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«We must press for government to use the force of the law
against pornography, obscenity, and indecency across the
board, from Howard Stern to Larry Flynt, from TV to radio to
the Internet, from music to movies» (Ben Shapiro, “Porn
Generation: How Social Liberalism is Corrupting our
Future”).
Come fa notare Deana Heath nel saggio “Obscenity, Empire and Global Networks”,
l’emergere di nuove forme di oscenità, come le cartoline, le fotografie, i mutoscopi, gli
stereoscopi con immagini sessualmente esplicite, la pubblicità schizofrenica di prodotti
anticoncezionali (preservativi, spirali, pillole varie) e afrodisiaci (si pensi al Viagra e a tutti i
suoi derivati), i testi di sessuologia (i “manuali del sesso”), fino ai cine-documentari
sull’educazione sessuale, ha costituito […] nuovi pattern di produzione, distribuzione e
consumo volti ad alimentare lo sviluppo di reti imperiali per la distribuzione e la
regolazione dell’oscenità […].
Deana Heath, “Obscenity, Empire and Global Networks”, Trinity College, Dublin,
Aprile 2008
PORNO-IMPERO
Nel XIX secolo, la Rivoluzione Industriale, insieme allo sviluppo della scienza, della
tecnologia, della medicina, la maggiore attenzione alla salute, portò allo sviluppo di migliori
contraccettivi. I progressi nella manifattura e nella produzione della gomma resero
possibile la produzione di massa di preservativi, che divennero accessibili ad un gran
numero di persone, con la possibilità di evitare le gravidanze indesiderate ad un costo
modesto. […] È stato notato da alcuni studiosi che durante il fascismo "scompaiono dai
quotidiani le inserzioni dei medici specializzati nella cura dell'impotenza”, quasi a
sottolineare che nell'Italia di Mussolini non c'è spazio per uomini poco virili. Se la donna
sterile è un essere inutile e privo di senso, un uomo incapace di procreare è una
bestemmia. Rimangono invece le inserzioni riguardanti la cura delle malattie veneree (e
anche i preservativi maschili, la cui pubblicità si può già trovare nei quotidiani del 1913,
che vengono però visti non come antifecondativi ma come mezzo di protezione dalle
malattie veneree, diffuse, secondo l'opinione corrente, dalle prostitute). Quando arrivano i
soldati americani, portano negli zaini, assieme a chewing gum, cioccolato e foto di pin up,
anche abbondanti scorte di preservativi e calze di nylon, stravolgendo il rigore sessuale
degli italiani […] (“Sesso e Novecento - Costume” di Alessandro Frigerio).
MODERN BABYLON
Il 14 luglio 1885, l'editorialista della Pall Mall Gazette, W.T. Stead, pubblica la prima parte
di un’inchiesta intitolata “Maiden Tribute of Modern Babylon”,
una delle più espressive e riuscite operazioni di giornalismo
scandalistico del XIX secolo, che esordiva così: «Tutti coloro
che preferiscono vivere nel paradiso di immaginaria purezza e
innocenza degli ingenui, egoisticamente ignari delle orribili
realtà che tormentano quelli che trascorrono le loro vite
nell'inferno di Londra, farebbero bene a non leggere la P.M.
Gazette a partire da lunedì prossimo». Fu l’inizio di una
crociata moralistica che inciderà profondamente sui costumi
dell'epoca vittoriana e sulle leggi di tutto l'impero britannico.
