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DIONISO A SIMPOSIO

Il simposio

Alessandro Colleoni, Lisa Paolati, Francesco Sangalli

Origini e usanze
Limportanza del simposio nel mondo greco ampiamente attestata dalle pitture vascolari, che
rappresentano i pi durevoli resti di quelle feste.
Quanto allepoca, si ritiene che Omero non conoscesse il simposio, sebbene un ruolo importante
fosse rivestito dal convito. Omero non riporta la netta separazione temporale tra il mangiare e il
bere che lo caratterizza, n i convitati sono distesi sul triclino ma seduti sulle sedie, non nemmeno
esclusa la presenza delle donne. Al banchetto del re dei Feaci ad esempio presente con gli altri
nella sala la regina Areta.
Molto differente lo svolgimento del simposio durante i secoli storici. Il banchetto distinto in due
tempi: il pasto vero e proprio e la libagione, il simposio; tale divisione sembra stilizzata e legata a
scopi religiosi. Le occasioni sono molteplici: solitamente esso fa seguito a un pranzo, magari in
occasione di una festa familiare come un matrimonio, oppure di una festa religiosa, come un pranzo
sacrificale. Di solito tuttavia ci si riunisce semplicemente per il piacere della festa. Gli inviti si
presentano il giorno stesso, ovvero si conducono gli ospiti al convito semplicemente incontrandoli;
nel Simposio platonico Socrate invitato al banchetto da Aristodemo che si appresta a raggiungere
labitazione di Agatone. Spesso ognuno porta la propria quota e si uniscono le spese: si ha allora il
banchetto , con il contributo dei partecipanti; affine il banchetto comunitario,
. Il numero dei partecipanti al banchetto variabile, tuttavia vige nel mondo greco la regola
varroniana, secondo cui il numero dei convitati deve essere compreso tra quelle delle Muse (9) e
quello delle Grazie (3), in Platone sono sette.
Il simposio inizia al calar del sole e si protrae fino a notte inoltrata e al mattino seguente; nella sala
del banchetto ciascun ospite disposto in modo tale da essere a portata di voce e di sguardo rispetto
a tutti i compagni, in condizione di assoluta eguaglianza. Del servizio si occupano giovani schiavi
incaricati di miscelare il vino con acqua, la cui grazia giovanile un ornamento essenziale della
festa. Rilevante e necessario anche il ruolo delle etere, presenti per accompagnare il canto col
suono del flauto e della lira; la loro presenza testimoniata, oltre che dalla pittura vascolare, da
Platone. Nel Simposio infatti le suonatrici di sono allontanate, a seguito del peana, al fine di
elevare il livello culturale del simposio: Propongo di mandar via la flautista che entrata poco fa,
potr suonare da sola, o, se vuole, per le donne di casa, e quanto a noi, di stare insieme oggi,
intrattenendoci con dei discorsi. Dunque le etere partecipano a tutti i divertimenti, ai giochi e al
bere; diversamente la donna di condizione borghese manca nel simposio greco fino al periodo
ellenistico. In questo senso il simposio arcaico uno spazio chiuso ed essenzialmente maschile,
circoscritto ad un numero limitato di convitati e che solo nel IV secolo diverr pi sontuoso e
borghese.
Presto, presto, prendi cesta e boccale, e vieni a pranzo, ch il prete di Dioniso t'invita. Su! Per tua colpa gli
altri il collo allungano! Il rimanente tutto preparato, letti, cuscini, tavole, tappeti, corone, mirra, dolci,
cortigiane pan buffetti, focacce, pan di ssamo, pasta frolla, stiacciate, danzatrici belle, il meglio boccone
del banchetto. Ma vedi di sbrigarti!
(Aristofane, Acarnesi, 1085-1094, trad. Ettore Romagnoli)

Svolgimento del simposio


Dopo il pasto vengono portate via le mense con gli avanzi e pulito il pavimento. Ognuno poi prende
da una coppa, passata in cerchio, un sorso di vino non annacquato per un brindisi in onore del buon
genio, accompagnato dalle parole e presentando unofferta. Chi non vuol bere
abbandona la sala. Viene portata poi acqua per lavarsi le mani, profumi e corone per ungersi ed
ornarsi la testa. Le corone sono di fiori e mirto, oppure di edera, pianta sacra a Dioniso; spesso il
capo ornato anche di una tenia, fascia colorata di lana rossa e le coppe sono inghirlandate di edera.
Si distribuisce quindi vino miscelato con acqua nei crateri e da ognuno dei tre primi crateri si fa di
nuovo unofferta: lofferta del primo cratere dedicata agli dei celesti e Zeus Olimpio, la seconda
per gli spiriti degli eroi, la terza per Zeus Salvatore. In occasione di queste offerte tutti cantano
accompagnati dallil peana, un inno antichissimo dal ritmo sostenuto. Da qui deriva il nome
del 'metro spondaico' (significa 'libagione').
Il primo sorso un "brindisi", si fa poi girare la coppa verso destra, la parte indicante la fortuna, si
beve e si passa la coppa con le parole: Prendi anche tu la bevanda di Igea. Egli beve , alla
salute degli altri. Poi segue un brindisi speciale:
, pronunciando
il nome del prescelto.
Fondamentale il ruolo del simposiarca: si elegge o si sorteggia un re del simposio che regola le
modalit del bere della comunit. La presenza del re del banchetto elemento comune alle
associazioni solite a consumare pasti in comune. Nel mondo latino tale ruolo verr ricoperto dal rex
bibendi durante la celebrazione dei Saturnalia. Il simposiarca stabilisce ogni aspetto del simposio:
quale debba essere la miscela da bere, la grandezza delle coppe, ecc.
Bere vino puro ritenuta usanza barbara ed, anzi, lacqua deve essere in misura prevalente: di solito
una porzione di tre a uno; una miscela debole, sebbene i pareri e le usanze a tal proposito siano
variabili; tuttavia parti eguali di acqua e vino sono gi considerate ubriacanti ed noto che misura e
moderazione siano virt fondamentali per l'universo morale greco. A seconda del tipo di vino o dei
personali desideri, lacqua viene riscaldata o raffreddata con la neve. Nel Simposio Platone scrive:
Quando ebbero udito ci, furono tutti daccordo di non destinare allubriachezza quella riunione,
e di bere, piuttosto, secondo il piacere. Per evitare i cattivi effetti del vino mentre si beve si
mangiano le "seconde mense", : pasticcini, frutta, noci, mandorle, miele e
formaggi.
Rilevanti a tal proposito le parole di Esiodo:
... nella pesante stagione destate, allora le capre sono pi grasse, il vino migliore, le donne pi ardenti,
ma sono fiacchi gli uomini perch Sirio brucia la testa e i ginocchi e secco il corpo a causa della calura.
bello allora avere una roccia che faccia ombra e vino di Biblo ... e bere il nero vino sedendo allombra,
saziato del tuo festino, godendo la brezza veloce di Zefiro; e versare tre parti dacqua di una fonte pura e
perenne, e una parte di vino
(Esiodo, Le opere e i giorni, 589-96)

Il significato sacrale
Il simposio presenta per anche un significato ben pi intenso e profondo: la libagione votiva, il
canto del peana e il ditirambo ci dicono come il simposio sia anche e soprattutto un evento sacrale.
Degno di nota da questo punto di vista il ditirambo, , che nel mondo greco un
canto corale in onore del dio Dioniso.

