli,
imprenditori commerciali e piccoli imprenditori; cfr. artt. 2093, 2201 c.c..
Da ricordare che la qualifica imprenditoriale associata alla professionalit prescinde dal
carattere meramente prevalente o esclusivo dell'attivit.
Quando in un'impresa esistono i soli profili oggettivi, l'argomento dell'imputazione
dell'impresa contempla la figura dell'impresa senza imprenditore, per la quale
applicabile la dusciplina dell'azienda e della concorrenza, nella quale rientrano: enti
pubblici, associazioni o fondazioni che esercitano attivit d'impresa occasionale; attivit
d'impresa esercitata dall'incapace o dal rappresentante non autorizzato; o da entit
prive di soggettivit giuridica piena, come i minorenni.
Ma tale spersonalizzazione giuridica pu essere rinvenuta anche nelle grandi imprese:
sia per la quasi onnipresente separazione tra propriet e controllo, sia per il mutamento
continuo dei portatori di interesse (azionisti) senza il contemporaneo mutamento
dell'impresa o dell'imputazione della stessa: ci un notevole punto di arrivo,
specialmente in relazione al concetto di imprenditore. Se quest'ultimo non coincidesse
(anche con) il portatore del potere di gestione, la spersonalizzazione sarebbe
praticamente la regola, nella grande impresa quotata.
6.2 L'imputazione dell'attivit d'impresa e la pluralit di attivit d'impresa e di
radiotelevisive).
Un tempo si profilava inoltre la distinzione tra imprese soggette a registrazione nel
registro delle imprese ed imprese non soggette a registrazione nel registro delle
imprese. Questo perch la nuova disciplina rende insensata tale distinzione, oltre ad
obbligare imprenditori non piccoli, s.n.c., s.a.s., s.p.a., s.a.p.a., s.r.l., societ cooperative
ed enti pubblici aventi ad oggetto esclusivo o prevalente un'attivit commerciale. Si ha
inoltre un'apposita sezione che accoglie imprenditori agricoli, piccoli imprenditori,
societ semplici e imprese artigiane.
7.1. ... con riguardo all'attivit esercitata. L'impresa agricola e la sua
identificazione. Le attivit agricole principali
Le norme che interessano l'istituto dell'impresa agricola sono quelle contenute negli artt.
2135,...,2140 c.c., mentre fino all'art. 2187 c.c. sono trattati i contratti associativi in
agricoltura. Solo dal 1942 applicabile all'impresa agricola, oltre al proprio statuto,
anche quello dell'imprenditore in generale. Anche rispetto a tale versione orginaria, dal
maggio 2001 la disciplina dell'imprenditore agricolo stata oggetto di ulteriori modifiche.
Del vecchio impianto rimasta la definizione di imprenditore agricolo e la distinzione tra
attivit agricole principali e connesse (rispettivamente 1 e 3 commi dell'art. 2135 c.c.),
distinzione che non esclude le seconde dall'orbita normativa dell'imprenditore agricolo:
questo consente all'imprenditore agricolo di diversificare, entro certi limiti, la propria
attivit pur non perdendo la qualifica giuridica di imprenditore agricolo.
Le attivit principali elencate nell'art. 2135 c.c. sono accomunate dall'essere, almeno
potenzialmente, esercitate in rapporto con il fondo.
A) L'impresa di coltivazione del fondo non pu risolversi nella mera raccolta dei frutti
naturali del suolo, ma deve assumere i caratteri di un'attivit di produzione dei beni,
facendo s che il fondo costituisca un fattore produttivo, indipendentemente dalle
modalit tecnico-organizzative con le quali si esplica. Dunque considerata attivit di
coltivazione del fondo quella vivaistica, purch il fondo non sia solo strumento di
conservazione dei vegetali, ma non quella del giardinaggio, dal momento che il fondo
rimane estraneo al complesso aziendale, e nemmeno quella della coltivazione in
soluzioni chimiche, avendosi la massima asportabilit.
B) Analogamente per la selvicolura, nell'ambito della quale la raccolta del legname
rientra solo se non si tratta di un'attivit disgiunta dalla coltivazione del bosco.
C) La locuzione "allevamento di animali" sostituisce quella "allevamento di bestiame"
dal 2001. Se per "bestiame" si faceva riferimento alle speci animali adibite alla
produttivit del fondo, per "animali" si intende ora qualsiasi attivit zootecnica che sia
caratterizzata dallo sfruttamento del fondo rustico, senza che siano esclusi animali
esotici o speci pi desuete.
Dal 2003 considerato imprenditore agricolo professionale (IAP) chi, avvalendosi di
specifiche competenze professionali previste per legge, impieghi e ricavi almeno il 50%
di tempo e lavoro nell'attivit agricola che, con le competenze adeguate, svolge:
l'accertamento di ci spetta alle regioni, fatto salvo il diritto di verifica demandato da
parte dell'INPS ai soli fini previdenziali. Tale disposizione contiene l'obbligo di
riferimento alla stessa per ogni riferimento legislativo alla figura dell'imprenditore
agricolo.
Se fuori dubbio che dal 2001 si ha uno statuto pi ampio, anche vero il suo carattere
di disorganicit, dal momento che mette addirittura in discussione i criteri di distinzione
tra impresa agricola ed impresa commerciale.
cfr. libro pag 33
7.1.4. L'imprenditore ittico
Tra le attivit di allevamento di animali, che costituiscono forme di impresa agricola,
rientra anche l'itticoltura, ossia l'attivit di allevamento di specie animali acquatiche.
L'imprenditore ittico, equiparato a quello agricolo, non dedito all'allevamento, ma
all'esercizio, in forma singola, associata o societaria, dell'attivit di pesca professionale
diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri e
dolci, comprese attivit connesse. Le attivit connesse devono essere esercitate in
maniera non preminente e mediante attrezzature normalmente impiegate nell'attivit
ittica principale. Si fa riferimento a: pescaturismo, ittiturismo, distribuzione all'ingrosso.
7.1.5. L'agriturismo
Sono attivit agrituristiche "le attivit di ricezione e di ospitalit esercitate dagli
imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 c.c., anche nella forma di societ di capitali o
di persone, oppure associati tra loro, attraverso l'utilizzazione della propria azienda in
rapporto di connessione con le attivit di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di
allevamento di animali". Possono collaborare i familiari, ma anche lavoratori estranei,
purch siano considerati lavoratori agricoli.
Rientrano tra le attivit agrituristiche: a) dare ospitalit in alloggi o spazi aperti destinati
alla sosta dei campeggiatori; b) somministrare pasti e bevande realizzati con prodotti
propri o di aziende agricole della zona; c) organizzare degustazioni di prodotti propri; d)
organizzare, anche all'esterno dei beni fondiari dell'impresa, attivit ricreative, culturali,
didattiche, di pratica sportiva, escursionismo ed ippoturismo.
7.2. L'impresa commerciale e la sua identificazione
In relazione alla natura dell'attivit esercitata individuiamo la categoria dell'imprenditore
commerciale. Tale figura identificabile attraverso un particolare statuto normativo, ma
non gode di una definizione univoca, esistendo invece solo l'art. 2195 c.c., che elenca
gli imprenditori soggetti a registrazione. Infatti non ha pi senso effettuare questa
distinzione, visti i recenti provvedimenti legislativi e regolamentari che hanno "attivato" il
registro.
Definiamo le imprese commerciali in negativo come tutte le attivit d'impresa
riconducibili all'art. 2082 c.c., con l'esclusione degli imprenditori agricoli. Tale definizione
non tiene conto dell'imprenditoriato civile, oltre ad altre lacune che lasciano aperta la
questione sull'individuazione delle attivit commerciali.
Per quanto riguarda la (pur non corretta) rubrica dell'art. 2195 c.c., l'obbligo di iscrizione
previsto per:
1) le attivit industriali, ossia quelle dirette alla produzione di beni o di servizi mediante
un processo produttivo che, mediante l'implementazione organizzata di lavoro umano e
capitale (in senso lato), trasforma materie prime in nuovi prodotti. L'aspetto
dell'organizzazione esclude i liberi professionisti.
2) Le attivit commerciali, ossia quelle intermediarie nella circolazione e nella
manipolazione dei beni, intendendo con "manipolazione" attivit che non trasformano i
beni ma li catalogano, classificano, scelgono.
3) Le attivit di trasporto, cio quelle che realizzano il trasferimento di persone e/o cose
da un luogo ad un altro, per terra, per acqua o per aria. Nonostante sia un'attivit
essenzialmente accessoria a quella industriale, l'importanza che ricopre, soprattutto per
quanto riguarda il trasporto di persone, fa s che venga considerata autonoma.
4) Le attivit bancarie;
5) le attivit assicurative;
6) le attivit ausiliarie delle precedenti, ossia attivit che ne agevolano lo svolgimento o
che comunque risultano ad esse complementari.
7.2.1. Lo statuto dell'imprenditore commerciale
A) Obbligo di registrazione nel registro delle imprese (artt. 2188,...,2202 c.c.) anche
quando si tratta di ente pubblico che esercita un'attivit commerciale;
B) Obbligo di tenere le scritture contabili (artt. 2214,...,2220 c.c.);
C) Soggetto a fallimento ed altre procedure concorsuali (art. 2221 c.c.) salvo quando si
tratti di ente pubblico;
D) Possibilit di avvalersi di ausiliari, secondo legge (artt. 2203, 2213 c.c.)
7.2.1.1. La rilevazione della situazione patrimoniale: scritture contabili e bilancio
Prima ancora che un obbligo, le scritture contabili sono, per l'imprenditore commerciale,
una necessit ed un'esigenza irrinunciabili: infatti, pur non sussistendo tale obbligo per
l'imprenditore agricolo ed il piccolo imprenditore, frequente che queste figure di
imprenditore tengano un certo tipo di contabilit. Sono obbligate anche le societ,
l'imprenditore commerciale individuale e gli enti pubblici che svolgono un'attivit
commerciale in via principale.
La tenuta della contabilit e la rilevazione periodica della situazione patrimoniale hanno
una triplice funzione:
a) quella di verificare costantamente l'andamento dell'attivit in termini di redditivit;
b) quella di dare una corretta informativa ai soggetti terzi che intendono entrare in
contatto con l'imprenditore;
c) quella di permettere di ricostruire la posizione debitoria dell'imprenditore in caso di
dissesto o fallimento.
7.2.1.2. Le scritture contabili
La disciplina della tenuta della contabilit consta di regole da osservare
pedissequamente (pena sanzione anche di bancarotta, in caso di fallimento, per
omissione di voci) e di un principio generale secondo il quale compito del singolo
imprenditore integrare le scritture contabili con le rilevazioni richieste dalla natura e
dalle dimensioni dell'impresa.
Fondamentali sono il libro giornale, il libro degli inventari e la tenuta della
corrispondenza.
La legislazione rimanda alla dottrina aziendalistica per individuare altre forme di
registrazione contabile ritenute necessarie in ossequio al principio generale sopra detto:
libro mastro, libro magazzino, disposizioni relative alla modalit di tenuta delle scritture
contabili.
Le scriture contabili possono essere utilizzate come mezzo di prova sia contro che a
favore dell'imprenditore, anche quando formate con mezzi informatici (art. 2215 bis
c.c.).
Chi voglia accusare l'imprenditore deve comunque fornire tutto il materiale contabile, e
non solo ci che pu favorire l'accusa, e l'imprenditore pu controbattere con altre
scritture e con ogni mezzo probatorio legittimo (art. 2709 c.c.).
I mezzi processuali di acquisizione delle scritture sono: l'esibizione, che pu avere ad
oggetto solo determinate registrazioni e viene ordinata dal giudice anche su istanza di
parte, e la comunicazione, la quale concerne l'integrale contabilit dell'imprenditore (art.
2711 c.c.).
7.3. Il problema dell'impresa civile
L'esistenza di attivit d'impresa non ascrivibili alle categorie riportate agli artt. 2135 e
2195 c.c. ha portato una frangia della dottrina a teorizzare l'esistenza della categoria
delle imprese civili. Gli argomenti addotti a supporto sono sia di carattere sistematico
che testuale:
a) dato che ai punti 1 e 2 dell'art. 2195 c.c. vengono descritte attivit solo parzialmente
conformi al dettame dell'art. 2082 c.c.
b) allora l'attivit non pu essere qualificata come commerciale, ma nemmeno come
agricola
c) profilando dunque l'esistenza di attivit che non hanno i caratteri propri della
commercialit, come quelle ausiliari.
Possiamo considerare attivit civile quella del professionista intellettuale che, pur
operando individualmente, presenta caratteri di organizzazione d'impresa e, a maggior
ragione, societ di professionisti intellettuali, laddove si accolga l'idea secondo la quale
una societ un'impresa.
Pur esistendo l'impresa civile, resta da risolvere la questione sullo statuto da applicare,
il quale dovrebbe accogliere norme sull'impresa in generale e norme delle categorie
principali, fatto salvo il giudizio di compatibilit.
8. Le classificazioni degli imprenditori con riferimento alle dimensioni. Il piccolo
imprenditore (art. 2083 c.c.)
Il profilo dimensionale dell'impresa costituisce un elemento discriminante ai fini
dell'applicazione dello statuto dell'impresa commerciale: infatti applicabile alle imprese
commerciali che non siano di piccola dimensione. I piccoli imprenditori godono infatti di
una normaziono speciale che li esenta dall'iscrizione nel registro delle imprese (art.
2202 c.c.), dalla tenuta delle scritture contabili (art. 2214 c.c.) e che li esenta dalla
possibilit di fallimento (art. 2221 c.c.), promuovendone sostanzialmente l'attivit e la
crescita.
Tale quadro normativo non ha tuttavia pieno riscontro in una realt fortemente
competitiva che rende la piccola impresa sempre pi simile alla media impresa dal
punto di vista dell'attivit e dell'organizzazione del lavoro, che va ben oltre la prevalenza
del lavoro dell'imprenditore.
Occorre a tale proposito sottolineare che il quadro normativo si complessivamente
evoluto verso una maggiore nobilitazione della piccola impresa, che dal 1995 ha
l'obbligo di iscriversi nel registro delle imprese, adempimento che ha funzione di
pubblicit notizia.
Il piccolo imprenditore non riferimento delle procedure concorsuali, ed in merito alla
sua individuazione sono stati adottati, nel corso del tempo, parametri fiscali e
quantitativi, laddove questi ultimi, tacciati di incostituzionalit per via dell'anacronismo
praticamente immediato di un qualsiasi ammontare di denaro, sono stati ben presto
cancellati dalla disciplina del piccolo imprenditore, tornando al principio della prevalenza
(del lavoro dell'imprenditore rispetto all'apporto degli altri fattori produttivi).
La revisione dei criteri di individuazione dettata dall'ambiguit di tale principio ha
comunque portato all'adozione di criteri quantitativi che, riferiti a periodi di tempo
antecedenti (di un massimo di tre anni) alla presentazione dell'istanza di fallimento,
risultano pi oggettivi. Dunque consideriamo irrilevante l'art. 2083 c.c. ai fini
dell'individuazione (mentre concorre a definire il piccolo imprenditore elencandone delle
sottocategorie ed enunciando il principio della prevalenza, che carattere essenziale) e
praticamente abrogato l'art. 2221 c.c. nella parte in cui esclude la fallibilit del piccolo
imprenditore.
Dunque i fattori che identificano la piccola impresa rispetto alla media impresa sono
quelli consistenti nella dimensione e nell'organizzazione interna: il primo fattore attiene
alla limitazione nell'impiego di fattori estranei al lavoro dell'imprenditore, che deve
prevalere; il secondo attiene alla centralit, sul piano organizzativo, dell'imprenditore, la
cui morte o sopravvenuta incapacit mette a repentaglio la sopravvivenza della piccola
impresa.
Occorre precisare che il codicistico principio della prevalenza , ad ogni modo, sempre
pi ignorato dalle innovazioni recenti nell'ambito della legislazione speciale, provocando
una divaricazione normativa. Analogo fenomeno ha interessato il coltivatore diretto.
9. L'impresa artigiana
E' la categoria di piccolo imprenditore pi discussa, dal momento che la sua disciplina
non si concentra su aspetti quantitativi, come nel caso del coltivatore diretto, ma sulla
nozione stessa di artigiano.
Occorre precisare che l'art. 45 Cost. attribuisce alla legge il compito di tutelare e
promuovere l'artigianato, mentre l'art. 117 Cost. specifica che affidata in competenza
alle Regioni l'osservanza del principio generale.
La legge del 1956, che all'impresa artigiana fa riferimento, non adotta criteri quantitativi
nella sua individuazione, ma qualitativi, definendola come l'impresa che (a) avesse per
scopo la produzione di beni o la prestazione di servizi di natura artistica o usuale, (b)
che fosse organizzata ed operasse con il lavoro professionale, anche manuale, del
titolare ed eventualmente dei suoi familiari, (c) che si valesse di personale dipendente
purch guidato e diretto personalmente dal titolare, con generale limitazione numerica.
La legge del 1985 ha innovato la disciplina dell'impresa artigiana, e pu essere
riassunta nei seguenti punti:
A) Si ha la definizione di impresa artigiana, compresi i caratteri dimensionali, come
attivit di produzione di beni, anche semilavorati, servizi, escluse attivit agricole e altre
non inerenti;
B) Si ha la definizione di imprenditore artigiano, con il principio della prevalenza e
l'attribuzione della responsabilit per i rischi di gestione;
C) Si hanno soglie quantitative in ordine al lavoro dipendente di estrazione
di vigilanza;
h) sottoposizione a revisione contabile per inadempienze;
i) lavoratori e destinatari devono essere coinvolti nell'attivit al punto da poterlne
influenzare lo svolgimento;
j) liquidazione coatta in caso di insolvenza, con redistribuzione dei fondi ottenuti verso
istituzioni ed imprese analoghe;
k) trasformazione, fusione e scissione devono essere realizzate in modo da preservare
l'assenza di scopo di lucro.
12. I patti di famiglia (art. 768 bis c.c.)
Rientrano nell'ambito dell'imprenditore in generale dal momento che riguardano il
trasferimento delle aziende ed il trasferimento di partecipazioni sociali.
Il contratto di successione richiede la forma dell'atto pubblico, a pena di nullit.
Capitolo secondo
L'IMPRENDITORE INDIVIDUALE
1. L'imprenditore individuale. Nozione
E', per definizione, la persona fisica, ma anche la persona giuridica non corporativa
come la fondazione e il patrimonio separato; non il patrimonio autonomo che
caratterizzato da una pluralit di costituenti.
Tale argomento viene trattato dal momento che vi una parte dello statuto
dell'imprenditore che si applica al solo imprenditore individuale che eserciti un'attivit
d'impresa commerciale, oltre al fatto che i momenti della vita d'impresa che richiedono
una distinta analisi in base alla natura individuale o collettiva dell'imprenditore.
Si fa riferimento a) all'acquisto e alla perdita della qualit di imprenditore, b) alla
capacit di esercizio dell'impresa e c) alla pubblicit legale.
2. Inizio e fine dell'impresa
Mentre per la persona fisica la qualit di imprenditore si acquista e si perde nel
momento in cui di fatto inizia e cessa l'attivit d'impresa, per quanto riguarda l'impresa
occorre preliminarmente rilevare l'idea secondo la quale l'impresa viene ad esistere
assieme alla societ, indipendentemente dall'esercizio effettivo di un'attivit
imprenditoriale.
In questa sede si parler dell'imprenditore individuale.
A) Inizio dell'impresa. Come per l'imprenditore, che tale dal momento in cui esercita di
fatto un'attivit di impresa, anche per l'imprenditore individuale commerciale (che ha
l'obbligodi iscrizione nel registro delle imprese) vale lo stesso, dato che la funzione
dell'iscrizione solo di notizia. Se non c' allora la qualifica di imprenditore con le
tempistiche cos previste, c' sanzione (art. 2195 c.c.).
Il momento preciso di inizio dell'attivit e dunque della nascita d'impresa oggetto di
due differenti punti di vista, uno di natura oggettiva, l'altro di natura soggettiva:
(i) l'impresa nasce quando sono realizzate organizzazione e attivit produttiva, dal
momento che non impresa l'attivit priva di un'organizzazione stabile come riscontro
oggettivo del carattere di professionalit. Vale il viceversa. Dunque solo dopo
l'espletamente degli atti sia preparatori che dell'organizzazione si ha l'impresa.
(ii) anche gli atti preparatori rientrano nell'alveo dell'attivit d'impresa, cosicch non
sarebbe rilevante tale distinzione. L'importante che gli atti in questione siano sempre
riconducibili all'attivit d'impresa, anche futura da un punto di vista pratico e globale, dal
momento che, ad esempio, indubbiamente centrale la fase di procacciamento della
forza lavoro.
Al momento di inizio dell'impresa sono associati altri obblighi come quello contabile e di
iscrizione nel registro delle imprese (per gli imprenditori commerciali), ma anche diritti di
tutela dei segni distintivi e dalla concorrenza sleale, oltre alla soggezione alle procedure
concorsuali e alla suscettibilit di fallimento in caso di insolvenza, cosa che riguarda
solo le imprese costituite.
B) Fine dell'impresa. Anche in questo caso si deve guardare alla cessazione di fatto
dell'attivit. La cancellazione dal registro delle imprese non ha effetto immediato nel
caso dell'imprenditore individuale. Anche qu si hanno due orientamenti, laddove uno
poggia sull'idea che si ha cessazione dell'impresa solo quando alla cessazione
dell'attivit si accompagni anche la disgregazione dell'organismo aziendale, mentre
l'altro sull'idea che decisiva la sola cessazione o meno dell'attivit produttiva. Il merito
di questi due orientamenti di concentrarsi su aspetti non formali, ma strettamente
sostanziali. In sede applicativa occorre infatti la concomitanza di eventi indiscutibilmente
legati alla cessazione dell'attivit sia dal punto di vista della cessazione della stessa, sia
dal punto di vista della disgregazione organizzativa, in modo da rendere chiara il pi
possibile la situazione senza che rilevi la volont dell'imprenditore pi della fattualit
delle azioni da esso compiute. Dunque si ha disgregazione quando l'attivo sia stato
liquidato, comprendendo con esso ogni attrezzatura, anche quella necessaria allo
svolgimento dell'attivit. La cessazione dell'attivit pu avvenire anche per la morte
dell'imprenditore, ma se gli eredi intendono farla cessare definitivamente dovranno
liquidarne l'attivo, ricadendo nella fattispecie della cessazione volitiva e fattuale. Se
l'eredit viene accertata come dannosa, la disgregazione elimina i diritti dei creditori, a
patto che l'insolvenza si sia manifestata prima della morte o nell'anno successivo.
3. La capacit all'esercizio dell'impresa
Chi ha la capacit di agire anche capace di esercitare un'impresa (artt. 320, 371, 397,
425, 2198 c.c., le quali derogano alle disposizioni inerenti al compimento degli atti
giuridici). Mentre in tema di rappresentanza il rappresentante pu compiere ogni atto di
straordinaria amministrazione, nel caso dell'esercizio dell'impresa ammessa la sola
continuazione dell'attivit, e non l'inizio, da parte del rappresentante: ci per quanto
riguarda le imprese commerciali, mentre vale il principio generale per l'imprenditore
agricolo. Questo perch l'attivit agricola lascia meno spazi agli atti di straordinaria
amministrazione (che devono comunque essere autorizzati giudizialmente), richiedendo
un'attivit prevalentemente ordinaria e fornendo risultati pi stabili e prevedibili. Ad ogni
modo, sempre richiesta l'autorizzazione del giudice e, in alcuni casi, del giudice
tutelare: i provvedimenti vanno annotati nel registro delle imprese (art. 2198 c.c.).
4. La pubblicit dell'imprenditore individuale: la storia e la disciplina del registro
delle imprese (art. 2188 c.c.)
Il registro delle imprese nasce con l'idea di fornire una doppia tutela: quella nei confronti
di tutti i soggetti che vi entrano in contatto e quella nei confronti dei terzi portatori di
interessi che godono cos dell'informativa necessaria.
E' la Camera di Commercio l'ente-sede dell'Ufficio del registro delle imprese deputato a
curarne la tenuta. Il registro presenta inoltre sezioni per le imprese solo
successivamente obbligate ad iscrivervisi, laddove ci ha funzione di pubblicit notizia:
parliamo di imprenditore agricolo, piccolo imprenditore, societ semplice ed impresa
artigiana. Ma sono obbligati gli imprenditori agricoli di cui all'art. 2135 c.c., i piccoli
imprenditori di cui all'art. 2083 c.c., le societ semplici di cui all'art. 2251 c.c.
[...]
Capitolo quarto
Gli ausiliari dell'imprenditore
1. Distinzione tra ausiliari autonomi ed ausiliari subordinati
Lo svolgimento dell'attivit imprenditoriale richiede il concorso di mezzi materiali ed
energie lavorative il cui coordinamento alla base dell'idea di organizzazione (art. 2092
c.c.). Spesso l'imprenditore si avvale di lavoratori ausiliari dei quali si limita a coordinare
l'operato esplicando dunque un'attivit di direzione, pi che di lavoro. Gli ausiliari
contribuiscono allo svolgimento dell'attivit, pur rimanendo estranei agli effetti giuridici
ed economici (a meno che non abbiano partecipazione agli utili, senza comunque
incorrere in perdite) della stessa.
La collaborazione pu essere in forma autonoma o subordinata, laddove nel secondo
caso l'imprenditore predetermina orario, luogo di lavoro, compiti affidati, gerarchia.
La libert di svolgimento del compito assegnato non invece fattore identificativo, dal
momento che pu essere vincolato un collaboratore autonomo (come il franchisor) o
libero un collaboratore subordinato (come gli uffici legali delle grandi imprese).
Nemmeno l'obbligo di prestare semplici energie o di raggiungere un risultato, dal
momento che possono aversi rapporti di lavoro autonomo privi di traguardi specifici ed
oggettivi (co-amministratori) o nell'ambito dei quali ci viene richiesto (franchisor).
Quando l'ausiliare autonomo deve, per la particolare affinit del proprio compito con la
struttura dipendente subordinata, essere coordinato con l'attivit imprenditoriale si parla
di rapporto di parasubordinazione, con l'imprenditore che resta comunque in alto nella
gerarchia: infatti la parasubordinazione considerata, ai fini del tribunale del lavoro, alla
stregua del lavoro dipendente subordinato.
Quando l'attivit di collaborazione autonoma assume carattere imprenditoriale ed
vincolata ed indirizzata verso un particolare imprenditore si ha la figura dell'impresa
ausiliaria.
Mentre il rapporto di collabrazione subordinata regolato da un unico tipo di contratto,
quello di lavoro subordinato, il rapporto di collaborazione autonoma pu essere
disciplinata da varie tipologie di contratto a seconda della prestazione che ne forma
l'oggetto.
In termini di diritto strettamente commerciale, ci che rileva del rapporto di
collaborazione subordiata l'assenza di responsabilit soggettiva per gli ausiliari
subordinati, gli atti compiuti da tali soggetti sono imputati all'imprenditore,
indipendentemente dalla sua volont in tal senso.
Se dunque importante avvalersi di ausiliari subordinati, questa regola costituisce il
fondamento per una forma di rischio d'impresa.
2. La preposizione institoria
L'institore colui che preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale (art.
2203 c.c.), intendendo una sede secondaria o un ramo di essa: dunque, nella struttura
in cui preposto, non sottoposto a superiori gerarchie. Da ci deriva la "naturale"
attribuzione di un potere di rappresentanza dell'imprenditore che abbraccia tutti gli atti
pertinenti all'esercizio dell'impresa o del suo ramo o sede cui preposto (art. 2204 c.c.),
pur rimanendo un rapporto di lavoro subordinato per via dell'impossibilit di esercitare la
sua funzione di sostituto dell'imprenditore senza la definizione di un preciso rapporto di
rappresentanza. Infatti, chiarito ci, si capisce perch sia sottoposto agli stessi obblighi
contabili dell'imprenditore e all'iscrizione nel registro delle imprese (art. 2205 c.c.), oltre
alle responsabilit penali in caso di fallimento.
Dunque i collaboratori autonomi non possono essere institori dal momento che non
partecipano di tutto il rischio aziendale e di tutte le mansioni tipicamente imprenditoriali.
Il difetto della pubblicit della procura institoria fa ritenere, nei confronti di terzi in buona
fede, la rappresentanza generale: ci a conferma dei singolari caratteri della
rappresentanza dell'institore.
Per la procura institoria non richiesta forma scritta, tranne che per gli obblighi di
pubblicit la cui omissione sanzionata con casi di inopponibilit ai terzi in buona fede,
e non dunque applicabile l'art. 1392 c.c..
La cessazione della preposizione institoria, che non necessariamente coincide con la
risoluzione del rapporto subordinato, va annotata nel registro delle imprese, sia se
volontaria, sia se per morte, scadenza del termine.
Questo istituto proprio di tutte le imprese commerciali e l'institore si affianca, in
funzione subordinata ed ausiliare, agli amministratori nei confronti dei quali risponde del
suo operato.
2.1. Il potere rappresentativo dell'institore
Esso si estende (art. 2204 c.c.) a tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, sia di
ordinaria che di straordinaria amministrazione, sia necessari che semplicemente utili. Il
giudizio di pertinenza attiene alla concreta dimensione dell'impresa, e non alla tipologia
astratta cui riconducibile. Il potere di rappresentanza dell'institore caratterizzato da
una certa elasticit, che permette all'imprenditore di reintervenire sul contratto di
rappresentanza (art. 1392 c.c. se con atto espresso) ampliandolo o limitandolo.
Sul piano processuale un punto di riferimento per i terzi attori, oltre che un possibile
attore nell'ambito della propria sfera di influenza nell'impresa, salva la possibilit di
limitare tale facolt bilaterale (con obbligo di pubblicit, a tutela dei terzi), comunque
presunta all'interno della figura dell'institore.
Vale la regola generale della contemplatio domini, in tema di rappresentanza.
E' obbligo e responsabilit dell'institore comunicare la propria qualifica ai terzi ed
possibile anche che i terzi agiscano contro il proponente (questa seconda parte
derogativa ed a tutela di chi avesse dubbi sul reale destinatario degli effetti dell'atto)
(art. 2208 c.c.): si tratta di una norma che attiene ai rapporti esterni, dal momento che il
giudizio di liceit su quelli interni viene stabilit in funzione del principio dell'effettiva
pertinenza.
capitolo quinto
L'AZIENDA
1. Concetto giuridico e concetto economico di azienda
L'art. 2555 c.c. definisce l'azienda come il complesso dei beni organizzato
dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Essa figura dunque come strumento,
risvolto oggettivo autonomo dell'attivit economica organizzata di cui all'art. 2082 c.c.,
laddove il rapporto di strumentalit pu essere anche prospettico, ovvero non ancora
attuale (questo rileva quando si ha alienazione dell'azienda senza aver intrapreso
l'esercizio dell'impresa). Questa conclusione poggia sulla presenza, nella disciplina in
esame (che riguarda soprattutto il regime circolatorio), di interessi tutelati gi al
momento della costituzione dell'azienda. Appena prima di tale istante, tali interessi non
trovano concreta e completa tutela, pur dovendo distinguere il caso dell'impianto
organizzativo gi delineato e quello dell'impianto organizzativo ancora aperto e dunque
suscettibile di indirizzare l'impresa verso varie configurazioni concrete.
La definizione di azienda pone in risalto il vincolo funzionale che unisce le parti e ne
sviluppa sinergie che consentono all'azienda di acquisire una rilevanza funzionale
maggiore della somma delle singole parti che la compongono (il maggior valore detto
"valore di avviamento" e risente positivamente dell'incremento della domanda, oltre che
della "bont" dell'imprenditore: un valore immateriale che viene iscritto in bilancio).
Queste ultime sono caratterizzate da eterogeneit sia dal punto di vista della loro
natura, sia dal punto di vista del diverso titolo giuridico in base al quale colui che
organizza l'azienda ha diritto di utilizzarle; inoltre la sostituzione di tali elementi con altri
dello stesso tipo non intacca la qualit complessiva dell'azienda, essendo invece
un'attivit necessaria nell'ambito dell'esercizio dell'impresa ed in particolare della
gestione dell'azienda.
Questa la definizione sotto il profilo economico, ma occorre precisare che l'idea di
complesso aziendale come cosa diversa dalla somma delle singole parti non presente
nella nozione invece giuridica di azienda.
Pi precisamente il problema definitorio non consiste pi nel definire l'azienda come
bene unico dal punto di vista tipologico, ma dal punto di vista della disciplina
concretamente applicabile. Ci sono argomenti a sostegno della visione unitaria
dell'azienda ed argomenti a sostegno della concezione opposta: dunque la lacuna verr
colmata considerando, caso per caso, se gli interessi coinvolti trovano migliore tutela
sposando l'una o l'altra scuola di pensiero.
Inoltre il concetto giuridico di azienda non ammette allo stesso modo, nel novero del
complesso di beni in generale, beni futuri derivanti dall'adempimento, da parte del terzo
contraente, di un contratto a prestazioni corrispettive e servizi, intesi come apporti
collaborativi derivanti da rapporti di lavoro dipendente o autonomo.