Stead, basandosi sullo stile letterario del melodramma e
utilizzando alcuni elementi di realismo dello stile gotico e una
buona dose di voyeurismo e pornografia, raccontò la storia di
povere bambine (povere anche nel senso di condizione e estrazione sociale) corrotte da
aristocratici viziosi della Londra ottocentesca. L'operazione fu superba. L'uso del
melodramma, genere letterario particolarmente popolare tra e nei movimenti femministi
della seconda metà del XIX secolo, ebbe un forte impatto sull’audience. La forma letteraria
più popolare dell'epoca (anzi in quell'epoca iniziava a tramontare come genere letterario),
si avvaleva anche di un discorso di classe per rappresentare la donna vittima ma anche
eroina, la donna decaduta da riscattare dalla brutalità dell'uomo aristocratico e dalla sua
tirannia sessuale; donna generalmente appartenente alle classi proletarie, che doveva
suscitare la pietà e la carità nel lettore o nello spettatore. Ma non si fermò a questo. Allo
scopo di dimostrare la gravità e la diffusione del fenomeno, avvalendosi peraltro della
collaborazione di una gestrice di una casa chiusa londinese, procedette all’acquisto vero e
proprio di una bambina dei ceti poveri, che fu venduta dai genitori, rappresentati come
disgraziati dediti all'alcolismo, allo scopo poi di porre l'accento sulla tortura sessuale, sulla
violazione dell'integrità del corpo femminile, sulla scientificità delle torture cui queste
bambine erano sottoposte. Egli stesso la fece sottoporre a esami medici umilianti ed allestì
la scena del crimine, la scena della violenza sessuale, che poi non fu mai effettuata, ma
descrisse in questa sua inchiesta i fatti e pure la reazione di terrore della bambina. La
vicenda di Stead si concluse poi in un’aula di tribunale, ove egli stesso fu condannato per
questo fatto, ma la reazione che questa vicenda provocò fu spropositata: lavoratori,
sindacalisti, movimenti politici di sinistra, si unirono ai conservatori nella battaglia per
chiedere riforme legislative. Nell'estate del 1885, duecentocinquantamila persone
parteciparono a Hyde Park ad una manifestazione pubblica per chiedere l'introduzione di
misure per combattere il fenomeno. L'indignazione popolare trovò pronte risposte da parte
del legislatore che colse il pretesto per introdurre riforme che andavano ben al di là di
quello che era il problema o il falso problema o l'esagerato problema. Proprio nel 1885, il
governo inglese introdusse il “Criminal Law Amendament Act” che innalzò l'età del
consenso per le adolescenti da 13 a 16 anni, ma che conferì anche ampi poteri alle forze
dell'ordine per avviare azioni penali contro meretrici gestrici di case chiuse e non solo. Si
procedette anche all'introduzione del reato di “gross endecency”, un reato contro il buon
costume che puniva con la reclusione fino a due anni, con o senza lavori forzati, una
persona di sesso maschile che praticasse in pubblico e in privato atti di carattere sessuale
con una persona dello stesso sesso. Gli effetti di questa crociata formalistica (sono ben
note le conseguenze del puritanesimo dell'epoca vittoriana) si fecero sentire in tutto
l'impero con leggi che innalzavano l'età del consenso, vietavano prostituzione e
omosessualità, unioni affettive e rapporti sessuali tra donne indigene e uomini inglesi.
(“Sex Panic, ovvero la paura dei mostri. La crociata moralistica come forma di
controllo sociale”, di Stefano Fabeni).
Nel 1850, un ufficiale francese di stanza in Algeria trovò un manoscritto con contenuti
erotici, “Il Giardino Profumato”, dello sceicco Umar ibn Muhammed al-Nefzawiell, di cui
ancora oggi si sa pochissimo: visse probabilmente nel XVI secolo, a Tunisi, e scrisse il
libro per un ministro del 17esimo sovrano della dinastia Hafside (dal 1236 al 1574). Nello
scrivere “Il Giardino Profumato”, Al-Nefzawi avrebbe pescato a piene mani da antichi testi
erotici arabi. Dopo la sua morte, altri scrittori modificarono e ampliarono il suo lavoro.
L’ufficiale francese decise di tradurlo, tralasciando un capitolo sulla pedofilia. Il libro arrivò
rocambolescamente a Parigi, dove Guy de Maupassant lo lesse e suggerì ad un editore di
ripubblicarlo. Intanto, l’arabista e grande viaggiatore Richard Burton (che era arrivato
perfino alla Mecca, vietata ai non credenti, vestendosi da afgano), tradusse prima il testo
dal francese all’inglese, poi si accinse a tradurre il manoscritto originale. Ma morì prima di
completare l’opera, nel 1890, e sua moglie, scandalizzatissima, bruciò tutto. “Il Giardino” è
entrato, grazie proprio a Burton, nelle nostre biblioteche. Così come “Le Mille e una Notte”
e il “Kama Sutra”, sempre tradotti da Burton, che, insieme con l’amico Forster Fitzgerald
Arbuthnot, aveva fondato la Kama Shastra Society per pubblicare le opere allora
severamente proibite dalla Corona Britannica dopo la promulgazione dell’Obscene
Publication Act.
Due tra i più grandi capolavori della letteratura mondiale, “I
Fiori del Male” e “Madame Bovary”, pubblicati proprio nel
1857, finirono entrambi sotto processo con l'accusa di
pubblicazione turpe e oltraggiosa. Fu il procuratore generale
Ernest Pinard a denunciare le due opere per immoralità.
Gustave Flaubert.venne assolto, a dire di Baudelaire, solo
perché aveva «mosso cielo e terra o meglio l'alta melma della
capitale». Baudelaire, dandy emigrato nella bohème, non
aveva simili agganci. Secondo il governativo Le Figaro, nelle
sue poesie «l'odioso va di pari passo con l'ignobile, il
repellente si associa all'infetto. Non si sono mai visti mordere
tanti seni in così poche pagine». La furia accusatrice di Pinard
era esplosa contro le “Metamorfosi del Vampiro”, dove, disse,
si vedeva una donna vampiro soffocare un uomo tra le
braccia vellutate... su materassi che vanno in deliquio, al
punto che degli angeli impotenti si dannerebbero per lei.
