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Compendio di Diritto Amministrativo di Elio Casetta

Capitolo I

L'AMMINISTRAZIONE E IL SUO DIRITTO

1. La nozione di amministrazione

II termine "amministrazione" non è di per sé un concetto giuridico: indica, lessicalmente


inteso, la cura in concreto di interessi. Esso è riferibile ad un qualsiasi soggetto (persona
giuridica, pubblica o privata, ovvero individuo) che svolge un'attività rivolta alla soddisfazione di
interessi correlati ai fini che si propone di perseguire. Qui di seguito verrà analizzata
l'amministrazione regolata da norme giuridiche e svolta per la soddisfazione di interessi
pubblici, posta in essere dalle persone giuridiche pubbliche e dagli organi che hanno competenza
alla cura degli interessi dei soggetti pubblici.

2. La nozione di diritto amministrativo

La disciplina giuridica della pubblica amministrazione nella sua organizzazione, nei suoi beni,
nelle attività ad essa peculiari e nei rapporti che, esercitando tale attività, si instaurano con gli
altri soggetti dell'ordinamento, è il diritto amministrativo. Gli Stati caratterizzati dalla presenza
di un corpo di regole amministrative distinte dal diritto comune sono generalmente definiti come
Stati a regime amministrativo. L'attività amministrativa può, comunque, essere esercitata da
soggetti pubblici anche nelle forme del diritto privato. Per quanto riguarda poi, i rapporti tra
diritto amministrativo e diritto penale, negli ultimi decenni molti reati sono stati depenalizzati
per diventare illeciti amministrativi, pur essendo rimasta immutata la fattispecie.

3. L'amministrazione comunitaria ed il diritto amministrativo

L'azione amministrativa è condizionata dalla disciplina posta dalle fonti comunitarie, come i
trattati, i regolamenti e le direttive. Al fine di descrivere questo complesso di normative,
potrebbe essere utilizzata l'espressione diritto amministrativo comunitario che, in senso proprio,
è però, solo quello avente ad oggetto l'amministrazione comunitaria, cioè quell'insieme di
organismi ed istituzioni dell'Unione europea cui è affidato il compito di svolgere attività
sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi (hanno funzioni esecutive la
Commissione e il Consiglio). Il moltiplicarsi dei compiti dell'Unione europea impone il
raccordo tra istituzioni comunitarie ed amministrazioni nazionali, inoltre, l'aumento dei
compiti comunitari determina la possibilità di un parziale ridimensionamento del campo di
azione dell'amministrazione interna. Un argine a tale situazione potrebbe derivare dal
principio di sussidiarietà: introdotto nel nostro ordinamento dalla I. 59/1997e dall'art. 3, c. 5,
T.U. enti locali, nonché dalla I. cost. 3 del 2001, questo principio, inserito nel trattato
istitutivo della Comunità europea (art. 5, nel testo modificato dal Trattato di Amsterdam
pattuisce una regola di riparto delle competenze tra Stati membri e Unione europea. Più in
particolare, nei settori di competenza "concorrente" tra Unione e Stati membri, esso consente
alla prima di intervenire "soltanto se e nella misura in cui" gli obiettivi dell'azione prevista non
possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possano dunque essere meglio
realizzati a livello comunitario, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione stessa.
Le amministrazioni nazionali, infine, possono essere chiamate a svolgere compiti esecutivi
delle decisioni adottate dall'amministrazione comunitaria.


Capitolo II
ORDINAMENTO GIURIDICO E AMMINISTRAZIONE: LA DISCIPLINA
COSTITUZIONALE

1. Diritto amministrativo e nozione di ordinamento giuridico

II termine ordinamento giurìdico generale indica l'assetto giuridico e l'insieme delle norme
giuridiche che si riferiscono ad un particolare gruppo sociale. Molte norme di questo ordinamento
sono costituite da prescrizioni costituzionali, l'analisi delle quali consente di chiarire quale sia la
posizione dell'amministrazione nell'ordinamento giuridico generale, cioè quali sono i suoi
rapporti con gli altri soggetti dell'ordinamento.

2. L'amministrazione nella Costituzione: in particolare, il "modello" di amministrazione


emergente dagli artt. S, 95, 97 e 98. La separazione tra indirizzo politico e attività di
gestione

Dalla lettura degli artt. 98, 5 e 97 della Costituzioni emergono diversi modelli di
amministrazione, che hanno costantemente presente, sullo sfondo, la questione del rapporto tra
amministrazione, governo e politica.
Il Governo, assieme al Parlamento, esprime un indirizzo, qualificato dal l’art 95 Cost. come
indirizzo politico ed amministrativo. L'indirizzo politico può essere definito come la direzione
politica dello Stato e, quindi, come quel complesso di manifestazioni di volontà in funzione del
conseguimento di un fine unico, le quali comportano la determinazione di un impulso unitario e di
coordinazione affinchè i vari compiti statali si svolgano in modo armonico, mentre l'indirizzo
amministrativo, che deve comunque essere stabilito nel rispetto dell'indirizzo politico, consiste
nella prefissione di obiettivi dell'azione amministrativa. Il Consiglio dei ministri ha il compito di
determinare, in attuazione della politica generale del governo, l'indirizzo generale dell'azione
amministrativa (ari 2, e. 1,1.400/1988); il Presidente del Consiglio dei ministri impartisce ai
ministri le direttive politiche ed amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio
dei ministri (art. 5, c. 2, lett a), I. 400/1988). L'art. 42 T.U. enti locali, dispone che il
consiglio comunale e provinciale siano organi di indirizzo e di controllo politico­
amministrativo
Riflesso del problematico rapporto tra politica, amministrazione e diritto amministrativo è la
questione della distinzione tra atti amministrativi e atti politici, questi ultimi sottratti al
sindacato del giudice amministrativo (sulla base della I. 5992/1889 istitutivo della sez. IV del
Consiglio di Stato; v. oggi r.d. 1054/1924). Quali esempi di atti politici che rivestono la forma
amministrativa possono annoverarsi le deliberazioni dei decreti legge e dei decreti legislativi,
atti di iniziativa legislativa del governo, oppure lo scioglimento dei consigli regionali.
Anello di collegamento tra indirizzo politico e attività amministrativa in senso stretto sono
gli atti di alta amministrazione (es. provvedimenti di nomina dei direttori generali delle
aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), caratterizzati da un'altissima
discrezionalità, soggetti alla legge e al sindacato giurisdizionale.

3. I principi costituzionali della pubblica amministrazione: la responsabilità

L'art. 28 Cost. enuncia il principio di responsabilità: "i funzionarl e i dipendenti dello


Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e
amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si
estende allo Stato e agli enti pubblici (v. cap. VIII par. 4). La normativa amministrativa
impiega il termine responsabilità anche in un diverso significato, cioè per indicare il soggetto
("responsabile") che deve rendere conto del complesso dell'attività di un ufficio ad esso facente capo.

3.1 II principio di legalità

L'amministrazione è soggetta al principio di legalità, che, nel nostro ordinamento, è


suscettibile di diverse interpretazioni. In primo luogo, esso è considerato come non
contraddittorietà dell'atto amministrativo rispetto alla legge (preferenza della legge). Questa
accezione di legalità, la prima dal punto di vista storico, corrisponde all'idea che l'amministrazione
può fare solo ciò che non sia impedito dalla legge, opinione superata, oggi, con la tesi della legalità
formale e sostanziale. Nella sua accezione di conformità formale il principio in esame sta ad

intendere che l'amministrazione non solo non può contraddire la legge, ma ha il dovere di agire
nelle ipotesi ed entro i limiti fissati dalla legge che attribuisce il relativo potere.
Con la nozione di conformità sostanziale s'intende far riferimento alla necessità che
l'amministrazione agisca non solo entro i limiti di legge, ma altresì in conformità della disciplina
sostanziale posta dalla legge stessa, la quale incide anche sulle modalità di esercizio dell'azione,
del potere.
I parametri a cui l'attività amministrativa deve fare riferimento sono più ampi della sola
legge in senso formale: ciò consente, tra l'altro, di spiegare perché si parli in dottrina non solo di
legalità ma anche di legittimità, la quale consiste nella conformità del provvedimento e
dell'azione amministrativa a parametri anche diversi dalla legge, anche se alla stessa collegati
(es. norme regolamentari, statutarie). L'amministrazione può esercitare solo i poteri
autoritativi previsti dalla legge: ne consegue che essa può emanare solo i provvedimenti stabiliti
in modo tassativo dalla legge (tipicità dei provvedimenti amministrativi). Altro principio che
riguarda i rapporti tra attività amministrativa e legge è quello del giusto procedimento.

3.2 II principio di imparzialità

Due principi relativi all'amministrazione sono posti dal l’art. 97 Cost.: trattasi del principio di
buon andamento dell'amministrazione e del principio di imparzialità (dottrina e
giurisprudenza ritengono che la norma si estenda anche all'amministrazione non statale e che
riguardi sia l'organizzazione che l'attività dell'amministrazione stessa). L'imparzialità sta a
significare che l'amministrazione ha il dovere di non discriminare la posizione dei soggetti
coinvolti dalla sua azione nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura, nonché
l'esigenza che essa sia strutturata in modo da assicurare una condizione oggettiva di aparzialità.
Sotto questo profilo, il precetto costituzionale si rivolge sia al legislatore che all'amministrazione
in quanto ponga la disciplina della propria organizzazione e le concrete misure di
organizzazione. Applicazioni specifiche del principio sono la posizione dei pubblici impiegati, i
quali sono al servizio esclusivo della nazione (art. 98 Cost.) e non di interessi partigiani, l'obbligo
di astensione sussistente in capo ai titolari di pubblici uffici quando si debbano decidere
questioni a cui sono interessati, adottare il criterio del pubblico concorso per selezionare il
personale. Connesso con l'imparzialità nell'azione amministrativa è il principio della
predeterminazione dei criteri e delle modalità cui l'amministrazione si deve attenere nelle
scelte, il quale consente di verificare la rispondenza delle scelte concrete ai criteri che
l'amministrazione ha prefissato (c.d. autolimite, disciplinato dal l’art 12 I. 241/90). Trova
applicazione nelle ipotesi di erogazioni pubbliche senza corrispettivo, allorché i criteri e le
modalità cui attenersi non siano stati determinati dalla legge: l'amministrazione non può
procedere in via puntuale e concreta senza la previsione, in via generale e preventiva, di criteri
e modalità, che vanno pubblicati e la cui osservanza deve risultare dal provvedimento.
Nell'azione amministrativa, dunque, il dovere di imparzialità significa dovere di evitare
disparità di trattamento (nell'organizzazione, invece, c'è l'esigenza astratta che gli interessi siano
considerati).

3.3. Il principio di buon andamento

L'art. 97 Cost. enuncia anche il principio di buon andamento, che impone alla pubblica
amministrazione di agire nel modo più adeguato e conveniente possibile.

3.4 I criteri di efficacia, economicità, efficienza e trasparenza

L'amministrazione deve attenersi anche ai seguenti criteri: efficienza: indica la necessità di


misurare il "rapporto tra il risultato dell'azione organizzativa e la quantità di risorse impiegate
per ottenere quel dato risultato; efficacia: indica il "rapporto tra ciò che si è effettivamente
realizzato e quanto si sarebbe dovuto realizzare sulla base di un piano o programma";
trasparenza: può essere riferito sia all'organizzazione che all'attività e si realizza attraverso
istituti come il diritto di accesso, la motivazione, il responsabile del procedimento ecc.

3.5 I principi di azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti
della pubblica amministrazione e di sindacabilità degli atti amministrativi.
Il problema della riserva di amministrazione.

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Gli artt. 24 e 113 Cost. esprimono l'esigenza che ogni atto della pubblica amministrazione
possa essere oggetto di sindacato da parte del giudice e che tale sindacato attenga a qualsiasi
tipo di vizio di legittimità: si tratta del principio di azionabilità delle situazioni giuridiche
dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione e di sindacabilità degli
atti amministrativi.
Secondo la Corte Costituzionale, i principi in esame non impedirebbero l'emanazione, purché
sia rispettato il canone della ragionevolezza, delle cd. leggi provvedimento (hanno contenuto
concreto e puntuale come un provvedimento amministrativo), sindacabili solo dalla Corte
costituzionale, alla quale non è possibile proporre direttamente ricorso da parte dei soggetti
privati lesi.

4. Il principio della finalizzazione dell'amministrazione pubblica agli interessi pubblici

Dall'art. 97 cosi, emerge il principio di finalizzazione dell'amministrazione pubblica: il


buon andamento significa congruità dell'azione in relazione all'interesse pubblico,
l'imparzialità, direttamente applicabile all'azione amministrativa, postula l'esistenza di un
soggetto "parte", il quale è tale in quanto persegue finalità collettive che l'ordinamento generale
ha attribuito alla sua cura.

5. I principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza

Regola fondamentale dell'organizzazione amministrativa è quella dei decentramento


amministrativo, art. 5 Cost­., termine utilizzato per indicare la dislocazione dei poteri tra
soggetti ed organi diversi. Può assumere le seguenti forme: decentramento burocratico: comporta
il trasferimento di competenze da organi centrali ad organi periferici di uno stesso ente ed implica
la responsabilità esclusiva degli organi locali nelle materie di propria competenza, nonché
l'assenza di un rapporto di rigida subordinazione con il centro; decentramento autarchico:
comporta l'affidamento ad enti diversi dallo Stato del compito di soddisfare la cura di alcuni
bisogni pubblici. La L. 59/1997, art. 1, e. 2, ha attribuito al governo la delega per conferire agli
enti locali e alle regioni tutte le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla cura di
interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, delega esercitata con il
d.lgs 112(1998: a seguito di questo processo di conferimento, l'amministrazione italiana si
configura essenzialmente come regionale e locale.
In concomitanza con siffatto processo, il legislatore ha iniziato a richiamare il principio di
sussidiarietà: l'art. 4, l. 59/1997 lo annovera tra i principi ed i criteri direttivi cui deve attenersi
la regione nel conferimento a province, comuni ed enti locali delle funzioni che non richiedano
l'unitario esercizio a livello regionale. L'art. 3, c.5, T.U. enti locali prevede che comuni e
province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della
regione, secondo il principio di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà può essere inteso in senso
verticale (relativamente alla distribuzione delle competenze tra centro e periferia) e orizzontale
(nei rapporti tra poteri pubblici ed organizzazioni della società; gli enti locali, ad esempio,
svolgono le loro funzioni anche attraverso attività esercitate dalla autonoma iniziativa dei
cittadini e delle loro formazioni sociali).
Con la L. Cost. 3/2001 il principio di sussidiarietà è stato costituzionalizzato, sia in senso
verticale, art. 118, co. 1, Cost., che orizzontale art. 118, co. 3, Cost.
Detto principio è anche richiamato nell'art. 120, u.c., Cost.

6. I principi costituzionali applicabili alla pubblica amministrazione: l'eguaglianza, la


so lid ar ietà, l a democ r azia
Ai soggetti pubblici si applicano anche i principi di solidarietà (art. 2 Cost.), eguaglianza
(art. 3 Cost.) e di democrazia, principio, quest'ultimo che, formulato per l'ordinamento militare,
ex art. 52 Cost., non può non essere applicato all'amministrazione nel suo complesso. La
democrazia implica la tutela delle minoranze, la promozione dell'eguaglianza, nonché la
possibilità di controllare l'esercizio del potere politico nei vari settori.

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Capitolo III
L'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA: PROFILI GENERALI

1. Introduzione

Fanno parte del nostro ordinamento soggetti persone fisiche e soggetti persone­giuridiche, tra
cui le persone giuridiche pubbliche. Possono essere centri di imputazione di situazioni giuridiche
soggettive anche le organizzazioni che non hanno personalità giuridica, come i ministeri, le
amministrazioni autonome e le autorità indipendenti.

2. I soggetti di diritto nel diritto amministrativo: gli enti pubblici

L'amministrazione, in senso soggettivo, è composta nel suo complesso da soggetti di diritto


pubblico e si articola nei vari enti pubblici; essi sono dotati di capacità giuridica e, come tali, sono
idonei ad essere titolari di poteri amministrativi (possono essere, quindi, definiti centri di potere).

3. Il problema dei caratteri dell'ente pubblico

L'art. 97 Cost. stabilisce il principio generale secondo cui "i pubblici uffici sono organizzati
secondo disposizioni di legge"; la norma costituzionale esprime il principio essenziale secondo cui
spetta all'ordinamento generale ed alle sue fonti individuare le soggettività che operano al suo
interno. L'art. 4, I. 70/1975, afferma che "nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o
riconosciuto se non per legge"; in ordine agli enti regionali, la necessità di una legge deriva
direttamente dal l’art. 117, c. 1, Cost. Per molti enti si pone il problema di stabilire se siano
pubblici o meno in quanto la legge non ne qualifica la pubblicità: la giurisprudenza, a tal
proposito, ha indicato dei criteri (indici rivelatori) da poter impiegare, tra i quali l'avvenuta
costituzione dell'ente ad opera di un soggetto pubblico, la nomina degli organi direttivi da parte
dello Stato o di altro ente pubblico, l'attribuzione di poteri autoritativi, l'esistenza di controlli o di
finanziamenti pubblici.

4. La definizione di ente pubblico e le conseguenze della pubblicità

Qualificare un ente come pubblico determina una serie di conseguenze giuridiche: 


a)  gli enti pubblici sono dotati di autonomia, ovvero hanno la possibilità di porre in essere
norme generali ed astratte che abbiano efficacia sul piano dell'ordinamento generale
(autonomia normativa: si pensi agli enti territoriali, che possono emanare statuti e
regolamenti), potere di determinare da sé i propri scopi, dandosi degli obiettivi anche
diversi da quelli statali (autonomia di indirizzo, ravvisabile negli enti territoriali; la regione
dispone di potestà di indirizzo politico, anche in virtù della posizione di autonomia ad essa
costituzionalmente riconosciuta.. Province, comuni e città metropolitane possono perseguire
in modo autonomo interessi cui l'ordinamento attribuisce rilevanza pubblica: potestà di
indirizzo politico­amministrativo), autonomia finanziaria (possibilità di disporre in ordine alle
spese e alle entrate autonome), autonomia organizzativa (potere di darsi un proprio assetto
organizzativo), autonomia tributaria (possibilità di disporre di propri tributi), contabile (ne è
espressione la sussistenza di un bilancio diverso da quello degli altri enti); 
b)  hanno la potestà di autotutela, cioè gli enti pubblici hanno la possibilità di risolvere un
conflitto attuale o potenziale di interessi e, in particolare, di sindacare la validità dei propri atti,
producendo effetti incidenti su di essi; 
c)  le persone fisiche legate da un rapporto di servizio agli enti pubblici sono assoggettate ad un
particolare regime di responsabilità penale, civile e amministrativa; 
d)  gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi che si applicano alla pubblica
amministrazione ed alcuni loro beni sono assoggettati ad un regime particolare; 
e)  la loro attività è sorretta da norme peculiari (es. 1. 241/90); 
f)  gli enti pubblici possono utilizzare procedure privilegiate per la riscossione delle entrate
patrimoniali dello stato; 
g)  qualora partecipino ad una società per azioni, possono nominare uno o più amministratori o
sindaci; 
h)  gli enti pubblici sono soggetti a particolari rapporti o relazioni (con lo Stato, regioni,
comuni), la cui intensità varia in ragione dell'autonomia dell'ente.


5. Il problema della classificazione degli enti pubblici

La dottrina individua diverse tipologie di enti pubblici, distinguendoli sulla base delle
finalità perseguite o in ordine alle modalità con le quali viene organizzata la presenza degli
interessati negli organi dell'ente. A tal proposito, si paria di enti a struttura istituzionale, nei
quali la nomina degli amministratori è determinata da soggetti estranei all'ente (si pensi
all'lnps), ed enti associativi, nei quali i soggetti facenti parte del corpo sociale sottostante, di
cui sono esponenti, determinano direttamente o a mezzo di rappresentanti eletti o delegati le
decisioni fondamentali dell'ente, autoamministrandosi (es. collegi professionali).
Altra classificazione è quella contenuta nella legge: la Costituzione contempla all'art. 5 gli
enti autonomi e, ai fini della sottoposizione al controllo della Corte dei Conti, all'art. 100, quella
degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. L'art. 33 Cost. prevede, poi, soggetti
che possono "darsi ordinamento autonomo nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato"
(università, istituzioni di alta cultura, accademie). La legge ha recentemente introdotto la
categorie delle autonomie funzionali (art. 1, d. Igs. 112/1998), o enti locali funzionali, per
indicare quegli enti (camere di commercio, industria, artigianato, istituzioni scolastiche) ai
quali possono essere conferite funzioni e compiti statali. L'art. 1, c. 4, i. 59/1997 esclude
l'affidamento a regioni, comuni o province dei compiti esercitabili localmente in regime di
autonomia funzionale.
Altra categoria di enti è quella degli enti pubblici economici, disciplinati dai diritto civile,
nonché degli enti statali non economici (cd. parastatali) classificati ai sensi della l. 70/1975.
Importanti sono, poi, gli enti territoriali (comuni, province, città metropolitane, regioni,
Stato): il territorio consente di individuare gli enti stessi, che sono appunto comunità territoriali,
nonché le persone, che vi appartengono necessariamente per il solo fatto di esservi stanziate. Ne
consegue che l'ente è politicamente rappresentativo del gruppo stanziato sul territorio e opera
nell'interesse del medesimo; le funzioni dell'ente sono individuabili in ragione del livello
territoriale degli interessi stessi. Possono essere titolari di beni demaniali.
Alcuni enti pubblici sono soggetti a dei regimi speciali: trattasi, ad esempio, delle agenzie (es,
ARAN, l'agenzia spaziale italiana, l'agenzia per i servizi sanitari regionali, ec), disciplinate,
direttamente, dalla legge istitutiva.

6. Relazioni e rapporti intersoggettivi e forme associative

Diverse sono le relazioni stabili e continuative che intercorrono tra gli enti pubblici. Un primo
tipo di relazione è quella che sorge dal rapporto di strumentalità strutturale ed
organizzativa, stabilita dalla legge, di un ente nei confronti di un altro ente, nella quale il
primo viene a rivestire una posizione sotto alcuni profili simile a quella di un organo e sarà
soggetto ad una serie di poteri di ingerenza (direttiva, indirizzo ecc. Ad es., le aziende speciali
sono enti strumentali del comune). Alcune volte questa strumentalità non si presenta così
marcato come nell'ipotesi precedente (si tratta, quindi, di enti che svolgono un'attività che si
presenta come rilevante per un altro ente pubblico territoriale, in particolare per lo Stato)
ovvero non ricorre. Il concreto contenuto di queste relazioni varia a seconda del tipo di poteri
che lo stato (o l'ente territoriale in posizione di supremazia) può esercitare nei confronti
dell'ente; tra i poteri annoveriamo quello di vigilanza, che implica il controllo di legittimità di un
soggetto su gli atti di un altro nonché l'adozione di una serie di atti (potere di approvare i
bilanci, nomina dei commissari straordinari, scioglimento degli organi dell'ente, ec), e di
direzione, caratterizzato da una situazione di sovraordinazione tra enti e da una serie di atti (le
direttive) che determinano l'indirizzo dell'ente subordinato, lasciando allo stesso la possibilità di
scegliere le modalità attraverso le quali conseguire gli obiettivi prefissati.
Tra i rapporti che, di volta in volta si possono venire a creare tra enti, ci sono l'avvalimento
e la sostituzione. L'avvalimento consiste nell'utilizzo da parte di un ente degli uffici di un altro
ente; tali uffici svolgono un'attività di tipo ausiliario che rimane imputata all'ente titolare della
funzione, senza alcuna deroga in materia di competenze, trattandosi di una vicenda interna
di tecnica organizzativa. La sostituzione è l'istituto sulla base del quale un soggetto (sostituto)
è legittimato a far valere un diritto, un obbligo, un'attribuzione che rientrano nella sfera di
competenza di un altro soggetto (sostituito), operando in nome proprio e sotto la propria
responsabilità. Tra gli enti, questo istituto può essere impiegato quando un soggetto non ponga in
essere un atto obbligatorio per legge o non eserciti le funzioni amministrative ad esso conferite (v.
anche art. 120 Cost, c. 2). Può essere esercitato o da un organo dell'ente sostituito o da un
commissario nominato dall'ente sostituto.

Altra fattispecie la delega di funzioni amministrative, figura che ricorre nei rapporti tra
Stato e regioni e tra regioni ed enti locali. A differenza del vecchio testo, modificato dalla I. cost.
3/2001, l'art. 118 Cost. non fa più cenno a questa figura (impiegata invece dal legislatore
ordinario, I. 59/1997, v. però, art. 121 u.c. Cost.) e costituzionalizza l'istituto del "conferimento"
di funzioni amministrative ai vari livelli di governo locale sulla base dei "principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza", in un quadro comunque caratterizzato dal fatto
che gli enti locali sono "titolari" delle funzioni (art. 118 Cost., co. 2,).
Tra enti possono essere costituite forme associative: le federazioni di enti, svolgono attività di
coordinamento e di indirizzo dell'attività degli enti federati, nonché attività di rappresentanza
degli stessi; i consorzi costituiscono delle strutture stabili volte alla realizzazione di finalità
comuni a più soggetti (es. realizzare o gestire opere o servizi) Gli enti pubblici possono
costituire consorzi di diritto privato, anche con la partecipazione di soggetti privati. I consorzi
sono obbligatori quando un rilevante interesse pubblico ne imponga la necessaria presenza (es.
art. 31, c. 7, T.U. enti locali); unioni di comuni (cap. IV, par. 16); uffici comuni, costituiti dagli
enti locali, che hanno il compito di esercitare le funzioni pubbliche in luogo degli enti
partecipanti all'accordo.

7. La disciplina comunitaria: in particolare, gli organismi di diritto pubblico

Nozione di rilievo introdotta dal diritto comunitario è quella di organismo di diritto


pubblico, istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non
industriale o commerciale; hanno personalità giuridica e svolgono un'attività finanziata in modo
maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o dagli altri organismi di diritto pubblico, oppure la
cui gestione è controllata da questi ultimi. Le tre condizioni hanno carattere cumulativo.

8. Le figure di incerta qualificazione: in particolare, le società per azioni a partecipazione


pubblica; le fondazioni

La disciplina che si applica alle società a partecipazione pubblica prevede che, ove lo Stato (o
altro ente pubblico) abbia partecipazioni azionarie, l'atto costitutivo può conferire ad esso la
facoltà di nominare, o revocare, amministratori, sindaci, componenti del consiglio di
sorveglianza (art.2449 c.c.).
Questa eventualità è consentita dal l’art 2450 c.c. anche quando l'ente non abbia
partecipazioni azionarie, se prevista dalla legge o dall'atto costitutivo, modelli di società a
partecipazione pubblica sono:
è le società a partecipazione pubblica regolate da leggi speciali e comunque,
chiamate a svolgere funzioni pubbliche (Patrimonio s.p.a.);
è le società a partecipazione pubblica direttamente affidatarie di servizi pubblici
locali, dove il socio privato viene scelto a mezzo di gara
è le società derivanti dal processo di privatizzazione
è Nelle ipotesi in cui l'istituzione della società abbia come conseguenza quella di
togliere mercato ai privati (si pensi ai casi di affidamento diretto di servizi e di compiti
alle società pubbliche), la relativa disciplina deve essere vagliata attentamente alla
luce della normativa comunitaria. Importante il concetto di affidamento delineata dalla
giurisprudenza comunitaria: si esclude che la disciplina degli appalti trovi applicazione
nei casi in cui tra amministrazione e impresa esista una relazione tale per cui l'ente
esercita sulla persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri
servizi, l'impresa realizza la parte più importante della propria attività a favore
dell'ente. In sostanza, tra amministrazione ed ente sussiste un legame tale per cui il
soggetto non possa ritenersi "distinto" dal punto di vista decisionale. Il legislatore
italiano ha utilizzato questo schema nel settore dei servizi pubblici (T.U. enti locali).
La disciplina relativa dismissione delle partecipazioni azionarie nelle società in cui sono
stati trasformati gli enti privatizzati prevede che lo Stato può mantenere dei poteri speciali
(golden share: v. pag. 49).
La struttura formale dei soggetti qui considerati è indubbiamente quella societaria; ci si può
interrogare, circa la loro natura sostanziale. In verità, la questione ha importanza solo
limitata: le società per azioni a partecipazione pubblica sono soggette ad una normativa stabilita
in modo minuzioso e tendenzialmente completo dalla legge, onde l'eventuale conclusione nel senso
della loro natura pubblicistica non è decisiva ai fini dell'estensione ad esse del regime degli atti
pubblici. Infine, i concessionari di lavori pubblici e servizi pubblici non destinati ad essere
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collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, sono assoggetti alla disciplina di cui alla
l.109/1994.

9. Vicende degli enti pubblici

Un ente pubblico può essere costituito per legge o per atto amministrativo sulla base di una
legge; entrambi possono, altresì, determinarne l'estinzione, vicenda di tipo successorio. Gli enti
pubblici possono essere modificati per il mutamento degli scopi, le modifiche del territorio, delle
attribuzioni, ovvero possono essere trasformati in persone giuridiche di diritto privato. Anche il
riordino degli enti pubblici può comportare l'estinzione degli stessi o la loro trasformazione in
persone giuridiche private.

10. La privatizzazione degli enti pubblici

Numerose sono le tappe che portano alla privatizzazione. L'ente pubblico economico viene
trasformato in una società per azioni (privatizzazione cd. "formale") con capitale
interamente posseduto dallo Stato; successivamente si procede alta dismissione della quota
pubblica (privatizzazione cd. "sostanziale", ad es. quella dell'Eni o della società Autostrade).
Quest'ultima tappa è disciplinata dal d.l. 332/1994, convertito nella legge 474/1994, come
modificato dalla I. 350/2003, che fa riferimento a procedure trasparenti e non discriminatorie,
finalizzate anche alla diffusione dell'azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli
investitori istituzionali.
La privatizzazione riguarda soggetti che operano in tre settori principali: nella gestione di
partecipazioni azionarie (Iri, Eni), nei servizi di pubblica utilità (Enel, gas ecc), nel settore
creditizio (istituti di credito di diritto pubblico).

11. I principi in tema di organizzazione degli enti pubblici

L'amministrazione, per realizzare i propri fini, ha bisogno di un insieme di strutture e mezzi,


personali e reali, che sono il risultato di una certa attività organizzativa, disciplinata dalla legge
(v. anche art. 95, comma 3, Cost), che deve rispettare i principi costituzionali di buon andamento
ed imparzialità, nonché il potere di organizzare riservato all'esecutivo. A tal proposito, un
riconoscimento espresso è contenuto nell'alt 17, c. 1, lett d, l. 400/1988, che prevede la figura dei
regolamenti governativi disciplinanti l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni
pubbliche secondo le disposizioni di legge, L'art. 17, c. 4­bis, della legge appena citata,
introdotto dall'art. 13 l. 59/1997, stabilisce che l'organizzazione e la disciplina degli uffici dei
ministeri sono determinate con regolamento governativo emanato ai sensi del c. 2 (si tratta
dunque di un regolamento cd. di delegificazione, ossia autorizzato ad abrogate norme di legge),
su proposta del ministro competente, d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e del
ministro del tesoro.
L'art. 117, c. 6, Cost. prevede che comuni, province e città metropolitane abbiano "potestà
regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite".
Accanto alle norme giuridiche di organizzazione si sono, poi, gli atti di organizzazione non
aventi carattere normativo (gli atti di istituzioni di enti, di organi o di uffici).
Il potere di organizzare è oggi espressamente disciplinato dagli arti 2 e 5 del d.lgs. 165/2001.
La prima norma afferma che le amministrazioni pubbliche definiscono "secondo i principi
generali fissati da disposizioni di legge e sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi
secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici" e
"individuano gli uffici di maggior rilevanza", indicando anche i principi cui le amministrazioni
debbono ispirarsi.
La seconda norma stabilisce che le pubbliche amministrazioni assumono ogni determinazione
organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'art. 2, c. 1, "con la capacità
e i poteri del privato datore di lavoro: alle determinazioni operative e gestionali occorre
garantire "adeguati margini" e cioè uno spazio di discrezionalità organizzativa.

