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TESI DI LAUREA
IN: STORIA DELLANALISI ECONOMICA
TITOLO
RUBIN E IL PROBLEMA DELLA TRASFORMAZIONE
CANDIDATO
RELATORE
Daniele Gnudi
SESSIONE I
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
Indice
Introduzione
7
8
13
13
16
21
29
29
31
34
41
Conclusioni
43
Bibliogra a
47
Introduzione
Il modo particolare con cui Marx amplia il modello economico arontato nei
primi due libri del Capitale, aggiungendo come prima cosa nel terzo volume la
situazione di concorrenza tra capitalisti, ha sollevato molti dubbi e generato una
controversia lunga pi di un secolo che ha preso il nome di problema della
trasformazione coinvolgendo economisti e loso anche di grossa fama. Chi
scrive convinto fermamente che i motivi della mancata adozione della teoria
marxiana da parte del mainstream accademico non dipendano tanto dal problema della trasformazione e dalla mancanza di una soluzione a tale problema
interpretativo; tuttavia parte degli studiosi ancora interessata alla questione in
oggetto che, noi riteniamo, parte fondamentale e decisiva per la teoria marxiana. dunque chiaro che questo problema non pu non interessare in maniera
prioritaria ogni persona che aronti lo studio della teoria di Karl Marx.
Per far luce su questo argomento ho scelto di appoggiarmi principalmente
alla monogra a di Isaak Rubin, Saggi sulla teoria del valore di Marx (1976), che
ho trovato essere il testo da me conosciuto che pi di ogni altro tenesse conto di
tutti gli aspetti fondamentali della teoria marxiana. In questo lavoro si vogliono
Sempre tenendo in considerazione che il III libro uscito dopo la morte di Marx e da questultimo mai revisionato per la pubblicazione nale. Il II e il III libro sono infatti stati pubblicati
da Frederich Engels elaborando i manoscritti dellamico Karl. Anche se Engels, nella stesura del
III libro, assicura la massima fedelt possibile alloriginale e al pensiero dellautore, essa rimane
comunque un insieme di bozze (per giunta non complete) riorganizzate da una persona diversa
dallautore. A nostro parere, per le motivazioni appena esposte, non bisognerebbe essere molto
stupiti della presenza di alcuni punti oscuri in unopera del genere; di conseguenza un approccio
pi critico e meno pedante sarebbe, probabilmente, pi produttivo.
E non solo noi; sebbene con nalit del tutto diverse, sia Bhm-Bawerk (ergo la scuola
austriaca e derivate) che tutto il marxismo ortodosso ritengono indefettibile la teoria del valore
nel sistema marxiano.
Wikipedia sostiene che Rubin sia considerato il pi importante teorico ed esperto del suo
tempo nel campo marxista della teoria del valore ( http://it.wikipedia.org/wiki/Isaak_Rubin, versione del gennaio 2012). Unanaloga aermazione si trova anche nelle versioni dellenciclopedia
inglese, francese, tedesca e svedese.
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INTRODUZIONE
CAPITOLO 1
La conclusione dellintroduzione alla prima parte del libro non lascia alcun dubbio sullimportanza data da Rubin alla teoria del feticismo: essa la teoria generale dei rapporti di produzione delleconomia mercantile, propedeutica alleconomia
politica (ibidem). Trascurandola, leconomia politica non sar mai in grado di
cogliere lessenza dei fenomeni e delle leggi della societ capitalistica, che Rubin
vede come una specie della societ mercantile semplice, seppur pi complessa in
quanto prende in esame anche altri aspetti economici, oltre al semplice scambio
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di merci tra produttori. Unanalisi che non tiene conto di questo velo che maschera i rapporti di produzione unanalisi feticistica, che attribuisce alla merce,
oggetto materiale avente utilit materiale, propriet sociali che non gli appartengono naturalmente. A causa di questo suo vizio di fondo, una tale analisi destinata a risultati disastrosi a prescindere da quanto possano essere acute certe
sue osservazioni poich essa non spiega il meccanismo produttivo della societ
contemporanea, n le condizioni per il suo funzionamento e sviluppo. (ibidem).
Questo il punto dellanalisi di Rubin che riteniamo pi importante e ricco di
conseguenze. La teoria del feticismo e la sua centralit e propedeuticit allanalisi
economica una critica radicale a tutti gli altri modi di arontare lo studio del
capitalismo. Non solo; dibattiti e diatribe viziate entrambe dal feticismo da parte di marxisti come di antimarxisti avrebbero tuttal pi arontato qualcosa di
rintracciabile nelleconomia politica classica, identi candolo indebitamente con
la teoria del valore marxiana (ivi, VII).
La teoria di Rubin vuole porsi come uninterpretazione defeticisticizzata
della teoria marxiana del valorelavoro. Per il vigore di questi concetti, che permea in maniera esplicita ogni singolo paragrafo della sua opera, riteniamo che tale
teoria costituisca una risposta proprio alle interpretazioni feticistiche. quindi
di una certa utilit, in questa prima fase, dare un rapido sguardo alla concezione
fondamentale che, della teoria del valore, aveva il suo pi popolare critico.
1. La critica di Bhm-Bawerk
Eugen Bhm-Bawerk, nel 1896, formul la prima rilevante critica alla teoria
marxiana, dalla quale prese poi il via il dibattito sul problema della trasformazione
che coinvolse, in modo dierente e con nalit dierenti, numerosi autori. La
critica di Bhm-Bawerk, nel suo La conclusione del sistema marxiano (1971) una
critica distruttiva del marxismo in quanto mira a mostrarne le contraddizioni insanabili e la sua invalidit scienti ca, nonch la sua certa ne (Bhm-Bawerk et
Il riferimento alla scuola austriaca e al marginalismo , questa volta, esplicito.
Cio che tenga conto e si basi sulla teoria del feticismo della merce.
Ad esempio, tra le altre, la citazione di Bhm-Bawerk, a pagina 51, accusandolo di fatto di
una certa super cialit nellaver ridotto la teoria marxiana del valore a una manciata di pagine.
1. LA CRITICA DI BHM-BAWERK
al. 1971, 108-109). Egli vede nella teoria marxiana del valore-lavoro il pilastro
fondamentale del sistema teorico di Marx e che, essendo secondo lui viziata da
contraddizioni insolubili e dalla contrapposizione con la teoria del prezzo di produzione, fa crollare lintero castello . Come gi preannunciato in precedenza,
in questa sede di non formuleremo un giudizio di verit sui suoi assunti; invece importante coglierne quei punti che, riteniamo, possano aver spinto Rubin a
tentare di dare un contributo alla comprensione della teoria marxiana.
Bhm-Bawerk, come si pu veri care facilmente dalle pagine de Il Capitale
da lui citate come fonte nel suo primo capitolo Teoria del valore e del plusvalore,
assume come base esclusiva della sua critica alla teoria del valore il primo capitolo
del libro I, escludendo chiaramente il paragrafo sul feticismo, mai menzionato. A
queste, contrapporr i capitoli 9 e 10 del libro III, contenenti la teoria del prezzo di
produzione, vedendo una contraddizione tra le due teorie e labbandono implicito
da parte di Marx della teoria del valore-lavoro in favore di quella del prezzo di
produzione.
Linterpretazione che Bhm-Bawerk da alla teoria del valore di Marx riassumibile aermando che essa non sarebbe altro che una teoria dei prezzi relativi,
non dissimile dai tentativi dei classici, pur con le conseguenze straordinariamente interessanti e di vasta portata, [] alla pi importante innovazione del terzo
volume (ivi, 15) dellopera di Marx. A pagina 59 (Marx 1964) trova il concetto
di valore e lo fa suo: siccome nello scambio si astrae dalle propriet siche delle
merci (ovviamente incommensurabili tra loro) generatrici del valore duso delle
stesse, non rimane altro che il lavoro che le ha prodotte, lavoro umano generale cristallizzato nelle merci in una sorta di riduzioni successive. Bhm-Bawerk,
pur sostenendo con Marx che il valore cos de nito non coincide con il valore di
Dora in avanti, se non diversamente speci cato, semplicemente teoria del valore.
Come immediatamente e palesemente si evince gi dal titolo del capitolo quarto: Lerrore
nel sistema marxiano, la sua origine e le sue rami cazioni (Bhm-Bawerk 1971, 59).