Aveva concluso con un invito alla giuria: «Reagite contro la
febbre malsana di dipingere tutto, descrivere tutto, dire tutto». Niente di personale contro
l'imputato. «Siate indulgenti con Buadelaire, che è una persona inquieta e squilibrata. Ma,
condannando almeno certe parti, date un monito ormai necessario» (tratto da
“Baudelaire: I Fiori Illegali”, Giuseppe Scaraffia, 22 aprile 2007). L'esito del processo
porterà alla censura di sei poesie (verranno pubblicate a parte a Bruxelles col titolo “I
Relitti”) e ad una pena pecuniaria di 300 franchi poi ridotta a 50 franchi grazie all'intervento
dell'imperatrice Eugenia.
LA REGOLA HICKLIN
Nel 1868, il caso “Regina v. Hicklin” darà vita alla “Regola Hicklin”, o “Hicklin Test”, dal
nome del magistrato, Benjamin Hicklin, chiamato a giudicare. L’imputato Henry Scott,
dell’Unione Elettorale Protestante, era stato accusato di aver creato un opuscolo offensivo
anti-cattolico chiamato “The Confessional Unmasked”, che denunciava l’immoralità delle
confessioni a carattere sessuale, descrivendone alcune (un’opera di vera avanguardia,
ndr). Scott fu condannato, ma Hicklin ricorse in appello sostenendo che l’opera non era
intenzionalmente oscena, in quanto intendeva smascherare l’immoralità, e che solo parti
dell’opuscolo potevano essere considerate oscene. Non bastò a convincere la Corte, che
decretò la pubblicazione oscena di fatto e ordinò che fosse distrutta. Di conseguenza, si
definì che cosa, all’epoca, doveva essere considerato osceno e illegale, ovvero, un
qualsiasi materiale che «tende a depravare e corrompere le menti di persone aperte ad
influenze immorali (in particolare quelle della gioventù) nelle cui mani può cadere». In
base alla regola Hicklin fuono banditi lavori di Balzac, Flaubert, James Joyce e D. H.
Lawrence perché contenenti dei passaggi isolati considerati osceni che secondo i giudici
avrebbero potuto corrompere le menti dei giovani. La regola fu poi adottata anche dagli
Stati Uniti e rinforzata da Anthony Comstock, un agente speciale dell’Ufficio Postale degli
Stati Uniti, che nel 1873 propose di estenderla in modo da proibire «ogni articolo o cosa
progettata o intenzionata alla prevenzione del concepimento o a procurare un aborto». La
proposta è diventata legge ed è nota come “Comstock Law”.
La regola Hicklin è stata sospesa nel 1957 in seguito agli sviluppi del caso “Roth v. United
States”. Samuel Roth, proprietario di una casa editrice di New York City, fu accusato di
spedire materiali «osceni, volgari, lascivi o sconci» via posta per promuovere la vendita di
una pubblicazione chiamata “American Aphrodite”, ("A Quarterly for the Fancy-Free")
contenente letteratura erotica e foto di nudo. David Alberts, che gestiva un’attività
commerciale via posta da Los Angeles, fu accusato di pubblicare immagini di donne
«nude e vestite di abiti succinti». La corte presieduta da William J. Brennan, Jr. ripudiò il
test di Hicklin e ridefinì ciò che doveva essere considerato osceno: qualsiasi materiale
considerato interamente il cui tema dominante «stimola l’interesse libidinoso di una
persona media secondo gli standards comunitari contemporanei». Brennan affermò anche
che l’oscenità non era protetta dal Primo Emendamento, per cui il Congresso poteva
bandire qualsiasi materiale ritenuto osceno senza doverne valutare la presunta importanza
sociale. Il giudice Earl Warren obiettò che tale decisione avrebbe avuto l’effetto di
includere anche opere artistiche e scientifiche, colpendo la libertà di comunicazione in
generale, ma concordò sul fatto che l’oscenità non poteva considerarsi protetta dal Primo
Emendamento. Di tutt’altra opinione i giudici “letteralisti” Hugo Black e William O. Douglas,
che dissentirono vigorosamente, sostenendo che il Primo Emendamento proteggeva
anche il materiale osceno.