12. L'organo

Le persone giuridiche sono soggetti di diritto che, essendo naturalisticamente incapaci di


agire (essendo creazioni del diritto), operano ed agiscono attraverso gli organi. Questi ultimi
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sono strumenti d'imputazione, cioè elementi dell'ente che consentono di riferire all'ente stesso
atti ed attività (l'organo infatti non è separato dall'ente, sicché, a differenza di quanto accade
nella rappresentanza, la sua azione non è svolta in nome e per conto di altri, divenendo invece
direttamente attività propria dell'ente).
L'organo va identificato nella persona fisica o nel collegio in quanto, e fino a quando, investito
della competenza attribuita dall'ordinamento (es. il contratto stipulato dal dirigente comunale si
considera concluso dal comune; il provvedimento adottato dal sindaco è provvedimento del
comune); tra la persona fisica preposta all'organo e l'ente pubblico intercorre un rapporto
giuridico definito "rapporto di servizio" (par. 17).
All'ente vengono attribuiti determinati poteri; ogni organo esercita una quota di questi
poteri, detta competenza, ripartita secondo i criteri della materia (il sindaco, ad esempio, si
occupa di materie differenti da quelle di cui si occupa il dirigente), valore (la competenza viene
ripartita in base alla entità della spesa che l'adozione dell'atto comporta), grado (se la potestà è
attribuita tra organi inferiori o superiori), territorio.
Diversa dalla competenza è l'attribuzione, espressione impiegata per indicare ia sfera di
poteri che l'ordinamento generale conferisce ad ogni ente pubblico.

13. L'imputazione di fattispecie in capo agli enti da parte di soggetti estranei alla loro
organizzazione

In alcuni casi le attività pubbliche vengono esercitate da soggetti privati: si pensi alle funzioni
certificative spettanti al notaio, alla possibilità dei concessionari di emanare atti amministrativi o
di erogare servizi pubblici, al potere degli interessati di produrre dichiarazioni sostitutive di
certificazioni.
Il privato può agire direttamente sulla base della legge, ovvero (come nel caso della
concessione) in forza di un atto della pubblica amministrazione. Egli riceve spesso un compenso
da parte dell'ente pubblico oppure degli utenti che fruiscono della sua attività. L'attività si
configura nei confronti dei terzi come pubblicistica (e come tale è soggetta ad un peculiare
regime), alla stessa stregua di quella che avrebbe posto in essere l'ente pubblico sostituito.

14. Classificazione degli organi

Gli organi possono essere distinti in: esterni o interni a seconda, rispettivamente, che siano
competenti ad emanare provvedimenti o atti aventi rilevanza esterna o endoprocedimentale;
centrali sono quelli che estendono la propria competenza all'intero spettro dell'attività dell'ente,
mentre i periferici hanno una competenza limitata ad un particolare ambito di attività, di
norma individuato secondo un criterio geografico. Gli ordinari sono previsti nel normale
disegno organizzativo dell'ente, gli straordinari, operano in sostituzione di organi ordinari. I
permanenti sono gli organi stabili e si differenziano dai temporanei, che svolgono funzioni per
un limitato periodo di tempo; gli attivi sono quelli competenti a formare ed eseguire la
volontà dell'amministrazione in vista del conseguimento dei fini ad essa affidati, i consultivi
rendono pareri; quelli di controllo sindacano l'attività posta in essere dagli organi attivi; i
rappresentativi sono quelli i cui componenti, a differenza degli organi non rappresentativi,
vengono designati o eletti dalla collettività che costituisce il sostrato dell'ente
Vi sono, poi, enti con legale rappresentanza, ovvero titolari del potere di esprimere la
volontà dell'ente nei rapporti contrattuali con i terzi e che, avendo la capacità processuale,
possono conferire procura alle liti per agire o resistere in giudizio (questa rappresentanza non
deve essere confusa con quella di cui al par, 12, rappresentanza in senso tecnico).
Ci sono, poi, organi dotati, per volontà della legge, dì personalità giuridica (detti organi con
personalità giuridica od organi enti): essi si profilano come titolari di poteri e come strumenti
di imputazione di fattispecie ad altro ente (in quanto organi di quest'ultimo); esempio tipico è
considerato l'istat, alla dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri, con compiti
relativi alle indagini statistiche interessanti le amministrazioni statali.
Ci sono, infine, organi monocratici, quelli, cioè, di cui è titolare una soia persona fisica, e
organi collegiali, dove si ha la contitolarità di più persone fisiche.

15. Relazioni interorganiche. I modelli teorici: la gerarchia, la direzione e il


coordin amen to

Tra gli organi di una persona giuridica pubblica possono instaurarsi relazioni stabili
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disciplinate dal diritto.
La gerarchia esprime la relazione di sovraordinazione­subordinazione tra organi diversi,
che hanno competenze omogenee. I poteri che caratterizzano questa relazione sono: 
a) potere di ordine (che consente di vincolare l'organo subordinato ad un certo comportamento
nello svolgimento della propria attività), di direttiva (mediante la quale si indicano fini ed obiettivi
da raggiungere, lasciando sussistere un certo margine di scelta in ordine alle modalità con
cui conseguirli) e di sorveglianza sull'attività degli organi subordinati, i quali possono essere
sottoposti a ispezioni ed inchieste; 
b) potere di decidere i ricorsi gerarchici proposti avverso gli atti dell'organo subordinato; 
c)potere di annullare d'ufficio o di revocare gli atti emanati dall'organo subordinato (sul punto la
dottrina non è concorde); 
d)potere di risolvere i conflitti che insorgano tra organi subordinati; 
e)poteri in capo all'organo superiore di avocazione (per singoli affari, per motivi di interesse
pubblico, indipendentemente dall'inadempimento dell'organo inferiore) e sostituzione (a seguito
di inerzia dell'organo inferiore).
Il potere di delega sussiste solo nei casi previsti dalla legge. L'ordine fa sorgere in capo
all'organo subordinato il dovere di eseguirlo, salvo che l'ordine stesso contrasti con la legge
penale. Se il dipendente ritiene l'ordine palesemente illegittimo deve farne rimostranza al
superiore, dichiarandone le ragioni, ma è poi obbligato ad eseguirlo se l'ordine viene rinnovato per
iscritto (sempre che non si tratti di ordine criminoso).
Altro tipo di relazione è la direzione, caratterizzata dal fatto che, pur essendoci due organi posti
in posizione di diseguaglianza, sussiste una più o meno ampia sfera di autonomia in capo a quello
subordinato. L'organo sovraordinato ha il potere di indicare gli scopi da perseguire, ma deve
lasciare alla struttura sottordinata la facoltà di scegliere le modalità e i tempi dell'azione volta a
conseguire i risultati. Nella direzione, l'organo sovraordinato ha, in particolare, il potere di
indirizzo (con il quale vengono fissati gli obiettivi), nonché il potere di emanare direttive e
quello di controllare l'attività amministrativa in considerazione degli obiettivi da conseguire.
Poteri come quello di avocazione e sostituzione possono essere attribuiti dalla legge.
Altra relazione è quella del coordinamento, riferita ad organi in situazione di
equiordinazione preposti ad attività che, pur dovendo restare distinte, sono destinate ad essere
ordinate secondo un disegno unitario. Contenuto di tale relazione sarebbe il potere, spettante ad
un "coordinatore", di impartire disposizioni idonee a tale scopo e di vigilare sulla loro attuazione ed
osservanza.

15.1 segue: il controllo

Altra importante relazione interorganica è il controllo: consiste in un esame, da parte in


genere di un apposito organo, di atti e di attività imputabili ad un altro organo controllato.
Questa attività viene esercitata, in ogni caso, nell'ambito delle relazioni di sovraordinazione­
sottordinazione (l'organo gerarchicamente superiore controlla, ad esempio, l'attività del
subordinato); può anche essere esercitata da organi di un ente nei confronti di organi di un altro
ente, potendosi, quindi, distinguere tra controlli interni ed a seconda che essi siano
esercitati da organi dell'ente o da organi di enti diversi.
E' previsto anche un controllo sugli organi degli enti territoriali, dal l’art. 126 Cost. per
quanto riguarda le regioni e dagli artt. 141 e ss. T.U. enti locali in ordine agli enti territoriali
diversi dalla regione.
II controllo può essere condotto alla luce di criteri differenti, conformità alle norme,
efficienza, opportunità, e può avere oggetti differenti: atti normativi (es. regolamenti),
organi, atti amministrativi di organi individuali e collegiali, attività. Il controllo sugli atti può,
anche, essere preventivo (rispetto alla produzione degli effetti dell'atto), successivo (l'atto ha già
prodotto i suoi effetti), controlli mediante riesame, i quali procrastino l'efficacia dell'atto
all'esito di una nuova deliberazione dell'autorità decidente A seguito del controllo possono essere
adottate varie misure, come quelle repressive, impeditive, sostitutive.

15.2 In particolare: il controllo di ragioneria nell'amministrazione statale ed il


controllo della Cor te dei Con ti.

Un particolare tipo di controllo (contabile e di legittimità) è il controllo di ragioneria,


esercitato dagli uffici centrali del bilancio a livello centrale e degli uffici delle ragionerie
provinciali a livello di organi decentrati delle amministrazioni statali, i quali provvedono alla
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registrazione degli impegni di spesa risultanti dai provvedimenti assunti dalle
amministrazioni statali e possono inviare osservazioni sulla legalità della spesa senza che ciò
abbia effetti impeditivi sulla efficacia degli atti. Oggi gli uffici di ragioneria svolgono il controllo
interno di regolarità amministrativa e contabile (v. par. 15.3).
Controllo esterno è quello esercitato dalla Corte dei Conti attraverso il meccanismo della
registrazione e del visto. Questo organo svolge i seguenti controlli: 
a)  un controllo preventivo (es. di legittimità; vedi anche infra); 
b)  un controllo preventivo sugli atti che il presidente del Consiglio dei ministri richieda di
sottoporre temporaneamente a controllo o che la Corte decida di assoggettare a controllo; 
c)  un controllo successivo sui titoli di spesa relativi al costo del personale, sui contratti e sui
relativi atti di esecuzione, in materia di sistemi informativi automizzati, sugli atti di
liquidazione dei trattamenti di quiescenza dei pubblici dipendenti; 
d)  un controllo successivo sugli atti di "notevole rilievo finanziario individuati per categorie ed
amministrazioni statali"; 
e)  un controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui io Stato contribuisce in via ordinaria; 
f)  un controllo sulla gestione degli enti locali effettuato dalla sezione delle autonomie,
che si conclude con un referto al Parlamento.
L'art. 148 T.U. enti locali specifica che il controllo in esame può svolgersi nei confronti della
gestione della generalità degli enti locali. Nuove forme di controllo sono previste dalla legge
131/2003 che, nel dare attuazione all'art. 118 Cost., assegna alla Corte dei Conti, ai fini del
coordinamento della finanza pubblica, il compito di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio
da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni ed alle sezioni regionali dello
stesso organo la verifica del perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali e regionali di
principio e di programma; 
g)  un controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni
pubbliche, nonché sulla gestione fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria.
La Corte, poi, nell'esercizio di una funzione ritenuta giurisdizionale, pronuncia un giudizio di
parificazione sul rendiconto generale dello Stato (consistente nella certificazione di parità tra i conti
della Corte medesima e quelli fomiti dall'amministrazione del tesoro).
La disciplina del controllo preventivo stabilisce che l'atto trasmesso alla Corte dei conti diviene
esecutivo trascorsi sessanta giorni dalla sua ricezione senza che sia intervenuta una pronuncia
della sezione di controllo, salvo che nel predetto termine la Corte abbia sollevato questione di
legittimità costituzionale, per violazione del l’art 81 Cost., delle norme aventi forza di legge
che costituiscono il presupposto dell'atto, ovvero abbia sollevato un conflitto di attribuzione.
L'esito del provvedimento di controllo è comunicato dalla sezione entro ventiquattro ore
successive alla fine dell'adunanza e le deliberazioni sono pubblicate entro trenta giorni dalla
data dell'adunanza
stessa.
Il t.u. della Corte dei conti prevede anche il meccanismo della registrazione con riserva. In
particolare, a fronte della ricusazione del visto, il Consiglio dei ministri, su iniziativa del
ministro interessato, può adottare una deliberazione con cui insiste nella richiesta della
registrazione: la Corte, chiamata a decidere, ove non riconosca cessata la causa del rifiuto, ne
ordina la registrazione e vi appone il visto con riserva.
In ordine agli atti assoggettati al controllo successivo, in caso di esito negativo del controllo,
l'amministrazione (secondo una tesi dottrinaria e giurisprudenziale), preso atto della pronuncia
di illegittimità, non dovrebbe dar corso alla esecuzione dell'atto.

15.3 L'evoluzione normativa in tema di controlli. I controlli interni

II d.lgs. n. 286/1999 stabilisce che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito della propria


autonomia, debbono istituire controlli interni, articolati in:
è controllo di regolarità amministrativa e contabile, volto a garantire la legittimità,
la regolarità e correttezza dell'azione amministrativa. Deve rispettare, in quanto applicabili, i
principi generali della revisione aziendale;
è controllo di gestione, mirante a verificare l'efficacia, l'efficienza ed economicità
dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati. È svolto da
strutture e soggetti che rispondono ai dirigenti posti a vertice dell'unità organizzativa
interessate e supporta la funzione dirigenziale;
è valutazione della dirigenza: riguarda le prestazioni dei dirigenti, nonché i
comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi
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assegnate, tenendo particolarmente conto dei risultati dell'attività e della gestione.
è È svolta da strutture e soggetti comunque diversi da quelli cui è demandato il controllo di
gestione, che rispondono direttamente ai dirigenti posti al vertice dell'unità organizzativa
interessata;
è valutazione e controllo strategico, mirante a valutare l'adeguatezza delle scelte
compiute in sede di attuazione dei piani, programmi e altri strumenti di determinazione
dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti.
Mediante questa valutazione si tende a verificare, in funzione dell'esercizio dei poteri di
indirizzo da parte dei competenti organi, l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle
direttive ed altri atti di indirizzo politico. E' un'attività svolta da strutture che rispondono
direttamente agli organi di indirizzo politico amministrativo, cui riferiscono in via
riservata.

16. I rapporti tra gli organi e l'utilizzo, da parte di un ente, degli organi di un altro ente

Diversi dalle relazioni interorganiche, connotate dal carattere della stabilità, sono i rapporti
che di, volta in volta, possono concorrere tra organi diversi. Sono tali:
è l'avocazione: un organo esercita i compiti che spettano ad un altro organo in ordine a
singoli affari, per motivi di interesse pubblico e indipendentemente dall'inadempimento
dell'organo istituzionalmente competente;
è la sostituzione, che presuppone l'inerzia dell'organo sostituito nell'emanazione di un
atto cui è tenuto per legge e consiste nell'adozione, previa diffida, da parte di un organo sostituto
(di norma un commissario) degli atti di competenza di un altro organo;
è la delegazione, che è un organo investito in via primaria della competenza di una
determinata materia consente unilateralmente, mediante atto formale, ad un altro organo di
esercitare la stessa competenza. In ossequio all'art. 97 Cost. ed al principio di legalità, la
delegazione richiede una espressa previsione legislativa, che contempli la possibilità che un
organo eserciti una competenza in luogo di quello al quale la stessa è attribuita stabilmente.
L'organo delegatario agisce in nome proprio, anche se per conto e nell'interesse del
delegante. dalla delegazione va distinta la delega di firma, che non comporta alcuno
spostamento di competenza, che, infatti spetta sempre all'organo delegante, mentre il
delegato ha solo il compito di sottoscrivere l'atto.

17. Gli uffici e il rapporto di servizio

Nuclei elementari dell'organizzazione pubblica sono gli uffici, costituiti da un insieme di mezzi
materiali (locali, risorse, attrezzature) e personali, chiamati a svolgere uno specifico compito che,
in coordinamento con quello degli altri uffici e strumentalmente rispetto all'esercizio delle
competenze, concorre al raggiungimento di un certo obbiettivo. Tra gli addetti dell'ufficio si
distinguono le figure del preposto, che può essere il titolare dell'ufficio, e del supplente, che
sostituisce il titolare temporaneamente assente o impedito; la reggenza si ha nell'ipotesi di
mancanza del titolare.
Gli addetti e i titolari che prestano il proprio servizio presso l'ente sono legati alla persona
giuridica da un particolare rapporto giuridico (rapporto di servizio), che ha come contenuto
il dovere di agire prestando una particolare attività: il denominato dovere di ufficio ha per
oggetto i comportamenti che il dipendente deve tenere sia nei confronti della pubblica
amministrazione che nei confronti dei cittadini, doveri cui si contrappongono una serie di
diritti.
I soggetti legati da un rapporto di servizio all'amministrazione sono, di norma, i dipendenti
(rapporto di servizio di impiego); il rapporto di servizio può essere anche coattivo (nei casi previsti
dalla legge, ai sensi dell'art.23 Cost.) o non professionale, cioè onorario, o instaurato in via di
fatto. Questo rapporto lega all'ente tutti i soggetti­persone fisiche che fanno parte
dell’organizzazione (siano essi titolari di uffici o di organi ovvero dipendenti) e si distingue dal
rapporto organico, che corre soltanto tra il titolare dell'organo e l'ente e viene in evidenza ai
fini dell'imputazione delle fattispecie. I titolari degli uffici (e degli organi) possono essere
dipendenti (è questo il caso dei dirigenti), ovvero svolgere la propria attività a titolo non
professionale (es. i consiglieri degli enti autonomi e ai preposti agli organi di governo degli enti
locali), ma debbono, comunque, essere "investiti" dell'autorità dell'organo (solo in tale momento
si instaura il rapporto organico) o dell'ufficio con un atto specifico. Oggi, per la quasi totalità dei
dipendenti, siano essi o meno titolari di uffici o di organi, il rapporto di servizio di impiego si
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instaura con contratto, sicché l’investitura nella titolarità di un ufficio o di un organo rimane
distinta. Nel caso di titolari onorali si procede per designazione (occorre un atto di nomina a
seguito della designazione) o per elezione (una volta che siano stati accertati i risultati
dell'elezione, vi è la proclamazione dei candidati eletti).
Ricorrono ipotesi nelle quali il rapporto organico si costituisce in via di mero fatto, e cioè in
assenza di un atto di investitura; in particolare, quando le funzioni esercitate "di fatto" (senza,
dunque, un atto formale che instauri il rapporto di servizio) siano essenziali e indifferibili, si
ritiene che il meccanismo di imputazione proprio dell'organo possa ugualmente funzionare pur in
assenza di un atto di investitura. In queste ipotesi anche il rapporto di servizio si instaura in
via di fatto e l'organo viene definito funzionario di fatto (es. la persona che, senza avere le qualità
di ufficiale di stato civile, celebra un matrimonio: si applica l'art. 113 c.c).

18. La disciplina attuale del rapporto di lavoro dei dipendenti delle


amministrazioni pubbliche.

II d.lgs. n. 165/2001 contiene le disposizioni che disciplinano il rapporto di lavoro nel pubblico
impiego dopo la cd. "privatizzazione". I principi che ispirano la normativa possono così
sintetizzarsi:
a) i rapporti di lavoro sono disciplinati dalle norme del codice civile, fatte salve le diverse
disposizioni contenute nel decreto e dalla contrattazione, sia sul piano individuale che collettivo.
L'art. 3 del decreto indica le categorie di lavoratori cui non si applica questa disciplina (personale
in regime di diritto pubblico sono: avvocati dello stato, magistrati, militari, polizia, prefetti ecc);
b) la legge prevede dei limiti all'autonomia contrattuale individuale e collettiva (non è, ad
esempio, derogabile la disciplina legale della parità di trattamento);
c) restano assoggettati alla disciplina pubblicistica, con conseguente giurisdizione del giudice
amministrativo, gli organi, gli uffici, i principi fondamentali dell'organizzazione, i procedimenti
per l'accesso e la selezione al lavoro, ecc;
d) le organizzazioni sindacali, al di fuori delle materie economiche, devono essere "consultate"
o informate senza che sia richiesto il loro consenso in materia di organizzazione;
e) la contrattazione si svolge a vari livelli, nei quali la pubblica amministrazione è
legalmente rappresentata dall'ARAN, della cui assistenza possono avvalersi le
singole,amministrazioni ai fini della contrattazione integrativa;
f) le controversie sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, ad
eccezione di quelle dei dipendenti sottratti alla privatizzazione e per le controversie in
materia di procedure concorsuali di assunzione;
g) i dipendenti sono assoggettati ad una particolare responsabilità amministrativa (per danni
cagionati all'amministrazione), penale e contabile;
h) il reclutamento del personale (non dirigenziale) avviene tramite procedure selettive che
garantiscono in misura adeguata l'accesso dall'esterno o mediante avviamento degli iscritti
nelle liste di collocamento per le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il solo requisito della
scuola dell'obbligo; i) viene eliminato il potere di gestione degli organi politici e affermato il
principio della distinzione tra indirizzo politico (spettante agli organi politici) e gestione
(spettante ai dirigenti).

19. La dirigenza e i suoi rapporti con gli organi politici

La dirigenza pubblica è stata riordinata dalla legge 145/2002: ai dirigenti sono stati attribuiti
poteri autonomi di gestione, con compiti di organizzare il lavoro, gli uffici, le risorse umane e
finanziarie, nonché di attuare le le politiche delineate dagli organi di indirizzo politico­
amministrativo, rispondendo del conseguimento dei risultati
La dirigenza statale si articola in fasce del ruolo dei dirigenti istituito presso ogni
amministrazione; si accede alla qualifica in esame, sia per le amministrazioni statali che per gli
enti pubblici non economici, mediante concorso ovvero per corso­concorso selettivo di
formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione. Il rapporto di lavoro
si fonda su un contratto, mentre la contrattazione collettiva disciplina il rapporto di servizio.
L'atto di incarico ha natura provvedimentale, cosi come ha previsto la legge 145/2002 (in deroga
al principio secondo cui le amministazioni agiscono con i poteri del privato datore di lavoro). In
quest'ultimo atto è definito l'oggetto, gli obiettivi e la durata dell'incarico (che non eccede i tre
anni per incarichi di segretario generale, cinque per altri incarichi di funzione dirigenziale),
mentre la definizione del trattamento economico spetta al contratto individuale che accede al
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provvedimento medesimo. Non necessariamente tutti i dirigenti hanno la titolarità di uffici
dirigenziali: in questo caso i dirigenti svolgono funzioni ispettive, di consulenza, di studio e ricerca.
Se sono preposti ad uffici dirigenziali, invece, possono adottare provvedimenti, curare la gestione
finanziaria, tecnica, amministrativa e, dunque, sono organi. Negli altri casi essi sono preposti a
meri uffici. Propria dei dirigenti è la responsabilità: essa, aggiuntiva rispetto alle altre forme
di responsabilità che gravano sui dipendenti pubblici, sorge allorché non siano stati raggiunti
gli obiettivi o in caso di inosservanza delle direttive imputabili al dirigente (sanzioni:
impossibilità del rinnovo dell'incarico, revoca dello stesso, recesso dal rapporto di lavoro).
La disciplina attinente i rapporti tra organi politici e dirigenti degli uffici dirigenziali
generali stabilisce che gli organi di governo esercitino le funzioni di indirizzo politico­
amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare, verifichino la rispondenza dei
risultati dell'attività svolta, mentre i dirigenti adottano i provvedimenti amministrativi e curano
la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa (art. 4, d. Igs. 165/2001). Il ministro definisce
obiettivi, piani, programmi da attuare, mentre non può revocare, riformare, avocare a sé atti di
competenza dei dirigenti; solo in caso di inerzia o di ritardo il ministro può fissare un termine per
provvedere e, qualora l'inerzia o il ritardo permangano, può nominare un commissario ad acta.
Ne discende che gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice
dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali non sono suscettibili di ricorso
gerarchico, mentre resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità;
sopravvivono pure i poteri ministeriali di decidere i ricorsi gerarchici impropri (artt. 14, 16, d.
Igs. 165/2001)
I dirigenti preposti agli uffici dirigenziali generali, nei confronti dei dirigenti, definiscono gli
obiettivi e attribuiscono risorse, controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei
procedimenti amministrativi, con poteri sostitutivi in caso di inerzia, decidono sui ricorsi
gerarchici contro gli atti ed i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti. Il
dirigente preposto all'ufficio di più elevato livello può delegare compiti ai dirigenti ed è
"sovraordinato" al dirigente preposto all'ufficio inferiore (artt. 16 e 17, d. Igs. 165/2001).
Il dirigente ha poteri di direzione, coordinamento e controllo sulle attività compiute dagli uffici
che da lui dipendono e di quella dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con
poteri sostitutivi in caso di inerzia (art. 17, d. Igs. 165/2001). È prevista anche l'area della
vicedirigenza (art. 17 bis, d. Igs. 165/2001, la cui istituzione è rimessa alla sola contrattazione
collettiva di comparto).

20. I soggetti di diritto nel diritto amministrativo: le formazioni sociali e gli


ordinamenti autonomi

Rilevante ai fini dello studio del diritto amministrativo sono le organizzazioni sociali: si tratta
di formazioni che, pur non essendo riconosciute come centri di poteri pubblici e, dunque, come
enti di diritto pubblico, sono costituite da aggregazioni di individui sorretti da finalità etiche,
religiose, ideali e che perseguono interessi, non caratterizzati dallo scopo di lucro, in parte
coincidenti con quelli affidati alla cura dei soggetti pubblici. Si tratta anche di organizzazioni di
volontariato, associazioni, cooperative. Nei loro confronti si pone la questione dell'eventuale ruolo
pubblicistico che a tali organizzazioni potrebbe essere attribuito, dell'eventuale conferimento di
poteri peculiari (si pensi alle associazioni in materia ambientale riconosciute dal ministero
dell'ambiente, le quali, ai sensi dell'alt 18, I. 349/1986, possono impugnare gli atti illegittimi in
materia ambientale), nonché dei limiti entro i quali lo Stato può ingerirsi nella loro struttura ed
attività. Il campo dì azione di molte di queste formazioni è quello dei cd. servizi sociali, in
relazione ai quali la Costituzione, pur garantendo la libera iniziativa non economica dei privati,
impone la presenza pubblica per garantire prestazioni a "prezzi sostenibili" e con "modalità
ideologicamente neutrali". La normativa di settore prevede che organizzazioni che proseguono
finalità di interesse generale possano ricevere finanziamenti pubblici e siano talora sottoposte a
forme di controllo o vigilanza, ovvero ad un regime fiscale favorevole.
Alcune formazioni sono caratterizzate da una normativa propria e possono essere configurate
come ordinamenti autonomi, le confessioni religiose, ad esempio, diverse da quella cattolica (la
Chiesa cattolica ai sensi dell'art. 7 Cost. è considerata ordine sovrano e indipendente) possono
organizzarsi secondo propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico
italiano (art. 8 Cost).
II problema che maggiormente interessa il diritto amministrativo è quello della qualificazione
come pubblici, secondo l'ordinamento generale italiano, di alcuni soggetti che, contestualmente,
sono soggetti degli ordinamenti separati; il CONI, ente esponenziale dell'ordinamento sportivo, è,
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ad esempio, secondo il diritto italiano, un ente pubblico.

21. I mezzi. In particolare i beni pubblici. Nozione e classificazione codicistica

Per svolgere le loro funzioni le amministrazioni pubbliche utilizzano risorse umane e mezzi
materiali, tra cui i beni. Gli enti pubblici possono essere proprietari di beni soggetti alla
normativa di carattere generale sulla proprietà privata, fatte salve alcune disposizioni in tema di
contabilità pubblica (art. 828, c. 1, c.c); detti beni costituiscono il patrimonio disponibile degli enti
pubblici (patrimonio mobiliare, fondiario, edilizio, denaro), così chiamato per distinguerlo da
quello indisponibile. I beni in esame possono essere oggetto di contratto di acquisto e di
alienazione.
Ci sono poi dei beni che appartengono ex lege allo Stato o alle regioni: trattasi di alcuni beni
del demanio naturale (marittimo e idrico) del patrimonio indisponibile (miniere) o beni di valore
storico, artistico, archeologico, esistenti o ritrovati nel sottosuolo. Siffatta titolarità può derivare
anche da fatti acquisitivi (occupazione, invenzione ecc), atti di diritto comune (testamento,
contratti), fatti basati sul diritto internazionale (confisca, requisizione bellica) o sul diritto
pubblico interno (successione tra enti), atti pubblicistici che comportano l'ablazione di diritti reali
su beni di altri soggetti (confisca, espropriazione ecc).

22.Il regime giuridico dei beni demaniali

I beni demaniali sono tassativamente indicati dalla legge e comprendono i beni del demanio
necessario, costituiti dal demanio marittimo (lido di mare, spiagge, porti e gli altri beni indicati
dall'art. 822 c.c. e dall'alt. 28 cod. navig.), quello idrico (fiumi, torrenti, laghi, ghiacciai; i porti
lacuali e di navigazione interna appartengono al demanio regionale; le regioni e gli enti
competenti per territorio gestiscono i beni del demanio idrico), da quello militare (comprende
opere destinate alla difesa nazionale: fortezze, piazzeforti e di beni indicati dall'art. 822, 1 com.,
c.c). I beni del demanio necessario non possono non appartenere allo Stato, fatte salve le eccezioni
costituite dai beni demaniali regionali; è inoltre costituito solo da beni immobili.
Accanto a questi beni ci sono quelli che appartengono al demanio accidentale, composto da
strade, autostrade, acquedotti, immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico (art. 822, 2
co., c.c); l'art. 824, c. 2, c.c. assoggetta allo stesso regime dei beni demaniali accidentali i cimiteri e
i mercati comunali. I beni del demanio accidentale possono appartenere a chiunque (si pensi alle
strade private), ma sono tali qualora appartengano allo Stato, alle regioni, ai comuni ed alle
province. Non sono necessariamente beni immobili, potendo essere una universalità di mobili
(raccolte delle pinacoteche).
I beni che fanno parte di entrambi i tipi di demanio sono caratterizzati dall'appartenenza ad
enti territoriali e dall'essere diretti a soddisfare gli interessi della collettività stanziata sul
territorio e rappresentata dagli enti territoriali. Tra questi beni occorre distinguere quelli
demaniali naturali (sono tali per natura, indipendentemente dall'opera dell'uomo) da demaniali
artificiali (sono costituiti dall'uomo: strade, autostrade); alcuni di essi preesistono rispetto alle
determinazioni dell'amministrazione (es. beni del demanio marittimo), altri sono pubblici in
quanto destinati ad una funzione pubblica (demanio militare). Tutti i beni demaniali sono
assoggettati alla disciplina dell'art. 823 c.c: "sono inalienabili e non possono formare diritti dei
terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla leggi che li riguardano". Sono, quindi, nulli gli
eventuali atti dispositivi posti in essere dalla pubblica amministrazione. Va, inoltre, esclusa in
modo assoluto la trasferibilità dei beni del demanio necessario, i quali non possono non
appartenere allo Stato nei limiti indicati, alle regioni, mentre per gli altri beni del demanio è
ipotizzarle il loro passaggio ad un diverso ente territoriale, sempre che non sia indissolubilmente
legato al territorio dell'ente proprietario (es. piazza sita al centro di un comune) e purché
permanga la loro destinazione pubblica.
Sempre l'art. 823 2 c. c.c sancisce che "spetta all'amministrazione la tutela dei beni che fanno
parte del demanio pubblico. Esso ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi
dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso".
I beni del demanio naturale acquistano la demanialità per il fatto di possedere i requisiti
previsti dalla legge mentre i beni artificiali diventano demaniali nel momento in cui rientrino in
uno dei tipi previsti dalla legge e, cioè, nel momento in cui l'opera sia realizzata, purché siano di
proprietà dell'ente pubblico.
La cessazione della qualità di bene demaniale può avvenire, oltre che per la distruzione del
bene, dal fatto della perdita dei requisiti di bene demaniale, dall'intervento del legislatore che
15
"sdemanializza" alcuni beni. La perdita della qualità di bene demaniale comporta la cessazione
del diritto di uso del bene spettante a terzi e l'estinzione delle eventuali limitazioni derivanti
dalla natura demaniale del bene stesso.
II codice civile si occupa del passaggio di un bene dal demanio (accidentale) al patrimonio
indisponibile: l'art. 829 c.c prescrive la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'atto che
dichiara il passaggio.

23. Il regime giuridico dei beni del patrimonio indisponibile

Sono beni del patrimonio indisponibile quelli indicati dagli artt. 826, commi 2 e 3, e 830,
comma 2, c.c. Sono assoggettati alla disciplina posta dall'art. 828, comma 2, c.c: "essi non possono
essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano". In
linea di principio, i beni del patrimonio indisponibile non sono incommerciabili; gli atti di
disposizione, tuttavia, debbono rispettare il vincolo di destinazione. L'atto che violi questa
condizione non è nullo perché avente ad oggetto una res fuori commercio, bensì, annullabile per
violazione dei "modi di legge" stabiliti per sottrarli al vincolo di destinazione. Occorre, comunque,
aggiungere che alcuni dei beni in esame sono incommerciabili in via assoluta, in quanto trattasi
di beni riservati (es. miniere), ovvero sono soggetti ad un regime di inalienabilità, salvo permesso
legislativo.
Questi beni possono essere gravati di diritti reali parziali costituiti a favore di terzi purché
compatibili con la destinazione e nel rispetto dei modi stabiliti dalla legge. Quanto all'acquisto e
alla cessazione dei caratteri di beni pubblico si può rinviare alle osservazioni in ordine ai beni
demaniali.

