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Il giovane Marx: La radice delle cose
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Il giovane Marx: La radice delle cose

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«Essere radicale vuol dire cogliere le cose alla radice e la radice delle cose è l’uomo», così il venticinquenne Marx nella Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel (1843) riassumeva il senso di un programma teorico e di un impegno personale che avrebbero scandito anche gli anni della maturità e della vecchiaia: rimettere nel giusto verso il mondo capovolto dagli idealisti, criticare l’economia politica che nascondeva l’origine e le cause dello sfruttamento, fondare l’umanesimo nuovo di una società diversa, essere sempre rivoluzionari fino alla fine. Nei suoi primi trent’anni di vita, Marx (1818-1883) porta in fondo la resa dei conti con la filosofia speculativa e la critica dell’economia politica, pone le fondamenta delle opere della maturità, è costantemente protagonista delle lotte dei lavoratori e delle agitazioni rivoluzionarie di quegli anni, fino alla stesura del Manifesto del partito comunista e alle rivoluzioni che sconvolgeranno l’Europa nel 1848. La denuncia del lavoro alienato, la critica della naturalità dei bisogni, la falsa coscienza delle ideologie, la critica dello Stato: molto del pensiero e delle intuizioni del giovane Marx continua ad essere di grande attualità.
LanguageItaliano
PublisherJaca Book
Release dateMay 26, 2021
ISBN9788816802919
Il giovane Marx: La radice delle cose
Author

Giulio Marcon

Nato a Roma nel 1959 e laureato in Filosofia con una tesi sulla nascita del Welfare State in Gran Bretagna, Giulio Marcon è stato negli anni Ottanta segretario generale per l’Italia del Servizio Civile Internazionale e negli anni Novanta portavoce dell’Associazione per la Pace e presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. Ha fondato l’associazione Lunaria ed è stato fino al 2013 portavoce della campagna Sbilanciamoci. Ha insegnato Politiche Sociali e Terzo Settore nelle università di Urbino e Cosenza. È stato deputato e membro della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati.

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    Il giovane Marx - Giulio Marcon

    INTRODUZIONE

    Assistiamo in questi anni a una riscoperta di Marx e del suo pensiero¹.

    Le ragioni di questa riscoperta non sono solo di carattere editoriale, con la ristampa di molte opere, o celebrativo (nel 2018 abbiamo ricordato i 200 anni dalla nascita di Marx e i 170 anni dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista), ma riguardano anche l’attualità del suo pensiero di fronte alle trasformazioni del capitalismo di questi anni. La vittoria del neoliberismo ha originato un aumento vertiginoso delle diseguaglianze, la svalorizzazione del lavoro, la progressiva mercificazione del mondo, inedite condizioni di asservimento e di sfruttamento. L’espressione «lavoro servile» è tornata a essere utilizzata anche per definire le condizioni del lavoro nell’Occidente, nei Paesi più sviluppati. Lo stesso si può dire per l’espressione dei «working poor», un fenomeno che riguarda una parte crescente della manodopera mondiale.

    Il capitolo Borghesi e proletari del Manifesto del partito comunista (1848) è un’efficace descrizione, con largo anticipo, di molte caratteristiche e condizioni della globalizzazione neoliberista degli ultimi anni. Le pagine dei Manoscritti economico-filosofici del 1844, che Marx scrisse a 26 anni e in particolare i capitoli dedicati al denaro, al lavoro alienato, ai bisogni sono l’efficace raffigurazione di una società – quella attuale – disumanizzata, capovolta, dominata da potenze esterne ed estranee che producono sfruttamento e schiavitù.

    Il revival attuale riguarda anche la figura del giovane Marx. Nel 2018 è uscito il film di Raoul Peck, Il giovane Karl Marx, una pellicola che – con un certo rigore nella ricostruzione storica – ci mostra cinque anni della vita di Marx (dal 1843 al 1848), da 25 a 30 anni, dall’impegno politico e giornalistico nella «Gazzetta Renana» alla stesura con Engels del Manifesto del partito comunista nel 1848. Sono gli anni in cui il giovane Marx – già dotato di un fascino indiscutibile – si forgia nell’intransigenza rivoluzionaria e nella generosità dell’impegno disinteressato, rinunciando a una prevedibile carriera borghese e alla sicurezza economica, che gli mancherà del resto per tutta la vita.