Nel caso “One, Inc. v. Olesen” del 1958, finì sotto accusa "ONE: The Homosexual
Magazine", una pubblicazione della Mattachine Society di New York, la prima
organizzazione per i diritti degli omosessuali negli Stati Uniti d'America. La Mattachine
Society fu a lungo una sorta di società segreta che si richiamava ad una setta medievale
di giullari che avevano l’abitudine di mettere alla berlina la società dell’epoca con
spettacoli “en travesti”. Visto che nella California degli anni Cinquanta era severamente
vietato agli omosessuali riunirsi in associazioni, come copertura vennero reclutate anche
delle donne. Dopo una campagna di persecuzione promossa dal Servizio Postale degli
Stati Uniti e dall’FBI, il direttore delle poste di Los Angeles dichiarò oscena la
pubblicazione della Mattachine Society e quindi, secondo la Comstock Law, non inviabile
via posta. La prima decisione della corte, nel marzo del 1956, si schierò dalla parte delle
poste, definendo la pubblicazione «moralmente depravante e degradante». Ma poi, a
sorpresa, non solo fu accettato l’appello alla Corte Suprema, ma, citando la recente
decisione del caso Roth, fu rovesciata la sentenza senza neanche ascoltare gli argomenti
dell’accusa. Una decisione storica con cui per la prima volta la Corte Suprema degli Stati
Uniti ha deliberato sul tema dell’omosessualità.
Nel caso “Memoirs v. Massachusetts”, del 1966, il test Roth fu ridefinito stabilendo che
dovevano considerarsi non protetti dal Primo Emendamento solo quei materiali osceni
ritenuti "palesemente offensivi" e "del tutto privi di valore sociale ". Tuttavia, la Corte non
riuscì a trovare un accordo sulla definizione di oscenità. I giudici si trovarono a dover
personalmente esaminare ogni procedimento per oscenità in tutti gli Stati dovendosi
spesso riunire per assistere alla proiezioni di film imputati (i giudici Black e Douglas si
rifiuarono di partecipare a queste riunioni continuando a sostenere che tutti i materiali
fossero protetti dal Primo Emendamento).
«La parola “scopare” ricorre trenta volte. “Fica” quattordici. “Palle” tredici. “Merda” sei.
“Culo” e “piscia” tre» (Sybille Bedford, “Il Processo a Lady
Chatterley”).
LES AMANTS
LA FINE DELL’OSCENITA’
Nel 1965, la Putnam pubblicò il romanzo “Fanny Hill” (in it. “Memorie di una donna di
piacere”), scritto nel 1750 da John Cleland. Cleland
scrisse il libro, che uscì in due parti separate, nel
novembre 1748 e nel febbraio 1749, mentre si trovava in
carcere. È la storia della metamorfosi psicologica di una
donna, una prostituta, che assapora le gioie del sesso e
si dà perché spinta da una «passione troppo impetuosa
per resistere». L’opera fu ufficialmente ritirata dal
mercato e, di conseguenza, non fu più ripubblicata
legalmente per più di un secolo. Tuttavia, ha continuato
a circolare e ad essere venduta grazie ad edizioni pirata
disponibili sul mercato nero. Nella sua versione non
censurata, rimase ufficialmente proibito nel Regno Unito
fino al 1970. Nel 1966 fu l'oggetto di una celebre
sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (n. 383
U.S. 413) nel caso “A Book Named John Cleland's
Memoirs of a Woman of Pleasure v. Attorney General of
Massachusetts”, in cui si afferma che la costituzione
americana impedisce che un'opera di cui sia riconosciuto anche un modesto valore
letterario sia condannata come oscena. Il caso "Memoirs v. Massachusetts” segnò una
svolta poiché la Corte, presieduta da Earl Warren, sentenziò che il sesso era «una grande
e misteriosa forza motivatrice nella vita umana» e che la sua espressione nella letteratura
era protetta dal Primo Emendamento. Il caso “Fanny Hill” ridefinì il test di Roth, giudicando
non protette solo quelle opere che facevano appello principalmente ad "interessi osceni",
la cui oscenità fosse ritenuta “palesemente offensiva" e non adempiente ad alcun "valore
sociale”. Qualsiasi opera, invece, come nel caso di “Fanny Hill”, a cui sia riconosciuto il
merito di adempiere ad una qualche funzione sociale, non può considerarsi oscena, anche
se contiene passaggi isolati che possono tendere a "depravare o corrompere" le menti di
alcuni lettori. Permettendo la pubblicazione di “Fanny Hill”, la Corte Suprema spostò di
molto il limite per un qualsiasi bando, al punto che l’editore Rembar definì la decisione del
1966 come "la fine dell'oscenità". Il risultato fu che cominciarono a proliferare pubblicazioni
pornografiche e sessualmente esplicite mentre la Corte Suprema dovette subire molte
pressioni dai governi statali e locali che chiedevano maggiore libertà di azione per un giro
di vite contro l’oscenità. Il giudice Abe Fortas venne attaccato con vigore al Congresso da
conservatori come Strom Thurmond per aver concorso alla liberalizzazione della
pornografia decisa dalla corte Warren. Perfino il Presidente Richard Nixon, nella sua
campagna presidenziale del 1968, attaccò la corte Warren, impegnandosi a nominare dei
giudici più severi alla Corte Suprema.
IL TEST DI MILLER
«Negli Stati Uniti, la pornografia è legale se non corrisponde al test di Miller sull’oscenità,
cosa che non si verifica quasi mai» (wikipedia).
