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il futuro di un continente

EUROPA LIDENTIT PERDUTA


Jacques Derrida Jrgen Habermas

Due date non possiamo dimenticare: non il giorno nel quale i giornali comunicarono ai loro sconcertati lettori la dichiarazione di lealt a Bush che il primo ministro spagnolo aveva fatto sottoscrivere ai governi europei favorevoli alla guerra, alle spalle degli altri colleghi dellUnione. Ma nemmeno il 15 febbraio 2003, quando le manifestazioni di massa a Londra, Roma, Madrid e Barcellona, Berlino e Parigi reagirono a questo colpo di mano. La contemporaneit di queste gigantesche dimostrazioni - le pi grandi dalla fine della seconda guerra mondiale - potrebbe essere indicata retrospettivamente nei libri di storia come il segnale della nascita di unopinione pubblica europea. Durante i mesi di piombo precedenti lo scoppio della guerra in Iraq una divisione del lavoro moralmente oscena aveva scosso le coscienze. La grande operazione logistica dellinarrestabile spiegamento di forze militari e la febbrile operosit delle organizzazioni di soccorso umanitario si innestarono luna nellaltra come ruote dentate. Lo spettacolo si svolse senza interruzioni anche sotto gli occhi della popolazione irachena, che - privata di qualsiasi possibilit di iniziativa - ne sarebbe stata la vittima. Senza dubbio, la forza dei sentimenti ha rimesso in piedi i cittadini europei. Nello stesso tempo, per, la guerra ha reso gli europei consapevoli del fallimento, profilatosi da lungo tempo, della loro politica estera comune. Come in tutto il mondo, la disinvolta violazione del diritto internazionale ha acceso anche da noi in Europa una polemica sul futuro dellordine internazionale. Ma gli argomenti contrapposti ci hanno

coinvolto pi profondamente. In occasione di questa polemica le ben note linee di frattura si sono solo fatte pi evidenti. Le prese di posizione controverse sul ruolo della superpotenza, sul futuro ordine mondiale, sulla rilevanza del diritto internazionale e dellOnu hanno fatto s che i contrasti latenti si manifestassero apertamente. La spaccatura tra paesi continentali e paesi anglosassoni da un lato e, dallaltro, tra la vecchia Europa e i candidati dellEuropa centro-orientale allingresso nellUnione, si approfondita. In Gran Bretagna la special relationship con gli Stati Uniti non affatto esente da contestazioni, ma continua a stare al primo posto nellordine delle priorit di Downing Street. E i paesi dellEuropa centro-orientale aspirano, certo, a entrare nellUnione europea, ma non per questo sono senzaltro disposti a vedere limitata la propria sovranit, da cos poco tempo riconquistata. La crisi dellIraq stata soltanto il catalizzatore. Anche nella Convenzione per la costituzione europea di Bruxelles si manifesta il contrasto tra le nazioni che vogliono davvero un rafforzamento dellUnione europea e quelle che hanno un interesse comprensibile a congelare lo status quo dellattuale gestione intergovemativa del-lUnione o al massimo a modificarla con interventi di pura cosmesi istituzionale. Ora. il contrasto non pu pi essere ignorato. La futura costituzione ci dar un ministro degli Esteri europeo. Ma a che serve una nuova carica, se i governi non si uniscono in una politica comune? Anche un Fischer con una qualifica diversa resterebbe impotente come Solana. Per il

momento solo gli stati membri appartenenti al nocciolo duro sono disposti ad attribuire allUnione europea certi caratteri statali. Che fare, se solo questi paesi riescono a trovare ununit sulla definizione dei propri interessi? Se lEuropa non vuole andare in frantumi, questi paesi devono ora far uso del meccanismo, messo a punto a Nizza, della collaborazione rafforzata, per dare inizio a una comune politica estera, della sicurezza e della difesa in unEuropa a diverse velocit. Ne deriver un effetto vortice al quale non potranno sottrarsi gli altri paesi membri - a cominciare da quelli della, zona euro. Nel quadro della futura costituzione europea non pu e non deve esserci nessun separatismo. Andare avanti non significa escludere. LEuropa avanguardistica del nocciolo duro non pu rattrappirsi in una piccola Europa; deve piuttosto - come spesso accaduto - fare da locomotiva. Gli stati membri dellUnione europea che cooperano pi strettamente apriranno le porte gi per il proprio interesse. Attraverso queste porte i paesi invitati entreranno tanto pi facilmente, quanto prima il nocciolo duro dellEuropa sar capace di agire anche verso lesterno e dimostrer che in una societ mondiale complessa non contano soltanto le armate, ma anche il potere soffice dei negoziati, delle relazioni e dei vantaggi economici. In questo mondo non vale la pena di semplificare la politica fino a ridurla allalternativa tanto stupida quanto costosa di guerra e pace. LEuropa deve far sentire il suo peso sul piano internazionale e nel quadro dellOrni, per bilanciare lunilateralismo egemonico degli Stati Uniti. Ai vertici