Finalit di correzione (quindi non distruttive) si possono rintracciare nei contributi di
Bortkiewicz (Bhm-Bawerk et al. 1971, 179), come gi indica il titolo: Per una retti ca dei
fondamenti della costruzione teorica di Marx nel III volume del Capitale . Tuttavia la concezione
fondamentale che lautore, secondo noi, mostra di avere della teoria del valore marxiana la
stessa di Bhm-Bawerk: anche se per Bortkiewicz lerrore starebbe nel fatto che non valido il
procedimento con cui Marx calcola il saggio medio di pro tto (Bhm-Bawerk et al. 1971, 179),
rimane ferma lesclusione della teoria del feticismo.
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La quale, soprattutto se applicata allo studio dei fenomeni sociali, per il losofo Georges
Politzer (1936) metodo meta sico, in contrapposizione al metodo dialettico .
In realt il concetto non presente solo nella citazione di pagina 25; tale metodo e giudizio
senza riserve permea chiaramente e indiscutibilmente ogni singola pagina di La conclusione del
sistema marxiano. Per esempio, gi due pagine dopo si dice che questa [contraddizione tra le due
teorie] un impressione che chiunque ragioni secondo la logica non pu non ricavare. (ivi, 27,
corsivo nostro).
1. LA CRITICA DI BHM-BAWERK
11
merci si scambiano tra loro in proporzione del lavoro medio socialmente necessario in esse incorporato (ivi, 10) o, detta in altri termini, si scambiano ai loro
valori. Pur egli ammettendo che gli eettivi prezzi di mercato possono divergere
dai prezzi espressione dei valori, comunque in media e nel lungo periodo essi tendono a eguagliare i valori; almeno tendenzialmente dunque i valori sono il centro
di gravit dei prezzi relativi delle merci.
Questo, per Bhm-Bawerk, quello che sostiene Marx nel I libro: la sua teoria
del valore-lavoro sarebbe, a ben guardare, non molto dissimile dai suoi predecessori classici (in particolare Ricardo) che tentavano di spiegare i prezzi delle merci.
E, analogamente alla loro teoria del valore-lavoro, sarebbe destinata a schiantarsi
contro la realt del capitalismo descritta nel III libro (ivi, 26): diverse composizioni organiche ma uguali pro tti per capitali di grandezza uguale; divergenza
persistente tra valore e natural price, ecc.
Bhm-Bawerk argomenta in quattro punti principali le sue obiezioni al passaggio che Marx compie per collegare la teoria del valore a quella del prezzo di
produzione, ritenendolo per errato e vedendo con ci la conclusione del suo sistema, labbandono da parte sua della teoria del valore del I libro (ivi, 27). Quello
che a noi interessa qui notare che Rubin non rimprovera tanto ai marginalisti di
essersi sbagliati nella logica interna della loro critica; il fatto che, per lui, senza
la teoria del feticismo e le necessarie premesse sociologiche, leconomia politica
non sarebbe in grado di spiegare i meccanismi fondamentali della societ (Rubin
1976, 68). Sarebbe dunque proprio il loro presupposto di partenza a essere sbagliato (ivi, 6) e, pensiamo noi, proprio questa convinzione di tale mancanza
ad aver spinto Rubin in maniera decisiva a dare cos tanta importanza proprio ai
presupposti dellanalisi economica: la teoria del feticismo della merce, sulla quale
costruita lintera sua interpretazione della teoria del valore.
CAPITOLO 2
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altri dipendono, ma essendone lui stesso continuamente in uenzato, dipendendo a sua volta dalle merci degli altri. Nellatto di scambio equiparano i prodotti
del loro lavoro come valori, attribuendo cio alle loro merci un valore in denaro espresso come equivalente di tale valore. Tuttavia essendo spinti nella scelta
dellattivit produttiva esclusivamente da calcoli di maggior vantaggio economico
nelle equiparazioni dei loro prodotti essi niscono indirettamente per equiparare i loro lavori; non coscientemente come equiparazione sociale di due lavori che
sono parte del lavoro sociale complessivo in vista della produzione materiale di
cose, ma indirettamente per mezzo delle cose (ivi, 13):
Gli uomini dunque riferiscono lun laltro i prodotti del loro lavoro come valori, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto
come puri involucri materiali di lavoro umano omogeneo. Viceversa.
Gli uomini equiparano lun con laltro i loro dierenti lavori come lavoro umano, equiparando, luno con laltro, come valori, nello scambio,
i loro prodotti eterogenei. Non sanno di far ci, ma lo fanno. (Marx
1964, 106)
Rubin speci ca che ai possessori di merci allatto dello scambio interessa esclusivamente trarre il maggior guadagno possibile dalle merci prodotte del loro lavoro, di cui dispongono e che vogliono alienare ad altri; non conoscono quale sar
lutilizzo e il destino degli oggetti che hanno venduto e non li interessa. Ma solo
attraverso questo scambio che i produttori possono entrare in contatto tra loro per
perpetrare o modi care la produzione sociale, e in nessun altro modo: i rapporti
di produzione nelleconomia mercantile assumono la forma della compravendita
di merci. I rapporti tra persone rapporti di produzione tra i soggetti economici
sono cos mascherati da rapporti tra cose:
La forma di denaro lultima forma di valore analizzata da Marx (1964, 102) nel Capitale
come semplice espressione in denaro (oro o cartamoneta) della forma di valore dispiegata in cui
ogni merce particolare viene socialmente equiparata quantitativamente a una merce equivalente
generale, che funge da espressione del valore delle merci ad essa equiparate. Cosa crea questo
valore di scambio manifestazione fenomenica di qualcosaltro (ivi, 86) oggetto di studio del
prossimo paragrafo, dedicato alla teoria del valore vera e propria.
Cio, aggiungiamo noi, non certo per il fatto che queste cose contino per loro soltanto come
lavoro socialmente equivalente rei cato in merci; infatti nella societ mercantile non esiste alcun
piano della produzione sociale ed impossibile per chiunque conoscere lequivalenza sociale di
due lavori se non attraverso luguaglianza del valore dei rispettivi prodotti.
E ci avviene, secondo Rubin, anche in forme pi complesse di societ mercantile, come il
capitalismo: i rapporti di produzione tra strumenti di lavoro (divenuti capitale) e lavoro umano
(che ha assunto la forma di merce) si presentano con la veste rei cata dello scambio di merci:
salario contro forza-lavoro da alienata al capitale.
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I lavori privati si eettuano di fatto come articolazioni del lavoro complessivo sociale mediante le relazioni sociali nelle quali lo scambio pone
i prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori. Quindi
a questi ultimi le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come
quel che sono, cio, non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi, come rapporti di cose fra persone e
rapporti sociali fra cose.(ibidem).
Sulla base di ci Rubin spiega come Marx abbia dimostrato non solo e non
tanto che i rapporti di produzione mercantili appaiono sotto la forma di rapporti
tra cose, ma che in ogni societ basata sui presupposti di quella mercantile (produzione sociale appropriazione privata) questi rapporti hanno la necessit di
apparire in tale forma. solo nellatto dello scambio che i produttori possono
entrare in contatto tra loro nel processo sociale di produzione (di cui non hanno
conoscenza e non gli importa di averla), anche se lo fanno attraverso il feticcio
del valore della merci.
Ed certamente dicile se non impossibile trovare o anche solo immaginare un elemento o caratteristica materiale comune tra oggetti che sono valori
duso completamente dierenti. Eppure sul mercato merci molto dierenti per
caratteristiche siche e per utilit materiali sono continuamente equiparate tra
di loro e, nello stadio della societ dello scambio generalizzato e della divisione
del lavoro, per mezzo dello scambio tali merci vengono tutte equiparate alla merce equivalente universale: a una somma di denaro che aanca e si attacca alle
propriet siconaturali dei prodotti divenuti merci come espressione di valore
(ivi, 102). Secondo Rubin questo lunico modo in cui la societ mercantile pu
mettere in contatto i produttori autonomi e regolare la distribuzione del lavoro sociale complessivo, poich solo nello scambio e attraverso il feticcio del valore di
scambio i produttori sono spinti a modi care o cambiare la loro produzione:
Solo allinterno della scambio reciproco i prodotti di lavoro ricevono unoggettivit di valore socialmente uguale, separatamente dalla loro
oggettivit duso, materialmente dierente (ivi, 105).
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avvenire che per mezzo del valore, che dunque funge da cinghia di trasmissione
fondamentale della produzione atomistica mercantile (Rubin 1976, 66).