Nel 1961, la Grove Press aveva pubblicato una copia del romanzo e in vari stati furono
intentate numerose azioni legali contro dozzine di librai per permetterne la vendita. La
pubblicazione venne definitivamente consentita dalla decisione del 1973 della Corte
Suprema degli Stati Uniti nel caso “Miller v. California”. Nella sentenza, la Corte definì l'
"oscenità" secondo quello che viene oggi chiamato “test di Miller”. Il caso Miller stabilì
cosa costituisce “oscenità non protetta” in base al Primo Emendamento. La decisione della
Corte, riaffermando parte del test di Roth, decretò che l’oscenità non era protetta dal
Primo Emendamento e stabilì il test di Miller per determinare tutto ciò che costituisce
materiale osceno. Marvin Miller, operatore di una delle maggiori attività commerciali via
posta della West Coast, che trattava anche materiali sessualmente espliciti, fu accusato di
aver promosso la vendita di libri illustrati osceni con l’etichetta di materiale “per adulti”. Fu
giudicato colpevole per aver violato il Codice Penale della California, distribuendo
intenzionalmente materiale osceno. Il materiale in questione consisteva principalmente di
immagini e disegni molto espliciti ritraenti uomini e donne in gruppi di due o più persone
nel corso di varie attività sessuali con i genitali in bella mostra. La Corte, innanzitutto,
riconobbe «i pericoli inerenti il compito di regolare ogni forma di espressione», poi
aggiunse che «gli statuti destinati a regolare i materiali osceni devono essere
attentamente limitati». Nel tentativo di stabilire questi limiti, la Corte fissò tre criteri: 1 - la
persona media, secondo gli standards comunitari contemporanei (locali, non nazionali),
deve trovare che l’opera, nella sua interezza, richiami interessi osceni; 2 - l’opera deve
rappresentare o descrivere, in un modo palesemente offensivo, condotte sessuali o
funzioni escrementizie definite specificatamente dalle leggi statali in vigore; 3 - l’opera,
nella sua interezza, deve essere priva di un serio valore letterario, artistico, politico o
scientifico. Per la prima volta, dal caso Roth, la maggioranza della Corte si trovò concorde
nella definizione di oscenità. Rispetto alla decisione presa nel caso “Fanny Hill”, il test
Miller fornì agli stati una maggiore libertà nel procedere contro presunti approviggionatori
di materiali osceni. Non appena entrò in vigore il test Miller, furono avviati centinaia di
procedimenti, al punto che la Corte Suprema si vide costretta in molti casi a negare le
richieste di appello per il troppo lavoro. In seguito al caso “Paris Adult Theatre I v. Slaton”,
del 1973, in cui fu condannata una sala cinematografica che proiettava film a luci rosse
per «esibizione commerciale di immagini oscene», fu concessa ai singoli stati maggiore
libertà di azione contro le case di produzione di film per adulti. Le maggiori controversie
sono sorte riguardo la definizione di “standards comunitari”, poiché questi possono variare
da stato a stato (consentendo ai perseguitati di emigrare negli stati più tolleranti): ciò che
offende la persona media di Jackson, nel Mississippi, può differire da ciò che offende la
persona media di New York City. Il test di Miller richiede una interpretazione di ciò che la
persona media trova offensivo piuttosto che definire cosa è da ritenersi offensivo per le
persone più sensibili della comunità, come avveniva seconfo il test Hicklin. Inoltre, la
comunità rilevante non è definita.
In pratica, immagini pornografiche che mostrano gli organi genitali e atti sessuali non sono
da considerare ipso facto oscene secondo il test Miller a meno che manchino di un
qualche valore artistico, letterario, scientifico (in generale, sociale). Gran parte della
pornografia, ad esempio, è legale perché è considerata tra le opere di valore artistico e
letterario secondo la dottrina porno-giuridica. I porno-critici sostengono invece che la
definizione di oscenità è paradossale, arbitraria e soggettiva e che l’esistenza ipotetica di
“persone ragionevoli” e di “standards comunitari contemporanei” di fatto rendono le leggi
federali in materia inattuabili e di dubbia legalità. Proprio a causa delle difficoltà di definire
l’oscenità, alcuni sostengono che le leggi in materia non soddisfano “la dottrina della
vaghezza”, cioè sono troppo vaghe per essere applicabili. L’avvento di Internet, inoltre, ha
reso ancora più difficile giudicare in merito agli “standards comunitari”, dato che il
materiale pubblicato sul Web può essere visto allo stesso modo da persone residenti in
luoghi molto distanti, sotto diverse giurisdizioni.