Infatti il Codice civile ritiene i servizi non separati dalla persona e non suscettibili di
appropriazione da parte di altri soggetti, dunque non assimilabili al concetto di azienda;
in ordine ai beni futuri c' invece l'idea dell'inclusione degli stessi nel disegno
organizzativo dell'imprenditore, dal momento che esplica in tal senso una funzione
tipica della sua carica.
Pur non essendo assolutamente ascrivibili alla nozione di azienda secondo l'art. 2555
c.c., i rapporti patrimoniali rilevano particolarmente nell'ambito del regime circolatorio
grazie alla loro funzione strumentale, dal momento che possono costituire la causa
principale del trasferimento stesso.
1.1. La circolzione dell'azienda: trasferimento di azienda e trasferimento dei beni
aziendali
Una parte della disciplina specifica dedicata all'azienda concerne il fenomeno della sua
notifica ai singoli debitori (pubblicit analitica di fatto), laddove nel primo caso non si
hanno condizioni di opponibilit, mentre nel secondo s, con pregiudizio della vicenda
traslativa.
Tuttavia resta la disciplina dell'art. 1264 c.c., cosicch sorge una nuova deroga all'art.
2193 c.c..
Se la cessione dei crediti sia trattata in clausole o se sia una conseguenza naturale del
trasferimento sostanzialmente irrilevante, dal momento che possibile ricavare
l'informazione, caso per caso, dal prezzo di acquisto.
1.6. Trasferimento di azienda e responsabilit per i debiti preesistenti
I creditori ripongono una certa fiducia nella capacit di restituzione delle imprese sia per
via della liquidabilit dei beni aziendali (non surrogabili dal corrispettivo incassato
dall'imprenditore alienante) che per l'interesse alla facile circolabilit dell'azienda (che
subirebbe un forte rallentamento con la prospettiva di accollarsi debiti di cui non si
conosceva l'esistenza): dunque la legge (art. 2560 c.c.) stabilisce che l'acquirente
risponde dei debili preesistenti nei limiti della loro risultanza sui libri contabili obbligatori.
Dunque la norma non applicabile alle categorie di imprese che non prevedono libri
contabili obbligatori; irrilevante la presenza di fatto di tali libri contabili, dal momento
che manca comunque l'onere da parte dell'acquirente di consultarli.
Salva la possibilit che i creditori lo consentano, invece compito dell'alienante liberarsi
dei debiti dei quali l'acquirente risponda, salvo che i debiti siano sorti prima del
trasferimento dell'azienda.
2. L'usufrutto dell'azienda: poteri ed obblighi dell'usufruttuario
Ai fini dell'usufrutto l'azienda considerata un oggetto separato dal complesso dei beni
di cui composta ed appunto suscettibile di essere oggetto di diritti di godimento: in
questo modo viene permessa una gestione aziendale dinamica senza che ci
comprometta le vicende relative all'usufrutto.
L'obbligo dell'usufruttuario consiste nel mantenere la funzionalit del complesso
aziendale e del suo potenziale di avviamento.
C' l'obbligo di gestire l'azienda, ossia di continuare l'esercizio dell'impresa, dal
momento che l'impresa non meramente complesso fisico ma entit dinamica ed in
quanto tale presente sul mercato e suscettibile di rimanere in vita. Inoltre l'imprenditore
usufruttuario ha il dovere di mantenere la ditta e la destinazione economica.
Non potendo definire un concetto di diligenza in base al quale giudicare l'operato
dell'imprenditore usufruttuario, richiesto ad esso il mantenimento dell'efficienza
dell'organizzazione e degli impianti.
Per atti di straordinaria amministrazione, sempre nei limiti della liquidit aziendale, deve
interpellare il titolare dell'azienda ed ottenerne il consenso.
2.1. I rapporti con la gestione precedente
Pur potendo beneficiare dei rapporti giuridici preesistenti per la durata del rapporto di
godimento, l'imprenditore usufruttuario non responsabile dei debiti aziendali
contabilizzati.
Divieto di concorrenza a carico del titolare per il periodo del godimento e
dell'imprenditore dopo il rapporto di godimento.
Capitolo VIII
I CONSORZI E LE ALTRE FORME DI INTEGRAZIONE TRA IMPRESE
1. I consorzi
1.1. Il codice civile disciplina, agli artt. 2602 ss., i consorzi per il coordinamento della
produzione e degli scambi, quali forme di integrazione tra imprese a carattere non
temporaneo con la finalit di favorire la cooperazione tra i partecipanti. Quello di
consorzio appunto un contratto associativo plurilaterale aperto (art. 1332 c.c.) con
finalit di cooperazione interaziendale (consorzio di coordinamento) o di limitazione
della concorrenza nel rispetto dell'antitrust (consorzio anticoncorrenziale): dunque
un'organizzazione comune con finalit di disciplina o di svolgimento di determinate fasi.
L'organizzazione comune non ha necessariamente carattere materiale, ma anche
decisionale in ordine alla produzione ed ai rapporti con imprenditori concorrenti.
Le imprese firmatarie mantengono la propria autonomia giuridica, ma vincolano la
propria attivit per determinate fasi ad una disciplina stabilita nel contratto di consorzio,
la quale pu avere anche rilevanza esterna nei confronti di terzi. Sono ammessi anche
enti pubblici a partecipare a contratti di consorzio.
E' possibile l'ingresso di nuovi partecipanti, purch sussista il consenso di tutti i
contraenti, dal momento che tale evento comporta una modificazione contrattuale dalla
rilevanza tale da richiedere unanimit.
Quando il consorzio ha rilevanza esterna aumentano le limitazioni all'autonomia
negoziale e l'imperativit della disciplina.
1.2. Il contratto deve essere stipulato per iscritto sotto pena di nullit (art. 2603 c.c.),
con ci applicabile anche al caso di modificazioni (art. 2607 c.c.). Se il consorzio
intende svolgere attivit con i terzi, le sottoscrizioni dovranno essere autenticate per far
s che venga iscritto nel registro delle imprese: dunque rileva l'oggetto del contratto,
ovvero l'attivit che le imprese consortili si propongono di svolgere e che sar scelta tra
le due alternative dette. Come detto, la rinuncia alla propria autonomia limitata alle
"determinate fasi" dell'attivit dedotte in contratto.
Il contratto di consorzio deve prevedere:
- durata del consorzio;
- obblighi assunti e contributi dovuti dai consorziati;
- attribuzioni e poteri degli organi preposti al consorzio, che sono responsabili verso gli
altri membri con diligenza richiesta all'insegna del principio del buon padre di famiglia;
- condizioni di ammissione dei nuovi consorziati;
- casi di recesso ed esclusione;
- sanzioni per inadempimenti;
Il contratto, salvo diverso accordo, pu essere modificato soltanto con il consenso di
tutti i partecipanti (art. 2607 c.c.).
Salva diversa indicazione sulla durata, il contratto di consorzio ha durata di dieci anni
(art. 2604 c.c.); ma i contratti di consorzio anticoncorrenziali hanno durata massima di 5
anni, secondo il principio generale (art. 2596 c.c.). Sotto questo punto di vista, anche se
mancano di soggettivit giuridica, questi contratti hanno rilevanza per i terzi. A tale
proposito deve essere stabilito dal contratto anche il sistema dei poteri interni in ordine
alla rappresentanza in giudizio.
L'organizzazione comune mira ad attuare l'oggetto del contratto all'insegna del principio
maggioritario (maggioranza per teste, salva diversa indicazione).
I consorziati possono impugnare le delibere assunte che ritengano violare il contratto
e/o la legge (art. 2606 c.c.); inoltre deve desumersi, nel silenzio della legge, la
possibilit per i consorziati di riunirsi in assemblea, mentre il controllo sugli altri
consorziati affidato a ciascun consorziato, anche con ispezioni (art. 2605 c.c.). A chi
receda o venga espulso non spetta liquidazione (art. 2609 c.c.).
Il consorziato pu trasferire l'azienda, con l'acquirente che subentra nel contratto di
cosorzio. Entro un mese dalla notizia del trasferimento i consorziati possono, per giusta
causa, espellere l'acquirente dal consorzio (art. 2610 c.c.).
Cause di scioglimento del consorzio all'art. 2611 c.c..
1.3. Partecipare ad un consorzio con attivit esterna comporta il conferimento di quote a
costituire il c.d. fondo consortile (artt. 2612 e 2614 c.c.), costituito da contributi e da beni
con essi acquistati, o altro.
Avere rapporti con soggetti terzi significa anche tutela nei confronti di costoro, sia in
tema di rappresentanza in giudizio (art. 2613 c.c.) che in tema di autonomia
patrimoniale: i creditori possono soddisfarsi sul patrimonio consortile (art. 2615 c.c.), il
quale ha autonomia patrimoniale. I consorziati non possono richiederne la divisione per
rispondere a loro creditori particolari. Non c' responsabilit illimitata e solidale delle
persone che hanno agito in nome del consorzio.
Ove gli organi del consorzio assumano obbligazioni per conto dei singoli consorziati,
alla responsabilit del fondo consortile si aggiunge quella solidale dei consorziati per i
quali le obbligazioni sono state assunte; in caso di insolvenza di un consorziato, il
debito si ripartisce tra tutti i consorziati in proporzione alle quote. Questo vale solo nei
rapporti interni al consorzio, ossia quando sia insolvente il consorziato nell'ambito del
diritto di rivalsa degli altri consorziati precedentemente adempienti nei confronti del
terzo: si utilizza il fondo secondo quote.
Considerando dunque l'autonomia patrimoniale perfetta e la limitazione di responsabilit
alle quote conferite, l'ordinamento prevede l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle
imprese nel luogo dove ha sede l'ufficio destinato a svolgere l'attivit con i terzi (art.
2612 c.c.), oltre alla pubblicit del bilancio del consorzio. Occorrono dunque, di fatto le
scritture contabili proprie dell'impresa commerciale ed in particolare della s.p.a..
Pur esistendo un ufficio adibito all'attivit con i terzi, gli atti d'impresa restano
compiti e reddituale, dal momento che i soci percepiscono una remunerazione come se
lo fossero in una normale societ partecipata.
Nel caso di fallimento del mandatario la stazione appaltante pu decidere di recedere
dall'appalto o proseguire il rapporto con altro operatore economico idoneo che subentra
nel ruolo di mandatario stesso; nel caso di fallimento del mandante, il mandatario che
non indichi altro soggetto idoneo tenuto direttamente all'esecuzione dell'appalto.
5. Le Joint ventures e le forme occasionali di collegamento
Accordo contrattuale di respiro internazionale con il quale imprenditori appartenenti a
Paesi diversi pongono in essere un rapporto di collaborazione con le finalit
contrapposte di penetrare in un mercato e di acquisire tecnologia e know-how. E' una
societ distinta dalle persone giuridiche che la compongono.
Altre finalit possono riguardare: la ripartizione del rischio in relazione ad un affare di
particolare rilevanza, la diversificazione dell'investimento finanziario, la concentrazione
di risorse comuni per realizzare sinergie economiche, economie di scala, nuove
esperienze in relazione ad attivit comuni o complementari.
Rilevanti gli accordi di buy-back, i B.O.O. (build, own and operate) ed i B.O.T. (build,
own and transfer): entrambi sono forme di baratto.
Capitolo secondo
L'IMPRENDITORE SOCIETA'
1. L'identificazione della fattispecie-societ e i punti di vista dai quali ci pu
avvenire
Societ pu significare, nell'ambito del diritto commerciale, due concetti ben distinti:
negozio attraverso il quale la societ viene costituita; ente (soggetto di diritto) che dal
negozio stesso trae vita.
Considerando poi la societ come impresa possibile far risaltare le caratteristiche
peculiari di tale binomio, sia nell'ambito dell'impresa individuale, sia nell'ambito
dell'impresa collettiva.
Societ: forma di esercizio collettivo, di norma in forma d'impresa, di un'attivit
economica, posta in movimento attraverso un contratto o un atto unilaterale, con cui pi
persone conferiscono beni o servizi per il perseguimento di uno scopo lucrativo,
mutualistico o consortile.
Considerare la formula dell'art. 2247 c.c. per la nozione di societ.
Se unico il concetto di societ, diversi possono essere i tipi di societ cui un contratto
(o altra fonte) pu dar luogo: dunque l'art. 2249 c.c. sancisce il principio della tipicit
delle societ, con l'impossibilit di costituire societ atipiche.
3. L'identificazione dell'impresa-societ
Prima di esaminare la natura e i caratteri del contratto di societ occorre rispondere ad
una domanda: se con il contratto definito nell'art. 2247 c.c. nasca, oltre alla societ,
anche l'impresa. Ci si chiede sostanzialmente se le societ siano sempre o meno
imprenditori.
Sicuramente la valutazione prescinde dal tipo di societ.
3.1. L'acquisto della qualit di imprenditore da parte della societ
Confrontando la nozione di imprenditore (art. 2082 c.c.) e quella di societ (art. 2247
c.c.) emergono delle differenze:
- L'art. 2247 c.c. non reca alcun esplicito riferimento al concetto di impresa reso dall'art.
2082 c.c.;
- in esso manca inoltre l'accenno alla professionalit, che cardine dell'attivit
imprenditoriale, mentre nell'altro manca ogni riferimento alle finalit specifiche
perseguite dall'imprenditore, in particolare lo scopo li lucro.
Alcuni ritengono tuttavia che l'inserimento nell'atto costitutivo o nell'accordo, anche
tacito, della societ di riferimenti ad un'attivit imprenditoriale comporti il
conseguimento, da parte della societ stessa, della qualit di imprenditore.
Dunque, a differenza di quanto accade per l'imprenditore individuale, la societ
impresa anche prima dell'effettivo esercizio della stessa in maniera abituale, dunque a
prescindere dalla professionalit (elemento invece identificativo dell'imprenditore).
Altri negano l'equazione attivit economica-attivit d'impresa e che il requisito della
professionalit sia insito nel concetto di impresa. Inoltre parrebbe ingiusto discriminare
cos l'imprenditore individuale da quello collettivo. Nasce inoltre il controverso fenomeno
della societ senza impresa, ossia una societ che, pur esercitando un'attivit
economica, non esercita attivit d'impresa: alcuni riconducono a tale figura quella delle
societ occasionali.
Tuttavia le societ di persone possono nascere da societ di fatto, caso nel quale
l'attivit d'impresa che, essendo esercitata da pi persone, da nascere la societ, e non
la societ ad essere stata costituita ad hoc per esercitare l'attivit d'impresa.
In definitiva occorre, per definire un'impresa (che sia societaria o individuale), la
corrispondenza della realt al paradigma dell'art. 2082 c.c..
Dal momento che, tuttavia, restano alcune differenze, come il fatto che la volont di pi
persone fa nascere un soggetto di diritto distinto da esse, occorre analizzare altri
elementi distintivi.
3.2. Gli ulteriori elementi di identificazione dell'impresa-societ: 1) esercizio
comune dell'attivit; 2) comunanza dei mezzi patrimoniali; 3) comunanza di
poteri; 4) coerenza tra scopo istituzionale e risultati
1) E' lo scopo-mezzo attraverso il quale i contraenti si propongono di raggiungere la
finalit ultima di tipo lucrativo, consortile, mutualistico;
2) non esistendo risorse in capo alle persone fisiche, quello dei conferimenti che fanno
passare il complesso di beni nella sfera giuridica della societ, che ne diventa
proprietaria;
3) potere di tutti di determinare l'attivit sociale;
4) lo scopo istituzionale scelto (lucrativo, consortile, mutualistico) deve avere riscontro,
nel bene e nel male, su tutti i partecipanti alla societ.
parti contraenti non nelle mere prestazioni degli altri soci, come nei contratti di
scambio, ma nell'esercizio dell'attivit cui le prestazioni stesse sono funzionalizzate.
Esistono tre tipologie di conferimento:
1) con riguardo all'oggetto della prestazione possibile distinguere tra prestazioni di
dare e prestazioni di fare, in cui oltre all'attivit viene conferito il risultato;
2) con riguardo alla fonte possiamo distinguere tra conferimenti espressamente previsti
dalla legge e quelli consistenti in entit che dottrina e giurisprudenza ritengono passibili
di essere conferite in societ.
3) la terza distinzione quella tra conferimenti di capitale e conferimenti non di capitale,
rispettivamente attivit iscrivibili in bilancio la cui esecuzione della controparte pu
essere forzata ed attivit di prestazione d'opera.
In caso di inadempimento non si ha risoluzione automatica del contratto, dato che, a
parte le disposizioni degli artt. 1455 e 1466 c.c., sono apprestate sanzioni apposite:
nelle societ di persone viene comminata l'esclusione (facoltativa) dalla societ ai sensi
dei commi 1 e 2 degli artt. 2286 e 2531 c.c., mentre nelle societ di capitali consiste
nella decadenza, disciplinata dall'art. 2344 c.c. per le societ per azioni e dall'art. 2466
c.c. per le societ a responsabilit limitata.
6.2.1. Il regime dei beni sociali. Comunione di godimento e societ
Dunque il conferimento ha la doppia funzione di permettere l'acquisizione della qualit
di socio e di costituire il fondo sociale, ed indipendentemente dalla sua situazione
giuridica (che dipende dalla forma giuridica dell'impresa) costituisce il presupposto per il
dispiegamento della disciplina societaria idonea. Unica invece la funzione del fondo,
ovvero quella di permettere, con la formazione del patrimonio sociale, lo svolgimento
dell'attivit comune.
Proprio a tale proposito occorre rilevare che, dall'art. 2248 c.c., che segue
immediatamente la norma definitoria del contratto di societ, si evince che la principale
differenza tra comunione e societ risiede proprio nella differente condizione giuridica
del fondo sociale e del patrimonio sociale.
Tale norma assolve al compito di precisare come le uniche analogie tra societ e
comunione risiedono nel fatto che determinati beni appartengono indistintamente a pi
persone: ci importante nell'ambito di societ cui non riconosciuta personalit
giuridica. Nonostante esistano comunque, nella comunione, tratti tipici degli accordi
associativi, mancano gli essenziali elementi dell'esercizio dell'attivit d'impresa e la
conseguente funzionalizzazione dei beni comuni all'attivit stessa.
Infatti l'art. 2247 postula l'indefettibilit dell'obbligo per la societ dell'esercizio della
societ d'impresa, e proprio tale indefettibilit funzionalizza di conseguenza i beni
sociali, rendendone diversa la condizione giuridica rispetto ai beni in mera comunione.
In tal caso, infatti, il mantenimento del rapporto di comunione finalizzato al solo
godimento dei beni e dei loro frutti (artt. 1100 e 1102 c.c.) e tutti i comunisti possono
autonomamente esercitare tutte le facolt spettanti al proprietario; si ha invece societ
quando il patrimonio sociale destinato dalla volont comune dei soci al solo esercizio
dell'attivit d'impresa, escludendo qualsiasi altro impiego. Infatti cfr artt. 2256, 2272 e
2484, 2289 e 2437quater, oltre al principio di prelazione per i creditori sociali in ordine
alla destinazione del patrimonio sociale.
Nella comunione si ha invece identit tra debito dei soci e debito della societ, oltre al
fatto che possibile il pignoramento di tutti i beni anche a fronte di un debito non di tutti
i soci e se la separazione non possibile il giudice pu ordinare la vendita della quota
indivisa e disporre che si proceda alla divisione secondo legge.
In definitiva, gli artt. 2247 e 2248 c.c. escludono l'ammissibilit di una societ di solo
godimento, anche se, nella forma, viene ad esistere una societ esercente un'attivit
economica: dunque il contratto viene definito come un'espressione della comune
volont sociale.
6.2.2. Fondo sociale, capitale sociale e patrimonio sociale. L'autonomia
patrimoniale delle societ
Tranne che nella societ semplice, l'insieme dei conferimenti, e dunque il fondo sociale,
prende il nome di capitale sociale, definibile come il valore in denaro dei conferimenti
dei soci, quale risulta dalle valutazioni compiute nel contratto sociale. Dunque
conferimenti non in denaro vanno valutati, dal momento che le funzioni del capitale
sociale impongono che il valore numerico rispecchi l'effettiva realt, senza che ci sia il
cosiddetto annacquamento del capitale.
Gli artt. 2254, 2255, 2343, 2464 c.c. esemplificano alcuni metodi di valutazione.
Dal fondo sociale o dal capitale sociale va distinto il patrimonio sociale, il quale
rappresenta i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla societ ovvero il
complesso dei beni effettivamente esistenti, calcolati al netto o al lordo a seconda che
siano state dedotte o meno le passivit. Dunque il capitale sociale fa parte del
patrimonio sociale.
Il confronto tra i due aggregati permette di valutare la bont della gestione dell'impresa,
laddove se l'iniziale coincidenza tra patrimonio e capitale evolve a favore del primo si
avr un maggior valore dei beni conferiti a conferma della buona gestione, viceversa nel
caso contrario. La determinazione convenzionale del capitale sociale, sebbene ferma
nel suo valore salvi incrementi deliberati dai soci, non deve danneggiare i terzi o i soci
stessi.
Per quanto attiene all'autonomia patrimoniale delle societ, tale caratteristica attiene ai
soggetti diversi dalle persone fisiche per indicare la consizione dei rapporti giuridici
facenti capo a tali soggetti: si dice perfetta quando c' completa e reciproca insensibilit
tra il patrimonio dell'ente e i patrimoni dei singoli associati; si dice invece imperfetta, ed
propria delle societ di persone, quando il patrimonio del singolo socio debitore
attaccabile dal creditore (art. 2270 c.c.). In alcuni casi ci non possibile (artt. 2305 e
2307 c.c.) a meno che non siano gi state esperite infruttuosamente azioni giudiziarie
contro il patrimonio della societ (art. 2304 c.c.). Nel caso di unico azionista o quotista
ci avviene anche nelle societ di capitali (artt. 2325, 2362, 2462 c.c.).
6.3. C) L'esercizio comune dell'attivit economica. L'oggetto sociale
Il terzo elemento che, analizzando l'art. 2247 c.c., viene in primario rilievo l'esercizio in
comune dell'attivit economica, che rappresenta lo scopo-mezzo attraverso il quale le
parti si propongono di raggiungere la finalit ultima d'impresa. In virt di tale aspetto pu
parlarsi della societ come contratto con comunione di scopo.
L'attivit economica si concretizza nella scelta di un ramo merceologico, che costituisce
l'oggetto sociale: elemento imposto a tutti i tipi di societ e che deve consistere in
un'attivit economica con tutti i requisiti richiesti dall'art. 1346 c.c., e cio liceit,
apparente - e mezzi
La semplicit formale e sostanziale delle modalit di costituzione delle societ personali
provoca il sorgere di una serie di problemi in tema di prova del rapporto sociale: basti
pensare al caso della societ di fatto.
Consideriamo il caso in cui sia conferito alla societ un bene immobile: a prescindere
dal fatto che improbabile che una societ di fatto esiga che i conferimenti siano in una
certa forma, l'esistenza di un contratto scritto permette di avere un punto di riferimento
comune per definire il confine di ammissibilit di conferimenti di varia natura, mentre in
assenza di esso vige il regime probatorio comune e l'unica prova resta il conferimento
stesso.
Un secondo problema attiene all'individuazione degli elementi caratteristici della societ
apparente, che vista come un insieme di atti che inducono i terzi a ritenere la societ
esistente e dunque i soci regolarmente responsabili dei rapporti intrattenuti. Una
conseguenza che, indipendentemente dall'aver provato o meno l'apparenza, i soci
apparenti non possono eccepire l'inesistenza del vincolo societario e sono anzi chiamati
a rispondere delle obbligazioni in tale falsa veste assunte e sono suscettibili di
fallimento in estensione.
Quella della societ apparente appunto una costruzione teoria ed una forma di
indagine tesa a tutelare i terzi.
Ammettendo dunque la distinzione tra societ di fatto e societ apparente, cambia
anche ci che rileva ai fini dell'individuazione delle due fattispecie: nel primo caso
occorre accertare l'effettivit dei rapporti interni tra i soci ricercando in essi i connotati
propri di un contratto sociale legittimo, mentre nel secondo caso rileva il carattere
ingannatorio dell'attivit posta in essere verso l'esterno, indipendentemente dall'effettiva
esistenza del vincolo sociale.
Le due prove dell'esistenza e dell'apparenza sarebbero quindi svincolate ed
indipendenti. In altri termini l'esteriorizzazione del rapporto sociale condizione
sufficiente ma non necessaria per l'affermazione della responsabilit e l'eventuale
assogettabilit al fallimento, cosicch potranno essere assogettate al fallimento sia
societ esistenti ma non esteriorizzate (societ occulta), sia societ non esistenti ma
esteriorizzate (societ apparente).
I mezzi istruttori degli accertamenti non conoscono particolari e speciali limitazioni,
ammettendosi il ricorso al giuramento decisorio, alla prova testimoniale ma anche a
presunzioni; c' invece diffidenza nei confronti delle ammissioni di debitori e presunti
soci. Metodologicamente occorre affiancare, allo studio dei singoli indizi, la
considerazione globale degli stessi, cosa che rileva in particolare nell'ambito della prova
dell'apparenza.
10. Contratto di societ e disciplina generale dei contratti. L'invalidit e la
simulazione
Il confronto tra disciplina generale del contratto e disciplina del contratto societario rivela
punti di contatto ed interferenze di varia intensit in relazione ai diversi momenti della
vita societaria. Effettuare un confronto rigoroso rilevante ai fini della tutela dei terzi.
Il fatto che nei contratti associativi in generale, e dunque anche nei contratti di societ, il
patrimonio venga destinato allo svolgimento di un'attivit con i terzi fa risaltare
l'esigenza di tutela dell'affidamento di questi ultimi e pone dunque il problema degli
effetti prodotti da tali atti nel caso in cui venga inficiato il vincolo sociale. Ci si chiede se i
casi di nullit contrattuale investano anche i contratti della societ con i terzi.
L'art. 2332 comma 2 c.c. specifica, nell'ambito delle societ di capitali, che restano
efficaci gli atti compiuti in nome della societ (dopo l'iscrizione nel registro delle
imprese) nonostante la declaratoria di nullit del contratto o l'annullamento dello stesso.
Non esistono invece norme analoghe nell'ambito delle societ di persone.
Il tema della nullit trova disciplina nel diritto comune, mentre quello relativo agli effetti
conseguenti alla dichiarazione di nullit pi controverso: a fronte di chi preferisca
l'applicazione del diritto comune e dunque dell'effetto retroattivo, c' chi ritiene
applicabile l'art. 2332 c.c. al fine di uniformare la disciplina dei contratti che comportano
lo svolgimento prevalente di un'attivit esterna.
Ci occupiamo ora della simulazione del contratto di societ:
tale tematica appare controversa solo nell'ambito delle societ di persone, dal momento
che per le societ per azioni essa ritenuta inammissibile per due ragioni: l'azione di
simulazione non data come presupposto di nullit (anche se l'improduttivit degli
effetti dell'atto non necessariamente ricollegabile alla nullit del medesimo); difficolt
notevole di trasferire un istituto come quello della simulazione, pensato per i contratti di
scambio, ai contratti associativi ed in particolare a quelli che comportano la nascita di
una persona giuridica.
Considerando tuttavia la generale ammissibilit della simulazione, tre sembrano i
problemi da chiarire:
1) differenza tra societ simulata e societ apparente. Sembra che il fattore
discriminante sia la presenza o meno di un preciso intento di apparire all'esterno come
societ;
2) difficolt di individuare quando ricorra la simulazione assoluta e quando quella
relativa: sembrerebbe tuttavia il caso di quella assoluta l'assenza dell'intento di stipulare
alcun contratto di societ, mentre di quella relativa il caso del rapporto sociale
apparente che nasconde un rapporto diverso che le parti hanno interesse a far valere
come sociale;
3) in tema di disciplina applicabile paiono come idonei gli artt. 1415 e 1416 c.c..
11. Le modificazioni del contratto di societ
Si ha modificazione del contratto di societ quando si pone in essere un regolamento
difforme sia da quello pattuito con il contratto originario, sia da quello legale che ha
integrato l'originaria volont dei soci.
Tale definizione generale presenta caratteri di differenziazione (in funzione della
conformazione del modello di organizzazione interna assunto dalla societ) in ordine
alle modalit con le quali le modificazioni devono essere adottate:
Sono applicabili gli artt. 1372, 2252 c.c., ovvero la disciplina generale del contratto
fondata sul principio dell'unanimit, nel caso di societ di persone;
sono applicabili gli artt. 2365, 2368, 2369, 2479 c.c., i quali sono invece fondati sul
principio maggioritario, nel caso di societ di capitali e societ mutualistiche.
La raccolta dei consensi nel caso di societ di persone pu avvenire nei modi e nei
tempi pi svariati, in considerazione del fatto che non esiste in tali societ un organo
assembleare adibito alla discussione di tali ed altre questioni dei soci. La deroga
maggioritaria non pu ovviamente essere introdotta nel contratto sociale mediante
Capitolo terzo
LE SOCIETA' DI PERSONE
Sezione prima - Generalit
1. Le societ personali e l'individuazione della disciplina
Alcune disposizioni per la societ semplice (artt. 2251-2290 c.c.) sono applicabili, con
una norma di rinvio (art. 2293 c.c.) alla societ in nome collettivo; inoltre le norme
peculiari dettate per quest'ultima (artt. 2291-2312 c.c.) sono applicabili alla societ in
accomandita semplice, che comunque ha una propria disciplina (artt. 2313-2324 c.c.).
Altre norme sono invece proprie solo della societ semplice, altre della societ
personale in generale.
Sezione seconda - La societ semplice
1. Nozione e funzioni
La societ semplice rileva ai soli fini normativi, dal momento che la sua disciplina
applicabile anche alla societ in nome collettivo e alla societ in accomandita semplice.
Inoltre l'applicabilit del modello fortemente limitata dalle restrittive disposizioni
relative all'ammissibilit dell'oggetto sociale.
E' semplice la societ che non presenta elementi di identificazione ulteriori rispetto a
quelli contenuti nella norma che definisce la societ come contratto, e cio l'art. 2247
c.c.: la definizione dunque il negativo, dal momento che semplice la societ che non
eserciti un'attivit commerciale (art. 2249 c.c.).
2. Le attivit che possono costituire l'oggetto sociale
1) Attivit agricola. Tuttavia limitazioni in ordine alla forma contrattuale e alla possibilit
di concedere i beni in godimento riducono sensibilmente l'effettiva praticabilit del
modello societario all'attivit agricola. Inoltre inventivi ed agevolazioni sono forniti alle
forme associative diverse dalla societ semplice.
Dunque possono aggiungersi le attivit alternative proprie delle societ di revisione e
delle societ professionali, oltre alle attivit civili (infatti delle imprese agricole, se
certamente non hanno ad oggetto attivit commerciali, nemmeno in esse riscontrabile
il carattere dell'impresa agraria in senso stretto). Consideriamo, in aggiunta, la
compravendita di immobili.
3. La costituzione
Il contratto di costituzione, coerentemente con la volont, da parte di legislatore, di
snellire la fase costitutiva stessa, non soggetto a forme speciali, salve quelle richieste
dalla natura dei beni conferiti (art. 2251 c.c.). E' infatti ammessa anche la societ di
fatto, derivante da accordo non scritto e dunque da comportamento concludente dei
soci.
La forma scritta richiesta solo dalla natura, ad esempio di immobili, dei beni conferiti
(art. 1350 c.c.): in discussione se debba avere forma scritta il solo atto di conferimento
o l'intero contratto, in modo tale da porre sotto sanzione per inosservanza il solo vincolo
del conferente, sempre che la partecipazione non sia essenziale ai fini dell'ottenimento
della qualifica di socio.
Nonostante l'assenza di personalit giuridica della societ semplice, il beni conferiti
entrano a far parte del patrimonio sociale.
Dunque i requisiti di validit del contratto associativo sono, nell'ambito della societ
semplice, quelli del contratto in generale.
A) I soggetti devono essere almeno due (art. 2247 c.c.), e non chiaro se sia
ammissibile la partecipazione di soggetti incapaci. [cfr. considerazioni sulle
partecipazioni delle societ di capitali nelle societ semplici nel 6.1.1.]
B) Con riguardo all'oggetto (art. 1346 c.c.) [cfr. 6.3. capitolo secondo]
C) altrettanto per la causa, definita dall'art. 2247 c.c. per tutte le societ lucrative [cfr.
capitolo precedente]
D) Con riguardo al fondo sociale [cfr. 6.2.2. capitolo secondo] l'art. 2253 c.c. stabilisce
che se i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a
conferire, in parti uguali tra loro, quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto
sociale.
(artt. 2253 e 2263 c.c.)
4. La pubblicit
Sono iscritti in sezioni speciali del registro delle imprese [...] le societ semplici, oltre al
fatto che l'iscrizione nelle sezioni speciali ha funzione di certificazione anagrafica e di
pubblicit notizia, oltre agli effetti previsti dalle leggi speciali.
Nonostante il mancato adempimento degli obblighi pubblicitari sia, nell'ambito della
societ semplice, ininfluente sulla validit del contratto societario, sull'esistenza del
soggetto o sulla regolarit (invece propria delle societ in nome collettivo e in
accomandita semplice: artt. 2297 e 2317 c.c.), adempiere agli obblighi pubblicitari
amplia le possibilit di opponibilit, sempre che siano stati adottati mezzi pubblicitari
idonei all'effettiva conoscibilit del fenomeno sociale (artt. 2266 e 2267 c.c.); inoltre
vengono in essere gli effetti ex art. 2193 c.c..