    L’adolescenza a Treviri Di fronte alle scelte della vita

    Karl Marx nasce a Treviri il 5 maggio del 1818. Il padre² – con cui manterrà un intenso dialogo fino alla sua precoce morte – è un procuratore legale di famiglia benestante. Ha origine ebraiche. Il nonno e il bisnonno paterni erano stati rabbini della città, il nonno materno lo era stato della città olandese di Nijmegen. La madre, di origine olandese, è una donna senza particolari aperture mentali e con la quale il figlio non coltiverà mai un rapporto profondo. Una zia del ramo familiare di Karl aveva sposato Lion Philips³, il nonno del fondatore della futura industria di radio e televisori.

    Treviri è la città più antica della Renania, che per quasi 20 anni (dal 1795 al 1814), dopo le guerre napoleoniche, è annessa alla Francia. Questo le permette di beneficiare della ventata di novità e di progresso che spira da oltre il Reno: l’Illuminismo, la laicità, le idee rivoluzionarie. Dalla Francia non arrivano solo le idee, ma anche la spinta a provvedimenti concreti come l’abolizione della servitù della gleba, delle decime dovute alla Chiesa, dell’ordine gerarchico tra nobili, borghesi e contadini, l’uguaglianza giuridica tra i cittadini. Marx, come ebreo, è minoranza in una città cattolica che è a sua volta minoranza in un paese protestante. La città sembra avere dei tratti claustrofobici. Così la descrive Goethe: «All’interno delle mura è ingombra, o per meglio dire oppressa, da chiese, cappelle, chiostri, collegi, case generalizie di ordini cavallereschi e di comunità monastiche, al di fuori è bloccata o, per meglio dire, assediata, da abbazie, fondazioni religiose, certose»⁴.

    Da ragazzino Marx è già molto irrequieto. La figlia Eleonor scrive che le zie «mi hanno spesso raccontato che da adolescente il Moro era un terribile tiranno. Le faceva galoppare a rotta di collo giù dal Marxberg a Treviri, e ciò che era ancora peggio, pretendeva che mangiassero le focacce che egli impastava con le mani sudicie e con una pasta ancora più sudicia. Ma esse acconsentivano a tutto senza protestare perché Karl, per ricompersarle, sapeva raccontare delle storie meravigliose»⁵. Da grande sarà il Moro – il soprannome di Marx in età adulta per la sua carnagione scura – a essere tiranneggiato dai più piccoli⁶.

    A Treviri Marx frequenta fino al 1835 il Friederich-Wilhelm-Gymnasium⁷ diplomandosi con una tesi dal sapore illuministico che ha per titolo: Considerazioni di un giovane in occasione della scelta di una professione. Nel 1835 frequenta l’università a Bonn, per poi trasferirsi l’anno dopo a Berlino, dove si laurea nel 1841. Nella sua città natale tornerà raramente. Morto il padre prematuramente, in vita la madre alla quale non è legato, di Treviri gli rimarrà la futura moglie, l’affascinante Jenny von Westphalen⁸. Jenny e Karl si fidanzano assai presto, nel 1836, all’insaputa dei genitori. Karl ha 18 anni, Jenny 22. Jenny proviene da una famiglia nobile e politicamente importante di Treviri e della Renania. L’unione è osteggiata dai genitori. Ricorda ancora la figlia Eleanor: «Com’è facile immaginare, i genitori di Karl si opponevano al fidanzamento di un giovane di quella età; le espressioni di contrizione contenute nella lettera (quella spedita al padre nel 1837, ndc) e lo zelo con cui protesta al padre il suo affetto malgrado gli aspri contrasti si spiegano con le violente scenate causate dalla notizia del fidanzamento. Mio padre, del resto, soleva dire che a quel tempo egli era un vero Orlando Furioso. Ma ben presto la cosa si aggiustò; e poco prima o poco dopo il compimento dei suoi diciott’anni il fidanzamento venne formalmente accettato»⁹. Jenny fu poi la compagna di tutta la sua vita – adorata da Karl, una donna dalle notevoli qualità umane e intellettuali, completamente dedita al matrimonio, ai figli, alla causa rivoluzionaria. Racconta Stephan Born¹⁰: «Marx si inammorò di lei, e lei ricambiò la sua passione. Quell’amore superò tutte le prove di una lotta durata tutta la vita. Raramente ho conosciuto un matrimonio così felice. In esso esisteva una comunione perfetta, nella gioia e nel dolore (il secondo assai più della prima), e ogni sofferenza veniva superata nella consapevolezza della più perfetta appartenenza dell’uno all’altra. Raramente ho conosciuto una donna così armoniosa, sia nell’aspetto esteriore, sia nel cuore e nell’animo, una donna che sapeva conquistare fin dal primo incontro con la signora Marx»¹¹. Nonostante ciò Jenny era gelosissima di Marx e aveva, per questo motivo, momenti di scoramento. Marx ebbe molti anni dopo il matrimonio un figlio dalla fedele domestica di una vita, Helene Demuth¹², figlio di cui Jenny ufficialmente non seppe mai; solo in punto di morte Engels ne confessò l’esistenza a Eleonor. Karl Marx aveva avuto in gioventù un ottimo rapporto con il padre di Jenny, Johann Ludwig von Westphalen¹³, funzionario di stato e professore universitario a Berlino, tipico rappresentante della classe tedesca colta e liberale. Il padre di Jenny è un «uomo affascinante e dalla mente aperta» che gli legge Omero e Shakespeare e stimola i primi interessi di Marx per Saint-Simon¹⁴. Proprio al padre di Jenny, Marx dedica la sua Dissertazione di laurea.