24. La privatizzazione dei beni pubblici

I beni pubblici (e non solo quelli disponibili) vengono sempre più spesso utilizzati per produrre
entrate. Si ricorre, a tal fine, ad operazioni di dismissioni del patrimonio dello Stato attraverso:
è i fondi immobiliari: il ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a sottoscrivere
quote di fondi immobiliari, gestiti da una o più società di gestione, mediante l'apporto di beni
immobili e di diritti reali su immobili appartenenti al patrimonio dello Stato;
è atti di alienazione, che sono operazioni di cartolarizzazione: il ministro dell'economia e
delle finanze costituisce (o promuove la costituzione) società a responsabilità limitata, a cui cede
degli immobili, che dette società acquistano con l'unico fine di rivenderli, pagando allo Stato un
prèzzo iniziale, con riserva di versare la differenza ad operazione completata. Questa operazione
può essere compiuta da regioni, province e comuni.

25. Diritti demaniali su cose altrui, diritti d'uso pubblico e usi civici

L'ordinamento prevede l'esistenza di diritti reali soggetti al medesimo regime giuridico della
proprietà dei beni pubblici. Si tratta dei diritti spettanti agli enti territoriali sui beni altrui
"quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli
precedenti (beni demaniali) o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a
quelli a cui servono i beni medesimi" (diritti di uso pubblico, art. 825 c.c). I diritti demaniali su
beni altrui possono essere le servitù costituite su un fondo privato al fine di realizzare un
acquedotto pubblico; esempi di diritti d'uso pubblico gravanti su beni privati sono quelli di visita
dei beni privati di interesse storico e quelli che attengono alle strade private, ai vicoli ed agli
spazi aperti al pubblico traffico.
Gli usi civici presentano delle analogie con il diritto d'uso pubblico: entrambe le categorie sono
beni collettivi, perché appartengono alla collettività di abitanti; gli usi civici, però, sono
assoggettati ad una particolare disciplina e possono gravare anche su beni pubblici. Si tratta,
infatti, di diritti di godimento e d'uso spettanti alla collettività su terreni di proprietà dei comuni
o di terzi (che devono sopportare che i membri della collettività godano dei loro beni) e che hanno
ad oggetto i pascoli, la pesca, la caccia ecc. Essi spettano ai membri della collettività che ne
fruiscono uti cives e non all'ente che li rappresenta.

26. L'uso dei beni pubblici

II godimento e l'uso del bene pubblico è consentito al proprietario pubblico, che lo impiega per
16
lo svolgimento dei propri compiti, sanzionando, in alcuni casi, l'uso del bene da parte di terzi (è il
caso del demanio militare). In molti casi il bene è in grado di soddisfare anche esigenze di diversa
natura: si realizza, così, un uso promiscuo (es. le strade militari che, accanto all'interesse della
difesa, sono in grado di soddisfare l'interesse generale della pubblica circolazione).
Ci sono, poi, dei beni pubblici che assolvono la loro funzione a servizio della collettività: l'uso è
generale. Vi sono anche delle situazioni nelle quali il bene è posto al servizio dei singoli soggetti:
l'uso, in questi casi, è particolare (es. concessione). Spesso i beni degli enti vengono impiegati
come capitale di dotazione nelle aziende speciali ovvero in società per azioni.

27.I beni privati di interesse pubblico

La dottrina individua una categoria di beni, comprensiva sia di beni appartenenti a soggetti
pubblici che privati: essa è costituita dai beni di interesse pubblico.
Trattasi di beni che sonosottoposti al regime amministrativo, nel senso che l'uso degli stessi e
le facoltà dei proprietari sono spesso regolati da norme che attribuiscono compiti alle
amministrazioni. È il caso dei beni culturali di proprietà privata (es. opere d'arte di particolare
valore), la cui conservazione soddisfa interessi pubblici.

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Capitolo IV
L'ORGANIZZAZIONE DEGLI ENTI PUBBLICI

1. Cenni all'organizzazione statale: quadro generale

Lo Stato­amministrazione può essere qualificato come ente pubblico, dovendosi riconoscere ad


esso la qualità di persona giuridica in forza di espressi riferimenti normativi: l'art. 28 Cosi, ad
esempio, che si riferisce alla responsabilità civile dello Stato e l'art. 822 c.c. che disciplina i beni
appartenenti allo Stato.

2. In particolare: il governo e i ministeri

Al vertice dell'organizzazione statale, tradizionalmente indicata come potere esecutivo, è


collocato il governo, formato dal Presidente del Consiglio dei ministri, il Consiglio dei ministri e
dai ministeri; anche il Presidente della Repubblica svolge importanti funzioni attinenti
all'attività amministrativa, come il potere di nomina dei più alti funzionali e di emanazione dei
regolamenti governativi.
II Presidente del Consiglio dei ministri ha, tra gli altri, i compiti di indirizzare ai ministri le
direttive politiche ed amministrative in attuazione delle delibere del Consiglio dei ministri e quelle
connesse alla propria responsabilità di direzione della politica generale del governo, coordina
e promuove l'attività dei ministri in ordine agli atti che riguardano la politica generale del
governo, sospende l'adozione di atti dei ministri in ordine a questioni politiche e amministrative
sottoponendoli al Consiglio dei ministri (ari 5, comma 2, I. 400/1989) Il Presidente, per
esercitare le funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento attribuitegli dalla Costituzione e
dalle leggi, si avvale della presidenza del Consiglio, che ha una struttura organizzativa propria,
alla quale fanno capo vari dipartimenti e uffici. Responsabile del funzionamento del
segretariato generale e della gestione delle risorse umane e strumentali alla presidenza è il
segretario generale; il Presidente, inoltre, può individuare, con propri decreti, gli uffici di diretta
collaborazione propri e quelli dei ministeri senza portafoglio (pur essendo membri del governo,
non sono titolari di dicasteri, ma possono essere posti a capo di dipartimenti in cui si articola la
presidenza del Consiglio) o sottosegretari della presidenza.
II Consiglio dei ministri è titolare della funzione di indirizzo politico e normativo, poteri di
indirizzo e coordinamento, poteri di annullare d'ufficio atti amministrativi.
I ministri sono organi politici di vertice dei vari dicasteri; sono organi importanti dal punto di
vista amministrativo perché l'amministrazione statale è ripartita sulla base dei ministeri, il
cui numero, attribuzioni ed organizzazione è stabilito dalla legge. Il ministro può essere aiutato
da uno o più sottosegretari nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta
del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il ministro che il sottosegretario
coadiuverà.
Con il d. Igs. 300/1999, in ossequio ai principi di semplificazione e snellimenti strutturale, è
stato ridotto il numero dei ministeri ed è stata ridisegnata la loro struttura. Per alcuni
ministeri si introduce il modello caratterizzato dalla presenza, accanto alla figura del ministro,
di strutture dipartimentali, cui sono attribuiti compiti finali riguardanti grandi aree di materie
omogenee e i relativi compiti strumentali, e scompare la figura del segretario generale, che
sopravvive negli altri ministeri. In questi ultimi, la struttura di primo livello è costituita dalle
direzioni generali.
I ministeri svolgono le loro funzioni anche attraverso le agenzie, strutture che svolgono attività
di carattere tecnico­operativo di interesse nazionale attualmente esercitate dai ministeri ed
enti pubblici. Tra le agenzie costituite dal d.lgs 300/1999 ci sono quelle fiscali (agenzie delle
entrate, delle dogane), per la protezione dell'ambiente, della protezione civile ecc.
Le agenzie operano, in generale, al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle
regionali e locali; hanno autonomia nei limiti stabiliti dalla legge (hanno autonomia di bilancio,
possono determinare norme sulla loro organizzazione ecc), sono sottoposte al controllo della
Corte dei conti, ai poteri di vigilanza e indirizzo del ministro (che approva anche i programmi di
attività delle agenzie, può emanare direttive con indicazione degli obiettivi da raggiungere), devono
essere organizzate in modo da rispondere alle esigenze di speditezza, efficienza ed efficacia,
giovano di un finanziamento annuale a carico dello stato di previsione del ministero. A capo
dell'agenzia è posto un direttore generale. Possono anche avere personalità giuridica (es. agenzie
fiscali).

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3. Le strutture di raccordo tra i vari ministeri

I ministeri non operano in modo completamento separato: la loro attività viene coordinata
dall'azione politica del Consiglio dei ministri, dal Presidente del Consiglio (art. 95 Cost.), dal
consiglio di gabinetto, organo collegiale formato dal Presidente del Consiglio e dai ministri da lui
designati, dai comitati dei ministri.
Altri organi collegiali sono ì comitati interministeriali, che possono essere formati, a
differenza dei comitati di ministri, anche da soggetti che non siano ministri, in particolare da
esperti e rappresentanti delle amministrazioni. Tra questi comitati ci sono il CIPE (comitato
interministeriale per la programmazione economica), presieduto dal Presidente del Consiglio dei
ministri, composto da ministri, competente in via generale su questioni di rilevante valenza
economico­finanziaria, e/o con prospettive di medio lungo termine, che necessitano di un
coordinamento a livello territoriale o settoriale. Di rilievo anche il Cicr (comitato
interministeriale per il credito ed il risparmio), il quale si occupa di politica creditizia,
esercitando poteri di direttiva nei confronti Tesoro e della Banca d'Italia.
In ogni ministero con portafoglio sono presenti, poi, gli uffici centrali del bilancio, dipendenti dal
dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del ministero dell'economia e delle finanze; a
livello periferico, si occupano delle amministrazioni statali decentrate le ragionerie provinciali, che
dipendono dal dipartimento della Ragioneria generale con compiti di tenuta delle scritture
contabili, programmazione dell'attività finanziaria, valutazione tecnica dei costi.
Svolge attività a favore di tutta l'organizzazione statale l'avvocatura dello Stato, composta da
legali che forniscono consulenza alle amministrazioni statali e provvedono alla loro difesa in
giudizio (possono avvalersene anche le regioni a statuto ordinario e speciale); l'avvocatura è
incardinata presso il Consiglio dei ministri, dal quale agisce in modo indipendente.
Occorre, infine, ricordare il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica
amministrazione, che ha il compito di fornire alle amministrazioni il supporto conoscitivo
informatico essenziale per l'attività amministrativa, e il servizio della tesoreria di Stato,
costituto dall'insieme di operazioni e atti attraverso i quali il denaro acquisito dalla pubblica
amministrazione viene raccolto, conservato, impiegato. Il servizio di tesoreria centrale dello
Stato è affidato alla Banca d'Italia.

4.Il Consiglio di Stato la Corte dei Conti e il Cnel

Ci sono organi che svolgono funzioni strumentali (consultive, di controllo, di proposta)


rispetto all'attività degli organi costituzionali. Essi, qualificati poteri dello Stato, sono: il
Consiglio di Stato, organo di consulenza giuridico­amministrativa e di tutela della giustizia
nell'amministrazione (art. 100, comma 1, Cost.), la Corte dei conti (art. 100 Cost.), che oltre ad
esercitare le funzioni di controllo, dispone di funzioni giurisdizionali e consultive (queste
ultime principalmente con riferimento ai disegni di legge governativi che modificano la legge
sulla contabilità dello Stato e le proposte di legge attinenti l'ordinamento e le funzioni della
Corte), il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel, art. 99 Cost.), organo ausiliario
del governo, con compiti di consulenza tecnica, di sollecitazione, nelle materia dell'economia e del
lavoro, dell'attività del Parlamento, del governo e delle regioni.

5. Le aziende autonome

Le aziende autonome o amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo (dizione


impiegata nel d. lgs. 165/2001) sono delle amministrazioni incardinate presso un ministero, con
una propria amministrazione, separata da quella ministeriale.
Le amministrazioni autonome svolgono, in genere, attività prevalentemente tecnica,
amministrano in modo autonomo le relative entrate, dispongono di capacità contrattuale e sono
titolari di rapporti giuridici, pur non avendo un proprio patrimonio (il patrimonio è infatti dello
Stato anche se è destinato all'attività dell'azienda). Molte aziende, poiché la loro attività consiste
spesso nella produzione di beni o nella prestazione di servizi, ritenendosi preferibile l'adozione dei
regime imprenditoriale, sono state trasformate in enti pubblici economici o società per azioni.
Sono prive di personalità giuridica e sono rette dal ministro che ne ha la rappresentanza; il
ministro è affiancato dal consiglio di amministrazione e dal direttore, organo esecutivo. Il bilancio
e il rendiconto dell'azienda sono allegati al bilancio dello Stato: molte aziende sono state
soppresse o trasformate: tra queste la Cassa depositi e prestiti, trasformata in Cassa depositi
e prestiti società per azioni. Il termine azienda è impiegato anche per indicare aziende speciali
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che operano a livello locale; si tratta, in questo caso, di soggetti aventi personalità giuridica.

6. Le amministrazioni indipendenti

Modelli di amministrazione assai differenti da quelli tradizionali sono le amministrazioni


indipendenti (Consob, Garante per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al
trattamento dei dati personali, la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sul diritto
di sciopero nei servizi pubblici essenziali ecc): esse dispongono di autonomia organizzativa e
funzionale, sono titolari di poteri provvedimentali, in particolare sanzionatori (in alcuni casi le
autorità, Consob e Isvap, possono proporre al ministro competente l'adozione di misure
sanzionatorie, altre volte sono le agenzie stesse che le adottano direttamente), talora
regolamentari, e sono soggette al controllo della Corte dei conti. I vertici delle agenzie diverse
da quelle che operano nel settore delle telecomunicazioni, elettricità e del gas (la cui nomina
spetta al Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta
del ministro competente e parere favorevole delle commissioni parlamentari) sono nominati o
designati dai presidenti delle camere, ovvero (è il caso del Garante per la tutela della privacy)
eletti per metà dalla camera e per metà dal senato (in tutti questi casi gli atti di nomina, non
essendo soggettivamente amministrativi, non sono impugnabili dinanzi al giudice
amministrativo).
L'elemento che maggiormente caratterizza queste amministrazioni è il fatto che esse sono
indipendenti dal potere politico del governo pur dovendo, di regola, trasmettere relazioni a questo,
oltre che al Parlamento, in ordine all'attività svolta. Le autorità, di conseguenza, non sono tenute
ad adeguarsi all'indirizzo politico espresso dalla maggioranza ed adottano, in posizione di
relativa terzietà, decisioni simili a quelle degli organi giurisdizionali. Non rispondono
politicamente né all'esecutivo né ad altri soggetti; sono organi che esercitano funzioni di
amministrazione attiva ma al di fuori della sfera di influenza politica, occupandosi di settori
amministrativi ritenuti particolarmente rilevanti. La indiffejEnza^ris'petto agli interessi in
gioco giustifica la qualificazione della loro posizione come "neutrale" in ciò ulteriormente
differenziandosi rispetto alle tradizionali amministrazioni che devono, invece, essere imparziali.
Alcune autorità non hanno neppure personalità giuridica (l'Autorità garante della concorrenza
e del mercato, la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sul diritto di sciopero nei
servizi pubblici essenziali).
Presenta alcune analogie con le autorità indipendenti, pur non essendo istituito a livello di
organizzazione statale, il difensore civico: il T.U. enti locali definisce il difensore civico
comunale e provinciale come garante "dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 11), mentre l'art. 127 T.U. ctt. ha previsto che i difensori civici delle
regioni e delle province autonome esercitino, sino all'istituzione del difensore civico nazionale, le
proprie funzioni di richiesta, proposta, sollecitazione e di intimazione anche nei confronti
delle amministrazioni periferiche dello Stato. Al difensore civico spetta il compito di
riesaminare, su istanza dell'interessato, le richieste di accesso in caso di rifiuto e di differimento.
A questo compito se ne aggiungono molti altri che vanno dalla tutela dei cittadini al
controllo dell'attività amministrativa, dalla difesa della legalità alla ricerca della trasparenza. Il
difensore comunque non può annullare o riformare atti, imporre misure sanzionatorie
conseguenti al controllo, emanare provvedimenti decisori. La marcata indipendenza e riduzione
del condizionamento politico costituiscono ulteriori tratti essenziali di questo modello, li
difensore civico, al pari delle autorità indipendenti, trova il proprio riferimento costituzionale
nell'art. 97 Cost; a differenza delle amministrazioni indipendenti, oltre la diversità in ordine al
campo di azione, esso non dispone di poteri decisori.

7. Gli enti parastatali e gli enti pubblici economici

L'amministrazione statale è completata dalla presenza di enti strumentali rispetto ad essa.


Tra questi, gli enti parastatali (Inps, Inail, Coni), disciplinati dalla legge n. 70 del 1975 che li
raggruppa in sette categorie in base al settore di attività (per la cui elencazione si rimanda a pag.
123); tutti gli enti del parastato sono soggetti al controllo della Corte dei conti.
Altra categoria di enti strumentali è quella degli enti pubblici economici: sono titolari di
impresa ed agiscono con gli strumenti del diritto comune, oppure detengono partecipazioni
azionarie in società con capitale pubblico (enti di gestione delle partecipazioni azionarie, quali
Iri ed Eni). La tendenza legislativa è quella di operarne la trasformazione in società per azioni,
strumento ritenuto più adatto ai fini della gestione dell'impresa. Di natura pubblica è il rapporto
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con lo Stato sotto il profilo della costituzione, estinzione, nomina degli amministratori,
vigilanza, ec; sono sottratti al regime fallimentare.
Altri enti importanti nell'organizzazione amministrativa statale sono: gli ordini ed i collegi
professionali, enti pubblici associativi, ad appartenenza necessaria, esponenziali della categoria di
professionisti che realizzano l'autogoverno della categoria stessa; le camere di commercio,
industria, artigianato ed agricoltura: sono enti di diritto pubblico ad appartenenza necessaria di
tipo associativo a competenza territorialmente delimitata (operano a livello provinciale), che
raggruppano i commercianti, gli industriali, gli agricoltori, gli artigiani; la Siae e l'Istituto per il
commercio con l'estero, a cui è stato riconosciuto il carattere di ente pubblico non economico.

8. L'amministrazione statale periferica

L'amministrazione dello Stato è presente al centro ed sul territorio nazionale secondo il


modello del decentramento burocratico, che ha dato luogo all'amministrazione statale
periferica, che convive con quella regionale e degli enti­locali. Al vertice di ogni ufficio periferico
è presente un dipendente del ministero (alcuni ministeri difettano di un'organizzazione
periferica), mentre la difesa in giudizio e le funzioni consultive spettano alle avvocature
distrettuali dello Stato, aventi sede in ogni capoluogo in cui opera una Corte d'appello. Il
controllo sulla spesa è esercitato dalle ragionerie provinciali dello Stato incardinate preso il
ministero dell'economia e delle finanze, che svolgono nei confronti degli organi decentrati
dell'amministrazione statale le funzioni attribuite a livello centrale agli uffici centrali del
bilancio presenti presso ogni ministero.
Organo periferico del ministero dell'interno e il prefetto, preposto all'ufficio territoriale
del governo, chiamato a rappresentare il potere esecutivo nella provincia e, più in generale, a
svolgere la funzione di tramite tra centro e periferia. Tra i compiti che svolge ci sono quelli in tema
di ordine pubblico e di sicurezza nella provincia di espropriazione, di esercizio del diritto di
sciopero nei pubblici servizi. Le prefetture sono state trasformate, dall'art 11 del d.lgs.
300/99, così come modificato dal d.lgs. 29/2004, in Prefetture­uffici territoriali del governo a cui
sono preposti i prefetti.
La I. 131/2003 dispone che il prefetto preposto all'ufficio territoriale del Governo avente
sede nel capoluogo della regione svolge funzione di rappresentante dello Stato per ì rapporti
con il sistema delle autonomie"

9. L'organizzazione amministrativa territoriale non statale: la disciplina


costituzionale e le r e c en t i r i fo r m e

I poteri locali sono stati modificati dalla recente riforma del titolo V della parte II della
Costituzione operaia con I. cost. 3/2001; la I. cost. 131/2003 (recante "Disposizioni per
l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3")
conferisce ora una delega al Governo ad emanare decreti legislativi per dare attuazione al l’art.
117 Cost., indicando, espressamente, le norme abrogate implicitamente per l'effetto dell'entrata
in vigore della I. cost. 3/2001, nonché quelle implicitamente abrogate da altre disposizioni.
Le regioni dispongono di potestà legislativa ed amministrativa. L'art. 117 Cost. prevede la
potestà legislativa cd. concorrente relativamente ad alcune materie e stabilisce che alle regioni
"spetta" (ma non è riservata: questa differenza aprirebbe la via alla legislazione statale cedevole
nelle materie non ancora disciplinate dalla fonte regionali, v. infra) la "potestà legislativa in
riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Rispetto
al previgente sistema, caratterizzato dalla indicazione tassativa delle materia devolute alla
competenza regionale, si è così operato un decisivo rafforzamento del ruolo normativo delle
regioni (v. anche l'art. 116 Cost.).
L'art. 1 della I. 131/2003 stabilisce che "le disposizioni normative statali vigenti alla data di
entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale
continuano ad applicarsi, in ciascuna regione, fino alla data di entrata in vigore delle
disposizioni regionali in materia....fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte
Costituzionale. Le disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della
presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione statale esclusiva continuano ad
applicarsi sino all'entrata in vigore delle disposizioni statali in materia, fatti salvi gli effetti di
eventuali pronunce della Corte Costituzionale".
In attesa della legislazione regionale, il legislatore statale, inoltre, può continuare a legiferare
nelle materie di potestà regionale: tesi, sostenuta dalla dottrina e, in parte, dal legislatore (v. L.
21
55/2002, richiamata dalla I. 329/2003), che permette di configurare le leggi statali come norme
suppletive dotate di una sorta di cedevolezza e, come tali, destinate ad essere superate al
momento dell'entrata in vigore della fonte regionale. La Corte Costituzionale, tuttavia, nella sent.
n. 303/2003 pare aver ristretto i margini per l'utilizzo di leggi statali contenenti prescrizioni
cedevoli, asserendo che il meccanismo delle norme di dettaglio appunto cedevoli non può
averne generalizzata l'applicazione. Va aggiunto che l'art. 117 Cost., nel definire materie di
competenza legislativa esclusiva statale, indica alcuni ambiti per così dire "trasversali" che
potrebbero consentire uno spazio di intervento importante per il legislatore statale (es. materia
della tutela della concorrenza, ordine pubblico e sicurezza, livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale ecc.)
Le regioni, ai sensi del l’art 118 Cost., esercitano anche funzioni amministrative conferite ad
esse "per assicurarne l'esercizio unitario" "sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza" (al fine di capire siffatta disposizione si consideri che in linea di
massima, tutte le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni): si tratterà
presumibilmente delle funzioni di indirizzo, di programmazione e di controllo. Esse, comunque,
dovranno essere individuate dalle leggi statali e regionali. Rimangono peraltro poteri di indirizzo
allo Stato, come confermato dal l’art. 121 Cost., ai sensi del quale il presidente della Giunta
regionale "dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle
istituzioni del governo della Repubblica". La Costituzione prevede pure intese tra regioni (art.
117 c. 9 e 10, Cost.), nonché forme di coordinamento tra Stato e regioni nelle materie indicate
(art. 118, c. 3, Cost.).
Un impulso decisivo al rafforzamento delle autonomie territoriali è venuto dalla riforma
avviata con la l. 59/1997 (c.d. legge Bassanini), ispirata al principio di sussidiarietà (v. cap. Il):
sono conferite alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni e i compiti amministrativi
relativi alla cura degli interessati e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità,
nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori (art. 1,
comma 2, I. cit.); il principio di sussidiarietà è indicato tra i principi e i criteri vincolanti per il
governo nella disciplina da esso posta mediante decreto delegato, precisando, che ove possibile,
le responsabilità politiche debbono essere attribuite alla autorità più vicina ai cittadini
interessati. Il conferimento deve avvenire rispettando anche i principi completezza, efficienza,
economicità e di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali (art. 2 l. cit).

10. I rapporti con lo Stato e l'autonomia contabile della regione

I rapporti tra lo Stato e le regioni devono essere improntati al principio della leale
cooperazione, principio elaborato dalla giurisprudenza costituzionale ed ora formalizzato nel l’art
120 Cost.
Sul piano organizzativo ì rapporti tra Stato e regione sono coordinati dal Rappresentante dello
Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie, la commissione parlamentare per le questioni
regionali di cui all'art. 126 Cost., la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, la regione e le province
autonome, con compiti di informazione, consultazione e raccordo, in relazione agli indirizzi di
politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza generale, la Conferenza
Stato­città­autonomìe locali, con compito di coordinamento nei rapporti tra lo Stato e le autonomie
locali.
Le conferenze citate sono organi statali a composizione mista.
A garanzia dell'autonomia delle regioni, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art.
2, comma 3, lett. p, I. 400/1988 che attribuiva al Consiglio dei ministri il potere di annullare gli
atti amministrativi regionali. Per quanto riguarda i controlli, prescindendo da quelli sugli atti
legislativi (v. art. 127 Cost.), la I. 3/2001 ha abrogato l'art. 125 Cost. che prevedeva il potere dello
Stato del controllo di legittimità sugli atti amministrativi regionali. La l. 20/1994, art. 3, comma
4, disciplina il controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio esercitato dalla Corte dei
Conti anche nei confronti delle amministrazioni regionali "concernente il perseguimento degli
obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma"; tale controllo pare trovare un più
moderno referente nell'art. 117, c. 3, Cost., che si riferisce ai coordinamento della finanza
pubblica. Il ruolo della Corte è stato rafforzato dalla 1. 131/2003, secondo cui la Corte, ai fini del
coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte
(oltre che Comuni, Province e Città metropolitane) delle Regioni, "in relazione al patto di
stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea...".
L'art. 126 Cost. prevede il controllo sugli organi: il consiglio regionale può essere sciolto e il
presidente della giunta rimosso con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una
22
commissione di deputati e senatori costituita per le questioni regionali, quando abbiano compiuto
atti gravi contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o per ragioni di sicurezza nazionale.
Ai sensi del l’art. 119 Cost. i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno
autonomia di spesa e di entrata, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con
la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario (v. art. 117, co. 3, Cost.); l'articolo sopra citato prevede l'istituzione di un fondo
perequativo per i tenitori con minore capacità fiscale per abitante, fissando, al terzo comma,
l'importante principio che le risorse derivanti dalle fonti previste dall'art 119 Cost.
consentono di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite. Le regioni e gli enti
locali possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese d'investimento, escludendosi
ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti. Le regioni, infine, hanno un bilancio
autonomo rispetto a quello statale e dispongono di un proprio patrimonio autonomo.

11. L'organizzazione regionale

L'organizzazione regionale, che deriva dalle disposizioni costituzionali (recentemente


modificate dalla I. cost. 1/1999) e da quelle statutarie (art. 123 Cost.) è composta da:
è consiglio regionale: esercita le potestà legislative e le altre funzioni ad esso conferite dalla
Costituzione e dalle leggi;
è giunta regionale: è l'organo esecutivo. Esercita potestà regolamentare (che lo statuto può
affidare anche al consiglio (Corte cost. sent. 313/2003) e dispone dì poteri di impulso e di
iniziativa legislativa;
è presidente della giunta regionale: rappresenta la regione, dirige la politica della giunta e
ne è responsabile, promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali, dirige le funzioni
amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo della
Repubblica (art 121 Cost.). È eletto a suffragio universale e diretto, salvo che lo statuto prevede
diversamente; il presidente eletto nomina e revoca i componenti della giuria.
Lo statuto determina la forma di governo (art. 123 Cost.).
La regione dispone di funzioni amministrative, per esercitare le quali impiega un apparato
amministrativo regionale che si distingue in centrale (strutturato di norma in assessorati o per
dipartimenti) e periferico. Per la cura degli intessi ad essa affidati, la regione impiega il modello
di amministrazione diretto e il conferimento di funzioni agli enti locali (v. art. 118 Cost), o può
avvalersi di enti dipendenti, che sono uffici regionali entificati. Tra i soggetti di diritto pubblico
operanti in ambito regionale, particolarmente importanti sono le aziende sanitarie locali,
aventi il compito di assicurare livelli di assistenza sanitaria uniformi nel proprio ambito
territoriale, qualificate come soggetti dotati di personalità giuridica pubblica e di autonomia
organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Le regioni, inoltre
possono assumere partecipazioni in società finanziarie regionali il cui oggetto rientri nelle
materie finanziarie.

12. La posizione e le funzioni degli enti locali

Sono "enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla
Costituzione" (art. 114 Cost.) i comuni, le province e le città metropolitane, denominati "enti
locali" (art. 123 Cost.: tale norma prevede l'istituzione a livello regionale di un Consiglio delle
autonomie locali, quale organo di consultazione fra regioni ed enti locali, l'art. 2 T.U. enti locali
precisa che, ai fini dell'applicazione del testo medesimo, si intendono per enti locali, oltre a quelli
appena citati, ie comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni). Insieme alle
regioni formano i "governi locali" (art. 120 Cost.). A differenza del passato, quando l'art. 128
Cost., ora abrogato, qualificava i suddetti enti (si taceva sulle città metropolitane) come enti
autonomi nell'ambito dei principi fissati con legge generale della Repubblica, oggi
l'autonomia di questi poteri locali è direttamente sancita dalla Costituzione, che li indica
accanto allo Stato come ordinamenti costituenti la Repubblica, in una logica non già dì
articolazione gerarchica quanto di tendenziale pariequiparazione. La disciplina della
legislazione elettorale, degli organi di governo e delle "funzioni fondamentali" spetta comunque
alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, c. 2, lett. p, Cost.) al fine di evitare che la regione
possa intervenire con legge comprimendone l'autonomia. L'art. 114 Cost. riconosce una peculiare
posizione a Roma, definita capitale della Repubblica, la disciplina del cui ordinamento è affidata a
legge dello Stato.
li sistema delineato dalla legge di riforma costituzionale era stato avviato da norme precedenti,
23
volte a rafforzare l'autonomia degli enti locali nei confronti dello Stato: ruolo decisivo ha avuto la I.
142/1990 che, oltre a riconoscere potere statuario a province e comuni, ha disposto che la
"legislazione in materia di ordinamento dei comuni e delle province e di disciplina dell'esercizio
delle funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i principi che costituiscono limite
inderogabile per l'autonomia normativa dei comuni e delle province" (art. 4, com. 2­bis, I. 142/90).
Ha inteso, quindi, porre una disciplina generale, sottraendola al rischio di deroghe particolari. La
presenza delle regioni non offusca l'importanza delle autonomie locali, le quali, in alcuni casi,
svolgono funzioni regionali e, comunque, sono tutelate dall'ingerenza delle stesse (v. in particolare
L. 265/1999 che ha modificato la I. 142/1990).

12.1 Le funzioni del comune

Ai comuni sono attribuite, ai sensi dell'arti 18 Cost., tutte le "funzioni amministrative", salvo
che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e
Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Il secondo comma
della norma sopra citata specifica che comuni, province e città metropolitane "sono titolari di
funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le
rispettive competenze". L'art. 118 Cost. ammette, dunque, una doppia lettura: quella secondo cui i
comuni sono titolari di tutte ie funzioni amministrative, secondo il modello dei "poteri
originali" (di propri poteri e funzioni parla anche l'art, 114 Cost.) e quella in forza della quale le
funzioni ed i poteri sono ad esse conferiti da regioni e Stato ("poteri derivati"). Le funzioni
amministrative possono, quindi, essere allocate anche ad un livello diverso da quello comunale
(secondo un criterio "ascensionale" che le sottragga ai Comuni tenendo conto delle attitudini
dei vari livelli ad assicurarne l'esercizio unitario.
Esistono poi le funzioni fondamentali che, ai sensi dell'art. 117, c. 2, lett. p, Cost. sono
disciplinate dalla legge dello Stato (individuazione di tali funzioni spetta al Governo in virtù
della delega conferita con I. 131/2003).Trattasi di funzioni che sono escluse dal processo di
distribuzione verso l'alto.
L'art. 117, c. 6, Cost. riconosce, inoltre, ai comuni, province e città metropolitane potestà
regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite.
La legislazione ordinaria, art. 3 T.U. enti locali, definisce il comune come "l'ente locale che
rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo locale".
L'art. 13 dei T.U cit, anticipando la riforma costituzionale, attribuisce al comune tutte le
funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale precipuamente
nei settori organici dei servizi sociali, dell'assetto e dell'utilizzo del territorio e dello sviluppo
economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale e
regionale. La disposizione va interpretata alla luce del nuovo art. 118 Cost., ai sensi del quale
Stato, regioni, città metropolitane, comuni e province "favoriscono l'autonoma iniziativa dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base
del principio di sussidiarietà".
Il comune gestisce, in particolare, alcuni servizi di competenza statale, funzioni che, pur
rimanendo nella titolarità dello Stato, sono esercitate dal sindaco quale ufficiale di governo.
Importanti funzioni sono state conferite allo sportello unico per le attività produttive (cap. VI, par.
1).

