Professional Documents
Culture Documents
Capitolo 2 La dominazione longobarda
in Italia
Sommario 1. Le invasioni longobarde: una rottura per la storia d’Italia. - 2. L’insedia-
mento sul territorio. - 3. Le principali istituzioni longobarde. - 4. L’assem-
blea longobarda. - 5. L’Editto di Rotari. - 6. Il regno di Liutprando.
1. Le invasioni longobarde: una rottura per la storia d’Italia
Una delle principali dominazioni seguite all’invasione germanica dei territori imperia-
li fu quella realizzata dai Longobardi in Italia. La discesa dei Longobardi (iniziata nel
568 o, secondo la storiografia più recente, nel 569) aprì infatti una nuova fase nella
storia della penisola. Questa aveva continuato fino a quel momento a far parte dell’Im-
pero, o in quanto direttamente assoggettata ad esso, o attraverso l’azione di popoli
germanici che governavano in nome di Bisanzio. Le tribù longobarde, provenienti
dalla Pannonia (attuale Ungheria) e guidate dal re Alboino, recisero invece ogni legame
con l’Impero, occupando militarmente la penisola, respingendo ogni trattativa con
l’autorità imperiale e rifiutando qualsiasi forma di legittimazione da parte di quest’ul-
tima. L’occupazione longobarda diede quindi inizio alla divisione politica dell’Italia:
ad invasione ultimata (650 ca.), ai Bizantini rimasero soltanto l’Esarcato di Ravenna,
l’Istria, il Ducato di Roma, il Ducato di Napoli, la punta estrema della Calabria e la
Sicilia.
Di tutti i popoli germanici, i Longobardi avevano risentito meno dell’influenza roma-
na. Essi, infatti, soltanto nel 488 avevano occupato una regione di cultura e civiltà
romane: la Rugilandia (l’odierna Bassa Austria). Tra il 527 e il 547 portarono poi a
termine la conquista della Pannonia, dove svilupparono i primi elementi di quel siste-
ma di governo del territorio che avrebbe caratterizzato in seguito la fase iniziale del
loro insediamento in Italia.
Dottrina
Nell’opinione di JARNUT, i Longobardi vittoriosi non giungevano in Italia come in passato erano
giunti gli Ostrogoti, e cioè come federati, che si erano almeno sforzati di mantenere una parvenza di
ordine e di disciplina romani. Essi arrivavano invece come nemici. La loro conquista dell’Italia fu
un’impresa sanguinaria e brutale, che a molti membri dei ceti superiori e medi costò, se non la vita,
24
Parte prima Il Medioevo dalla caduta dell’Impero Romano alla formazione del diritto comune
la totale perdita dei beni. Pagani o ariani che fossero, i Longobardi non ebbero alcun rispetto per le
chiese, i loro officianti e le loro proprietà.
Secondo CALASSO «l’invasione dei Longobardi non aveva nulla in comune con quella dei barbari rac-
cogliticci comandati da Odoacre […]. Odoacre, impadronitosi dell’Italia, aveva riconosciuto spontanea-
mente ogni suo potere dall’imperatore di Bisanzio. Ancora in nome dell’imperatore di Bisanzio, Teodori-
co poco dopo aveva occupato l’Italia e non v’ha dubbio che i suoi barbari si considerarono sempre come
milizie federate dell’Impero.
Ben altrimenti i Longobardi, i quali scesero da conquistatori e, nelle terre che riuscirono a sottomettere,
spezzarono ogni rapporto con l’Impero».
Dopo la morte di Alboino (572) e fino al 584, le farae, ossia il nucleo fondamentale
della società longobarda formato da un insieme di famiglie unite da consanguineità, si
insediarono sul territorio in unità militari indipendenti. Il paese venne diviso in duca-
ti (dal Veneto alla Lombardia se ne formarono una trentina), all’interno dei quali il
duca governava in piena autonomia. Nelle campagne i conquistatori longobardi si
sostituirono ai latifondisti romani. Queste grandi proprietà terriere vennero denomina-
te curtes. Mantennero un’organizzazione simile a quella del latifondo romano (villa),
con la tradizionale divisione in pars dominicata, dove era la residenza del signore, in
gran parte formata da boschi e pascoli, e la pars massaricia, coltivata da coloni, ognu-
no dei quali aveva un podere, in cambio del pagamento di un census in natura o della
prestazione di un certo numero di giornate lavorative.