    Già nelle Considerazioni di un giovane in occasione della scelta di una professione e nella lettera al padre del 1837 – prima di avere abbracciato qualsiasi passione rivoluzionaria e politica – si scorge nel giovane Marx una particolare tensione spirituale e filosofica, la ricerca di una realizzazione personale che si identifica con valori spirituali ed etici; una ricerca esigente, non scontata. Nella lettera al padre, Marx rivendica la scelta di abbandonare gli studi in giurisprudenza, cui il padre lo aveva spinto, a favore della filosofia del diritto, perché «senza la filosofia non si viene a capo di nulla». Marx in questa lettera è ben consapevole delle scelte cui già si trova di fronte: «Vi sono momenti nella vita che, come segnali di frontiera, concludono un periodo ormai trascorso, ma al contempo indicano con certezza una nuova direzione. In simili momenti di transizione sentiamo il bisogno di contemplare con l’occhio d’aquila del pensiero il passato e il presente, per giungere così alla coscienza della nostra stessa reale situazione». Nel tema liceale di due anni prima, Marx sembra quasi inconsapevolemente prevedere il destino che gli si presenta: «Non sempre noi possiamo abbracciare la professione alla quale ci crediamo chiamati: i nostri rapporti nella società sono già cominciati prima che noi si sia in grado di determinarli»¹⁵.

    Dall’università all’inizio del distacco da Hegel Dopo la critica del cielo la critica della terra

    A Bonn trascorre i primi tempi dell’università all’insegna della goliardia, tra bevute nei locali e avventure da scapestrato con i suoi compagni. Studia giurisprudenza, poi filosofia. Partecipa a un’associazione di giovani poeti che compongono canzoni rivoluzionarie. Fa baldorie e viene arrestato per ubriachezza e schiamazzi notturni. Marx in questo periodo prende in giro Hegel per l’oscurità e l’ambiguità del suo linguaggio. Così in un suo epigramma:

    Parole insegno, mischiate in modo demoniaco, ingranaggio confuso,

    ognuno ne pensi poi ciò che gli piace pensare…

    … in Hegel noi ci siam studiando immersi

    della sua estetica ancora non ci siam… purgati¹⁶

    Nel 1836 Marx si trasferisce da Bonn a Berlino. Qui – pur non dimenticando del tutto le puntate nelle birrerie e nei locali – si laurea nel 1841 con una dissertazione sulle Differenze tra il materialismo in Democrito ed Epicuro. Partito da Kant e Fichte, approda a Schelling e poi, partecipando alle riunioni del Club dei dottori, si avvicina a Hegel e alla sua filosofia, che ricollega in qualche modo all’Illuminismo e alla potenza della «ragione sovrana». Nella tesi di laurea Marx vede il materialismo come un modo per liberarsi dalla paura degli Dei e da ciò che sta al di là della natura. Marx scorge nel materialismo di Democrito l’assenza di un «principio energico», che si limita a fare della realtà – come ha ricordato Mehring¹⁷ – «forma di oggetto o di intuizione, non soggettivamente, non come prassi, come attività umana sensibile»¹⁸. In Epicuro Marx vede il più grande illuminista greco e, pur sottolineando le anomalie, quasi le pazzie della visione naturalistica della sua filosofia, ne evidenzia l’anelito alla libertà individuale, fuori dal determinismo di Democrito. È interessante ricordare che, secondo Lukács, nella Dissertazione, Marx pone – anche se in modo non lineare – il rapporto dialettico e speculare tra filosofia e mondo: la realizzazione della filosofia «è al tempo stesso la sua perdita, che, ciò che essa combatte verso l’esterno è la sua propria interiore deficienza… La sua liberazione del mondo dalla non filosofia è al tempo stesso la sua liberazione dalla filosofia che essa, in quanto sistema determinato aveva incatenato»¹⁹.

    Fino alla stesura della tesi di laurea e subito dopo, Marx è fortemente condizionato dalla filosofia di Hegel (il filosofo di Stoccarda muore nel 1831 a Berlino, quando Marx ha 14 anni), orientandosi verso la corrente dei cosiddetti giovani hegeliani o della sinistra hegeliana (Feuerbach, Bauer, Stirner), dalla quale mutua l’idea dell’autocoscienza libera e autonoma dai condizionamenti religiosi: un passo verso la critica della religione come alienazione umana. Il distacco da Hegel è progressivo. Prima la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1843), poi i Manoscritti economico-filosofici del 1844 rappresentano i passaggi fondamentali della critica radicale della dialettica hegeliana e della filosofia idealistica. Proprio Galvano della Volpe ricorderà il periodo tra il 1843 e il 1844 come un passaggio fondamentale nella formazione di Marx nella critica della filosofia speculativa e della dialettica hegeliana. È utile ricordare che, se nel corso del tempo Marx arriverà a trattare in modo caustico, spesso irriverente e con disprezzo, gli epigoni di Hegel e anche i suoi vecchi compagni della sinistra hegeliana, verso Hegel avrà sempre il massimo rispetto, soprattutto per la scoperta e l’uso della dialettica, che Marx capovolgerà grazie al materialismo storico.

    Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico²⁰ (1843)²¹ Marx rovescia l’impostazione hegeliana che inverte il soggetto e il predicato: è la società a fondare lo Stato e non viceversa. La Critica è importante non solo per la contestazione e il ribaltamento dell’idealismo hegeliano, ma anche per le considerazioni sul rapporto tra Stato e società civile. Come risultato della modernità (a differenza delle epoche precedenti), tra Stato e società civile vi è scissione, contraddizione, opposizione. Alla veste formale e astratta dello Stato corrisponde specularmente il grumo di interessi concreti ed egoistici della società civile. Nello Stato si può essere eguali, pur rimanendo diseguali nella società. Lo Stato è un’astrazione senza verità: per Marx è l’incarnazione di uno «spiritualismo politico» che nasconde il più «crasso materialismo». Marx in questo testo vede Hegel non tanto, non solo, come l’ideologo della Restaurazione – interpretazione spontanea ma superficiale –, ma come l’ideologo dello Stato borghese. Hegel tratteggia cioè i contorni di uno Stato moderno che realizza l’astratta eguaglianza di cittadini generici legittiman-do gli interessi privati ed egoistici delle persone in carne e ossa nella società civile²².