12.2 Le funzioni della provincia

La disciplina costituzionale (artt. 114, 117, 118 Cost.) accomuna la provincia ai comuni ed alle
città metropolitane, mentre la legislazione ordinaria, art. 3 T.U. enti locali, definisce la
provincia come ente intermedio tra comune e regione, che rappresenta la propria comunità e
ne cura gli interessi coordinandone lo sviluppo. l’art 19 attribuisce all'ente le funzioni
amministrative di interesse provinciale, che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero
territorio provinciale, relative ad una serie di settori specifici e tassativamente indicati. Settori
in cui sono stati attribuiti numerosi compiti a questo ente sono l'ambientale, la promozione e il
coordinamento di attività e di realizzazione di "opere di rilevante interesse provinciale sia nel
settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale, sportivo"
nonché compiti di pianificazione territoriale (artt. 19 e 20 T.U.).

24
13. L'organizzazione di comuni e province

La legge dello Stato disciplina gli organi degli enti locali, che durano in carica cinque anni
quando si tratta di organi di governo. La legge non distingue, in materia, tra comuni e province,
sicché il discorso verrà qui condotto in modo unitario per comuni e province.
Il sindaco (o il presidente della provincia) è i'organo responsabile dell'amministrazione del
comune (o della provincia); rappresenta l'ente e convoca e presiede la giunta, sovraintende al
funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti, all'espletamento delle funzioni
statali e regionali attribuite o delegate all'ente locale. Non è rieleggibile immediatamente il
sindaco o il presidente della provincia che abbia ricoperto la carica per due mandati
consecutivi (è consentito il terzo mandato consecutivo solo quando uno dei due mandati
precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per cause diverse dalle
dimissioni volontarie). Sindaco e presidente della provincia provvedono alla nomina
designazione e revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende­ed
istituzioni.
il consiglio comunale (o il consiglio provinciale) è organo di indirizzo e di controllo
politico­amministrativo, con competenze limitate agli atti fondamentali (statuto, regolamenti,
piani territoriali ed urbanistici ecc.) indicati dalla legge. Il sindaco (il presidente della provincia),
sentita la giunta, nel termine fissato dallo statuto, presenta al consiglio le linee programmatiche
relative alle azioni ed ai progetti che intende realizzare. I consigli provinciali e comunali dei
comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti sono presieduti da un presidente eletto tra i
consiglieri nella prima seduta, cui sono attribuiti autonomi poteri di convocazione e di direzione
dei lavori e delle attività del consiglio; per i restanti comuni la figura del presidente può essere
prevista dallo statuto, altrimenti la presidenza spetta al sindaco, il funzionamento dei consigli,
nel quadro dei principi fissati dallo statuto, è disciplinato con regolamento approvato a
maggioranza assoluta e sottratto al controllo (necessario) preventivo di legittimità (art. 126
T.U.). I consigli sono dotati di autonomia organizzativa e funzionale.
La giunta comunale (la giunta provinciale) è l'organo a competenza residuale: collabora
con il sindaco o con il presidente della provincia nell'amministrazione dell'ente, attua gli
indirizzi generali del consiglio e svolge attività propositiva e di impulso nei confronti dei
consiglio. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta, tra cui
un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta
successiva all'elezione. Adottano dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel
rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio. Nei comuni con popolazione inferiore a 5.000
abitanti, anche ai fine di operare un contenimento della spesa, il regolamento degli uffici e dei
servizi può prevedere l'attribuzione ai "componenti dell'organo esecutivo" della "responsabilità
degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale". Il numero
degli assessori, comunque non superiore ad un terzo del numero dei consiglieri, è fissato dallo
statuto, che può anche prevede solo il limite massimo. Nei comuni con popolazione superiore a
15.000 abitanti e nelle province gli assessori sono nominati anche al di fuori dei componenti del
consiglio, possibilità che, negli altri comuni, può essere prevista dagli statuti. Sindaco e
presidente possono revocare gli assessori, dandone motivata comunicazione al consiglio.
In caso di approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del sindaco (o del presidente
della provincia) e della giunta, il sindaco, il presidente della giunta e le rispettive giunte
cessano dalla carica e si procede a scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario. La
giunta decade anche nel caso di rimozione, decadenza o decesso del sindaco o del presidente della
provincia. Lo scioglimento del consiglio determina la decadenza dei sindaco, del presidente della
provincia e della relative giunte.
Il sindaco e il presidente della provincia sono eletti a suffragio universale e diretto da parte
dei cittadini. Nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti l'elezione dei consiglieri si effettua
con il sistema maggioritario, mentre nei comuni che superano questa soglia è previsto il sistema
maggioritario con un premio di maggioranza.
Altri organi degli enti locali sono i dirigenti, comunali o provinciali, i quali svolgono la
propria attività sulla base di incarichi a tempo determinato, sono responsabili, in relazione agli
obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa e dell'efficienza della gestione ed hanno tutti i
compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con atti di indirizzo adottati
dall'organo politico. Possono esercitare funzioni delegate dal sindaco; hanno la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle
risorse umane, strumentali e di controllo. Il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai
25 
15.000 abitanti e il presidente della provincia possono, previa ­deliberazione della giunta
comunale o provinciale, nominare un direttore generale. La durata dell'incarico non può
eccedere quella del mandato del sindaco (o del presidente), di cui quest'organo costituisce una
sorta di fiduciario, incaricato di gestire i collegamenti tra livello politico e livello gestionale.
Provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente e
sovraintende alla gestione dell'ente. Nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti è
consentito procedere alla nomina del direttore generale previa stipula di convenzioni tra comuni,
le cui popolazioni sommate raggiungano i 15.000 abitanti.
Il segretario comunale o provinciale è l'organo che, pur legato da un rapporto funzionale con
l'ente (a tempo determinato), dipende da una apposita agenzia avente personalità giuridica
di diritto pubblico sottoposta alla vigilanza del ministro dell'interno. È nominato dal sindaco (o dal
presidente della provincia) tra gli iscritti in apposito albo, per la durata del mandato del sindaco
(o del presidente). Il segretario svolge "compiti di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico­ amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità
dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti" (art.97 T.U.); partecipa,
inoltre, con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della
giunta e ne cura la verbalizzazione, può rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ecc. Il
segretario non può trovarsi in condizione subordinata a quella del direttore generale, anche
perché le funzioni svolte sono tendenzialmente diverse: il primo garantisce la legittimità,
l'efficacia e l'economicità dell'azione amministrativa, il secondo è responsabile dell'attività di
gestionale in ordine al raggiungimento degli obiettivi dell'ente.

14. I controlli sugli atti e sugli organi degli enti locali

L'abrogazione del l’art. 130 Cost. ad opera della L. 3/2001, ha eliminato i controlli necessari
sugli atti degli enti locali (controllo svolto dal Co.re.co. e dal difensore civico, ove istituito; per la
lettura della vecchia normativa si rimanda a pag. 157). 
a)  Il T.U., art. 138, annovera tra i controlli sugli atti degli enti locali l'annullamento
straordinario governativo di cui alla l. 40088. La I. 51/1982 ha istituito una apposita sezione
della Corte dei conti (sezione delle autonomie) ruolo rafforzato dalla riforma costituzionale, e
l'art. 39 d. Igs. 77/1995 ha reso obbligatorio negli enti locali il controllo di gestione. I controlli
interni sono disciplinati dall'art 147 T.U, il quale dispone che l'organizzazione degli enti locali è
effettuata dagli enti stessi; la l 1312003 conferisce al Governo il potere di emanare uno o più
decreti legislativi al fine di dare attuazione all'art. 117 Cosi, indicando, tra i criteri e i principi
direttivi, quello di attribuire all'autonomia statuaria degli enti locali la potestà di individuare
sistemi di controllo interno, al fine di garantire il funzionamento interno dell'ente secondo i criteri
di efficienza, efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. 
b)  Il controllo sugli organi spetta allo Stato. Il Presidente della Repubblica, su proposta del
ministro dell'interno, ha il potere di sciogliere i consigli comunali e provinciali, per cause
relative a gravi deviazione funzionali dell'organo quali: 
c)  il compimento di atti contrari alla Costituzione, gravi e persistenti violazioni di legge, gravi
motivi di ordine pubblico; 
d)  l'impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi per
dimissione, impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del
presidente della provincia, per cessazione dalla carica per dimissioni dì almeno la metà più uno
dei consiglieri, riduzione dell'organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei
componenti del consiglio; 
e)  la mancata approvazione del bilancio nei termini (in questa ipotesi è prevista la nomina di
un commissario).

15. I rapporti finanziari e la contabilità nei comuni e nelle province

II d. Igs. 77/1995 ha posto i principi contabili applicabili all'attività degli enti locali; il d.lgs
504/1992 (v ora ari. 155 T.U.) ha previsto l'istituzione della Commissione per la finanza e gli
organici degli enti locali, organo statale presieduto dai ministro dell'interno, con poteri di controllo
centrale sulle dotazioni organiche, sulle loro modificazioni e sui provvedimenti di assunzione degli
enti dissestati o strutturalmente deficitari. L'art 234 T.U. stabilisce poi che la revisione economico­
finanziaria sia affidata ad un collegio dei revisori dei conti, che esprime proposte dirette a
26
conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione; l'art. 49 T.U.
stabilisce che "su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia
mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del
responsabile del servizio interessato e, qualora comporti un impegno di spesa o diminuzione di
entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile". Il parere di regolarità è
reso, in relazione alle sue competenze, dal segretario allorché l'ente non abbia responsabili dei
relativi servizi.
Infine, l'art. 28 I. 448/1998 estende il patto di stabilità assunto dal Governo in sede comunitaria
alle regioni, province, comuni e comunità montane; tali enti debbono, dunque, ridurre il disavanzo
annuo e il rapporto tra l'ammontare del debito e il prodotto interno lordo.

16. Gli istituti di partecipazione negli enti locali

L'art. 8 T.U. disciplina gli istituti di partecipazione, specificando che i comuni (si noti, non le
province) valorizzano le libere forme associative e promuovono gli organismi di partecipazione
all'amministrazione locale. Lo stesso articolo riconosce il potere per gli interessati, di
partecipare al procedimento amministrativo relativo all'adozione di atti che incidono su
situazioni giuridiche soggettive, forme di consultazione della popolazione e procedure per
l'ammissione di istanze, petizioni e proposte dei cittadini singoli o associati dirette a promuovere
interventi per la migliore tutela degli interessi collettivi, nonché la possibilità che lo statuto
disciplini il referendum, anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini. Sia per la
consultazione che per il referendum, la legge prevede la loro attinenza alle materie di esclusiva
competenza locale e la necessità che non abbiano luogo in coincidenza con operazioni elettorali,
provinciali e circoscrizionali.
Altri istituti di partecipazione sono: l'azione popolare (ogni elettore può far valere in giudizio le
azioni e i ricorsi che aspettano al comune) il diritto di accesso agli atti amministrativi (eccetto
quelli riservati per volontà della legge o per effetto di una temporanea e motivata
dichiarazione del sindaco, presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a
quanto stabilito da regolamento, in quanto la loro diffusione può pregiudicare il diritto alla
riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese); il di accesso alle informazioni di cui è
in possesso l'amministrazione, alle strutture ed ai servizi degli enti.
A seguito della riforma costituzionale, questa materia rientra nella potestà legislativa delle
regioni, salvo la competenza del legislatore statale di "determinare i livelli essenziali delle
prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale" (art. 117, c. 2, lett. m, Cost.).

17. Territorio e forme associative

II territorio è elemento costitutivo del comune. La regione, con propria legge, sentite le
popolazione interessate, istituisce nuovi comuni e può modificare le loro circoscrizioni e la loro
denominazione (art. 133 Cost.). L'art. 15 T.U. prevede che "salvo i casi di fusione tra più comuni,
non possono essere istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti o la cui
costituzione comporti, come conseguenza, che altri comuni scendano sotto tale limite".
Al fine di evitare l'eccessiva frammentazione territoriale le regioni possono predisporre,
coordinandolo con i comuni nelle apposite sedi concertative, un programma di individuazione degli
ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzata anche attraverso le
unioni, il quale può prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la
corresponsione dei contributi e incentivi per la progressiva unificazione; il programma è aggiornato
ogni tre anni. (art. 33 T.U.). La regione, inoltre, ha il potere di procedere alla fusione di comuni (art.
15 T.U., commi 1 e 2). Nei tenitori interessati dal processo di istituzione di nuovi comuni a
seguito di fusione decisa dalla regione, lo statuto comunale (non la legge regionale) può, a sua
volta, contemplare l'istituzione di municipi.
Due o più comuni possono costituire anche gli enti locali chiamati unioni di comuni, allo scopo di
esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza; possono essere promossi
anche dalla regione, senza alcun vincolo alla successiva fusione (art. 33).
Con riferimento al loro grado di stabilità, le forme associative previste dal T.U. possono essere
ordinate nel seguente modo: accordi di programma, per la definizione e l'attuazione di opere e di
interventi (art. 34); convenzioni, al fine di svolgere in modo coordinato servizi e funzioni
determinati. Gli enti interessati non danno luogo a soggetti distinti, limitandosi a coordinare la
propria attività; uffici comuni, istituiti mediante convenzione. Possono essere affidatali
27
dell'esercizio delle funzioni pubbliche, e non già dei servizi; delega (ad un solo ente dell'esercizio
delle funzioni); consorzi (soggetti distinti dai soggetti che li costituiscono per la gestione associata
di uno o più servizi e per l'esercizio di funzioni); esercizio associato di funzioni e servizi; unioni di
comuni (che danno luogo alla creazione di un ente locale).
Ai comuni con popolazione tra i 30.000 ed i 100.000 abitanti l'ordinamento consente, od obbliga
se la popolazione supera i 100.000 abitanti, l'articolazione del territorio comunale in circoscrizioni,
definite come "organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione dei servizi di base,
nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune" (art. 17).
II sindaco, ove non sussistano organi di decentramento comunale, può delegare ad un
consigliere comunale l'esercizio delle funzioni di ufficiale di governo nei quartieri e nelle frazioni.
Per gli ambiti trattati da questo paragrafo pare sussistere, ora, la potestà legislativa delle
regioni.

18. Città metropolitane e comunità montane

La Costituzione, art. 114, qualifica le città metropolitane come enti autonomi con propri
statuti e funzioni secondo i principi fissati nella stessa carta costituzionale; la città
metropolitana, titolare anche di potestà normative ai sensi dell'art 4 l 131/2003 è ricompresa
tra gli enti locali, come sembra risultare dall'ultimo comma del art. 123 Cost.
II T.U. prevede la figura dell'area metropolitana (si noti che la Costituzione configura,
invece, l'ente città metropolitana). Il territorio delle aree in esame (comprendenti i comuni di
Roma, Firenze, Torino, Napoli ecc, art. 22 e ss.) è delimitato dalla regione, su parere conforme
degli enti locali interessati (se la regione non provvederà entro 180 giorni, è previsto il potere
sostitutivo del governo, da esercitare previa diffida).
L'amministrazione si articola su due livelli: la città metropolitana e i comuni. Il
procedimento di formazione è il seguente : proposta di statuto della città metropolitana adottata
dall'assemblea degli enti locali interessati, convocati dal sindaco del comune capoluogo e dal
presidente della provincia, referendum sulla proposta a cura di ciascun comune, necessità del
voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto al voto espressa nella metà più uno dei
comuni, presentazione della proposta, ove approvata, a cura della regione, ad una delle due
camere per l'approvazione con legge.
La legge parifica la città metropolitana alla provincia, anche se la città esercita funzioni
ulteriori rispetto a quelle della provincia, ossia quelle che le vengono conferite dalla regione.
Altro ente locale è la comunità montana, ente ad appartenenza obbligatoria costituito con
provvedimento del presidente della giunta regionale "tra comuni montani e parzialmente
montani anche appartenenti a province diverse per la valorizzazione delle zone montane, per
l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato di funzioni comunali"
(art. 27 T.U.). Questi enti hanno autonomia statuaria nell'ambito delle leggi statali e regionali,
hanno un organo rappresentativo ed uno esecutivo, sono composti da sindaci ed assessori o
consiglieri dei comuni partecipanti con il sistema di voto limitato. Le norme che si applicano alle
comunità montane si estendono alle comunità isolane e di arcipelago.

28
Capitolo V
SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE E LORO VICENDE

1. Premessa. Qualità giuridiche, status, capacità e situazioni giuridiche

Gli interessi sono aspirazioni dei soggetti verso i beni ritenuti idonei a soddisfare bisogni. La
concreta situazione di cui un soggetto viene riconosciuto titolare da parte dell'ordinamento, con
riferimento al bene che costituisce oggetto dell'interesse, è la situazione giuridica soggettiva. Le
situazioni soggettive sono svariate: diritto soggettivo, interesse legittimo, potere, obbligo, dovere.
Si definiscono qualità giuridiche i modi di essere giuridicamente definiti di una persona, di
una cosa, di un rapporto giuridico, di cui l'ordinamento faccia altrettanti presupposti per
l'applicabilità di disposizioni generali o particolari alla persona, alla cosa, ai rapporto (es. la qualità
di coniugato con prole è il presupposto per l'applicazione della disciplina in tema di assegni di
famiglia).
Il termine status viene utilizzato in ordine al soggetto che si trovi in una particolare posizione
complessiva in seno all'ordinamento (es. status di cittadino, di impiegato pubblico); gli status sono
le qualità attinenti alla persona che globalmente derivano dalla sua appartenenza necessaria o
volontaria ad un gruppo e rappresentano il presupposto per l'applicazione al soggetto di una serie
di norme, le quali vengono così a costituire, nei confronti di tutti i soggetti che posseggono lo
status, una situazione giuridica uniforme e omogenea.
La idoneità di un soggetto ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive è la capacità
giuridica, riconosciuta dall'ordinamento (artt. 1 e 11 c.c.) ai propri soggetti; soltanto in presenza
di essa vengono conferite dall'ordinamento le situazioni giuridiche soggettive. L'ente pubblico
ha questa capacità, quindi può impiegare strumenti del diritto privato, salvo diversa disposizione
di legge (es. gli enti pubblici non sono titolari di quelle situazioni strettamente collegate alla
natura propria dell'individuo: si pensi alle situazioni familiari). Dalla capacità giuridica si
distingue la capacità di agire, che consiste nella idoneità a gestire le vicende delle situazioni
giuridiche di cui il soggetto è titolare e che si acquista con il compimento del diciottesimo anno di
età, salvo che la legge non stabilisca un'età diversa (art. 2 c.c.). Diversa dalla capacità di agire è
la legittimazione attiva, la quale si riferisce a situazioni specifiche e concrete (attive o passive),
effettivamente sussistenti, ed ai singoli rapporti.

2. Potere, diritto soggettivo, dovere ed obbligo

II potere è la potenzialità astratta di tenere un certo comportamento ed è espressione della


capacità del soggetto (tra i poteri rientrano, ad esempio, quello di disporre di un bene, di agire in
giudizio; le amministrazioni possiedono sia il potere amministrativo che quello normativo). In
quanto preesiste all'esercizio, il potere è collocato al di fuori dell'orbita di un rapporto giuridico
concreto; qualora ne entri a far parte, ne costituirebbe uno dei termini. L'esercizio del potere
consente di produrre delle vicende giuridiche, normalmente rappresentate dalla costituzione,
modificazione ed estinzione di situazioni giuridiche.
Nel diritto amministrativo hanno particolare importanza i poteri che il soggetto pubblico è
in grado di esercitare prescindendo dalla volontà del privato, producendo, unilateralmente,
una vicenda relativa alla sfera giuridica dello stesso. Il potere, almeno quando il suo esercizio
concreto comporti incisione della sfera giuridica altrui, è attribuito dall'ordinamento generale a
seguito di un giudizio di prevalenza dell'interesse affidato alla cura dell'amministrazione nei
confronti degli interessi dei privati. Tali interessi, che non costituiscono un limite, ossia un
impedimento, per la soddisfazione dell'interesse pubblico, sono così resi disponibili per
l'amministrazione, la quale, esercitando il potere, ne condiziona il soddisfacimento, in particolare
nel senso che esso può non verificarsi pure nei casi in cui l'amministrazione agisca
legittimamente.
Al contrario, quando la legge attribuisce al titolare la possibilità di realizzare il proprio
interesse indipendentemente dalla soddisfazione dell'interesse pubblico curato
dall'amministrazione, si profila la situazione giuridica dì vantaggio costituita dal diritto
soggettivo; essa spetta al soggetto cui sia accordata dall'ordinamento protezione piena ed
incondizionata, nei confronti di tutti gli altri soggetti, di interessi da parte di una norma
dell'ordinamento stesso. L'interesse tutelato risulta sottratto alla disponibilità di un qualsiasi
soggetto diverso dal titolare, nel senso che la sua soddisfazione non dipende dall'esercizio di un
potere altrui. Ove il privato sia titolare di un diritto non può affermarsi l'esistenza di un potere
amministrativo.
29 
Le norme che, attribuendo poteri, riconoscono interessi pubblici "vincenti0 su quelli privati, sono
norme di relazione, caratterizzate cioè dal fatto di risolvere conflitti intersoggettivi di interessi.
Poiché il potere amministrativo, in questi casi, incide nella sfera giuridica dei privati, esso deve
essere tipico, cioè predeterminato dalla legge in ossequio al principio di legalità, che esprime la
garanzia delle situazioni dei privati stessi.
Situazioni sfavorevoli sono il dovere, vincolo giuridico a tenere un dato comportamento positivo
(fare) o negativo (non fare); quando la necessità di tenere un comportamento sia correlata al diritto
altrui si versa nella situazione dell'obbligo, vincolo del comportamento del soggetto in vista di uno
specifico interesse di chi è titolare della situazione di vantaggio, per soddisfare la quale un
soggetto deve, appunto, tenere un dato comportamento.

3. L'interesse legittimo

Quando degli interessi sono in conflitto tra di loro, l'ordinamento può riconoscere un diritto (se
prevale l'interesse del soggetto privato) o dei poteri amministrativi (se prevale l'interesse pubblico).
Nei confronti dell'esercizio del potere pubblico il privato, che aspira ad un bene della vita
(assunzione, conservazione o acquisizione di un bene, e così via) si trova in una situazione di
soggezione, ovvero il suo interesse non è tutelato dall'ordinamento con il riconoscimento di un
diritto soggettivo, quindi, la fruizione, il mantenimento dell'interesse dipende dall'esercizio
del potere amministrativo. L'interesse privato non è un limite alla soddisfazione di quello
pubblico: quindi, la soddisfazione della propria aspirazione passa, per il privato, attraverso il
comportamento attivo dell'amministrazione (interesse pretensivo: il bene della vita consiste nel
vincere il posto messo a concorso dall'ente pubblico, che ha il potere di selezionare i candidati
sulla base di certo grado di preparazione professionale. L'interesse pubblico alla selezione è
considerato prevalente su quello dei potenziali candidati di essere assunti; qualora invece, il
privato si opponga all'esercizio di un potere che potrebbe cagionare una vicenda giuridica a lui
svantaggiosa, egli vedrà soddisfatta la propria pretesa in quanto l'amministrazione non eserciti il
potere (interesse oppositivo: l'interesse del privato a conservare la proprietà di un bene si
scontra con il potere della pubblica amministrazione di espropriare il bene del privato per
costruire un'opera di pubblica
Anche se in queste situazioni l'interesse del privato non è tutelato nella forma del diritto
soggettivo, l'ordinamento gli accorda un certo tipo di protezione, derivante dal fatto che l'esercizio
del potere di cui è titolare l'amministrazione non è lasciato all'arbitrio della medesima, bensì è
retto da una serie di disposizioni.
II privato ha, quindi, la pretesa, giuridicamente tutelata dall'ordinamento, che l'attività
della pubblica amministrazione si svolga in modo corretto e legittimo: la pretesa alla
legittimità dell'azione amministrativa (che come dovrebbe risultare oramai chiaro, non coincide
affatto con la pretesa ad un bene della vita) è l'interesse legittimo. L'interesse legittimo può
essere definito come la situazione soggettiva di vantaggio, costituita dalla protezione giuridica
di interessi finali che si attua non direttamente ed autonomamente, ma attraverso la protezione
indissolubile ed immediata di un altro interesse del soggetto, meramente strumentale, alla
legittimità dell'atto amministrativo e soltanto nei limiti della realizzazione di tale interesse
strumentale.
Trattasi di una figura controversa ma di fondamentale importanza, menzionata dalla
Costituzione negli artt. 24, 103,113.
I poteri riconosciuti al titolare dell'interesse sono: poteri di reazione: il loro esercizio si
concretizza nei ricorsi amministrativi e giurisdizionali, volti ad ottenere l'annullamento di un
atto amministrativo; poteri di partecipare al procedimento amministrativo; il diritto di
accedere ai documenti della pubblica amministrazione. Si fa spesso cenno alla categoria degli
interessi procedimentali, che avrebbero la caratteristica di attenere a "fatti procedimentali".

4. Interessi diffusi e interessi collettivi

L'interesse legittimo è un interesse qualificato in quanto preso in considerazione da una


norma che lo protegge, ancorché in via indiretta e, in quanto tale, risulta differenziato rispetto alla
pluralità degli interessi che fanno capo ai consociati.
Gli interessi legittimi possono essere distinti in: diffusi: si caratterizzano dal punto di vista
soggettivo per appartenere ad una pluralità di soggetti e dal punto di vista oggettivo attengono
a beni non suscettibili di fruizione differenziata, non frazionabili; collettivi: fanno capo ad un
gruppo organizzato, onde il carattere della personalità e della differenziazione, necessario per
30
qualificarli come legittimi ed aprire la via alla tutela davanti al giudice amministrativo, potrebbe
essere più facilmente rinvenuto, sostituendo al tradizionale soggetto atomisticamente inteso, il
gruppo, soggetto al quale gli interessi sono comunque riferibili.
Il problema della legittimazione ad agire è superato per quanto riguarda le associazioni in
materia ambientale e di tutela del consumatore: le prime, se autorizzate dal ministro dell'ambiente,
possono impugnare atti amministrativi, le seconde possono agire a tutela di interessi collettivi,
purché iscritte in un apposito elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti
rappresentative a livello nazionale.
La legge riconosce ai soggetti portatori di interessi diffusi o collettivi la possibilità di
partecipare al procedimento amministrativo.

5. Il problema del riconoscimento di altre situazioni giuridiche soggettive

Contraddittoria è la situazione del privato che, pur essendo titolare di un diritto di proprietà,
è soggetto al potere espropriativo della pubblica amministrazione. Al fine di superare l'apparente
antinomia soccorre il principio di "relatività" della situazione giuridica soggettiva: lo stesso
rapporto di un soggetto con un bene può presentarsi come diritto soggettivo o come interesse
legittimo a seconda dei casi e dei momenti e perfino a seconda del genere di protezione che il
soggetto faccia valere. Di conseguenza il diritto di proprietà si configura come tale in quanto (e
fino al punto in cui) non venga in considerazione un potere dell'amministrazione di disporre
dell'interesse del privato.
Non si può dunque parlare di degradazione o affievolimento del diritto, fenomeno che, secondo la
dottrina e la giurisprudenza, si riferirebbe alla vicenda di un diritto il quale, venendo a confliggere
con un potere, si trasformerebbe in interesse legittimo; questa teoria è criticabile sulla base
dell'osservazione che l'interesse legittimo non nasce dalla trasformazione di un diritto, ma è
situazione distinta e non omogenea, pur potendosi riferire al medesimo interesse finale su cui si
innesta il diritto, non fosse altro perché interesse legittimo e diritto soggettivo hanno ad oggetto
immediato beni diversi, sicché manca il presupposto per la trasformazione dell'uno nell'altro.
La dottrina parla talora di diritto in attesa di espansione per identificare la situazione in
cui l'esercizio di un diritto dipenda dal comportamento dell'amministrazione, che consentirebbe
appunto l'espansione dello stesso. In realtà a fronte del potere, il privato è titolare di un interesse
legittimo, anche se la posizione per così dire "di partenza", si configura come diritto ove
considerata indipendentemente dal potere.

5.1 Le situazioni giuridiche protette dall'ordinamento comunitario

Ai cittadini dell'Unione Europea l'ordinamento comunitario riconosce dei poteri, identificabili


con le cd. libertà. Vengono, in particolare, in rilievo:
è il principio della libera circolazione delle persone, che implica l'abolizione delle
discriminazioni tra lavoratori degli Stati membri fondate sulla nazionalità;
è la libertà di stabilimento: comporta l'accesso alle attività non salariate ed al loro esercizio,
nonché la costituzione e la gestione di imprese alle medesime condizioni fissate dall'ordinamento
del paese di stabilimento per i propri cittadini;
è la libera prestazioni di servizi: il servizio è definito come ogni prestazione fornita dietro
remunerazione da un cittadino di uno Stato membro stabilito in uno Stato membro a favore
della persona stabilita in uno Stato diverso (ma appartenente all'Unione);
è la libertà di concorrenza, che può essere lesa a seguito della presenza di poteri
amministrativi che condizionino oltre una certa misura l'attività delle imprese;
è la libertà di circolazione dei beni: le misure restrittive che comportino indebite restrizioni
delle importazioni e delle esportazioni confliggono con la disciplina comunitaria.

6. Le modalità di produzione degli effetti giuridici

Nei nostro ordinamento vicende giuridiche (costitutive, modificative ed estintive) possono


prodursi al verificarsi di alcuni fatti (si pensi alla nascita o alla morte) o al compimento di alcuni
atti (es. l'intimazione di pagamento) che hanno la funzione di semplici presupposti per la
produzione dell'effetto; la "causa" di quella vicenda giuridica è però da rintracciarsi
direttamente nell'ordinamento.
Questa modalità di dinamica giuridica può essere riassunta richiamando lo schema norma­
fatto­effetto, nel senso che la norma disciplina direttamente il fatto e vi collega la produzione di
31
effetti. La legge si riferisce a tutti i rapporti che abbiano certe caratteristiche, ovvero ad un singolo
rapporto (legge­provvedimento).
Diversa da questa dinamica è quella dello schema norma­potere­effetto. L'effetto non risale
immediatamente alla legge, ma vi è l'intermediazione di un soggetto che pone in essere un atto,
espressione di una scelta di autonomia (l'atto espressione di autonomia è il negozio), mediante il
quale si regolamenta il fatto e si produce la vicenda giuridica. Sulla base di questo schema,
l'ordinamento attribuisce all'amministrazione un potere, che consiste nella possibilità di produrre
effetti riconosciuti dall'ordinamento stesso (es. costituzione di diritti o di obblighi, modificazione
di preesistenti situazioni soggettive ecc), mediante provvedimenti amministrativi, preceduti da
una serie di atti e di operazioni che acquisiscono rilevanza giuridica e che confluiscono nel
procedimento (cap. VI). In ordine alla dinamica norma­potere­effetto, deve essere osservato che la
Corte cost., con sent. n. 13/1962 ha riconosciuto il principio del giusto procedimento, il quale
richiede che per la realizzazione dell'effetto sia previamente attribuito all'amministrazione un
potere il cui esercizio produce la vicenda giuridica. La dinamica in. esame comporta il
riconoscimento in capo al destinatario dell'esercizio del potere amministrativo di un interesse
legittimo; viceversa, laddove lo schema sia quello della norma­fatto­effetto, legge riconosce
direttamente un diritto soggettivo.