Secondo LUZZATO «non si era trattato della migrazione di una grande massa di popolazione, che
andasse in cerca di terre da sfruttare con il proprio lavoro, e che fosse perciò spinta a sostituirsi
o sovrapporsi agli antichi abitanti […]. Si trattava di tribù guerriere, per le quali la guerra rappre-
sentava la più lucrosa, la più onorifica e la più assorbente delle professioni, e che nel primo pe-
riodo dell’invasione e nelle successive conquiste vivevano soprattutto di rapine».
Ma stretti tra le due grandi potenze politiche del tempo, l’Impero bizantino a Oriente
e il regno dei Franchi a Occidente, i duchi longobardi si resero presto conto del peri-
colo costituito dalla propria frammentazione politica e decisero, quindi, di costituire
un regno «unitario» sotto la guida di Autari.
Capitolo 2 La dominazione longobarda in Italia 25
L’elezione di Autari (584-590) come re di tutte le genti longobarde, segnò una svol-
ta nella storia di questo popolo. I duchi longobardi consentirono la cessione al re
della metà delle proprie terre per creare un vasto patrimonio reale, ottenendo in cambio
il riconoscimento formale del loro stabile legame con un territorio e la sua città. Au-
tari mirava soprattutto a rafforzare i poteri regi e a ridimensionare quelli ducali, ma
può comunque essere considerato come il vero organizzatore del regno longobardo.
Nel lasso di tempo che intercorre tra il regno di Autari e quello di Rotari (636-652) si
formarono e si definirono altresì i due tipi di amministrazione locale del territorio: le
curtis ducalis per i beni dei duchi e le curtis regiae per quelli del re. A capo delle cur-
tis regiae vennero posti i gastaldi, funzionari alle dirette dipendenze del re, con il
compito di convogliare verso le casse regie i redditi dei beni di pertinenza reale.
Dottrina
«Nel nome e per conto del sovrano un gastaldo governa e amministra la curtis regia. Ha alle sue di-
pendenze uno sculdascio […] e vari actores. Si sostiene che in origine la curtis regia avesse la fun-
zione di drenaggio fiscale: ma impropriamente, perché non può esservi fisco (come per altro verso
non può esservi demanio) quando manca l’idea di res publica. Più propriamente il gastaldo e i suoi
collaboratori provvedono a rilevare e a convogliare verso le casse regie i redditi dei beni di pertinen-
za reale; provvedono anche a riscuotere le compositiones che in sede giudiziaria vengono inflitte dai
tribunali locali alla parte perdente e colpevole» (BELLOMO).
«La curtis regia costituiva una spina nel fianco per i duchi, un organo di controllo, un modo curioso
di esercitare il potere anche in periferia: comunque un espediente primitivo, ma servì come primo
cemento della nuova realtà politica del regno» (CORTESE).
Il termine arimanno indicava l’uomo libero. Si discute, tuttavia, circa il rapporto tra
quest’ultimo e le altre istituzioni. Secondo parte della dottrina, l’arimanno era l’uomo
in arme, in quanto tale titolare del diritto di partecipare all’assemblea longobarda.
Altri identificano invece l’arimanno con l’uomo libero insediato dal re nelle terre fi-
scali (arimannie).
Altra importante istituzione longobarda era il duca. Questi esercitava il proprio pote-
re di comando su una circoscrizione del regno detta ducato. Anche la figura del duca
è oggetto di dibattito in dottrina: alcuni sostengono che tale istituto sia tipicamente
germanico, avendo tratto origine dallo stanziamento sul territorio di un gruppo di fare
guidate da un capo; altri fanno invece derivare l’istituzione ducale dall’organizzazione
amministrativa romano-bizantina.
Infine, a partire dal VI secolo, i re longobardi istituirono due nuove cariche: il gastal-
do e lo sculdascio. Il gastaldo era un comandante militare inviato in rappresentanza
del monarca nelle varie parti del regno; in un secondo momento esso assunse la fun-
zione di governatore delle terre appartenenti al sovrano. In seguito alla riforma realiz-
zata da Liutprando, il gastaldo fu affiancato dallo sculdascio, cui spettava il compito
di amministrare la giustizia in una determinata circoscrizione del regno (la sculdascia).