    Nalla Critica vi è l’elogio della democrazia in cui Marx vede l’autodeterminazione del popolo: «I francesi hanno inteso questo così: che nella democrazia lo Stato politico perisca». In questo «perisca» potrebbe esserci l’influsso dei socialisti e dei comunisti francesi, in particolare di Fourier, di Cabet e del suo comunismo utopistico. Nella Critica Marx contrappone la democrazia alla monarchia, dando alla prima il valore di «genus della costituzione»: nella democrazia si dispiega pienamente il senso della costituzione politica, la sua vera attuazione. La democrazia è così contenuto e forma nello stesso tempo, universale e particolare, mentre la monarchia, alterando il contenuto, può essere solo forma. Mentre nella democrazia è il popolo che crea la costituzione, nella monarchia è esattamente l’opposto²³. È sempre presente la critica – evidente l’influsso di Feuerbach – del capovolgimento tra soggetto e predicato, tra la realtà e l’idea: «Hegel parte qui dallo Stato e fa dell’uomo lo Stato soggettivato; la democrazia, parte dall’uomo e fa dell’uomo, lo Stato oggettivato»²⁴. E ancora: «L’oggettività – dice Hegel – è nella verità soltanto come persona. Anche questa è una mistificazione. La soggettività è una determinazione del soggetto, la personalità una determinazione della persona. Invece di concepirle come predicati dei loro soggetti, Hegel fa indipendenti i predicati e li lascia poi tramutarsi, in guisa mistica, nei loro soggetti»²⁵.

    Marx sembra mirare – ed è questo un aspetto di grande contemporaneità – alla ricomposizione del sociale con il politico. Ha ricordato Stefano Petrucciani a questo proposito: «Se la politica è il momento in cui la società determina se stessa, essa deve articolarsi come un’attività di autoregolamentazione del sociale che lo innerva dall’interno e dal basso, non come una sfera separata che domina il sociale dall’alto senza dominarlo realmente»²⁶. Si tratta di riflessioni di grande importanza, di fronte agli attuali sforzi di ripensare la politica attraverso processi di autodeterminazione del sociale (pensiamo alla dimensione della sussidiarietà e della nozione di pubblico non statale) nei processi della decisione politica.

    L’inizio dell’impegno politico La «Gazzetta Renana», gli «Annali franco-tedeschi»

    All’esordio del suo impegno politico, Marx già esprime la luce fortissima della genialità intellettuale e dell’acutezza filosofica. Così nel 1841 Moses Hess²⁷ scrive entusiasticamente a Berthold Auerbach²⁸: «Il dottor Marx, così si chiama il mio idolo, è giovanissimo (avrà al massimo 24 anni), ma darà il colpo di grazia alla religione e alla politica medievali. Egli unisce alla più profonda serietà filosofica, l’arguzia più tagliente. Immagina Rousseau, Voltaire, Holbach, Lessing, Heine e Hegel uniti in una sola persona (e dico uniti, non messi insieme alla rinfusa) e avrai Karl Marx»²⁹.

    Nell’autunno del 1842 Marx incontra nella sede della «Gazzetta Renana», Friederich Engels, tedesco di Barmen, figlio di un industriale che aveva la sua attività tessile a Manchester. Il primo incontro rasenta la freddezza e non è incoraggiante. Ma Engels aveva già un’enorme considerazione di Marx. Prima di conoscerlo gli aveva dedicato questo sonetto:

    Chi incalza dietro con veemenza selvaggia?

    Un tipo nero di Treviri, un mostro di forza.

    Non cammina, non saltella, ma balza sui talloni

    imperversa pieno di furore, come se volesse afferrare

    l’ampia volta celeste e tirarla sulla terra,

    con le sue braccia, vaste tese nell’aria³⁰.

    In questi anni gli studi filosofici si accompagnano alla fortissima passione politica che si manifesta nel lavoro della «Gazzetta Renana» (che aveva come sottotitolo: di politica, commercio e industria), voluta da un gruppo di industriali benestanti e liberal-progressisti, giornale che avvia le sue pubblicazioni il 1° gennaio 1842. All’inizio il giornale tratta di questioni come i dazi doganali, le misure per l’industria, i progressi del commercio. Nella primavera del 1842, con l’entrata in forze dei giovani hegeliani, il giornale assume tratti radicali e molto critici verso la politica e la monarchia prussiana. La «Gazzetta» raggiunge in poco tempo gli ottomila abbonati e si fa interprete di un radicalismo liberale anti-prussiano. A maggio Marx pubblica il suo primo articolo e nell’ottobre del 1842 ne diventa il direttore. Marx e la «Gazzetta» sfidano il maglio della censura e della repressione prussiana, che porterà alla chiusura definitiva il 31 marzo del 1843.