7. I poteri amministrativi: i poteri autorizzatori

Analizziamo ora i principali poteri amministrativi, sottolineando che i loro elementi sono
trasfusi nei provvedimenti finali che ne costituiscono l'esercizio e di cui la legge definisce i "tipi".
Il potere autorizzatorio ha l'effetto di rimuovere i limiti posti dalla legge all'esercizio di una
preesistente situazione di vantaggio, alla quale (in genere contestualmente) si accompagna la
previstone, in via generale ed astratta, di limitazioni, che eventualmente l'amministrazione
rimuove esercitando il relativo potere; il suo svolgimento, sotto il profilo funzionale, comporta la
previa verifica della compatibilità di tale esercizio con un interesse pubblico. L'uso del potere, a
fronte del quale il destinatario si presenta come titolare di interessi legittimi pretensivi, produce,
dunque, l'effetto giuridico di modificare una situazione soggettiva preesistente,
consentendone l'esplicazione (se potere) o l'esercizio (se diritto) in una direzione in precedenza
preclusa, ma non di costituire nuovi diritti. L'ordinamento si appoggia" all'iniziativa di un
soggetto, limitandosi a condizionarne lo svolgimento con il proprio consenso. Attraverso
l'esercizio di questo potere, l'amministrazione esprime il proprio consenso preventivo all'attività
progettata dal richiedente.
Un importante esempio di provvedimento permissivo è rappresentato dal permesso di costruire,
disciplinato dal d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, modificato con d.lgs. 301/2002: necessario al fine di
realizzare interventi di trasformazione del territorio, è rilasciato a condizione che siano rispettati
gli strumenti di pianificazione urbanistica. Con il procedimento dello sportello unico delle attività
produttive, l'ordinamento consente un'autorizzazione plurima per così dire riepilogativa di una
serie di atti di consenso richiesti dalla legge; l'autorizzazione integrata ambientale sostituisce,
invece, a tutti gli effetti ogni visto, parere o autorizzazione in materia ambientale.
Dal ceppo comune delle autorizzazione, la dottrina, e in parte la giurisprudenza, hanno
enucleato alcune figure specifiche:
è le abilitazioni: sono atti il cui rilascio è subordinato all'accertamento dell'idoneità tecnica di
soggetti a svolgere una certa attività (es. superamento di un esame ed iscrizione in un albo). È,
pertanto, preferibile ricondurle allo schema norma­fatto­effetto, senza riconoscere la
presenza di un potere provvedimentale. Considerazioni analoghe possono essere svolte in
merito all'omologazione, rilasciata dall'autorità a seguito dell'accertamento della sussistenza in
una cosa, di norma destinata ad essere prodotta in serie, di tutte le caratteristiche fissate
dall'ordinamento ai fini di tutela preventiva o per esigenze di uniformità dei modelli;
è il nullaosta: atto endoprocedimentale necessario, emanato da un'amministrazione diversa
da quella procedente, con cui si dichiara che, in relazione ad un particolare interesse, non
sussistono ostacoli all'adozione del provvedimento finale;
è la dispensa: è il provvedimento con il quale l'ordinamento, pur vietando o imponendo in
generale un certo comportamento, prevede però che l'amministrazione possa consentire in
alcuni casi una deroga all'osservanza del relativo divieto o obbligo. Quando la deroga ad un
divieto generale avviene in base allo schema norma­fatto­effetto si parla si esenzione;
è l'approvazione: è il provvedimento permissivo avente ad oggetto, non già un
comportamento, bensì un atto rilasciato a seguito di una valutazione di opportunità e di
convenienza dell'atto stesso. E' anche impiegata ia figura dell'approvazione condizionata, che, in
32
realtà, significa annullamento con indicazione dei correttivi necessari per conseguire
l'approvazione;
è la licenza: figura che oggi la legge tende a sostituire con l'autorizzazione, era definita,
secondo parte della dottrina, come il provvedimento che permette lo svolgimento di un'attività
previa valutazione della sua corrispondenza ad interessi pubblici, ovvero della sua convenienza
in settori non rientranti nella signoria dell'amministrazione ma sui quali essa soprintende ai fini
di coordinamento (es. una licenza era quella commerciale; oggi, l'ordinamento paria di
autorizzazione).

8. I poteri concessori

Altri poteri il cui esercizio produce effetti favorevoli per il privato sono quelli concessori,
l'esercizio dei quali, che vedono un destinatario titolare di interessi legittimi pretensivi,
produce l'effetto di attribuire al destinatario medesimo status e situazioni giuridiche (diritti) che
esulavano dalla sua sfera giuridica in quanto precedentemente egli non ne era titolare. A
differenza dell'autorizzazione, l'ordinamento non attribuisce originariamente al privato la
titolarità di alcuna situazione giuridica, ma conferisce all'amministrazione il potere di costituirla
o trasferirla in capo al privato stesso.
Quando la concessione riguarda beni o servizi pubblici, accanto al provvedimento con il quale si
esercita il potere concessorio amministrativo, si può individuare una convenzione bilaterale di
diritto privato (che insieme alla concessione dà luogo alla figura della concessione­contratto),
finalizzata a dar assetto ai rapporti patrimoniali tra concessionario e concedente. I due atti
sono strettamente legati, nel senso che l'annullamento della concessione travolge il contratto.
La concessione è detta traslativa quando il diritto preesiste in capo all'amministrazione (es.
concessione di servizi pubblici), sicché esso è trasmesso" al privato, mentre è "costitutiva" nei casi
in cui il diritto attribuito è totalmente nuovo nel senso che l'amministrazione non poteva averne
la titolarità (es. concessione di cittadinanza ho di una onorificenza).
Per quanto riguarda, poi, la concessione di opere pubbliche, la legislazione, sulla scorta
dell'influenza comunitaria, mira ad equipararla all'appalto o, comunque, a limitare la
discrezionalità delle amministrazioni a rilasciarla sottraendosi alle regole sulla concorrenza; la
concessione di servizi pubblici ricorre allorché l'ordinamento intenda garantire alla collettività
alcune prestazioni ed attività e consenta all'amministrazione di affidarne lo svolgimento a
soggetti privati mediante appunto un provvedimento concessorio.
Altri provvedimenti concessori sono le sovvenzioni: attribuiscono ai destinatari in generale,
imprenditori, vantaggi economici, ovvero si tratta di contributi che attengono alle attività culturali
e sportive, ovvero dersussidi, che rientrano nella beneficenza generale. La legge 241/90 prevede,
art. 2, a tutela della trasparenza ed imparzialità, che, nelle forme prescritte dai rispettivi
ordinamenti, vengano predeterminati e pubblicati "criteri e modalità cui le amministrazioni
devono attenersi", il cui rispetto dovrà emergere dalla motivazione del provvedimento.

9. I poteri ablatori

I provvedimento ablatori incidono negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, che si
presenta come titolare di interessi legittimi oppositivi; l'effetto ablatorio può incidere su diritti
reali, personali o su obblighi a rilevanza patrimoniale. Sono provvedimenti ablatori reali:
è l'espropriazione: è il provvedimento che ha l'effetto di costituire un diritto di proprietà o
altro diritto reale in capo ad un soggetto (detto espropriante; non necessariamente si tratta
dell'amministrazione che ha emanato il provvedimento), previa estinzione del diritto in capo ad
altro soggetto (espropriato), al fine di consentire la realizzazione di un'opera pubblica o per altri
motivi di pubblico interesse e dietro versamento di un indennizzo ai sensi del l’art. 42, comma 3,
Cost. La disciplina dell'espropriazione è contenuta nel testo unico di cui al d.p.r. 8 giugno 2001
n. 327 (modificato dal decreto Igs. 302/2002).
è Secondo la Corte Costituzionale l'indennizzo, pur non identificandosi con il valore del bene,
dovrebbe costituire un "serio ristoro", determinato, ora, secondo i criteri dettati dal l’art. 37 T.U.
sulle espropriazioni di pubblica utilità;
è l'occupazione temporanea di alcuni beni: in passato, l'ipotesi ricorrente era quella
dell'occupazione d'urgenza e riguardava il possesso delle cose destinate
all'espropriazione allorché la realizzazione dell'opera per la quale si procedeva ad
espropriazione fosse dichiarata indifferibile ed urgente, con l'obbligo di pagare
l'indennizzo. Talora, pur in presenza di un'opera già costruita in pendenza del
33
procedimento dell'occupazione temporanea, l'amministrazione non riusciva a concludere nei
termini il procedimento espropriativo. La Cassazione affermò che, sempre che si fosse
realizzata l'irreversibile trasformazione dell'immobile, si produceva l'acquisto della proprietà in
capo all'amministrazione, tenuta a risarcire il danno, onde al privato era preclusa la
possibilità di ottenere la restituzione del bene (occupazione acquisitiva). L'indirizzo sembra
confermato dal T.U. che disciplina l'istituto "dell'occupazione anticipata". L'occupazione
può, inoltre, essere usurpativa, caratterizzata dalla realizzazione dell'opera in mancanza
di dichiarazione di pubblica utilità, e temporanea, che può essere disposta quando sia
necessario per la corretta esecuzione dei lavori, prevedendo la relativa indennità;
è le requisizioni: sono provvedimenti medianti i quali l'amministrazione dispone
della proprietà di un privato o, comunque, utilizza un bene di un privato per soddisfare un
interesse pubblico. Possono essere requisizioni in proprietà: riguardano solo beni mobili e
possono essere disposte, in generale, per ragioni militari, dietro pagamento di una indennità.
Hanno effetti irreversibili. Con la requisizione l'amministrazione può, anche, utilizzare un bene
di un privato per soddisfare un interesse pubblico (requisizione inuso): ha come presupposto
l'urgente necessità, riguarda beni mobili e immobili, comporta, in vista di una esigenza
pressante della collettività che non può essere soddisfatta altrimenti, la possibilità di
utilizzare il bene (che rimane di proprietà del titolare) per il tempo necessario (le
requisizioni durano finché permane la situazione di urgenza che le ha originate), dietro
pagamento di una indennità. Ogni qualvolta l'amministrazione ha il potere di disporre
della proprietà del privato, agisce mediante decreto motivato;
è la confisca: è un provvedimento sanzionatorio che indica la misura conseguente alla
commissione di un illecito amministrativo;
è il sequestro: provvedimento di natura cautelare che mira a salvaguardare la
collettività dai rischi derivanti dalla pericolosità dei bene.
è Alcuni provvedimenti ablatori incidono sulla sfera giuridica del privato, privandolo
di un diritto o di una facoltà:
è gli ordini: e impongono un comportamento al destinatario. Essi si distinguono in:
comandi (ordini di fare), divieti (ordini di non fare) generali e particolari; direttive;
è la diffida che consiste nel formale avvertimento ad osservare un obbligo previsto
dalla legge o in un provvedimento.
Esistono, infine, poteri ablatori caratterizzati dal fatto che impongono obblighi a
rilevanza patrimoniale ed hanno come effetto la costituzione autoritativa di rapporti obbligatori.

10. I poteri sanzionatori

La sanzione è la conseguenza sfavorevole di un illecito, applicata coattivamente dallo Stato o


da altro ente pubblico, mentre l'illecito è la violazione di un precetto compiuta da un soggetto; la
sanzione costituisce, dunque, la misura retributiva nei confronti del trasgressore.
Le sanzioni possono essere penali, civili ed amministrative; queste ultime sono le misure
afflittive, non consistenti in una pena criminale o in una sanzione civile, irrogate nell'esercizio di
potestà amministrative come conseguenza di un comportamento assunto da un soggetto in
violazione di una norma o di un provvedimento. La normativa di riferimento è la l. 689/1981.
Le sanzioni possono essere:
è ripristinatorie, colpiscono la res e mirano a reintegrare l'interesse pubblico leso;
è afflittive, si rivolgono direttamente all'autore dell'illecito e si distinguono in pecuniarie ed
interdittive (queste ultime incidono sull'attività del soggetto colpito).

Ci sono poi le sanzioni:


è disciplinari (es. quelle attinenti il rapporto di lavoro; sono oggetto di contrattazione
collettiva);
è accessorie (es. privazione o sospensione di facoltà o diritti derivanti dai provvedimenti
della pubblica amministrazione).
La sanzione presuppone un illecito amministrativo, doloso o colposo, per il quale la I. 689/1981
prevede una riserva di legge.

11. I poteri di ordinanza, i poteri di programmazione, di pianificazione, i poteri di


imposizione dei vincoli, i poteri di controllo

Nelle situazioni di necessità ed urgenza, la pubblica amministrazione può esercitare il potere


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di ordinanza, caratterizzato dal fatto che la legge non predetermina in modo compiuto il
contenuto della statuizione in cui il potere può concretarsi, oppure consente all'amministrazione
di esercitare il potere tipico in situazioni diverse da quelle previste in via ordinaria o seguendo
procedure differenti. L'esercizio di detto potere da luogo alla emanazione delle ordinanze di
necessità ed urgenza (ordinanze contingibili ed urgenti del sindaco, dell'autorità di pubblica
sicurezza) senza rispettare il principio di tipicità dei poteri amministrativi che, in applicazione
del principio di legalità, impone la previa individuazione degli elementi essenziali dei poteri a
garanzia dei destinatari degli stessi (cap. VII, par. 7). La Corte costituzionale ha fissato dei limiti
a questo potere: rispetto delle riserve di legge previste dalla Costituzione, dei principi fissati
dall'ordinamento generale, necessità di adeguata motivazione e di efficace pubblicazione,
efficacia limitativa nel tempo. Diverse dalle ordinanze sono i provvedimenti d'urgenza, atti
tipici è nominati suscettibili di essere emanati sul presupposto dell'urgenza, di contenuto
predeterminato dal legislatore (requisizioni in uso).
Altri poteri sono quelli di pianificazione e di programmazione; quest'ultima (che
comprende anche la pianificazione) indica il complesso di atti medianti i quali
l'amministrazione, previa vantazione di una situazione nella sua globalità, individua le misure
coordinate per intervenire in un dato settore. Di solito i piani hanno natura normativa e/o di atti a
contenuto generale; peraltro, ai procedimenti di programmazione e pianificazione non si applica il
capo III della legge 241/90 sul diritto di accesso e sulla partecipazione.
La pubblica amministrazione ha il potere di sottoporre a vincoli amministrativi beni
immobili che presentino peculiari caratteristiche ambientali, urbanistiche ecc, al fine di
conservarli, A seguito di tale vincolo si riducono le facoltà spettanti ai proprietari: si tratta
dell'imposizione degli obblighi di fare o di non fare. Nei rapporti dell'amministrazione con i
privati, la stessa ha il potere di rilasciare atti a seguito dell'esito positivo di un controllo
sull'attività da essi svolta (es. atto autorizzatorio ovvero denuncia di inizio attività del privato).

12. I poteri strumentali e i poteri dichiarativi. Le dichiarazioni sostitutive

La pubblica amministrazione può, nell'esercizio di un potere, porre in essere degli atti che non
sono provvedimentali (cioè dotati di efficacia sul piano dell'ordinamento generale) bensì
strumentali ad altri poteri (pareri, controlli, proposte, accertamenti, detti anche atti dichiarativi,
ec). L'efficacia dichiarativa incide su di una situazione giuridica preesistente rafforzandola
(preservandola, ad esempio, da fattori esterni quali il decorso del tempo: intimazione di
pagamento), specificandone il contenuto (iscrizione in un albo professionale: non crea alcun
diritto) o affievolendola, impedendo così la realizzazione della situazione in una certa direzione.
Taluni atti dichiarativi hanno, invece, la funzione di attribuire certezza legale ad un dato
(fatto, atto, qualità o rapporto), impedendo che i consociati assumano che il dato sia diverso da
come è raffigurato nell'atto; questi atti, detti di "certazione" producono, dunque, certezze che
valgono erga omnes. La certezza può essere "messa in circolazione" mediante il certificato,
documento "tipico (ossia previsto espressamente dalla legge) rilasciato da un'amministrazione
avente funzione di ricognizione, riproduzione e partecipazione a terzi di stati, qualità personali,
fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di
funzioni pubbliche". Diversi dalle certazioni e dai certificati sono gli attestati (es. attestati di
benemerenza), atti amministrativi tipici che, a differenza delle prime, non creano la medesima
certezza legale e, a differenza dei secondi, non mettono in circolazione una certezza creata con
atto di certazione.
Ancora differenti sono le attestazioni atipiche (attestati di frequenza a corsi), che sul piano
dell'ordinamento generale creano, al più, una presunzione, e gli atti di notorietà, che sono
formati, su richiesta di un soggetto, da un pubblico ufficiale (es. notaio, sindaco) in base alle
dichiarazioni simultaneamente rese in sua presenza e sotto giuramento di alcuni testimoni. Da
questi atti risulta che la notizia di determinati fatti è diventata di pubblico dominio.
Negli ultimi anni si è diffuso l'uso della dichiarazione sostitutiva, atto del privato capace
di sostituire, nei casi previsti dall'ordinamento, una certificazione pubblica producendone lo
stesso effetto giuridico ed avendone la stessa validità temporale (i certificati che attestanti
stati e fatti personali non soggetti a modificazioni hanno validità illimitata; gli altri hanno
validità di sei mesi dalla data del rilascio). A differenza dei certificato non provengono da
un'autorità pubblica, sono destinate a confluire solo in un singolo rapporto tra cittadino e
amministrazione (i certificati valgono, in generale, nei rapporti tra cittadini, e a tutti gli
effetti), non consistono in una trascrizione del contenuto di un pubblico registro. La mancata
accettazione della dichiarazione sostitutiva costituisce violazione dei doveri d'ufficio; la legge
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attribuisce all'amministrazione il compito di controllare la veridicità delle dichiarazioni
sostitutive, il che avviene mediante il raffronto tra il contenuto delle stesse e quello degli atti di
certazione.
Vi sono due tipi di dichiarazioni sostitutive: la dichiarazione sostitutiva di certificazione
(art. 1 T.U. documentazione amministrativa) è il documento sottoscritto dall'interessato
(anche non in presenza del funzionario amministrativo addetto) in sostituzione dei certificati
(es. data e luogo di nascita, residenza, .cittadinanza ecc). In luogo della dichiarazione, il
cittadino può produrre il certificato o la copia autentica.
II T.U. prevede, poi, che il cittadino possa rendere al funzionario competente dichiarazioni
sostitutive dell'atto di notorietà: sono atti con cui il più fatto comprova, nel proprio
interesse e a titolo definitivo, tutti gli stati, fatti e qualità personali non compresi in pubblici
registri, albi ed elenchi (e quindi non attestabili con l'altra dichiarazione), nonché stati, fatti e
qualità personali relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza. La dichiarazione
può riguardare anche il fatto che la copia di un atto, di un documento conservato ho rilasciato
da un'amministrazione, la copia di una pubblicazione, la copia di un titolo di studio o di servizio
sono conformi all'originale. Identità di funzione e di struttura rispetto alle dichiarazioni ora
realizzate, presentano le dichiarazioni con cui il cittadino può attestare che le le informazioni
contenute in un certificato anagrafico, di stato civile, ­negli estratti e nelle copie integrali non
hanno subito variazioni dalla data del rilascio.
L'art. 49 del T.U. non consente salvo diverse disposizioni del settore, che i certificati
medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti siano sostituiti
"da altro documento"; l'art, 73 T.U. specifica poi, che il controllo sulle dichiarazioni sostitutive
debba avvenire, anche a campione,e in tutti i casi in cui "sorgano fondati dubbi" sulla loro
veridicità. Esso è effettuato secondo due modalità: consultando direttamente gli archivi
dell'amministrazione certificante, ovvero richiedendo alla medesima conferma scritta della
corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei registri.
Le dichiarazioni in esame possono esser utilizzare anche tra privati; la pubblica
amministrazione è tenuta a fornire, su richiesta del privato, corredata dal consenso del
dichiarante, conferma scritta delta corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei
dati custoditi.

13. I poteri relativi ad atti amministrativi generali

L'amministrazione può porre in essere atti amministrativi generali, in grado, cioè, di


produrre effetti nei confronti di una generalità di soggetti (si differenziano dagli atti
plurimi, i quali interessano una pluralità di destinatari identificabili a priori). Tali atti (bandi
di concorso, chiamata alle armi, autorizzazioni generali conosciute dalla normativa sulla
liberalizzazione dei servizi e dalla materia di autorizzazioni rilasciate dal garante per la
protezione dei dati personali ecc.) sono ricollegabili allo schema norma­potere­effetto;
qualificare un atto come generale comporta notevoli conseguenze in quanto essi (insieme agli
atti normativi, quelli di pianificazione e di programmazione) sono sottratti alla disciplina
della partecipazione procedimentale, del diritto di accesso e non necessitano di motivazione.

14. Cenni ad alcune tra le più rilevanti vicende giuridiche il cui studio interessa il
diritto amministrativo: il decorso del tempo e della rinuncia

Tra i fatti che assumono rilievo per il diritto amministrativo vi è il decorso del tempo: esso
produce la nascita o la modificazione di una serie di diritti ed è alla base degli istituti della
prescrizione e decadenza. Il potere, in quanto attributo della soggettività, non è trasmissibile e
non è prescrittibile: esso può non essere esercitato in un singolo caso, in relazione al quale può
determinarsi la decadenza, ma ciò non impedisce che lo stesso potere possa essere esercitato in
altri casi o in altri rapporti. Il diritto soggettivo è, invece, soggetto a prescrizione ove non
esercitato per un certo periodo di tempo (es. si prescrive il diritto di percepire lo stipendio se non
esercitato entro 5 anni).
Altro atto estintivo è la rinuncia, negozio ad effetto abdicativo; il potere, a differenza del
diritto soggettivo, è irrinunciabile.

15. Segue: fatti, atti e negozi costitutivi di obblighi. Rinvio

II tema sarà trattato nel cap. VIII


36
16. L'esercizio del potere: norme di azione, discrezionalità e merito

Le norme di relazione, come è già stato accennato, sono quelle norme che risolvono i conflitti
intersoggettivi sul piano dell'ordinamento generale, conflitto che è sfociato nell'attribuzione di un
potere in vista del perseguimento dell'interesse; risolto il conflitto, si tratta di disciplinare le
modalità attraverso le quali il potere deve essere esercitato. Le norme chiamate a questo compito
sono definite norme di azione. La predeterminazione delle modalità di azione riduce gli spazi di
scelta dell'amministrazione: l'azione risulta, cioè, in tutto o in parte vincolata. Qualora, invece,
residuino degli spazi di scelta, si avrà azione discrezionale; la discrezionalità amministrativa è,
quindi, lo spazio di scelta che residua allorché la normativa di azione non predetermini in
modo completo tutti i comportamenti dell'amministrazione. Da questo tipo di discrezionalità, cd.
"pura" (che può riguardare il contenuto del provvedimento, il sé ed il quando rilasciarlo, ec),
va distinta quella tecnica, che è la possibilità di scelta che spetta all'amministrazione quando
sia chiamata a qualificare fatti suscettibili di varia valutazione e si riduce in un'attività di
giudizio a contenuto scientifico.
La scelta fatta discrezionalmente dall'amministrazione deve essere logica e congrua, tenendo
conto dell'interesse pubblico perseguitò, degli interessi secondari coinvolti, della misura del
sacrificio ad essi arrecati; l'essenza della discrezionalità risiede nella ponderazione
comparativa dei vari interessi secondari in ordine all'interesse pubblico al fine di assumere una
determinazione concreta
L'insieme delle situazioni ipotizzabili come compatibili con il principio di congruità in un
caso determinato definisce il merito amministrativo, normalmente (salvo eccezioni di legge)
sottratto al sindacato del giudice amministrativo ed attribuito alla scelta esclusiva
dell'amministrazione, la quale tra più scelte dovrà preferire quella più opportuna.

17. Le fonti del diritto (in particolare quelle legislative) attinenti alle situazioni
giuridiche

Le fonti giuridiche sono i fatti e gli atti produttivi di norme giuridiche; gli aspetti della materia
che interessano sono le fonti che pongono norme per il diritto amministrativo o sono atti
soggettivamente amministrativi.

18. Cenni ad alcuni riflessi della distinzione tra norme di relazione e norme di
azione sui problemi della difformità dell'atto dal paradigma normativo e del riparto di
giurisdizione

Le norme di relazione proteggono i diritti soggettivi: alla violazione di una norma di relazione
consegue la lesione di un diritto soggettivo. Ove l'amministrazione agisca in violazione di una
norma di relazione, essa pone in essere un comportamento che non è espressione di un potere
(es. un'amministrazione che violi una norma di relazione nella parte in cui individua, quale
soggetto titolare del potere, un'altra amministrazione) ed il relativo atto è nullo, cioè non
produttivo di effetti. L'atto è impugnabile dinanzi al giudice ordinario, chiamato a conoscere di
una situazione nella quale l'amministrazione ha esercitato un potere che non aveva (carenza di
potere).
L'azione amministrativa è legittimamente svolta quando sia posta in essere nel rispetto delle
norme di azione; poiché l'interesse legittimo è la pretesa alla legittimità dell'azione
amministrativa, si può concludere che l'interesse legittimo è anche la pretesa all'osservanza delle
norme di azione. È il giudice amministrativo a sindacare la violazione delle norme di azione: in
questi casi l'atto, espressione del potere, non è nullo in quanto il potere sussiste, ma non è stato
esercitato in modo corretto (l'atto è annullabile; produce effetti precari). Il giudice conosce del
cattivo esercizio del potere amministrativo, accertato il quale annulla l'atto, annullamento che può
avvenire anche in via di autotutela (anche da parte della stessa amministrazione che ha emanato
l'atto) o in sede di controllo.

19. Le norme prodotte dalle fonti comunitarie

I trattati e le fonti comunitarie disciplinano ambiti rilevanti del diritto amministrativo. Tra le
fonti spiccano:
è i regolamenti comunitari, atti di portata generale, obbligatori e direttamente applicabili
37 
nei rapporti tra pubblici poteri e cittadini;
è le direttive comunitarie, vincolanti per lo Stato membro in ordine al risultato da
raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi
per conseguire quel risultato.
Secondo la Corte Costituzionale, il regolamento comunitario deve essere applicato dal
giudice interno (compreso quello amministrativo) anche disapplicando la legge nazionale
incompatibile (va però notato che, ai sensi del l’art 117 Cosi, le leggi statali e regionali debbono
rispettare i "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario" pena, parrebbe, la loro
illegittimità costituzionale; la disapplicazione sembrerebbe, di conseguenza, circoscritta ai casi
di contrasto con la normativa comunitaria sopravvenuta); la disapplicazione può operare pure in
relazione alle statuizioni contenute nelle sentenze della Corte di Giustizia, direttive
comunitarie che contengano norme precise e incondizionate (ed. direttive self executina)
ancorché lo Stato non abbia recepito le direttive o le abbia recepite in modo inadeguato. Si è così
individuata la categoria delle direttive immediatamente applicabili dalle nostre amministrazioni
(l'efficacia di queste direttive si produce solo nei confronti dello Stato, mentre i cittadini non
possono farle valere nei rapporti con altri cittadini). Il dovere di disapplicare la normativa
italiana confliggente con quella comunitaria è stato riconosciuto in capo anche alla pubblica
amministrazione; le fonti ora esaminate, qualora non attribuiscano poteri o diritti, sono norme di
azione.

20. Le fonti soggettivamente amministrative: considerazioni generali

I regolamenti sono fonti del delitto soggettivamente amministrative, emanati da organi


amministrativi (dello Stato, della regione e degli altri enti pubblici) titolari del potere
normativo, consistente nella possibilità di emanare norme generali ed astratte. I procedimenti
relativi sono sottratti all'applicazione del capo III, I. 241/90, nonché alla disposizione sulla
motivazione dei provvedimenti amministrativi. Trattasi di fonti del diritto secondarie previste
dalla legge, che indica l'organo competente ad emanarle e le materie in ordine alle quali esso può
esercitarle.
Seguendo lo schema norma­potere­effetto, atti amministrativi e atti amministrativi normativi
si differenziano per il fatto che questi ultimi sono astratti, nel senso che necessitano di un
ulteriore esercizio di potere ai fini della produzione dell'effetto, e sono espressione di un potere
diverso da quello amministrativo, nel senso che, ponendo norme di azione, essi non costituiscono
esercizio di azione dell'amministrazione, ma ne disciplinano il futuro svolgimento.

21. I regolamenti amministrativi

I regolamenti si distinguono sulla base del soggetto e dell'organo che li ha posti in essere.
I regolamenti governativi sono quelli in cui il potere regolamentare del governo viene
esercitato soltanto nelle materie di legislazione esclusiva dello Stato, salvo delega alle regioni (art.
117, c. 7 Cost.), su deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato
(prescritto per legge). Sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica, sottoposti a visto
e registrazione della Corte dei Conti, pubblicati sulla Gazzetta ufficiale e debbono essere
espressamente denominati "regolamenti".
La legge 400/1988, art. 17, prevede diversi tipi di regolamenti governativi: 
a)  regolamenti esecutivi: pongono delle norme di dettaglio rispetto alla legge o al decreto
legislativo da eseguire; 
b)  regolamenti attuativi e integrativi rispetto alle leggi che pongono norme di principio,
possono essere adottati al di fuori delle materie riservate alla competenza regionale (in caso
contrario lo Stato invaderebbe la sfera di competenza della regione); 
c)  regolamenti indipendenti: sono emanati per disciplinare le materie in cui ancora manchi
la disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie
riservate alla legge. Sono quindi liberi da condizionamenti legislativi; 
d)  regolamenti che disciplinano l'organizzazione ed il funzionamento delle
amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge. Possono
assumere i tratti di uno dei tre tipi di regolamenti sopra descritti. La I. 400/1988, art. 4­bis,
introdotto dalla I. 59/1997, art. 13, stabilisce che l'organizzazione e la disciplina degli uffici dei
ministeri sono determinate con regolamento governativo, su proposta del ministro
competente, d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il ministro del tesoro.
Trattasi di regolamenti di delegificazione (termine che indica l'attribuzione al potere
38
regolamentare dei compito di disciplinare materie anche in deroga della disciplina posta dalla
legge) o autorizzati, i quali possono essere adottati solo a seguito di una specifica previsione
di legge. Sono previsti dal l’art 17, co. 2,1. 400/1988, secondo il quale "con decreto del
Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il
Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da
riserva assoluta di legge prevista dalla costituzione, per le quali le leggi della Repubblica,
autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del governo, determinano le norme
generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con
effetto dall'entrata in vigore dei regolamenti". È previsto il previo parere delle commissioni
parlamentari competenti per materia, da rendersi entro trenta giorni dalla data della
trasmissione dello schema del regolamento.
La legge prevede, poi, i regolamenti ministeriali ed interministeriali (riguardanti materie di
competenza di più ministri): essi non possono dettare norme contrarie ai regolamenti
governativi, debbono trovare fondamento in una legge che espressamente conferisca il relativo
potere al ministro ed essere attinenti alle "materie di competenza del ministro". Vanno
comunicati prima della loro emanazione al Presidente del consiglio dei ministri e sono sottoposti
al parere obbligatorio del Consiglio di Stato, alla visto della Corte dei Conti ed alla
pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
È titolare della potestà regolamentare anche la regione (art. 117, commi 6, competenza
generale, e 7, competenza residuale ovvero esercitata solo in caso di delega dello Stato).
La Corte
Costituzionale ha dichiarato la scelta della titolarità del potere in esame (in capo alla giunta
o al consiglio; non è previsto il parere del Consiglio di Stato) non può che spettare allo statuto
regionale.

22. Le altre fonti secondarie: in particolare: statuti e regolamenti degli enti locali. I
testi unici e le funzioni normative delle autorità indipendenti

L'autonomia normativa è riconosciuta anche agli enti locali con il potere di emanare statuti e
regolamenti, potere espressamente riconosciuto dalla legge 142/90 (ora T.U enti locali), secondo
un modello nel quale alla legge spetta dettare le linee fondamentali dell'organizzazione dell'ente, il
quale può integrare tale disegno.
Nel sistema delle fonti i regolamenti degli enti locali rappresentano un atto espressione
dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta, che deve unicamente rispettare i principi della
Costituzione, senza alcuna ingerenza diretta da parte delle leggi statali e regionali, o regolamenti
governativi, negli ambiti non espressamente soggetti a disciplina legislativa.
Inoltre, la I. 3/2001, sostituendo l'originario art. 114 Cost., sancisce che comuni, province e città
metropolitane sono enti autonomi "con propri statuti...secondo i principi fissati dalla
Costituzione". La I. 131/2003 statuisce che la potestà statuaria e regolamentare spetta anche
alle unioni di comuni e alle comunità montane e isolane; l'art. 4 della legge appena citata,
stabilisce che lo statuto fissa i principi di organizzazione e di funzionamento dell'ente, le forme di
controllo, anche sostitutivo, le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare, nel
rispetto di quanto stabilito dal l’art. 117, co. 2, lett. p) Cost. Lo statuto è votato dal consiglio con
il voto dei due terzi dei consiglieri assegnati.
L'art. 117, a 6, Cost, riconosce agii enti locali il potere regolamentare in ordine alla
disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite; l'art. 4 della I.
131/2003 ribadisce che l'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel
rispetto degli statuti, chiarendo che "la disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della
gestione delle funzioni dei comuni, delle province e delle città metropolitane, inoltre, è riservata
alla potestà regolamentare dell'ente locale, nell'ambito della legislazione dello Stato o della
regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze,
conformemente a quanto previsto dagli artt. 114, 117, 6 com., e 118 Cost.". Poiché l'art. 114
Cost. precisa che gli enti locali hanno propri statuti, senza citare i regolamenti, questi dovrebbero
essere qualificati fonti di grado secondario rispetto allo statuto.
Tra le materie oggetto di regolamenti, secondo il T.U., ci sono l'accesso ai documenti,
l'individuazione dei responsabili dei procedimenti. Alcuni regolamenti, inerenti agli uffici e ai
servizi, sono emanati dalla giunta, nel rispetto della legge, statuto e criteri generali dettati dal
consiglio.
Non sono fonti del diritto le circolari, gli atti che pongono in essere le cd. norme interne e la
prassi. Ci sono, infine i testi unici, i quali raccolgono in un unico corpo le norme che disciplinano
39
una certa materia. Essi non hanno carattere innovativo delle preesistenti fonti se, con il solo scopo
dì raccogliere in un testo ufficiale le disposizioni vigenti, sono formati da un'autorità che non ha
potestà normativa; in caso contrario hanno forza novativa. In questo caso sono vere e proprie
fonti di produzione: quando si tratta di testi unici formati dal governo che raccolgono le leggi,
occorre una legge di delegificazione dell'esercizio del potere legislativo (ex art 76 Cost. esistono
anche testi unici autorizzati, ovvero che hanno a fondamento una legge che genericamente
autorizza il governo a formare un testo unico).
Ogni anno può essere emanata una legge per la semplificazione e il ricorso a decreto legislativi
e a regolamenti governativi di delegificazione per il riassetto normativo e la codificazione. La
legge riconosce, infine, potestà normativa ad alcune autorità indipendenti (es. Consob).

