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dir. g
2009 FRA 150min.
l͛ultimo film di Jacques Audiard, Gran Premio della Giuria a Cannes 2009, non devia dal
canovaccio classico del film dietro-le-sbarre. Come al solito, ancora più del solito, il regista francese prende
un plot di originalità non eccessiva e lo domina con stile sicuro ed asciutto, puntando più sull͛intensità
recitativa dei suoi personaggi che sulla sorpresa narrativa. Come con il Mathieu Kassovitz di
Insomma un sofisticato, ma ennesimo, prison-movie? Si, e no. La particolarità del tocco di Audiard in
effetti, più che nell͛immergersi in uno stile particolare, sta nella trasversalità di un film sospeso a mezz͛aria
tra le prigione holliwoodiane e la diversità
! . La potenza del film sta nella capacità di prendere un
genere consumato e ri-proporlo con inusitata modernità, giostrando diversi registri attraverso un realismo
a tratti crudo e sconvolgente, una fede assoluta nella macchina da presa, una recitazione sempre adeguata.
Qua e là, come pennellate impressioniste, Audiard interpunta il flusso narrativo con intuizioni oniriche,
telecamere in soggettiva con una sorta d͛effetto-palpebra ad offuscare la visione, il corpo dell͛assassinato,
infiammato, che vive e parla con Malik a mò di demone custode, e ancora surreali, nonchè profetiche
visioni di cervi in corsa per la strada. Come per le soggettive sonore di
dove si giocava a
confondere il volume del film e dell͛apparecchio acustico della protagonista, si tratta anche qui d͛incursioni
improvvise nella psiche di personaggi e spettatori, momenti non di comprensione ma d͛impressione, che
incrinano e ricalibrano sottilmente la prospettiva, aprendo verso
distanti dallo squallore molesto
della prigione, quanto basta per suggerire un͛altro piano, narrativo ed emotivo. Questa capacità di
accennare apparentemente senza sforzo all͛
, supportata da un͛ironia sottile e tagliente, è la chiave
del talento di Audiard. La sua prigione è decisamente un posto dove val la pena passar due ore e mezza di
pura soddisfazione cinefila.