Il termine compare per la prima volta in Archiloco, che lo indica quale canto a Dioniso, intonato
sotto linspirazione del vino:
Di Dioniso mio signore so intonare il bel canto,
recito il ditirambo, folgorato nel cuore dal vino.
(Archiloco, fr. 77 Diehl, trad. Luca e Raffaele Corvi)

Sebbene ancor oggi largomento sia complesso e alquanto dibattuto, possibile definire ditirambo
una composizione corale in cui poesia, musica e danza si fondono insieme; tuttavia ditirambo
anche danza collettiva, eseguita in circolo da cinquanta danzatori incoronati da ghirlande,
drammatica e rapida; solista lo stesso Dioniso, mentre i coreuti lo accompagnano con
lamentazioni e canti di giubilo. Il ditirambo segue anche il corteo, , di cittadini mascherati
che, in stato d'ebbrezza, inneggiano a Dioniso suonando flauti e tamburi; il ditirambo infatti
costituito da cori accompagnati dal suono di questi strumenti, un suono cupo, poco melodico ma di
profonda potenza, furente, in perfetta armonia dunque con il corteo di uomini mascherati. Alcune
feste a Dioniso infatti presuppongono il totale mascheramento, con pelli di animali e grandi falli.
Limportanza sacrale del simposio deducibile anche dal Simposio: ..Dopo ci Socrate si distese
e cen, e cos pure glia latri; fecero quindi le libagioni, e intonato il canto in onore del dio e
celebrati gli altri riti tradizionali, si volsero al bere.
Lofferta in origine un rito necessario a eliminare la valenza negativa insita nel vino: bere significa
penetrare nel demoniaco; lofferta, rivolta agli dei, presenta un profondo significato sacrale, ma
anche magico. Sacrale inoltre labluzione delle mani, che deve determinare la purezza rituale, e la
corona, con funzione iniziatica, per essere accolti in una nuova comunit; anche liniziato ai sacri
misteri riceve una corone con cui cingersi il capo, come il partecipante alla festa sacrificale
destinato a entrare in comunione con il dio, la sposa e il morto.
La sacralit del simposio poi rappresentata dallo stesso vino, che non semplicemente un dono
degli di, ma divinit esso stesso, e nel linguaggio simposiale il vino chiamato Bacco, Bromio,
Dioniso; di qui anche lusanza di incoronare le coppe e le anfore da cui si riceve il dio.
Il carattere rituale attesta inoltre che i convitati sono un , una comunit in cui immancabile
il legame sacrale con il divino: chi (chi versa insieme la libagione) si trova in un
rapporto di comunione da cui i malvagi sono esclusi.
Giochi e intrattenimenti
I passatempi sono vari, dai dadi ai giochi da tavolo, ma lo svago pi in voga e tipico del simposio
il cottabo. Consiste nel colpire un bersaglio, lanciando abilmente con la mano destra il fondo di una
coppa con manico; necessarie soprattutto eleganza e scioltezza nel tocco. Il bersaglio solitamente
un piatto sistemato in equilibrio orizzontale in cima ad unasta alta; il vino deve far cadere il disco
che, cadendo, produce un enorme fracasso. Chi colpisce il bersaglio riceve un premio: dolci,
leccornie, uova o baci. Il gioco ha una valenza erotica molto forte: in effetti il giocatore, quando si
appresta al lancio, dichiara ad alta voce per chi gioca, dedicando il lancio allamato.
Particolarmente apprezzato inoltre lo , fondato nel mantenersi in equilibrio su un
otre pieno. Lesercizio mette in gioco una dimensione fondamentale del dio celebrato: Dioniso
infatti colui che raddrizza (), garante dellequilibrio.
Non mancano poi certamente buffoni, giocolieri ed etere che rallegrano il convito con musica,
danza e prestazioni erotiche; vi sono infine gli intrattenimenti di carattere pi intellettuale, ad
esempio gli indovinelli, che dallepoca dei sofisti acquisiscono una valenza filosofica, o sottili
scherzi tra vicini, come lo , paragone buffo.

Simposio ritrovo di eterie


Indubbio nella storia politica ateniese fu linflusso in ambito pubblico delle eterie, come dimostrato
dalle rivoluzioni oligarchiche del 411 e 404 a.C. a seguito delle quali esse riuscirono a conquistare il
potere in citt. La stretta unione tra banchetto e attivit politica il risultato di unepoca in cui
lintera popolazione maschile, suddivisa in classi det, formava confraternite che avevano il loro
centro nelle stanze degli uomini ed esercitavano funzioni amministrative e giudiziarie; in esse il
bere era un mezzo fondamentale per consolidare lo spirito di gruppo dei suoi membri.
Conseguentemente comprendiamo come i piani politici fossero ideati durante il simposio e, al
tempo stesso, che i carmi intonati durante il banchetto avessero un evidente sfondo politico;
emblematico allora il poeta Alceo: egli canta le lotte, le vittorie, le delusioni, il destino degli
, lesilio, lamore, ma soprattutto il banchetto e il vino, elementi che conferiscono senso ed
esistenza al legame fraterno.
Conclusione del simposio
Il simposio si protrae fino a notte inoltrata e al mattino; facilmente una discussione e lallegria
scatenano un litigio, un alterco; pochissimi infatti sono coloro che, come Socrate nel Simposio
platonico, mantengono calma e contegno, travolti dagli effetti del vino oppure sopraffatti dal sonno.
Al banchetto spesso fa seguito il : la compagnia, con gran baldoria, spesso accompagnata da
musichi, si allontana per le strade. Si irrompe, come Alcibiade nel Simposio, in un banchetto in
svolgimento o ci si reca dinanzi la dimora dellamata cantandole una serenata.