    Per il giornale, Marx scrive una trentina di articoli tra cui i Dibattiti sulla libertà di stampa e sulla pubblicazione delle discussioni alla Dieta e Dibattiti sulla legge contro i furti di legna in cui discute con argomentazioni giuridiche la legittimità della proprietà privata di fronte al diritto consuetudinario popolare della proprietà comune della legna secca caduta al suolo, a salvaguardia della povera gente. È il suo primo articolo su un tema sociale: affronta i temi della proprietà privata e il ruolo del denaro, cui l’umanità sembra dare il senso di una nuova divinità, mentre è solo la forma di una nuova alienazione³¹. È utile ricordare che in questo articolo Marx utilizza un argomento proudhoniano, e infatti si chiede: «Se qualunque offesa alla proprietà, senza distinzione, senza specificazioni, è furto, non sarebbe da dirsi furto ogni proprietà privata? Colla mia proprietà privata non escludo io tutti gli altri da questa proprietà? Non ledo in tal modo il loro dirittto di proprietà?»³². Marx sviluppa in questo articolo argomentazioni prevalentemente di carattere giuridico: questo il limite di fronte a questioni sociali e politiche da risolvere in ben altro modo. Non si poteva ben sperare di cambiare in punta di penna l’autoritarismo del regime prussiano.

    Negli articoli sulla censura Marx ricorda che la vicenda della libertà di stampa non è solo una specifica e particolare vicenda della libertà in generale: censurare la libertà di stampa significa negare la libertà in sé. «Ogni forma di libertà presuppone le altre, come ogni membro del corpo presuppone gli altri. Ogniqualvolta viene posta in discussione una determinata libertà, è la libertà stessa che viene posta in discussione»³³. Per capire quale fosse la situazione della censura in Prussia basti ricordare che lo stesso censore che si occupava della «Gazzetta Renana» aveva bloccato un annuncio pubblicitario della Divina Commedia di Dante perché «il divino non è materia adatta alla commedia»³⁴. In questo articolo Marx mette in luce come la libertà si identitichi completamente con la natura, l’essenza dell’uomo. Nessuno in realtà vuole negare la libertà, perché non la negherebbe mai a se stesso ed è per questo che la libertà c’è sempre, ma può vivere o come diritto o come privilegio³⁵. In questo e in altri articoli sulla «Gazzetta Renana», Marx assegna allo Stato un ruolo positivo, come il garante dell’interesse generale contro gli interessi particolari, rappresentante della ragione. Nell’affrontare i dibattiti parlamentari sulla censura e sui furti della legna, Marx sembra anticipare il sarcasmo verso quel «cretinismo parlamentare» di cui parlerà esplicitamente in Rivoluzione e controrivoluzione in Germania³⁶.

    Marx in questo periodo vede crescere in sé un impeto rivoluzionario, ribelle, verso l’ordine esistente. Così Lukács vede questo momento di impegno politico giovanile a partire dal 1842-1843 attraverso la «Gazzetta Renana» e la collaborazione alle altre testate, fino al 1844: «Il procedere in avanti del deciso giacobino dalla simpatia verso le masse popolari sofferenti e oppresse alla comprensione del ruolo universalmente rivoluzionario del proletariato fu nel giovane Marx identico alla sua evoluzione filosofica che, dal tentativo di uno svolgimento ulteriore della dialettica hegeliana in senso radical-rivoluzionario, portò al suo capovolgimento materialistico»³⁷.