delleconomia mondiale e nelle istituzioni dellOrganizzazione per il commercio mondiale, della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale dovrebbe far sentire la sua influenza contribuendo a tracciare le linee di una futura politica interna mondiale. Tuttavia, la politica di un ulteriore ampliamento dellUnione europea trova oggi i suoi limiti negli strumenti della gestione amministrativa. Finora le riforme hanno tratto impulso dagli imperativi funzionali della creazione di unarea economica e monetaria comune. Queste forze motrici si sono esaurite. Una politica progettuale, che non esiga dagli stati membri soltanto la rimozione degli ostacoli alla concorrenza, ma anche una volont comune, attenta alle idee e al modo di sentire dei cittadini stessi. Le deliberazioni a maggioranza circa le scelte e gli orientamenti pi impegnativi in politica estera possono essere accettate solo se le minoranze perdenti sono solidali. Questo per implica un sentimento di appartenenza politica. Le popolazioni devono in certo modo accrescere le loro identit nazionali, estendendole a una dimensione europea. La solidariet ancor oggi piuttosto astratta tra cittadini di uno stato, che si limita agli appartenenti alla propria nazione, in futuro dovr allargarsi ai cittadini europei di altre nazioni. Tutto questo solleva la questione dellidentit europea. Solo la consapevolezza di un destino politico comune e la convincente prospettiva di un futuro comune pu far s che la volont della maggioranza non tolga la voce alle minoranze sconfitte. In linea di pricipio i cittadini di una nazione devono

considerare la cittadina di unaltra nazione come una di noi. Questo auspicio porta alla questione sulla quale si sono levate tante voci scettiche: ci sono esperienze, storielle, tradizioni e conquiste che fondano per i cittadini europei la coscienza di un destino politico che li ha accomunati e al quale essi devono dar forma in co mune? Una visione attraente o addirittura contagiosa di unEuropa futura non cade dal cielo. Oggi pu nascere soltanto da uninquietante sensazione di disorientamento. Ma pu anche essere lesito dellimbarazzo prodotto da una situazione nella quale noi europei siamo rimandati a noi stessi. E deve articolarsi nella cacofonia selvaggia di unopinione pubblica a molte voci; se finora questo tema non mai stato allordine del giorno, noi intellettuali abbiamo fallito. Insidie di unidentit europea facile unirsi su ci che non vincolante. E tutti hanno davanti agli occhi limmagine di unEuropa pacifica, cooperativa, aperta ad altre culture e capace di dialogare. Noi salutiamo lEuropa che nella seconda met del ventesimo secolo ha trovato soluzioni esemplari per due problemi. In primo luogo, lUnione europea oggi si propone come una forma di governo al di l dello stato nazionale, che potrebbe fare scuola nella costellazione postnazionale. In secondo luogo, anche i modelli europei di stato sociale sono stati per lungo tempo esempi da imitare. Sul piano dello stato nazionale, oggi sono sulla difensiva. Ma una futura politica di addo-

mesticamento del capitalismo in spazi senza confini non pu ricadere dietro i criteri di giustizia sociale che essi hanno fissato. Perch lEuropa, che stata capace di venire a capo di due problemi di queste proporzioni, non dovrebbe affrontare anche la sfida ulteriore di difendere e portare avanti un ordine cosmopolitico sulla base del diritto internazionale, contro progetti concorrenti? Un discorso ordito su scala europea dovrebbe per incontrarsi con orientamenti esistenti, che in certo modo attendono di essere stimolati da un processo di autocomprensione. Due dati di fatto sembrano contraddire questa audace ipotesi. Le pi importanti conquiste storiche dellEuropa non hanno forse perduto la loro forza di creare unidentit proprio in seguito al loro successo mondiale? E cosa deve tenere insieme una parte del mondo che come nessunaltra si caratterizza per la persistente rivalit tra nazioni orgogliose della propria identit? Poich il cristianesimo e il capitalismo, la scienza e la tecnica, il diritto romano e il codice napoleonico, la forma di vita urbana e borghese, la democrazia e i diritti umani, secolarizzazione dello Stato e della societ si sono diffusi ad altri continenti, queste conquiste non costituiscono pi una peculiarit. La fisionomia spirituale occidentale, che si radica nella tradizione ebraico-cristiana, possiede certo tratti caratteristici. Ma anche questa impostazione spirituale, connotata dallindividualismo, dal razionalismo e dallattivismo, condivisa dalle nazioni europee con gli Stati Uniti, il Canada e lAustralia. LOccidente come orizzonte spirituale abbraccia