40
Capitolo VI
IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

1. Introduzione
L'atto amministrativo che, in quanto efficace nell'ordinamento, produce vicende giuridiche
in ordine alle situazioni giuridiche di soggetti terzi, è il provvedimento; la sua emanazione è
preceduta da atti, fatti, attività, tutti tra di loro connessi in quanto concorrono, nel loro
complesso, all'emanazione del provvedimento. Tutti confluiscono nel procedimento
amministrativo.
La recente normativa configura il procedimento come un modulo in cui far confluire l'esercizio
di più poteri provvedimentali, in particolare concessioni e autorizzazioni, tra di loro connessi,
pur se distinti, in quanto riferiti ad una medesima attività del privato; è da segnalare, a tal
proposito, la disciplina relativa allo sportello unico delle attività produttive. Gli artt. 23 e ss., d.
Igs. 112/1998, prevedono che i comuni si dotino di una struttura unica responsabile dei
procedimenti attinenti alle attività produttive (realizzazione, ampliamento, riattivazione,
localizzazione di impianti produttivi, rilascio di concessioni o autorizzazioni edilizie ecc), la quale
deve dar vita allo sportello unico "al fine di consentire a tutti gli interessati l'accesso, anche in
via telematica, al proprio archivio informatico contenente i dati concernenti le domande di
autorizzazione e il relativo iter procedurale, gli adempimenti necessari per le procedure
autorizzatone, nonché tutte le informazioni disponibili a livello regionale, comprese quelle
concernenti le attività promozionali, che dovranno essere fornite in modo coordinato".

2. Cenni alle esperienze straniere e alla disciplina comunitaria

Molti ordinamenti stranieri hanno adottato, da tempo, una disciplina del procedimento
amministrativo. Il procedimento amministrativo comunitario è configurato come modulo
garantistico di tutela delle situazioni giuridiche soggettive, all'interno del quale deve essere
assicurato il diritto di difesa.

3. L'esperienza italiana: la legge 7 agosto 1990 n. 241 e il suo ambito di applicazione

La legge 7 agosto 1990 n. 241 reca "norme in materia di procedimento amministrativo e


diritto di accesso ai documenti amministrativi"; essa pone, secondo l'art. 29, "principi generali
dell'ordinamento" e "norme fondamentali". La recente riforma del titolo V della parte II della
Costituzione, ampliando notevolmente le materie rientranti nella potestà legislativa regionale
(e non includendo il procedimento amministrativo tra quelle devolute alla competenza esclusiva
dello Stato) sembra aprire la via al proliferare della disciplina regionale sul procedimento, con
un possibile superamento della legge 241/90. La necessità di avere un "livello minimo" di
garanzie procedurali applicabili a tutti i procedimenti sembra emergere dal l’art 1, c. 6, lett. b, I.
131/2003: esso dispone che i decreti­ legislativi che il governo dovrà emanare si atterrano, tra gli
altri, al rispetto dei principi generali in materia di procedimenti amministrativi.

4. I principi enunciati dalla legge 241/1990

L'art. 1, c. 1,1. 241/90 afferma che l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla
legge ed è retta dai seguenti criteri:
è economicità: l'azione è economica quando il perseguimento degli obiettivi avvenga con il
minor impiego possibile di mezzi personali, finanziari e procedimentali. L'aggettivo si traduce
anche nell'esigenza del non aggravamento del procedimento se non per straordinarie e motivate
esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria;
è efficacia: è il rapporto tra obiettivi prefissati e obiettivi conseguiti ed esprime la necessità
che l'amministrazione, oltre al rispetto formale della legge, miri anche al perseguimento, nel
miglior modo possibile, delle finalità ad essa affidate;
è pubblicità: l'attività amministrativa deve essere diretta a soddisfare interessi pubblici e
deve essere trasparente agli occhi del "pubblico"
La legge non richiama il concetto di efficienza (rapporto tra i mezzi impiegati e obiettivi
perseguiti); numerose altre leggi, però, introducono il canone dell'efficienza. Un ulteriore
principio è quello posto dall'art. 2 1. 241/90, ai sensi del quale l'amministrazione deve
concludere il procedimento "mediante l'adozione di un provvedimento espresso".

41 
5. Le fasi del procedimento

Gli atti e le operazioni che compongono procedimento amministrativo si susseguono in un


particolare ordine, di massima stabilito dalla legge.
Nel procedimento sono presenti atti che assolvono ad una funzione preparatoria rispetto
all'emanazione del provvedimento finale, confluendo nella cd. fase preparatoria.
Segue la fase decisoria, in cui viene emanato l'atto o gli atti con efficacia costitutiva, nel
senso che da essi sgorga l'effetto finale sul piano dell'ordinamento generale (denominato
appunto "efficacia").
II procedimento si chiude, quindi, con gli atti che confluiscono nella fase integrativa
dell'efficacia, eventuale, in quanto in alcuni casi la legge non la prevede.
Nel procedimento (tra i due estremi della iniziativa e della decisione finale) trovano posto i
cd. atti endoprocedimentali, che sono indifferenti per l'ordinamento generale, ma produttivi di
effetti rilevanti nell'ambito del procedimento stesso, nel quale, non soltanto generano l'impulso
alla progressione del procedimento, ma contribuiscono a condizionare in vario modo la scelta
discrezionale finale (si pensi ai pareri, alle osservazioni, alle memorie presentate dai privati),
ovvero la produzione dell'effetto sul piano dell'ordinamento. La illegittimità di un atto del
procedimento determina, in via derivata, la illegittimità del provvedimento finale. Non è, però,
da escludere che l'atto endoprocedimentale possa produrre di per sé effetti esterni e che, se lesivo
di situazioni giuridiche soggettive, possa essere impugnato; il fenomeno è spiegabile ricorrendo
all'idea della pluriqualificazione degli atti e delle fattispecie giuridiche, ovvero lo stesso atto può
rilevare sia come atto del procedimento, sia come atto avente effetti esterni, lesivo di posizioni
giuridiche di alcuni terzi.

6. Rapporti tra procedimenti amministrativi

Tra più procedimenti amministrativi possono sussistere molteplici rapporti, tra cui quello
della connessione, sulla base del quale l'atto conclusivo di un autonomo procedimento,
impugnabile in quanto tale ex se, condiziona l'esercizio del potere che si svolge nel corso di un
altro procedimento (connessione funzionale). La connessione più importante è costituita dalla
presupposizione: al fine di esercitare legittimamente un potere, occorre la sussistenza di un certo
atto che funge da presupposto di un altro procedimento in quanto crea una qualità in un bene,
cosa o persona che costituisce l'oggetto anche del successivo provvedere (es. dichiarazione di
pubblica utilità rispetto all'emanazione del decreto di esproprio).

7. L'iniziativa del procedimento amministrativo

II procedimento amministrativo si apre con l'iniziativa, che può essere ad istanza di parte
ovvero d'ufficio (art. 2,1. 241/90). Nel primo caso, il dovere di procedere sorge a seguito (e solo a
seguito) dell'atto di impulso proveniente da un soggetto privato, oppure da un soggetto pubblico
diverso dall'amministrazione cui è attribuito il potere, o da un organo differente da quello
competente a provvedere.
Negli ultimi due casi l'istanza consiste in un atto amministrativo, chiamato richiesta o
proposta: quest'ultima è l'atto di iniziativa, avente anche contenuto valutativo, con cui si
suggerisce l'esplicazione di una certa attività. Può essere non vincolante (non c'è il dovere di
procedere) o vincolante: in quest'ultimo caso, a differenza del primo, la proposta. comporta il
dovere dell'amministrazione procedente di conformarsi alla proposta, facendo proprìo il contenuto
dell'atto proposto.
La richiesta è l'atto di iniziativa, consistente in una manifestazione di volontà, mediante il
quale un'autorità sollecita ad un altro soggetto pubblico l'emanazione di un determinato atto
amministrativo, (es. richiesta di un parere); diversa dalla richiesta è la designazione, la quale
consiste nella "indicazione di uno o più nominativi all'autorità competente a provvedere ad una
nomina".
L'istanza proviene, invece, solo da un cittadino ed è espressione della sua autonomia privata
e dei suoi interessi particolari, per attestare i quali talora la legge richiede l'allegazione di atti
e documenti. A fronte dell'istanza, l'amministrazione deve procedere qualora rilevi la sussistenza
di una posizione qualificata in capo al privato; in caso contrario, l'atto del privato si configura
come mera denuncia, mediante la quale si rappresenta una data situazione di fatto
all'amministrazione, chiedendo l'adozione di provvedimenti o di misure. Nella ipotesi di istanza
erronea o incompleta, prima di rigettarla, l'amministrazione deve procedere alla richiesta della
42 
rettifica (art. 6, c. 1, lett. b I. 241/90, che introduce il principio della sanabilità delle istanze dei
privati).
L'iniziativa di ufficio è prevista dall'ordinamento nelle ipotesi in cui il tipo di interessi
pubblici affidati alla cura di un'amministrazione esiga che questa si attivi automaticamente al
ricorrere di alcuni presupposti, indipendentemente dalla sollecitazione proveniente da soggetti
esterni.

8. Il dovere di concludere il procedimento

II procedimento amministrativo deve essere concluso entro un dato termine: l'art. 2, c. 2, della I.
241/90 stabilisce che tale termine decorre dall'inizio di ufficio del procedimento o dal
ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte. Il primo comma
dell'articolo sopra citato, stabilisce che la pubblica amministrazione ha il dovere di concludere il
procedimento "mediante l'adozione di un provvedimento espresso": di conseguenza, il termine si
intende rispettato quando l'amministrazione, entro trenta giorni, ovvero entro il diverso termine
fissato in via regolamentare, emani il provvedimento finale.
Di fronte all'inutile decorso del tempo senza che l'amministrazione abbia emanato il
provvedimento, il cittadino può agire giudizialmente impugnando il cd. silenzio inadempimento,
oppure, se trattasi di amministrazioni statali, l'interessato può produrre istanza al dirigente
dell'unità responsabile del procedimento, che provvedere nel termine di trenta giorni, ovvero, se
il provvedimento è di competenza del dirigente generale, l'istanza è rivolta al ministro, il quale
valuta se ricorrono le condizioni per l'esercizio del potere di avocazione previsto dal d.lgs. 29/1993
(oggi, peraltro, eliminato dal d.lgs 165/2001)
II ritardo nell'emanazione di un atto amministrativo può integrare un'ipotesi di illecito
disciplinare a carico del dipendente, al quale il privato può chiedere il risarcimento dei danni
in caso di omissione o ritardo nel compimento di atti o di operazioni cui l'impiegato sia tenuto per
legge o per regolamento. A tal fine l'interessato, decorsi sessanta giorni dalla data della
presentazione dell'istanza (dunque nelle ipotesi di procedimento ad iniziativa di parte), deve
notificare diffida all'amministrazione e all'impiegato, a mezzo di ufficiale giudiziario; decorsi
inutilmente trenta giorni dalla diffida, egli può proporre l'azione volta ad ottenere il
risarcimento. Il mancato compimento, doloso, di un atto d'ufficio per un pubblico ufficiate o
l'incaricato di un pubblico servizio possono integrare un'ipotesi di reato (art 328 c.p.).
Va detto, comunque, che in alcune ipotesi è la stessa legge 241/90 che stabilisce un termine
superiore ai trenta giorni (art 2, c. 3) per provvedere: l'art. 16 della legge, infatti, dispone che gli
organi consultivi rendono pareri obbligatoli entro 45 giorni dal ricevimento della richiesta.

9. Il responsabile del procedimento

L'art. 4 della I. 241/90 stabilisce che le pubbliche amministrazioni sono tenute a


determinare, per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza, l'unità
organizzativa responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché
dell'adozione del provvedimento finale; adempiuto questo obbligo, ciascuna unità organizzativa
individua il responsabile del procedimento, persona fisica che sarà la guida del procedimento, il
coordinatore dell'istruttoria, l'organo di impulso e di riferimento sia per i privati che per
l'amministrazione procedente e per quelle coinvolte dalla stessa (i compiti sono indicati nell'art.
6,l. 241/90). Ai sensi dell'art. 5,l. 241/90, il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvedere ad
assegnare a sé o ad altri addetti dell'unità organizzativa la responsabilità dell'istruttoria e dì ogni
altro adempimento inerente il singolo procedimento, nonché, eventualmente, l'adozione del
provvedimento finale. Il secondo comma dell'articolo citato, prevede che, fino a quando non
venga effettuata l'assegnazione, è considerato responsabile del procedimento il funzionario
preposto alla unità organizzativa determinata a norma dell'art 4.
II responsabile può anche richiedere la regolarizzazione delle domande dei privati e della
documentazione prodotta; può adottare il provvedimento finale qualora ne abbia la competenza,
ovvero trasmettere gli atti all'organo competente. l'individuazione del responsabile del
procedimento non comporta l'automatica attrazione in capo al medesimo delle responsabilità
civili, penali e amministrative, che ricadranno sul soggetto che ha effettivamente rallentato o
bloccato il procedimento.

10. La comunicazione dell'avvio del procedimento

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L'avvio del procedimento amministrativo deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei
quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, a quelli che per legge
debbono intervenire (sono, in linea di massima, enti pubblici), nonché ai soggetti, diversi dai
diretti destinatari, che siano individuati o facilmente individuabili qualora dal provvedimento
possa loro derivare un pregiudizio (si pensi al proprietario di un fondo vicino a quello il cui
proprietario ha richiesto un permesso edilizio, art 7 l. 241/90).
La comunicazione dell'avvio è compito del responsabile del procedimento: essa deve essere
fatta mediante comunicazione personale (notifica, comunicazione a mezzo di nesso comunale o
ufficiale giudiziario, raccomandata con avviso di ricevimento, comunicazione per mezzo della
ricevuta rilasciata al momento della presentazione di una domanda); può anche essere effettuata
secondo modalità differenti stabilite e giustificate, di volta in volta, dall'amministrazione quando
per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti
particolarmente gravosa (art. 8, c. 3, I. 241/90). La legge non prevede il termine entro cui la
comunicazione deve essere fatta tuttavia, deve ritenersi che tale adempimento vada eseguito
senza ritardo e, comunque, entro un termine ragionevole, tenuto conto delle circostanze.
La comunicazione deve contenere i seguenti elementi: amministrazione competente, oggetto
del procedimento, ufficio e persona responsabile del procedimento, ufficio in cui si può prendere
visione degli atti. La comunicazione permette la partecipazione al procedimento.
La norma sulla comunicazione del procedimento e, in generale, le disposizioni del capo IV non
si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di
atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché ai
procedimenti tributarl (art. 13, I. 241/90); inoltre, l'avvio del procedimento non deve essere
comunicato quando sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di
celerità del procedimento, ragioni che debbono essere indicate nella motivazione (art. 7, co. 1, l.
241/90). Nei casi di provvedimenti cautelari la pubblica amministrazione può adottarli anche
prima della effettuazione della comunicazione dell'avvio del procedimento (art. 7, co. 2,l. 241/90).
L'omissione della comunicazione configura un'ipotesi di illegittimità, che può essere fatta
valere solo dal soggetto "nel cui interesse la comunicazione è prevista" (art. 8, c. 4,l. 241/90).

11. L'istruttoria procedimentale

La fase dell'istruttoria è volta all'accertamento dei fatti e dei presupposti del provvedimento
ed alla acquisizione e valutatone degli interessi implicati dall'esercizio del potere. È condotta dal
responsabile del procedimento.

11.1 L'oggetto dell'attività istruttoria

L'amministrazione non è, in linea di massima, vincolata dalle allegazioni dei fatti contenute
nelle istanze e nelle richieste ad essa rivolte. Per identificare i fatti e gli interessi nei confronti dei
quali dovrà rivolgere la propria attenzione, ai fini di provvedere legittimamente,
l'amministrazione svolge un'attività che deve essere­adeguatamente motivata e realizzata nel
rispetto del principio di non aggravamento del procedimento, del criterio della pertinenza
all'oggetto del procedimento ed agire secondo i canoni della congruità e logicità.

11.2 Le modalità di acquisizione degli interessi e la conferenza di servizi cd.


"istruttoria"

Gli interessi che l'amministrazione procedente deve tenere in considerazione, per volontà della
legge, in sede di scelta finale, sono interessi affidati, alcune volte, alla cura di amministrazioni
pubbliche. Le vie per la loro rappresentazione nel corso del procedimento sono tre:
l'amministrazione procedente può richiedere all'amministrazione cui è imputato l'interesse
pubblico da acquisire di esprimere la propria determinazione, ovvero l'amministrazione
portatrice dell'interesse pubblico secondario può partecipare al procedimento ai sensi dell'art. 9,
I. 241/90, che consente di intervenire nel corso del procedimento anche ai soggetti portatori di
interessi pubblici. Inoltre, "qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari
interessi pubblici, coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente
indice, di regola, una conferenza di servizi" (art. 14,1. 241/90), la conferenza è indetta dal
responsabile del procedimento e consiste in una riunione di persone fisiche in rappresentanza
delle rispettive amministrazioni, ciascuna delle quali esprime il punto di vista
dell'amministrazione rappresentata che confluisce, poi, in una decisione concordata.
44
Quest'ultima sostituisce l'insieme delle manifestazioni dei vari interessi pubblici coinvolti.
Mentre la conferenza di servizi può essere indetta per esaminare interessi pubblici coinvolti,
senza ulteriore specificazione, la partecipazione presuppone che gli interessi possano subire un
pregiudizio da procedimento.

11.3La partecipazione procedimentale

La partecipazione è lo strumento per introdurre interessi pubblici e privati nel


procedimento. Possono intervenire i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti, quelli che per legge debbono intervenire (sono, in linea di
massima, enti pubblici), nonché i soggetti, diversi dai diretti destinatari, che siano individuati
o facilmente individuabili qualora dal provvedimento possa loro derivare un pregiudizio (art. 7,
I. 241/90); sono legittimati, altresì, ad intervenire i portatori di interessi pubblici o privati,
nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un
pregiudizio dal provvedimento (art. 9, I. 241/90). Differenze tra queste due categorie di soggetti
sono rinvenibile nella circostanza che i primi vengono portati a conoscenza del procedimento
amministrativo tramite comunicazione, i secondo attraverso vie differenti.
Gli statuti degli enti locali possono ampliare la cerchia dei soggetti titolari del potere di
partecipazione; la disciplina degli enti locali prevede numerosi strumenti e istituti di
partecipazione ulteriori quali consultazioni, petizioni, istanze, proposte, referendum, azioni
popolari, ecc.

11.4 L'ambito di applicazione della disciplina sulla partecipazione procedimentale

L'art. 13,l. 241/90, stabilisce che le norme sulla partecipazione amministrativa non si
applicano ai procedimenti volti alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali (si
rivolgono ad una pluralità indistinta di soggetti: bandi di concorso), di pianificazione e di
programmazione, nonché ai procedimenti tributari.

11.5 Aspetti strutturali e funzionali della partecipazione

La partecipazione al procedimento consiste nel diritto di prendere visione dei relativi atti e
nella presentazione di memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha il dovere di
valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento (art. 10, I. 241/90). Funzione
dell'istituto in esame è anche quella collaborativa (il soggetto privato partecipa, soprattutto, per
tutelare la propria posizione), poiché l'amministrazione pubblica considera il contributo al fine di
ottenere una migliore conoscenza della realtà e della complessa trama degli interessi coinvolti,
conoscenza che è strettamente preordinata alla scelta delle modalità di perseguimento
dell'interesse pubblico. Anche per i provvedimenti vincolanti la partecipazione potrà essere utile:
non sarà utilizzata dall'amministrazione come veicolo di introduzione di interessi (la scelta è già
stata fatta dalla legge) bensì come ausilio per individuare fatti e presupposti che debbono
comunque essere accertati al fine di provvedere.

11.6 Partecipazione al procedimento, interessi procedimentali e loro tutela

II cittadino ha una serie di facoltà esercitabili nel corso del procedimento: questa situazione
può essere riassunta facendo riferimento alla nozione di interessi procedimentali, ovvero
interessi strumentali ad altre posizioni soggettive, che attengono a fatti procedimentali e che
investono comportamenti della amministrazione e soltanto indirettamente beni della vita. Non
può ritenersi privo di conseguenze il comportamento dell'amministrazione lesivo di tali interessi
procedimentali; la soluzione potrebbe essere quella di prevedere forme di tutela immediate,
ovvero meccanismi procedimentali in grado di assicurare la possibilità di intervenire nel concreto
farsi della scelta.

11.7 II diritto di accesso ai documenti amministrativi

I soggetti legittimati a partecipare al procedimento amministrativo hanno diritto a prendere


visione degli atti del medesimo (ari 10,1. 241/90). Il diritto di aceesso può essere esercitato anche
a procedimento concluso: non è quindi necessariamente preordinato alla conoscenza dei
documenti amministrativi strumentali alla partecipazione al procedimento. È, infatti, un istituto
45
che realizza il principio della trasparenza in senso lato. Di conseguenza, si può parlare di accesso
endoprocedimentale esercitato all'interno del procedimento, e di accesso esoprocedimentale
relativo agli atti di un procedimento concluso. Poiché in entrambi i casi la disciplina è in larga
parte identica si tratteranno in maniera unitaria.
L'accesso collegato alla partecipazione è un diritto di cui sono titolari i soggetti che abbiano
titolo a partecipare al procedimento; negli altri casi, soggetti legittimati sono coloro che siano
titolari di un "interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti" (art. 22, L. 241/90). Il
d.p.r. 352/1992 (regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione
del diritto di accesso ai documenti amministrativi) pare operare una scelta più restrittiva, in
quanto richiede la titolarità di un "interesse personale e concreto per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti".
L'art. 10 T.U. enti locali stabilisce, disciplinando il diritto di accesso ai documenti degli enti
locali, che legittimati all'accesso sono tutti i cittadini, singoli o associati, e prevede l'obbligo per
gli enti locali di dettare norme regolamentari per assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato
degli atti, delle procedure, sull'ordine di esame delle domande, dei progetti ecc. che li riguardino,
ovvero, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione.
Le amministrazioni nei confronti delle quali si esercita il diritto di accesso sono quelle
pubbliche, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi (i quali
possono essere anche soggetti privati che in quanto svolgenti attività di rilievo pubblicistico, sono
equiparati ai soggetti pubblici: v. art. 23,l. 241/90).
II diritto di accesso riguarda il documento amministrativo, considerato come tale "ogni
rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati
ai fini dell'attività amministrativa" (art. 22, c. 2,l. 241/90); l'accoglimento della richiesta di
accesso a un documento comporta la facoltà di accedere agli altri documenti da esso richiamati e
appartenenti al medesimo procedimento, salvo eccezioni di legge o regolamento (art. 5, c. 3, d.p.r.
352/1992).
La richiesta di accesso deve essere motivata, indicare gli estremi del provvedimento, ovvero
gli elementi che ne permettono la identificazione e far constare l'identità del richiedente. La
richiesta può essere:
è informale: è fatta mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione
centrale o periferica, competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo
stabilmente (d.p.r. 352/1992; l'art. 25 I. 241/90 stabilisce che la domanda può essere presentata
anche all'ufficio che ha formato o detiene stabilmente il documento richiesto). La richiesta
"esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della
pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra
modalità idonea";
è formale; avviene con atto scritto e viene prescelta dal richiedente o imposta
dall'amministrazione quando non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via
informale, sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sull'identità, sui suoi poteri
rappresentativi ecc.
La richiesta di accesso sulla quale l'amministrazione non si pronuncia s'intende respinta
trascorsi inutilmente trenta giorni (25, c. 4, I. 241/90). In caso di accoglimento, il diritto si
esercita mediante esame gratuito ed estrazione di copia del documento; l'esame avviene presso
l'ufficio indicato nell'atto di accoglimento. L'accesso può anche essere differito, motivandolo, nei
casi in cui (e fino a quando) la conoscenza dei documenti non impedisca o gravemente
ostacoli lo svolgimento dell'azione amministrativa (art. 24, c. 6, I. 241/90).L'art. 24 prevede,
poi, alcune categorie di documenti sottratti all'accesso (es. documenti coperti dal segreto di
Stato), a salvaguardia di interessi quali la difesa nazionale, la sicurezza, l'ordine pubblico, politica
monetaria e valutarie ecc, garantendo, peraltro, agli interessati la visione degli atti relativi ai
procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro
interessi giuridici.
Al diritto di accesso può contrapporsi quello della tutela alla riservatezza, disciplinato dal
D. Lgs. 196/2003 (che ha abrogato la I. 675/1996), il quale, all'art.7 stabilisce che l'interessato
ha diritto di ottenere dai soggetti pubblici la conferma del fatto che essi detengano dati personali
che lo riguardano, nonché la loro comunicazione in forma intelligibile; ha anche il diritto di
sapere l'indicazione della provenienza dei dati personali trattati dall'ente, le finalità e le modalità
del trattamento.
Ottenute le informazioni richieste, l'interessato ha il diritto, tra gli altri, di ottenere
l'aggiornamento, la rettificazione, l'integrazione, la cancellazione dei dati. Unico limite
46
all'esercizio di questo diritto di accesso deriva dal fatto che l'esibizione possa comportare la
conoscenza di dati personali di soggetti terzi rispetto al richiedente; tuttavia l'art. 19 del codice
della privacy afferma che la comunicazione e la diffusione di dati personali da parte di
amministrazioni a soggetti pubblici o privati "sono ammesse unicamente quando sono previste
da una norma di legge o di regolamento".
Posto che il diritto di accesso comporta la diffusione e la comunicazione dei dati, tale norma
(che non impone il consenso dell'interessato) è importante perché ritiene sufficiente, ai fini
della comunicazione e della diffusione dei dati, l'esistenza di una legge e di regolamenti,
identificabili con la I. 241/90, le leggi eventualmente adottate in materia dalle regioni, i
regolamenti attuativi di cui sono dotato i diversi enti pubblici. L'art. 59 del codice citato precisa,
infatti, che "i presupposti, le modalità e i limiti per l'esercizio del diritto di accesso a documenti
amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano
disciplinati dalla legge 7 agosto 1990 n. 241...anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e
giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso" e
considera di "rilevante interesse pubblico" le attività finalizzate all'applicazione di tale disciplina.
La legge 241/90 prevede che la riservatezza di terzi persone, gruppi e imprese, costituisca una
delle esigenze in presenza delle quali può essere escluso il diritto di accesso, specificando peraltro
che deve essere garantita agli interessati "la visione degli atti relativi ai procedimenti
amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi
giuridici" (art. 24).
Quando i dati trattati sono dati sensibili, cioè "idonei a rivelare lo stato di salute o la vita
sessuale" di un soggetto terzo, il trattamento (comprensivo della comunicazione o diffusione) "è
consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di
accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero
consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile"
(art. 60).
La legge 241/90 consente all'interessato di adire il giudice amministrativo "contro le
determinazioni concernenti il diritto di accesso", nei casi di rifiuto, espresso o tacito, o di
differimento, l'azione può essere proposta anche in pendenza di un ricorso. L'art. 25, c. 4,1. 241/90
consente all'interessato, nell'ipotesi del rifiuto espresso o tacito, e di differimento, di chiedere entro
30 giorni, al difensore civico competente il riesame della determinazione; se il difensore ritiene
illegittimo il differimento o il diniego lo comunica a chi l'ha disposto e, ove questo non
provveda entro 30 giorni dalla comunicazione ad emanare il provvedimento confermativo
motivato, l'accesso è consentito. L'esperimento di questa azione non preclude quella dinanzi al
giudice amministrativo entro 30 giorni dal ricevimento dell'esito della istanza rivolta al
difensore. Nel codice della privacy la tutela dell'accesso è affidata al Garante del trattamento dei
dati personali e al giudice ordinario. Presso la presidenza del Consiglio la legge 241 ha istituito
una Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi.

11.8 Procedimento, atti dichiarativi e valutazioni

Al fine di qualificare un fatto complesso può rendersi necessaria un'attività di valutazione,


cioè la formulazione di un giudizio estimatorio, frutto di esercizio di discrezionalità tecnica.
Le valutazioni tecniche vengono disciplinate dall'art. 17 della I. 241/90: nel caso in cui esse siano
richieste ad enti o organi appositi e questi non provvedano entro novanta giorni dal ricevimento
della richiesta o in quello previsto specificamente dalla legge, il responsabile del procedimento
deve chiedere le suddette valutazioni ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad altri
enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad
istituti universitari.
Questa disciplina non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da
amministrazioni proposte alla tutela ambientale, paesaggistico­territoriale della salute dei
cittadini.

11.9 Le attività istruttorie dirette all'accertamento dei fatti

L'amministrazione si avvale di numerosi strumenti per acquisire la conoscenza della realtà


e degli interessi; la possibilità di scegliere in ordine alla natura e all'estensione dei mezzi
istruttori incontra il limite posto dal principio del non aggravamento del procedimento. Alcuni
atti istruttori sono previsti come obbligatori dalla legge e l'amministrazione può porre in essere
ulteriori atti "all'uopo necessari", indipendentemente dall'attribuzione di specifici poteri
47
da parte dell'ordinamento. La possibilità di scelta viene limitata dal principio di non
aggravamento del procedimento.
Normalmente, le risultanze emergenti dagli atti istruttori sono liberamente valutate
dall'amministrazione, ad eccezioni delle certificazioni che creano certezze erga omnes, vincolanti
anche le amministrazioni.
I fatti semplici sono spesso rappresentati nel procedimento mediante le seguenti attività delle
parti:
è esibizione di documenti di identità o di riconoscimento in corso di validità;
è acquisizione diretta di documenti: l'amministrazione e i gestori di pubblici servizi
acquisiscono d'ufficio le relative informazioni, previa indicazione, da parte
dell'interessato, dell'amministrazione competente e degli elementi indispensabili per reperire
informazioni;
è produzioni di certificati, di documenti o di autocertificazioni.
Tra i procedimenti volti ad accertare i fatti possono ricordarsi le inchieste amministrative,
relative ad un evento straordinario che non può essere conosciuto ricorrendo alla normale attività
ispettiva e si conclude con una relazione. L'ispezione è un insieme di atti, di operazioni o di
procedimenti mirati ad acquisizioni di scienza che ha ad oggetto il comportamento di persone.