5. L'organizzazione interna e la gestione (artt. 2257 e 2258 c.c.)
L'idea del legislatore stata quella di privilegiare la gestione invece che il processo di
formazione della volont: non esistono infatti riferimenti ad organi sociali, come accade
nelle societ di capitali, ma viene enfatizzato il ruolo dei soci come detentori del potere
amministrativo.
A prescindere dalle singole tesi riguardanti la logica organizzativa, occorre rilevare
l'assenza, nella disciplina positiva, di disposizioni che ricalchino modelli simili a quelli
propri delle s.p.a., e che anche forme di collegialit dettate dal contratto costitutivo
trovano strutturale limitazione nel fatto che la maggioranza delle societ semplici nasce
come societ di fatto.
6. Amministrazione e gestione. I sistemi di amministrazione previsti dalla legge:
amministrazione disgiuntiva e amministrazione congiuntiva
A) amministrazione disgiuntiva (art. 2257 c.c.);
B) aministrazione congiuntiva (art. 2258 c.c.).
Per quanto attiene ai diritti, controversa la disputa riguardo alla spettanza o meno di
un compenso per l'amministratore: alcuni ritengono che, esistendo la presunzione di
onerosit del mandato (art. 1709 c.c.), in assenza di specificazioni sulla ripartizione
degli utili, sia ammissibile; altri ritengono che l'idea del compenso nell'ambito del
rapporto di amministrazione sia incoerente con lo spirito del contratto sociale, con
conseguente inammissibilit del compenso.
Per quanto attiene agli obblighi occorre precisare che la funzione amministrativa
comporta sempre il dovere connesso all'esercizio di speciali poteri idonei a strutturare
una posizione giuridica destinata ad incidere su interessi estranei, in tutto o in parte, a
quelli dell'agente; inoltre cfr. artt. 2260, 2261 c.c.; altro obbligo quello di fornire ai soci
non amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali e di consentir loro la
consultazione dei documenti relativi all'amministrazione; obbligo di iscrizione
nell'apposito registro delle imprese e obblighi contabili.
Il discorso invece sui poteri pu dipanarsi meglio se fatto con riferimento alla
rappresentanza (art. 2266 c.c.). Occorre ricordare i due diversi modelli di esercizio dei
poteri amministrativi (artt. 2257 e 2258 c.c.) nei due sistemi di amministrazione, oltre al
fatto che, tranne che per proposte di modificazione del contratto sociale e stante il limite
dell'oggetto sociale, non appare rilevante la distinzione tra atti di ordinaria e di
straordinaria amministrazione.
La societ acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la
rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi (art. 2266 c.c.). Dunque
nonostante l'assenza di personalit giuridica, la societ figura come un soggetto unico
nei rapporti esterni e in giudizio in quanto portatrice di una propria volont e titolare di
un proprio patrimonio.
Dunque i terzi orientano il proprio comportamento nei confronti della societ sulla base:
della distinzione tra rappresentanza sostanziale e processuale; di chi siano i soci con
potere di rappresentanza, qualora non tutti lo abbiano; dell'oggetto sociale come limite
al potere amministrativo; della possibilit di determinare il contenuto dei poteri
rappresentativi (art. 2266 c.c.).
Riguardo a questo ultimo punto, appare opportuno distinguere le possibili ipotesi con
riguardo A) ai soggetti investiti del potere rappresentativo; B) ai contenuti della
rappresentanza.
A) Occorre precisare che la rappresentanza spetta per legge, tranne diversa
disposizione contrattuale, a ciascun socio amministratore, dimostrandosi cos che essa
attributo inerente alla qualit di socio amministratore e non richiede un apposito
conferimento di poteri; va da s che l'esercizio del potere di rappresentanza dipende dal
sistema di amministrazione scelto; B) se il contratto contiene indicazioni esplicite in
tema di rappresentanza, l'unico problema aperto riguarda la possibilit della
rappresentanza da parte di estranei, rammentando che le norme fanno riferimento ai
soli soci. Salve limitazioni definite nel contratto sociale o nella procura (equiparando
cos poteri di rappresentanza e di amministrazione), l'amministratore pu compiere tutti
gli atti coerenti con l'oggetto sociale. In caso di limitazioni, affinch esse siano opponibili
ai terzi, devono essere portate alla conoscenza di questi con mezzi idonei.
Dunque l'amministratore-rappresentante della societ deve spendere il nome della
societ e deve aver compiuto un atto che rientri nell'oggetto sociale.
Gli atti compiuti da rappresentanti di una societ in cui solo alcuni amministratori lo
sono e che non sia legittimato dal consenso degli amministratori non rappresentanti
sono ivalidi nei confronti di terzi in buona fede. Quanto appena detto per la
rappresentanza negoziale vale, parallelamente, in tema di rappresentanza processuale
se si in presenza di disposizioni specifiche diverse dalle disposizioni dell'art. 2266 c.c..
Ovviamente compito del socio spendere il nome della societ e dichiararsi
rappresentante di questa.
6.3. La responsabilit degli amministratori (art. 2260 c.c.)
La responsabilit degli amministratori nei confronti della societ e non dei singoli soci,
nel senso che il danno per i soci solo in via riflessa, ossia quando viene colpito il
patrimonio sociale per effetto di un comportamento illegittimo degli amministratori
stessi;
la solidariet tra soci opera sia in regime di amministrazione congiuntiva che in regime
di amministrazione disgiuntiva;
ciascun socio, se dimostra di essere immune da colpa, pu esimersi da responsabilit.
Le regole dette si estendono anche agli amministratori di fatto: ossia quegli
amministratori che, sebbene non investiti formalmente dell'incarico, hanno svolto le
relative funzioni.
La responsabilit va fatta valere nei confronti dei colpevoli da parte della societ o del
curatore fallimentare, con effetto di condanna al risarcimento dei danni a carico degli
amministratori che hanno compiuto uno o pi atti illegittimi.
6.4. L'estinzione del rapporto di amministrazione
Se si eccettua l'ipotesi della revoca (art. 2259 c.c.), l'estinzione del rapporto di
amministrazione non regolata in modo organico.
Ammettendo l'idea secondo la quale quello di amministrazione un diritto connaturato
allo stato di socio, chi vi rinunci pu, dal momento che rimane socio, riappropriarsene in
ogni momento.
Non contemplata, come invece nelle societ di capitali e nelle societ mutualistiche,
l'ipotesi di decadenza come causa di cessazione del rapporto di amministrazione,
avendo invece le seguenti possibilit:
A) l'esclusione del socio amministratore dalla societ. Come causa di cessazione,
questa vale solo se viene considerato lo stato di socio come fattore indispensabile per
l'esercizio delle funzioni amministrative. Altrimenti, con in pi l'ammissione di
amministratori estranei, possibile che chi sia allontanato come socio possa continuare
ad essere amministratore;
B) la revoca: art. 2259 c.c., il quale contempla la revoca da parte dei soci e quella da
parte dell'autorit giudiziaria. Ne deriva che: la revoca da parte dei soci possibile solo
nei confronti di coloro i quali sono stati nominati soci da contratto o con atto separato, e
non nei confronti di coloro i quali hanno stipulato il contratto al momento della
costituzione; la revoca da parte dell'autorit giudiziaria anch'essa esclusa per gli
"amministratori costituenti" e richiede che sia fondata su una giusta causa (ogni evento,
anche non imputabile all'amministratore, che renda impossibile il naturale svolgimento
del rapporto di gestione), intendendo il complesso di violazioni delle funzioni tipiche
della carica amministrativa, mancando le quali essa viene svuotata di significato e della
sua ragion d'essere.
liquidazione.
Per quanto attiene agli obblighi, in ordine al conferimento si adottano in particolare
posizioni differenti, cosicch nel caso di pegno l'obbligo grava sul socio, mentre nel
caso di usufrutto sull'usufruttuario.
Le misure cautelari sono esplicitate nell'art. 2270 c.c., includendo inoltre il sequestro
conservativo, l'espropriazione, il pignoramento nella forma del pignoramento presso
terzi.
Per la contitolarit di quote pu essere applicata la disciplina delle societ per azioni
(art. 2347 c.c., dal momento che non ne esiste una specifica per le societ di persone)
oppure quella che regola la contitolarit di diritti reali.
8.3. Gli obblighi connessi alla partecipazione sociale
Ne esistono di sanciti per legge e di creati dalla dottrina: i primi inderogabili, i secondi
opinabili.
Tra i primi spicca l'obbligo di conferimento (art. 2253 c.c.), oltre all'art. 2256 c.c..
Altro obbligo quello di collaborazione, da ricollegarsi ai profili soggettivi dell'esercizio
comune dell'attivit economica e di perseguimento dello scopo comune. Viene definito
obbligo in quanto parte della ragion d'essere dell'idea di societ, e non perch alla
sua violazione corrisponda una sanzione, cosa che riguarda solo gli obblighi in senso
stretto.
8.4. I diritti del socio
Oltre al diritto di amministrare (art. 2257 c.c.) possiamo individuare ulteriori posizioni
giuridiche attive in capo al socio, raggruppabili in due macrocategorie:
A) quelle proprie dell'attivit di amministrazione, come il diritto al voto o al consenso
nelle ipotesi previste (artt. 2252, 2256, 2257, 2258, 2287 c.c.), il diritto ad opporsi in
caso di organizzazione disgiunta, il diritto di chiedere giudizialmente la revoca del socio
o dei soci amministratori quando ricorra una giusta causa, il diritto di recesso (art. 2285
c.c.), il diritto di opporsi alla propria esclusione (art. 2287 c.c.), i diritti di controllo;
B) quelle di carattere patrimoniale o economico che spettano indistintamente a tutti i
soci, amministratori e non: dirtito agli utili (artt. 2262, 2263, 2264 c.c.), diritto alla
liquidazione della quota (art. 2289 c.c.), diritto alla quota di liquidazione (artt. 2281,
2282, 2283 c.c., ma il primo applicabile solo ai soci che abbiano conferito beni in
godimento).
9. Gli utili
Le regole inerenti agli utili sono importanti dal momento che la societ semplice fa parte
del novero delle societ lucrative.
Per utile si intende quello derivante dall'attivit economica (oggetto sociale) esercitata
dalla societ e che solo i guadagni effettivamente cos realizzati possono essere
destinati alla ripartizione periodica ai soci (artt. 2262-2265 c.c.)
Il primo dei quattro articoli sancisce il diritto del socio al conseguimento della parte di
utili appena pubblicato il rendiconto, che appunto ne certifica l'ammontare, se presenti.
Ogni modificazione di questa regola richiede il consenso di tutti i soci, salva la legittimit
della modificazione, escludendosi conferimenti in beneficienza o esclusione di uno o pi
soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite.
Gli artt. 2263 e 2264 c.c. riguardano i criteri per determinare la partecipazione dei soci,
e se ne ricavano le seguenti regole: 1) come regola generale, prevale l'eventuale
volont contrattuale sulla legge, salva la legittimit dell'atto di autonomia privata; 2)
come principio legale inderogabile, divieto di patto leonino; 3) come principio suppletivo,
in assenza di diverse disposizioni, si presumono: il principio di ripartizione proporzionale
ai conferimenti, presunzione di uguaglianza dei conferimenti, presunzione di
uguaglianza di partecipazione ai guadagni e alle perdite; 4) come deroga al principio del
punto precedente, qualora le regole specifiche siano affidate ad un terzo, esse sono
impugnabili (art. 1349 c.c.), ma non da chi abbia assunto la decisione stessa.
9.1. ... del socio d'opera
L'art. 2263 c.c. conferisce al giudice, in mancanza di decisione contrattuale, la decisione
sulla quota di utili spettante al socio che ha conferito la propria opera.
Quella del socio d'opera una figura che stata a lungo in bilico tra la posizione di
lavoratore subordinato e quella di prestatore autonomo di lavoro, in quanto
cointeressato alle sorti dell'impresa. Con riferimento alla prima versione, c' chi sostiene
di dover far riferimento all'art. 36 Cost., pur dovendo considerarsi un lavoratore
subordinato, soprattutto se il lavoro nella societ rappresenti la sua unica fonte di
sostentamento; con riferimento invece alla seconda versione, c' chi pensa che siano
incompatibili, con l'opera prestata, i principi dei contratti collettivi. Chi cerca di mediare
pone invece l'attenzione sul valore dell'opera prestata in relazione ai conferimenti dei
soci, l'importanza e l'intensit temporale del lavoro scelto, la natura dell'opera prestata.
Tale norma potr essere applicata solo se sono presenti nel contratto i valori dei
conferimenti patrimoniali dei soci, dovendosi applicare, in caso contrario, il principio di
uguaglianza degli stessi: infatti il ruolo del giudice quello di accertare il valore del
conferimento del socio d'opera.
10. I rapporti della societ con i terzi
Il tema pu essere visto sotto due punti di vista, in particolare:
a) quello della rappresentanza, cio dei soggetti che hanno il potere di spendere il
nome della societ e quindi di impegnarla nei confronti di terzi;
b) quello della responsabilit dei soci per le obbligazioni sociali.
Il primo punto stato affrontato esaminando il nuovo regime della pubblicit ed
esponendo i modi di amministrazione delle societ personali.
10.1. La rappresentanza sociale (art. 2266 c.c.)
L'articolo evidenzia come una posizione soggettiva attiva o passiva acquisita da un
socio possa essere qualificata come diritto destinato a far parte del patrimonio sociale o
come obbligazione della quale sono destinati a rispondere i soci con il patrimonio
sociale e con tutti i mezzi personali, in quanto illimitatamente responsabili. La
condizione che diritti ed obbligazioni siano stati acquisiti da un socio con il potere di
rappresentanza (art. 1388 c.c.).
Con riferimento a ci, occorre fare una distinzione preliminare:
A) le situazioni che possono verificarsi riguardo alla persona dell'investito sono le
seguenti:
a1) dal momento che la qualit di rappresentante presunta in capo a ciascun socio,
allo stato di socio essa fatta corrispondere come conseguenza naturale, oltre al fatto
che occorre sempre tenere conto del sistema amministrativo adottato;
a2) dubbi sull'affidamento della rappresentanza ad estranei, e non sulla decisione
contrattuale di affidare tale potere solo ad alcuni soci.
B) le situazioni che possono in concreto verificarsi cn riguardo al contenuto e
all'estensione dei poteri rappresentativi.
La presunzione che la rappresentanza si estende a tutti gli atti che rientrano
nell'oggetto sociale, facendosi in tal modo coincidere potere di amministrazione e potere
di rappresentanza, e quindi limiti al primo si rifletteranno anche sul secondo. In caso di
precise disposizioni se ne valuter l'ammissibilit, anche se in questo ambito
ammesso un buon grado di elasticit. Le eventuali limitazioni originarie di
rappresentanza possono sempre essere opposte ai terzi, che avranno sempre l'onere di
accertare, sulla base del contratto, "con chi hanno a che fare". Mentre onere della
societ darne notizia ai terzi quando tali limitazioni abbiano fonte in una limitazione
successiva, pena l'inopponibilit delle limitazioni stesse.
Se inoltre il rappresentante non spende il nome della societ o, nel caso della societ di
fatto, degli altri soci, il negozio concluso spiega effetto solo nei confronti del
rappresentante, anche se riguarda beni comuni.
Nonostante dunque nelle societ di persone i due poteri siano strettamente interrelati,
occorre mantenere la distinzione concettuale che tra essi intercorre: laddove il potere di
rappresentanza (rappresentante colui che ha il potere di manifestare ai terzi la volont
della societ e questa acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che
rivestano tale qualit) ha rilevanza esterna, mentre quello di amministrazione
(amministratore colui che, nei limiti delle competenze legali e statutarie, gestisce gli
affari della societ) ha rilevanza interna e non implica il potere di rappresentanza.
10.2. Il problema della responsabilit e l'autonomia patrimoniale della societ
Si parlato dell'autonomia patrimoniale come l'insensibilit reciproca tra il patrimonio
della societ e i patrimoni dei singoli soci, nel senso che i creditori sociali possono far
valere le loro pretese sul patrimonio sociale (e ciascun socio risponde dell'obbligazione
nei limiti della propria quota) e mai sul patrimonio dei singoli soci, mentre su di esso
possono far valere le proprie pretese i creditori dei singoli soci. Questa condizione di
autonomia patrimoniale perfetta propria delle societ di capitali e delle societ
cooperative
Invece, per la societ semplice, non solo esiste la responsabilit sussidiaria dei soci per
le obbligazioni sociali, ma anche l'attaccabilit del patrimonio del singolo socio laddove
il patrimonio sociale non sia sufficiente ad onorare l'obbligazione sociale.
cfr. artt. 2267-2271, con le prime tre per le obbligazioni sociali, la quarta per la
responsabilit dei soci verso i loro creditori particolari, mentre la quinta regola una
fattispecie mista.
10.2.1. La responsabilit per le obbligazioni sociali (art. 2267 c.c.)
Per obbligazioni sociali si intendono quelle assunte dalla societ per mezzo dei soci che
ne hanno la rappresentanza, e quindi le obbligazioni da contratto o "da ogni altro fatto
idoneo a produrle in conformit dell'ordinamento giuridico" (art. 1173 c.c.);
responsabilit illimitata dei soci significa che questi rispondono oltre i limiti della quota
conferita e quindi con tutti i propri beni;
la solidariet (art. 1292 c.c.) si pone fra i soci, e non tra i soci e la societ.
Dunque i creditori sociali possono far valere le loro pretese innanzi tutto sul patrimonio
sociale, che destinato principalmente a tale scopo; con esclusione di ogni pretesa dei
creditori particolari dei soci i quali, oltre a far valere i loro diritti sugli utili spettanti al
socio e a poter compiere atti conservativi su tale ammontare (art. 2270 c.c.), possono
chiedere la liquidazione della quota dei loro debitori, ma solo se gli altri beni di costoro
non siano sufficienti a soddisfare le obbligazioni (art. 2270 c.c.).
Tuttavia anche i creditori sociali possono forzare l'adempimento presso i singoli soci, i
quali rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali (art. 2267
c.c.). Tale responsabilit inderogabile per i soci agenti (quelli che hanno agito in nome
e per conto della societ) ma derogabile per gli altri soci. Questo perch l'eventuale
limitazione generale della responsabilit per coloro i quali hanno svolto il ruolo di
rappresentanti in una certa negoziazione rileva nei soli rapporti interni, non essendo
invece opponibile ai terzi, dal momento che costoro hanno negoziato con tali
rappresentanti. Se ci dunque vale, gli altri soci possono rendere edotti i terzi della
deroga di responsabilit, che in tal caso legittima, purch ci avvenga con mezzi
effettivamente idonei (art. 2267 c.c.).
Quella del socio per obbligazioni sociali una responsabilit sussidiaria (art. 2268 c.c.),
e tale principio pu essere fatto valere dal socio che ne dimostri la violazione da parte
del creditore. Questa possibilit del socio esiste in forma di eccepibilit verso il creditore
sociale, senza che ci costituisca invece il presupposto per l'azione contro il socio.
In definitiva, se per nessuno dei soci esiste patto limitativo della responsabilit
personale e solidale, il regime sar in tutto analogo a quello della societ in nome
collettivo; ove per alcuni soci viga il patto di esclusione della responsabilit e
l'amministrazione e la rappresentanza siano conferite a tutti gli altri soci per cui tale
patto non vige, il regime della responsabilit sar analogo a quello della societ in
accomandita semplice. In tutti gli altri casi vige un regime di responsabilit originario.
Il patrimonio sociale comunque mezzo di soddisfacimento proprio dei creditori sociali,
ad eccezione di una leggerissima aggredibilit da parte dei creditori personali dei soci,
oltre al fatto che non pu restare esclusa la responsabilit di tutti i soci.
10.2.2. La responsabilit dei soci nei confronti dei propri creditori personali (artt.
2270, 2271 c.c.)
La prima norma riguarda la tutela del creditore particolare nei confronti del socio suo
debitore, mentre la seconda vieta la compensazione tra il debito che il terzo ha verso la
societ e il credito che egli ha verso il socio.
Ne emerge che quello sociale un patrimonio autonomo, vincolato all'esercizio
dell'impresa sociale, sensibile alle pretese dei creditori sociali (art. 2267 c.c.) ma
insensibile alle vicende personali dei soci.
Il creditore particolare gode di una tutela che si articola in tre regole:
1) far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore: questo perch, non potendo il
creditore aggredire il patrimonio sociale, restano gli utili di esercizio come forma di
ristoro di provenienza societaria ma svincolata dal patrimonio sociale in s. Cessato il
rapporto sociale o scioltasi la societ, diviene rivendicabile anche la quota di
liquidazione. Far valere i propri diritti significa compiere atti conservativi (sequestro, ad
esempio) o esecutivi (espropriazione, ad esempio), ma non equivale ad influire sulla
distribuzione degli utili, cosa che resta di competenza della societ;
2) compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione,
anche se controversa la visione complessiva della dottrina sull'idoneit di tale quota a
ristorare il creditore particolare;
3) Ottenere la liquidazione della quota del suo debitore se gli altri beni di quest'ultimo
sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti: questa norma rende pi incerta l'idea di
autonomia patrimoniale della societ semplice.
Il creditore ha l'onere di provare l'insufficienza dei beni del debitore prima di chiedere la
liquidazione della quota;
il creditore personale non pu inoltre agire direttamente sui beni della societ, potendo
ottenere soltanto una somma di danaro corrispondente al valore della quota.
L'art. 2270 c.c. si applica anche alle societ di fatto ed alle societ irregolari.
11. Le modificazioni soggettive del contratto
Si tratta di modificazioni del contratto che riguardano le persone dei soci: vicende che
nell'ambito delle societ di persone assumono particolare rilievo.
Oltre al trasferimento della quota sociale rileva lo scioglimento del rapporto sociale
limitatamente al singolo socio.
Egli pu rimanere tale fino all'estinzione della societ, ma tale rapporto pu estinguersi
per la sua morte, per recesso volontario, per esclusione da parte della societ o per
esclusione di diritto, cosa che non investe la volont della societ e nemmeno quella del
socio.
11.1. La morte del socio
Si ha una deroga al comune diritto successorio, dal momento che gli eredi non
subentrano nella titolarit della quota sociale (art. 2284 c.c.), ma hanno diritto alla
liquidazione della quota del loro dante causa. In alternativa, gli altri soci possono
provocare lo scioglimento della societ o proporre agli eredi la continuazione di questa,
sempre che esistano clausole nel contratto sociale che lo permettano.
Dunque, alla morte del socio possono verificarsi le seguenti conseguenze:
A) se il contratto sociale non dispone diversamente (e dunque per le societ di fatto non
c' possibilit di deroga all'autonomia privata), tre sono le strade: a1) liquidare la quota
agli eredi del socio defunto;
a2) sciogliere la societ con il consenso di tutti i soci (art. 2272 c.c.);
a3) invitare gli eredi ad entrare in societ nella posizione giuridica del socio defunto per
via di un atto apposito, e non per diritto successorio;
B) in relazione alla possibile deroga della disciplina legale, la dottrina ha ipotizzato varie
clausole limitative del potere di scelta. L'ipotesi che desta maggiore interesse quella
sulla continuazione della societ da parte degli eredi, e si articola in tre possibilit:
1) clausole di continuazione facoltativa per gli eredi ed obbligatoria per i soci: una
facolt a tutti gli effetti;
2) clausole di continuazione obbligatoria, per entrambi;
3) clausole di continuazione automatica, quando all'accettazione dell'eredit va fatta
corrispondere la qualit di socio.
L'art. 2275 c.c. ammette tuttavia come sistema prevalente quello della liquidazione
pattizia tra i soci, salvo il previo pagamento dei debiti sociali.
cfr. artt. 2277-2282 c.c..
L'approvazione del rendiconto finale libera i liquidatori di fronte ai soci e pone fine alla
liquidazione. Se ammessa, revocabile con il consenso di tutti i soci, i quali possono
fissare un altro termine di durata. Importante anche l'art. 2273 c.c., che ammette,
coerentemente con la disciplina della societ semplice, la proroga tacita.
Sezione terza - La societ in nome collettivo
1. Nozione e caratteri
Disciplina contenuta negli artt. 2291-2312 c.c.; la forma pi diffusa di societ di
persone dal momento che ad essa sono collegati tutti i tipi di attivit esercitabili. L'art.
2291 c.c. stabilisce che i soci sono solidalmente ed illimitatamente responsabili, ed
essendo il primo articolo della disciplina, il suo contenuto sembra corrispondere al
carattere fondante della societ in nome collettivo. Tale articolo conduce infatti alle
seguenti considerazioni:
a) la norma mira ad identificare il tipo di impresa: tuttavia l'idea del regime di
responsabilit non sufficiente, dal momento che attiene anche alla societ semplice.
Dunque entra in gioco l'oggetto sociale come fattore identificativo, salva la possibilit
anche per la societ semplice di esercitare attivit non commerciali, mentre la s.n.c. se
ne distingue per la possibilit di includere anche le attivit commerciali;
b) l'ambito di applicazione della norma oltrepassa il vincolo sociale: artt. 2269, 2290
c.c..
c) l'inefficacia assoluta nei confronti dei terzi dei patti limitativi della responsabilit
sancisce una prima (e non trascurabile) differenza rispetto alla societ semplice.
Dunque nessun socio potr essere inadempiente (art. 2304 c.c.), salva la possibilit di
regresso per il socio pagante nei confronti degli altri soci, data la solidariet (art. 2263
c.c., salve diverse disposizioni contrattuali in tema di responsabilit).
2. Metodologia dell'esposizione e profili sistematici
Rispetto alla societ semplice, la societ in nome collettivo presenta:
- la presenza di una norma che indica il contenuto dell'atto costitutivo (art. 2295 c.c.);
- estensione dell'oggetto sociale anche alle attivit commerciali;
- inefficacia esterna dei patti limitativi della responsabilit;
- un pi accentuato livello di autonomia patrimoniale (artt. 2304, 2305, 2307 c.c.) e
dunque un diverso rapporto con i terzi;
- un regime di pubblicit piuttosto articolato, la cui non osservanza pu rendere la
societ irregolare;
- l'esistenza di una serie di norme in tema di capitale sociale (artt. 2303 e 2306 c.c.).
3. L'atto costitutivo. Forma e contenuto
La libert della forma reta anche per la costituzione della s.n.c. e la forma scritta (atto
pubblico o scrittura privata autenticata) richiesta solo ai fini dell'iscrizione nel registro
delle imprese. Dunque, non essendo messa in discussione l'esistenza in reazione
all'eventuale inadempimento, possiamo concludere che esiste la possibilit di costituire
- un autonomo ambito di affari, ai fini della legittimazione del soggetto preposto alla
sede.
Analogamente, la mancata iscrizione della sede secondaria sembra produca irregolarit
della societ.
3.5. L'oggetto sociale
cfr. 6.3. cap II.
3.6. I conferimenti dei soci. Il capitale sociale
cfr. precedente trattazione su conferimenti e loro valutazione.
A proposito del fondo sociale, ci si chiede se si possa parlare ora di capitale sociale.
Mentre c' neutralit per la denominazione del fondo della societ semplice, per quanto
riguarda la societ in nome collettivo ci sono due precise allusioni al capitale sociale
(artt. 2303 e 2306 c.c.), pur non dovendo essere incluso necessariamente nell'atto
costitutivo, come avviene invece per le societ di capitali e le societ cooperative.
Valore in denaro dei conferimenti dei soci, quale risulta dalle valutazioni compiute nel
contratto sociale: in questo senso una cifra nominale fissata contrattualmente e solo
in tale via modificabile.
Questione aperta se nel capitale sociale possano includersi anche i conferimenti
d'opera.
Il patrimonio sociale invece il complesso dei rapporti giuridici facenti capo
all'imprenditore. I beni del patrimonio sociale hanno condizione giuridica completamente
diversa da quella dei beni in comunione (artt. 2256, 2271, 2304, 2305 c.c.).
Quattro funzioni del capitale sociale:
1) strumento di attivazione dell'oggetto sociale;
2) strumento di rilevazione della situazione patrimoniale della societ;
3) strumento di misura del peso delle partecipazioni;
4) strumento di garanzia per i creditori sociali.
Il quarto punto ha fatto discutere, dal momento che sembrerebbe costituire invece
massima garanzia la responsabilit illimitata dei soci.
Ovviamente un'entit in trasformazione.
Ancora: il confronto tra capitale sociale e patrimonio sociale consente di misurare l'esito
della gestione.
Il capitale sociale considerato come moderatore legale e contabile della vita della
societ (artt. 2303 e 2306 c.c.), e deve dunque rimanere integro, anche a fronte di
perdite di capitale sociale. Questo anche per la funzione di garanzia verso i terzi. La
reintegrazione non mai obbligatoria, come per le s.p.a., pur esistendo vincoli tali da
non permettere la distribuzione di utili fino a tale momento.
In ordine all'art. 2306 c.c., la delibera di riduzione pu essere applicata: a) quando
nessun creditore abbia fatto opposizione; b) quando le opposizioni eventualmente
proposte siano state ritirate; c) quando il tribunale, su richiesta della societ, lo abbia
permesso, pur dietro idonea garanzia; d) quando i creditori sociali siano stati soddisfatti.
3.7. Le prestazioni dei soci d'opera (artt. 2263 e 2286 c.c.)
Il socio d'opera colui che si impegnato a conferire la propria attivit ed il risultato di
questa.
a) nei rapporti esterni, sia la societ semplice e la societ in nome collettivo in particolar
modo, nonostante l'assenza di personalit giuridica, si configurano come un gruppo
unitario portatore di una certa volont e titolare di un certo patrimonio, capace di
assumere obbligazioni, acquistare diritti e stare in giudizio (art. 2266 c.c.);
b) il limite ai poteri degli amministratori consiste nel solo oggetto sociale (art. 2298 e la
parte finale dell'art. 2266 c.c.);
c) possibile determinare il contenuto dei poteri rappresentativi (art. 2298 c.c.);
d) opponibilit dei patti limitativi di responsabilit tramite iscrizione o dimostrazione della
conoscenza degli stessi (art. 2298 c.c.);
e) non pi necessario il deposito presso l'Ufficio del registro delle imprese delle firme
autografe degli amministratori (vecchio comma 2 dell'art. 2298 c.c.).
Sull'affidamento della rappresentanza si rimanda alla disciplina della societ semplice.
5.2. La responsabilit per le obbligazioni sociali
Se da una parte la responsabilit illimitata e solidale dei soci maggiormente
accentuata rispetto al caso della societ semplice, dall'altra l'art. 2304 c.c. difende
maggiormente il patrimonio personale dei soci. Quella della verifica dell'incapienza del
patrimonio sociale rispetto ai diritti dei creditori sociali considerata come una
condizione di procedibilit dell'azione nei confronti del patrimonio del singolo socio.
Nella societ semplice, invece, questo modo di procedere costituisce per il socio
convenuto una mera eccezione, dal momento che, pur esistendo il diritto di preventiva
escussione del patrimonio sociale, il creditore pu munirsi di un titolo esecutivo nei
confronti del socio, per poi agire in via esecutiva nei confronti di quest'ultimo o iscrivere
ipoteca giudiziale sui beni di quest'ultimo, ove ne ricorrano le condizioni. ricevimento
5.3. I creditori particolari del socio (art. 2305 c.c.)
Tale articolo costituisce una prosecuzione dell'art. 2270 c.c..
La variazione di disciplina rispetto all'omologa nell'ambito della societ semplice una
soltanto, ed contenuta nel secondo comma dell'art. 2270 c.c.: mentre nella societ
semplice il creditore pu sempre chiedere la liquidazione della quota del socio qualora
risulti insolvente con i propri beni, nel caso della collettiva tale potere negato al
creditore, tranne che nei casi dell'art. 2307 c.c.ricevimento. Dunque vale l'art. 2270 c.c.,
il cui richiamo rileva anche da un altro punto di vista: il patrimonio sociale vincolato
all'esercizio dell'impresa sociale, oltre ad essere sensibile alle pretese dei creditori
sociali ed insensibile alle pretese dei creditori particolari dei soci.
Inoltre l'art. 2305 c.c. complementare all'art. 2304 c.c., nel senso che integra con
quest'ultimo il fondamento normativo dell'autonomi patrimoniale della societ in nome
collettivo.
6. L'estinzione e la proroga della societ
Le seguenti considerazioni discendono dall'obbligo di iscrizione nel registro delle
imprese e nel fatto che le s.n.c. esercitano prevalentemente attivit commerciali.
Alle cause di scioglimento delle societ personali dell'art. 2272 c.c. si aggiungono quelle
nei casi dell'art. 2308 c.c.. La fase finale della societ va notificata, ed oltre a ci si
distingue nella disciplina da quella della societ semplice in un duplice senso:
a) art. 2311 c.c. in tema di riparto dei proventi della liquidazione;
Capitolo quarto
LE SOCIETA' DI CAPITALI
Sezione prima - Generalit
1. Societ per azioni, societ in accomandita per azioni e societ a responsabilit
limitata
Dalla riforma societaria del 2003 stato ridisegnato il rapporto tra le forme societarie di
questa categoria, considerando che, precedentemente, la societ per azioni era
considerata la societ di capitali per antonomsia, la cui disciplina aveva un nucleo
comune anche alla s.a.p.a. e alla s.r.l..