Il vino
Premessa
Ci sono [] elementi sufficienti per sostenere l'ipotesi di una processualit nell'instaurarsi di
queste regole [relative all'uso del vino e alla sua collocazione nei momenti della vita sociale] nel
mondo greco a iniziare probabilmente dai micenei del tardo elladico fino al loro definitivo
attestarsi in et classica. Poich [] non possibile cogliere discontinuit in questo processo, ma
solo un progressivo estendersi [], si pu esaminare queste regole al di fuori di considerazioni
cronologiche. Da questo punto di vista potremmo affermare che le Leggi di Platone sono coeve ai
poemi omerici e alla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. (Nencini)
Funzione del vino nel mondo greco
Il vino era un elemento fondamentale dell'alimentazione greca, tanto che perfino la tipica colazione
era a base di un poco di pane intinto nel vino. Tuttavia il suo luogo deputato era comunque il
simposio, che seguiva il , cio il vero e proprio pranzo, in cui il bere era ridotto al minimo
indispensabile, come, al contrario, nel simposio lo era il cibo.
In Grecia infatti la separazione fra bere e mangiare era netta e definita grazie soprattutto al frutto
della vite, che, se nei poemi omerici mantiene almeno parzialmente un ruolo di alimento, presto
diviene tuttavia un elemento autonomo. Se l'unica bevanda alcolica nota agli indoeuropei, in base a
ricostruzioni di tipo fondamentalmente lessicale, era un derivato del miele fermentato, di cui
esistono testimonianze anche in Grecia, tuttavia le civilt successive si divisero due diverse bevande
alcoliche: il vino e la birra, entrambe assenti nel linguaggio comune indoeuropeo. Per il primo, in
particolare, linguistica e archeologia concordano nell'ipotizzare per la Grecia un'importazione
dall'est (Asia minore o Caucaso) per quanto riguarda la tecnica ben strutturata della viticoltura
(come descritta ad esempio da Esiodo negli Erga), mentre la coltura della vite selvatica lasciata
crescere su alberi di supporto sarebbe attestata a Creta e nella Grecia continentale fin dal Neolitico.
Il fatto che il mondo greco conosca il vino e non la birra ha un'importanza da non sottovalutare in
questo senso: se la birra, nascendo da un cereale, diviene cibo essa stessa, la vite se ne separa
nettamente (si consideri che il consumo di frutta fresca era piuttosto raro sulle tavole dei greci),
permettendo anche di apprezzare in maniera autonoma sia il valore della bevanda in s sia il piacere

organolettico e psicofarmacologico [] del tutto autonomo dalle pratiche alimentari (Nencini) che
ne deriva.
Questa separazione chiaramente espressa nelle Baccanti (vv. 274-285, trad. Umberto Albini):
Due sono [] le cose essenziali al mondo: la dea Demetra, ossia la Terra (chiamala cos, se vuoi): lei a
nutrire la gente con i cereali, con il cibo asciutto. Poi venuto il figlio di Semele; e ha trovato un
corrispettivo, l'umido succo della vite, e lo ha introdotto tra i mortali.

Separati dunque, ma entrambi afferenti alla stessa sfera, tanto che Callimaco pu affermare:
Dioniso si un all'ira di Demetra:
ci che Dioniso anche Demetra offende.
(Callimaco, Inni VI 70-71)

Andr infine aggiunta la terza dimensione fondamentale, ovvero quella del vino come strumento di
socialit, che si concretizza evidentemente nell'occasione del simposio e in esso diviene pregnante.
L'introduzione del vino e della viticoltura
Fin qui la coltivazione dei campi e gli astri celesti: ora decanter te, o Bacco, e non senza di te (anche) le
piante selvatiche e i polloni dellolivo lento a crescere. Vieni qua, o padre Leno: qua c il pieno di tutti i
tuoi doni; la vigna grazie a te fruttuosa rigoglia ricca di pampini in autunno e il vendemmiato schiumeggia
nei tini ricolmi. Vieni qua, o padre Leno: deposti i coturni, tingi assieme con me gli stinchi nudi nel nuovo
mosto.
(Virgilio, Georgiche, II, 2-8, trad. Cono Magieri)
Il pi antico Dionysos era un indiano, e poich la sua terra, grazie al clima eccellente, produceva
spontaneamente e in abbondanza vino, egli fu il primo a spremere i grappoli duva e a inventare luso del
vino come prodotto naturale, come anche a curare i fichi e altri prodotti che crescono sugli alberi... e la
scoperta della vite dicono sia stata fatta da lui vicino a Nysa, e che avendo pi tardi escogitato un
trattamento di questo frutto, fu il primo a bere vino e insegn allumanit la coltivazione della vite e luso
del vino. Uno dei pi importanti ad essere onorati da lui fu Hermes.
Dionysos allora presi i prigionieri singolarmente e fattili libare con vino, chiese loro di giurare che si
sarebbero uniti al suo esercito senza tradimenti e avrebbero combattuto valorosamente fino alla morte
(Diodoro, Biblioteca, III 62.3; III 71.1)

Il mondo greco sente il bisogno di giustificare l'acquisizione della viticoltura in quanto le


acquisizioni fondamentali per la vita della comunit in una visione arcaica non possono essere
accreditate al solo ingegno umano, ma devono avere un qualche legame con un intervento di una
potenza esterna; inoltre la necessit di inquadrare nella societ un'irrazionalit, come quella
naturalmente legata al vino, richiedeva un ulteriore contatto con il divino.
La vite sarebbe stata introdotta, secondo il mito raccontato da Ateneo (II, 35B), dal cacciatore
Oresteo, la cui cagna avrebbe partorito un pezzo di legno che questi subito avrebbe nascosto
sotterrandolo e da cui sarebbe nata la vite. Il perch della scelta di un cane da ricercarsi stando ad
Ecateo nel Cane di Orione, la costellazione che si presenta in Grecia nel periodo pi caldo dell'anno
(luglio-settembre), nel quale si svolgeva la vendemmia. Va sottolineata l'assenza di Dioniso in
questo mito, spiegabile con l'antecedenza della scoperta del vino rispetto alla sua coltivazione,
com' dimostrato da dati archeobotanici che testimoniano la coltura della vite ben prima della
cultura greca arcaica e classica. Peraltro si noti come il personaggio mitico sia Oresteo, figlio di
Deucalione, primo uomo dopo il diluvio e dunque ai mitici inizi della civilt.
Introdotta dunque la vite, necessario che nasca la viticoltura e per questo serve l'intervento diretto
di Dioniso, originariamente legato a culti di piante selvatiche (anche psicoattive) quali l'ariete,
l'edera e forse l'amanita, oltre che a culti di animali selvatici. Da qui nasce il collegamento con il
vino e l'addomesticamento della vite, che si pu inserire nel contesto della citt, costituendo un
elemento fondante per il benessere comune. L'edera rimarr come corrispettivo invernale della vite,
in modo da eternare la presenza del dio.
Come ogni dono divino per nella concezione greca, esso non pu essere davvero gratuito: c' la
necessit da parte dell'uomo di un contraccambio, come nel caso del sacrificio animale in cambio

della carne, dovuto all'inganno di Prometeo cantato da Esiodo. L'uomo deve coltivare la vite ed
ecco dunque un primo pegno da pagare per i doni di Dioniso, cos come per quelli di Demetra.
Le regole del bere come risposta all'ambiguit del vino-
E il vino, a quanto pare, fu dato, secondo la comune credenza
agli uomini per vendetta, per farci impazzire ( ).
Noi ora diciamo invece che ci venne dato per la ragione opposta,
perch l'anima acquistasse pudore, e il corpo la salute e la forza
(Platone, Leggi II 672d, trad. Enrico Pegone)
[] L'uomo sazio di cibo e vino
lotta l'intero giorno coi guerrieri nemici,
intrepido in petto il suo cuore, le membra
non gli si stancano prima che tutti escano dalla battaglia
(Iliade, XIX, 167-170, trad. Rosa C. Onesti)
No, non offrirmi il dolce vino, nobile madre,
ch io non mi privi il corpo di forza, e il vigore io non dimentichi.
(Iliade, VI, 263-265, trad. Rosa C. Onesti)