Nel caso del 2005, “United States of America v. Extreme Associates”, la Extreme
Associates, una compagnia pornografica di Rob Zicari e sua moglie Lizzy Borden
(conosciuta anche come Janet Romano), è stata accusata di presunta distribuzione di
materiale osceno. La compagnia si è difesa dicendo che i propri clienti avevano il diritto
legale di ricevere tale materiale e che esiste anche il diritto a distribuirlo. Nel documentario
“American Porn”, prodotto dalla PBS Frontline, andato in onda il 7 febbraio 2007, si parla
del film di Lizzy Borden “Forced Entry”, in cui sono
rappresentate diverse scene di stupro. Zicari, intervistato,
difende la sua compagnia e sfida il giudice John Ashcroft
ad intraprendere azioni contro di lui, dichiarando che
«abbiamo tonnellate di roba per cui tecnicamente
potremmo essere arrestati. Sarò felice di fare da test». L’8
aprile del 2003, in seguito ad un’indagine condotta dalla
United States Postal Inspection Service e dalla
Pornography Unit del Los Angeles Police Department,
vengono sequestrati 5 video della Extreme. Il 6 agosto
2003, Borden e la compagnia vengono accusati dal grand
jury federale di Pittsburgh di produzione e distribuzione via
posta e via Internet di materiali pornografici osceni. Zicari e
Romano vengono condannati a 15 anni di prigione e a
pagare una multa di 2,500,000 dollari. Inoltre, viene
ordinata la confisca dei films, dei profitti derivanti dalla distribuzione e di tutte le proprietà
usate per la promozione, incluso il sito Interenet extremeassociates.com. Sebbene la
compagnia di Zicari si trovasse a North Hollywood, vicino Los Angeles, l’imputazione e i
processo si sono svolti nel Western District of Pennsylvania, da dove gli agenti hanno
ordinato i materiali ritenuti osceni, un distretto di orientamento molto conservatore, in cui
più facilmente si poteva convincere la giuria che i materiali accusati fossero da
considerare osceni secondo il Test di Miller. Mary Beth Buchanan, che ha fatto il Pubblico
Ministero, in un’intervista rilasciata a 60 Minutes ha dichiarato: «La proliferazione di
questo tipo di materiali sta diventando sempre maggiore. Per questo è importante
rafforzare la legge e fissare dei limiti a ciò che si può vendere e distribuire». Ms. Buchanan
ha aggiunto che «la mancanza di un rafforzamento delle leggi federali sull’oscenità nel
corso degli anni ’90 ha portato ad una proliferazione di oscenità in tutti gli Stati Uniti,
materiali violenti e degradanti come quelli della Extreme». Durante il Processo, Zicari ha
continuato a vendere i film incriminati per pagare la sua difesa. Da notare che i
“consumatori” del materiale in questione non infrangono alcuna legge poiché il mero
possesso di materiali ritenuti osceni non è illegale. Secondo l’avvocato di Zicari, H. Louis
Sirkin, il diritto alla privacy dà agli individui il diritto costituzionale di poter vedere materiali
osceni in privato, dunque anche le compagnie hanno il diritto di distribuirli. La difesa ha
quindi sostenuto che le leggi federali sull’oscenità violano il diritto costituzionale alla
privacy e alla libertà individuale. Il 20 gennaio 2005, il Giudice Gary L. Lancaster dà
ragione alla difesa concordando sul fatto che gli statuti federali anti-osceniità sono
incostituzionali perché violano il diritto fondamentale di possedere e vedere ciò che si
vuole in privato. L’accusa risponde che il governo ha il legittimo interesse a proteggere
adulti inconsapevoli e bambini dalla possibile esposizione di materiali osceni. Il giudice
Lancaster sostiene invece che adulti inconsapevoli e bambini sono già protetti dato che il
sito Web richiede una carta di credito e che esistono software per restringere ai bambini
l’accesso alla pornografia su Internet L’8 dicembre del 2005, le corti di appello rovesciano
la sentenza del giudice Lancaster sostenendo che solo la Corte Suprema può decidere in
merito alla presunta anti-costituzionalità delle leggi sull’oscenità. Il caso ritorna al distretto
di appartenenza. L’11 marzo del 2009, Zicari e sua moglie si dichiarano colpevoli e
dichiarano di aver chiuso il sito della Estreme. La coppia viene condannata, l’1 luglio del
2009, a un anno e un giorno di prigione.
AMERICAN PORN
La questione tuttavia non è stata risolta ed è quanto mai attuale, dato che con l’emergere
di Internet molti materiali considerati più o meno osceni possono essere accessibili a
chiunque da ogni parte del mondo, anche da quei luoghi in cui l’atteggiamento verso
l’oscenità è molto più severo.