Se da una parte la s.p.a. e la s.a.p.a. hanno un rapporto di stretta somiglianza
normativa, per cui la norma che riguarda la seconda (art. 2454 c.c.) viene integrata
residualmente dalle norme applicabili della prima, dall'altra non sono altrettanto chiare
le relazioni tra s.p.a ed s.r.l..
La tendenza normativa e sostanziale vede la societ per azioni come paradigma
societario pi adatto ad iniziative imprenditoriali di significativo respiro dimensionale,
mentre vede la societ a responsabilit limitata come paradigma societario pi adatto a
forme imprenditoriali pi simili a quelle di fatto tipiche di una collettiva di minori
dimensioni: ne deriva una maggiore differenziazione tra i due istituti.
La s.r.l. cessa dunque di essere la sorella minore della s.p.a. grazie ad una
caratterizzazione normativa pi accentuata, consistente nel maggior rilievo conferito alla
posizione dei soci ed alle relaizioni fra gli stessi, cosa che avvicina tale modello
societario a quello della societ personale in senso ampio. A ci si aggiunge la
b) iscrizione nel registro delle imprese, cosa che sancisce l'acquisto della personalit
giuridica.
Precedentemente, ossia prima del 2003, sussisteva anche il controllo di omologazione,
che mirava a verificare la conformit legale e sostanziale dell'atto costitutivo, anche in
relazione al tipo societario rispetto alla normativa vigente. Ci non esclude il compito,
da parte del notaio, di effettuare un controllo preventivo sull'atto costitutivo.
5. Le condizioni per la costituzione (art. 2329 c.c.)
Anche in questo caso la formazione del capitale sociale ritenuto momento necessario
ed essenziale, dal momento che la destinazione formale degli immancabili
conferimenti dei soci. Tali conferimenti possono anche non essere stati effettivamente
versati al momento della costituzione, ma possono essere iscritti in bilancio come
obbligazione dei soci, e non possono essere amessi come mera promessa. La
normativa speciale deroga, nell'ambito di alcuni "tipi" societari, al limite mininmo di
capitale sociale, in considerazione dell'adeguatezza che di volta in volta deve essere
valutata in ordine all'attivit che la societ intende esercitare. Il caso, invece, della
riduzione del capitale sociale richiede determinati presupposti, e determina
l'applicazione delle contromisure previste dagli artt. 2446 e 2447 c.c.
artt. 2342, 2343 e 2343ter c.c.;
Occorre inoltre che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni dettate dalla
legislazione speciale in relazione all'oggetto della societ. Si fa riferimento alle
disposizioni di legge relative all'atto costitutivo e all'iscrizione nel registro delle imprese.
Alcuni ritengono che le prescrizioni di legge riguardino il momento della stipulazione
dell'atto costitutivo, altri che riguardino i momenti successivi, a cominciare dall'iscrizione
dell'atto stesso nel registro delle imprese.
6. La stipulazione dell'atto costitutivo: costituzione simultanea e per pubblica
sottoscrizione
La vicenda costitutiva della societ per azioni pu avere origine da contratto o da atto
unilaterale (art. 2328 c.c.) oppure da provvedimento legislativo, bench questa
eventualit sia meno probabile delle altre.
L'atto costitutivo deve essere stipulato in forma di atto pubblico a pena di nullit,
concretandosi dunque la forma della pubblicit dichiarativa: questo permette alla legge
di monitorare al meglio la vicenda costitutiva, ai fini della massima regolarit.
La stipulazione dell'atto costitutivo pu ispirarsi a due modelli procedimentali: quello
della costituzione simultanea (art. 2328 e 2329 c.c.) e quello della costituzione per
pubblica sottoscrizione (art. 2333 e 2336 c.c.).
La costituzione simultanea si realizza attraverso l'immediata stipulazione dell'atto
costitutivo fra i soggetti coinvolti nella vicenda genetica della societ, i quali,
direttamente o mediante rappresentanti, compaiono dinanzi al notaio incaricato di
riceverne i consensi e di redigere l'atto costitutivo, sottoscrivendo integralmente il
capitale iniziale.
La costituzione per pubblica sottoscrizione si attua mediante un complesso e
macchinoso procedimento idoneo a costituire un capitale sociale derivante dalla
raccolta degli apporti di numerosi soggetti.
Quest'ultima tecnica decisamente meno agile della prima, motivo per cui ha riscosso
Tutte le altre sedi devono quindi considerarsi secondarie, dal momento che
costituiscono un'articolazione fisica dell'impresa non dotata di soggettivit.
3. Al terzo comma si richiede la specificazione dell'attivit che costituisce l'oggetto
sociale. Ci consente di disporre del parametro necessario per l'applicazione di
disposizioni codicistiche sensibili a tale aspetto della vita d'impresa (artt. 2332, 2361,
2380, 2347 c.c.), oltre a rispondere all'esigenza di garantire agli investitori che l'attivit
della societ resti coerente alle indicazioni rede dalla compagine sociale per questioni di
rischio associato all'investimento stesso.
4. Al quarto comma viene richiesta la specificazione del capitale sottoscritto e del
capitale versato: ci consente di definire il valore delle attivit patrimoniali destinate a
rimanere vincolate al perseguimento dei fini sociali, di quantificare l'entit delle
situazioni soggettive in capo ai soci (dal momento che dipende dalla quota relativa che
essi detengono), di far s che la sua assenza non comporti la nullit della societ (art.
2332 c.c.).
5. Al quinto comma viene richiesta la specificazione del valore nominale delle azioni,
loro caratteristiche e modalit di emissione e circolazione. Con riguardo a numero e
valore nominale occorre precisare che l'indicazione del numero importante quanto
quella del valore nominale, che va specificato solo quando alle azioni sia associato un
certo valore nominale; altrimenti sar sufficiente dividere il capitale sociale per il numero
delle azioni. Alle caratteristiche si fa riferimento in relazione alla possibilit di emettere
azioni di natura diversa da quella ordiaria, coerentemente con quanto permette
l'autonomia statutaria. Con riguardo all'emissione e circolazione delle azioni, la
specificazione delle modalit attiene alla non necessaria previsione di emissione da
parte dello statuto.
6. Al sesto comma viene richiesta la specificazione del valore attribuito ai crediti e ai
beni conferiti in natura.
7. Al settimo comma viene richiesta la specificazione delle modalit di ripartizione degli
utili. In mancanza, vale quanto stabilito dagli artt. 2348, 2430, 2433 c.c.. Resta
comunque un grande grado di libert statutaria, che pu sfociare anche una ripartizione
non proporzionale ai conferimenti, salvo il divieto di patto leonino (art. 2265 c.c.).
8. All'ottavo comma viene richiesta la specificazione di eventuali benefici accordati ai
promotori o ai soci fondatori (artt. 2340 e 2341 c.c).
9. Al nono comma viene richiesta la specificazione del sistema di amministrazione
adottato, numero degli amministratori e loro poteri, individuazione di quelli cui sono
conferiti poteri di rappresentanza. Il sistema pu essere dualistico o monistico, ed in
assenza di specificazione dovr intendersi operante il primo.
10. Al decimo comma viene richiesta la specificazione del numero dei componenti il
collegio sindacale (art. 2397 c.c.).
11. All'undicesimo comma viene richiesta la specificazione della nomina dei primi
amministratori e sindaci o dei componenti del consiglio di sorveglianza e, quando
previsto, del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti.
I primi amministratori possono sempre essere inclusi nei documenti societari tramite
designazione successiva, senza che l'omissione in sede costitutiva comporti nullit della
societ.
Il revisore contabile necessario sia nelle societ aperte (con ricorso frequente a
societ di revisione specializzate) che in quelle chiuse (con la possibilit, da parte del
collegio sindacale, di effettuare il controllo, a patto che ogni suo membro sia un revisore
contabile professionista iscritto all'albo).
12. Al dodicesimo comma viene richiesta la specificazione dell'ammontare, anche
approssimativo, delle spese sostenute ai fini della costituzione della societ. Questa
indicazione assume particolare rilievo nell'ambito della costituzione per pubblica
sottoscrizione; in ogni caso una tutela per i terzi.
13. Al tredicesimo comma viene richiesta la specificazione della durata della societ.
Ove l'atto costitutivo non rechi indicazione sulla durata, essa deve intendersi
indeterminata. Resta la possibilit di dedurla qualora siano presenti termini finali o
condizioni risolutive future in ordine ad attivit che verranno poste in essere. La
possibilit di indeterminatezza, vietata fino a prima del 2003, ammette dunque anche la
presenza di clausole di proroga tacita della societ; anzi fatto divieto di ritenere un
socio vincolato a tempo indeterminato, restando dunque per lo stesso la possibilit di
recedere in ogni momento dal rapporto societario.
L'art. 2328 c.c. determina dunque il contenuto dell'atto costitutivo distinguendo tra le
indicazioni ritenute fondanti della societ per azioni e quelle eventuali, sottostanti a
determinati presupposti (cfr. pagg 317-318). A ci si aggiunge la possibilit di una
maggiore ricchezza dell'atto costitutivo, in ordine, ad esempio, alla presenza di
indicazioni sull'emissione di strumenti finanziari o di speciali categorie di azioni (artt.
2346 e 2348 c.c.). Occorre inoltre precisare che lo statuto costituisce parte integrante
dell'atto costitutivo, che si configura cos come una struttura complessa articolata in
diversi documenti, da intendersi tuttavia unitariamente dal punto di vista giuridico e
funzionale: al punto che in caso di contrasto fra le clausole dello statuto e quelle
dell'atto costitutivo, prevalgono quelle dello statuto.
L'assetto negoziale a cui affidata la regolamentazione della vita della societ e delle
erlazioni fra i soci, spesso non si esaurisce nel solo atto costitutivo, includendo invece
anche intese separate, ossia patti o contratti parasociali (artt. 2341bis e 2341ter c.c.), la
cui conclusione pu avvenire in sede costitutiva o in momenti successivi. Interessano il
comportamento che gli aderenti devono tenere in relazione a determinate vicende,
ammettendo una casistica considerevolmente ampia.
Questi patti:
a) regolano l'esercizio del diritto di voto nelle societ per azioni o nelle societ che le
controllano;
b) pongono limiti al trasferimento delle azioni o delle partecipazioni in societ che le
controllano;
c)hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante
su tali societ.
Non rientrano in tali patti quelli strumentali ad accordi di collabotazione nella produzione
e nello scambio di beni o servizi relativi a societ interamente possedute dagli stipulanti.
Tali articoli investono anche il tema della durata e la pubblicit di tali patti, con
rispettivamente una disciplina unitaria e una disciplina riservata alle societ aperte.
8. Il controllo preventivo sull'atto costitutivo: oggetto e limiti
Ai sensi dell'art. 2330 c.c., entro i venti giorni successivi alla stipulazione dell'atto
costitutivo (o all'acquisizione delle autorizzazioni il cui rilascio postuli l'avvenuta
stipulazione dello stesso) il notaio deve depositarlo nell'ufficio del registro delle imrpese,
separato documento. Anche dopo la venuta in essere della societ per azioni, non si
ritengono imputabili alla societ gli effetti degli atti compiuti prima dell'iscrizione, se non
previa ratifica.
Non dovrebbe essere invece necessaria la ratifica per gli atti ritenuti strettamente
necessari alla costituzione della societ, la traslazione dei cui effetti nella sfera
patrimoniale della persona giuridica sarebbe direttamente connessa all'iscrizione: c'
conferma di tale filone interpretativo negli artt. 2328 e 2338 c.c.. Dunque la societ
sceglie quali atti attribuirsi tra quelli non necessari alla sua stessa nascita, pur restando
a volte difficoltoso definirne la necessit stessa.
Secondo alcuni la ratifica non avrebbe tale potere ai fini dell'imputabilit alla societ
esistente posteriormente al compimento dell'atto o degli atti.
L'art. 2331 c.c. non esclude, con l'approvazione degli atti, la responsabilit dei singoli
soggetti, vi somma quella dell'ente.
L'approvazione degli atti sembra essere attribuita all'organo amministrativo, secondo
alcuni all'assemblea.
10. La nullit della societ (art. 2332 c.c.)
La societ deve ritenersi nulla al ricorrere delle seguenti ipotesi:
1) Mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma di atto pubblico.
Le proiezioni applicative dell'art. 2332 c.c., nonostante l'ipotesi dell'atto costitutivo in
forma di scrittura privata, continuano ad essere riferibili essenzialmente ai casi in cui la
redazione dello stesso abbia luogo senza che sia riconducibile alla forma dell'atto
pubblico, con ipotesi di nullit da ricondurre dunque, sostanzialmente, a tale requisito
formale.
2) Illiceit dell'oggetto sociale.
Sorgono due problemi interpretativi: uno in ordine al concetto di illiceit, l'altro relativo
alla riferibilit, oltre che all'oggetto, anche all'attivit concretamente posta in essere
dalla societ. Si ritiene che, in ogni caso, l'oggetto sociale non debba violare non solo le
norme imperative, ma anche l'ordine pubblico e il buon costume. Rimane poi
controverso se debba ritenersi illecita solo l'attivit illecita di per s o anche una
conduzione illecita (intendendo anche la mancanza di autorizzazioni ufficiali) di
un'attivit di per s lecita (art. 2329 c.c.). Sebbene non sia irrilevante il filone
interpretativo che pone come oggetto di possibile illiceit il solo oggetto sociale, la
rilevanza economica degli interessi riferibili alla societ, i quali sono oggetto di norme
che vincolano alla loro tutela la costituzione della societ, giustificherebbe
un'interpretazione estensiva della norma in esame. Inoltre tale visione coerente con
l'art. 2332 c.c., oltre che con l'impianto normativo nel suo complesso. Dunque si pu
avere, in seguito all'eventuale revoca delle autorizzazioni precedentemente rilasciate, il
caso della nullit sopravvenuta.
Se rilevino anche le attivit concretamente svolte fatto controverso, ed in particolare
questa valutazione lasciata all'apprezzamento del giudice nel singolo caso, restando
la regola generale per cui ai fini dell'applicabilit della disciplina della nullit si hanno
come presupposto vizi inerenti alle attivit dedotte nell'atto costitutivo.
3) Mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della
societ, i conferimenti, l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale.
E' sufficiente l'incertezza in ordine ad elementi cos essenziali ai fini della costituzione e
l'identificazione della societ e del suo funzionamento. Tali elementi rilevano infatti solo
quando emergano dalla lettura dell'atto costitutivo, eslcudendo che documenti
extrastatutari possano sopperire in tal senso.
Le ipotesi di nullit della societ per azioni si collocano al difuori della generale orbita
del diritto comune per quanto riguarda la nullit negoziale. Da ci discende che:
a) non possono essere considerati rilevanti vizi di nullit, assoluta o relativa,
annullabilit o inesistenza diversi da quelli indicati nell'art. 2332 c.c., compresi quelli
riconducibili alle quattro cause di nullit soppressi dalla riforma;
b) non sono applicabili norme ed istituti che esulano dalla disciplina degli effetti della
nullit della societ per azioni (artt. 1419, 1446, 1420 c.c.).
Tali patologie non impediscono tuttavia alla societ di iscriversi nell'ufficio del registro
delle imprese; n, in deroga alla disciplina della nullit dei contratti, l'accertamento
giudiziale dei vizi ex art. 2332 c.c. travolge l'organizzazione che ne affetta e gli atti
posti in essere. Viene invece sciolta la societ e liquidata immediatamente, lasciando
immune da ogni conseguenza l'attivit pregressa. Dunque prevale l'interesse alla
conservazione dell'unit produttiva in luogo di quello alla sua soppressione, e il 4
comma dell'art. 2332 c.c. si pone come antecedente logico rispetto alle disposizioni
dettate al 2 e 3 comma, che regolano i riflessi della stessa sentenza sui rapporti
interni ed esterni alla societ.
Coerentemente con la logica dello scioglimento e della liquidazione della societ, gli
effetti degli atti compiuti dalla societ viziata restano salvi; inoltre i conferimenti vanno
effettuati fino alla soddisfazione di tutti i creditori sociali. In altri termini, la dichiarazione
di nullit non dispiega effetti retroattivi.
Occorre ora individuare il momento in cui la sentenza di nullit comincia a dispiegare i
soi effetti. Fermo restando l'obbligo di iscrizione della dichiarazione di nullit nel registro
delle imprese, non c' una precisazione puntuale di tale momento, ma si ritiene che
coincida con l'annotazione nel registro stesso.
Al quinto comma viene prevista la possibilit che le cause di nullit vengano meno, e
l'efficacia di tale provvedimento subordinato anch'esso all'annotazione nel registro
delle imprese, senza darne spiegazione.
L'ipotesi al primo comma dell'art. 2332 c.c. desta l'interrogativo in ordine alla necessit
di una nuova riunione dell'assemblea straordinaria o alla semplice sottoposizione del
nuovo atto al vaglio notarile a cui eventualmente fosse sfuggito.
Sezione terza - I conferimenti e i titoli azionari
1. I conferimenti ed il capitale sociale
I soci, mediante i conferimenti, si obbligano a contribuire, sia nella fase costitutiva che
durante la vita della societ, alla formazione dei mezzi necessari per lo svolgimento
dell'attivit prevista dall'oggetto sociale.
Il capitale sociale coincide con la somma dei conferimenti (art. 2346 c.c.), anche se
possibile ce altri tipi di apporti siano eseguiti dai soci, anche se non facenti parte del
capitale sociale. Il valore del capitale sociale uguale a quello del patrimonio solo
nell'attimo della costituzione, dato che quello del secondo pu risentire dell'andamento
della societ, in positivo o in negativo.
Il capitale sociale sicuramente, a prescindere dal dibattito sulle sue funzioni, la prima
risorsa disponibile per lo svolgimento dell'attivit: funzione produttiva del capitale
sociale, sia direttamente con l'utilizzo, che indirettamente con la raccolta di risorse dal
pubblico degli investitori; assolve una funzione organizzativa dal punto di vista della
misurazione monetaria delle azioni in cui suddiviso il capitale sociale stesso e nella
definizione dei diritti in esse incorporati (artt. 2374, 2377, 2409 c.c.); costituisce inoltre
una prima forma di garanzia per l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla societ
nei confronti dei creditori. Ci sono infatti regole atte a vincolare il capitale sociale
all'esercizio dell'impresa e alla funzione di garanzia. I creditori possono infatti opporsi ad
eventuali decisioni di riduzione del capitale sociale; se delle perdite erodono il capitale
sociale, questo deve essere reintegrato con gli utili successivamente conseguiti, senza
che possano essere distribuiti prima di tale momento; analogamente per incrementi di
capitale sociale.
A differenza delle obbligazioni, che come quote di capitale di debito possono essere
emesse sotto la pari, le quote del capitale sociale, o azioni, devono avere come
riscontro un ammontare di conferimenti almeno pari al loro valore nominale, ossia al
valore globale del capitale sociale: con ci si vuole evitare la possibilit di un capitale
sociale solo apparente (art. 2346 c.c.); Lo stesso articolo prevede inoltre la possibilit
che i soci si impegnino a conferire, oltre alla quota di capitale sociale, anche apporti
diversi non imputabili al capitale. Esempio tipico quello dell'aumento del capitale
sociale, che consiste in un'operazione nell'ambito della quale il capitale sociale
(esistente prima dell'incremento) rimane estraneo.
In tale circostanza pu esservi un obbligo. In tal senso il sovrapprezzo rispetto al valore
nominale di ogni azione viene iscritto in bilancio nella riserva da sovrapprezzo azioni
(art. 2341 c.c.), mentre la parte del prezzo che rispecchia il valore nominale costituisce
l'incremento di capitale sociale.
L'idea del sovrapprezzo si collega a quella della differenza tra patrimonio e capitale
sociale, laddove un incremento del primo significa un incremento proporzionale del
valore di ciascuna azione che, rappresentando una quota del patrimonio, eccede
dunque il valore nominale. Dunque i nuovi soci dovranno corrispondere un ammontare
che comprenda tale sovrapprezzo, a meno che non sia previsto il diritto di opzione per
gli azionisti esistenti prima dell'incremento di capitale sociale (art. 2441 c.c.).
Nelle societ per azioni sono ammessi solo conferimenti di denaro, beni in natura e
crediti, essendo invece vietate prestazioni d'opera o di servizi (art. 2342 c.c.). Qualora
tali prestazioni d'opera o di servizi vengano conferite, la societ dovr emettere,
contestualmente, strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o amministrativi,
escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti.
Apporti dunque non imputabili al capitale sociale (diversi da crediti, denaro e beni in
natura) posso essere conferiti anche per altre ragioni.
Lo statuto pu anche prevedere un'assegnazione non proporzionale delle azioni (art.
2346 c.c.), come nel caso del socio prestatore d'opera che, vedendo valutato il suo
apporto non monetario, riceve comunque azioni il cui conferimento spetta per agli altri
soci: questi ultimi riceveranno un numero di azioni non proporzionale ai conferimenti
realmente effettuati. Tale regola deriva dall'inderogabilit della norma che vieta che
esista capitale sociale apparente.
Sono previste anche emissioni di azioni con prestazioni accessorie (art. 2345 c.c.): il
obblighi di controllo e di eventuale rettifica della relazione stessa previsti dal comma 3
dell'art. 2343 c.c.: se la nuova stima sfocia nell'attribuzione di un valore inferiore oltre un
quinto, la norma impone che si adottino dei provvedimenti. In particolare viene ridotto
congruamente il capitale sociale ed annullate le azioni corrispondenti a quella quota di
esso. Il socio potr tuttavia scegliere se integrare il conferimento o se recedere dalla
societ, nel qual caso avr diritto alla restituzione al conferimento, qualora sia possibile,
in tutto o in parte in natura.
Per eludere questa norma (art. 2343bis c.c.) si potrebbe anche procedere attraverso la
vendita (invece del conferimento) dei beni designati, procedendo poi alla
compensazione, nell'ambito della posizione del socio conferente, tra il debito per il
conferimento ed il credito commerciale sorto con l'atto di vendita, facendo cos figurare
un conferimento come una vendita, cosa che non ammessa e che viola l'art. 2343
c.c.: il bis impone dunque che nel biennio successivo all'iscrizione, acquisti (di beni o di
crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori) per un corrispettivo
pari o superiore al decimo del capitale sociale debbano essere approvati dall'assemblea
ordinaria. Anche in questo caso l'alienante deve presentare una relazione redatta da un
esperto entro i quindici giorni dall'assemblea, la quale entro trenta giorni dovr
deliberare: se l'acquisto avviene, il verbale dell'assemblea e la relazione deve essere
depositata nel registro delle imprese. In caso di violazioni delle regole appena esposte
gli amministratori e l'alienante sono solidalmente responsabili per i danni causati alla
societ, ai soci e ai terzi.
Al terzo comma dell'art. 2343bis c.c. sono presenti le eccezioni, che comunque non
escludono l'obbligo per il conferente di presentare la documentazione per la quale
risulta la valutazione e dalla quale deve risultare la presenza delle condizioni richieste.
Nel 2008, con gli artt. ter e quater (poi modificati nel 2010), la nuova normativa su tale
tematica rende l'applicazione dell'art. 2343 sempre pi residuale: ne risulta una
disciplina pi snella, che comunque espone al rischio di una non rigorosa e corretta
valutazione. A tale proposito sono stati istituiti obblighi di verifica e di informazione in
capo agli amministratori. Costoro redigono a tale proposito una relazione che, finch
non viene iscritta nel registro delle imprese, comporta l'inalienabilit delle azioni, che
devono dunque restare depositate in capo alla societ.
cfr. art. 2343ter c.c., o pag 334-335.
cfr. art. 2343quater c.c., o pag 335.
4. Le azioni
Nelle societ per azioni, la partecipazione sociale rappresentata da azioni (art. 2346
c.c.): ogni partecipazione dunque costituita da tante azioni quante sono le frazioni di
capitale sociale sottoscritte dal socio.
I titoli azionari emessi incorporano la partecipazione sociale, la qualit di socio e
dunque il complesso di situazioni soggettive attive e passive che ne derivano.
Le azioni sono indivisibili (art. 2347 c.c.); pu essere oggetto di compropriet, ma tra i
comproprietari deve esistere un rappresentante degli stessi che eserciti i diritti associati
alla partecipazione al fine di rendere pi agevole i rapporti tra socio e societ. Si rinvia
alla disciplina della comunione. Se il rappresentante comune non viene nominato, le
comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla societ sono efficaci verso tutti i
comproprietari, i quali inoltre rispondono solidalmente delle obbligazioni derivanti
dall'azione.
Altro discorso quello relativo alla possibilit di modificazione dello statuto in ordine al
numero di azioni, fermo restando l'ammontare di capitale sociale: un'operazione
possibile.
L'art. 2348 c.c. sancisce invece il principio di uguaglianza, secondo il quale le azioni
sono tutte di uguale valore nominale (in quanto quota del capitale sociale) e
conferiscono ai possessori uguali diritti ai possessori.
Pu tuttavia non essere espresso il valore delle azioni, dichiarando solo il loro numero e
l'entit del capitale sociale: questo permette di effettuare incrementi di capitale sociale
senza dover distribuire nuove azioni del valore dell'incremento o spalmare invece
quest'ultimo aumentando il valore nominale delle azioni. Baster dichiarare l'incremento
di capitale sociale e il suo nuovo valore.
cfr. art. 2346 comma 3 c.c. per l'emissione di azioni senza valore nominale annesso.
L'art. 2351 c.c. limita il numero di azioni con voto limitato alla met delle azioni emesse,
senza che si abbia ponderazione al capitale sociale.
Per quanto riguarda la parit di diritti tra azionisti (a parit di tipologia azionaria) occorre
rilevare che esistono comunque categorie di diritti che dipendono dall'aliquota di
capitale sociale di cui si titolari (artt. 2367, 2377, 2409 c.c.), mentre altri confermano il
principio generale (art. 2370 c.c.).
L'art. 2348 c.c. prevede inoltre la possibilit di emissione di azioni incorporanti diritti
diversi da quelli propri delle azioni ordinarie.
Se ogni azione attribuisce gli stessi poteri delle altre, ne deriva il carattere di autonomia
delle azioni, nel senso che possibile disporre dei diritti separatamente (art. 2437 c.c.):
esercitare il diritto di recesso per una sola parte delle azioni di cui titolare, partecipare
all'assemblea con una sola parte di esse.
5. I diritti spettanti agli azionisti. I vincoli sulle azioni
I diritti possono essere di natura amministrativa o patrimoniale.
I primi consentono di prendere parte alla societ: partecipare all'assemblea, esprimere il
voto, impugnare deliberazioni invalide, consultare il libro dei soci e quello delle
adunanze e delle deliberazioni assembleari, di denunciare al collegio sindacale fatti
censurabili o al tribunale gravi irregolarit, prendere visione del progetto di bilancio,
esercitare l'azione di responsabilit contro amministratori e sindaci.
I secondi consistono nel diritto agli utili ed alla quota di liquidazione.
Vi sono poi diritti di contenuto misto: il diritto di recesso, il diritto di opzione, il diritto di
assegnazione gratuita delle azioni in caso di aumento gratuito del capitale sociale. Ad
esempio il diritto di opzione permette di non annacquare il capitale sociale e di
mantenerne il valore economico.
In caso di aumento del capitale sociale il diritto di opzione spetta al socio, al quale sono
attribuite le azioni sottoscritte esercitando l'opzione. Il denaro va versato tre giorni prima
del termine prefissato. Qualora nessun altro socio si proponga per azioni senza socio
opzionario, vengono venute sul mercato.
[pegno e usufrutto di azioni: pochi cenni sul libro (pag 339)]
6. Le categorie di azioni
Lo statuto pu prevedere categorie di azioni che incorporano diritti diversi (art. 2348
essere espresso: in tal caso il rifiuto del gradimento il violazione dei criteri dettati dallo
statuto legittimer l'impugnazione della delibera adottata dall'organo cui stato
attribuito tale potere. Il gradimento pu tuttavia essere rimesso alla valutazione
pienamente discrezionale dell'organo designato: mero gradimento. Occorre tuttavia che
sia presente un diritto di recesso per l'alienante o un obbligo di acquisto per la societ
(art. 2355 comma 2 c.c.). L'acquisto comunque disciplinato dall'art. 2357 c.c., e la
valutazione del corrispettivo o della quota di liquidazione dall'art. 2437 c.c.;
la seconda prevede che il socio che intenda vedere azioni debba prima offrirle ai soci, i
quali potranno acquistarle a parit di condizioni proposte a soggetti non-soci. Possibilit
di prelazione impropria, con condizioni fissate da parametri o da un arbitratore.
L'eventuale sanzione consiste nell'inefficacia dell'alienazione e pu essere fatta valere
dalla societ o dai soci; alcuni ritengono esista anche il diritto di riscatto dell'azione da
terzi.
In tema di modificazioni o introduzione di limitazioni alla circolazione di quote azionarie
richiesta la maggioranza delle deliberazioni statutarie (cfr. art. 2437 comma 2 lett b)
c.c., derogabile dallo statuto).
I patti limitativi non sono opponibili ed hanno efficacia solo tra gli aderenti e l'unica
sanzione quella del risarcimento conseguente all'inadempimento all'obbligo assunto,
ma non l'inefficacia della vendita. cfr. artt. 2341bis e ter c.c..
9. Le azioni proprie (artt. 2357 ss. c.c., con aggiornamento mediante recepimento
della direttiva comunitaria 77/91/CEE)
Il riacquisto di azioni proprie, cosa che consente alla societ di divenire socia di s
stessa, non del tutto precluso ma disciplinato in modo da limitare i pericoli derivanti
dal fatto che una parte del patrimonio sia destinata all'acquisto di paarte del capitale
sociale.
Questa strategia pu consistere in un'opportunit di investimento sulla quale la societ
confida in virt della simmetria informativa con s stessa di cui gode; pu inoltre
consistere in una strategia di mercato volta alla regolarizzazione dei corsi, ossia al
mantenimento della stabilit del valore di mercato delle azioni proprie; ancora, pu
costituire un buon modo per rafforzare il gruppo di controllo contro manovre ostili; nelle
societ chiuse pu inoltre essere un modo per liquidare l'investimento di un socio che
intenda recedere.
I pericoli di tale pratica risiedono nella possibilit di annacquamento del capitale sociale,
eludendo cio la disciplina dei conferimenti (come?) e dunque il principio di integrit del
capitale sociale; inoltre possibile sfruttare la tecnica di stabilizzazione del corso con
l'opposto fine di alterarlo; pu modificare il rapporto tra gli azionisti, dal momento che il
gruppo di controllo pu rafforzare la propria posizione acquistando azioni con il denaro
di tutti i soci.
La disciplina distingue tra sottoscrizione di azioni proprie ed acquisto di azioni proprie,
laddove il primo divieto evidentemente volto a non far azzerare il capitale sociale
(cosa che necessariamente accade se con tutto il patrimonio sociale viene acquistato
tutto il capitale sociale: i due coincidono nella prima fase di vita della societ), e la
sanzione collegata alla violazione volta essenzialmente all'ottenimento dei
conferimenti, e non all'annullamento della sottoscrizione. Attualmente il divieto stato
esteso anche al caso di aumento di capitale sociale a pagamento, dunque il richiamo da
Se alla sussistenza dei requisiti per legge richiesti l'assemblea non viene convocata
dagli amministratori, interviene il tribunale. Se in tale sede viene comprovata
l'infondatezza del rifiuto di convocazione, il giudice impone invece con decreto la
convocazione dell'assemblea, designandone anche il presidente (art. 2367 c.c.). In tal
modo vengono evitati eventuali abusi di convocazione delle minoranze, anche in virt di
ulteriori limitazioni disposte dall'art. 2367 c.c., come quella che riguarda il divieto di
proporre la trattazione di argomenti che propongono, per legge, gli amministratori. Altri
casi sono quelli degli artt. 2501ter, quater e quinquies, 2506bis, 2441 comma 6, 2446
c.c..
Quando amministratori o consiglio di gestione non provvedono alla convocazione
quando obbligatoria, se ne devono preoccupare il collegio sindacale o il consiglio di
sorveglianza (artt. 2406 e 2409 quaterdecies c.c.), in particolare nel caso contemplato
dall'art. 2386 c.c..
L'assemblea deve essere convocata nel comune dove ha sede la societ, salva diversa
disposizione statutaria (art. 2363 c.c.).
Le formalit per la convocazione sono indicate all'art. 2366 c.c., e mirano
sostanzialmente a dare la corretta informativa ai partecipanti e portatori di interesse:
l'ordine del giorno deve ad esempio essere sufficientemente chiaro ed analitico per
consentire ai partecipanti di prepararsi preparati all'assemblea, ammettendo che
vengano presi, al di fuori di questo, solo provvedimenti connessi, consequenziali ed
accessori.