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che si dierenzia solo per quantit; superamento delle diversit individuali in una
determinata attivit (lavoro socialmente necessario). Sono queste tutte de nizioni
di lavoro che crea valore, perch solo in queste condizioni, nella societ mercantile, il lavoro privato riconosciuto come sociale e genera un guadagno (in questo
caso di denaro) (ivi, 102103). Il lavoratore allinterno di una fabbrica non riceve un reddito perch il prodotto del suo lavoro si rivelato expost scambiabile
con altri e quindi con denaro, ma perch egli esegue le direttive del piano della
direzione; a queste condizioni, per la societcomunit, il suo lavoro immediatamente sociale e percepir un reddito. Il produttore mercantile pu al massimo
tentare di prevedere se e quanto il suo lavoro sar considerato socialmente equivalente a quello degli altri. Non immediatamente sociale, non gli basta produrre
concretamente: tale produzione deve poi equipararsi con una certa somma di denaro e solo alla ne il suo guadagno sistematicamente doppio rispetto, tanto per
fare un esempio, a quello di uno spazzino, pu dirgli che il suo lavoro concreto
socialmente equiparato al doppio rispetto a quello delloperatore ecologico.
Rubin ritiene totalmente travisante del marxismo la concezione siologica del
lavoro che crea valore, confondendola con quella genuina di lavoro astratto.
Essa vede nel lavoro tecnicamente e concretamente inteso (lavoro come fattore
di produzione) non gi un presupposto necessario del lavoro astratto e di ogni
forma sociale in genere.
Prescindiamo in questo capitolo dal capitalismo, dunque dal fatto che il lavoro operaio nel
capitalismo si tramuta non in semplice lavoro sociale, ma in lavoro salariato; lavoro assolutamente
mercantile che non solo crea valore, ma dal punto di vista marxista anche plusvalore.
I criteri e le dinamiche con cui nasce e si ditermina questo reddito non sono ovviamente
qui arontate.
parere di chi scrive che un lavoro incapace di produrre alcun valore duso non certamente in grado di produrre valori duso per altri, merci. Daltra parte lutilit materiale del lavoro
presupposto di ogni lavoro, non solo di quello mercantile: il padre che costruisce in garage la bicicletta per la glia svolge un lavoro certamente utile, probabilmente anche siologicamente uguale
a quello di un produttore di biciclette, ma non per questo egli stesso produce valore regalandola
alla pargoletta.
Rubin ritiene (ivi, 110) che anche la concezione che vede un denominatore comune siologico nei vari lavori un presupposto delleconomia: se non fosse possibile per gli uomini
intraprendere vari tipi di lavoro a causa di vincoli biologici, non vi sarebbe alcuna divisione sociale del lavoro, ma al massimo una societ simile a quella delle api e delle formiche, dove la divisione
del lavoro complessivo non sociale, ma naturale. E non muter ntanto che non sar la specie
stessa a mutare.
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2.1. Il lavoro astratto. Secondo Rubin la teoria marxiana del lavoro astratto parla dellequivalenza sociale dei lavori per mezzo del valore delle merci, che
tipica ed esclusiva delleconomia mercantile. Il lavoro astratto un sottotipo di
lavoro socialmente equivalente: quello rei cato in merci e poi in denaro, che fa
astrazione di ogni caratteristica tecnicoconcreta dei lavori, ma li eguaglia ad una
uguale somma di merce equivalente generale, il denaro, che rappresenta astrazione concreta di tutti i lavori (ivi, 112 e 123). Due lavori agli antipodi tra loro
concretamente, ma socialmente equiparati alla stessa quantit di denaro, sono
uguale quantit di lavoro astratto, di lavoro che crea quel valore attaccatogli. In
uneconomia piani cata, invece, non c alcun bisogno che i lavori individuali
si traducano in lavoro astrattamente generale, poich non entrano in contatto
tra loro se non per le esigenze tecnicomateriali del usso produttivo; essi sono
subordinati al piano, che stabilisce direttamente lequivalenza funzionale degli
stessi.
Rubin fa notare che anche se lequivalenza sociale dei lavori come lavoro astratto si stabilisce mediante lo scambio, alcune propriet che caratterizzano il lavoro
concreto hanno unin uenza causale sulla determinazione quantitativa del lavoro
astratto, prima e indipendentemente dallatto di scambio (ivi, 124); dunque in
questo senso che devessere letta laermazione che il valore viene creato nella sfera della produzione e non dallanarchia dello scambio. Un lavoratore che produce
con una produttivit straordinaria (perch pi abile della media, perch pi
intelligente e sfrutta meglio i mezzi di produzione, ecc.) ritrover il suo lavoro
concreto equiparato a una quantit di valore maggiore della media, come se avesse lavorato astrattamente 16 ore invece che 8, poniamo. Ma Marx (1964, 76)
precisa che tale livello medio dato per una determinata societ in un determinato periodo; non appena il suo lavoro straordinario ritorna ad essere ordinario
rispetto agli altri lavoratori del suo settore, il suo lavoro di 8 ore verrebbe di nuovo
equiparato a 8 ore.
2.2. Il lavoro socialmente necessario. Rubin aerma quindi che sulla base dellequiparazione di valore delle merci di uno stesso tipo, anche i relativi lavori
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per la produzione di tali merci sono livellati ed equiparati ad una uguale quantit di valore. Cos le dierenze di lavoro concreto individuali si trasformano
in uguale lavoro astratto, valore attribuito a quella merce. Tale valore quello
che serve a impiegare il lavoro socialmente ritenuto necessario per la produzione
di quella merce particolare; cos il valore di una merce non tanto determinato
dalle condizioni di produzione pi sfavorevoli, ma piuttosto dalle condizioni pi
diuse, quelle che apportano la maggior massa di merci. dunque evidente che le
imprese a maggiore produttivit rispetto alla media producano merci dal valore
teorico individuale pi basso rispetto a quello di mercato, realizzando un extra
pro tto; il contrario vale per quelle pi improduttive. I lavori privati tendono
cos a livellarsi anche a livello tecnicoproduttivo oltre che sociale attraverso
lequiparazione dei dierenti lavori individuali con una quantit unica di lavoro
astratto.
2.3. Il lavoro quali cato. Rubin prosegue notando che, se il modo di produzione mercantile equipara quantitativamente lavori individuali dierenti quanto a intensit, abilit, produttivit, ecc., anche i lavori di dierenti quali che vengono comparati e valutati tra loro. Lequiparazione dei lavori mediante quella
delle merci non pu che trasformare in quantitativa soltanto lequiparazione dei
lavori concreti qualitativamente dierenti. Certamente un sarto che lavora molto
intensamente produce pi abiti del suo collega di quartiere, acco e sonnolente, rappresentante la media dei sarti della zona; questa equiparazione tra lavori
dierenti in intensit la teoria del lavoro socialmente necessario che premia la
maggiore produttivit attraverso lattribuzione di un valore unico di mercato alle
merci dello stesso tipo che rispecchia le condizioni di produzione dominanti. Ma
anche lavori totalmente diversi tra loro vengono equiparati sul mercato, ricevendo
le loro merci unattribuzione di valore, mentre i lavori ricevono la forma di lavoro
astratto solo quantitativamente dierente tra loro. Tutti i lavori, infatti, presentano diversi gradi di specializzazione, esperienza, quali cazioni; senza contare che
molti mestieri richiedono n da subito competenze speci che, che non possono
essere improvvisate o acquisite in tempi non considerevoli o che non possono
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essere acquisite aatto da tutti. Il mercato valuta questi lavori in misura maggiore rispetto a quelli che non richiedono particolari specializzazioni o abilit, ma
non sulla base smithiana del maggior valore della forzalavoro (ivi, 131), bens
sulla base della necessit che la societ ha di questi lavori e, di conseguenza, della
convenienza economica che anima i soggetti economici nella societ di mercato:
il valore del prodotto del lavoro quali cato deve superare quello del prodotto del lavoro meno quali cato di un ammontare suciente a compensare le dierenti condizioni di produttivit e a stabilire un equilibrio
tra i due. [] Il problema del lavoro quali cato si riduce allanalisi delle
condizioni di equilibrio tra forme diverse di lavoro diversamente quali cate. (ibidem).