4. L’assemblea longobarda
Per tutti gli ordinamenti germanici primitivi il re era soprattutto il capo militare della sua
gente. Ogni potere di governo risiedeva nell’assemblea del popolo. In realtà la composi-
Capitolo 2 La dominazione longobarda in Italia 27
zione di queste assemblee è cosa estremamente incerta e confusa. In linea di massima si
può dire che esse furono sempre composte da tutti gli uomini liberi e armati (arimanni).
All’assemblea spettavano il potere giudiziario e il potere di decidere su paci, guerre,
alleanze. È evidente che trattandosi di un ordinamento consuetudinario non è del tutto
proprio parlare di potere legislativo dell’assemblea, ma in ogni modo era a quest’ulti-
ma che spettava di chiarire e di rendere operante questo diritto consuetudinario.
Dottrina
«Non appena i Longobardi scendono in Italia questo sistema costituzionale basato sui poteri sovra-
ni dell’assemblea popolare viene rapidamente abbandonato. L’assemblea di tutti i liberi non può
riunirsi per ogni evenienza in uno Stato che si estende per un territorio vastissimo, essa non appare
più al centro dell’ordinamento dello Stato poiché viene esautorata dal rapidissimo incremento
dell’autorità regia. Il re da semplice capo militare si eleva rapidamente a capo del regnum Lango-
bardorum» (DE VERGOTTINI).
Pare che l’ultima volta che un’assemblea si riunì secondo le sue originarie dimensioni
fu sotto il regno di Rotari, al momento della promulgazione dell’Editto omonimo. Il
consenso dell’assemblea alla codificazione viene comunque espresso in maniera chia-
rissima nell’epilogo e non nel prologo, dove viene invece esaltata l’opera e l’iniziativa
del re promulgatore.
Con Liutprando, alle riunioni assembleari potranno partecipare soltanto i più fedeli
duchi e collaboratori regi.
Secondo BELLOMO «le funzioni giurisdizionali sono nella tradizione germanica uno degli attributi tipi-
ci del potere militare e conservano l’originaria radice anche quando nei tempi e per le questioni della
pace vanno distinguendosi dalle attività militari e dal comando delle milizie e vanno specializzandosi
negli affari penali e in quelli civili. Ma fra i giudici di questo periodo cercheremmo inutilmente i giuristi».
Da tutto questo non è lecito comunque dedurre uno scadimento formale del potere
dell’assemblea. In effetti, in diversi prologhi di leggi successive il consensus assem-
bleare viene sempre menzionato in maniera esplicita.
5. L’Editto di Rotari
Sul piano del diritto, un avvenimento centrale della storia dei Longobardi può essere
considerato l’Editto emanato dal re Rotari nel 643, con il dichiarato intento di fissa-
re per iscritto le norme consuetudinarie del proprio popolo.
Dottrina
«Nei primi tre quarti di secolo della loro discesa in Italia i Longobardi vissero e dominarono senza
l’ausilio di leggi scritte. Fu in questo periodo, il più oscuro della storia del regno, che si compì una
decisiva trasformazione nella loro organizzazione collettiva: da popolo continuamente migrante di
terra in terra […] a minoranza dominatrice di un vastissimo territorio, con tutti i problemi di potere,
28
Parte prima Il Medioevo dalla caduta dell’Impero Romano alla formazione del diritto comune
di sicurezza e di controllo che ne derivavano. Di qui la necessità di una struttura pubblica relativa-
mente stabile e di un’autorità monarchica dotata di prolungamenti locali (gastaldi) […] che si ritene-
vano (ed erano di fatto) quasi indipendenti rispetto al re» (PADOA-SCHIOPPA).
A) Struttura e caratteri
L’Editto consta di 388 capitoli con una netta prevalenza della materia penale, in
particolare di prescrizioni a difesa della vita del singolo e della sua proprietà. In
tale materia, e in particolare nelle disposizioni sul tentativo di reato, è opportuno
menzionare l’acuta distinzione tra atti preparatori, tentativo e delitto perfetto con
relative differenti pene. Questa distinzione superava così quanto stabilito dal dirit-
to romano, che puniva allo stesso modo il tentativo di crimine e il crimine effettua-
to.