L'eventuale seconda convocazione mira a rimediare all'eventuale carenza numerica di
soci ai fini di una valida costituzione dell'assemblea, prevedendo inoltre quorum
costitutivi ridotti per facilitare l'adozione delle deliberazioni (art. 2369 comma 2 c.c. o
art. 126 comma 2 T.u.f.).
Ai sensi degli artt. 2368 e 2369 c.c. sono previste anche singole convocazioni cui si
applichino le regole dettate dall'art. 2369 comma 6 c.c..
Le modalit di diffusione degli avvisi variano a seconda che la societ sia aperta o
chiusa, con obblighi informativi e regole di preavviso rispettivamente pi e meno
stringenti. Ampio il preavviso delle societ cooperative aperte.
Possibilit di assemblea totalitaria, nella quale partecipa la maggioranza dei componenti
degli organi amministrativi e di controllo. La delibera non vincolata all'ordine del
giorno, dal momento che gli obblighi informativi sono adempiuti in virt della natura
stessa dell'assemblea, che accoglie appunto una totalit di individui. Infatti vige la
regola di cui all'art. 2366 comma 4 c.c., che rende sicuramente pi precaria la portata
deliberativa di tale assemblea. Le deliberazioni devono essere tempestivamente
comunicate ai componenti degli organi amministrativi e di controllo non presenti.
3. Lo svolgimento: a) la presidenza dell'assemblea e l'intervento dei legittimati
L'assemblea presieduta dalla persona indicata dallo statuto o, in mancanza, da quella
eletta con il voto della maggioranza dei presenti. Il presidente assistito da un
segretario designato nello stesso modo. Ci non necessario quando il verbale deve
essere redatto dal notaio (art. 2371 c.c.).
Al presidente attribuito il compito di dirigere i lavori assembleari (art. 2371 comma 2
c.c.). Inoltre degli esiti delle attivit del presidente deve essere dato conto nel verbale.
La nuova formulazione di tale norma attribuisce al presidente poteri che rilevano non
2343bis, 2393 c.c.) di ritiene invece che essi siano opponibili proprio in virt della legge,
che rende conoscibile ogni specificit ai terzi.
Qualora si abbia, infine, partecipazione di una s.p.a. in una societ di persone, in
assenza di deliberazione assembleare della partecipante essa opponibile ai terzi, in
quanto si tratta di una grave violazione nel riparto di competenze tra organi della
societ: dunque la partecipazione risulta invalida ed appunto opponibile ai terzi
(ricevimento).
5. Le deliberazioni del c.d.a.
Gli adempimenti del presidente del consiglio di amministrazione che l'art. 2381 c.c.
elenca sono ispirati al principio di collegialit che caratterizza le riunioni consiliari
garantendo, attraverso il confrono dialettico, l'approfondimento e la ponderazioni
necessari per l'assunzione delle migliori decisioni nell'interesse della societ.
Salvo che lo statuto richieda un quorum pi elevato, le riunioni presuppongono la
presenza della maggioranza degli amministratori (art. 2388 c.c.). La partecipazione
telematica possibile a patto che ci consenta l'identificazione dei consiglieri, la
possibilit di seguire la discussione, di intervenire in tempo reale sugli argomenti
affrontati e di partecipare alla votazione.
Gli amministratori non possono esercitare il voto per rappresentanza ed il consiglio
decide a maggioranza assoluta dei presenti (esclusi dunque gli assenti e gli
amministratori in conflitto di interessi) calcolata per teste, salva diversa disposizione
dello statuto. Il quorum deliberativo suscettibile di modifica statutaria in entrambi i
sensi.
Solo la deliberazione riguardo materie di competenza assembleare richiede
espressamente la redazione di un verbale, negli altri casi la discussione aperta, anche
se prevale l'orientamento favorevole.
Le previsioni normative, coerentemente con la snelleza procedurale delle decisioni
d'impresa, non sono in gran numero, essendo lo statuto a colmarne i vuoti a m di
legislazione speciale, ossia nel modo pi idoneo in considerazione della specifica realt
d'impresa.
Il c.d.a. deve riunirsi almeno una volta l'anno, in occasione della redazione del bilancio,
se esso viene sottoposto all'approvazione dell'assemblea ordinaria.
Se a tale proposito deputato un organo delegato ne occorre almeno una seconda, in
virt dell'art. 2381 comma 5 c.c..
Per quanto riguarda l'annullabilit delle delibere consiliari (art. 2388 c.c.), si ritengono
rientranti nella previsione sia le violazioni delle regole sul funzionamento (convocazione,
quorum cotitutivo e deliberativo, incompetenza), sia le violazioni delle regole che
presiedono al contenuto della delibera, come l'illiceit dell'oggetto.
Se l'impugnazione promossa da amministratori e sindaci si applica l'art. 2378 c.c.
sull'annullamento delle delibere assembleari.
I soci possono impugnare una delibera solo se lesi nei loro diritti, come espulsioni
illecite o altro (artt. 2377 e 2378 c.c.).
L'art. 2388 c.c., sempre per il principio di sicurezza delle contrattazioni, fa salvi i diritti
acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione delle delibere
consiliari.
Il giudice dovr accertare il nesso di cusalit tra il fatto illecito ed il danno, inteso come
perdita effettivamente sopportata dalla societ; dal punto di vista probatorio la societ
fornisce solo l'inadempimento ed il nesso di causalit, mentre compito
dell'amministratore dimostrare la diligenza prestata o i fatti che escludono o attenuano
la sua responsabilit.
L'ordinamento attribuisce tuttavia ai soci di minoranza che, anche congiuntamente,
rappresentino il quinto del capitale sociale o un ventesimo per le societ aperte (o
minore aliquota prevista dallo statuto, ex art. 2393bis c.c.), un diritto di veto in ordine
all'azione di responsabilit promossa.
L'eventuale approvazione preventiva di atti di gestione da parte dell'assemblea non
libera gli amministratori da eventuali responsabilit, nemmeno nei confronti della
societ.
11. L'azione di responsabilit promossa dai soci di minoranza
Dal momento che i soci di maggioranza difficilmente promuoveranno un'azione di
responsabilit nei confronti degli amministratori che hanno nominato, per evitare che
l'accertamento sia solo delle autorit concorsuali e per conferire la giusta rilevanza ai
soci di minoranza, ad essi attribuita la medesima possibilit di azione dall'art. 2393bis
c.c.: i soci di minoranza rappresentanti, salva diversa disposizione statutaria, il quinto
del capitale sociale possono infatti citare in giudizio gli amministratori e chiedere loro il
risarcimento dei danni cagionati, esercitando l'azione in nome proprio, ma nell'interesse
della societ. Per le societ aperte sufficiente l'azione del 2.5% del capitale sociale,
ed controverso se tale quota debba rimanere in capo ai soci per tutto il periodo del
processo.
E' un'ipotesi di sostituzione processuale, dal momento che l'interesse della societ ma
l'azione promossa da parte dei soci di minoranza, che sono appunto portatori di
interessi di minore entit: per questo motivo la societ o il collegio sindacale devono
riceverne notifica.
Coerentemente, la societ percepir vantaggi e svantaggi dell'esito processuale, salvo il
rimborso agli attori per spese processuali e di accertamento.
In caso di rinuncia ogni corrispettivo va a vantaggio della societ (art. 2343bis c.c.); le
condizioni delle rinuncia sono quelle specificate all'art. 2393 c.c., cui l'art. 2393bis c.c. fa
esplicito richiamo.
12. L'azione di responsabilit dei creditori sociali e degli organi delle procedure
concorsuali
Pu succedere che gli amministratori violino gli obblighi di condotta loro imposti a tutela
del patrimonio sociale, rendendo questo insufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori
sociali. La lesione dell'integrit del patrimonio sociale pu derivare anche dalla
violazione dei prima esaminati obblighi di cui all'art. 2392 c.c., posto che ogni atto di
gestione, disponendo del patrimonio sociale, pu arrecarvi un pregiudizio.
Dal momento che il patrimonio sociale per i creditori sociali l'unica garanzia, l'art. 2394
c.c. attribuisce loro una distinta azione di responsabilit contro gli amministratori, salvo
che il pregiudizio sia riconducibile causalmente alla violazione dei detti obblighi.
L'azione dei creditori mira spesso ad ottenere la prestazione dovuta, anche parziale, a
titolo risarcitorio: infatti l'azione esercitata prevalentemente in ambito concorsuale (art.
2394bis c.c.).
Controversa la natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilit degli
amministratori verso i creditori sociali. Nel secondo caso l'onere della prova sarebbe a
carico dei creditori.
Si discute inoltre se l'azione sia autonoma (infatti non subordinata all'inerzia della
societ) o surrogatoria, trattandosi della stessa azione che compete alla societ.
Questo rileva in termini di eccezioni e di risultati positivi: se fosse surrogatoria, i creditori
sarebbero esposti alle eccezioni al pari dei soci ed i vantaggi dell'azione ricadrebbero
anch'essi su questi ultimi. Ai creditori spetterebbe il vantaggio indiretto dell'incremento
del patrimonio della societ. Tuttavia queste azioni sono quasi esclusivamente
esercitate in ambito concorsuale.
Nel silenzio normativo si ritiene applicabile la disposizione dell'art. 2949 c.c. secondo
cui l'azione si prescrive in cinque anni dal momento in cui l'insufficienza patrimoniale sia
oggettivamente conoscibile da parte dei creditori.
L'art. 2394bis c.c. sottolinea la portata risolutiva degli organi di procedura concorsuale.
Esercitano infatti la stessa azione che creditori e soci avrebbero potuto promuovere,
sulla base dei stessi presupposti, e puntando ad ottenere un risarcimento in tutto simile
a quello che questi ultimi avrebbero potuto conseguire.
L'azione dei creditori nelle procedure concorsuale spira, dal punto di vista della
prescrizione, generalmente dopo l'azione sociale di responsabilit. Inoltre possibile
convenire gli amministratori in giudizio anche qualora la societ abbia rinunciato
all'azione sociale di responsabilit; la transazione dell'azione, invece, potr essere
impugnata dai creditori sociali a condizione che ricorrano gli estremi dell'azione
revocatoria cos' la transazione? e perch rinuncia e transazione vengono sempre
nominate in coppia? di cosa si tratta, precisamente?
13. L'azione di responsabilit dei singoli soci e dei terzi (art. 2395 c.c.)
Sono i casi di responsabilit in cui possono incorrere gli amministratori quando, con i
loro atti colposi o dolosi, abbiano cagionato un pregiudizio direttamente al patrimonio
del singolo socio o del terzo. Non c' necessario collegamento con una mala gestione,
che sia in contrasto con l'interesse della societ, ma si tratta della violazione degli
obblighi ex art. 2392 c.c., o degli obblighi posti a tutela dei terzi. Il presupposto
dell'azione risiede dunque nella violazione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio
e del terzo.
Gli ambiti nei quali tali lesioni appaiono pi evidenti e sintomatiche sono quelli delle
false comunicazioni sociali e dei mercati finanziari, per informazioni inesatte od omesse
laddove obbligatorie (art. 114 T.u.f.): sono condotte idonee ad influenzare sensibilmente
le decisioni di investimento, pregiudicando il patrimonio degli investitori stessi.
L'azione non esperibile nel caso di inadempimento contrattuale, dal momento che di
ci risponde la societ e solo eventualmente gli amministratori, i caso di loro colpa o
dolo.
Prevale l'opinione che giudica extracontrattuale tale responsabilit. Controversa, anche
se auspicabile, specialmente nelle societ aperte, la cumulativit della responsabilit
della societ, al fine di tutelare al meglio il danneggiato (art. 2049 c.c.).
L'azione si prescrive in cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio
o il tezo (art. 2395 c.c.): una regola diversa da quella del diritto comune, che non
componenti devono essere iscritti nel registro dei revisori legali dei conti (art. 2409bis
c.c.).
In ordine alle cause di ineleggibilit l'art. 2399 c.c. rinvia all'art. 2382 c.c. che riguarda
quelle degli amministratori: non possono essere eletti e decadono gli interdetti, gli
inabilitati, i falliti e coloro che abbiano riportato una pena che importi l'interdizione dai
pubblici uffici o l'incapacit ad esercitare uffici direttivi.
Alle lettere b) e c) del medesimo articolo vengono riportati limiti all'eleggibilit che
contribuiscono a rendere pi indipendente l'organo di controllo dall'organo
amministrativo.
All'ultimo comma dello stesso articolo viene prevista la possibilit di eventuali limiti di
eleggibilit ulteriori previsti dallo statuto al fine di assicurare l'effettivit delle funzioni
esercitate.
I primi sindaci sono nominati nell'atto costitutivo, successivamente dall'assemblea (art.
2400 c.c.). Come per gli amministratori, la scadenza ed effettiva cessazione dell'incarico
dei sindaci ha effetto dal momento in cui l'organo stato ricostituito, per garantire la
continuit della funzione. Gli amministratori devono annotare sul registro delle imprese
la cessazione della carica dei sindaci.
Al fine di garantire maggiore indipendenza dell'organo di controllo prevista la revoca
dei sindaci da parte dell'assemblea, a condizione che ricorra giusta causa e che la
delibera di revoca sia sottoposta ad approvazione del tribunale, sentito il sindaco. Alla
stessa finalit mirata la disciplina della retribuzione dei sindaci (art. 2402 c.c.):
determinata dallo statuto e in mancanza dall'assemblea.
In caso di morte, rinuncia o decadenza, l'art. 2401 c.c. stabilisce che il subentro del
supplente avviene sulla base del principio di professionalit, in modo da non alterare i
profili complessivi di competenza dell'organo nel suo complesso. I supplenti restano in
carica fino all'assemblea successiva che provvede alla nomina dei sindaci effettivi e
supplenti reintegrando cos il collegio (in tal modo scadono tutti alla stessa data
assembleare). Se l'organo non viene ricostituito spetta agli amministratori convocare
l'assemblea, in mancanza ai sindaci rimasti in carica (art. 2406 c.c.).
16. Doveri, poteri e responsabilit del collegio sindacale
Accanto ai detti doveri di vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto (art. 2403
c.c.), nonch sui principi di corretta amministrazione, il legislatore ha richiesto di vigilare
sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla
societ e sul suo concreto funzionamento.
La vigilanza sulla corretta amministrazione attiene al giudizio di conformit dei processi
decisionali e delle scaturienti decisioni gestionali alla regole comunemente accettate
della prudente amministrazione derivante dalle scienze aziendalistiche. Non un
giudizio sulla convenienza delle decisioni, che rientra nella sfera di competenza degli
amministratori e dei soci.
La vigilanza sulla struttura organizzativa attiene all'accertamento sul suo funzionamento
e, soprattutto, sulla sua capacit di rilevare rischi e criticit, salvo il diritto del collegio di
effetturare analisi di specifici fatti di gestione dalla dubbia regolarit.
L'art. 2403bis c.c., fissando i poteri dei sindaci, attribuisce infatti loro la facolt di
compiere in ogni momento atti di ispezione e controllo, anche individualmente, ed
accedere dunque ad ogni informazione della gestione: sono poteri in generale funzinali
Almeno un componente del consiglio di sorveglianza deve essere iscritto nel registro
dei revisori legali (art. 2409duodecies c.c.), mentre per gli altri componenti la previsione
di eventuali requisiti specifici rimessa allo statuto; nella disciplina del collegio
sindacale si ha invece maggiore insistenza sui requisiti di professionalit dei suoi
componenti.
E' applicabile l'art. 2382 c.c..
I membri del consiglio di sorveglianza non devono essere componenti del consiglio di
gestione, n essere legati alla societ, alle sue controllate e a quelle sottoposte a
comune controllo da un rapporto di lavoro, di consulenza o di prestazione d'opera
retribuita. Non vietata, inspiegabilmente, nelle societ chiuse, la presenza di rapporti
di parentela.
Lo statuto pu porre ulteriori condizioni di assunzione della carica e cause di
ineleggibilit, decadenza ed incompatibilit, oltre a fissare il limite di cumulo di incarichi
(art. 2409duodecies c.c.). L'art. 2409terdecies c.c. elenca le competenze del consiglio di
sorveglianza, alle quali occorre aggiungere l'impugnativa delle delibere del consiglio di
gestione (art. 2409undecies c.c.) e delle delibere assembleari annullabili, ai sensi
dell'art. 2377 c.c.. Se lo statuto la accorda, occorre aggiungere anche la competenza di
approvare operazioni strategiche ... . Pur restando la decisione finale in capo al
consiglio di gestione, tale ingerenza nell'alta amministrazione pu rendere la vigilanza
pi efficace rispetto a quella del collegio sindacale.
L'art. 2409terdecies c.c. stabilisce inoltre che, qualora lo preveda lo statuto, se almeno
un terzo dei consiglieri di gestione o dei consiglieri di sorveglianza e se questi ultimi non
lo approvino, la competenza in materia di bilancio si sposta in capo all'assemblea.
Questa possibilit ulteriore data dalla maggiore competenza del consiglio di
sorveglianza in materia di bilancio.
Anche nel sistema dualistico i soci hanno diritto di impugnare la delibera approvativa del
bilancio: infatti il rinvio dell'art. 2409quaterdecies c.c. solo all'art. 2377 c.c. in tema di
delibere annullabili, e non all'art. 2379 c.c. in tema di delibere nulle. Questo potrebbe
riflettere la volont di conferire maggiore rilevanza alla vicenda approvativa del bilancio.
L'altro rinvio all'art. 2434bis c.c. determina il potere dei soci di poter impugnare, sotto
certe condizioni, la delibera di approvazione del bilancio.
Quanto al funzionamento del consiglio di sorveglianza, l'art. 2409terdecies c.c. prevede,
all'ultimo comma, da un lato la facolt dei suoi membri di assistere alle adunanze del
consiglio di gestione, e dall'altro di partecipare alle assemblee. Deve riunirsi ogni
novanta giorni, anche con mezzi di telecomunicazione; ha l'obbligo di redigere il verbale
e delibera come il collegio sindacale (rinvio all'art. 2404 commi 1, 2 e 4 c.c.).
Sorprendente il mancato riferimento al comma 2 sulla decadenza per ingiustificata
assenza.
E' invece fatto esplicito richiamo all'art. 2388 c.c. relativo al regime di validit delle
delibere del c.d.a. nell'ambito del modello tradizionale, ed applicabile al consiglio di
sorveglianza.
Quanto ai poteri del consiglio di sorveglianza, rilevano i rinvii agli artt. 2403 commi 2 e
3 c.c. e all'art. 2409septies c.c., che consentono al consiglio di sorveglianza di
scambiare informazioni con i consiglieri di gestione e con il revisore legale dei conti.
Inoltre, il rinvio all'art. 2406 c.c. gli impone di convocare l'assemblea, e di onorare gli
annessi obblighi pubblicitari, nei casi in cui sia obbligatorio e quando abbia ravvisato
fatti di censurabile gravit. Vale anche l'art. 2408 c.c.; Invece, l'omesso rinvio al comma
1 dell'art. 2403bis c.c. fa s che il potere di ispezione e controllo sia esercitabile solo
nell'ambito delle societ quotate: tale omissione sembra poco giustificabile e lesiva della
funzione di vigilanza dell'organo.
Quanto alla responsabilit dei consiglieri di sorveglianza, essa regolata dal penultimo
comma dell'art. 2409terdecies c.c., che ricalca il regime di responsabilit dei sindaci,
pur non ammettendo il rilevante richiamo alla professionalit che caratterizza invece la
disciplina di questi ultimi. I consiglieri di sorveglianza rispondono in modo esclusivo
quando violano obblighi diversi da quelli di vigilanza; possono, come i sindaci,
rispondere in modo concorrente con i consiglieri di gestione per i fatti e le omissioni di
questi.
Quanto all'azione di responsabilit contro i consiglieri di sorveglianza, essa esercitata
dall'assemblea (art. 2364bis c.c.), ma proprio perch la responsabilit dei consiglieri di
gestione concorrente a quella dei sindaci, le azioni di responsabilit contro questi
ultimi ai sensi dell'art. 2407 c.c. sembrano applicabili anche ai consiglieri di gestione,
nonostante l'assenza di uno specifico rinvio.
A conferma di ci sono inoltre applicabili agli organi di amministrazione e controllo nel
modello dualistico le disposizioni sugli organi omologhi nel modello tradizionale.
Il controllo contabile disciplinato tramite altro richiamo, stavolta all'art. 2364bis c.c.
comma 1.
21. Il sistema monistico (art. 2409sexiesdecies c.c.)
Adottando il sistema monistico, lo statuto pu prevedere che la gestione dell'impresa
sociale spetti al consiglio di amministrazione (non dunque organo unipersonale) e che
la vigilanza ed il controllo siano affidate non ad un organo esterno ma ad un compitato
per il controllo sulla gestione, estratto dal consiglio di amministrazione stesso. Sono da
quest'ultimo nominati e deve trattarsi di amministratori indipendenti.
Come nel modello dualistico, il controllo contabile esercitato inderogabilmente dal
revisore legale dei conti.
Se da una parte la vicinanza tra controllori e controllati dovrebbe consentire una
vigilanza pi ampia ed efficace, dall'altra evidente il rischio di derive collusive,
specialmente se considerato che i primi sono scelti dai secondi.
Il consiglio di amministrazione regolato come nel sistema tradizionale (a cominciare
dalla nomina dei suoi componenti, rimessa all'assemblea).
La gestione dell'impresa sociale spetta esclusivamente al consiglio di amministrazione,
ed all'atto della nomina e prima dell'accettazione dell'incarico, i consiglieri devono
rendere noti all'assemblea gli incarichi di amministrazione e controllo ricoperti presso
altre societ (art. 2409septiesdecies c.c.).
Il rinvio dell'artl 2409noviesdecies c.c. all'art. 2381 c.c. significa che il consiglio di
amministrazione pu strutturarsi come nel modello tradizionale: dunque, se previsto
dallo statuto, potr delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo o ad uno o
pi dei suoi componenti.
Un terzo dei consiglieri di amministrazione deve possedere gli stessi requisiti di
indipendenza non pi rigorosi, nonostante la segnalata contiguit tra i due organi, di
quelli previsti per i sindaci all'art. 2399 c.c. (art. 2409septiesdecies c.c.). Solo se lo
statuto lo prevede dovranno presentare gli ulteriori requisiti previsti dai codici di
comportamento (cfr. amministratori indipendenti nel modello tradizionale (art. 2387 c.c.).
L'indipendenza funzionale alla qualit del controllo di gestione che da una parte di
essi stessi deve essere condotto.
L'art. 2409noviesdecies c.c. rinvia alle disposizioni sul c.d.a. proprie del sistema
tradizionale, ad eccezione di quelle che riguardano la figura del direttore generale (art.
2396 c.c.), comunque ritenuta compatibile con il sistema monistico.
La nomina e la decisione del numero dei componenti del comitato per il controllo sulla
gestione affidata al consiglio di amministrazione. Nelle societ aperte devono essere
almeno tre. Almeno un componente del comitato deve essere scelto tra gli iscritti nel
registro del revisore legale dei conti. Il comitato elegge, al suo interno ed a maggioranza
assoluta, il presidente dello stesso.
Per evitare derive collusive fatto divieto dei componenti del comitato per il controllo
sulla gestione di essere titolari di funzioni esecutive, nemmno in societ controllanti.
La legge tace sugli argomenti della durata del mandato e sulla retribuzione dei
componenti del comitato, a tutto svantaggio dell'indipendenza dell'organo.
Ancor meno comprensibile il mancato rinvio alla disciplina sulla revoca dei sindaci per
i componenti del comitato per il controllo sulla gestione; in quanto nominati dal c.d.a.
sono da questo revocabili come membri del comitato, mentre sono revocabili
dall'assemblea come amministratori. Ma il mancato richiamo implica che non
necessaria giusta causa (salvo risarcimento del danno) e soprattutto l'approvazione del
tribunale. I
In caso di cessazione anticipata della carica (morte, rinuncia, revoca o decadenza) il
c.d.a. provvede alla sostituzione, scegliendo un membro in possesso dei requisiti di
legge; se non ve ne sono, provvede ai sensi dell'art. 2386 c.c., ossia mediante
cooptazione.
In quanto ai doveri e funzionamento dei componenti del comitato per il controllo sulla
gestione, l'ultimo comma dell'art. 2409octiesdecies c.c. rinvia agli artt. 2404 commi 1,
3 e 4 e 2405 comma 1 c.c.; manca anche nel sistema monistico un rinvio all'art. 2404
c.c., laddove la presenza di una sanzione all'assenza ingiustificata avrebbe reso
certamente pi efficace e certo l'adempimento dell'obbligo di controllo. Presente invece
il rinvio all'art. 2408 c.c..
In quanto alle competenze, oltre all'elezione del presidente a maggioranza assoluta, il
comitato:
- vigila sull'adeguatezza della struttura organizzativa della societ, del sistema di
controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonch sulla sua idoneit a
rappresentare correttamente i fatti di gestione;
- svolge ulteriori compiti affidatigli dal consiglio di amministrazione, con particolare
riguardo ai rapporti con i soggetti incaricati del controllo contabile.
Tale doppia funzione di vigilanza assimilabile a quella dei sindaci nel sistema
tradizionale.
Il mancato rinvio all'art. 2403 c.c. si ritiene sia dovuto alla soggezione dei membri del
comitato a tali disposizioni in quanto anche amministratori; mentre il mancato
riferimento all'art. 2403bis c.c. sembra inspiegabile, e non si pu ritenere che l'art. 2381
c.c. attribuisca agli amministratori tali poteri ispettivi, come detto.
Ben pi ampi ed efficaci risultano invece i poteri del comitato per il controllo nelle
societ quotate.
n sono previste misure di pubblicit (questo per via della diversa autonomia
patrimoniale).
Il bilancio di esercizio espone ordinatamente e periodicamente, riassumendo i dati
rilevati nelle scritture contabili, i valori del reddito e del capitale. Al conto economico ed
allo stato patrimoniale viene affiancata la nota integrativa, redatta in forma
prevalentemente narrativa con funzione esplicativa dei primi due documenti.
Il bilancio costituisce la risultanza delle scritture contabili, nell'ambito delle quali rientra
esso stesso, e tale attivit di sintesi costituisce un momento nodale della realt
aziendale.
Dunque fatti di gestione, scritture contabili, bilancio. Il passaggio tra scritture e bilancio,
procedendo a ritroso, costituito dalle scritture di assestamento, propedeutiche alla
costruzione di un corretto bilancio e consistenti nella rilevazione di quei fatti di gestione
che, pur di competenza economica dell'esercizio, in fasi di chiusura non risultano
ancora iscritti in contabilit per mancanza della relativa documentazione. Infatti non
possono figurare nel bilancio le poste che non siano state rilevate in contabilit.
La rilevazione interessa le poste per le quali si avuta manifestazione numeraria, e non
necessariamente monetaria: vige infatti il criterio di competenza, e non di cassa (art.
2423bis c.c.), ed emerge di conseguenza il complesso dei risultati manifestatisi in forma
di proventi ed oneri di competenza dell'esercizio.
La rilevazione contabile non solo un atto formale, ma implica un giudizio, una
valutazione, l'assunzione di decisioni, il tutto nei limiti delle regole e della
ragionevolezza. La gestione d'impresa presuppone la conoscenza dello stile contabile
adottato. Gestione e contabilit attengono entrambe all'organizzazione d'impresa.
Il successivo controllo ha la funzione di verificare la presenza dei documenti di riscontro
e di verificare poi la correttezza della sintesi nel bilancio di esercizio.
La funzione primaria del bilancio quella di informare i portatori di interessi, secondo
una valutazione prudente (art. 2423bis c.c.), della situazione patrimoniale e finanziaria
della societ e del risultato economico dell'esercizio (art. 2423 c.c.) nonch di agevolare
(secondo l'applicazione dei principi contabili internazionali) la stima del valore e della
redditivit delle partecipazioni nel capitale di rischio.
L'omogeneit dei criteri di redazione del bilancio consente l'analisi dello stesso e
l'estrazione, dallo stesso, di indici.
2. La struttura del bilancio d'esercizio |
3. Le clausole generali
4. I principi di redazione
5. Lo schema dello stato patrimoniale |
6. Lo schema del conto economico
|
7. I criteri di valutazione
|
|
[cfr. libro]
|
intellegibili.
La legge ne indica il contenuto obbligatorio:
indicazioni riguardanti i criteri di valutazione applicati nella registrazione delle
poste, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori in moneta estera;
indicazione dei movimenti nelle voci di patrimonio, intendendo variazioni di valore
e di utilit;
indicazione della composizione e dettaglio di talune voci, ossia quelle elencate,
l'indicazione analitica delle voci di patrimonio netto ed un prospetto delle
differenze fiscali;
indicazioni e informazioni diverse, intendendo gli impegni assunti non risultanti
dallo stato patrimoniale, il numero medio dei dipendenti, i compensi degli
amministratori e dei sindaci, le varie categorie di azioni, di obbligazioni ed altri
strumenti emessi, i finanziamenti effettuati dai soci, le operazioni realizzate con
parti correlate, la natura e l'obbiettivo economico di accordi non risultanti dallo
stato patrimoniale.
Le valutazioni devono essere effettuate secondo il principio del fair value: l'importo per il
quale un'attivit potrebbe essere scambiata o una passivit potrebbe essere estinta, fra
parti informate e consapevoli, in una transazione volontaria. Si tratta dunque di un
valore determinato con riferimento al valore di mercato, che consenta una valutazione
dei flussi di cassa futuri con un buon grado di approssimazione.
Tutte le societ, escluse quelle che redigono il bilancio in forma abbreviata, anche non
applicando i principi contabili internazionali, devono calclare il fair value e fornire
indicazioni sui rischi finanziari delle proprie attivit. In particolar modo devono essere
esplicitati, delle immobilizzazioni finanziarie, sia il valore contabile che il fair value,
spiegando l'eventuale differenza tra i valori.
Il passaggio dal costo storico al fair value avvicina maggiormente i valori contabili di
attivit e passivit ai loro valori di mercato, cosa che permette agli investitori di disporre
di informazioni sull'effettivo valore economico dell'impresa, e sui rischi finanziari ed
economici connessi all'attivit svolta.
9. La struttura del bilancio e i criteri di valutazione secondo i principi contabili
internazionali
Si tratta di regole obbligatorie per il bilancio di esercizio delle societ quotate e delle
societ a capitale diffuso (art. 2325bis c.c.), a differenza dei principi contabili nazionali,
che assolvono una funzione integrativa ed interpretativa delle norme di legge.
Per le societ non obbligate, l'applicazione di tali principi facoltativa.
Coesistono dunque nell'ordinamento interno due discipline dei conti annuali, l'una
dettata dai principi IAS/IFRS, l'altra contenuta negli artt. 2423 ss. c.c.; differenti sono gli
obbiettivi del bilancio civilistico rispetto a quello redatto secondo i principi contabili
internazionali:
le regole civilistiche mirano a proteggere gli interessi dei creditori e poi dei soci
attuali, con l'applicazione di criteri prudenziali che si accordano con la
determinazione del reddito distribuibile, pi che di quello prodotto, senza
effettuare rettifiche che tengano conto della variabilit del potere d'acquisto della
moneta;
le regole dei principi contabili internazionali conferiscono un rilievo nettamente
della situazione complessiva del gruppo, che figura come unica impresa; ci non vale in
ordine alla determinazione degli utili distribuibili, che spetta distintamente a ciascuna
societ del gruppo.
Il consolidato ha la forma di un bilancio ordinario e ne segue i principi di valutazione e di
redazione, cui si aggiungono i principi di consolidamento.
Essi prevedono l'inclusione integrale degli elementi dell'attivo e del passivo, nonch dei
proventi e degli oneri delle imprese ricomprese nel consolidamento, ma l'esclusione:
i. delle partecipazioni in imprese incluse nel consolidamento e delle corrispondenti
frazioni del patrimonio netto di queste;
ii. dei crediti netti delle imprese incluse nel consolidamento;
iii. dei proventi e degli oneri relativi ad operazioni effettuati fra le imprese medesime;
iv. degli utili e delle perdite conseguenti ad operazioni effettuate tra tali imprese e
relative a valori compresi nel patrimonio, diversi da lavori in corso su ordinazione
di terzi.
La data di riferimento del consolidato quella di chiusura del bilancio d'esercizio
dell'impresa controllante. Il bilancio consolidato:
i. deve essere redatto dagli amministratori, o approvato dal consiglio di
sorveglianza nel sistema dualistico, dalla societ controllante;
ii. ha, di regola, come termine di riferimento la data di chiusura del bilancio
d'esercizio dell'impresa controllante;
iii. sottoposto al controllo dei sindaci ed anche del revisore, qualora operante nella
controllante;
iv. non soggetto all'approvazione dell'assemblea;
v. deve essere depositato presso il registro delle imprese insieme al bilancio della
controllante.
Societ aperte che emettono vari strumenti in misura rilevante devono osservare i
principi contabili internazionali, salva la facolt di farlo anche per le imprese non
obbligate che non redigano il bilancio in forma abbreviata.
L'art. 157 T.u.f. disciplina l'impugnativa del consolidato delle quotate, ma ritenuto
applicabile anche alle non quotate.