Per il greco dell'et arcaica e classica l'ubriachezza un limite che non deve essere raggiunto il
comportamento del buon cittadino implica anche il rispetto di regole che permettono di tener fede a
questo proposito. Lesistenza di regole ben definite sul consumo del vino va ad unirsi alla capacit
tecnica di produrlo, a formare un sapere 1 che, com tipico della cultura greca, unisce pensiero e
azione.
L'origine di questa concezione, diversa da civilt come quelle del Vicino Oriente antico in cui
l'ubriacatura era segno di prestigio sociale (o di uso esclusivamente sacrale), in netto contrasto con
la democrazia del vino tipicamente greca, va ricercata nella consapevolezza della natura ambigua
del vino stesso, presente fin dalla sua introduzione, forzata in quanto, sebbene non da ricambiare
necessariamente, risulta inevitabile. Oltre al noto esempio di Penteo, esemplare il caso di Icario,
cui, secondo una versione del mito, Dioniso avrebbe donato la vite, insegnandogli come coltivarla e
trarne il vino. Ma questi, condivise le proprie conoscenze con i pastori dell'Attica, permette loro di
apprezzarlo a tal punto da ubriacarsi ed ucciderlo, per poi seppellirlo l'indomani, una volta appreso
il valore distruttivo e allo stesso tempo di insito nel bere (Apollodoro, I miti greci, III, 14,
7).
L'ubriacatura non comunque solo un aspetto negativo, perch va sottolineato come il vino renda il
devoto di Bacco tutt'uno con la verit: esso acquisisce un valore religioso e chi lo beve diviene
(condizione assai ricercata nella religiosit dionisiaca; si pensi all').
La consapevolezza della forza di felicit presente nel vino si trova invece nel mito di Stafilo
(grappolo d'uva), un pastore che, accortosi che un capro si allontanava di frequente per cibarsi del
frutto della vite e ne tornava sazio e con uno strano comportamento, port i frutti al padrone Oineo,
che pens di spremerli e mescolarli all'acqua inventando il vino (Virgilio, Georgiche I,8).
La doppiezza, invece, si vede nel ruolo di Dioniso come dio civilizzatore al pari di Demetra, poich
inventore del vino (Baccanti, 275). Infatti il grano [Demetra] interamente dalla parte della
cultura, il vino ambiguo. Nasconde una forza di estrema selvatichezza (Vernant): doppio in
quanto gioia della festa (380-383), ma anche terribile, come Dioniso, che sia l'esperienza di
purezza e gioia della parodos (o, per il vino, del primo stasimo) sia la potenza distruttiva della
conclusione della tragedia (1360). Pienezza dell'estasi, dell'entusiasmo, della possessione, felicit
del vino, piacere dell'amore, felicit del quotidiano: egli pu conferire tutto ci agli uomini che
1

Isler-Kernyi: un albero di vite, carico di fogliame e di grappoli, innanzitutto un dono, anzi un dono miracoloso,
della natura; mentre la fabbricazione del vino richiede tempo, sapere e sforzi fisici cio techne ed dunque
simbolo di cultura (in Nencini)

sanno accoglierlo, come pu portare sventure a chi ne nega il valore. Se consumato secondo le
norme, il vino conferisce alla cultura una dimensione supplementare e quasi soprannaturale: gi nel
banchetto, oblio dei mali (altro rimedio [] non c' per le loro pene, 283), droga che
fa svanire le pene, coronamento, splendore vivo e gioioso (380), temporanea eliminazione delle
differenze, fonti di dolore nella vita quotidiana:
[] Alla tavola comune
sia per i compagni e per il frutto di Dioniso
e le coppe d'Atene dolce pungolo,
allorch le affannose cure agli uomini escono
dal petto: in un mare di sconfinata ricchezza
tutti ugualmente viaggiamo verso un'ingannevole riva:
chi non ha mezzi ricco allora...
(Pindaro, Fr. 124A-b M, Per Trasibulo di Agrigento, vv. 2-8)

Attraverso di esso dunque si pu raggiungere (o , vv. 420 e 389), chiaramente


espressa nel primo stasimo delle Baccanti come amata da Dioniso mentre si rallegra nei
banchetti (418) e concede che abbiano il piacere del vino che allontana il dolore,senza
distinguere, a chi gode di prosperit e a chi ne privo (421-23). La stessa che anche
Pindaro celebra, in ambito politico, in un frammento, non come dato acquisito ma come obiettivo di
riferimento nellagire:
La comunit dei cittadini in pace ponendo
si cerchi della vigorosa tranquillit
la luce splendida,
discordia del cuore rabbiosa cacciando,
dispensatrice di miseria, odiosa nutrice di giovent
(Pindaro, Fr. 110.109 M, Per i Tebani, vv. 3-7)

Pindaro si concentra sul denigrare la discordia che va sventata, Euripide utilizza invece diversi
termini con significato rovesciato: esemplare il caso dell'aggettivo , legato
all'ambito dell'educazione, che, qui attribuito alla Discordia (v. 7), nelle Baccanti accompgna la
Pace (420), garantita dal dio a chi gli si affidato, difficile ricerca invece per la comunit cantata da
Pindaro.
Ma la natura del vino non si ferma affatto alla positivit: come Dioniso quando mostra la sua
pienezza terribile fino all'estremo ma infinitamente dolce (861), grazie ad esso si raggiunge
l'evasione dai limiti del quotidiano celebrata nella parodos, ma se vi si oppone o si contravviene una
norma si manifesta la sua potenza distruttrice.
La cultura romana recepir appieno questo complesso concetto, com' evidente dall'ode di Orazio
III, 21 Ad amphoram:
O mia coetanea (era console Manlio quando siamo nati), contieni forse voci lamentose? Sprazzi dallegria?
Oppure battibecchi e dissennati amori? Contieni, anfora bonaria, un quieto sonno?
Con qualunque etichetta tu conservi in te raccolto il Massico, meriti che un giorno singolare ti rimuova. E
allora scendi, visto che Corvino intenzionato ad ammannirci vini un po pi blandi.
Imbevuto com di dialoghi socratici, pure non simpunter sino a disdegnarti: dicono, del resto, che Catone
stesso (quello antico) amasse ravvivare la virt tuffandola nel vino.
Un dolce turbamento infondi in animi per solito gagliardi, tu che le inquietudini dei saggi e le loro pi
segrete riflessioni sai svelare tra i sollazzi di Lieo, tu che in spiriti angosciati ridesti la speranza e vigore
difensivo aggiungi al povero, tanto che avendoti bevuto non paventa pi le ire delle teste coronate e le armi
dei soldati. Libero e (qualora voglia, lieta, intervenire)
Venere e le Grazie aliene dal troncare il nodo che le unisce e inestinguibili lucerne ti prolungheranno fino a
che, Febo metter le stelle in fuga.
(Carmina, III, 21, trad. Marco Beck)