ben pi che la sola Europa. Inoltre, lEuropa consiste di Stati nazionali che si delimitano polemicamente luno rispetto allaltro. La coscienza nazionale, che riceve la sua impronta dalle lingue, dalle letterature e dalle storie nazionali, ha per lungo tempo agito come un materiale esplosivo. Tuttavia, in relazione alla forza distruttiva di questo nazionalismo hanno preso forma dei modelli di mentalit che dal punto di vista dei non europei danno un volto tutto suo allEuropa odierna, nella sua incomparabile, vasta pluralit culturale. Una cultura che da molti secoli, attraverso conflitti tra citt e campagna, o tra poteri religiosi e poteri secolari, attraverso la concorrenza tra fede e sapere, la lotta tra i detentori del dominio politico e le classi antagoniste stata lacerata pi di tutte le altre culture, non ha potuto fare a meno di apprendere nel dolore come le differenze possano comunicare, i contrasti possano essere istituzionalizzati e le tensioni possano essere stabilizzate. Anche il riconoscimento delle differenze - il reciproco riconoscimento dellaltro nella sua alterit - pu diventare il contrassegno di unidentit comune. La pacificazione dei conflitti di classe operata dallo stato sociale e lautolimitazione della sovranit statale nel quadro dellUnione europea sono solo gli esempi pi recenti di tutto ci. Nel terzo quarto del ventesimo secolo lEuropa al di qua della cortina di ferro ha vissuto, secondo le parole di Eric Hobsbawm, la sua et delloro. Da allora sono riconoscibili i tratti di una mentalit politica comune, sicch spesso gli altri vedono in noi leuropeo anzich il tedesco o il francese - e

questo non solo a Hong Kong, ma perfino a Tel Aviv. proprio vero: rispetto ad altre parti del mondo, nelle societ europee la secolarizzazione progredita di molto. Qui i cittadini considerano con sospetto gli sconfinamenti tra politica e religione. Gli europei hanno una fiducia relativamente grande nelle prestazioni organizzative e nelle capacit gestionali dello Stato, mentre sono scettici rispetto allefficienza del mercato. Essi possiedono un senso spiccato della dialettica dellilluminismo, non nutrono nei confronti dei progressi tecnici aspettative incrollabilmente ottimistiche. Sono portati a preferire le garanzie di sicurezza dello stato sociale o i sistemi di regolazione solidale. La soglia di tolleranza rispetto allesercizio della violenza sulle persone comparativamente bassa. Il desiderio di un ordine internazionale multilaterale e giuridicamente regolato si lega alla speranza in una effettiva politica interna nel quadro di unOnu riformata. La costellazione che ha consentito ai favoriti europei occidentali di sviluppare questa mentalit allombra della guerra fredda si dissolta dal 1989-90. Ma il 15 febbraio dimostra che la mentalit sopravvissuta anche al suo contesto di origine. Questo spiega anche perch la vecchia Europa si vede sfidata la dalla risoluta di politica come egemonica una della superpotenza alleata. E perch cos tanti che in Europa salutano caduta Saddam liberazione respingono il carattere di violazione del diritto internazionale assunto dallinvasione unilaterale, preventiva, tanto sconcertante quanto insufficientemente motivata. Ma quanto

stabile questa mentalit? Ha radici in esperienze e tradizioni storiche profonde? Oggi sappiamo che molte tradizioni politiche che rivendicano autorit in forza di unapparente naturalit sono state inventate. Invece, unidentit europea che nascesse alla luce dellopinione pubblica sarebbe gi in partenza qualcosa di costruito. Ma solo se fosse costruita in modo arbitrario porterebbe la macchia della pura e semplice convenzione. La volont etico-politica che si afferma nellermeneutica dei processi di autocomprensione non arbitrio. La distinzione tra leredit alla quale diamo inizio e quella che vogliamo respingere esige tanta cautela quanto la decisione sul tipo di lettura in base al quale ci appropriamo della prima. Le esperienze storiche si candidano solo a unappropriazione consapevole, senza di cui non ottengono la forza di creare unidentit. Per finire, qualche spunto su queste esperienze candidate alla luce delle quali la mentalit europea postbellica potrebbe acquisire un, profilo pi netto. Radici storiche di un profilo politico Il rapporto tra Stato e Chiesa nellEuropa moderna si sviluppato in modo diverso al di qua e al di l dei Pirenei, a nord e a sud delle Alpi, a ovest e a est del Reno. La neutralit del potere statale circa le visioni del mondo ha ricevuto una configurazione giuridica differente in ciascuno dei vari paesi europei. Ma ovunque allinterno della societ