Secondo Rubin leconomia mercantile si regola proprio sulla base del meccanismo
del vantaggio relativo rispetto agli altri lavori (ivi, 130): un produttore si specializza, si quali ca e ana le sue abilit rispetto al livello base della societ se e solo se
il suo lavoro specializzato sar posto socialmente come superiore al lavoro generico, cio solo se verr posto equivalente ad una quantit maggiore di lavoro astratto,
il che signi ca che il lavoro quali cato lavoro semplice moltiplicato. E ci si veri ca se e solo se le merci che produce vengono valutate sul mercato un certo numero
di volte maggiore rispetto a quelle delle professioni pi generiche. Il produttore
mercantile, infatti, non produce direttamente per i bisogni della societ, ma per il
valore che spera di ricavare in cambio del suo lavoro; lequiparazione tra lavori di
dierente specializzazione un fattore costante in una societ basata sulla divisione del lavoro, ma solo nella societ mercantile questo fatto assume la forma di
Ad esempio tutte quelle che richiedono studi e formazione particolari, iscrizione agli albi,
particolari caratteristiche sico-attitudinali, ecc.
Tale livello cambia nei dierenti luoghi ed epoche storiche, ma per una societ in un certo
momento, esso dato. (Marx 1964, 76). In altri termini, tanto per fare un esempio, potremmo
dire che nellarretrata Russia del XIX secolo, il lavoro semplice di un qualsiasi operaio della industrializzata Inghilterra poteva essere considerato come lavoro quali cato, sulla base della dierenza
tra saper manovrare solo una zappa e saper far andare anche una macchina industriale a vapore.
Ma allinterno della realt inglese, anche un operaio altamente quali cato in Russia probabilmente
altro non era che fornitore di lavoro generico, semplice, non particolarmente quali cato rispetto
a chiunque altro.
, a mio avviso, evidente che persino allinterno della quotidiana divisione dei compiti familiari tale dierenza di esperienza e quali cazione viene tenuta in forte considerazione
nellequiparazione sociale dei compiti; cos si premiano con rumorose eusioni e slanci dorgoglio
i 10 minuti spesi dal bambino che per la prima volta ordinatamente aiuta i genitori a sparecchiare
la tavola, mentre le ore passate dalla mamma a cucinare, lavare, stirare, pulire, ascoltare e, come se
non bastasse, lavorare, vengono spesso equiparate con un semplice che c da mangiare stasera?.
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lavoro quali cato come maggior lavoro astratto rispetto a quello semplice, distinto da esso solo per la maggiore quantit, cio per il fatto di essere valutato come
una somma di denaro x volte superiore. Cos lequiparazione sociale tra i lavori di
bracciante agricolo e avvocato non si esprime nei soldi qualitativamente diversi che
il secondo guadagna rispetto al primo, bens con i soldi quantitativamente maggiori che il principe del foro si intasca rispetto ai pochi spiccioli dei dannati della
terra. Se la teoria del lavoro socialmente necessario mira oltretutto a spiegare la
spinta al progresso tecnico nella societ mercantile attraverso lequiparazione dei
dierenti lavori individuali nello stesso settore, la teoria del lavoro semplice intende
certamente spiegare anche la tendenza allaccrescimento del livello produttivo del
lavoro sociale attraverso lequiparazione sociale dei dierenti rami della produzione,
spingendo i produttori a quali carsi per poter investire il proprio lavoro in quei
rami produttivi maggiormente valutati. Nel tempo si tende a un certo equilibrio,
nuovamente rotto da nuovi lavori ancora pi quali cati.
Abbiamo n qui visto linterpretazione di Rubin della forma che assume il
lavoro nella societ mercantile, dunque in quale veste esclusiva esso crea valore ed
sostanza di valore: quando da concreto diviene astratto, quando da individuale
diviene socialmente necessario, quando da diversamente quali cato diviene multiplo di lavoro semplice. Ora possiamo esaminare la legge del valore, che Rubin
de nisce la legge dellequilibrio delleconomia mercantile (Rubin 1976, 54).
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teorico il capitalista non esiste ancora e verr introdotto nel prossimo dedicato allanalisi del prezzo di produzione come legge dellequilibrio delleconomia capitalistica (ivi, 200203); ci occupiamo quindi solo di un aspetto della societ
capitalistica, quello dello scambio di merci tra semplici produttori.
I produttori non hanno altro modo di conoscere la distribuzione sociale del
lavoro se non attraverso il sistema dei prezzi che ricavano sul mercato dalla domanda in rapporto alloerta. Nessun produttore pu in uenzare la produzione
sociale se non con la sua capacit di orire una diversa quantit di merci, modicandone quindi i prezzi di mercato variando il rapporto tra oerta e domanda
sociale: in caso di dierenza di guadagni a parit di lavoro investito si veri cher in un periodo sucientemente lungo una redistribuzione sociale del lavoro da
quelli meno remunerativi a quelli pi remunerativi, no a che una stessa quantit di lavoro socialmente equivalente impiegata anche in rami dierenti fornisca
a ciascun produttore uguali vantaggi, cio la stessa quantit di valore, di denaro.
I lavori spesi per merci diverse dal valore uguale sono concretamente diversi, ma
socialmente eguali.
La situazione ipotetica di equilibrio generale il risultato della vendita dei prodotti ai loro valori. Tutti i produttori hanno cercato di impiegare il loro lavoro in
quelle attivit pi remunerative, compatibilmente con la loro quali cazione; la
societ ha ridistribuito le forze produttive, cessa ogni movimento. In questo stato
di cose i prezzi delle merci dei vari lavori corrispondono alleettiva equiparazione che la societ ha fatto di tali lavori: in quel dato momento, cio con quel dato
livello di forze produttive, la vendita ai valori esprime eettivamente la distribuzione del lavoro coerente con il livello delle forze produttive sociali impiegate per
la produzione di ci che la societ pagante ritiene utile.
Tale situazione in cui tutti i lavori possono dirsi socialmente eguali quella
Tantomeno esistono le ulteriori specie di capitalisti, oggetto dellanalisi di Marx nel III
Libro del Capitale: imprenditori, capitalisti commerciali, banchieri, ecc.
Rubin molto rigoroso a non considerare come sinonimi il lavoro socialmente equivalente con quello astratto, cio lavoro socialmente equivalente rei cato in merci e tipico della
societ mercantile. Tuttavia, siccome la nostra analisi sempre riferita nel contesto della societ mercantile, in questa sede utilizzeremo questi termini come equivalenti, se non diversamente
speci cato, poich ritengo il primo maggiormente immediato e chiaro.
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di equilibrio generale: i prezzi delle merci non sono spuri a causa di momentanei
squilibri di domanda e oerta, ma corrispondono ai loro valori, la situazione
teorica in cui ogni trasferimento di lavoro da un ramo allaltro cessato perch
nessun trasferimento ulteriore provocherebbe maggiori guadagni.
Numerose sono state le critiche mosse contro la teoria del valorelavoro, obiettanti che nella realt i prezzi non sono praticamente mai uguali ai valori, che uguali
quantit di lavoro non sempre portano gli stessi guadagni. Tale divergenza costante dei prezzi delle merci dai loro prezzi dequilibrio i valori non sarebbe per
aatto un difetto della teoria del valore, ma anzi una sua conferma: solo grazie
a questa divergenza dal prezzo dequilibrio che la societ pu modi care al sua
produzione trasferendo lavoro da un settore allaltro, aumentando la tecnologia e
la produttivit allinterno dei rami di produzione, innalzando le sua potenzialit
e quali che (Rubin 1976, 64). Se le merci si scambiassero sempre a prezzi corrispondenti ai valori, la produzione mercantile non sarebbe in grado di rispondere
alle mutate esigenze della societ nel tempo; nella produzione mercantile, che
produzione cieca e anarchica, ogni legge regolatrice non pu che essere legge di
natura (Marx 1964, 107) al di fuori della coscienza degli uomini. Tale prezzo
dequilibrio funge quindi da centro di gravit dei prezzi di mercato, quotidianamente oscillanti e diversi dal prezzo medio ma sempre tendenti ad esso, come in
forza di una qualche legge.
A parere di chi scrive, la scoperta di questo prezzo dequilibrio n qui esposta non lascia spazio a particolari dubbi o dicolt di comprensione: con le premesse sociologiche fatte in precedenza, che nel modello di societ capitalistica
ultrasempli cata di cui stiamo trattando lo spostamento dinvestimento del
proprio lavoro cessi non appena ogni lavoro dia gli stessi bene ci, non certo un
risultato che stupisce e potremmo considerarlo quasi un corollario delle premesse
sociologiche della societ di mercato nora poste. Che le forze produttive di ogni
societ mercantile (compreso il capitalismo) si distribuiscano sulla base del valore
di scambio delle loro merci, che deve gravitare attorno ad un prezzo dequilibrio
E del quale trattano il Rubin dei capitoli no al diciottesimo, nonch il Marx della prima
sezione del primo libro del Capitale .