Gore Vidal nella sua introduzione di “Myron” del 1974, sequel del suo romanzo del 1967
“Myra Breckenridge”, che ha per protagonista un transessuale e che all’epoca fu
considerato osceno dal movimento anti-pornografia (ma non fu perseguito), fa della satira
riguardo il test Miller dicendo che «lascia ad ogni comunità il diritto di decidere cosa è
pornografia» e che ha «allarmato e confuso gli spacciatori di sconcezze», eliminando le
linee guida. Vidal dice poi di aver deciso di sostituire i nomi dei Giudici che hanno votato il
test Miller e quelli dei crociati anti-pornografia Charles Keating e Padre Morton A. Hill, per
conformarsi agli “standards comunitari” così come sancito dal test.
CHILD PROTECTION ACT
Il caso “New York v. Ferber”, del 1982, fece emergere per la prima volta il problema della
pedopornografia. Paul Ferber e Tim Quinn erano i proprietari di una libreria per adulti.
Quando Ferber vendette ad un poliziotto in borghese due film in cui comparivano dei
ragazzi che si masturbavano, venne arrestato per violazione di una legge dello stato di
New York che proibisce la vendita di qualsiasi materiale che ritrae condotte sessuali di
minori di anni 16. Ferber fu condannato in primo grado, ma la Corte di Appello rovesciò la
sentenza decretando che il Primo Emendamento proteggeva la condotta del pornografo.
Lo stato di New York chiese allora l’intervento della Corte Suprema che stabilì un
precedente importante: la pedopornografia non può considerarsi in alcun modo protetta
dal Primo Emendamento e dunque può essere bandita senza dover sottostare al test
Miller. Per spiegare la sua decisione, la Corte illustrò cinque ragioni: 1 - il governo ha
l’obbligo di fare tutto il possibile per prevenire lo sfruttamento sessuale dei bambini; 2 - la
distribuzione di raffigurazioni visuali di bambini coinvolti in attività sessuali è
intrinsecamente relativa all’abuso sessuale di bambini. Le immagini servono come un
sollecito permanente dell’abuso e dunque il governo deve necessariamente regolare i
canali che distribuiscono tali immagini nel tentativo di eliminare la produzione di
pedopornografia; 3 - la pubblicità e la vendita di pedopornografia forniscono un motivo
economico per la produzione di pedopornografia; 4 - le raffigurazioni visuali di bambini
coinvolti in attività sessuali hanno un valore artistico trascurabile; 5 - per tutte queste
ragioni, la pedopornografia è da considerarsi al di fuori del Primo Emendamento e non
deve essere considerata legalmente oscena prima di essere messa fuorilegge. La Corte
successivamente estese, in seguito al caso “Osborne v. Ohio”, del 1990, il divieto anche
alla mera possessione di pedopornografia.
Nel 1984, in seguito ad un’ondata di fatti di cronaca riguardanti casi su larga scala di abusi
su bambini legati alla pedopornografia, alla pubblicazione di una serie di rapporti che
suggerivano un collegamento tra le molestie ai bambini e la pornografia e di alcuni studi
accademici secondo cui esisteva un collegamento tra la pornografia e la violenza sessuale
contro le donne, il Presidente Reagan vara il primo “Child Protection Act”, volto a
rafforzare le misure repressive contro i produttori e i distributori di materiale
pedopornografico, che Reagan definisce “violento e pericoloso”. Inoltre, annuncia la sua
intenzione di costituire una nuova commissione, che sarà presieduta dall’Attorney General
– capo del Dipartimento di Giustizia - Edwin Meese, incaricata di studiare la pornografia,
formata in maggioranza da esponenti schierati apertamente su posizioni anti-porno. Il
rapporto finale della commissione, noto come, “The Meese Report”, pubblicato nel luglio
del 1986, documenta in particolare gli effetti dannosi della pornografia e le connessioni tra
i pornografi e il crimine organizzato. Il rapporto fu criticato dagli stessi scienziati il cui
lavoro era stato utilizzato dalla commissione che dichiararono che i risultati erano stati
distorti e che fossero incongruenti rispetto il rapporto finale. Tali proteste instillarono il
sospetto che la commissione fosse in realtà lo strumento di una campagna moralizzatrice
anti-pornografia. Le critiche piovvero non solo dagli addetti ai lavori interni all’industria
pornografica ma anche dall’esterno, in particolare dalle porno-femministe (come Pat
Califia e Camille Paglia) e dai liberali radical-chic, che accusarono il rapporto di essere
inaccurato, inattendibile, viziato da pregiudizio ideologico.