19. I bilanci straordinari
Gli arttm 2446, 2501quater e 2506ter c.c. prevedono la redazione di una situazione
patrimoniale infra annuale nel caso di riduzione del capitale, fusione e scissione.
Valgono i criteri valutativi del bilancio d'esercizio, e la giurisprudenza ha inoltre concluso
nel senso della necessit di accompagnare, alla situazione patrimoniale, il conto
economico.
In base all'interpretazione analogica dell'art. 2501quater c.c. la giurisprudenza ritiene
inoltre opportuno che la rappresentazione patrimoniale non preceda di pi di quattro
mesi l'assemblea costituita per l'operazione di fusione o scissione.
Il bilancio straordinario redatto invece nel caso di trasformazione da societ di persone
a societ di capitali (art. 2343 c.c.) deve incorporare il principio dei valori attuali, o di
mercato, includendo anche il valore di avviamento.
Analogamente nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio
(art. 2289 c.c.) e nella liquidazione di partecipazione in caso di recesso (art. 2437ter
c.c.).
Altri bilanci straordinari dettati dalla prassi e dal sistema occorrono e sono opportuni nel
caso di aumento del capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione,
di distribuzione di acconti sui dividendi e della situazione dei conti che scandisce il
procedimento di liquidazione.
20. I libri sociali
[cfr. libro]
Sezione ottava - Le modificazioni dello statuto
1. La competenza assembleare
Se nella societ di persona rileva la fisionomia soggettiva della compagine sociale, nella
societ per azioni rilevano solo i conferimenti che i soci effettuano al fine di liberare le
azioni che acquistano, rimanendo per lo pi nell'anonimato. Lo stesso vale per ogni
altra carica interna. Se non il profilo personale, rileva l'organizzazione, consacrata nello
statuto al momento della costituzione della societ.
Lo statuto, che parte integrante dell'atto costitutivo (art. 2328 c.c.), si fonda sul
contratto sociale e pu essere modificato dalla societ nel corso della sua esistenza per
adeguarsi alle nuove esigenze produttive o ai nuovi assetti proprietari, che attraverso
tali modificazioni trovano attuazione.
Disciplina agli artt. 2436 ss. c.c., la quale si concentra principalmente sui procedimenti
che veicolano le operazioni di modificazione dello statuto, come quelle sul capitale.
Infatti trasformazione, fusione e scissione riguardano tutti i tipi sociali.
Essendo in gioco le posizioni soggettive dei soci consacrate nell'atto costitutivo e quindi
nello statuto, il principio di fondo che occorre la delibera dell'assemblea straordinaria
(art. 2365 c.c.); devono inotre essere incluse nel verbale notarile ed iscritte nel registro
delle imprese. La stessa norma stabilisce che lo statuto pu attribuire agli
amministratori (al consiglio di sorveglianza o al consiglio di gestione, nel sistema
dualistico) la competenza a deliberare su specifiche materie. Altra deroga alla
competenza dell'assemblea straordinaria contenuta all'art. 2446 c.c..
Non sono ammissibili modificazioni di fatto dello statuto, ossia risultanti per implicito dal
comportamento degli organi sociali.
I quorum dell'assemblea straordinaria ammontano alla met del capitale sociale per il
primo quorum e ai due terzi del capitale rappresentato in assemblea. Lo statuto pu
prevedere quorum maggiori, mai minori (art. 2368 c.c.). Un quorum ridotto previsto
per legge nell'ambito delle societ chiuse all'art. 2369 c.c..
2. Il controllo della deliberazione
Il notaio redige nella forma dell'atto pubblico il verbale dell'assemblea straordinaria
accertandone la legittimit legale e statutaria (art. 2375 c.c.): dunque il controllo
successivo alla delibera, e se l'esito della verifica positivo, il notaio stesso ne chiede
l'iscrizione nel registro delle imprese; contrariamente, deve informare gli amministratori.
Questi possono riconvocare l'assemblea straordinaria o ricorrere al tribunale per
l'omologazione; in mancanza, la delibera totalmente inefficace.
L'art. 2436 c.c. subordina la produzione degli effetti della deliberazione all'iscrizione
della stessa nel registro delle imprese; tuttavia l'efficacia pu essere condizionata o
Con quello a pagamento la societ chiede nuovo capitale di rischio mediante emissione
di nuove azioni. In quanto proposta contrattuale, la modificazione dello statuto avviene
nei limiti delle sottoscrizioni effettuate davvero. L'art. 2438 c.c., a tutela dell'integrit del
capitale sociale, stabilisce che non si possono emettere nuove azioni fino a quando
quelle emesse non siano interamente liberate, cio finch sono presenti crediti da
sottoscrizione. La violazione espone gli amministratori a responsabilit solidale per i
danni arrecati a soci e terzi, ma gli obblighi assunti con la sottoscrizione delle azioni
emesse illegittimamente restano salvi, e per la societ permane il divieto.
La norma che attribuisce agli amministratori il potere di aumentare il capitale sociale
(art. 2443 c.c.) non specifica se sia incluso anche quello di determinare la categoria di
azioni da emettere ed il prezzo di emissione.
Lo statuto pu anche attribuire agli amministratori la competenza a deliberare sulla
limitazione o esclusione del diritto di opzione, ma la legge prescrive precisi criteri da
seguire (art. 2443 c.c.).
Vale il principio secondo il quale il valore dei titoli emessi non pu essere
complessivamente inferiore all'aumento di capitale deliberato. I titoli hanno un termine
entro il quale possono essere sottoscritti. cfr. art. 2439 c.c..
Nel caso dei versamenti in conto capitale si ha che i soci, spontaneamente, eseguono
conferimenti in natura o in denaro a favore della societ senza imputarli a capitale; se
effettuati a fondo perduto, pongono i soci che eseguono i versamenti nella posizione di
creditori, altrimenti non incorporano il diritto al rimborso.
La societ pu dichiarare, con propria deliberazione, che l'aumento sar efficace ance
se le sottoscrizioni non lo avranno integralmente coperto (aumento scindibile); in
mancanza di tale deliberazione, la non integrale sottoscrizione provocher la
caducazione dell'operazione (aumento inscindibile)(art. 2439 c.c.).
Se i conferimenti sono rappresentati da beni in natura o da crediti si applica la relativa
disciplina (art. 2342 ss. c.c.).
5. Diritto di opzione e di prelazione
Il diritto di opzione mira a non deprimere la quota di partecipazione del socio a fronte di
un aumento di capitale sociale, e consiste nell'offerta ai soci esistenti, in proporzione al
numero di azioni possedute, delle azioni di nuova emissione, le quali contengono
appunto un'opzione di acquisto a favore dei soci (art. 2441 c.c.). Lo stesso vale per i
proprietari delle convertibili, con il calcolo che avviene sulla base del numero di azioni
che otterrebbero se esercitassero l'opzione di conversione. Se il socio non esercita il
diritto di opzione pu monetizzarlo cedendolo ad altri soci o a terzi.
Se il socio se ne avvale e le azioni non sono quotate in borsa, egli gode anche di un
distinto diritto di prelazione rispetto ai terzi sull'inoptato (art. 2441 c.c.); per le societ
quotate si ha invece offerta al mercato dell'inoptato.
Il diritto di opzione del socio relativo alla categoria di azioni dello stesso tipo di quelle
che possiede.
6. Soppressione e limitazione del diritto di opzione
Non si tratta di un diritto assoluto ed in tre specifiche ipotesi pu essere escluso o
limitato.
Nel caso di conferimenti in natura (art. 2441 c.c.) di cui la societ possa aver
2. I caratteri marcanti
Concessione ai soci di una reale autonomia statutaria, maggiore di quella
riscontrabile nelle s.p.a.; infatti, ad esempio, all'art. 2463 c.c. viene stabilito che
l'atto costitutivo contiene le norme relative al funzionamento della societ,
indicando quelle concernenti l'amministrazione e la rappresentanza. Si tratta di
ambiti precedentemente ritenuti insuscettibili di deroga, specialmente per le
societ di capitali;
la riforma dell'organizzazione interna ha attenuato il confine tra societ di
persone e societ di capitali, prima decisamente netto e riconoscibile, pur
restando una connotazione prevalentemente riconducibile al modello della
societ di capitali. Esemplificativo l'art. 2475 c.c., che estende alla s.r.l. la
facolt di amministrare disgiuntamente, come nelle societ di persone;
maggiore personalizzazione, da intendersi nel duplice senso della valorizzazione
del ruolo che la persona del socio ha nella vita della societ e dell'introduzione di
regole precedentemente riservate alle sole societ di persone: consideriamo, a
titolo esemplificativo, gli artt. 2468, 2473 e bis, 2475 c.c.;
ibridismo dell'organizzazione interna, dal momento che accanto alla terna di
organi c' l'inserzione di elementi che ridimensionano il ruolo che assemblea (art.
2479 c.c.) ed amministratori (art. 2475 c.c.) hanno nelle societ di capitali e
l'organo di controllo diviene addirittura eventuale (art. 2477 c.c.).
E' infatti possibile il sistema di amministrazione disgiuntiva (art. 2257 c.c.), che
legittima il singolo amministratore all'esecuzione delle operazioni sociali;
inoltre, la funzione di espressione della volont sociale non pi della sola
assemblea (art. 2479 c.c.), e pu essere posto in essere un contratto unilaterale
di organo normalmente collegiale, che viene denominato sinteticamente
"decisione", e non pi "deliberazione", oltre alle nuove locuzioni "consenso" e
"consenso di tutti i soci" in luogo di "deliberazione" e "deliberazione unanume"
(art. 2468 c.c.): con tali locuzioni venivano precedentemente indicate solo le
decisioni aventi ad oggetto diritti indisponibili per gli azionisti e che dunque
potevano ricevere il consenso del socio anche al di fuori del contesto
assembleare (art. 2345 c.c.);
mantenimento dell'imperativit delle regole, e dunque assenza di autonomia
statutaria, nonch mantenimento delle norme di funzionamento nell'ambito di
comparti normativi propri delle societ di capitali in cui oltre agli interessi dei soci
sono presenti in misura rilevante anche quelli di terzi, come nel caso delle
modificazioni all'atto costitutivo, ed in particolare del capitale sociale.
la disciplina riguardante le modificazioni del capitale sociale, che per elevato
numero delle norme contenute e per l'innovativit della gran parte dei contenuti,
costituisce una novit importante.
3. La fattispecie costitutiva
3.1. Il procedimento: la stipulazione dell'atto costitutivo e l'iscrizione nel registro
delle imprese
La costituzione della societ una fattispecie a formazione successiva che si compone
di due fasi: stipulazione dell'atto costitutivo ed iscrizione nel registro delle imprese.
Mentre gi al compiersi della prima fase sorge la responsabilit solidale ed illimitata dei
soci che hanno compiuto operazioni sociali o anche di coloro che nell'atto costitutivo o
con atto separato hanno dato il consenso (art. 2331 c.c.), solo al compimento della
seconda la societ acquista la soggettivit giuridica (artt. 2331, 2463 c.c.).
L'atto costitutivo deve essere depositato presso l'Ufficio del registro delle imprese (art.
2330 c.c.) secondo le modalit illustrate all'art. 2329 c.c., e se non vi provvedono notaio
ed amministratori, dovranno farlo i soci a spese della societ.
L'art. 2463 c.c. compie un rinvio puro e semplice all'art. 2329 c.c., nell'ambito del quale,
tuttavia, solo i punti 1) e 3) riguardano condizioni estensibili al modello della s.r.l.,
mentre il punto 2) contiene a propria volta un rinvio ad una disciplina (artt. 2342 e 2343
c.c.) completamente inapplicabile alla s.r.l., la quale riceve invece normazione nelle
stesse materie all'art. 2464 c.c., dei quali consideriamo il 3 ed il 4 comma in luogo,
rispettivamente, dei citati articoli inapplicabili. Per il conferimento in natura si applica
l'art. 2254 c.c., dettato per le societ di persone, mentre per il conferimento di crediti si
applicher l'art. 2255 c.c..
Se l'iscrizione non avr avuto luogo, dovranno essere restituiti i conferimenti effettuati
dagli aspiranti soci, dal momento che la societ non potr essere costituita e l'atto
costitutivo perder efficacia.
3.1.1.0. La stipulazione dell'atto costitutivo: forma e contenuto (art. 2463 c.c.)
Due sono le disposizioni importanti contenute nell'art. 2463 c.c. l'una attinente allo
strumento genetico attraverso il quale viene posta in essere la prima fase della
fattispecie costitutiva, che pu consistere in un contratto, in un atto unilaterale, in ogni
caso denominato atto costitutivo; l'altra attinente all'obbligatoriet della forma di atto
pubblico.
Procediamo all'analisi degli elementi che l'atto costitutivo deve per legge contenere,
laddove non tutti sono propedeutici all'individuazione dell'ente.
3.1.1.1. I soggetti
Fondamentale la loro specificazione, come anche in altri tipi societari (cfr. artt. 2295,
2328, 2521 c.c.), dal momento che di un contratto devono essere indicate
inequivocabilmente le parti contraenti.
3.1.1.2. Denominazione e sede della societ
Denominazione: definibile come la ditta sotto la quale agiscono le societ di capitali e le
mutualistiche, ed occorre per l'identificazione del soggetto. Deve includere l'indicazione
del rapporto sociale, a conferma e rafforzamento del principio di verit che vige (art.
2563 c.c.) per la formazione della ditta dell'imprenditore individuale. Vale inoltre il
principio della novit, che tutela la riconoscibilit di ogni attivit commerciale
prescrivendo la necessit di assumere una denominazione che non generi nel
consumatore confusione tra la propria ed una o pi imprese esistenti.
Sede della societ: per sede legale deve intendersi quella risultante dall'atto costitutivo
e dallo statuto e nella quale si trovano stabilmente gli organi che hanno la
rappresentanza dell'ente e la capacit di obbligarlo. Importante per l'individuazione del
giudice territorialmente competente ad operare nelle controversie che interessano la
societ, per l'individuazione dell'ufficio del registro delle imprese presso il quale l'atto
costitutivo deve essere depositato e dunque la societ iscritta e, infine, ai fini
dell'applicazione della disciplina fallimentare.
Quando non c' coincidenza tra sede legale e sede reale (dove c' il centro effettivo di
direzione e di svolgimento dell'attivit sociale, dove risiedono gli amministraori e cooro
che hanno il potere di rappresentare la societ, dove convocata l'assemblea), quella
che rileva la seconda, specialmente in consuiderazione della procedura fallimentare.
Deve essere indicato il Comune, e non la via, cos da evitare che debba essere
modificato l'atto costitutivo anche solo per un cambio di indirizzo nell'ambito dello stesso
Comune.
Da quanto l'ordinamento prescrive, considerando anche l'art. 2299 c.c., si pu dire che
per aversi sede secondaria occorrono: un rapporto di dipendenza
economico-organizzativa con la sede principale; uno stabile apprestamento di mezzi
destinati allo svolgimento dell'attivit sociale ed un rappresentante stabile della societ;
un autonomo ambito di affari, sulla base del quale viene determinata la legittimazione
sostanziale e processuale di colui che ad essa preposto.
3.1.1.3. (l'attivit che costituisce) L'oggetto sociale
Si fa esplicito riferimento alla nozione di "attivit", dal momento che l'attivit economica
cui allude l'art. 2247 c.c. si concretizza di volta in volta nella scelta di un particolare
ramo merceologico di attivit, che appunto costituisce l'oggetto sociale.
L'oggetto sociale , assieme al capitale sociale, uno degli elementi fondamentali di ogni
tipo societario (cfr. artt. 2295, 2315, 2328, 2521, 2253 c.c.) e deve consistere in
un'attivit economica, e come parte di un contratto deve possedere i requisiti prescritti
all'art. 1346 c.c.; proprio a tale proposito non ammesso l'oggetto generico, ossia non
inequivocabilmente identificabile, o l'oggetto plurimo, ossia frutto di un insieme
eterogeneo di attivit non complementari tra loro.
L'indicazione dell'oggetto sociale permette ai terzi di individuare i limiti ai soli poteri di
gestione, e non pi anche ai poteri di rappresentanza degli amministratori (?)
3.1.1.4. Il capitale sociale. Rinvio
E' la somma dei conferimenti dei soci valutati in denaro, non pu essere di ammontare
inferiore a diecimila , deve essere indicato quello sottoscritto e versato. L'importanza
del capitale sociale come garanzia per i creditori sociali e come indicazione dello stato
di salute della societ nella sua comparazione con il patrimonio spiega il fatto che la
quasi totalit delle norme ad esso relative costituisce in realt una "disciplina delle
variazioni del capitale".
3.1.1.5. I conferimento di ciascun socio e il valore attribuito ai crediti ed ai beni
conferiti in natura
Disciplina dei conferimenti agli artt. 2464-2466 c.c..
Occorre sottolineare che l'ampiezza della formula usata nell'art. 2464 c.c. genera delle
persplessit, dal momento che anche la relazione che accompagna il decreto giustifica
questa scelta espositiva con la volont di lasciare all'interprete la valutazione di merito
sulla capacit di garanzia del bene conferito e dunque la decisione sulla inclusione o
meno nel capitale sociale. Sono possibili, oltre ai conferimenti in natura, in denaro o in
crediti, anche i conferimenti d'opera: resta il dubbio se possa prestarsi l'opera o il
servizio in s o il loro valore.
Il 4 comma dello stesso articolo attualmente inoperante.
La disciplina dei conferimenti in natura e di crediti contenuta negli artt. 2464 commi 5
e 6 e 2465 c.c., laddove i punti salienti sono:
Il procedimento di stima viene snellito, dal momento che l'esperto incaricato non
deve essere nominato dal presidente del tribunale, ma resta la necessit che tale
attivit venga svolta da un perito, che deve indicare anche i criteri adottati;
3.1.2. L'iscrizione nel registro delle imprese e l'acquisto della personalit giuridica
cfr 3.1. di cui sopra.
4. La nullit della societ. Rinvio
La disciplina di riferimento la stessa di quella della societ per azioni, stante il rinvio
dell'art. 2463 c.c. all'art. 2332 c.c..
5. L'organizzazione interna. - 5.1. Decisioni dei soci ed assemblea
E' il comparto normativo che ha ricevuto maggiore spinta innovativa.
Per delineare il ruolo ed il funzionamento dell'assemblea, si pu dire:
l'assemblea della societ intesa come riunione di tutti i soci secondo una
procedura predeterminata non pi la sede esclusiva e naturale per l'adozione
delle deliberazioni, anche per le pi importanti; e nemmeno la deliberazione
assembleare pi lo strumento esclusivo attraverso il quale si manifesta la
volont della societ su determinati argomenti, dal momento che vale ora la
locuzione generica "decisione dei soci" in luogo di "deliberazione assembleare";
le decisioni sono prese con maggioranza di almeno la met del capitale sociale,
e possono partecipare tutti i soci, con il voto ponderato alla partecipazione
detenuta (art. 2479 c.c.);
la rappresentanza generale della societ, e nella norma successiva, all'art. 2475ter c.c.,
viene invece usata l'espressione "amministratori che hanno la rappresentanza della
societ", dalla quale si desume la persistenza della vecchia regola secondo la quale
possono esservi amministratori che non hanno la rappresentanza.
Il comma 2 del bis prescrive poi l'inopponibilit ai terzi delle limitazioni statutarie ai
poteri degli amministratori, salvo che si dimostri che i terzi abbiano tentato di profittarne.
5.2.1. La responsabilit degli amministratori
Non confermata la triplica responsabilit degli amministratori verso la societ, i
creditori sociali e verso i soci o terzi, ma solo il primo ed il terzo profilo (art. 2476 commi
1- 7 c.c.). Infatti la previsione della responsabilit verso i creditori sociali (art. 2394
c.c.) oggetto di controversie.
In tema di responsabilit verso i soci e i terzi singolarmente viene ripetuta la norma
contenuta nell'art. 2395 c.c. in tema di societ per azioni (art. 2476 comma 6 c.c.).
5.2.2. Il conflitto di interessi degli amministratori
Non ne viene disciplinata l'incidenza solo per amministratori che agiscono per conto
proprio o di terzi nell'ambito delle decisioni del c.d.a., ma anche per quelli che hanno la
rappresentanza della societ ed in virt di questa concludono contratti. Nel primo caso
occorre che il suo voto sia stato determinante, salvi i dirtti acquisiti dai terzi in buona
fede in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera, mentre nel secondo caso che
il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile dal terzo (art. 2475ter c.c.).
5.3. Il controllo sulla gestione della societ
La nomina del collegio sindacale, disciplinato dalle norme in tema di societ per azioni,
obbligatoria solo se il capitale di ammontare pari o superiore a quello richiesto
nell'ambito di societ per azioni, o se ricorra una delle ipotesi previste dall'art. 2477
comma 3 c.c.; comunque sempre consentito ai soci prevedere l'esistenza di tale
organo di controllo o di un revisore, determinandone competenze e poteri.
6. Le modificazioni dell'atto costitutivo
Ad eccezione della norma di esordio della disciplina, ossia l'art. 2480 c.c., tutte le altre
disciplinano il capitale sociale.
Le modificazioni dell'atto costitutivo sono deliberate dall'assemblea dei soci (artt. 2479 e
bis c.c.) e devono essere iscritte nel registro delle imperse, il cui ufficio effettua un
controllo preliminare all'iscrizione.
Se ancor prima il notaio rileva irregolarit, questo deve darne comunicazione agli
amministratori, i quali dovranno provvedere alla sanatoria dell'atto o a chiedere al
Tribunale di accertarne la regolarit, qualora ritengano errata la valutazione del notaio.
La delibera acquista efficacia solo dopo tale iscrizione (art. 2436 c.c.).
7. I libri sociali obbligatori
Art. 2478 c.c..
Abolito il libro dei soci, al quale sopperisce il registro delle imprese.
Non espressamente sancito il diritto di ispezione del libro delle decisioni dei soci
previsto per gli azionisti dall'art. 2422 c.c., dal momento che i soci amministratori ne
sono gi titolari in quanto amministratori e ai soci esclusi viene attribuito dalla legge il
diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali ed il
diritto di consultare i libri sociali e i documenti relativi all'amministrazione (art. 2476 c.c.).
L'ultimo comma dell'art. 2478 c.c. concorre alla valorizzazione dei libri sociali.
8. La partecipazione sociale e i diritti e gli obblighi dei soci
Obbligo unico del socio quello del conferimento (artt. 2464 e 2472 c.c.).
i diritti dei soci godono di nuovi profili e configurazioni, in virt dell'esaltazione
dell'autonomia statutaria degli stessi (artt. 2463 e 2468 c.c.) e, conseguentemente, del
mutamento appunto incorso nel contenuto dei principali diritti dei soci stessi.
Una prima modificazione dei diritti tradizionalmente concessi al socio discende dalla
previsione dell'art. 2463 n7 c.c. che permette la determinazione dell'organizzazione
interna, seppur entro certi limiti, non rigidi; l'art. 2468 c.c. definisce il loro contenuto e la
loro modalit di esercizio, richiamando importanti principi, come anche quello all'art.
2482quater c.c., che stabilisce il mantenimento delle quote di partecipazione in caso di
riduzione del capitale sociale.
Diritti dei soci:
art. 2466 comma 4 c.c.;
artt. 2479 comma 5, 2479bis c.c.;
art. 2464 commi 4 e 6 c.c.;
diritto di recedere (cfr. 11.1);
art. 2476 commi 2 e 5 c.c.;
art. 2479ter commi 2 e 3 c.c.;
art. 2481bis comma 1 c.c.;
artt. 2247, 2478bis comma 3 e 2492 comma 1 c.c.;
art. 2476 comma 2 c.c.;
art. 2479 comma 4 c.c..
9. Il capitale sociale e le sue variazioni
Occorre preliminarmente ricordare laprevisione dell'art. 2464, che vieta che il valore
complessivo dei conferimenti sia inferiore all'ammontare globale del capitale sociale.
Variazioni in aumento o in diminuzione.
9.1. L'aumento del capitale sociale
La decisione che ha ad oggetto l'aumento del capitale sociale non pu essere attuata
fintantoch i conferimenti precedentemente dovuti non siano stati liberati. Pu essere a
pagamento o gratuito, e la facolt di aumentarlo pu essere attribuita dall'atto costitutivo
agli amministratori, determinandone limiti e modalit di esercizio (art. 2481 c.c.).
9.1.1. L'aumento del capitale a pagamento
Da deliberazione assembleare (artt. 2479 commi 2 e 4 e 2479bis c.c.); previsto il
diritto di opzione per i soci al fine di mantenerne intatta la partecipazione al capitale
sociale complessivo (art. 2481bis c.c.).
Tutto il resto rimesso all'autonomia dei soci:
possibilit di offerta diretta a terzi, ma con annesso diritto del socio dissenziente
di recedere (art. 2473 c.c.);
Pe le societ di capitali l'art. 2467 c.c., disciplinando la regola dei prestiti dei soci alla
societ nelle societ cooperative, costituisce una novit in senso assoluto.
Vengono specificatamente definiti i finanziamenti dei soci a favore della societ quelli, in
qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento di difficolt
economiche e finanziarie della societ rispetto al proprio patrimonio netto o quando
sarebbe stato ragionevole un conferimento (art. 2467 c.c.). Il rimborso di tali prestiti
postergato rispetto a quelli relativi ai creditori sociali in senso stretto.
10.2. Il finanziamento dell'impresa sociale e l'emissione di titoli di debito
L'emissione di obbligazioni da parte di una s.r.l. possibile solo se i sottoscrittori sono
investitori istituzionali soggetti a vigilanza prudenziale, i quali rispondono della solvenza
della societ emittente qualora alienino i titoli di debito sottoscritti (art. 2483 c.c., che
costituisce un'ulteriore novit).
C' ampio spazio all'autonomia privata, dal momento che l'emissione subordinata alla
previsione espressa dell'atto costitutivo, il quale deve inoltre stabilire se la competenza
a decidere l'emissione sia dei soci o degli amministratori e deve definirne limiti, modalit
e maggioranze necessarie per la decisione, oltre alle condizioni del prestito, le modalit
di rimborso e l'ammontare (quest'ultimo ambito decisionale non espressamente
incluso, ma ritenuto "ovvio").
La generica espressione "titoli di debito" lascia anch'essa spazio all'autonomia privata.
10.3. Il bilancio
Tranne che per i primi due commi, l'art. 2478bis c.c. ricalca la disciplina dettata per la
societ per azioni in tema di bilancio.
Valgono i principi validi per tutte le societ:
possono essere distribuiti utili realmente conseguiti e risultanti da bilancio
regolarmente approvato;
a fronte di perdite, non possono essere distribuiti utili prima della reintegrazione o
riduzione in misura proporzionale del capitale sociale;
non sono ripetibili dai soci in buona fede gli utili erogati in violazione delle
disposizioni dette.
11. La cessazione dello status di socio
Fino all'entrata in vigore della riforma, con riferimento a quanto prescritto per le societ
di capitali, salva la cessione della partecipazione, l'exit del socio poteva avvenire solo in
seguito al recesso dalla societ. Ci vale ancora per le societ per azioni, mentre per le
s.r.l. si aggiunge oggi l'esclusione, che modo di cessazione tipico delle societ di
persone e, in modo limitato, delle societ cooperative.
11.1. Il recesso
Negozio unilaterale recettizio con il quale il socio dichiara di volere sciogliere il vincolo
che lo lega alla societ.
La riforma ha ampliato, per il socio, le possibilit di recesso.
Anche in questo caso l'autonomia dei soci la fa da padrona, dal momento che l'atto
costitutivo determina quando il socio pu recedere dalla societ e le relative modalit.
La prima fonte dei casi di recesso lo statuto, mentre la seconda la legge (art. 2473
comunicazione, sia ad opera della societ che tramite la Consob, giunge al mercato.
Le sanzioni sono sia amministrativa che civile, consistendo quest'ultima nella
sospensione del diritto di voto per l'ammontare dell'eccedenza non dichiarata.
Annullabili (anche da parte della Consob) le deliberazioni assunte con voto illegittimo
determinante.
Inoltre, sempre i soggetti emittenti di diritto italiano, quando partecipano per almeno il
10% del capitale di una non quotata o di una s.r.l., anche estere, ne danno
comunicazione alla partecipata ed alla Consob. L'unica differenza sta nell'assenza di
sanzione civile in caso di inadempimento in tema di trasparenza.
3. La disciplina delle partecipazioni reciproche
Le norme di diritto comune non pongono limiti alla partecipazione reciproca, a meno
che non vi sia un rapporto di controllo, nell'ambito del quale operano i limiti espressi
all'art. 2359bis c.c.; vincoli ci sono invece all'acquisizione di partecipazioni reciproche
quando anche una soltanto delle societ coinvolte sia una societ avente l'Italia come
Stato membro d'origine con azioni quotate in un mercato regolamentato o di un altro
Stato della Comunit europea, fermo restando il detto articolo.
C' dunque discriminazione tra societ quotate e non quotate, laddove il legislatore
vuole assicurare, per le prime, un'adeguata circolazione dei diritti proprietari presso il
pubblico, evitando che gruppi di controllo e partecipazioni reciproche snaturino lo
strumento di partecipazione.
Una societ quotata non pu partecipare in un'altra societ quotata in misura superiore
al due per cento del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto se, a sua volta,
partecipata da quest'ultima in misura superiore alla stessa soglia; il limite sale al dieci
per cento quando, fra le due, la quotata partecipa in una non quotata e quest'ultima
partecipi nell'altra per almeno il due per cento; vale il viceversa.
Quando c' gi controllo in una societ da parte di una societ (sia essa quotata o non
quotata) vale l'art. 2359bis c.c..
Nel caso di superamento, la mancata dichiarazione comporta la sospensione del voto
per l'eccedenza, e se non alienata entro dodici mesi, la sospensione del voto si estende
a tutta la partecipazione.
Se non possibile stabilire chi abbia superato il limite per secondo, la norma si applica
ad entrambi i soggetti, salvo loro diverso accordo.
Gli incroci azionari, oltre che ad uno strumento di protezione per i gruppi di comando,
sono anche modi per dare maggiore efficienza a possibili aggregazioni industriali. Dato
che in Europa le soglie sono pi alte, in caso di autorizzazione delle assemblee
ordinarie delle societ coinvolte, possibile arrivare al 5% per le quotate. L'accordo
formale dovrebbe consentire ai soci di accertare la reale natura dell'operazione e
valutare l'opportunit della stessa.
Valgono i limiti alle partecipazioni reciproche anche se indirette, essendo vietato ad
esempio che una societ quotata controllata per pi del due per cento non pu
detenere una partecipazione maggiore di tale limite in una societ quotata controllata
dal primo.
????????????
Ripetizione dell'annullabilit della deliberazione determinata dal voto espresso
illegittimamente (mediante l'eccedenza di partecipazione).
4. I patti parasociali
L'esistenza di un patto parasociale pu incidere profondamente sulla circolazione dei
diritti proprietari (sindacati di blocco) e sulla rilevanza in merito alla gestione (sindacati
di voto).
Il legislatore, pur ritenendoli compatibili con il diritto societario e quello mobiliare, pone
dei vincoli anche al loro contenuto, onde evitare che costituiscano un ostacolo
eccessivo alla circolazione dei diritti proprietari e ad un libero esercizio degli stessi.
4.1. La fattispecie
Si fa riferimento a qualsiasi patto avente per oggetto l'esercizio di voto nelle societ
quotate e nelle societ che le controllano.
I patti elencati all'art. 122 del T.U. del 1998 assumono rilevanza solo se riguardano le
societ con azioni quotate e le societ che le controllano ed il controllo sussiste nelle
relative ipotesi previste all'art. 93 del T.U.: fino al 2009 rilevava ogni ammontare di
partecipazione ai fini dei limiti imposti ai patti parasociali, mentre ora viene adottata la
soglia discriminante del 2%.
Vediamo pi da vicino i singoli patti parasociali:
Patti aventi ad oggetto l'esercizio del diritto di voto (sindacati di voto): non rileva se si
tratti di un'azione o di un altro strumento finanziario o se ne permettano l'esercizio in
virt di deroghe o altro.
Non vi rientrano le convenzioni mirate a dare un assetto giuridico pi stabile al diritto di
voto o che prevedono la modificazione della titolarit degli strumenti di partecipazione
come conseguenza di operazioni di altra natura, come la costituzione di diritti reali sulle
azioni, ad esempio.
Infatti l'idea del legislatore di rendere palesi le convenzioni di voto e di limitare la
separazione tra diritto di voto e rischio d'impresa.
Patti di voto rilevanti. Vi rientrano sia quelli che vincolano ad esercitare il diritto di voto
secondo modalit diverse da quelle previste dalla legge o dallo statuto sia quelli che
trasferiscono la titolarit del diritto di voto a soggetti cui la legge o lo statuto (in caso di
legge derogabile) lo attribuiscono.
La regola sembra estendibile anche alle convenzioni sulla titolarit, che attribuiscono
cio al proprietario, e non all'usufruttuario o al creditore pignoratizio, il diritto di voto.
Previsti in entrambi i casi forme di pubblicit e limiti all'autonomia dei privati.
Non rientrano nei patti di voto le deleghe di tipo civilistico (art. 2372 c.c.) e nemmeno
quelle previste nel T.U..
patrimoniali.