11.10 La fase consultiva

Acquisiti gli interessi coinvolti nella scelta finale e verificati i fatti rilevanti, l'amministrazione
deve procedere ad una valutazione del materiale istruttorio; in questa fase intervengono, in
alcuni casi, appositi uffici ed organi, la cui attività è rivolta a fornire valutazioni e giudizi su
varie questioni in vista delle scelte finali adottate dall'amministrazione attiva. Gli atti
mediante i quali si esercita questa attività, detta consultiva, aventi un contenuto di giudizio
(attinente a valutazioni tecniche o l'apprezzamento degli interessi pubblici), sono i pareri, che si
distinguono come segue:
è obbligatori, se la loro acquisizione è prescritta dalla legge;
è facoltativi, se essi non sono previsti dalla legge e l'amministrazione li richiede di sua
iniziativa;
è conformi, se si tratta di pareri che lasciano all'amministrazione attività la possibilità di
decidere se provvedere o meno. Se essa provvede, però, non può disattenderli;
è semivincolanti, trattasi di pareri che possono essere disattesi soltanto mediante
l'adozione del provvedimento da parte di un organo diverso da quello che di norma dovrebbe
emanarlo, impegnandone la responsabilità amministrativa o politica (il Presidente della
Repubblica in sede di ricorso straordinario può disattendere il parere del Consiglio di Stato solo
adottando una delibera del Consiglio dei ministri);
è vincolanti: sono pareri obbligatori che non possono essere disattesi
dall'amministrazione, salvo che essa non li ritenga illegittimi.
Il procedimento consultivo, che inizia con la richiesta di parere, è disciplinato dal l’art 16 I.
241/90: il parere obbligatorio deve essere reso entro 45 giorni. Nelle ipotesi di pareri facoltativi, gli
organi sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine
entro il quale il parere sarà reso. L'amministrazione procedente deve adeguatamente motivare la
decisione di disattendere il parere.
Qualora il parere non venga reso entro il termine previsto e l'organo adito non abbia
rappresentato esigenze istruttorie (in tal caso il termine può essere interrotto per una sola volta e
il parere deve essere definitivamente reso entro 15 giorni dalla ricezione degli elementi
istruttori), è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente
dall'acquisizione del parere; questa disciplina non si applica se il parere deve essere reso da
amministrazioni preposte alta tutela dell'ambiente, del paesaggio, del territorio e della salute dei
cittadini.
Organo di consulenza giuridico­amministrativa del governo e delle altre amministrazioni
(es. regioni) è il Consiglio di Stato (art. 100 Cost.), al quale le richieste vengono effettuate dagli
organi di governo che esercitano le funzioni di indirizzo politico­amministrativo. L'art 17 I.
127/97 individua i casi in cui sono richiesti i pareri in via obbligatoria (emanazione di atti
normativi del governo, emanazione di testi unici, decisione dei ricorso straordinari al
Presidente delle Repubblica, ecc.) e stabilisce che detti pareri debbano essere resi entro 45
giorni, salvo un termine inferiore previsto dalla legge, dal ricevimento della richiesta decorso il
quale l'amministrazione può procedere indipendentemente dal parere. I pareri del Consiglio di
Stato sono pubblici e recano l'indicazione del Presidente del collegio e dell'estensore. Il parere è
48
reso in adunanza generale per "gli schemi di atti legislativi o regolamentari devoluti dalla sezione
o dal presidente del Consiglio di Stato a causa della loro particolare importanza".

12. La fase decisoria: rinvio

Completata l'istruttoria, il procedimento è maturo per addivenire all'emanazione del


provvedimento. La fase decisoria che sarà esaminata nel prossimo capitolo.

13. La fase integrativa dell'efficacia.

Un provvedimento è efficace quando ha l'attitudine a produrre vicende giuridiche; questa


efficacia può essere subordinata al compimento di determinate operazioni o atti, che confluiscono
nella fase del procedimento definita come "integrativa dell'efficacia".
Incide sulla efficacia del provvedimento il controllo dell'atto: se l'efficacia rimane sospesa in
attesa dell'esito del controllo si versa nell'ipotesi di controllo preventivo, ovvero si parla di
controllo successivo quando il medesimo è esercitato dopo la produzione degli effetti, fungendo
da condizione risolutiva se a seguito di esso viene pronunciato l'annullamento.
Gli atti recettizi (es. atti normativi, che per legge devono essere comunicati ai destinatari,
quelli che impongono obblighi ai destinatari) sono, poi, quegli atti che diventano efficaci solo
nel momento in cui pervengono nella sfera di conoscibilità (mediante pubblicazione o
comunicazione) del destinatario, richiedendosi talvolta anche un'accettazione.
Misure per rendere conoscibili gli atti sono previste sia in riferimento agli atti recettizi sia
per quelli che tali non sono: in questo caso la funzione della conoscibilità è quella di consentire
al privato di avere conoscenza legale dell'atto ai fini della sua impugnazione, facendone, dunque,
decorrere i termini.
Tra le misure idonee a portare atti giuridici nella sfera di conoscibilità del destinatario ci sono:
la pubblicazione (nei confronti di una generalità di individui potenziali destinatari dell'atto ma
non contemplati dall'atto stesso: es. Gazzetta Ufficiale), pubblicità (anche in questo caso i
destinatari sono rappresentati da una collettività indistinta di individui: è caratterizzata dalla
predisposizione di documenti quali i pubblici registri), la comunicazione individuale, rivolta
ad un destinatario individuato mediante piego raccomandato con avviso di ricevimento e,
talora, verbalmente; convocazioni (il destinatario viene invitato a recarsi presso un ufficio per
ricevere un documento); notificazioni (effettuata da un agente notificatore); servizio postale.
Le comunicazioni, le pubblicazioni, le notificazioni previste dalla legge o dai regolamenti sono
curate dal responsabile del procedimento amministrativo; l'art. 3, c. 4, I. 241/90 prevede l'obbligo
per l'amministrazione di indicare in ogni atto notificato al destinatario "il termine e l'autorità
cui è possibile ricorrere". Secondo la giurisprudenza la violazione di questa norma comporta una
mera irregolarità dell'atto, cui non consegue la sospensione dei termini per impugnare il
provvedimento

14. La semplificazione procedimentale

L'esigenza di semplificare è sentita anche in materia procedimentale: il compito di attuare la


semplificazione, in questa materia, è affidato a decreti legislativi e a fonti regolamentari di
delegificazione ex ari 17,­c. 2, I. 400/1988. L'art. 20 I. 59/1997 consente di affermare cha la
semplificazione comporta la riduzione delle fasi procedimentali, l'adeguamento alle nuove
tecnologie informatiche, la riduzione dei termini nonché l'accorpamento e la regolamentazione
uniforme dei procedimenti che attengono alla stessa attività. La legge 127/1997 si occupa di altri
aspetti, quali la conferenza dei servizi, la disciplina dei pareri e la documentazione
amministrativa. Infine, la legge 241/90 definisce come istituti di semplificazione la conferenza
dei servizi, gli accordi tra amministrazioni, l'autocertificazione, la liberalizzazione delle attività
private, il silenzio assenso.

49
Capitolo VII
LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO:
IL PROVVEDIMENTO E GLI ACCORDI AMMINISTRATIVI

1. Gli atti determinativi del contenuto del provvedimento, l'atto complesso, il concerto
e l'intesa

Il procedimento viene concluso dall'amministrazione con una decisione, che può consistere in
un atto complesso qualora sia formata da più manifestazioni di volontà, di pari "dignità", tutte
attinenti alla fase decisoria e convergenti verso un unico fine.
Simili a questo descritto sono i modelli del concerto e dell'intesa. Il primo è un istituto basato
sulla relazione tra organi dello stesso ente: l'autorità concertante elabora uno schema di
provvedimento e lo trasmette all'autorità concertata, che si trova in una situazione di parità
rispetto alla prima, ad eccezione del fatto che solo l'autorità concertante ha il potere di
iniziativa.
Il consenso delle autorità concertate condiziona l'emanazione del provvedimento: tale
consenso è espresso in un atto che non si fonda quello dell'amministrazione procedente, unica ad
adottare l'atto finale.
L'intesa, invece, viene raggiunta tra enti differenti (es. Stato e regioni) ai quali tutti si
imputa l'effetto. Anche in questa ipotesi, un'amministrazione deve chiedere l'intesa ad altra
autorità, il cui consenso condiziona l'atto finale.

2. La conferenza di servizi cd. "decisoria"

II responsabile del procedimento può indire una conferenza di servizi decisoria nei casi in
cui sia necessario acquisire "intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre
amministrazioni pubbliche" e l'amministrazione, avendoli formalmente richiesti, non li ottenga
entro 15 giorni dall'inizio del procedimento (art. 14, I. 241/90); il provvedimento finale conforme
alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza "sostituisce a tutti gli effetti ogni
autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza
delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla predetta conferenza".
La conferenza di servizi (sia quella decisoria che istruttoria, v. cap. VI, par. 11.2) tende ad un
accordo tra amministrazioni, il quale, peraltro, non elimina la necessità dell'emanazione del
provvedimento.
Quella sopra descritta è la conferenza decisoria che può essere definita interna. Altro modello
di conferenza è quello esterno: la conferenza, anche su richiesta dell'interessato, può essere
convocata dall'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale "quando
l'attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza
di più amministrazioni pubbliche". La conferenza, poi, può essere convocata per l'esame
contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti connessi, riguardanti medesime attività o
risultati (art. 14, c. 3, I. 241/90; ulteriori ipotesi di competenza sono elencate dall'alt 14, c. 5 e 6,1.
241/90; v. pag. 285).
L'art. 14 ter disciplina il procedimento della conferenza di servizi: ­ la conferenza assume le
determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti; ­ la
convocazione alla prima riunione deve pervenire, anche per via telematica o informatica, almeno
10 giorni prima della relativa data; ­ le amministrazioni stabiliscono il termine per l'adozione
della decisione conclusiva, rispettando la regola secondo cui i lavori non possono superare i
novanta giorni (nei caso in cui il termine non viene rispettato, l'amministrazione procede ai sensi
di quanto disposto in ordine al dissenso; v. infra); ­ ogni amministrazione partecipa ad essa con
un unico rappresentante;­ in sede di conferenza possono essere richiesti, per una sola volta ai
proponenti dell'istanza, ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione, che debbono essere
forniti entro 30 giorni, altrimenti si passa all'esame del provvedimento.
In caso di dissenso espresso da un soggetto convocato alla conferenza, l'amministrazione
procedente può comunque assumere la determinazione conclusiva "sulla base della maggioranza
delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi" (14­quater, I. 241/90). La determinazione è
immediatamente esecutiva. Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui
rappresentante non abbia espresso la volontà dell'amministrazione rappresentata e non abbia
notificato all'amministrazione procedente, entro 30 giorni dalla data di ricezione della
determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero nello stesso
termine non abbia impugnato la determinazione medesima.
50 
Quando il dissenso è manifestato da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico­territoriale, del patrimonio storico­artistico o alla tutela della salute, la decisione è
rimessa al Consiglio dei ministri se l'amministrazione dissenziente o procedente è statale,
ovvero ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali, nelle altre ipotesi. Gli
organi in oggetto deliberano entro 30 giorni. Se il dissenso è espresso da una regione, la
determinazione del Consiglio dei ministri è assunta con l'intervento del Presidente della
giunta regionale interessata (che non ha però diritto di voto). Nei casi in cui sia prevista la
valutazione di impatto ambientale (v.i.a.) e la conferenza di servizi sia già stata indetta,
quest'ultima deve attendere il provvedimento di v.i.a.; ove la valutazione di impatto ambientale
non intervenga nel termine fissato per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione
competente si esprime in sede di conferenza.

3. Silenzio­inadempimento, silenzio rigetto, silenzio significativo e silenzio devolutivo

L'inerzia dell'amministrazione è il silenzio; varie sono le forme di silenzio che il nostro


ordinamento conosce.
II silenzio­inadempimento è un mero fatto che si realizza allorché l'amministrazione, sulla
quale grava il dovere giuridico di agire emanando un atto amministrativo, ometta di provvedere
senza che vi sia una particolare attribuzione legislativa di significato a tale inerzia. Dall'art. 2
1. 241/90 dovrebbe ricavarsi la disciplina dell'istituto: trascorso il termine fissato per la
conclusione del procedimento, il silenzio può ritenersi formato (l'art. 21­bis I. Tar ha
introdotto una specifico ricorso avverso il silenzio).
Il silenzio­rigetto sì forma nei casi in cui l'amministrazione, alla quale sia stato indirizzato
un ricorso amministrativo, rimanga inerte; la disciplina è posta dal d.p.r. 199/1971, il quale
dispone che il ricorso s'intende respinto decorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso
gerarchico.
Il silenzio­diniego si ha quando il trascorrere del tempo produce un effetto equipollente
alla emanazione di un provvedimento di diniego a seguito di istanza del privato titolare di un
interesse pretensivo (l'inutile decorso del termine di 60 giorni dalla richiesta di concessione
o di autorizzazione in sanatoria comporta il diniego della stessa: art. 13,1.47/1985).
Il silenzio­assenso si ha quando il trascorrere del tempo produce un effetto equipollente
alla emanazione di un provvedimento favorevole a seguito di istanza del privato titolare di un
interesse pretensivo. È disciplinato in generale dall'art. 20, I. 241/90. Tale norma dispone
che con regolamento adottato ai sensi del comma 2 del l’art. 17, l. 400/1988, poi emanato con
d.p.r. 300/1992, sono determinati i cast in cui la domanda di rilascio di autorizzazione,
licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, cui
sia subordinato lo svolgimento di un'attività privata, si considera accolto qualora non
venga comunicato all'interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato dal
medesimo regolamento per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo
procedimento. In tali casi, sussistendo ragioni di pubblico interesse, l'amministrazione
competente può annullare l'atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia
possibile, l'interessato provveda a sanare i vizi entro il termine prefissato
dall'amministrazione stessa. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, il
dichiarante è punito ai sensi del l’art. 483 c.p., e, comunque, non si forma il silenzio.

4. La denuncia di inizio attività

L'art. 19 della I. 241/90 disciplina i casi in cui l'esercizio di un'attività privata sia subordinato
ad autorizzazione, nullaosta, licenza, abilitazione, permesso o altro atto di consenso comunque
denominato il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei
requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni
tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli
stessi: in tali ipotesi l'atto di consenso s'intende sostituito da una denunzia di inizio di attività
da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, attestante l'esistenza dei
presupposti e dei requisiti di legge, eventualmente accompagnata dall'autocertificazione
dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste. Sono escluse da tale disciplina le
concessioni e le autorizzazioni rilasciate ai sensi della I. 1089/39 (a tutela delle cose di
interesse storico e artistico), I. 1497/1939 (a tutela del paesaggio) e del d.l. 312/1985 convertito
con modificazioni dalla I. 431/1985 (ed. legge Galasso). La normativa non si applica, altresì,
nei casi in cui è necessario esperire prove che comportino valutazioni tecnico­discrezionali.
51
Onere del privato è quello di comunicare l'avvio dell'attività un atto che è un'informativa, cui è
subordinato l'esercizio del diritto. L'amministrazione competente non svolge il preventivo potere
permissivo, bensì deve "... entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, verificare d'ufficio la
sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con
provvedimento motivato da notificare all'interessato entro il medesimo termine, il divieto di
prosecuzione dell'attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile,
l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente l'attività ed i suoi effetti entro il
termine prefissato dall'amministrazione stessa" (art./19).
In caso di dichiarazioni mendaci o di fase attestazioni il dichiarante è punito ai sensi dell'art.
483 c.p. e non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o sanatoria
previsti dagli arti 19 e 20; le sanzioni previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza
dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso si applicano a coloro che diano
inizio all'attività in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la
normativa vigente.

5. L'atto amministrativo è il provvedimento amministrativo: osservazioni generali

L'atto amministrativo è qualsiasi manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o


conoscenza proveniente da una pubblica amministrazione nell'esercizio della potestà
amministrativa. Nell'ambito degli atti amministrativi è di peculiare importanza il
provvedimento: è l'atto emanato dall'organo competente, nell'esercizio del potere attribuitogli,
al termine del procedimento amministrativo, dotato di effetti sul piano dell'ordinamento generale.
Questi effetti non sono prodotti dagli atti amministrativi, o meglio, essi producono degli effetti
che, però, a differenza di quelli prodotti dagli atti provvedimentali, non sono suscettibili di
incidere sulla sfera giuridica di terzi. Hanno, in linea di massima, funzione strumentale ed
accessoria rispetto ai provvedimenti (si pensi ai pareri, proposte, valutazioni ecc).
Il provvedimento è composto: da una intestazione, nella quale è indicata l'autorità emanante,
da una preambolo, in cui sono enunciate le circostanze di fatto e di diritto nel cui contesto è
emanato l'atto; dalla motivazione, la quale indica le ragioni giuridiche e presupposti di
fatto del provvedimento (talora non si distingue dal preambolo: v. comunque par. 12); dal
dispositivo, il quale rappresenta la parte precettiva del provvedimento e contiene la concreta
statuizione posta in essere dall'amministrazione. Il provvedimento è, poi, datato e sottoscritto,
indicando anche il luogo della sua emanazione.

6. Provvedimento amministrativo e incisione sulle situazioni soggettive

Elemento fondamentale del provvedimento è la "volontà", obbiettiva e spersonalizzata, da


questo promanante e frutto di interpretazione (si pensi ad un provvedimento emanato da un
sindaco: in esso rileva non già la volontà psicologica della persona fisica, bensì quella "oggettivata"
risultante dal procedimento nel suo complesso).
Il provvedimento è, anche, un atto di "disposizione" in ordine all'interesse pubblico che
l'amministrazione deve perseguire e che si correla con l'incisione di altrui situazioni soggettive.
L'autoritarietà è connotazione del potere rivolto alla cura dei pubblici interessi e preordinato
alla produzione di effetti giuridici in capo ai terzi. È propria di ogni provvedimento
amministrativo con cui tale potere si esercita, indipendentemente dalla natura favorevole o
sfavorevole degli effetti: così intesa, essa ricorre pure nelle ipotesi in cui la produzione dell'effetto
sia subordinata ad un consenso del destinatario dell'atto.

7. Unilateralità, tipicità e nominatività del potere

La possibilità per l'amministrazione di produrre una vicenda giuridica presuppone che il


legislatore abbia ritenuto prevalente l'interesse pubblico su quello privato attribuendo il potere
all'amministrazione, descrivendo gli elementi in cui esso si articola (soggetto, oggetto, contenuto,
interesse pubblico, forma), destinati a trasfondersi nel provvedimento e individuando il tipo di
effetto prodotto sulla situazione giuridica del destinatario dell'atto. Il provvedimento
amministrativo è tipico quando la legge ha definito il tipo di vicenda giuridica prodotta
dall'esercizio del potere.
La pubblica amministrazione per conseguire effetti tipici può ricorre soltanto a schemi
individuati in generale dalla legge: è questo il cd. principio di nominatività. Questi caratteri
sono a garanzia dei privati.
52
8. Gli elementi essenziali del provvedimento e le clausole accessorie

Gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo sono: 

a)  il soggetto, ovvero l'ente pubblico dotato di personalità giuridica cui è conferito il potere; 
b)  il potere amministrativo consiste nella possibilità di produrre una determinata vicenda
giuridica: questo è il contenuto dispositivi) del potere. La dottrina distingue tra contenuto
necessario (consistente nella vicenda giuridica tipizzata dalla legge), accidentale (sono
l'insieme delle disposizioni che la volontà dell'amministrazione può introdurre nell'atto per
determinarne in vario modo gli effetti: condizione, termine, modo), contenuto implicito o
naturale (disposizioni operanti per volontà della legge, pur se non richiamate nel
provvedimento stesso) del provvedimento; 

c)  l'oggetto del (potere o del) provvedimento e, cioè, il termine passivo della vicenda che verrà a
prodursi in segiuto dell'azione amministrativa. Esso deve essere lecito, possibile, determinato
e determinabile. L'oggetto può essere, di volta in volta, il bene, la situazione giuridica o l'attività
diretta a subire gli effetti giuridici prodotti dal provvedimento; 

d)  il potere e il corrispondente provvedimento sono caratterizzati dalla preordinazione alla cura
dell'interesse pubblico che è risultato vincente nel giudizio di bilanciamento tra valori diversi,
risolto dalla norma di relazione (finalità o causa del potere); 

e)  la legge attributiva del potere può prevedere che l'atto debba rivestire una certa forma (di
solito quella scritta) a pena di nullità.

L'art. 3, I. 39/93, stabilisce che gli atti amministrativi vengano di norma predisposti
tramite sistemi informativi automatizzati: si tratta del cd. atto amministrativo informatico.
L'art. 15, co. 2, i. 59/1997 prescrive che "gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica
amministrazione.. con strumenti informativi o telematici, i contratti stipulati nelle medesime
forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e
rilevanti a tutti gli effetti di legge". La disciplina del documento informatico è contenuta negli
arti 8 e ss. del d.p.r. 445/2000, T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa, il quale dispone che il documento informatico, la
registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici sono validi e
rilevanti a tutti gli effetti di legge se conformi alle disposizioni del presente testo unico; inoltre, il
documento informatico, se sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della
forma scritta, mentre se è impiegata la firma elettronica avanzata, e ove la firma sia basata
su di un certificato qualificato e generata mediante un dispositivo per la creazione di una
firma sicura, il documento informatico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza
delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto.

9. Difformità del provvedimento dal paradigma normativo: la nullità e


l'illiceità del provvedimento amministrativo

Il provvedimento amministrativo è nullo quando è emanato in violazione delle norme


attributive del potere. Il regime della nullità è mutuato da quello privatistico: assenza di effetti,
insanabilità, rilevabilità d'ufficio e in qualunque tempo, possibilità di conversione dell'atto. Tra
le ipotesi configurabili di nullità c'è quella dell'atto emanato da un'autorità diversa da quella
avente il potere (incompetenza assoluta o straripamento di potere), provvedimento avente un
oggetto impossibile, assunzione di pubblici dipendenti senza l'esperimento di un concorso
(giurisprudenza).
Nel caso di mancato rispetto di una norma attributiva del potere in concreto, il provvedimento
è qualificabile come illecito: in tal caso le norme attributive del potere sono state osservate e ciò
basta perché il suo esercizio mantenga quel tanto di autoritatività che gli consente di esplicare
effetti giuridici, pur non essendo state rispettate le norme, ulteriori ed aggiuntive, che pongono
limiti all'esercizio del potere, a tutela del singolo, e che non sono pertanto riconducibili alle
norme di azione (le quali, infatti, disciplinano l'esercizio del potere nell'interesse pubblico, nei
confronti del quale l'interesse del privato soccombe; es. decreto di espropriazione conforme
all'ordinamento ma emanato dopo la scadenza del termine fissato ai sensi di legge nella
53 
dichiarazione di pubblica utilità).

10. Segue: l'illegittimità del provvedimento amministrativo.

L'atto è illegittimo ed è sottoposto al regime dell'annullabilità quando è emanato nel rispetto


delle norme attributive del potere, ma in difformità di quelle di azione; produce effetti (in
quanto le norme che riconoscono la possibilità di produrre effetti sono state rispettate) sino a
quando non vengano attivati gli strumenti per rimuoverli. L'annullabilità dell'atto può essere
decisa dalla stessa amministrazione in sede di autotutela, ovvero in sede di controllo o di
decisone di ricorsi amministrativi; il giudice ordinario, che incidentalmente sia chiamato a
verificare la legittimità di un provvedimento al fine di decidere una controversia attinente la
lesione di diritti soggettivi, può disapplicarlo. Il provvedimento illegittimo può essere sanato.
L'illegittimità può essere: originaria, ovvero si determina con riferimento alla normativa in
vigore al momento della perfezione dell'atto sopravvenuta, si riscontra nelle rare ipotesi in cui
una legge retroattiva incida su atti già emanati e, originariamente, conformi al paradigma
normativo, ma risultanti oramai in contrasto con la nuova disciplina; derivata: ricorre quando
l'annullamento di un atto che costituisce il presupposto di un altro atto; parziale: solo una
parte del provvedimento è illegittima e, di conseguenza annullabile, salvo che eliminandola non
sia più possibile configurare come tale l'atto amministrativo.

11. I vizi di legittimità del provvedimento amministrativo

I vizi della legittimità sono: 

a)  l'incompetenza (relativa): è il vizio che consegue alla violazione della norma di azione
(leggi, regolamenti, statuti) che definisce la competenza dell'organo. L'incompetenza può aversi
per materia, per valore, per territorio; quest'ultima ricorre solo quando un organo eserciti una
competenza di un altro organo dello stesso ente che disponga, però, di diversa competenza
territoriale, mentre ove si eserciti la competenza spettante ad organo di altro ente territoriale la
conseguenza sarà la nullità dell'atto; 
b)  la violazione di legge: sussiste quando si violi una qualsiasi altra norma di azione
generale ed astratta che non attenga alla competenza (in questo senso il vizio è
"residuale"), o al profilo soggettivo. La norma violata è una norma di azione, contenuta in una
legge o in un'altra fonte (Costituzione, normativa comunitaria, statuto, ec); 
c)  l'ecceso di potere: sussiste quando la facoltà di scelta spettante all'amministrazione non è
correttamente esercitata. Classica forma dell'eccesso di potere è lo sviamento, che ricorre
quando l'amministrazione persegua un fine differente da quello per il quale il potere le è stato
conferito.
La giurisprudenza ha elaborato una serie di figure, dette figure sintomatiche, le quali sono,
appunto, il sintomo del non corretto esercizio del potere in vista del suo fine; tra queste violazione
della prassi, manifesta ingiustizia (sproporzione tra illecito e sanzione), contraddittorietà tra
più parti dello stesso atto o tra più atti, disparità di trattamento di situazioni simili, vizi della
motivazione (dubbiosa, apodittica, contraddittoria, purché sia presenta altrimenti l'atto è nullo),
violazione delle norme interne (sono norme non operanti per l'ordinamento generale, non aventi la
natura di norme giuridiche e destinate a disciplinare solo i rapporti interni, sicché la loro
violazione non da luogo alla violazione di legge), violazione delle circolari interne (è un atto non
avente carattere normativo, mediante la quale l'amministrazione fornisce indicazioni in via
generale ed astratta in ordine alle modalità cui dovranno comportasi in futuro i propri dipendenti
ed i propri uffici), nonché della prassi amministrativa (è il comportamento costantemente tenuto
da un'amministrazione nell'esercizio di un potere).

12. La motivazione di provvedimenti ed atti amministrativi

Ai sensi del l’art 3, c. 1, I. 241/90, "ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli


concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale,
deve essere motivato"; fanno eccezione gli atti normativi e gli atti a contenuto generale. La
motivazione deve indicare "i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato
la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell'istruttoria". In particolare,
l'amministrazione dovrà motivare se disattende le rappresentazioni dei privati interessati e
deve dar conto delle risultanze istruttorie. Da questo punto di vista si giustifica l'esclusione
54
della motivazione per gli atti normativi e quelli amministrativi generali preceduti da istruttoria
ai sensi del l’art 13 I. 241/90). Il dovere della motivazione è soddisfatto il provvedimento
richiama altro atto che contenga esplicita motivazione e questo sia non disponibile (motivazione
per relationem). Il difetto di motivazione configura violazione di legge.

13. I vizi di merito e l'irregolarità del provvedimento

L'illegittimità del provvedimento per vizi di merito si verifica nei casi un cui la scelta
discrezionale confligge con i criteri non giuridici di opportunità e di convenienza. È
l'ordinamento che stabilisce quando l'inopportunità di un provvedimento è sindacabile con gli
strumenti del controllo di merito (oramai superato), l'annullamento in via di autotutela, i ricorsi
amministrativi (gerarchici e in opposizione) e quelli giurisdizionali (giurisdizione di legittimità).
Il vizio di merito determina l'annuIlabilità del provvedimento.
L'atto irregolare, pur essendo difforme dal diritto, non è illegittimo, né inefficace (es.
mancata indicazione nel provvedimento dell'autorità e del termine per presentare eventuale
ricorso).

14. Procedimenti di riesame dell'atto illegittimo:conferma, annullamento, riforma,


convalida

II procedimento di riesame ha, ad oggetto, l'esame di precedenti provvedimenti o di fatti


equipollenti (silenzio significativo) sotto il profilo della validità.
Il provvedimento che viene adottato allorché l'amministrazione verifichi l'insussistenza di
vizi nell'atto sottoposto a riesame viene definito come atto di conferma o atto confermativo.
Altro provvedimento è quello di convalida, provvedimento di riesame a contenuto conservativo
posto in essere dall'amministrazione competente ad emanare l'atto viziato o da quella
gerarchicamente superiore. L'amministrazione rimuove il vizio che inficia il provvedimento di
primo grado e pone in essere una dichiarazione che espressamente riconosce il vizio (es. per
incompetenza) ed esprime la volontà di eliminarlo, sempre che tale vizio possa essere rimosso.
Diversa dalla convalida è la sanatoria, la quale ricorre quando il vizio dipende dalla mancanza,
nel corso del procedimento, di un atto endoprocedimentale la cui adozione spetta ad un soggetto
diverso dall'amministrazione competente ad emanare il provvedimento finale. L'atto può essere
sanato da un intervento tardivo che dà luogo alla sostanziale inversione dell'ordine
procedimentale.
L'annullamento d'ufficio (o annullamento in sede di autotutela) è il provvedimento
mediante il quale si elimina un atto invalido e vengono rimossi ex tunc, ossia retroattivamente
e, dunque, a partire dal momento della emanazione, gli effetti prodotti. La legge 241/90 specifica
che al fine di agire legittimamente bisogna dare comunicazione agli interessati dell'avvio del
procedimento di autotutela. Si noti che la produzione degli effetti retroattivi dell'annullamento
può essere impedita dall'esistenza di situazioni già consolidate non suscettibili di
rimozione o la cui rimozione confliggerebbe con il principio di buona fede o di affidamento
ingenerato in capo a chi, sul presupposto della legittimità dell'atto, vi abbia dato esecuzione.
Il potere di annullamento può essere esercitato senza limiti di tempo, anche se l'eccessivo
decorso del tempo, rapportato all'affidamento ingenerato nei terzi, può causare l'illegittimità del
relativo atto; il potere spetta, secondo la giurisprudenza indipendentemente da una specifica
norma espressa, all'autorità che ha emanato l'atto ovvero a quella gerarchicamente superiore.
L'ordinamento prevede il potere di annullamento ministeriale degli atti dei dirigenti per motivi
di legittimità e quello del governo, in ogni tempo, degli atti di ogni amministrazione (ad
eccezione della regione: C. Cost. n. 229/1989 in quanto sarebbe in contrasto con l'autonomia
costituzionale riconosciutagli). Il potere in esame, da scrivere a quelli di alta amministrazione, ha
carattere straordinario e può essere esercitato a tutela dell'unità dell'ordinamento.
Ove la parte annullata sia stata sostituta da altro contenuto si ha la riforma, avente efficacia
ex nunc. Le riforma può essere anche aggiuntiva quando introduce ulteriori contenuti a quello
originario. Il ministro può riformare i provvedimenti di competenza dei dirigenti.

15. Conversione, inoppugnabilità, acquiescenza, ratifica, rettifica e rinnovazione del


provvedimento

La conversione è un istituto che riguarda gli atti nulli: in luogo dell'atto nullo è da
considerare esistente un differente atto, purché sussistano tutti i requisiti di questo e risulti
55
che l'agente avrebbe voluto il secondo atto ove fosse stato a conoscenza del mancato venire in
essere del primo. Esso opera ex tunc.
L'inoppugnabilità è la condizione in cui si viene a trovare l'atto quando siano decorsi i
termini per impugnarlo.
L'acquiescenza è l'accettazione spontanea e volontaria da parte di chi potrebbe impugnarlo,
delle conseguenze dell'atto e, quindi, della situazione da esso determinata.
L'istituto della ratifica ricorre allorché sussista una legittimazione straordinaria di un
organo ad emanare, a titolo provvisorio e in una situazione di urgenza, un provvedimento che
rientra nella competenza di un altro organo, il quale, ratificando fa proprio quel provvedimento
originariamente legittimo. La rettifica riguarda, secondo la maggioranza della dottrina, atti
irregolari e consiste nell'eliminazione dell'errore.
La rinnovazione del provvedimento annullato consiste nell'emanazione di un nuovo atto,
avente effetti ex nunc, con la ripetizione della procedura a partire dall'atto
endoprocedimentale.

16. L'efficacia del provvedimento amministrativo: limiti spaziali e limiti temporali

Gli effetti che il provvedimento produce possono incontrare dei limiti territoriali, che di
norma corrispondono a quelli della competenza dell'autorità, e temporali, nel senso che, pur
sussistendo il principio secondo cui gli atti producono effetti al momento in cui sono venuti in
essere, non mancano esempi di atti ad efficacia differita (es. il termine iniziale di efficacia: fissa
il momento a partire dal quale produrranno gli effetti dell'atto. Trattasi di un momento certo
ma successivo a quello dell'emanazione dell'atto) o ad efficacia retroattiva (si pensi agli atti
retroattivi per natura come quello di annullamento).
Esistono poi atti ad efficacia istantanea (l'effetto si produce esaurendosi in un dato momento e
riguarda una isolata situazione) ed atti ad efficacia durevole o prolungata (è il caso dei piani
urbanistici e delle concessioni di servizio) che si proiettano nel tempo e attengono ad una
pluralità di comportamenti.

17. I procedimenti di revisione: proroga, revoca e ritiro del provvedimento amministrativo

L'efficacia durevole o prolungata può essere condizionata dall'adozione di provvedimenti


amministrativi posti in essere a conclusione di procedimenti, detti di revisione, aventi ad
oggetto altri provvedimenti, o meglio, la loro efficacia. Tra questi ci sono: la proroga,
provvedimento con cui si protrae ad un momento successivo il termine finale dell'efficacia di un
provvedimento durevole; la revoca, è il provvedimento che fa venir meno la vigenza degli atti ad
efficacia durevole, a conclusione di un procedimento volto a verificare se i risultati cui si è
pervenuti attraverso il precedente provvedimento meritino di essere conservati.
La revoca ha effetti ex nunc; viene disposta dall'organo che ha emanato l'atto o da quello
gerarchicamente sovraordinato.
Infine, l'art. 123 Cost. stabilisce che io statuto delle regioni regola, tra l'altro, l'esercizio del
referendum su "provvedimenti amministrativi della regione"; l'esito del referendum può
consistere nel ritiro del provvedimento con efficacia ex nunc.