24
25
vale di pi, dal momento che con meno tempo produce quanto gli altri in pi
tempo; cos, per fare unipotesi, se prima i tessitori vendevano 10 metri10 metri
di stoa a 1 sterlina luno impiegando una giornata (es. 10 ore) e ottenendo quindi un ricavo di 1 sterlina allora come tutti gli altri, ora in una giornata possono
produrre 20 metri e aspettarsi un ricavo di 20 sterline, sfregandosi le mani nel
pensiero di essere remunerati il doppio dei loro amici fabbri e di tutti gli altri.
Che vada in questo modo (espansione della produzione tessile) o in quellaltro
(cio un mercato che non assorbe una produzione cos elevata allo stesso prezzo
di 1 sterlina a metro), leettiva equiparazione sociale dei lavori che si compie nella compravendita eguaglia i lavori che costituiscono parte del lavoro complessivo
con certe quantit di lavoro astratto, lavoro socialmente equivalente (ma rei cato
in merci in funzione dellequiparazione stessa). I maggiori guadagni rispetto alle
ore di lavoro investite il segnale che attira a lavorare nella tessitura (e nelle nuove
condizioni) una parte di coloro che lavoravano in altri settori meno remunerativi
e che possono entrarvi, continuando a espandere la produzione ntanto che il
prezzo non si sar livellato a un punto dove cessa il movimento di lavoro, la sua
redistribuzione sociale. In tal punto cessa la nuova equiparazione sociale dei lavori e lattribuzione della qualit e quantit astratta ai lavori concreti, ssandosi sul
mercato lespressione della quantit di lavoro astratto, il valore: uguali quantit di
lavoro astratto creano uguali quantit di valore. In altre parole, potremmo dire con
un esempio che: supposta [dal mercato come risultante dellequiparazione di merci e del conseguente processo di redistribuzione sociale del lavoro fondato sulle
forze produttive esistenti in quel momento nella societ] lequivalenza sociale di 8
ore da avvocato con 16 ore da bracciante agricolo, dunque che per la societ 8 ore
da avvocato e 16 ore da bracciante sono la stessa quantit di lavoro astratto, la stessa parte aliquota del lavoro sociale complessivo, allora tali lavori creano [rei candosi
in merci, dunque prodotti vendibili sul mercato] nello stesso tempo la medesima
quantit di valore.
26
Secondo Rubin i prezzi di mercato delle merci e ancor pi quelli individuali dei singoli prodotti non sono quindi sempre corrispondenti ai valori, ma
da essi vengono determinati. I prezzi coinciderebbero con i valori solo nel caso
puramente accidentale di un equilibrio generale: laddove ci avvenisse, infatti, i
prezzi fornirebbero uguale valore per uguale quantit di lavoro astratto, uguale
quantit denaro per lavori considerati socialmente uguali, dove tale uguaglianza
sociale si aerma nel fatto che cessato ogni trasferimento di lavoro da un settore allaltro. Ma ci un caso estremamente raro poich nelle societ mercantili
i produttori sono autonomi nellorganizzazione della loro attivit economica, rivoluzionando continuamente i loro processi produttivi e prodotti, creano nuovi
mercati, stabilendo di continuo nuovi standard, nuovi tempi di lavoro socialmente
necessari.
Rubin aerma che la redistribuzione sociale del lavoro il movimento con
cui qualsiasi societ basata sulla divisione del lavoro adegua il sistema produttivo
alle mutate esigenze; allinterno di una societ-azienda si registrano cambiamenti
di produttivit e conseguentemente di obiettivi, modi cando la produzione per
obbedire a nientaltro che alla legge dellecacia e dellecienza, cio cercando di fare in modo che la produzione giunga a risultato e che lo faccia nel modo
meno dissipativo possibile. Nella societ mercantile semplice, invece, i lavori
vengono trasferiti da una parte allaltra in obbedienza cieca alla legge del valore:
cambiamenti di produttivit modi cano le quantit di lavoro astratto delle merci,
che si rispecchiano in un diverso valore che, in ne, determina la distribuzione del
lavoro sociale (Rubin 1976, 54). Nel precedente esempio, nessuno avrebbe avuto
il potere a suon di decreti, di prediche o di maledizioni n di avviare n di
far cessare lausso di lavoro nel settore tessile, se non la legge del valore: a causa
dellaumento della produttivit del settore, il valore di queste merci inferiore a
Che Marx chiama anche legge tecnica dello stesso processo di produzione (1964, 388),
pur riferendosi in questo caso al tempo di lavoro socialmente necessario come forza esterna che
condiziona i produttori. Viene sottolineata anche in questo caso la dierenza tra lavoro immediatamente sociale (soggetto soltanto allecacia ed ecienza produttiva rispetto agli obiettivi) e il
lavoro sociale mediato dalle merci (soggetto soltanto al valore di esse).
Poich la legge del valore si presenta ai produttore come legge di natura (Marx 1964,
107), legge della distribuzione del lavoro complessivo nella societ mercantile.
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quello precedente perch per la loro produzione si sta spendendo gi quel nuovo
tempo di lavoro lavorativo sociale che la societ eettivamente pu spendere per
quella merce (ivi, 65), che inferiore rispetto al precedente. Di conseguenza i
prezzi debbono crollare, adeguandosi al nuovo valore.
La legge del valore dunque la legge dellequilibrio delleconomia mercantile,
forza che in uenza e determina i prezzi di mercato e attraverso essi il lavoro sociale:
Le uttuazioni dei prezzi di mercato sono in realt il barometro, lindice
del processo di distribuzione del lavoro sociale che si svolge in profondit della vita economica. Ma un barometro alquanto insolito, che non
si limita ad indicare il tempo, ma lo modi ca. Le diverse fasi del tempo atmosferico variano anche senza le indicazioni del barometro. Ma
le fasi della distribuzione sociale del lavoro si succedono solo entro le
uttuazioni dei prezzi e sotto la loro pressione. (ibidem).
e ancora:
Se il movimento dei prezzi di mercato collega due fasi della distribuzione sociale del lavoro, possiamo porre una stretta correlazione tra lattivit
degli agenti economici e il valore. La spiegazione di tale correlazione
andr ricercata allinterno del processo sociale di produzione, non in fenomeni esterni [] che non siano collegati da un rapporto funzionale
permanente. Per esempio, non cercheremo la spiegazione nelle valutazioni soggettive individuali [] considerate astrattamente rispetto al
processo produttivo. (ibidem).
Marx scrive: la legge del valore delle merci determina quanto la societ pu spendere,
nella produzione di ogni particolare genere di merci, della somma di tempo lavorativo che ha
disponibile. (Marx 1964, 399).
CAPITOLO 3
30
pv
c+v
pv
,
k
2. IL PREZZO DI PRODUZIONE
31
2. Il prezzo di produzione
Nel capitalismo il prezzo della merce che garantisce un tale stato di cose il
prezzo di produzione, de nito come P P = k + kp ; capitali quantitativamente uguali (k uguali) producono in equilibrio merci vendute allo stesso prezzo di
produzione. La distribuzione del capitale che avviene sulla base del saggio del
pro tto comporta anche una determinata distribuzione del lavoro; capitali di
eguale entit producono merci delleguale prezzo di produzione, anche se essi dovessero avere una composizione organica molto dierente, cio essere composti
da masse di lavoro morto e lavoro vivo che potrebbero essere non considerati
come socialmente equivalenti in un contesto mercantile semplice, privo del comando del capitale sul lavoro e della sua espropriazione a questultimo del potere
di organizzare lattivit economica.
Noi sappiamo che questa possibilit per le merci di essere vendute nel lungo
periodo a un prezzo non corrispondente al loro valore (bens al prezzo di produzione) ha dato il via a una lunghissima serie di critiche a Marx, alle quali abbiamo
solo appena accennato nel primo capitolo. Per Rubin invece questa contraddizione non esiste in Marx; viceversa, esisterebbe un ponte tra prezzo di produzione e
valore basato su quello tra distribuzione del capitale e distribuzione del lavoro (ivi,
186). Rubin suppone una situazione dequilibrio, due capitali di eguale grandezza (es. 100), la stessa capacit di sfruttare la manodopera (es. 100%: ogni ora
di lavoro richiede come salario soltanto la met del valore aggiunto imputabile a
tale ora di lavoro nel processo produttivo), ma con diversa composizione organica: 4:1 contro 2,33:1 (cio 80c + 20v contro 70c + 30v). Lipotesi dequilibrio ci
dice che i due capitali producono merce dal prezzo di produzione identico, cio
Che ricordiamo essere il rapporto tra capitale speso in mezzi di produzione e capitale speso in
salari, cio vc . La composizione organica, caratteristica del capitale, va distinta dalla composizione
tecnica o produttivit del lavoro, che cosa dellattivit produttiva in s indipendente dal modo
di produzione: MLP , mezzi di produzione in rapporto al lavoro necessario per metterli in moto.