Il doppio dono di Dioniso


La domesticazione del vino necessaria proprio perch, inserendo Dioniso nel contesto della citt,
si pu controllarne l'aspetto negativo. L'errore dei pastori attici del mito di Icario quello di non
aver saputo regolare il loro rapporto con il vino, come invece deve avvenire secondo un'idea di

, concetto assai caro alla cultura greca. Il dono di Dioniso allora anche l'insieme delle
regole del bere sobrio, delle modalit che permettono di godere degli effetti piacevoli del vino,
evitandone quelli negativi per s e gli altri, come testimonia lo storico Filocoro:
Anfizione, re degli Ateniesi, apprese da Dioniso l'arte di mescere il vino con l'acqua e l'attu per
primo. Perci gli uomini, bevendo in questo modo rimasero eretti, mentre prima a causa del vino si
accasciavano. (FgrHist 328 F 5b, trad. Cherubina)
Dioniso quindi dona due volte il vino, prima nella sua natura selvaggia, poi nella sua forma
addomesticata. La stessa dualit peraltro si vede nel rituale dionisiaco delle baccanti: esistono due
diversi tipi di dionisismi, ma non si conosce pi il primo (che ancora manifestava caratteri di
primordiale violenza e sfrenatezza) nell'Atene del quinto secolo, ormai soppiantato da quello
istituzionalizzato (Dioniso rappresenta un ritorno istituzionalizzato allo stato selvaggio scrive
Fusillo riferendosi al culto della citt) e di cui le Baccanti rappresentano una sorta di vago ricordo.
Il tiaso un gruppo organizzato di fedeli che praticano la trance e ne fanno un comportamento
sociale ritualizzato e controllato la cui finalit ottenere in gruppo, in abito rituale ed in uno
scenario selvaggio reale o figurato, un cambiamento di stato, fare per un momento, nel quadro
stesso della citt, l'esperienza di diventare altro (si pensi al simposio). Dioniso infatti non
rappresenta il divino come costituente un campo di realt separato dal mondo: piuttosto un
semidio che un dio. Se la sua funzione fosse mistica prometterebbe di strappare il fedele
all'universo del divenire con lascesi, egli invece confonde le frontiere tra divino e umano, fa
comunicare ci che era isolato e porta cos un sovvertimento dell'ordine e un disorientamento
sconcertante, nella felice comunione di un'et dell'oro improvvisamente ritrovata.
Dioniso non vuole esser padrone di una setta, ma vuole partecipare a pieno titolo del rango della
dignit della comunit civica: la sua ambizione di vedere il suo culto ufficialmente riconosciuto e
unanimemente praticato (536, 1378, 1668). Esige il riconoscimento ufficiale da parte della citt di
una religione che in qualche modo sfugge alla citt e la supera. Vuole collocare al centro della vita
pubblica pratiche che comportano in maniera aperta o sotto forma allusiva degli aspetti di
eccentricit. La tragedia Baccanti mostra in questo senso i pericoli di un ripiegamento della citt
nelle sue stesse frontiere. L'unica soluzione che l'altro divenga una delle dimensioni della vita
collettiva e dell'esistenza quotidiana di ognuno. L'irruzione vittoriosa di Dioniso significa che
l'alterit si installa, con tutti gli onori, al centro del dispositivo sociale:
Questo dio dunque, chiunque egli sia, o signore, tu accoglilo in questa citt. In tutto egli potente, e anche
in questo, che come dicono ha donato ai mortali la vite che placa gli affanni. Se togli il vino non c' Afrodite,
e non resta alcun altro piacere agli uomini
(Baccanti, 769-774)

Le baccanti
Il culto di Dioniso non rientra, almeno in una prima fase storica e relativamente ad alcune realt
cittadine, nel normale panorama cultuale. Pur essendo una divinit olimpica, infatti, Dioniso risulta
essere una figura particolarmente fuori dal coro rispetto a divinit pi tradizionali quali Zeus, Atena,
Poseidone: la sua condizione di , ovvero di estraneo, ben sottolineata anche nelle Baccanti, si
concretizza anche nella relazione con il pantheon olimpico, rispetto al quale Dioniso si pone sempre
in maniera ambiguamente distante (particolare che poi giustificher letture 'dicotomiche' come
quella di Nietzsche).
La realt del rito bacchico si caratterizza anzitutto, almeno riferendosi alla ritualit non
normalizzata all'interno della comunit, per lo spazio aperto ed esterno. Questi due elementi
risultano fondamentali perch portatori di numerosi significati e perch chiarificatori di una serie di
contraddizioni legate al dionisismo. Lo spazio aperto si spiega, almeno parzialmente, alla luce del
fortissimo legame tra Dioniso e natura: spazio aperto significa, solitamente, un ritiro sul monte, in
mezzo ai boschi e agli animali selvatici, per lo pi immerso nel buio della notte. L'apertura della

dimensione spaziale un riflesso esplicito dell'inesistenza di limiti che imbriglino il dio o i suoi
seguaci: non ci sono, per esempio, distinzioni fra uomini, donne, vecchi, giovani, liberi e schiavi.
Anzi, la partecipazione femminile risulta addirittura portante per il culto bacchico: lo stuolo di
baccanti che si reca solitamente sui monti a festeggiare i riti biennali composto fondamentalmente
da donne (pensiamo ai riferimenti in Plutarco). L'apertura assoluta e la mancanza di limiti si
definiscono anche su tre altri piani: la libert catartica di cui gode il danzatore (Dioniso ,
Liberatore), la quale giustificherebbe anche alcune interpretazioni 'terapeutiche' dell'origine del
menadismo2; la liberazione dall'umano, per il quale colui o colei che partecipa ad un baccanale, non
pi uomo o donna, ma Baccante (Agave chiama le baccanti cagne, v. 731); infine l'assoluta
indefinitezza della figura di Dioniso che, per costituzione, inafferrabile nel suo ambiguo
polimorfismo (Dioniso , Femmineo, o anche , Ermafrodito).
Lo spazio esterno, invece, si presenta come alterit rispetto all'interno cittadino e civile. In tal senso
il dionisismo si concretizza come una fuoruscita dalla normalit del quotidiano e prende parte a
quella straordinariet che compone l'elemento divino. Esterno in senso spaziale definisce l'ambiente
non antropizzato, naturale, primigenio del rituale; ma esterno vuole anche dire uscita dalla civilt e
da tutte quelle norme condivise su cui si basa la vita comunitaria: cos il culto bacchico diventa
anche dimenticanza del proprio ruolo sociale, della propria condizione, manifestandosi, ad esempio,
nell'abbandono da parte delle donne del proprio compito di amministratrice della casa (telaio), di
moglie (marito) e di madre (bambini); esterno vuol anche riportare alla dimensione della
trascendenza, non tanto in senso religioso, quanto piuttosto riferendosi alla telestica: essa,
volenti o nolenti, attraverso la danza ossessiva, trascina l'uomo fuori di s, mettendolo in contatto
con la dimensione altra, esterna del divino ( ), creando questa specie di
contraddizione e allo stesso tempo conciliazione fra l'essere fuori di s ( ) e l'essere 'dentro' il dio
().
Fissate queste coordinate fondamentali, risulta poi pi facile comprendere tutto ci che afferisce alla
ritualit dionisiaca. Una prima componente importante per la dimensione prettamente sacra-rituale
si trova nel rispetto del silenzio, ovvero nella purificazione delle proprie labbra da ci che di
cattivo augurio. Tale elemento assume significato se affiancato alla sfera cultuale misterica che
presenta numerose affinit (pensiamo al riferimento spaziale dell'esterno) con quella dionisiaca e
che, accentuando il valore dell'elemento comunicativo attraverso il divieto tassativo di condividere
con non-iniziati i contenuti dei misteri, giustifica il silenzio come tutela del sacro nei confronti di
'profani'; come netto confine tra mondo civile e rito non normalizzato (pensiamo alla curiosit e al
disprezzo di Penteo nei confronti delle Baccanti), dove il primo non riuscirebbe a comprendere le
istanze del secondo; e infine come normale atteggiamento purificatorio dell'eletto in attesa della
comunione con il divino.
Seconda componente fondamentale la danza sul monte, o : essa si configura come il
tratto fondamentale della Menade (basti pensare al fascino che esercita su Skopas) ed definibile
come il mezzo naturale per la comunicazione con il divino. La danza ossessiva, caratterizzata da
movenze insistite e innaturali, accompagnata dalla musica del flauto frigio (
)e
alla percussione dei tamburelli (). Essa diviene mano a mano sempre pi frenetica, il
battito dei piedi a terra sempre pi veloce, la musica sempre pi ossessiva, finch la baccante cade
in uno stato di trance, entrando in comunicazione con il dio. Ecco come la ritualit bacchica si
configura al di l della coscienza umana, dando sfogo alle pressioni della dimensione pi ribollente
e nascosta dell'interiorit umana. La danza ha inoltre una caratteristica singolare nella fisicit di
colei che vi si dedica: la testa innaturalmente portata indietro, tesa verso l'alto, e i capelli, sciolti,
sono lanciati all'indietro, a formare nel movimento continui viluppi e riccioli sfuggenti,
2