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civile la religione assume una analoga posizione impolitica. Anche se per altri aspetti si pu deplorare questa privatizzazione sociale della fede, essa ha per la cultura politica una conseguenza desiderabile. Dalle nostre parti si fa fatica a immaginare un presidente che affronta i suoi impegni ufficiali quotidiani iniziando con una preghiera pubblica e che collega le sue decisioni politiche pi impegnative a una missione divina. In Europa, lemancipazione della societ civile dalla tutela di un regime assolutistico non corrispose ovunque alla presa di possesso e alla trasformazione democratica del moderno stato amministrativo. Ma lirradiazione ideale della Rivoluzione francese su tutta lEuropa spiega, tra laltro, perch qui alla politica in entrambe le sue configurazioni - sia come medium della garanzia di libert che come potere organizzativo - sia stata assegnata una funzione positiva. Invece, laffermazione del capitalismo andata di pari passo con aspri contrasti di classe. Questo ricordo impedisce anche una valutazione non prevenuta del mercato. Il diverso giudizio su politica e mercato pu rafforzare negli europei la fiducia sulla capacit ordinatrice di uno stato che opera come un fattore di civilt, dal quale si attendono anche il rimedio ai guasti del mercato. Il sistema dei partiti uscito dalla Rivoluzione francese stato spesso copiato. Ma solo in Europa esso anche al servizio di una competizione ideologica. che sottopone le patologie sociali causate dalla modernizzazione capitalistica a una continua valutazione politica. Questo richiede

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sensibilit da parte dei cittadini per i paradossi del progresso. Il conflitto tra interpretazioni conservatrici, liberali e socialiste comporta che si soppesi una questione: le perdite determinate dalla disintegrazione delle forme di vita tradizionali e protettive superano i guadagni di un progresso chimerico? Oppure i benefici prefigurati oggi per domani dai processi di distruzione creativa superano i dolori dei perdenti della modernizzazione? In Europa le differenze di classe che hanno perdurato tanto a lungo sono state percepite da coloro che ne erano colpiti come un destino che poteva essere cambiato solo con lagire collettivo. Cos, nel contesto dei movimenti dei lavoratori e delle tradizioni cristiano-sociali si affermato un ethos solidaristico della lotta per pi giustizia sociale, mirante a unassistenza uniforme, contro lethos individualistico di una giustizia conforme alle prestazioni, che reca con s stridenti disuguaglianze sociali. LEuropa attuale contrassegnata dalle esperienze dei regimi totalitari del ventesimo secolo e dallOlocausto - la persecuzione e lannientamento degli Ebrei europei, nella quale il regime nazista ha coinvolto anche le societ? dei paesi conquistati -. Le discussioni autocritiche su questo passato hanno richiamato alla memoria i fondamenti morali della politica. Una pi alta sensibilit per le lesioni dellintegrit personale e fisica si riflette tra laltro nel fatto che il Consiglio europeo e lUnione europea hanno posto come condizione di ammissibilit nellUnione stessa la rinuncia alla pena di morte.

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Un passato bellicista ha a suo tempo trascinato tutte le nazioni europee in conflitti sanguinosi. Dopo la seconda guerra mondiale, dalle esperienze della mobilitazione militare e spirituale delle une contro le altre hanno tratto la conseguenza di sviluppare nuove forme di cooperazione sopranazionale. La storia dei successi dellUnione europea ha consolidato negli europei la convinzione che laddomesticamento dellesercizio della forza da parte dello stato esige anche sul piano globale la delimitazione reciproca dei campi dazione sovrani. Ciascuna delle grandi nazioni europee ha attraversato una fase di pieno dispiegamento della potenza imperiale e, ci che nel nostro Contesto pi importante, ha dovuto elaborare lesperienza della perdita di un impero. Questa esperienza di declino si collega in molti casi con la perdita dei possedimenti coloniali. Con la crescente distanza dallepoca dei domini imperiali e della storia coloniale le potenze europee hanno anche avuto lopportunit di situarsi ad una distanza riflessiva da se stesse. Hanno cos potuto apprendere a percepirsi, dalla prospettiva degli sconfitti, nel ruolo dubbio dei vincitori cui viene chiesta ragione della violenza di una modernizzazione paternalistica e sradicante. Questo potrebbe aver favorito la rinuncia alleurocentrismo, dando le ali alla speranza kantiana in una politica interna mondiale. (Traduzione di Carlo Sandrelli)

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