La quotazione incide anche in tema di diritti amministrativi, dal momento che attribuito
il diritto di voto in assemblea ai soggetti che risultano legittimati il settimo giorno
antecedente l'assemblea, essendo irrilevanti gli atti di disposizione successivi a tale
data.
5.2. Le azioni di risparmio
Possibilit di emetterle dal 1974.
Il Testo Unico le mantiene, ma senza standardizzare la tipologia di privilegi patrimoniali,
la cui definizione rimessa all'autonomia statutaria: in questo modo viene consentito
alla societ ed ai risparmiatori di individuare il tipo di privilegio che di volta in volta fosse
in grado di conciliare le rispettive esigenze.
Non mancano, tuttavia, punti fermi attorno ai quali l'emissione delle azioni di risparmio
deve ruotare: devono esserne specificati i privilegi patrimoniali incorporati e devono
essere nominative quando appartengano ad un membro di un organo societario
dell'emittente e quando, in generale, non siano completamente liberate.
In coerenza con l'art. 2351 c.c., c' il limite all'emissione di azioni di risparmio che
ammonta alla met del capitale sociale.
Gli azionisti di risparmio si riuniscono in un'assemblea speciale ed hanno un
rappresentante comune (art. 146 T.U.).
La disciplina del rappresentante degli azionisti di risparmio modellata su quella
dell'omologo degli obbligazionisti (artt. 2417 e 2418 c.c.). Mandato di massimo tre anni,
deve curare gli interessi della categoria, eseguire le deliberazioni dell'assemblea che
presiede ed assistere alle assemblee dei soci ed impugnarne le deliberazioni.
5.3. Le obbligazioni
Maggiore libert di emissione di tale strumento per le societ quotate rispetto alle
societ per azioni in generale (art. 2412 c.c.).
Il legislatore ritiene evidentemente che i controlli sulle quotate e quelli che insistono sui
mercati nei quali le obbligazioni sono destinate ad essere negoziate assicurino ai
sottoscrittori una garanzia di mercato capace di sostituire quella rappresentata dai fondi
propri della societ emittente e dalla garanzia della solvenza offerta dagli investitori
professionali.
6. Il governo delle societ quotate
6.1. L'assemblea
Il T.U. ravvisa nell'assemblea la sede e l'occasione nelle quali le minoranze, ed in
particolare gli investitori istituzionali, possono svolgere una positiva azione di controllo
sulle scelte gestionali.
In questa prospettiva sono degne di nota le norme che introducono l'obbligo per
l'organo di controllo di riferire all'assemblea su vicende rilevanti ai fini del controllo sulla
gestione (cos da consentire ai soggetti che intervengono in assemblea di prendere
variante sembra essere in procinto di operare, nell'ambito delle quotate, anche per
quelle ipotesi nelle quali il diritto comune prevedeva che i soci potessero ottenere
gratuitamente copia delle decumentazioni depositate (art. 2501septies c.c.).
Queste due norme rientrano nell'ambito della pi ampia disciplina dell'informazione
societaria, ossia delle informazioni che devono essere fornite non solo ai soci ma anche
al pubblico in occasione delle proprie deliberazioni, e che si attua anche attraverso il
deposito della documentazione presso la sede sociale (oltre che presso il mercato di
quotaazione) e rendendo tale documentazione consultabile al pubblico ed ottenibile
mediante copia a proprie spese per i soci.
Dunque l'informativa per il pubblico e per i soci, integrandosi, tendono a coincidere.
Successivamente alla deliberazione deve essere messo a disposizione un rendiconto
sintetico delle votazioni, contenente il numero di azioni rappresentate in assemblea e
delle azioni per le quali stato espresso il voto, la percentuale di capitale che tali azioni
rappresentano, nonch il numero di voti favorevoli e contrari alla delibera e il numero di
astensioni.
Oltre a ci il verbale dell'assemblea stessa (art. 2375 c.c.).
I soci che, anche congiuntamente, rappresentino almeno un quarantesimo del capitale
sociale, possono richiedere, entro dieci giorni dalla pubblicazione dell'avviso di
convocazione, l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare, indicando gli ulteriori
argomenti proposti. Sono escluse integrazioni aventi ad oggetto argomenti che possono
essere, per legge, proposti dagli amministratori o dai membri dell'assemblea stessa, a
meno che i soggetti preposti non facciano propria l'integrazione, dunque legittimandola.
Qualora l'integrazione da parte degli amministratori non avvenga, provvedono i sindaci
e, in mancanza, il tribunale, in forza dell'applicazione analogica dell'art. 2367 c.c.. Gli
amministratori non si possono opporre all'integrazione correttamente presentata,
nonostante il loro dovere di diligenza e di tutela dell'interesse sociale.
La richiesta ufficiale di integrazione, corredata dall'eventuale valutazione degli
amministratori sulla stessa, viene messa da questi ultimi a disposizione del pubblico.
Grande importanza pu assumere il dibattito preassembleare che accompagna la
richiesta di integrazione dell'ordine del giorno.
Innovazioni profonde, dal 2010, in tema di diritto di intervento in assemblea.
Il T.U. non aveva dettato norme particolari su tale tema nell'ambito delle quotate (tale
diritto doveva essere esercitato nel rispetto degli adempimenti previsti dalla gestione
accentrata ed importi dalla dematerializzazione delle azioni); doveva inoltre essere
osservato il disposto dell'art. 2370 c.c., il quale, al secondo comma, fa riferimento alla
dematerializzazione. Il socio doveva legittimarsi attraverso il possesso della
certificazione e, nel caso di deposito preventivo imposto dallo statuto, lo stesso doveva
essere accompagnato dalla comunicazione dell'intermediario all'emittente del diritto
rivendicato dall'interessato e del numero di azioni per le quali il relativo diritto di voto
poteva essere esercitato.
La nuova disciplina ribadisce che la legittimazione all'intervento in assemblea e
all'esercizio del diritto di voto deriva da una comunicazione all'emittente da parte
dell'intermediario, in conformit alle proprie scritture contabili, in favore del soggetto cui
il diritto di voto spetta. Vale il principio del settimo giorno precedente l'assemblea; chi
tuttavia acquisti le azioni successivamente a tale termine considerato assente
all'assemblea (cosa che rileva ai fini dell'eventuale impugnazione) e non conderato
aver concorso all'approvazione delle deliberazioni (cosa che rileva invece ai fini del
recesso), anche se il suo dante causa abbia invece votato a favore o comunque
compiuto atti che pregiudicherebbero tali rimedi a chi resti socio successivamente
all'assemblea.
In questo modo diventa possibile, nel periodo preassembleare e fino alla conclusione
dei lavori assembleari, disporre delle azioni possedute senza vedere pregiudicati i diritti
di intervento: cosa che stata oggetto di richiesta degli investitori istituzionali, che si
ritenevano danneggiati dall'obbligo del deposito delle azioni richiesto dalle norme di
diritto comune (art. 2370 c.c.).
6.1.1. Il voto per corrispondenza
Allo scopo di consentire anche ai soci che non ritengono di intervenire fisicamente alla
riunione di concorrere all'assunzione delle deliberazioni assembleari, il T.U. del 1998
aveva previsto la possibilit di esercitare il diritto di voto per corrispondenza.
Dal 2003 tutte le s.p.a. possono consentire questa modalit di espressione del voto
mediante previsione statutaria (art. 2370 c.c.).
L'avviso di convocazione deve contenere l'avvertenza che il voto pu essere esercitato
per corrispondenza, con annesse tutte le indicazioni utili allo scopo.
I voti cos espressi rilevano ai fini del quorum costitutivo.
Pu avvenire che in assemblea pu essere sottoposta a votazione una proposta di
delibera diversa da quella sulla quale il socio ha espresso il proprio voto per
corrispondenza: dunque l'assemblea non risulta vincolata, nella formazione delle
decisioni, dal fatto che al socio stata proposta una particolare proposta. Tale
eventualit deve tuttavia essere specificata nella scheda di voto, ed il socio pu gi in
quella sede dichiararsi favorevole, contrario o astenuto: nell'ipotesi di silenzio, il suo
voto dovr considerarsi non favorevole (contrario o astenuto) alla proposta, pur
rilevando ai fini del quorum costitutivo.
6.1.2. Le deleghe di voto
Il T.U. aveva operato due interventi importanti in materia di deleghe di voto:
Il primo consistente nel non pi presente divieto, per le banche, di essere
soggetti delegati ad esercitare il diritto di voto. Una concezione meno rigida del
rapporto banca impresa, una disciplina delle deleghe capace di porre fine alle
connivenze tra banche ed imprese e la massiccia presenza delle banche nella
gestione del risparmio e nella prestazione di servizi di investimento hanno
suggerito di eliminare appunto tale divieto;
il secondo consistente invece negli istituti della sollecitazione delle deleghe e
della raccolta delle deleghe. Per sollecitazione di deleghe si intende la "richiesta,
da parte di un soggetto promotore, di conferimento di deleghe di voto rivolta a pi
di duecento azionisti su specifiche proposte di voto o accompagnate da
raccomandazioni, dichiarazioni o altre indicazioni idonee ad influenzare il voto";
per raccolta di deleghe si intende invece "la richiesta di conferimento di deleghe
di voto accompagnata da raccomandazioni, dichiarazioni o altre indicazioni
c.c..
La raccolta consentita alle associazioni di azionisti.
Questo istituto tende a facilitare il concorso dei piccoli azionisti alla formazione delle
deliberazioni dell'assemblea, riducendo i costi connessi con tale concorso attraverso la
creazione di un punto di riferimento organizzativo che non preclude al socio, tuttavia,
una libera espressione del voto.
La composizione dell'associazione deve essere certa (documentata);
non deve svolgere attivit d'impresa diverse (come la consulenza ai soci, ma
anche attivit non d'impresa come quella di informazione economica) da quelle
strumentali alla sua attivit caratteristica di rappresentanza dei propri associati e
l'esercizio di altri loro diritti sulla base del diritto comune
non deve essere uno strumento al servizio di grandi azionisti (infatti prevista, ai
fini dell'adesione alla raccolta, una quota massima detenuta dell'uno per mille);
deve avere una sufficiente rappresentativit (almeno 50 soci, solo persone
fisiche).
A differenza di quanto avviene nella sollecitazione, non viene pubblicato alcun prospetto
da parte dell'associazione, ma avviene la consegna della documentazione predisposta
dall'emittente in vista dell'assemblea e del modulo di delega; inoltre prevista in questo
caso la possibilit per gli associati di esprimere anche voto contrario alla proposta sulla
quale viene chiamata a deliberare l'assemblea sia astenersi.
Che utilit ha per l'azionista di minoranza aderire ad una raccolta per poi dichiararsi
contrario o astenuto?
La delega all'esercizio del diritto di voto pu essere attribuita anche al rappresentante
designato dalla societ con azioni quotate: ne viene designato uno per ciascuna
categoria di azionisti ed facolt di questi ultimi avvelersi di tale rappresentante in
ordine ad una o pi proposte all'ordine del giorno. E' un servizio fornito gratuitamente
dalla societ, per legge, anche se palesi sono i rischi di conflitto di interesse di tale
figura: per questo la Consob impone a questo obblighi di correttezza e trasparenza.
6.2. Amministrazione e controllo interno
Per le s.p.a., la scelta alternativa tra sistema tradizionale, monistico e dualistico
comporta una diversa distribuzione delle funzioni di amministrazione e di controllo; per
le quotate la scelta non incide sul controllo legale dei conti, comunque riservato ad una
societ di gestione esterna.
La legge di tutela del risparmio del 2005 ha cercato, talvolta maldestramente, di
contenere il rischio di comportamenti di malgoverno d'impresa intervenendo sui
seguenti argomenti:
rafforzamento dei poteri di informazione nei confronti degli altri organi sociali e
nei confronti della struttura aziendale, nonch di convocazione dei predetti organi
e di avvio del controllo giudiziario;
amministratori sul loro rispetto del canone di diligenza consiste nel controllo ex ante
sull'adeguatezza del sistema contabile, lasciando poi alla societ di revisione contabile
il compito di effettuare un controllo ex post. Resta comunque il peso della voce del
collegio in ordine al bilancio, ci giustificato dal dovere di reciproca informazione tra i
due organi di controllo contabile della societ (collegio sindacale e societ di revisione).
Molto rilevante il controllo sul concreto ed effettivo rispetto delle regole del mercato di
quotazione, dal momento che la violazione giustificherebbe l'esclusione dalla votazione
ed azioni risarcitorie da parte di chi abbia fatto affidamento sul rispetto delle dette
regole. Per le societ quotate in Italia c' anche l'obbligo di comunicazione di anomalie
alla Consob, con allegati verbali ed accertamenti svolti dal collegio.
Il T.U. stabilisce inoltre notevoli oneri informativi a carico degli amministratori ed a
beneficio dei sindaci, consistenti in relazioni sulla gestione; vale anche un certo potere
ispettivo dei sindaci nei confronti degli amministratori stessi. Da ricordare anche
l'informativa dal collegio sindacale alla Consob.
Al collegio sono poi attribuiti poteri di iniziativa, come quello di convocare l'assemblea,
previa comunicazione al presidente del c.d.a., o quello del singolo sindaco di convocare
il c.d.a. o il comitato esecutivo, anche se tale potere dovr essere esercitato per
sottoporre alla valutazione dell'organo convocato soltanto materie che rientrano nella
competenza dei sindaci. Salvo l'art. 2408 c.c.. Il collegio (o anche il singolo sindaco)
pu avvalersi, per l'espletamento delle proprie funzioni, di dipendenti della societ
previa comunicazione al presidente del c.d.a..
I dipendenti ausiliari cos "reclutati" possono essere incaricati dal collegio di effettuare
controlli anche sull'adeguatezza e l'affidabilit del sistema amministrativo contabile;
naturalmente i sindaci sono responsabili degli ausiliari e la societ pu loro impedire
l'accesso ad informazioni riservate.
6.2.3. I modelli alternativi
Per quanto concerne il modello dualistico, le norme che fanno riferimento al c.d.a.,
all'organo amministrativo e agli amministratori si applicano anche al consiglio di
gestione e ai suoi componenti e, se non diversamente disposto, le norme che fanno
riferimento al collegio sindacale e ai sindaci si applicano anche al consiglio di
sorveglianza e ai suoi componenti.
Almeno uno dei membri del consiglio di gestione deve possedere i requisiti di
indipendenza previsti per i sindaci: norma molto singolare considerando che il consiglio
di gestione non ha funzioni di controllo.
Per quanto riguarda il consiglio di sorveglianza:
ha poteri ispettivi, anche nei singoli componenti, nei confronti del consiglio di
gestione;
i componenti possono convocare il consiglio di gestione tramite il presidente, che
dovr motivare esautivamente l'eventuale impossibilit;
Il consiglio di gestione o i suoi membri possono convocare, previa
comunicazione al presidente del consiglio di gestione, convocare l'assemblea dei
soci (da parte di almeno due membri), il consiglio di gestione stesso ed avvalersi
di dipendenti della societ per l'adempimento delle proprie funzioni;
possiede, anche mediante un proprio membro appositamente delegato, poteri
legittimazione all'impugnativa a favore della Consob entro sei mesi dal deposito presso
il registro delle imprese.
Totale corrispondenza per quanto riguarda il bilancio consolidato.
Le societ italiane quotate all'estero dovrebbero essere soggette alle sole regole di
impugnazione del Paese ospitante, ma in realt sono poi sottoposte ad una distinta
disciplina italiana che ne amplia le possibilit di ricevere azioni di impugnazione della
deliberazione di revisione.
L'idea quella di tutelare l'interesse pubblico degli operatori del mercato a ricevere
un'informativa della societ fedele alla societ stessa, che assume particolare rilievo per
le societ quotate. Di qu i casi di informativa tempestiva di irregolarit sia al collegio
sindacale ma anche, e soprattutto, alla Consob.
6.6. Le "relazioni finanziarie"
L'informativa al mercato prevede quindi una serie di informazioni sia relative alla propria
struttura proprietaria che alla propria gestione, in relazione al normale svolgimento della
stessa e alle operazioni straordinarie.
Abbiamo constatato che l'ordinamento, mediante le figure del dirigente preposto alla
redazione dei documenti contabili e del revisore/societ di revisione, pone particolare
attenzione all'attendibilit dell'informativa.
Per contenuti e tempestivit di comunicazione al pubblico rilevano inoltre le "relazioni
finanziarie".
Occorre rimembrare che i principi contabili internazionali, imponendo la valutazione al
fair value, privilegiano il mercato mobiliare per quanto attiene al profilo di trasparenza
della documentazione societaria.
Per quanto riguarda le relazioni finaziarie:
contengono il progetto di bilancio d'esercizio, il consolidato, ove redatto, la relazione
sulla gestione e l'attestazione degli organi delegati e del dirigente preposto alla
redazione dei documenti contabili, unitamente alla revisione legale dei conti.
A sei mesi dalla chiusura dell'esercizio viene pubblicata una relazione intermedia che
sottolinea i fatti rilevanti avvenuti e la loro ripercussione futura sui secondi sei mesi di
esercizio.
Entro quarantacinque giorni dalla chisura del primo e del terzo trimestre di esercizio, un
resoconto intermedio di gestione.
7. Il delisting
La condizione di societ quotata cessa con il venir meno della quotazione dei titoli
emessi dalla stessa da tutti i mercati regolamentati.
Pu avvenire per esclusione dal mercato, per incorporazione della quotata in una non
quotata, per la fusione propria di una quotata che dia vita ad una non quotata o, infine,
su richiesta della quotata (delisting).
Mentre il recesso del socio possibile nel caso di esclusione dalla quotazione (art.
2437quinquies c.c.), non fa lo stesso nel caso di ammissione alla stessa, dal momento
che il recesso giustificato solo quando venga messa a repentaglio, contro la volont
del socio, l'investimento effettuato.
Nel caso in cui una scissione preveda l'assegnazione al socio di azioni non quotate, si
ritiene esse possano giustificare il recesso limitatamente alle azioni che verrebbero
concambiate con azioni di una beneficiaria non quotata, anche se l'indivisibilit
dell'interesse alla partecipazione potrebbe giustificare il riconoscimento del diritto alla
liquidazione dell'intera partecipazione.
La perdita dello status di societ quotata pu anche essere conseguenza di una
richiesta apposita della stessa societ emittente.
L'esclusione per subordinata all'ammissione su un altro mercato regolamentato,
purch quel mercato offra una tutela equivalente a quella della quale vengono privati gli
azionisti della quotata che rinuncia alla quotazione.
Infatti ciascun mercato ha un proprio regolamento di ammissione ed un proprio profilo di
tutela, cosicch l'accezione di mercato regolamentato non esclude forti differenze tra
diversi mercati che possono dirsi tali.
In ogni caso, l'esclusione dalle negoziazioni di azioni ordinarie condizionata
all'esistenza nel mercato di quotazione di una disciplina dell'offerta pubblica di acquisto
obbligatoria applicabile all'emittente in caso di trasferimento di partecipazioni di controllo
o all'esistenza di altre condizioni valutate equivalenti dalla Consob.
8. Gli emittenti di strumenti finanziari diffusi ma non quotati
Gli obblighi di informazione societaria sono gli stessi di quelli imposti alle societ
quotate.
Sono sottoposti alla vigilanza informativa ed ispettiva della Consob, che si applicano
anche in caso di diffusione di strumenti finanziari in un MTF.
Vale l'obbligo di sottoposizione del bilancio, ed eventualmente di quello consolidato, al
controllo della societ di revisione o di un revisore.
La ratio della disciplina consiste nella tutela del pubblico risparmio, dal momento che,
nonostante l'assenza di quotazione, coinvolto e sollecitato dalla societ; inoltre in
assenza di tali disposizioni diventerebbe svantaggiosa la quotazione, a parit di
diffusione di strumenti finanziari emessi.
Spetta alla Consob definire quando un certo strumento finanziario debba ritenersi
sufficientemente diffuso ai fini dell'applicazione della disciplina.
Il T.U. non ha infatti posto particolare attenzione all'organizzazione interna o alla tutela
delle minoranze, come avviene invece per le quotate; ha invece disciplinato con
attenzione la trasparenza sulla gestione, ma non sugli assetti proprietari, al pari delle
quotate.
La mancata applicazione delle altre norme di governo societario costituisce un minor
costo per l'emittente ma anche una minore appetibilit dei propri strumenti dal lato
dell'investitore: la riforma del 2003 ha cercato di porre rimedio a ci, introducendo la
fattispecie delle "societ che fanno ricorso al capitale di rischio", e non di debito
(emittenti con azioni quotate o diffuse tra il pubblico in misura rilevante).
Si tratta di un'innovazione che dota le societ con azionariato diffuso a met tra le
Capitolo quinto
I GRUPPI DI SOCIETA'
1. La partecipazione di societ ad altre imprese
Le imprese tendono a creare tra di loro rapporti di vario genere per realizzare pi
efficacemente i loro programmi economici. Nella variegata serie di ipotesi di
collaborazione e collegamento tra imprese diverse (diverse sotto il profilo della propriet
o dell'oggetto sociale) consideriamo i rapporti contrattuali esterni, che vincolano le varie
imprese ad affare o a programma comune, anche magari attraverso una nuova forma di
organizzazione, senza incidere, se non nei limiti del rispetto degli impegni presi con i
partners, sulla struttura decisionale delle varie societ coinvolte. Possono aversi inoltre
operazioni di concentrazione, come quella di fusione, che riuniscono in un unico
soggetto le imprese di un gruppo, due o pi.
Tra queste due ipotesi estreme si collocano i gruppi di societ che, nella normalit dei
casi, prevedono una societ capogruppo che eserciti il controllo sulle altre imprese,
dirigendone e coordinandone le attivit in vista di uno scopo economico unitario.
La struttura piramidale del gruppo la pi comune, anche se nella pratica esistono pi
modalit di aggregazione, come quella del gruppo paritetico (art. 2545septies c.c.).
Le societ facenti parte del gruppo perdono l'autonomia dal punto di vista sostanziale,
dal momento che vengono assoggettate alla direzione unitaria della capogruppo.
Giuridicamente, ciascuna societ resta tuttavia distinta. Ci crea evidentemente dei
problemi, per affrontare i quali occorre innanzitutto esaminare quale la disciplina che
regola l'assunzione di partecipazione in altre imprese da parte di societ (art. 2361 c.c.).
Il limite del settore in cui possibile investire da parte della societ evita che si abbia la
modificazione di fatto dell'oggetto sociale ad opera degli amministratori anzich dei soci
riuniti in assemblea straordinaria (art. 2365 c.c.), negando in tale ipotesi anche il diritto
di recesso del socio previsto in caso di cambiamento significativo dell'attivit svolta (art.
2437 c.c.).
L'art. 2361 c.c. prevede anche la possibilit di partecipazione di societ di capitali in
societ a responsabilit illimitata dei suoi componenti, cosa che precendetemente era
eterodirette, un'influenza sui poteri degli organi di controllo ed impone una lettura
particolare della disciplina del conflitto di interessi per gli organi delle varie societ del
gruppo.
Si ha che il legame di gruppo si risolve tendenzialmente in un vantaggio per le societ
che vi appartengono, ma le decisioni e le direttive della capogruppo, tutelando
l'interesse del gruppo, non necessariamente tutelano quello della societ controllata. Le
operazioni infra-gruppo trovano spesso una giustificazione economica nei cc.dd.
vantaggi compensativi che la singola unit pregiudicata pu trarre da una pi ampia
politica di gruppo, e talvolta dalla sua stessa appartenenza al gruppo. Quindi altri
rapporti della controllata all'interno del gruppo possono costituire una contropartita di
pregiudizi derivanti da alcune direttive della holding.
I capisaldi della nuova disciplina sono:
L'art. 2497 c.c. introduce un'azione di responsabilit a favore di soci e creditori
delle societ controllate. Si ritiene che abbia natura extracontrattuale;
premesso che la nuova disciplina contiene il riconoscimento della liceit della
attivit di direzione e coordinamento, la societ o l'ente che la esercitano
possono essere chiamati in giudizio solo quando abbiano agito nell'interesse
imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi della corretta gestione
societaria ed imprenditoriale delle societ danneggiate. I beni tutelati in tal senso
sono la redditivit ed il valore della partecipazione sociale, per i soci, e l'integrit
del patrimonio sociale per i creditori sociali;
l'azione pu essere promossa solo se il socio o il creditore non siano stati
soddisfatti dalla societ sottoposta a direzione e coordinamento. Inoltre non vi
responsabilit quando il danno risulta mancante alla luce del risultato
complessivo, rilevando dunque il significato dell'appartenenza ad un gruppo di
imprese, e pi precisamente il concetto di vantaggio compensativo. Infatti non
ingiusto il profitto della societ collegata o del gruppo, se compensato da
vantaggi derivanti dal collegamento o dalla appartenenza al gruppo;
risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e nei limiti del
vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio. Pagano
dunque tanto gli esecutori quanto i beneficiari;
l'art. 2497quater c.c. prevede fattispecie di recesso per il socio;
la societ soggetta a direzione e coordinamento deve indicare la propria
soggezione negli atti e nella corrispondenza e deve provvedere alla iscrizione nel
registro delle imprese dell'inizio e della cessazione di tale situazione (art. 2497bis
c.c.). cfr. art. 2497ter c.c.;
art. 2497quinquies c.c..
6. I gruppi nella legislazione speciale
Le leggi speciali prevedono ipotesi specifiche di gruppi di societ, con regole che in
parte coincidono e in parte divergono con quelle del codice.
cfr. libro, molto tecnico.
7. Il gruppo insolvente
E' uno dei maggiori pericoli che derivano dalla realt dei gruppi. L'attivit di direzione e
coordinamento consente infatti di distribuire in maniera anomala il rischio di dissesto,
Capitolo sesto
SCIOGLIMENTO E LIQUIDAZIONE DELLE SOCIETA' DI CAPITALE
1. L'estinzione dell'impresa societaria a base capitalistica
Quella che pu essere definita la scomparsa della societ dal novero dei soggetti
dell'attivit giuridica pu avvenire sia in seguito al dispiegarsi di una fattispecie a
formazione progressiva culminante, mediante liquidazione, nella cancellazione della
societ dal registro delle imprese, sia per eventi come fusione e scissione (art. 2506
c.c.), i quali producono la perdita della personalit giuridica e l'estinzione dell'impresa
senza che occorra il procedimento dissolutorio della liquidazione.
La vecchia disciplina che annoverava anche come causa di scioglimento l'avvenuta
nullit dell'atto costitutivo confluisce ora nell'art. 2332 c.c..
2. La fattispecie estintiva della societ di capitali
Le modificazioni avvenute mirano a raggiungere tre obbiettivi:
colmare lacune normative;
appianare controversie, sorte in un sessantennio di legislature, tra alcune norme
del codice;
valorizzare, anche per questo settore, l'autonomia privata.
In ogni caso l'estinzione della societ non si produce in conseguenza del mero
verificarsi della causa di scioglimento, ma solo al compiersi della fattispecie estintiva, la
cui formazione progressiva e consiste nel verificarsi della causa, nel compiersi del
procedimento di liquidazione, nella cancellazione della societ dal registro delle
imprese.
2.1. Il verificarsi delle cause di scioglimento
2.1.1. Le cause di scioglimento (art. 2484 c.c.)
decorso del termine: tale causa perde tuttavia rilevanza se considerate altre
norme attualmente vigenti (artt. 2328, 2454, 2463 c.c.);
per il conseguimento dell'oggetto sociale, o per la sopravvenuta impossibilit di
conseguirlo: tipico delle societ di ingegneria civile, costruite appositamente
per la costruzione di un ponte o di una diga;
bilancio d'esercizio delle s.p.a.; deve essere corredato dalla relazione degli
amministratori, nella quale devono essere illustrate l'andamento e le prospettive della
liquidazione, e dalla nota integrativa, la quale deve indicare e motivare i criteri adottati.
Nel primo bilancio successivo alla loro nomina, i liquidatori devono indicare le variazioni
nei criteri di valutazione adottati rispetto al precedente. Se l'attivit d'impresa viene
anche parzialmente continuata, ci deve trovare adeguato riscontro nei documenti di
bilancio, e se non vengono depositati tre bilanci consecutivi si ha la cancellazione
immediata della socit dal registro delle imprese.
Dopo il verificarsi delle cause di scioglimento e la liquidazione, gli artt. 2492 - 2496 c.c.
concernono la terza fase, ossia quella che culmina nella cancellazione della societ dal
registro delle imprese.
2.2.3. Bilancio finale di liquidazione e piano di riparto
Esaurita la liquidazione, i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione,
corredato dalla relazione dei sindaci e del revisore, indicando la parte spettante a
ciascun socio o azione nella divisione dell'attivo (piano di riparto).
Mentre il bilancio finale esprime gli esiti della liquidazione, del denaro esistente e del
valore effettivo dei beni in natura, il piano di riparto esprime invece la proposta di
ripartizione dell'attivo residuo.
Il bilancio finale va depositato presso il registro delle imprese, anche per dar modo ad
ogni socio di proporre reclamo davanti al tribunale in contraddittorio con i liquidatori
entro un trimestre: decorso questo termine o, indipendentemente dal reclamo, quando
l'ultima quota di riparto non oggetto di reclami (quindi il singolo reclamo non sospende
il riparto, art. 2494 c.c.), il bilancio finale si ritiene approvato, con conseguente
liberazione dei liquidatori davanti ai soci.
La sentenza pu decidere anche un diverso riparto, che coinvolge anche i non
intervenuti in giudizio, imponendo dunque la restituzione di quanto sia stato
eventualmente percepito (artt. 2492 e 2493 c.c.).
Quanto al piano di riparto, cfr. art. 2394 c.c..
2.3. La cancellazione della societ dal registro delle imprese
La fattispecie estintiva esige un ulteriore adempimento, cio la cancellazione della
societ dal registro delle imprese (art. 2495 c.c.): a questo punto, salva l'avvenuta
ripartizione dell'attivo secondo il piano di riparto, la societ pu dirsi definitivamente
estinta.
Dopo la cancellazione non esiste pi una societ (salvo che il procedimento di
liquidazione sia stato regolarmente svolto) in quanto viene meno la sua pi tangibile
manifestazione, e cio l'esistenza di un patrimonio sociale autonomo, distinto da quello
personale dei soci, sul quale i creditori sociali possono soddisfarsi. Occorre tuttavia, per
la "morte" della societ, che ogni rapporto giuridico della societ in quanto tale sia
estinto: onorato o decaduto.
3. Il postcancellazione
I creditori possono far valere i propri crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza
delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e nei confronti
dei liquidatori se il mancato pagamento dipeso da colpa di questi (art. 2495 c.c.).
I libri della societ restano presso l'ufficio del registro delle imprese per dieci anni.
4. La revoca dello stato di liquidazione (artt. 2436 e 2487ter c.c.)
Consiste nella possibilit per i soci di far tornare la societ alla vita attiva; ovvero, la
possibilit di una nuova inversione dello scopo da liquidativo a scopo di esercizio
dell'attivit di impresa.
Capitolo settimo
LE SOCIETA' COOPERATIVE
Sezione prima - Scopo mutualistico e variabilit del capitale
1. La disciplina (artt. 2511 - 2548 c.c.)
Accanto alla disciplina civilistica si pone la legislazione speciale (ad es. art. 2520 c.c.),
tuttavia non sempre in armonia con il complessivo organico normativo relativo alle
societ cooperative. Le leggi speciali prevalgono su quelle del Codice.
La riforma del 2003 non si applica alle cooperative di credito (regolate dal T.U. bancario
del 1993) ed ai consorzi agrari; dal 2004, tuttavia, buona parte della nuova disciplina si
applica anche alle banche popolari ed alle banche di credito cooperativo. I consorzi
agrari sono invece detti "a mutualit prevalente" ed assimilati al modello di societ
cooperativa.
Il modello di societ cooperativa europea (S.C.E.) deve accogliere soci residenti in
almeno due stati membri che vogliano esercitare la propria attivit in tutta la Comunit.
2. La definizione di "cooperativa" e lo scopo mutualistico
Si tratta di societ a capitale variabile con scopo mutualistico iscritte presso l'albo delle
societ cooperative. Dunque tre requisiti.
Condizione necessaria affinch una societ possa dirsi "cooperativa" il
conseguimento dello scopo mutualistico (art. 2515 c.c.), il quale giustifica il particolare
tipo di organizzazione interna (variabilit del capitale, uguaglianza nel voto,... ecc. sono
elementi strutturali coerenti con lo scopo mutualistico; tuttavia l'esistenza di societ
rispondenti a tali caratteristiche ma con scopo di lucro rende insufficienti le stesse). Lo
scopo mutualistico attribuisce inoltre alle imprese particolare meritevolezza, quando la
mutualit serva alla realizzazione di bisogni economici particolarmente significativi, o di
scopo neutri (esigenze di singole categorie o bisogni non essenziali), o di tipo
speculativo (consorzi di imprenditori), giustificando le agevolazioni (e dunque i severi
controlli) concesse a tale tipo societario. Meritevolezza confermata dagli elementi
strutturali e dall'assenza di scopo di lucro.