Nel 2002, in seguito agli sviluppi del caso “Ashcroft v. Free Speech Coalition”, la Corte ha
stabilito che anche i materiali sessualmente espliciti che ritraggono minori possono
essere in alcuni casi porno-costituzionalmente protetti. Occorre fare però un salto
indietro, al 1996, quando la Presidenza Clinton vara il primo “Child Pornography
Prevention Act” (CPPA), con l’intento di colpire la pedopornografia via Internet,
proibendo «ogni raffigurazione visuale, incluse foto, film, video, disegni, immagini
generate dal computer e anche disegni che solo sembrano essere, di minori coinvolti
in condotte sessualmente esplicite». La Corte osservò che in questo modo si
intendeva comprendere anche la cosiddetta “pedopornografia virtuale”, che fa uso di
immagini generate dal computer oltre a quelle prodotte con mezzi tradizionali. Si
proibiva inoltre «ogni immagine sessualmente esplicita pubblicizzata, promossa,
presentata, descritta o distribuita in modo tale da far pensare ad un minore coinvolto
in condotte sessualmente esplicite». In seguito all’approvazione del CPPA,
preoccupati per la possibile limitazione delle proprie attività, la Free Speech
Coalition, una associazione commerciale californiana dell’industria pornografica,
insieme con Bold Type, Inc., editore di un libro in favore dello stile di vita nudista, Jim
Gingerich, un pittore di nudo, Ron Raffaelli, un fotografo specializzato in immagini
erotiche, intentarono una causa accusando il CPPA di essere “overbroad”, cioè
talmente vago che i suoi effetti andavano al di là delle intenzioni del legislatore. La
Corte che aveva approvato il CPPA respinse l’accusa, ma alla fine la Free Speech
Coalition vinse la causa: la Corte presieduta da William Rehnquist decretò che
effettivamente il CPPA era da considerarsi “overbroad” perché proibiva anche
materiale né osceno né prodotto sfruttando bambini veri, come nel caso di Ferber, e
per questo fu giudicato incostituzionale. La Corte Suprema confermò
successivamente la decisione affermando che il CPPA includeva categorie di
espressione diverse dall’oscenità e dalla pedopornografia. Concluse che «il CPPA
proibisce la libera espressione a dispetto del suo valore letterario, artistico, politico o
scientifico». In particolare, le raffigurazioni visuali di teenagers coinvolti in attività
sessuali che possono essere tema di opere artistiche e letterarie, come ad esempio
in “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, nel film del 1996 “William
Shakespeare's Romeo + Juliet” diretto da Baz Luhrmann, nei film “Traffic” e
“American Beauty”. Il ché andrebbe contro la regola essenziale del Primo
Emendamento secondo cui «il merito artistico di un’opera non dipende dalla
presenza di una singola scena sessualmente esplicita». Mentre la pornografia
minorile, inclusa la pedopornografia, è illegale per il danno che la sua distribuzione e
produzione infligge ai minori e ai bambini, la pornografia virtuale può servire a
preservare il valore artistico di un’opera che ritrae minori coinvolti in atti sessuali e al
tempo stesso salvaguardare i minori dal possibile sfruttamento. Il Governo
controbattè che, senza il CPPA, i molestatori di bambini avrebbero potuto usare la
pedopornografia virtuale per cercare di sedurre dei bambini. La Corte rispose che «vi
sono molte cose innocenti, come i cartoni animati, i videogiochi, le caramelle, che
potrebbero essere usate per scopi immorali, ma che non per questo si possono
proibire». (come pensiero pedofilo non fa una grinza, ndr). Allo stesso modo, il Primo
Emendamento distingue tra parole e azioni, escludendo che si possano bandire delle
mere parole solo perché potrebbero condurre a cattive azioni. Se l’obiettivo del
CPPA era di eliminare il mercato della pornografia minorile, non si poteva
raggiungere quest’obiettivo proibendo anche forme di espressione legali. Il giudice
Justice Rehnquist dissentì argomentando che il rapido avanzamento della tecnologia
avrebbe presto reso molto difficile, se non impossibile, distinguere tra pornografia
reale, realizzata con immagini di bambini veri, e pornografia virtuale, realizzata con
immagini di bambini simulate, e che per questo il CPPA proibiva «immagini virtuali
generate dal computer indistinguibili da quelle di bambini reali coinvolti in condotte
sessuali esplicite». Per quanto riguarda le opere di indubbio merito artistico,
Rehnquist fece notare che la raffigurazione esplicita di rapporti sessuali in cui fossero
coinvolti dei minori, proibita dal CPPA, non era riscontrabile in nessuno dei film citati
dalla Corte, dove il rapporto sessuale con o tra minori è solo evocato, mai mostrato
in modo esplicito.
Nel dicembre del 2008, in Virginia, Dwight Whorley è la prima persona ad essere
condannata definitivamente a 20 anni di prigione per aver usato un computer della ditta
per cui lavorava per ricevere «immagini oscene di cartoni animati giapponesi raffiguranti
bambine in età pre-puberale obbligate a rapporti sessuali con maschi adulti», e anche per
il possesso di pornografia minorile raffigurante minori in carne e ossa. La Corte di Appello,
nel confermare la condanna, sentenzia che «non è un elemento richiesto che il minore
raffigurato esista veramente».
Jail sentence for hentai owner raises First Amendment issues 18 giugno 2009
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