Che in realt non una semplice possibilit, ma una vera e propria certezza, dal momento
che la totale identit tra prezzi di produzione e valori si ha solo con luguaglianza della composizione organica dei capitali. Data limpossibilit di questa evenienza per via delle dierenti
quantit di lavoro che richiedono materialmente le varie produzioni, si ha che generalmente i
prezzi dequilibrio delle merci nel capitalismo coincidono con i prezzi di produzione, e non con
i valori.
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pari a 125 ciascuno con un pro tto di 25, pari al 25% del capitale; siccome entrambi i capitali ottengono il medesimo saggio del pro tto nellinvestimento, si
ha una situazione dequilibrio dove non si hanno pi n migrazioni di capitali n,
soprattutto, ulteriore distribuzione sociale del lavoro. In altri termini: attraverso
lequilibrio del capitale si veri ca lequilibrio nella distribuzione sociale del lavoro
dove in un contesto mercantile semplice non si sarebbe veri cata. Dunque la
formula dellequilibrio del lavoro si fa pi complessa perch a sua volta dipende
da un altro equilibrio, quello dei capitali (ivi, 187): diverse quantit di lavoro corrispondenti a capitali eguali sono poste socialmente equivalenti se e solo se sono
rappresentate dal medesimo prezzo di produzione.
Riportiamo la famosa tabella del III libro del Capitale, supposti 5 capitali
di uguali dimensioni che distribuiscono il lavoro sociale complessivo, sempre
supposto il saggio del pluslavoro del 100%:
Distribuzione dei
capitali
I. 100
II. 100
III. 100
IV. 100
V. 100
La terza colonna rappresenta la distribuzione sociale del lavoro, le quantit di lavoro (astratto!) che i vari capitali mettono in moto e distribuiscono, derivate dalla
composizione organica. Il fatto che la seconda e la terza colonna siano espresse
in valori, unito alla consapevolezza dellerrore (Marx 1965, 206) che Marx stesso avrebbe sul fatto che anche i prezzi di costo dei capitali sono in realt prezzi
di produzione e non valori, visto da molti come la grande contraddizione della
teoria del prezzo di produzione e la dimostrazione che tra valore e prezzo di produzione non esiste alcun legame; le due teorie sono dunque alternative. A nostro
Infatti avremmo che 12580
= 2, 25 per ogni v nel primo caso; 12570
= 1, 83 per
20
30
ogni v nel secondo caso, che non aatto una situazione di equilibrio e comporterebbe una
redistribuzione sociale del lavoro. Qualora mantenessimo ssa lipotesi del 100% di pluslavoro
= 2 per ogni v nel primo caso; 13070
= 2 per ogni v nel secondo caso, con
avremmo 12080
20
30
una situazione di perfetto equilibrio.
2. IL PREZZO DI PRODUZIONE
33
avviso, riprendendo le pagine di Marx stesso, egli solo consapevole del fatto che
il modo di esposizione del problema a tabella presenta anche lo svantaggio di
far pensare che in ogni sfera di produzione avvenga un reale passaggio tra valore e
prezzo di produzione: un errore sempre possibile quando, in una determinata
sfera di produzione, il prezzo di costo della merce viene identi cato col valore dei
mezzi di produzione in essa consumati. (ibidem). Tuttavia se il plusvalore che
entra in una merce eccessivo, quello che entra in unaltra troppo piccolo (ivi,
202); se in forza della legge delluguale rendimento per uguale capitale, una merce
in regime di equilibrio di capitali pu essere valutata maggiormente sul mercato
rispetto al regime di equilibrio del lavoro astratto, ci non toglie che la massa totale del lavoro non pagato non pu variare da come i capitalisti si distribuiscono
la ricchezza. Notare che anche i prezzi di costo sono espressi in prezzi di produzione non signi ca altro, a nostro avviso, che la distribuzione del plusvalore in
base allentit del capitale (e non al saggio di pro tto in termini di valore) avviene
continuamente, proprio perch il processo della trasformazione un fatto storico, non contabile; pertanto avviene senza soluzione di continuit e temporalit,
poich tutti i prodotti sono espressi in prezzi di produzione da quando la classe
borghese domina leconomia. Siccome i capitali della societ non acquistano contemporaneamente tutti i fattori di produzione in prezzi corrispondenti ai valori,
per poi rivendere i prodotti tutti contemporaneamente in prezzi di produzione, si
pu ritenere che la rappresentazione matematica usata nelle tabelle di Marx non
sia n dirimente n indispensabile per la spiegazione, ma solo uno strumento come un altro per aiutare a comprendere un aspetto del problema e sottolineare la
dierenza con il precedente modello economico.
Rubin risponde ai critici che ritengono la colonna dei valori arti ciosa (perch non rappresenta i prezzi delle merci di ciascuna sfera di produzione) che un
ri uto del genere signi ca respingere la stessa teoria economica, che ha per oggetto essenziale proprio la distribuzione sociale del lavoro (Rubin 1976, 187188),
collegando la distribuzione sociale del lavoro con la composizione organica dei
34
capitali. Attraverso il prezzo di produzione si modi ca la distribuzione dei capitali e, in ne, quella del lavoro sociale; Rubin intende ora esaminare il primo anello,
il prezzo di produzione, per scoprire se a sua volta in relazione con quella catena propria della societ mercantile analizzata dalla teoria del valore (ibidem), cio
veri care se la legge del valore in uenza ancora e in che modo la distribuzione sociale del lavoro nel capitalismo. Tuttavia gi da ora possibile scorgere un
primo accenno di ponte tra la teoria del valore e quella del prezzo di produzione: la quantit totale del fondo per lespansione del consumo e della produzione
[plusvalore] rimane immutata. (ivi, 195).
3. Componenti del prezzo di produzione
Per sfuggire al circolo vizioso di voler determinare il prezzo di produzione attraverso il valore delle merci che lo compongono, che a loro volta determinato
dai prezzi di produzione, Rubin procede allesame delle condizioni delle variazioni delle componenti dei prezzi di produzione: costi di produzione e saggio medio
del pro tto.
3.1. Costi di produzione. Rubin aerma che, fermo restando il saggio medio del pro tto e quello del plusvalore, i costi di produzione possono variare in
due casi: 1) quando mutano le necessit di lavoro e mezzi di produzione per la
produzione di quella merce, cio quando varia la produttivit del lavoro (in questo caso di quel settore produttivo); 2) quando cambiano i prezzi dei fattori di
produzione, cio quando varia la produttivit del lavoro di tutte le altre industrie produttrici di merci che, in qualsiasi modo, entrano nei costi di produzione.
In entrambi i casi i costi di produzione variano in relazione a mutamenti della
produttivit del lavoro, ossia, in ultima analisi, alle leggi del valorelavoro (ivi,
189).
Per chiarire meglio il collegamento tra la legge del valore e i mutamenti dei
costi di produzione, utilizziamo quello che Rubin chiama il diagramma 2 del
In realt un bel cercle vicieux il voler determinare il valore della merce mediante il valore
del capitale, poich il valore del capitale uguale al valore delle merci, di cui esso consta. (Marx
1863) e anche in Rubin (1976, 188).
Ma anche in Marx (1965, cap. 12).
35
36
Rubin fa notare che nel diagramma descritto sopra evidente che i costi
di produzione possono variare soltanto in base alla legge del valore: c il valore
dei mezzi di produzione, v quello della forzalavoro. Se le altre aziende impiegano meno tempo di lavoro astratto nella produzione dei mezzi di produzione
e/o dei beni di consumo degli operai, i costi di produzione diminuiscono, poich diminuito il loro valore. Se lazienda diviene pi produttiva, abbassando
la composizione organica si risparmia lavoro e dunque si abbassa il costo di produzione poich minore il tempo di lavoro astratto impiegato nella produzione
della merce, minore il suo valore sul mercato.