Sarebbe presente, a differenza che nelle societ ordinarie, una reciprocit di prestazioni
tra societ e socio (c.d. gestione di servizio): mentre infatti le societ ordinarie devono
conseguire (lucro oggettivo) e ripartire (lucro soggettivo) un utile patrimoniale tratto da
un'attivit economica di mercato, le cooperative devono svolgere la loro attivit per i
propri soci (beni, servizi ed occasioni di lavoro) a condizioni di favore rispetto a quelle
praticate da imprese simili ma non cooperative.
Si ha dunque una duplicit di rapporti, ossia il contratto di societ ed i successivi
rapporti contrattuali di scambio.
Apparente eccezione data dalle mutue assicuratrici (art. 2546 c.c.): si ha infatti la
necessaria coincidenza del socio con il soggetto assicurato, cosa che non esiste nelle
cooperative di assicurazione. Dunque in ambito assicurativo, nelle mutue c' maggiore
mutualit rispetto che nelle cooperative.
Il vantaggio patrimoniale della prestazione mutualistica si realizza nell'eliminazione,
nell'ambito del processo produttivo e distributivo, dell'intermediario speculatore (al quale
la societ di sostituisce) e del relativo profitto, ripartito proprio sottoforma di minor costo
dei beni acquistati (o di maggior prezzo dei beni venduti alla societ dai soci). Tale
vantaggio esaltato dalle agevolazioni e dalle incentivazioni che lo Stato accorda a tali
imprese. Tuttavia non mancano esempi di condizioni di mercato eguali o peggiori, per
via dell'aleatorit degli esiti di qualsiasi attivit economica.
Il vantaggio mutualistico pu essere conseguito con la tecnica del vantaggio immediato
o quella del vantaggio differito (o ristorno).
le prime presentano forti vincoli sul patrimonio in ordine alla sua divisibilit tra i
soci, mentre le seconde hanno un patrimonio in larga misura divisibile tra i soci;
solo le prime godranno delle agevolazioni tributarie riservate dalla legge alle
imprese mutualistiche: queste potrebbero far pensare ad una violazione della
disciplina europea, ma occorre rammentare la prevalenza dell'art. 45 Cost. sulla
legislazione ordinaria;
della prevalenza, ossia la "sospensione semestrale di ogni attivit dell'ente intesa come
divieto di assumere nuove obbligazioni contrattuali".
4. Scopo mutulistico e attivit lucrativa
Difficilmente le cooperative adottano il modello societario che prevede la mutualit pura.
Operano infatti con i soci, ma anche con i terzi, ed assumono dimensioni che eccedono
i bisogni dei soci, oltre a porsi in concorrenza con le imprese ordinarie. Si uniscono in
consorzi di cooperative e partecipano in s.p.a. ed s.r.l., essendo concesso senza limiti;
cfr. art. 2545septies c.c. in merito al gruppo cooperativo paritetico. Ci pu comportare
una commistione tra scopo di lucro e scopo mutualistico, laddove il secondo quello
pi spesso accantonato; persistono tuttavia delle regole patrimoniali tali da fare salva la
distinzione tra societ cooperative e societ ordinarie.
[mancano le pagg. 630 e 631 xD]
5. La variabilit del capitale (art. 2511 c.c.)
Viene definito come elemento essenziale della definizione di societ cooperativa.
Questo non significa che quello delle societ ordinarie fisso, o almeno tale intuizione
non va presa alla lettera.
La variabilit del capitale nelle societ cooperative (art. 2524 c.c.) significa che in esse il
capitale pu essere aumentato mediante l'accoglimento da parte degli amministratori
delle domande di ingresso di nuovi soci (secondo il procedimento descritto all'art. 2528
c.c.); invece nelle societ lucrative l'aumento del capitale avviene attraverso un
procedimento di modificazione formale dell'atto costitutivo.
Dunque nelle cooperative accogliere nuovi soci nettamente pi agevole (c.d. regola
della porta aperta); nelle societ ordinarie i flussi finanziari associati all'aumento di
capitale sono invece programmati dagli amminstratori ed approvati dall'assemblea.
Sussiste una pi ampia tutela per il socio che voglia trasferire a terzi la quota sociale, in
quanto l'art. 2530 c.c. consente al socio di rivolgersi al tribunale qualora l'autorizzazione
degli amministratori sia illegittimamente negata.
Dunque l'ammissione di nuovi soci, nelle cooperative, non comporta modificazione
dell'atto costitutivo, pur essendo possibile l'aumento del capitale sociale per tale via (art.
2524 c.c.). Nel caso della modificazione si ha aumento di capitale a pagamento e
soddisfa le esigenze finanziarie della cooperativa; la legge non risolve tuttavia il
problema del diritto di opzione, quello dei requisiti degli aspiranti, dei limiti massimi dei
conferimenti e cos via.
Non esistendo un mercato secondario per quanto riguarda le quote di societ
cooperative (tranne che per banche popolari e cooperative di assicurazione), ne
difficile lo smobilizzo, ma ne viene anche esaltata la stabilit rispetto a quelle delle
societ di capitali ordinarie.
Sezione seconda - La disciplina della societ
1. La costituzione
La cooperativa, essendo una societ con soci a responsabilit limitata (art. 2518 c.c.),
dal punto di vista organizzativo modellata sulla disciplina delle societ di capitali.
Dunque stesse regole per quanto riguarda la costituzione di tali societ. Sono richieste
indicazioni obbligatorie nell'atto costitutivo e viene ammessa la valenza di regolamenti
interni in ordine alla disciplina dei rapporti mutualistici (art. 2521 c.c.).
2. Il numero minimo dei soci (art. 2522 c.c.)
La mutualit agevolata presuppone una pluralit, la pi ampia possibile, di fruitori. Il
secondo comma tende a sostuituire la precedente disciplina delle piccole societ
cooperative.
3. I requisiti dei soci
Sono stabiliti dalle leggi speciali e, pi in generale, dallo statuto (art. 2527 c.c.), e sono
collegati al tipo di attivit che la societ deve svolgere. In mancanza di disciplina legale
gli statuti possono autonomamente regolamentare questa materia, con regole non
disparitarie e coerenti con l'oggetto sociale. E' vietata in ogni caso la partecipazione di
persone che esercitino impresa in concorrenza con quella cooperativa.
La riforma ha mantenuto i particolari settori di attivit cooperativa:
cooperative di lavoro;
cooperative di consumo;
cooperative edilizie;
cooperative di credito.
4. La pubblicit
Oltre alla pubblicit nel registro delle imprese, occorre l'iscrizione anche nell'albo delle
societ cooperative, la quale ha valore costitutivo (art. 2512 c.c.).
5. Strumenti finanziari e titoli di debito
Accanto alle azioni (o quote nelle cooperative s.r.l.) la riforma prevede l'emissione di
strumenti finanziari ed altri titoli di debito (art. 2526 c.c.). Tale distinzione si collega a
quella tra soci cooperatori e soci finanziatori.
Sono soci cooperatori i titolari di azioni o quote che aderiscono alla cooperativa avendo
interesse a godere delle prestazioni mutualistiche.
Chi sottoscrive strumenti finanziari sicuramente un finanziatore, ma un soggetto
finanziatore pu definirsi socio quando gli strumenti finanziari sono remunerati con la
partecipazione agli utili (e non con la corresponsione di interessi fissi che prescindono
dal risultato d'impresa), anche se i titoli non attribuiscono diritti sociali, come il voto;
oppure quando lo statuto attribuisca ad essi poteri di intervento nella vita della societ
(poteri di voice) anche se la remunerazione del finanziamento slegata dall'utile
d'esercizio.
Anche la distinzione tra strumenti partecipativi e non partecipativi equivoca, dal
momento che non chiaro se la partecipazione sia data dall'ingerenza nella vita della
societ o nell'utile.
Il socio cooperatore pu essere socio finanziatore allo stesso tempo.
6. I soci sovventori
Si discute se questi siano soci veri e propri o meri finanziatori della societ.
Il sovventore effettua un apporto la cui entit determinata liberamente,
indipendentemente dai limiti massimi stabiliti per i conferimenti dei soci ordinari.
Tuttavia i voti dei sovventori non devono in ogni caso superare un terzo dei voti
spettanti a tutti i soci.
7. Gli azionisti di partecipazione cooperativa
L'art. 2521 c.c. consente alle cooperative di emettere azioni di partecipazione
cooperativa.
Ai sottoscrittori di azioni di partecipazione la legge attribuisce un privilegio nella
ripartizione degli utili e del rimborso del capitale in caso di liquidazione. Sono prive di
diritto di voto. Possono essere emesse per un ammontare non superiore al valore
contabile delle riserve indivisibili o del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio.
Dal momento che dubbia la natura societaria del rapporto che li lega alla cooperativa,
dubbio se possano essere nominati amministratori.
I possessori di azioni di partecipazione sono organizzati in assemblea speciale, la quale
delibera sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune, sull'approvazione delle
deliberazioni dell'assemblea della cooperativa che pregiudichino i diritti della categoria,
sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e
sugli altri oggetti di interesse comune.
8. L'uguaglianza dei soci nel voto
L'art. 2538 c.c. attribuisce al socio cooperatore un voto, indipendentemente dal valore
della quota o il numero di azioni possedute. Nelle cooperative con partecipazione di
soci cooperatori persone giuridiche l'atto costitutivo pu attribuire a queste pi voti, ma
non pi di cinque, sempre in relazione alla quota o al numero di azioni o al numero di
membri.
L'eguaglianza del voto scoraggia il conferimento competitivo o i tentativi di acquisizione
del controllo societario e giustifica, assieme ai limiti sulla distribuzione degli utili, l'attuale
sottocapitalizzazione delle cooperative. Dunque decide la maggioranza dei soci, e non
del capitale.
L'emissione di strumenti finanziari con diritto di voto (art. 2538 c.c.) una concreta
possibilit di attenuazione di tale principio, che di fatto scoraggia anche l'investimento.
Il voto pro capite forma maggioranze stabili, contrapposte per ideologie e propensioni
politiche, che formano consigli di amministrazione duraturi.
Gli artt. 2538, 2543, 2548 c.c. stabilisce che esiste la possibilit di assegnare il voto pro
quota o proporzionale al ristorno percepito.
9. Le assemblee separate
L'art. 2540 c.c. le ha rese facoltative per tutte le cooperative ed obbligatorie quando la
societ particolarmente rilevante nella compagine societaria e nel raggio geografico di
attivit. Le assemblee separate nominano i delegati che voteranno nelle assemblee
generali, in cui troveranno rappresentate anche le minoranze delle prime.
10. Gli amministratori
L'atto costitutivo deve indicare il sistema di amministrazione adottato (art. 2521 c.c.).
Dunque la scelta assimilabile a quella delle societ per azioni ordinarie, sempre che la
cooperativa scelga il modella della s.p.a. stessa.
Per essere adeguatamente interpreti dei bisogni dei soci, i membri del c.d.a. devono
essere in maggioranza soci cooperatori, o persone indicate dai soci cooperatori
persone giuridiche (art. 2542 c.c.).
Prima della riforma tutti gli amministratori dovevano essere soci.
11. Il collegio sindacale
Anche dopo la riforma, la disciplina di questo organo non immune da dubbi
interpretativi.
I controlli pubblici, il mancato ricorso al finanziamento esterno mediante mercati
finanziari, l'esigenza di semplificazione della disciplina, aspetti tipici delle cooperative,
hanno di fatto impedito un rinvio in blocco alla disciplina delle societ di capitali.
E' oggetto di discussione se la cooperativa societ per azioni, non obbligata alla nomina
del collegio sindacale, sia tenuta alla nomina del revisore contabile esterno (art. 2409bis
ss. c.c.).
12. Il controllo giudiziario (art. 2409 c.c.)
L'art. 2545quinquiesdecies c.c. ha introdotto, con il richiamo all'art. 2409 c.c., il controllo
giudiziario delle societ per azioni anche per le societ cooperative. Prima della riforma
si riteneva che il gi presente controllo pubblico fosse sufficiente e giustificasse dunque
la non adozione di tale istituto nell'ambito delle societ cooperative.
Sembrano comunque prevalere i controlli amministrativi.
La legittimazione all'azione concessa ad un decimo dei soci (ad un ventesimo nelle
cooperative con pi di tremila soci).
13. La trasformazione, la fusione e la scissione
La recente riforma ha consentito, addirittura con maggioranze pi basse di quelle
normalmente occorrenti per l'assemblea straordinaria, la trasformazione delle sole
cooperative "diverse" in societ ordinarie, anche di persone, o in consorzi (art.
2545decies c.c.), salva la devoluzione del valore effettivo del patrimonio a fondi
mutualistici (art. 2545undecies c.c.)
Il divieto per l'altra variante di cooperativa mira ad evitare che la trasfromazione
permetta ai soci di utilizzare a fini lucrativi o speculativi le risorse, viceversa
indisponibili, accumulate dalle cooperative, anche grazie agli interventi pubblici: infatti
tali risorse appartengono al movimento cooperativo, e devono essere destinate a fondi
mutualistici.
Le eccezioni riguardavano solo le cooperative di credito, dal momento che Banca
d'Italia sosteneva l'utilit dell'integrazione per la persistenza di tale tipologia d'impresa
sul mercato.
L'art. 2506septies c.c. prevede la possibgilit della trasformazione di societ di capitali
in societ cooperative (con modificazione dell'oggetto sociale).
Fusione e scissione all'art. 2545novies c.c.: pu riguardare sole societ a scopo
mutualistico (fusione omogenea); oppure societ mutualistiche e societ lucrative
(fusione eterogenea).
Il divieto di trasformazione delle cooperative a prevalenza dovrebbe comportare anche il
divieto per le stesse di essere coinvolte in fusioni che sfocino nella nascita di una
societ lucrativa.
Capitolo ottavo
TRASFORMAZIONE, FUSIONE, SCISSIONE
sezione prima - la trasformazione
1. Nozione generale
Rappresenta una modifica del contratto di societ, che non implica l'estinzione del
soggetto giuridico e la nascita di uno nuovo , ma solo il mutamento della sua struttura
organizzativa ovvero incide sulla disciplina da applicare al diverso ente risultante dalla
trasformazione. Ci confermato dall'art. 2498 c.c.: infatti l'ente trasformato conserva i
diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha
effettuato la trasformazione. Il principio della continuit dei rapporti giuridici resta
elemento portante in materia, con ci evidenziandosi la natura sia modificativa che
conservativa della trasformazione, come fenomeno che incide sulla struttura
organizzativa, ma non sui rapporti sostanziali e processuali in essere.
E' dunque offerto all'autonomia privata uno strumento duttile per adattare l'assetto
organizzativo della societ alle esigenze nel tempo mutevoli, conseguendo allo stesso
tempo notevoli vantaggi fiscali e mantenendo la continuit dell'impresa, senza che si
passi per una fase di liquidazione e nuova costituzione.
Il legislatore offre la possibilit di effettuare una trasformazione di natura non solo
organizzativa, ma anche causale, con riferimento ad enti tra loro diversi per scopi e
funzioni (artt. 2500 e 2545octies c.c., con riferimento sia alla trasformazione omogenea
che a quella eterogenea).
Non rientra invece nel fenomeno della trasformazione, non operando il principio di
continuit dei rapporti giuridici, il passaggio di un'impresa individuale ad una societ di
capitali unipersonale, operazione che richiede sempre la costituzion ex novo di una
societ.
La trasformazione pu avvenire anche quando sia in pendenza una procedura
concorsuale (art. 2499 c.c.), purch non vi sia incompatibilit con le finalit e lo stato
della stessa, salva la sua subordinazione alle necessarie autorizzazioni degli organi
della procedura. L'assenza di parametri rigidi di compatibilit comporta che il giudizio di
compatibilit deve essere operato in concreto, caso per caso, con riferimento
all'interesse dei creditori concorsuali.
Come per la fusione (art. 2501 c.c.), anche la trasformazione si ritiene che possa
realizzarsi quando la societ sia posta in liquidazione.
La trasformazione in s.p.a., in s.a.p.a. e in s.r.l. deve risultare da atto pubblico.
La trasformazione ha effetto dall'ultimo degli adempimenti pubblicitari indicati dalla
legge (iscrizione a carattere costitutivo), in coerenza con l'art. 2436 c.c. in tema di
modificazioni statutarie.
Art. 2500bis c.c., comunque applicabile ai soli casi di strasformazione omogenea: in
sostanza, la tutela degli interessi pregiudicati dalla vicenda trasformativa vengono
traslati dal piano reale dell'invalidit dell'atto al profilo obbligatorio della responsabilit
risarcitoria, proprio al fine di assicurare certezza e stabilit dei rapporti giuridici.
In tema di trasformazione eterogenea, in deroga alla detta norma, l'art. 2500novies c.c.
dispone che la stessa ha effetto dopo sessanta giorni decorsi dall'ultimo adempimento
pubblicitario, salvo il consenso o l'avvenuto rimborso dei creditori: si ha cos
contemperamento tra l'esigenza di trasformazione dell'ente e la necessit di assicurare
una tutela ai creditori. L'eventuale opposizione dei creditori disciplinata dall'art. 2445
c.c., con l'efficacia della trasformazione dunque sospensivamente condizionata al
decorso del termine a disposizione per l'opposizione.
Se il tribunale ritiene infondata l'opposizione, pu ordinare che la trasformazione abbia
responsabilit limitata.
La responsabilit illimitata si estende anche alle obbligazioni sorte precedentemente
alla trasformazione, tutelando cos le posizioni creditorie.
Gli amministratori devono predisporre una relazione che illustri le motivazioni e gli effetti
della trasformazione, e deve restare depositata presso la sede della societ per trenta
giorni che precedono l'assemblea convocata per deliberare la trasformazione ed i soci
possono prenderne visione ed ottenerne una copia. Questo rende pi consapevole
l'esercizio del diritto di recesso.
Assieme all'art. 2500quater c.c., la norma in esame tutela anche l'integrit della quota di
partecipazione nella societ trasformata, coerentemente con l'entit della stessa nella
precedente situazione societaria.
3. La trasformazione eterogenea
Trasformazione di societ di capitali in enti aventi natura o causa giuridica diversa, e
viceversa. In tal caso pu conseguire al sopraggiunto mutamento dello scopo
perseguito dai soci, non pi lucrativo, ma consortile o mutualistico o ideale, e viceversa;
oppure rispondere alla implicita volont dei soci di cessare l'esercizio dell'attivit
sociale. Protagoniste di questa vicenda trasformativa possono essere le sole societ di
capitali.
Tuttavia, societ di persone o societ di capitali con scopo consortile possono
trasformarsi in societ cooperative con identico scopo, sia la trasformazione inversa,
per via dell'affinit riconosciuta tra scopo consortile e scopo mutualistico.
3.1. La trasformazione da societ di capitali (art. 2500septies c.c.)
Si ritiene che il voto utile alla delibera di trasformazione operi per teste.
3.2. La trasformazione in societ di capitali (art. 2500octies c.c.)
Solo per associazioni riconosciute, e vietata per quelle che comunque abbiano ricevuto
contributi pubblici o liberalit oppure abbiano raccolto oblazioni per pubblica
sottoscrizione. cfr. art. 2545decies c.c..
Il patrimonio dell'ente da trasformare deve essere oggetto di stima, ed il capitale sociale
risultante dalla trasformazione diviso in parti uguali tra i consociati, salvo diverso
accordo tra gli stessi; per le fondazioni rileva in questo senso l'atto di fondazione.
Resta invece vietata la trasformazione di una societ cooperativa a mutualit prevalente
in societ lucrativa, anche se deliberata all'unanimit.
3.3. La trasformazione di societ cooperativa diversa da quelle a mutualit
prevalente
Sono infatti escluse queste ultime dalla possibilit di trasformarsi in societ per azioni;
infatti la trasformazione comporta che il valore effettivo del patrimonio alla data della
trasformazione (giudicato da un perito nominato dal tribunale) venga devoluto ai fondi
mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art. 2545undecies c.c.).
sezione seconda - la fusione
1. Nozione
Capitolo unico
I titoli di credito
sezione prima - i titoli di credito in generale
1. Concetto e funzionamento del titolo di credito
E' uno strumento volto a favorire la mobilizzazione dei diritti di credito, tutelando
l'acquirente contro i rischi insiti nel ricorso allo strumento generale della cessione (artt.
1262 ss. c.c.), in quanto si tratta di un trasferimento a titolo derivativo. cfr. artt. 1153,
1155, 1264 e 1265 c.c..
3. La legittimazione cartolare
Accanto alla titolarit del credito cartolare riconosciuta al proprietario del documento, la
legge riconosce una posizione soggettiva minore, chiamata legittimazione attiva: infatti il
possesso del documento attribuisce un diritto letterale ed autonomo, fa presumere la
propriet del documento e la titolarit del diritto e conferisce cio la qualit di soggetto
legittimato ad esercitare il diritto alla prestazione coerentemente con il regime di
circolazione del titolo di credito (legittimazione attiva) secondo il principio possesso di
buona fede vale titolo.
D'altro canto, il debitore cartolare ha il potere di liberarsi pagando a chi appare legittimo
a ricevere (legittimazione passiva), anche se non il titolare del diritto, a meno che non
sia in dolo o colpa grave, intendendo una situazione di negligenza rispetto a prove
identificative facilmente acquisibili. Ne deriva che la legittimazione non annulla la
rilevanza della titolarit, ma un mezzo per facilitare la circolazione dei diritti cartolari,
pur riversando sul debitore l'onere di provare la non spettanza del credito al portatore
del titolo.
Distinguamo inoltre i titoli nei quali il diritto a pretendere la prestazione riconosciuto a
chiunque abbia la materiale disponibilit del titolo (legittimazione reale) da quelli nei
quali questo diritto attribuito ad un soggetto individuato dalle risultanze del documento
(legittimazione nominale), il che comporta il dovere di verificare l'identit, salvo il
principio liberatorio del debitore in buona fede (art. 1189 c.c.).
La possibilit di pretendere la prestazione in base al solo possesso documentale, senza
dover provare la titolarit del credito, non esclusiva dei titoli di credito (art. 2002 c.c.):
si tratta dei documenti di legittimazione, che servono ad identificare l'avente diritto alla
prestazione. Si tratta infatti di titoli emessi in connessione a contrattazioni con carattere
di massa (pubblici spettacoli, trasporti,...) in cui il lasso di tempo tra l'acquisita titolarit
del diritto alla prestazione e l'adempimento del debitore ridotto e immune da
incertezza. E' assente la funzione circolatoria, e si differenziano dai titoli di credito per
l'assenza dell'incorporazione, dal momento che il diritto alla prestazione trova la sua
fonte nel contratto originario, laddove il documento ha la sola funzione di identificazione
della parte contraente;
si hanno inoltre i contratti impropri, che presentano funzione circolatoria, ma solo al fine
di esonerare dalla notifica al debitore e dalla prova della cessione, in quanto vale il
possesso, ma sempre come espressione di un diritto acquisito a titolo derivativo quale
cessionario, quindi esposto alle eccezioni opponibili al cedente.
4. L'esercizio del diritto cartolare: a) le eccezioni reali (art. 1993 c.c.)
Sono opponibili a qualsiasi portatore del titolo.
L'eccezione di forma: si riferisce alla limitazione posta ad alcuni titoli, che devono
4.1. L'esercizio del diritto cartolare: b) le eccezioni personali (art. 1993 c.c.)
Si intendono eccezioni personali quelle opponibili solo ad un determinato portatore, da
parte del debitore. Possono essere fondate o meno su un precedente rapporto
personale con il debitore, con le seconde che si riducono al difetto di titolarit. Sempre
riferibili ad un singolo portatore.
Questo difetto pu originare:
dall'essere il portatore entrato in possesso del titolo in mancanza di un contratto
di rilascio o di trasmissione, nullo o annullato;
dal difetto di propriet del precedente possessore, salva la buona fede del
portatore attuale acquirente;
dall'avere il portatore trasferito ad altri la propriet del titolo, pur conservandone il
possesso.
Per quanto riguarda quelle fondate su un precedente rapporto con il debitore, occorre
considerare che al debitore cartolare consentito di richiamarsi a tutti quei rapporti
intercorsi con un determinato portatore che, per il loro contenuto, possono incidere
negativamente sulla pretesa cartolare o costituiscono la giustificazione dell'obbligo
cartolare assunto con la sottoscrizione del documento.
Se un terzo acquirente del titolo cartolare agisce intenzionalmente a danno del debitore
(dolo) al momento dell'acquisto del titolo dal portatore, tali eccezioni risultano opponibili
non solo al portatore (con il quale il debitore ha intrattenuto il rapporto fondamentale)
determina il problema di regolarne la sorte nel caso in cui tale possesso sia venuto
meno per fatti estranei alla volont del portatore.
Confliggono evidentemente l'interesse del portatore a non vedere pregiudicato il suo
diritto all'esecuzione della prestazione e quello del terzo di buona fede, cui il titolo
sottratto o smarrito sia pervenuto attraverso un regolare trasferimento, a mantenere
fermo l'acquisto, oltre all'interesse del debitore a non vedersi esposto al rischio di un
doppio pagamento.
Il contemperamento stato trovato dal legislatore, che distingue i due casi di titoli al
portatore e di titoli all'ordine e nominativi.
10.1. Smarrimento, sotrazione e distruzione dei titoli al portaore (art. 2007 c.c.)
L'articolo fa riferimento al caso di titolo individuale, in cui occorre necessariamente
riprodurre su un documento l'impegno cartolare, e al caso del titolo di massa, in cui
sufficiente la consegna di un qualsiasi esemplare fungibile. Laddove il titolo (presunto)
distrutto risulti invece in circolazione prevarr il diritto acquistato sullo stesso da
eventuale terzo acquirente in buona fede, salvo l'effetto liberatorio del debitore del
pagamento fatto al portatore del titolo duplicato o equivalente. Se non viene provata la
distruzione, diviene applicabile l'art. 2006 c.c. in tema di smarrimento o sottrazione. Non
ammessa la ricostruzione cartolare, ma decorso il tempo utile per le pretese di un
eventuale terzo acquirente in buona fede, se l'ex portatore dimostra di essere titolare
del credito, pu ottenere la prestazione. Tale pagamento liberatorio, salvi i casi di dolo
o colpa grave (conoscenza del vizio del possesso del presentatore, art. 1992 c.c.) del
debitore; inolte l'ex possessore pu ripetere dal terzo di mala fede quanto
indebitamente riscosso.
10.2. Smarrimento, sottrazione distruzione dei titoli all'ordine e nominativi
Procedura di ammortamento (artt. 2016 e 2027), la quale risolve i problemi di una
perdita di tale tipologia di titoli: mira a reintegrare la legittimazione cartolare tutelando
anche le aspettative di un terzo acquirente di buona fede. Vengono contemplate le tre
fattispecie senza distinzione tra smarrimento comprovato e non. La procedura di
ammortamento, che presuppone la potenziale presenza del titolo in circolazione nelle
mani di un detentore ignoto, si articola in due fasi: la prima, essenziale, volta a togliere
valore al titolo in circolazione mediante provvedimento giudiziale, permettendo cos al
possessore di poter ricevere la prestazione; la seconda, eventuale, che vede
l'applicazione di quanto predisposto nella prima fase.
La prima fase si apre con la denuncia al debitore (ma cfr. art. 2016 ult. comma c.c.) e
con il ricorso all'autorit giudiziaria, la quale si assicura di poter identificare
precisamente il titolo sulla base delle informazioni fornite dal possessore, procedendo
poi, eventualmente all'emanazione di un decreto di ammortamento, con il quale il titolo
perde il proprio diritto incorporato. Il terzo detentore pu, dopo la pubblicazione del
decreto, opporsi entro trenta giorni ad esso; altrimenti sar escluso il carattere
liberatorio della prestazione nei suoi confronti e n beneficier il ricorrente.
La seconda fase si apre con l'opposizione del terzo detentore deve spiegare
convenendo in tribunale il ricorrente e depositando preventivamente il titolo in
Capitolo unico
LE PROCEDURE CONCORSUALI
sezione prima - lineamenti delle procedure concorsuali
1. Le procedure concorsuali. Generalit
L'espressione "procedure concorsuali" comprende una serie di procedure nelle quali,
con la presenza di un'autorit pubblica, viene regolato il rapporto tra un determinato
del ricavato; nel fallimento infatti impossibile e non conveniente vendere il complesso
aziendale o suoi rami in blocco, salva in ogni caso la rilevanza di interessi collegati
all'impresa (posti di lavoro, cessazione di un servizio essenziale in una certa area
territoriale, etc.).
Anche il concordato preventivo rientra in tale categoria: in esso possibile che il
debitore ristrutturi i propri debiti e soddisfi i creditori, anche in percentuale del dovuto
(adempimento a stralcio, cio parziale ma liberatorio; pu avvenire anche nel fallimento,
sotto certe condizioni), utilizzando una vasta gamma di operazioni. Manca una fase di
esecuzione forzata, ma c' la finalit satisfattiva.
Gli accordi di ristrutturazione del debito hanno finalit simili a quelle del concordato
preventivo: infatti tali accordi, stipulati in sede stragiudiziale, mirano a soddisfare il
rapporto debitorio con ogni mezzo legittimo (anche con pagamenti in forma non
monetaria).
Alla liquidazione coatta amministrativa stata attribuita una funzione estintiva: cio la
finalit di estinguere l'impresa. La legislazione speciale codifica i casi e attribuisce ad
essi una determinata disciplina applicabile, integrata poi con norme della discplina
fallimentare, con alcune inderogabili.
Tale procedura si applica ad imprese che, nel corso della loro esistenza, sono
sottoposte a vigilanza da parte dell'autorit amministrativa, e per le quali questa rilevi
irregolarit gestorie o patrimoniali tali da giustificarne l'estinzione, per il bene del
sistema economico in cui operano. L'idea di ricollocare l'azienda e di regolare i
rapporti pendenti, possibilmente trasferendoli ad un'altra impresa operante nello stesso
settore. In ogni caso l'estinzione comporta che dovranno regolarsi ed eventualmente
liquidarsi i rapporti che all'impresa fanno capo, con il conseguente riparto fra i creditori.
L'ottica dunque diversa dalla finalit liquidatoria, pur non mancando una fase di
liquidazione dei beni: l'interesse predominante rispetto a quello del soddisfacimento dei
creditori infatti quello dell'estinzione dell'impresa con il minor pregiudizio possibile per
il sistema in cui opera.
E' tuttavia possibile che, al termine di tale procedura, si abbia un concordato che
restituisce all'imprenditore i suoi beni e dunque la possibilit di riprendere l'esercizio
dell'attivit d'impresa.
Vi sono infine procedure con finalit riorganizzatoria e recuperatoria.
Procedura concorsuale amministrativa per le grandi imprese in crisi: questa procedura,
tenendo conto anche dei rapporti tra imprese appartenenti ad un unico gruppo,
consentiva la possibilit di continuare l'esercizio dell'impresa e di predisporre un piano
di risanamento, il quale permettesse di ripristinare l'efficienza dei complessi produttivi. Il
recupero la finalit necessaria, tenendo conto degli interessi dei creditori e sempre
che sia fattibile.
Viene utilizzato lo schema della liquidazione coatta amministrativa, dal momento che
queste due procedure hanno in comune la finalit di funzionalizzazione a specifiche
finalit di contenuto economico (il riutilizzo produttivo del complesso aziendale).
specifiche contrattuali (ipoteca, pegno, privilegi,.. nei limiti dei beni sui quali le garanzie
insistono) e sulla data di sottoscrizione del titolo di debito.
Il gran numero di privilegi che tutelano i creditori sulla base di specifiche clausole
rendono i creditori che ne sono sprovvisti particolarmente esposti a possibilit di
mancato soddisfacimento del loro interesse. Tuttavia, l'esistenza di garanzie date da
terzi produce una fattuale disparit di trattamento tra i creditori, svilendo il principio della
par condicio.
Il principio di concorsualit comporta che i creditori vengano soddisfatti sulla base di un
piano di riparto, cio in concorso tra loro, in conformit con i criteri detti. Non sono
esperibili anche esecuzioni forzate autonome, prevalendo i principi propri delle
procedure concorsuali.
3.2. La officiosit
cfr. libro
3.3. La stabilit
Il soddisfacimento del creditore avvenuto attraverso la procedura concorsuale ha un
dato di stabilit, che manca in assenza della stessa. Infatti alcuni rapporti giuridici
possono permanere in uno stato di provvisoriet per un certo lasso di tempo, nel senso
che, una volta dichiarato lo stato di insolvenza, potranno essere aggrediti con l'azione
revocatoria, che rende inopponibili ai creditori gli atti compiuti dal debitore (come
garanzie, contratti, pagamenti ricevuti,...) dal momento in cui tale azione stata posta in
essere. Quando invece si nell'ambito di una procedura concorsuale, i rapporti da essa
regolati acquistano un carattere di definitivit e non di aggredibilit.
Un'intesa tra creditori e debitori su base privatistica comunque esposta alla
revocatoria qualora degli inconvenienti (anche estranei alla colpa del debitore) ne
pregiudichino la capacit di adempimento da parte del debitore: dunque il connotato
rilevante quello dell'instabilit.
Accordi collusivi tra creditori e debitore sono possibili, e la disciplina fallimentare tenta di
evitarne la formazione con norme di carattere preventivo.
FINE