Dodds, Appendice I, Menadismo, pag. 333ss

simbolicamente legati all'inafferrabilit di Dioniso.


La stessa dimensione di sfuggevolezza e di contorsione segnalata dai capelli mossi nella danza si
presenta forse ancor pi prepotente nell'attributo dell'edera e del serpente collegabili al culto
bacchico: entrambi sono significativamente visti nell'immaginario comune come capaci di
avvilupparsi, di creare spire, di sfuggire alla presa umana (per avvicinare l'edera alla capigliatura
basta osservare l'epiteto ). Una affinit tra i due attributi sta anche nel fatto che sono
entrambi portatori di un : il serpente letale, mentre l'edera viene spesso avvicinata alla
, ma di tipo profetico: ingerire edera in piccole quantit era comunemente considerato un
modo per ricevere il dono della preveggenza. Essendo il culto bacchico misterico, non dato
conoscere se anche l'edera possa essere all'origine del furor telestico. Tuttavia significativo che
essa faccia parte del corredo simbolico dionisiaco e spesso affiancata al vino (Plutarco, Questioni
conviviali, III 2).
Risulta poi necessario sottolineare la componente pi 'materiale' della ritualit, ovvero la tipologia
di oggetti e di vestiti legati al fedele che celebra Dioniso. Prima di tutto la baccante indossa una
nebride, ovvero una pelle non acconciata di cerbiatto: essa proviene da un animale selvatico ed
ricollegabile alla dimensione ferina, animalesca del dionisismo che, rifiutando l'opera della
tessitura, usa il prodotto di un'azione primitiva (uccisione e scuoiatura dell'animale) e si cala in una
dimensione di bestialit, anche attraverso una certa immedesimazione (basti pensare alle scene di
allattamento da parte di donne di cuccioli selvatici o a quella dell'assassinio di Penteo). Altro
oggetto fondamentale il tirso coronato d'edera: se dunque chiaro il ruolo di questa, per il primo
la questione risulta pi complessa, in quanto rientra ancora nell'idea di una comunione con la natura
e di primitivismo nella sua rozza semplicit, ma gi ben definito come utensile, oggetto d'uso,
cosa assai lontana dalla dimensione naturale, propria delle potenzialit tanto intellettive quanto
fisiche dell'uomo. Tuttavia esso non propriamente un'arma: viene usato nella danza, al suo tocco le
rocce fanno sgorgare vino o latte o acqua, ma nel momento della violenza ferina del rito sembra
passare in secondo piano. Lo avviene attraverso il semplice uso delle mani, che
lacerano e scagliano le carni delle vittime, mentre il tirso appare pi che altro come manifestazione
tangibile dell'aiuto divino nel combattimento (Baccanti vv. 762-4), perdendo la funzione di
strumento e divenendo invece epifania della natura divina del furor bacchico.
Infine si considerino la dimensione dinamica del dionisismo e la sua apoteosi nello e
nell': l'ossessione della danza e la sua pervasivit contagiosa (notata da studi
antropologici anche in fenomeni affini3) viene significativamente sottolineata dal pastoremessaggero del terzo episodio delle Baccanti, il quale afferma che nulla v'era che fosse ()
(727), poco prima del momento culminante della stessa nello . La dimensione
dinamica, infatti, viene in esso accentuata dall'inseguimento delle prede e dal feroce dilaniamento,
che porta i brandelli di carne a volare letteralmente, scagliati dalle mani delle baccanti e a
insanguinare l'ambiente e le fedeli stesse.
Strettamente legati a questo momento di assoluto trascendimento dell'umano sono anche alcuni
riferimenti che il pastore-messaggero fa riguardo alle Baccanti: interessante il suo stupore per
l'immane forza fisica che le Baccanti (donne, da notarsi!) dimostrano nell'atto di cacciare, catturare
e smembrare le bestie, tale che egli sottolinea come "tori infuriati, abituati a cozzare violenti con le
corna" cadessero "tratti da mille mani di fanciulle". Inoltre, mentre infuria la battaglia contro i
villaggi vicini al Citerone, esse portano "fuoco sui loro capelli ricciuti", ma quello non le brucia:
entrambi questi elementi denotano la presenza inequivocabile del divino, manifesto non solo ed
esclusivamente in una interiore, bens anche attraverso segni esteriori degni di attenzione.
3

Ibidem

Certamente, infatti, la forza fisica incarnazione di quella natura ambigua del dio, il quale si pu
mostrare femmineo, pacato, dolce agli uomini attraverso il -vino, ma anche violento,
dinamico fino al parossismo, doloroso come un -veleno; ugualmente il fuoco ha una
valenza media, perch portatore di calore, cottura, civilt, ma anche di distruzione. Esso inoltre pu
significativamente avvicinare Dioniso alla figura di Prometeo: entrambi, l'uno attraverso il vino,
l'altro attraverso il fuoco, si fanno vicini ai mortali pi di tutti gli altri dei o titani; entrambi, per,
possiedono quella natura ambigua, sfuggente, astuta che il fuoco, con i suoi guizzi, la sua apparenza
informe e la sua variet di colori, bene simboleggia.