La maggior parte delle norme di diritto penale erano corredate da un tariffario attra-
verso il quale venivano fissati dei compensi pecuniari, destinati a sostituire la vendet-
ta privata, con relative varianti a seconda del valore che veniva assegnato alla persona
offesa.
Secondo JARNUT, Rotari riuscì comunque a personificare nella maniera più efficace gli attributi
precipui di un re germanico, vale a dire le sue qualità di capo supremo dell’esercito, di avveduto
legislatore e di giudice massimo del suo popolo, rendendo così chiara ai guerrieri longobardi la
sua posizione di re […]. Su questo sfondo diventa comprensibile come numerose norme della sua
legge mirassero essenzialmente a difendere i diritti del regno.
Capitolo 2 La dominazione longobarda in Italia 29
Risulta evidente il carattere schiettamente militare conservato dal popolo longobardo
anche dopo tutti gli anni trascorsi dall’invasione: gli uomini liberi addirittura si iden-
tificavano anche nel nome con gli appartenenti all’esercito (arimanni).
Nel suo complesso l’Editto contribuì, senza dubbio e in maniera decisiva, a rendere
più acuta la consapevolezza di appartenere a una comunità unitaria della quale era
superiore garante l’autorità regia. Fu un potente strumento di conservazione dello
spirito nazionalistico e della coesione di stirpe tra la gente longobarda.
I destinatari dell’Editto erano principalmente, se non esclusivamente, i Longobardi,
anche se ormai, al tempo di Rotari, tutti i liberi di origine romana erano entrati a far
parte dell’aristocrazia dei dominatori.
Quasi a voler gareggiare con una tradizione giuridica così importante e matura come
quella dell’Italia prelongobarda, il testo venne redatto in latino, un latino quanto mai
rozzo, oscuro e costellato di germanismi intraducibili. Resta comunque singolare il
fatto che, a un attento esame, le leggi raccolte in questo Editto rivelino una singolare
vocazione alla tecnica legislativa: il testo, in effetti, si presenta assai bilanciato e re-
datto con estrema attenzione.
6. Il regno di Liutprando
Dottrina
«Il termine iudex non rappresenta sempre e in ogni caso le attività di chi amministra solamente e
tecnicamente la giustizia, ma si collega piuttosto, come accade nel linguaggio di Liutprando, alla si-
tuazione di chi comunque gestisce poteri ‘‘pubblici’’ indifferenziati. E sarebbe errore grave pensare
che questi iudices siano stati ‘‘giuristi’’» (BELLOMO).
Dottrina
«Liutprando si impegnò con efficacia ad aiutare con le sue leggi coloro che erano socialmente più
sfavoriti. La sua attenzione fu rivolta specialmente ai minorenni, che voleva tutelare da ogni gene-
re di danno, e soprattutto dalla perdita dei loro beni. Un’importanza altrettanto centrale aveva […]
la difesa della donna longobarda libera, [affinché] fossero tutelati la sua integrità, il suo onore e
soprattutto i suoi possessi» (Jarnut).
I destinatari dei vari editti di Liutprando non furono soltanto i Longobardi, ma di re-
gola tutti i sudditi del regno, popolazione di origine romana compresa. Nonostante ciò,
si noti che il principio della personalità del diritto non venne mai del tutto meno; esso
continuava infatti ad applicarsi a tutte le fattispecie non espressamente disciplinate
dalla legge scritta. Il principio sperimentò tuttavia un rapido declino, a mano a mano
che l’intensificarsi dei rapporti fra romani e longobardi e la progressiva integrazione
delle rispettive culture resero sempre più problematica una sua integrale applicazione.
Nell’attività legislativa di Liutprando è possibile riscontrare inequivocabili prove
dell’integrale conversione al cattolicesimo dei Longobardi, dell’avvenuta scomparsa
delle discriminazioni etniche e del livellamento sociale tra le due popolazioni. Quest’ul-
timo aspetto, in particolare, venne favorito dalla completa equiparazione, nel diritto
matrimoniale, tra Longobardi e Romani.
È in questa ottica che vanno interpretate le disposizioni che riconoscono l’asilo eccle-
siastico, che tutelano i voti religiosi, che migliorano la posizione successoria delle figlie
in assenza di fratelli maschi.