18. Esecutività ed esecutorietà del provvedimento amministrativo

La esecutività di un provvedimento è l'idoneità del medesimo, legittimo o illegittimo, a


produrre automaticamente ed immediatamente i propri effetti allorché l'atto sia divenuto efficace.
Nell'ipotesi in cui il provvedimento necessiti di esecuzione, con il termine esecutorietà del
provvedimento si indica la possibilità che essa sia compiuta, in quanto espressione di autotutela,
direttamente dalla pubblica amministrazione, senza dover ricorrere previamente ad un giudice.
La problematica della esecutorietà concerne soltanto i provvedimenti che richiedono un'attività
esecutiva alla quale deve prestare la propria collaborazione il privato. Il contenuto di un
provvedimento impone al privato un comportamento di fare: ove l'obbligo di fare consti una
prestazione fungibile, può essere prevista l'esecuzione d'ufficio, ovvero l'amministrazione esegue
direttamente, con propri mezzi ma a spese di terzi, l'attività richiesta es. demolizione di un
manufatto). Se la prestazione è infungibile, l'amministrazione può procedere alla coercizione
diretta, se ammessa dalla legge e compatibile con i valori costituzionali (es. trattamento
sanitario dei malati di mente), ovvero può minacciare sanzioni per ottenere l'esecuzione spontanea.

56
19. Gli accordi amministrativi. Osservazioni generali.

La legge 241/90 consente alle amministrazioni pubbliche di concludere tra loro accordi per
disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune (art. 15, I. 241/90);
inoltre, l'art. 11 della legge citata dispone che "in accoglimento di osservazioni o proposte
presentate a norma del l’art 10, l'amministrazione procedente può concludere senza pregiudizio
dei diritti dei terzi e, in ogni caso, nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli
interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei
casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo".

20. Gli accordi tra amministrazione e privati ex art. 11,l. 7 agosto 1990, n. 241

Gli accordi tra amministrazione e privati possono essere sostitutivi dei provvedimento o
integrativi dello stesso (determinativi del suo contenuto discrezionale). L'accordo è strettamente
legato al tema della partecipazione: esso può, infatti, essere concluso "in accoglimento di
osservazioni e proposte"
Le differenza tra questi due modelli sono: l'accordo sostitutivo tiene luogo del
provvedimento, l'accordo determinativo del contenuto non elimina la necessità del
provvedimento, nel quale confluisce, sicché il procedimento si conclude pur sempre con un
classico provvedimento unilaterale produttivo di effetti, onde l'accordo ha solo effetti interinali
(fa sorgere un vincolo tra i soggetti, in particolare l'amministrazione, la quale è tenuta ad
emanare un provvedimento del tenore dell'accordo); inoltre, il primo tipo di accordo è ammesso
solo nei casi previsti dalla legge, l'altro può essere sempre concluso; solo gli accordi sostitutivi
sono soggetti ai medesimi controlli previsti per i provvedimenti, mentre nel caso di accordi
determinativi del contenuto discrezionale del provvedimento, il controllo, ove previsto, avrà ad
oggetto il provvedimento finale.
Gli accordi, diretti in ogni caso a perseguire l'interesse pubblico, debbono essere stipulati, a
pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga diversamente. Le controversie in
materia di formazione, conclusione ed esecuzione sono riservate alla giurisdizione esclusiva;
l'amministrazione può recedere unilateralmente dall'accordo "per sopravvenuti motivi di
pubblico interesse", corrispondendo un indennizzo al privato in relazione agli eventuali
pregiudizi verificatisi a danno dello stesso. Agli accordi si applicano, ove non diversamente
previsto, i principi del codice civile in materia obbligazioni e contratti in quanto compatibili.

21. I contratti di programma e gli accordi tra amministrazioni

I contratti di programma indicano gli atti mediante i quali soggetti pubblici e privati
raggiungono intese mirate al conseguimento di obiettivi comuni, li termine indica, anche, il
disciplinare relativo ad alcuni servizi.
Tra amministrazioni gli accordi sono impiegati come strumenti per concordare lo svolgimento di
attività in comune. Sono tali gli accordi disciplinati dall'art. 15,1. 241/90 (v. par. 19); sì
osservano, in quanto applicabili, le norme del l’art 11, commi 2, 3, 5, I. 241/90 (esclusa la
prescrizione sul recesso).

22. In particolare: gli accordi di programma

Particolari accordi tra amministrazioni, destinati ad essere approvati da un provvedimento


amministrativo formale, sono gli accordi di programma. Un importante esempio è contenuto
nel l’art 34 T.U. enti locali, il quale recita: "per la definizione e l'attuazione di opere, di
intervento o di programmi di interventi che richiedono, per la loro completa realizzazione,
l'adozione integrata e coordinata di comuni, province e regioni, di amministrazioni statali e di
altri soggetti pubblici o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della regione
o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente
sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un
accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il
coordinamento delle azioni e per determinare i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro
connesso adempimento".
Rispetto alla norma base costituita dall'art. 15 l. 241/90, gli accordi di programma di cui al
T.U. enti locali si caratterizzano per la specificità dell'oggetto, il carattere fortemente discrezionale
57 
che li permea, per il loro contenuto di regolamentazione dell'esercizio dei poteri delle
amministrazioni interessate, nonché per un notevole grado di dettaglio della discipline cui sono
assoggettati.

58
Capitolo VIII
OBBIGAZIONI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DIRITTO C O M U N E

1. Il regime giuridico delle "obbligazioni pubbliche" tra diritto comune e deviazioni


pubblicistiche

Con riferimento alle obbligazioni a carica della pubblica amministrazione si parla, in dottrina,
di obbligazioni pubbliche (accezione ambigua, atteso che le obbligazioni, comunque sorte, sono
sottoposte alla disciplina privatistica). Contratto, fatto illecito ed altri fatti o atti di cui al l’art
1173 c.c. sono fonti di obbligazioni anche per la pubblica amministrazione.

2. I contratti della pubblica amministrazione

Gli enti pubblici godono della capacità giuridica di diritto privato e, quindi, possono utilizzare gli
strumenti di diritto comune per svolgere la propria azione e conseguire i propri fini. Tra
questi strumenti c'è il contratto disciplinato dal diritto privato ma, altresì, dalle regole del
diritto amministrativo. L'interesse pubblico rileva con una serie di importanti conseguenze sul
piano del procedimento: l'espressione "evidenza pubblica" utilizzata per descrivere il
procedimento amministrativo che accompagna la conclusione dei contratti della pubblica
amministrazione, indica, appunto, il fatto che questa fase deve svolgersi in modo da
esternare l'iter seguito dall'amministrazione, anche al fine di consentirne il sindacato. Norma
fondamentale in materia di contratti è la legge di contabilità dello Stato (r.d. 2440/1923) e dal
relativo regolamento, dalla legge di unificazione in materia di lavori pubblici (l. 224/1865 ali. F,
in gran parte abrogata dal d.p.r. 554/1999).

2.1. Le principali scansioni del procedimento ad evidenza pubblica: la deliberazione di


contrattare e il progetto di contratto

Il procedimento ad evidenza pubblica si apre con la determinazione di contrattare (o


determinazione a contrattare), ovvero con la predisposizione di un progetto di contratto; tali atti
predeterminano il contenuto del contratto, la spesa prevista ed individuano la modalità di scelta
del contraente.
I capitolati generali del contratto definiscono "le condizioni che possono applicarsi
indistintamente ad un determinato genere di lavoro, appalto o contratto e le forme da seguirsi
per le gare"; non hanno carattere normativo (secondo la giurisprudenza), quindi l'efficacia
risiede nell'adesione data loro dalle parti (e, cioè, dal richiamo del contratto al capitolato).
Natura regolamentare ha, invece, il capitolato generale d'appalto dei lavori pubblici, approvato
con d.m. lavori pubblici 19 aprile 2000 n. 145.
Anche i capitolati speciali non hanno carattere normativo; essi riguardano le "condizioni che si
riferiscono più particolarmente all'oggetto proprio del contratto" e, quindi, pongono parte della
regolamentazione contrattuale, Una funzione consultiva alla stesura dei capitolati e delle
questioni relative alla progettazione e all'esecuzione delle opere pubbliche è svolta
dall'avvocatura dello Stato e dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (non è più richiesto il
controllo sul progetto del contratto da parte della Corte dei Conti)

2.2. La scelta del contraente e l'aggiudicazione

La scelta del contraente può avvenire attraverso l'asta pubblica, la licitazione privata, la
trattativa privata e l'appalto concorso. L'asta è obbligatoria per i contratti dai quali derivino delle
entrate per lo Stato (contratti attivi), salvo che per circostanze particolari non sia opportuno far
ricorso alla licitazione; i contratti passivi (attraverso i quali l'amministrazione si procura delle
spese) sono preceduti da gara mediante pubblico incanto o licitazione privata, a giudizio
discrezionale dell'amministrazione. La trattativa privata è utilizzabile solo in casi eccezionali.
L'asta pubblica è il pubblico incanto aperto a tutti gli interessati che posseggono i
requisiti fissati nel bando, mentre la licitazione privata è la gara caratterizzata dal fatto che
ad essa sono invitate a partecipare soltanto le ditte che, in base ad una valutazione
preliminare, sono ritenute idonee a concludere il contratto.
II procedimento di gara si articola nelle fasi della pubblicazione del bando di gara e della
presentazione delle offerte (cui segue la valutazione delle offerte, la scelta della migliore e
l'aggiudicazione) ove si tratti di asta, mentre la licitazione si svolge di norma con le seguenti
59 
scansioni: avviso o bando (ivi vengono indicati i requisiti di qualificazione), richiesta di invito da
parte degli interessati, invito a partecipare rivolto dalla stazione appaltante agli interessati,
valutazione delle offerte, scelta della migliore, aggiudicazione (atto amministrativo con cui viene
accertato e proclamato il vincitore da parte del soggetto che presiede l'asta o la licitazione). I
processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono, per ogni legale effetto, al contratto.

2.3 Appalto­concorso, trattativa privata e servizi in economia

Nei casi tassativamente indicati dalla legge, l'amministrazione può impiegare l'appalto­
concorso: l'ente richiede ai privati di presentare progetti tecnici e le condizioni alle quali essi
siano disposti ad eseguirli (importo, modalità di esecuzione). Una commissione procede alla
valutazione tecnica delle offerte cui segue la contrattazione con il concorrente prescelto, nel
corso della quale possono concordarsi aggiunte e miglioramenti rispetto all'ipotesi originaria. A
differenza di quanto accade nell'asta pubblica e nella licitazione privata, ove l'offerta avviene
sulla base di un progetto già predefinito, cui l'offerta contiene il progetto particolareggiato. La
partecipazione al concorso può essere aperta o ristretta sulla base di inviti. Il vincolo sorge
solo con la stipula del contratto.
In altri casi, tassativamente indicati, può essere impiegata la trattativa privata (in caso di
gara andata deserta, nelle ipotesi di urgenza o quando sul mercato vi sia un unico soggetto in
grado di stipulare il contratto): dopo aver interpellato, se ciò sia ritenuto conveniente, più
persone o ditte, si tratta con una di esse. A differenza del pubblico incanto e della licitazione
privata, la trattativa non si chiude con un formale processo di aggiudicazione, in quanto il vincolo
sorge solo con la stipula del contratto.

2.4. Stipulazione, approvazione, controllo ed esecuzione del contratto

Il contratto della pubblica amministrazione deve essere concluso per iscritto, anche se non
attiene a beni immobili. La stipulazione non è necessaria nell'ipotesi in cui vi sia stata
l'aggiudicazione che tiene luogo del contratto: essa può seguire ai fini riproduttivi ed è, comunque,
obbligatoria, oltre che nelle ipotesi di trattativa privata, quando siano necessarie ulteriori
precisazioni, ovvero quando sia stata prevista nell'avviso di gara o dalla legge. L'esecuzione del
contratto può essere subordinata ad approvazione da parte dell'autorità competente (che non può
essere la parte che ha stipulato il contratto); il rifiuto di approvazione può esserci (ipotesi
giurisprudenziali) quando ricorrono dei vizi di legittimità della procedura o l'inesistenza
della copertura finanziaria, gravi motivi di interesse pubblico, eccessiva onerosità del prezzo
ecc. I decreti di approvazione dei contratti dello Stato sono sottoposti a contrailo preventivo della
Corte dei conti, fase che impedisce, fino alla sua conclusione, la esecuzione del contratto.
Questo controllo si differenzia rispetto a quello posto in essere in occasione dell'approvazione del
contratto in quanto è svolto da un organo esterno (e non già interno) all'amministrazione
procedente. Il contratto è efficace dopo la conclusione ed il perfezionamento degli eventuali
procedimenti di approvazione e controllo.

2.5. Vizi del procedimento amministrativo e riflessi sulla validità del contratto

Quando si annullano atti amministrativi relativi alla procedura appena descritta (in via
giurisdizionale o di autotutela), l'effetto dell'annullamento si riflette sulla validità del contratto:
la sezione IV del Consiglio di Stato, con ord. 3355/2004, occupandosi di un contratto stipulato a
seguito di un'aggiudicazione illegittima, ha ritenuto il contratto nullo per violazione delle norme
imperative, osservando come l'aggiudicazione abbia la duplice natura di atto amministrativo
conclusivo della procedura ad evidenza pubblica e di accettazione della proposta, con la
conseguenza che la sua demolizione priva il contenuto dell'elemento essenziale dell'accordo.
In materia di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi strategici e di
preminente interesse nazionale, il decreto ( d. Igs. 190/2002) che la disciplina sancisce che la
sospensione o l'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle
infrastrutture non determina la risoluzione del contratto stipulato.

2.6. Cenni alla normativa sui lavori pubblici: appalti e concessioni

I lavori pubblici sono "le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione,


restauro e manutenzione di opere e impianti, anche di l'esilio e di difesa ambientale e di
60
ingegneria naturalistica" (art. 2, co. 1, I. 109/1994). Questi lavori possono essere realizzati
esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione dei lavori pubblici, fatto salvo il
caso dei lavori in economia ammessi sino all'importo di 200.000 ecu. Il contratto di appalto è
disciplinato dalla I. 2248/1865, ali. F, la quale, accanto a poteri analoghi a quelli esercitabili nel
rapporto scaturente dall'ordinario contratto di appalto, riconosce alla parte pubblica una serie di
poteri peculiari, tra cui il diritto di rescindere il contratto, quando l'appaltatore si renda
colpevole di frode o di grave negligenza e contravvenga agli obblighi e alle condizioni stipulate
(art. 340), e di risolverlo in qualunque tempo. La materia in esame è soggetta anche alla
normativa comunitaria, che si applica ai contratti di importo superiore ad una determinata
soglia(la direttiva 93/37/CEE, modificata dalla numero 78/200/Ce
La concessione, infine è utilizzabile solo quando il contratto abbia ad oggetto, oltre che
l'esecuzione, anche la gestione dell'opera.

1.7. Cenni agli appalti di forniture, agli appalti di servizi e agli appalti nei cd. settori
esclusi

La normativa comunitaria è intervenuta a disciplinare anche altre fattispecie contrattuali che


superino determinate soglie di valore. Tra queste l'appalto di forniture, regolamentato dalla
direttiva Cee 93/36, dal d. Igs. 358/1992, come modificato dal d. Igs. 402/1998: trattasi di contratti
a titolo oneroso aventi per oggetto l'acquisto, la locazione finanziaria, la locazione, l'acquisto a
riscatto con o senza opzioni per l'acquisto, conclusi per iscritto tra un fornitore e una delle
amministrazioni o enti aggiudicatori" (art. 2, d. Igs. 358/1992). Altra fattispecie gli appalti di
servizi (v. direttiva 92/50/CEE, direttiva 97/52/ Ce e d. Igs. 157/95 modificato dal d. Igs. 65/2000),
contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed
un'amministrazione aggiudicatrice, aventi ad oggetto le prestazioni di servizi indicati in due
appositi allegati. La normativa comunitaria disciplina anche appalti relativi ai settori
dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni (cd. settori esclusi), mercati
"naturalmente chiusi" in quanto le autorità nazionali concedono diritti speciali od esclusivi solo
ad alcuni soggetti operanti in questi ambiti.

3. Gestione d'affari, arricchimento senza causa e pagamento di indebito

Fattispecie che possono costituire fonti di obbligazioni a carico dell'amministrazione sono: la


gestione di affari: disciplinata dagli art. 2028­2032 c.c, l'istituto può applicarsi
all'amministrazione quando un terzo gestisca affari di spettanza del soggetto pubblico e
l'utilità della gestione sia accertata con un atto di riconoscimento da parte dell'amministrazione
(presupposto, quest'ultimo, indicato dalla giurisprudenza); arricchimento senza causa ex art. artt.
2041­2042 c.c: i casi che interessano sono quelli in cui il soggetto arricchito è l'amministrazione;
pagamento di indebito (indebito oggettivo): articolo 2033 c.c.

4. La responsabilità civile dell'amministrazione e dei suoi agenti: l'art. 28 Cost. e la


responsabilità extracontrattuale

L'art. 28 Cost. dispone che "i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono
direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in
violazione di diritti"; "in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti
pubblici".
Per l'estensione della responsabilità (intesa come solidale) è necessario che tra la pubblica
amministrazione e l'agente intercorra un rapporto di servizio. Il richiamo alle leggi civili,
lacunosamente contenuto nell'articolo in esame con l'indicazione del solo requisito della "lesione di
diritti", può essere integrato facendo riferimento, per quanto riguarda gli altri requisiti, all'art.
2043 c.c, che prevede la condotta (comportamento attivo o passivo imputabile all'agente), il
danno, ossia un pregiudizio economico o comunque valutabile in termine economici la dolosità o
colposità della condotta, il nesso di causalità tra condotta e danno.

5. La disciplina posta dal legislatore ordinario: il tu. degli impiegati civili dello Stato
(d.p.r. 3/1957)

II d.p.r. 3/1957 sancisce, all'art. 22, la. personale responsabilità dell'impiegato "che cagioni ad
altri un danno ingiusto", definendo ingiusto il danno "derivante da ogni violazione dei diritti dei
61
terzi commessa con dolo o colpa grave". Appare chiaro che questa disciplina, discostandosi da quella
comune, è rivolta ad alleggerire la responsabilità civile dei funzionari e dei dipendenti pubblici
sostituendo il requisito della colpa di cui all'art. 2043 c.c con quello della colpa grave, di assai
più difficile prova da parte del danneggiato. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte
Costituzionale, n. 2/1968, ha statuito che detta norma è costituzionalmente legittima in quanto
non nega totalmente la responsabilità del funzionario ne esclude quella dello Stato (o
comunque dell'ente pubblico), con ciò ammettendo che qualsiasi legge, anche amministrativa,
può disporre una disciplina diversa da quella delle "leggi civili" più favorevole all'impiegato e
all'ente da cui egli dipende, purché non l'annulli in toto.

6.I riflessi di tale disciplina su dottrina e giurisprudenza: la responsabilità diretta della pubblica
amministrazione e la responsabilità dei suoi funzionari e dipendenti

Nel contesto venutosi a creare dopo la sentenza sopra descritta, fu rafforzata la tesi della
responsabilità diretta o per il fatto proprio della pubblica amministrazione, da ricondursi ad
una fattispecie di illecito diversa da quella dell'art. 28 Cost sulla responsabilità della persona
fisica agente. Tale fattispecie viene individuata in quella prevista dal l’art. 2043 c.c. che
prevede la responsabilità per colpa dell'uomo medio. Questo orientamento è stato abbandonato
con la sentenza n. 500/1999 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, ove è affermato che il
giudice dovrà effettuare una indagine estesa alla valutazione della colpa, non del funzionario
agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della pubblica amministrazione
intesa come apparato, che sarà configurabile "nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto
illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di
imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione
amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono
limiti esterni alla discrezionalità". Di conseguenza, quando la colpa deriva da un'attività
materiale dell'ente pubblico è sufficiente la colpa dell'uomo medio (per i dipendenti è invece
richiesta la colpa grave) e quando il danno deriva dall'emanazione di un atto amministrativo è
richiesta la colpa "dell'apparato".

7. I recenti indirizzi ampliativi della responsabilità della pubblica amministrazione. In


particolare: la responsabilità precontrattuale

Tra le norme del codice civile che la giurisprudenza ha applicato alla pubblica
amministrazione in materia di responsabilità, ci sono quelle della responsabilità precontrattuale
per violazione degli artt. 1337 (buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto) e
1338 (dovere di comunicare all'altra parte cause di invalidità del contratto) c.c.

8. Il problema del risarcimento degli interessi legittimi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 500/1999, ha riconosciuto la risarcibilità, sempre


negata, degli interessi legittimi, risarcibili quando "l'attività illegittima della pubblica
amministrazione abbia determinato la lesione di un bene della vita al quale l'interesse legittimo,
secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega e che risulti meritevole
di protezione alla stregua dell'ordinamento".
La Corte precisa che il diritto al risarcimento del danno è "distinto dalla posizione giuridica
soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto che può avere, indifferentemente, natura
di diritto soggettivo, di interesse legittimo o di interesse comunque rilevante per
l'ordinamento" onde la relativa questione si presenta come questione di merito, perché la
situazione soggettiva lesa non deve essere valutata ai fini della giurisdizione.
L'art. 35, co. 5, d. Igs. 80/98, come modificato dalla I. 205/2000, consente al giudice
amministrativo, nell'ambito della sua giurisdizione, di "conoscere anche di tutte le questioni
relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma
specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali" (questioni che prima di detta legge
rientravano nella competenza del giudice ordinario); questa norma ha creato la questione se con
l'espressione "diritti patrimoniali consequenziali" il giudice amministrativo (al di fuori di quello
esclusivo) conosca di questi diritti soltanto se risultano essere consequenziali all'annullamento
dell'atto o ogni volta che le questioni attinenti al risarcimento dei danni siano connessi
all'emanazione di atti amministrativi, a prescindere dall'annullabilità di questi ultimi (così si è
espresso il Consiglio di Stato con ord. 10180/2004).
62
Infine, la Corte di Giustizia delle Comunità europee ammette la responsabilità dello Stato
per danni causati al singolo da violazione del diritto comunitario.
9. La responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione

La responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione nasce dalla violazione di un


rapporto obbligatorio già vincolante tra le parti, sorto in virtù di un contratto, ex lege, per atto
unilaterale o da un precedente fatto illecito (obbligazione di risarcimento). L'inadempimento
dell'obbligazione assunta con il rapporto fa sorgere la responsabilità, ex art. 1218 c.c, in capo alla
sola amministrazione (non verso il dipendente, il cui dovere d'ufficio sussiste solo verso la pubblica
amministrazione e la cui violazione sarà semmai, fonte di responsabilità amministrativa nei
confronti dell'ente), unica obbligata. Si discute se la responsabilità dell'amministrazione per
l'emanazione (o mancata emanazione) un provvedimento amministrativo sia fonte di
responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale, quella cioè che ha come fonte un
fatto illecito, costituito dalla violazione del generale obbligo del neminem laedere (visto nei
paragrafi precedenti).
La Cassazione nella sent. n. 500/1999 parla di responsabilità extracontrattuale, che in
genere si riferisce a tutte le situazioni in cui non preesiste un particolare rapporto tra
danneggiato e danneggiante, mentre altri voci sembrano propendere per la responsabilità da
contatto amministrativo qualificato, collegato alla violazione di obblighi cd. di protezione
esistenti in capo all'amministrazione. La sussistenza di un contatto (in primo luogo in forza del
procedimento) tra amministrazione e privato comporta, secondo questa tesi, il sorgere di alcuni
obblighi "senza prestazione" in capo all'amministrazione, la cui violazione determina una
responsabilità per alcuni versi assoggettata al regime di cui all'art. 1218 c.c. (onere della prova
relativo all'elemento psicologico).

10. La responsabilità amministrativa e la responsabilità contabile

La responsabilità amministrativa è la responsabilità in cui può incorrere la persona fisica


avente un rapporto di servizio con un ente pubblico, la quale, in violazione dei doveri da tale
rapporto derivanti, abbia cagionato un danno alla sua (e/o anche ad altra) pubblica
amministrazione.
L'art. 82 r.d. 2240/1923 (recante disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla
contabilità generale dello Stato) sancisce la responsabilità dell'impiegato, il quale è tenuto a
risarcire il danno cagionato allo Stato tramite azione od omissione, anche solo colposa (v. però
infra), nell'esercizio delle sue funzioni. Se l'impiegato ha agito per un ordine "va esente da
responsabilità, salvo la responsabilità del superiore che ha impartito l'ordine", mentre è
responsabile se ha agito per delega.
L'art. 83, r.d. cit, assoggetta a sua volta i dipendenti di cui sopra alla giurisdizione della
Corte dei conti, li rapporto di servizio è alla base di questa responsabilità, che sorge dalla
violazione dei doveri od obblighi di servizio. La legge 639/1996, modificando l'art. 1,1. 20/1994,
stabilisce che la responsabilità in materia di contabilità pubblica è limitata ai fatti o alle
omissioni commesse con dolo o colpa grave. Chiaramente dalla suddetta violazione deve
derivare un danno all'amministrazione.
La I. 20/1994 rubricata "Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
Conti", con le successive modifiche apportate dalla I. 639/1996, introduce una disciplina
della responsabilità amministrativa uniforme per tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione
della Corte dei Conti (antecedentemente i dipendenti dello Stato avevano un trattamento diverso
da quello dei dipendenti degli enti locali). Le novità introdotte sono le seguenti: carattere
personale della responsabilità e trasmissibilità del debito agli eredi secondo le leggi vigenti nei
casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi
stessi; la responsabilità è imputata solo a coloro che hanno espresso voto favorevole nelle
deliberazioni degli organi collegiali; limitazione della responsabilità ai fatti ed alle azioni od
omissioni dolose o commesse con colpa grave; se il fatto dannoso è cagionato da più parti, la
condanna a ciascuno per la parte che vi ha preso, valutate le singole responsabilità: i (soli)
concernenti che abbiano agito con dolo o abbiano conseguito un illecito arricchimento sono
responsabili in solido; la Corte dei conti giudica sulla responsabilità degli amministratori e dei
dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti diversi
da quelli di appartenenza; l'azione di risarcimento del danno si prescrive decorsi cinque anni
dal fatto dannoso o, in caso di occultamento, dal giorno della sua scoperta, il giudice contabile
esamina anche la responsabilità contabile degli "agenti", cioè di coloro che maneggiano denaro e
63
valori pubblici e che sono tenuti al rendiconto, cioè all'obbligo di documentare i risultati della
gestione effettuata e, quindi, di rendere conto dei beni e dei valori di cui abbiano disposto,
dimostrando le diverse operazioni svolte nel corso della gestione.

11. Obbligazioni e servizi pubblici

Una tradizionale attività che svolge l'amministrazione è quella diretta ad erogare prestazioni
di servizi ai cittadini. Per servizio pubblico si intende la complessa relazione che si instaura
tra soggetto pubblico, che organizza una offerta pubblica di prestazioni, rendendola doverosa,
ed utenti; tale relazione ha ad oggetto le prestazioni di cui l'amministrazione garantisce,
direttamente o indirettamente, l'erogazione, al fine di soddisfare in modo continuativo i bisogni
della collettività di riferimento.
Il servizio pubblico è assunto dalla soggetto pubblico con legge o con un atto generale, rendendo
doverosa la conseguente attività; a questa fase segue quella della sua erogazione (cioè la
concreta attività volta a fornire prestazioni ai cittadini), che, spesso prevede l'intervento anche
di soggetti privati, intervento che non elimina il carattere pubblico del servizio in quanto oggetto
di assunzione da parte di un soggetto pubblico. Di recente è stato introdotto l'impiego del "contratto
di servizio" quale strumento per disciplinare i rapporti tra amministrazione e soggetto esercente.
L'erogazione del servizio avviene attraverso società di capitali scelte attraverso una gara, a
società con capitale misto pubblico privato, nelle quali il socio privato viene scelto attraverso
l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, o interamente pubbliche, a condizione
che l'ente pubblico titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività
con l'ente pubblico che la controlla.
Esistono diverse tipologie di servizi pubblici: la Costituzione, art. 43, parla di servizi pubblici
essenziali e negli art 33, 34, 38 dei servizi di istruzione e di assistenza, la legge, riferendosi agli
enti locali, si occupa dei servizi indipendenti e a quelli "ritenuti necessari per lo sviluppo della
comunità". I servizi sociali, poi, sono caratterizzati dall'essere finalizzati alla tutela e alla
promozione del benessere della persona, doverosità della predisposizione degli apparati pubblici
necessari per la loro gestione e assenza del divieto per i privati di svolgere siffatta attività.
Nella normativa recente è apparsa la definizione di servizio universale, "insieme minimo
definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a prescindere dalla loro
ubicazione geografica e...a un prezzo accessibile", definizione elaborata nell'ambito comunitario.

12. Adempimento delle obbligazioni pubbliche e responsabilità patrimoniale


dell'amministrazione

Le obbligazioni pecuniarie pubbliche sono soggette alla disciplina di diritto comune e a quella
pubblicistica, in particolare alle disposizioni sulla contabilità pubblica che, oltre a porre il
principio secondo cui tutte le spese debbono trovare copertura, prevedono un minuzioso
procedimento, che inizia con la comunicazione agli uffici di ragioneria dell'atto dal quale deriva
l'obbligo di pagare una somma, per la registrazione dell'impegno e si chiude con il pagamento della
somma.
Le più importanti deroghe alle regole civilistiche si hanno in materia di luogo e tempo
dell'adempimento; inoltre lo Stato, ma non il privato, può operare compensazioni tra propri crediti
e debiti. Si ritiene inapplicabile l'art. 1181 c.c, sicché il creditore privato non può rifiutare un
adempimento parziale.
Istituto peculiare del diritto pubblico è il fermo amministrativo, disciplinato dall'art. 69 della
legge di contabilità dello Stato: "qualora un'amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi
titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni,
richiesta la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento
definitivo".

64
Indicazioni di studio per l'esame di Diritto amministrativo

Compendio di diritto amministrativo. E. Casetta

Capitolo I: il capitolo introduce nozioni di carattere generale, in particolare sul significato ed i


contenuti del diritto amministrativo.

Capitolo II: studiare il capitolo con attenzione in quanto in esso vengono descritti i principi
costituzionali della pubblica amministrazione.

Capitolo III: il capitolo descrive i criteri attraverso i quali si può qualificare un ente come pubblico
e la disciplina che, conseguentemente, si applica ad un ente pubblico. Tra gli argomenti trattati
sono anche importanti le relazione che intercorrono tra gli organi di un ente pubblico, il
rapporto di servizio ed il rapporto organico, nonché il regime dei beni che appartengono allo Stato.

Capitolo IV: gli argomenti trattati nel capitolo vanno tutti studiati con molta attenzione,
in particolare le modifiche apportate alla Costituzione.
Capitolo V: argomento fondamentale trattato nei capitolo è il concetto di interesse legittimo, le
differenze tra interesse legittimo e diritto soggettivo. Importante anche l'elencazione, ivi descritta,
dei poteri di cui è titolare la pubblica amministrazione e dei provvedimenti, che in base a detti
poteri, può porre in essere.

Capitolo VI: capitolo di fondamentale importanza da studiare tutto con attenzione.

Capitolo VII: capitolo fondamentale

Capitolo VIII: gli argomenti di maggior importanza descritti nel capitolo sono la responsabilità
della pubblica amministrazione, dei suoi agenti nonché la risarcibilità degli interessi legittimi.

65 
Questionario di diritto amministrativo : 

• II principio di legalità 
• II principio di sussidiarietà 
• Buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione 
• Funzionario di fatto 
• Espropriazione per pubblica utilità 
• Provvedimenti ablatori 
• Amministrazioni indipendenti 
• II silenzio della pubblica amministrazione 
• Le fasi del procedimento amministrativo 
• Le ordinanze 
• I vizi del provvedimento amministrativo 
• I principi della legge 241/90 
• L'obbligo della motivazione 
• Le conferenze di servizi 
• Rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione 
• II sindaco 
• Gli organi della Provincia 
• II diritto di accesso 
• Gli interessi legittimi 
• II risarcimento degli interessi legittimi 
• II responsabile del procedimento amministrativo 
• La partecipazione al procedimento amministrativo 
• I controlli

66 

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