Egli spiega che nel capitalismo (diagramma 3, capitalisti in concorrenza
tra loro) (ibidem) le cose si complicano, perch il capitalista non solo colui
che si appropria di pv quasi fosse una semplice rendita, ma anche divenuto
lorganizzatore dellattivit economica, il proprietario dei mezzi di produzione e
E sempre supposta la produzione al massimo dellecienza possibile, quindi senza sprechi
di capitale costante.
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delle merci prodotte dal lavoro altrui. Ed esso, in forza di tale potere, dirige la
produzione dove pi gli piace, cio dove pu trarre maggior guadagno possibile
e, comunque, mai inferiore al livello medio.
Se la vendita delle merci ai propri valori e la presenza di capitalisti (diagramma 2) comporta la diversit dei saggi di pro tto individuali, il caso di capitalisti
in concorrenza tra loro per ottenere il medesimo saggio del pro tto implica necessariamente che le merci non possono essere vendute al loro valore perch lo
stesso prezzo di produzione composto da quantit diverse di lavoro astratto.
Ma anche in questo caso la legge del valore a determinare le variazioni nei costi
di produzione, anche se tali variazioni si esprimono in nuovi prezzi di produzione. Indipendentemente dal tipo di domanda aggregata, una variazione positiva della produttivit del lavoro dellimpresa del capitalista comporta pur sempre
un abbassamento del prezzo di produzione a causa della diminuzione dei costi
di produzione, come una variazione positiva della produttivit di tutte le altre
imprese comporta spese minori per mezzi di produzione e salari e, ancora, una
diminuzione dei costi di produzione.
Ora, il fatto che le espressioni quantitative divergano non cambia nulla al
rapporto causale tra le due serie di fenomeni [cambiamenti di produttivit nel
valorelavoro determinati da variazioni della produttivit comportano cambiamenti nei costi di produzioni] (ivi, 189); cos se in una societ priva di concorrenza tra capitalisti avremmo una variazione del prezzo dequilibrio [valore] pari
a x a causa della legge del valore, nella societ capitalistica vera e propria la variazione causata dalla stessa legge del valore sar al pi pari a x . Essa non
sar sempre uguale in termini numerici, ma certamente concordante causalmente e in proporzionalit diretta (infatti variazioni positive del valore comportano
variazioni positive per il prezzo di produzione e viceversa). Tra valore e prezzo,
anche se non esiste un rapporto di identit (ed ovvio, visto che esprimono due
equilibri dierenti), esiste per un rapporto causale diretto dal valore al prezzo di
produzione che si pu notare gi da ora.
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3.2. Saggio medio del pro tto. Rubin passa ad analizzare la seconda componente del prezzo di produzione, vale a dire il saggio medio del pro tto. La teoria
del pro tto costruita da Marx sulla base di quella del plusvalore, che considera il
rapporto tra i redditi delle due classi (ibidem). Il valore di una merce composto
dalle tre componenti c, v, pv: il primo compensa il valore del capitale costante
speso nella produzione, detratto il quale si ottiene il valore aggiunto nella produzione; il secondo il fondo di sussistenza dei lavoratori; il terzo il plusvalore
per il capitalista, da impiegare nel consumo personale e nella accumulazione. Il
plusvalore scaturisce dal fatto che le spese per il mantenimento dei lavoratori sono minori del valore aggiunto nella produzione (ivi, 190); perci le dimensioni
del plusvalore dipendono o dalla quantit di lavoro pagato rispetto a quello non
pagato, o dal numero di lavoratori, dalla quantit di lavoro vivo che un capitale
assume.
Rubin fa per notare che, nel capitalismo, capitali con composizione organiche diverse dunque composti da quantit di lavoro vivo diverse pretendono
lo stesso pro tto in proporzione alla loro entit; tuttavia evidente che la massa
totale del plusvalore non pu essere modi cata rispetto al modo in cui successivamente essa distribuita tra i capitali Supponiamo il caso limite, con due soli
capitali di 100 ciascuno, di cui il primo composto per il 100% da c e il secondo
tutto da v, sempre fermi i salari e il saggio di sfruttamento del 100%. Ora, qualsiasi sia il modo con cui i due capitalisti determinino il prezzo delle loro merci,
E se si osserva la cosa dal punto di vista complessivo (cio a livello di classi sociali) evidente
che da altro non pu giungere; il capitale costante semplice detrazione delle spese per il reintegro
dei mezzi di produzione, detrazione comune sia nel caso di una produzione artigiana, sia nel caso
di quella capitalistica. La dierenza sta nel fatto che la classe dei piccoli produttori si appropriava
di tutto il resto, mentre quella operaia guadagna v, che solo una parte del valore aggiunto, in
vista dellappropriazione dellaltra parte pv per mano dei capitalisti in quanto reddito di propriet
dei mezzi di produzione.
Infatti c non muta e anche v non pu scendere oltre un certo limite (che in una data
societ ssato), pena la riproduzione parziale o mancata della forza-lavoro. Di conseguenza
anche il saggio del pluslavoro non pu variare a piacere e tende a livellarsi.
Escludendo, naturalmente, la determinazione arbitraria basata sul rialzo a casaccio e sulla
trua reciproca. n troppo ovvio che un rialzo arbitrario del prezzo del, mettiamo, 1000%,
provocherebbe un eguale rialzo dallaltra parte una volta scoperto il blu (e pure dei salari,
ovvio, visto che il prezzo del sostentamento della forza lavoro deve necessariamente salire, pena la
mancata riproduzione), con il solo risultato che la stessa quantit di merce (e di valore) si esprimer
in una maggiore quantit nominale di denaro.
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dal punto di vista complessivo c la spesa necessaria per il logorio delle macchine,
e va sempre ripagata integralmente (pena uninterruzione o rallentamento della
funzionalit delle stesse, lacquisto della materia prima, ecc.); solo il compenso
per gli operai che pu essere eventualmente minore del valore totale aggiunto,
per il fatto che luomo, da un certo stadio del suo sviluppo in avanti, ha saputo
produrre con un grado di produttivit tale da garantirgli un certo surplus rispetto
a ci di cui aveva strettamente bisogno per la pura sussistenza.
Non si tratta quindi di una qualche propriet meta sica del fattore di produzione lavoro, quella di creare un plusvalore: essa deriva semplicemente dal fatto
che, al costo di un piatto di spaghetti in pi, un uomo pu far funzionare una
macchina per un giorno intero e produrre un prodotto che vale pi del cibo consumato. Nellesempio dei due capitali, socialmente il prodotto c+v+pv = k+pv:
il necessario per la riproduzione dei mezzi di produzione e della forza lavoro k va
ripagato. Rimane solo pv che, nonostante sia denaro estorto soltanto agli operai
della seconda azienda, la legge dellegual rendimento di capitali uguali si esprime
in prezzi tali da ridistribuirlo anche alla prima azienda.
Vediamo ora linterpretazione che Rubin fornisce del legame causale con la
produttivit del lavoro mediante un altro esempio. Supponiamo presenti nella
societ due soli capitali, espressi gi in prezzi di produzione: 1) 50.000c + 50.000v
e 2) 70.000c + 30.000v, con ssato il saggio del plusvalore pari al 100%. I prezzi
di produzione dei rispettivi capitali sono 140.000 e la massa totale del plusvalore
80.000, in quanto si detratto dal ricavo totale sociale di 280.000 il fondo per il
capitale costante e quello il salario degli operai (cio i costi di produzione totali),
detratti i quali il plusvalore viene ripartito a met (essendo entrambe i capitali
uguali a 100.000) in virt della legge delluguale pro tto per uguale grandezza
del capitale.
Se per qualsiasi motivo la produttivit generale del lavoro aumenta, per esempio, di un terzo, ferme restando le altre condizioni, abbiamo un dimezzamento
del capitale variabile: 1) 50.000c + 37.500v + 37.500pv e 2) 70.000c + 22.500v
+ 22.500pv, con un plusvalore totale di 60.000. Poco conta che, per raggiungere
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un uguale saggio di pro tto per uguale entit di capitale, spetti un pro tto di
poco pi che 29.000 al primo e di quasi 31.000 al secondo e che quindi, se i prezzi fossero identici quantitativamente ai valori, il primo perderebbe 8.333 e laltro
guadagnerebbe la stessa cifra: dal totale di 240.000 necessario sottrarre sempre
i 120.000 di c, poi i 60.000 per gli operai, poich allinizio abbiamo ipotizzato
fermi (nel valore reale) i loro salari. Il totale per i capitalisti non pu che essere il
rimanente, 60.000; che esso venga spartito a met, in una partita a poker, in virt
della legge delluguale pro tto per uguale entit del capitale o sulla base di qualsiasi altra regola, la quantit totale del fondo per lespansione del consumo e della
produzione rimane immutata. Il saggio medio del pro tto in tal caso una grandezza derivata [] determinata dal rapporto tra la massa del plusvalore complessivo
e il capitale sociale totale (ivi, 195). Dunque, determinato anchesso dalla legge
del valore; concettualmente, dal punto di vista globale, vale ancora il diagramma
2.