Dioniso nel Simposio


Il Simposio di Platone interamente posto sotto il segno di Dioniso (Trombino). Innanzitutto
infatti l'occasione della festa la vittoria di Agatone negli agoni tragici del 416 ed il legame tra
Dioniso ed il teatro ben noto; inoltre la dimensione del simposio come atto materiale e del vino
entra pienamente nel testo stesso.
L'idea filosofica in esso esposta infine non poi immune dall'influenza dionisiaca, soprattutto nella
visione dell' di Diotima e Alcibiade, legata agli aspetti pi irrazionali dell'esistenza ed anche
alle dimensioni contrastanti dell'amore stesso. Qualcuno ha persino proposto un'interpretazione
complessiva del Simposio in quest'ottica, ovvero come continua lotta tra apollineo e dionisiaco,
contemplazione pura della bellezza (e quindi dell'idea di bello) e passionalit della vita, che per
anche all'origine della ricerca filosofica, anch'essa contraddittoria.

Il simposio e il baccanale, due esperienze di religiosit dionisiaca


Per mettere a confronto i riti del baccanale e il simposio, si deve partire da una premessa forse
ovvia, ma necessaria: entrambe queste due occasioni, sicuramente di matrice completamente
diversa, ma con alcuni aspetti comuni, nascono da una dimensione fortemente legata al sacro. Come
il baccanale, infatti, un rito destinato alla celebrazione del dio e alla comunione con esso, cos
anche il simposio partecipa dell'ambito sacrale in quanto ritrovo degli intorno ad un altare.
Conferma di questa considerazione si trova facilmente in Senofane 4, il quale sottolinea
ripetutamente anzitutto l'esigenza di purezza per accostarsi al simposio, sia esteriore ("pulito il
pavimento, e le mani di tutti e le tazze") sia interiore ("sereni gli uomini levino un inno al dio con
racconti di buon augurio e discorsi puri"); poi il canto e la preghiera che il rito del simposio prevede
("dopo avere [] pregato di poter agire secondo giustizia"); poi il vino, dono di Dioniso. Alcune
letture antropologiche, infatti, riconoscono entrambi questi momenti come espressione di esigenze
profonde dell'uomo: la presenza dell'elemento divino verrebbe ad essere il risultato di un processo
di 'giustificazione' e di 'irreggimentazione' degli aspetti pi pulsionali di queste, dando ad esempio
alla necessit di uno sfogo dalle pressioni della vita civile una sfumatura rituale. Se, per, il sacro
permea entrambi questi momenti di 'ritrovo', tuttavia necessario entrare nello specifico di ciascuno
per sottolineare analogie e differenze.
Prima di tutto serve chiarire che le finalit dei due momenti sono profondamente diverse, in quanto
il rito bacchico celebrazione del divino e manifestazione dello stesso in quanto tale, mentre il
simposio partecipa del sacro, ma non fa di esso l'interesse centrale, visto che il suo vero obiettivo
il ritrovo politico di una comunit di compagni che condividono medesimi valori e ideali. Cos il
secondo pu spesso assumere anche un valore educativo per i pi giovani, che vi trovano un
momento di confronto e di apprendimento, prima che di svago o di rito; il baccanale invece non si
prefigge obiettivi simili, anche se, alla luce della sua affinit ai riti misterici, pu non trascurare
4

Frammento Diels-Kranz 21 B 1

momenti in cui i pi giovani possono accostarsi al dionisismo secondo pi o meno formati riti
iniziatici. Da queste considerazioni si possono anche capire alcuni riferimenti spaziali importanti: il
simposio, infatti, in quanto ritrovo di eterie, rimanda alla dimensione della circolarit come
espressione del , ovvero di quell'uguaglianza (gi omerica) tra pares che rende l'istituzione
del simposio assolutamente democratica al suo interno, ma all'esterno si mostra come uno spazio
chiuso, aristocratico, inaccessibile; il baccanale, invece, non si caratterizza per tale aspetto, ma
lascia la libert alla collettivit e all'individuo di convivere in un rapporto dialettico e privo di
limitazioni: le baccanti, infatti, che non hanno un'origine comune, ma provengono da mondi anche
molto distanti (libere e schiave, sposate e nubili, vecchie e fanciulle), non si organizzano in una
struttura, bens si muovono ispirate dal dio, indipendentemente dalle altre oppure obbedendo ad un
sentimento comune.
In secondo luogo pu essere interessante confrontare i diversi tipi di irrazionale: anzitutto nel rito
bacchico esso ha una portata pi consistente e fondativa che nel simposio, essendo la un
elemento imprescindibile del dionisismo, mentre nel simposio risulta una conseguenza possibile,
ma non necessaria (Senofane, ad esempio, richiede esplicitamente di bere con misura). Poi, nel rito
bacchico, l'irrazionale deriva dalla danza, dal canto e, attraverso di essi, dalla divinit che si fa
immanente (le Baccanti, sottolinea Euripide, non sono ubriache 5; v. 687), mentre il simposio
necessita dello 'strumento' vino, che rimanda sicuramente alla figura di Dioniso, ma non in maniera
cos diretta da poterne considerare le conseguenze divina, prima che semplice effetto di un
abuso (se infatti il giudizio delle Baccanti uniformemente positivo sulla propria condizione di
invasamento, perch espressione di una medesima ispirazione, l'ubriachezza non ugualmente
approvata o condannata dai partecipanti al momento conviviale).
In terzo luogo va sottolineato il fatto che il simposio, pur nella sua complessit, si presenta
comunque in maniera chiara, definita e limpida, mentre il baccanale, che anche in questo partecipa
della natura del dio, dimostra un grado di ambiguit, contraddittoriet e indefinitezza sicuramente
superiori. Infatti nel baccanale suonano come stridenti fra loro il silenzio rituale e l'ossessione
successiva della danza, la delicatezza di certe azioni con la ferinit di cui partecipano
(l'allattamento, ma di belve), l'affinit con la natura e l'esatto capovolgimento dello .
L'unico elemento con cui il simposio si rapporta in maniera ambigua, d'altro canto, proprio quello
che pi di tutti gli altri rimanda al dionisismo, ovvero il vino, nella sua ambiguit di .
In quarto luogo si pu riflettere sui destinatari specifici di ognuno dei due momenti: il simposio si
rivolge esclusivamente al mondo maschile e, ancor pi strettamente, ad un gruppo ben definito di
esso. Le restrizioni che il contesto comporta, dunque, giustificherebbe una maggiore intimit tra i
partecipanti; invece l'ambiente molto pi esteso della ritualit bacchica non si chiude nemmeno a
mondi diversi dall'umano, permettendo tanto la trascendenza verso il divino, tanto l'abbassamento
verso il ferino. Eppure parrebbe che l'intervento di Dioniso sia garante di quella unione intima e
indiscussa che le menadi dimostrano: la comunione con il divino, infatti, crea una particolare
dialettica tra la molteplicit degli individui che si riuniscono e l'unica dimensione trascendente cui
afferiscono, ovvero l'Uno-dio.