Rubin, nel capitolo dedicato alla teoria del prezzo di produzione, sostiene che
la popolare immagine nella letteratura marxista che il plusvalore sia distribuito
tra i capitalisti come i dividendi tra gli azionisti di una s.p.a., non deve far pensare che questo processo di redistribuzione del plusvalore abbia luogo davvero
nella realt fenomenica; non esiste evidentemente nessun luogo dove i capitalisti
si riuniscono per spartirsi il bottino. Questo processo di distribuzione avviene
continuamente nel mercato per via dei prezzi di produzione, che ripartiscono il
valore non sulla base delleguale quantit di lavoro astratto socialmente necessario per la produzione di quella merce, ma sullentit del capitale in rapporto al
pro tto medio; cos il capitale 70.000c + 15.000v trae i suoi 17.000, con i 2.000
in pi di quello che gli spetterebbe, in teoria, se non ci fosse concorrenza tra i
capitali. Ma del tutto evidente che gli altri capitalisti non hanno nulla da recriminare, proprio in virt della legge del livellamento dei pro tti. Sono soldi di
cui si appropria direttamente nello scambio in virt della legge delluguale saggio di pro tto, saltando la fantasia dei capitalisti riuniti a spartirsi il plusvalore
traboccante, che sarebbe travasato (ivi, 191) da un capitale allaltro.
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del valore. Lo schema produttivit del lavoro lavoro astratto valore distribuzione del lavoro sociale diventa nel capitalismo mediato da una fase intermedia,
dovuta alla distribuzione del capitale: produttivit del lavoro lavoro astratto
valore prezzo di produzione distribuzione del capitale distribuzione del lavoro
(ivi, 202). Nelleconomia mercantile semplice una maggiore produttivit del lavoro concreto si trasformava in una minore quantit di lavoro rei cata in merci,
la quale modi cava e rideterminava la distribuzione del lavoro sociale in virt della legge dellegual guadagno per eguale quantit di lavoro. Nel capitalismo una
maggiore produttivit del lavoro concreto si trasforma ugualmente in una minore
quantit di lavoro e in un minor valore unitario della merce, ma non in grado
di modi care direttamente la distribuzione sociale del lavoro perch il prezzo delle
merci soggetto alla legge dellegual pro tto per eguale capitale; in uenza per
comunque il prezzo di produzione (i suoi costi di produzione o il saggio medio
del pro tto o entrambi) e, di conseguenza, la distribuzione del capitale e quindi la
distribuzione sociale del lavoro.
Conclusioni
In questo lavoro avremmo potuto passare in rassegna le varie posizioni del
dibattito sul cosiddetto problema della trasformazione, scegliere quella che ci
sembrava la pi coerente con la dottrina marxista, svolgere largomentazione ricorrendo a citazioni, procedendo in ne alla identi cazione delle tesi pi convincenti;
avremmo anche potuto redigere il tutto in una veste neutrale, oppure ampliare la
controversia con una nuova posizione.
Si scelta invece unaltra strada e un altro obiettivo: non solo non individuare
vincitori n giudicare nessuno, ma uscire proprio dal tribunale per cercare di vedere le cose da un altro punto di vista, pi storicosociologico e meno economico.
Cos lo studioso russo oggetto della nostra indagine, Isaak Ilijc Rubin, ha avuto
lintenzione di chiari care che dietro al processo di trasformazione dei valori in
prezzi di produzione cera nientemeno che la storia dellascesa del capitalismo e
della sua classe borghese.
Questa tesi lascia ad altri lelaborazione di sistemi algebrici volti a ricavare da
una serie di equazioni le varie incognite chiamate saggio generale del pro tto,
prezzi di produzione, ecc, per poi dimostrare se la trasformazione avviene oppure no, magari con lausilio di so sticati software matematici. Noi invece, con
in mano un semplice libro di storia, riteniamo che il dubbio se la trasformazione
avvenga o meno labbia gi risolto la borghesia da almeno 200 anni con la pragmaticit che la contraddistingue: facendo lavorare la ghigliottina a orario continuato
contro laristocrazia feudale, espropriando le terre comuni, sottomettendo i piccoli produttori e trasformandoli in operai salariati, modellando il mondo intero
a sua immagine e somiglianza facendolo gravitare attorno ad un unico centro di
gravit, il Capitale.
Per noi, dunque, ntanto che dominer incontrastato sul pianeta il modo di
43
44
CONCLUSIONI
produzione capitalistico, i prezzi delle merci ruoteranno attorno al prezzo di produzione in quanto prezzo che esprime la necessit delluguale pro tto per uguale
entit del capitale. Questa la prima fondamentale e ovvia conclusione, accettata persino da Marx che, a riguardo, ha arontato lenorme lavoro di scrivere
il III libro del Capitale.
Se linteresse quello di scoprire cosa ci sta sotto ai prezzi relativi delle merci
nel capitalismo, la risposta : il prezzo di produzione. Nel capitalismo solo
quello, non c altro centro di gravit concorrente; mentre se linteresse fosse stato
relativo allepoca feudale, avremmo forse risposto che in mezzo ci stavano anche
e soprattutto rapporti di signoria e servaggio. Ma a Rubin, come a noi, venuto
linteresse di provare a guardare oltre ai rapporti tra cose, suscitandoci sospetto e
stranezza il vedere qualit tipiche ed esclusive degli individui (rapporti sociali di
produzione) attribuite agli oggetti. I prezzi relativi delle merci ricoprono cos
un importanza secondaria, derivata. Si riprende dunque la teoria del feticismo
della merce gi contenuta in Marx interpretandola per quello che : la premessa
sociologica di ogni analisi marxiana, in particolare di quella che analizza i rapporti
tra produttori semplici di merci, vale a dire la teoria del valore, che comprende
la teoria del prezzo di produzione in quanto anche nel capitalismo i rapporti di
produzione sono espressi nella compravendita feticistica di merci.
probabile che se si vede il problema della trasformazione come una questione di esistenza o inesistenza di soluzioni di un dato sistema di equazioni, oppure
come unanalisi di presunte contraddizioni tra il I e il III libro, si ricade nella diatriba che ha impegnato cos tanti studiosi nel corso di pi di un secolo. Questa
tesi, attraverso la voce di Rubin, sostiene invece altri due concetti fondamentali:
(1) oggetto dellanalisi di Karl Marx non unentit ideale o meta sica, bens la societ capitalistica, un modo di produzione reale e storico; conseguentemente non possono essere accettate interpretazioni della teoria
del valore-lavoro come una componente defettibile del sistema teorico
La cui dicolt e pena si evince chiaramente dalla lettera a Engels del 1866 (Marx 1965,
1017).
CONCLUSIONI
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marxiano.
(2) la conseguente sterilit di ogni approccio che, arontando Marx, non
tiene conto dellanalisi sociologica (di cui soprattutto il I libro pieno
in ogni punto) e si limita a una comparazione logicomatematica di
enunciati slegata da essa, priva di ogni carattere dialettico.
Cos per alcuni la teoria del valore non la teoria della struttura fondamentale delleconomia mercantile tenuto in considerazione un solo aspetto sociologico
(produzione atomistica, individui formalmente eguali, ecc.), ma una idealistica
teoria che sgorga dalla mente di Marx da contrapporre allaltra ugualmente idealistica sua teoria del prezzo di produzione. Questo Marx privato nientemeno che
del materialismo storico (e ancor di pi del materialismo dialettico) conduce a
una diatriba che riteniamo essere pi inutile che sbagliata.
Ci auguriamo dunque che questa tesi possa contribuire ad alimentare un corretto interesse scienti co verso questi argomenti, la cui potenza facilmente intuibile (si consideri per esempio lopera di Henryk Grossman), e che poggiano
tutti sulle fondamenta della teoria marxiana del valore. Conclusione, nonostante
tutto, niente aatto condivisa da tutti.
Bibliogra a
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