Mangiare Dio: Dioniso e Cristo


Un possibile punto di saldatura, dunque, dell'istituzione-simposio con la ritualit bacchica pu
essere trovato nella presenza del vino che, appunto, si qualifica come elemento ricco di significati e
rimandi alla sfera del divino. Entrambe le occasioni, infatti, vedono in esso e nella dimensione del
5

Si consideri anche che, come testimoniano altre fonti, il giusto momento per l'ubriacatura sacra la primavera, in cui
ad esempio si celebrava la festa delle coppe nelle Antesterie.

banchetto un momento chiave per la comprensione dell'obiettivo aggregante loro sotteso: il


simposio ha la chiara funzione di riunire la comunit di in un contesto loro riservato,
mentre il baccanale si prefigge lo scopo di portare, appunto, alla comunione tra uomo e dio.
Quest'ultimo aspetto in particolare pu essere ben compreso se, nell'intento di dare una possibile
lettura globale al problema delle relazioni tra banchetto, vino e dionisismo, si cercano aspetti
comuni tra il rituale bacchico e la natura, la produzione e la consumazione del vino, elemento
cardine del simposio. Muovendo, infatti, da analisi antropologiche e di storia delle religioni (cfr. Jan
Kott) diviene possibile motivare questa identificazione con il divino attraverso l'azione del
mangiare dio per entrare in comunione con esso, affiancandola proprio all'atto del bere il vino.
Collegandosi, infatti, al mito di Dioniso e dei Titani, dove il dio-bambino venne fatto a pezzi e le
sue carni mangiate (poi ricomposte e fatte rivivere da Atena e Rea), facile riconoscere come la
ritualit dello rimandi all'antico mito: le baccanti, facendo a pezzi e mangiando le
carni di animali, in realt, non fanno altro che riproporre la medesima azione, come se la stessero
ancora compiendo con il corpo stesso di Dioniso. Perch dover nuovamente straziare il corpo di
Dioniso in un rito a lui legato e poi cibarsene? proprio qui che si nota il legame strettissimo fra il
divino e il cibo-bevanda: anche quest'ultimo, per divenire fruibile cio entrare in contatto con
l'umano, deve passare attraverso la violenza della macinazione; questa implicazione sacrale del vino
non sicuramente esclusa dal rituale simposiaco, ma, anzi, ne probabilmente il principale
elemento religioso. Per approfondire ulteriormente, invece, la problematica in modo da spiegare il
senso dello smembrare e cibarsi dell'uva dome del dio, si pu fare riferimento non solo alla cultura
greca, bens al preciso corrispondente presente in quella cristiana. Dodds, nella sua introduzione alle
Baccanti, parla, infatti, di "passione" dionisiaca, facendo naturalmente riferimento all'esperienza
cristologica. L'affinit tra l'uccisione e la risurrezione di Dioniso, mediata dal suo farsi cibo per i
titani, con quelle di Ges, anch'egli fattosi cibo nell'Ultima Cena per gli apostoli, probabilmente
pi che una semplice somiglianza. In questa relazione si esalta particolarmente uno strano rapporto
fra la divinit, il banchetto e la passione e morte 6, quasi fossero elementi inscindibili tra loro. E
l'elemento comune proprio il vino, che per entrambe le culture assume un significato profondo: si
pu infatti notare una particolare coincidenza tra il processo di produzione del vino e lo stesso rito
dello : gli acini schiacciati non solo ricordano le carni straziate di Dioniso, perch il
vino che ne sgorga diviene simbolicamente persino sangue e presenza della divinit7. Per il cristiano
il vino realmente il sangue di Cristo, come il pane ne il corpo: analogamente, con l'esclusione
del pane (poich la cultura greca interpreta il vino tanto come cibo quanto come bevanda), il rituale
dello una resa pratica e reale del vino-sangue stesso e forma concreta del cibarsi del
corpo e del sangue del dio. Insomma, Dioniso non pi "a simposio", quanto piuttosto "diviene
simposio" egli stesso. Analogo a questo rito dionisiaco, pur con le dovute differenziazioni, pu
essere proprio la fractio panis della liturgia cristiana. Un'ulteriore corrispondenza tra culture greca e
cristiana sta nel fatto che, oltre al legame vino--morte, non si possa prescindere dalla
dimensione conseguente della resurrezione: nelle Baccanti le tenebre della prigione per Dioniso
possono essere viste come simili a quelle del 'carcere' del sepolcro per Cristo e, dunque, l'uscita da
esse un ritorno alla luce e alla vita. Ed interessante anche la presenza della divinit nell'uccisione
di Penteo da una parte e di Dio Padre in quella di Ges. Dissimili, tuttavia, sono alcuni elementi
fondamentali: anzitutto il fatto che la passione di Penteo sia voluta da Dioniso e diventi la vendetta
sulla 'preda', mentre Dio non desideri la morte di Ges, pur sapendola necessaria; in secondo luogo
la distanza del concetto di sacrifico tra le due culture (il sacrificio di Cristo porta una salvezza che
quello di Dioniso-Penteo non prevede neanche lontanamente); in terzo luogo la volontariet della
6

Significativo, per questo, notare l'ulteriore affinit tra cibo (pane) o bevanda (vino) con la morte, spiegata attraverso
la semina nell'oscurit della terra, la morte del seme e la resurrezione di una nuova pianta da una parte; e la
fermentazione nel buio di una botte o cantina degli acini straziati dall'altro. (cfr. Gv 12,24)
Diodoro Siculo d per primo un'interpretazione naturalistica della mito di Dioniso bambino: Il fatto che quando
era giovane fu dilaniato dai figli di Ge indica la raccolta dei frutti da parte degli agricoltori; la bollitura delle
membra la rappresentazione mitica del fatto che la maggior parte degli uomini fanno bollire il vino e
mescolandolo ne rendono pi profumata e migliore la qualit (Biblioteca, III, 62, 7, trad. Marta Zorat)

passione che da una parte subita, mentre dell'altra, si potrebbe dire, quasi 'agita' volontariamente;
infine il fatto che la vicenda delle Baccanti pare allontanare cielo e terra nella terribile presa di
coscienza della crudelt di Dioniso, mentre la figura di Cristo ne diventa "fusione salvifica", pi
aperta ad un oltre che per il corpo straziato e insepolto di Penteo non c'.

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Siti web consultati

Miti greci sulle origini della vite e del vino e Dioniso, dio dell'estasi in Giorgio Samorini
Studi nel campo fenomenologico delle droghe psicoattive
Baccanti Laboratorio teatrale Thiasos - Liceo Classico A. Volta di Colle di Val dElsa

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Orazio, Odi (trad. Enzo Mandruzzato): Orazio, Odi ed epodi, BUR 2010
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Platone, Leggi (trad. Enrico Pegone): Platone, Tutte le opere, Newton Compton 2010
Virgilio, Georgiche (trad. Alessandro Barchiesi), Mondadori 2009

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