    Chiusa la «Gazzetta Renana», Marx intraprende con Arnold Ruge³⁸ l’avvio di una nuova avventura editoriale, gli «Annali franco-tedeschi». Prima, nel giugno del 1843 sposa Jenny e successivamente si trasferisce a Parigi, dove per due settimane coabita con Ruge e moglie. Della rivista vedrà la luce un solo numero doppio (nel febbraio del 1844) sul quale Marx pubblica il saggio (diviso in due parti) Sulla Questione ebraica in polemica con il suo vecchio amico e sodale Bruno Bauer³⁹. Lo scritto offre il pretesto per affrontare questioni ben più ampie: il rapporto tra emancipazione politica ed emancipazione umana, tra Stato e società civile, tra i diritti del cittadino generico e quelli dell’uomo socialmente e storicamente determinato: l’operaio, l’artigiano, il contadino. Ciò che Marx contesta è la dicotomia tra un’eguaglianza politica, formale e generica, e l’ineguaglianza sociale e concreta. La politica qui rappresenta la sfera dell’apparenza, una dimensione illusoria di eguaglianza, di fronte alla realtà sociale della concreta diseguaglianza. Così, l’emancipazione politica è solo un movimento parziale, limitato, che lascia le cose come stanno: «Solo quando l’uomo reale, individuale riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali, è divenuto ente generico, soltanto quando l’uomo ha riconosciuto le sue forces propres come forze sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza politica: soltanto allora l’emancipazione umana è compiuta»⁴⁰. Marx infine critica la libertà negativa, la libertà da, basata «sull’isolamento dell’uomo dall’uomo» (il diritto all’egoismo), mentre l’orizzonte non può che essere la libertà positiva, la libertà di, fondata «sul legame dell’uomo con l’uomo».

    Gli «Annali» contengono anche la pubblicazione del carteggio tra Marx, Ruge e Feuerbach con Bakunin⁴¹. Fino a questo momento l’influenza di Feuerbach su Marx è relativa. Proprio in una lettera a Ruge del 13 marzo del 1843, Marx sottolinea che Feuerbach «fa troppo riferimento alla natura e troppo poco alla politica». Lukács evidenzia come già in questo momento Marx stia andando oltre Feuerbach, proponendo «l’ampliamento della materialistica spiegazione del mondo dalla natura ai rapporti sociali», mettendo in pratica già da ora «il superamento dell’astratta concezione antropologica feuerbachiana dell’uomo» con la costruzione delle fondamenta del materialismo storico⁴². Nel carteggio, in una lettera a Ruge, Marx afferma: «Apparirà chiaro come da tempo il mondo possieda il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere la coscienza per possederla realmente»⁴³. Per Marx era necessario portare avanti «la critica spregiudicata di tutto ciò che esiste»: non si trattava di anticipare in modo dogmatico il nuovo mondo, ma farlo nascere dalla critica del vecchio. Se Marx era ancora un liberale nel 1842, l’anno seguente avrebbe sposato la causa della democrazia radicale per approdare nel 1844 al comunismo. Nel frattempo il governo prussiano diede incarico alla polizia di arrestare Marx, Ruge, Heine appena avessero messo piede in Prussia. La rivista concluderà subito dopo il primo numero le sue pubblicazioni anche per la crescente idiosincrasia tra Ruge, rimasto liberale, e Marx, sempre di più orientato verso il comunismo. L’altro scritto per la rivista – Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione – rappresenta un’esplicita resa dei conti con Hegel e la sua dialettica capovolta. La critica del cielo si trasforma in critica della terra. Nella Introduzione Marx scopre la vocazione universale del proletariato: «Nella formazione di una classe con catene radicali, una classe della società civile che non sia una classe della società civile, una classe che sia la dissoluzione di tutte le classi, una sfera che, per la sua sofferenza universale, possieda un carattere universale e non rivendichi un diritto particolare, poiché non ha subìto un torto particolare, bensì l’ingiustizia di per sé, assoluta, una classe che non possa più appellarsi a un titolo storico, bensí al titolo umano, che non si trovi in contrasto unilaterale con le conseguenze, ma in contrasto totale con tutte le premesse del sistema politico tedesco, una sfera, infine, che non possa emancipare se stessa senza emanciparsi da tutte le altre sfere della società, emancipandole di conseguenza tutte, e che sia, in una parola, la perdita completa dell’uomo e possa quindi conquistare nuovamente se stessa soltanto riacquistando completamente l’uomo. Questa decomposizione della società, in quanto classe particolare, è il proletariato»⁴⁴. In questo scritto Marx scandisce, con una certa enfasi retorica, la necessità inderogabile – quasi di segno kantiano – di un impegno che porterà avanti per tutta la vita, quello di cambiare il mondo: «l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole»⁴⁵. Marx in questo periodo professa un umanesimo radicale e – contro l’idealismo – porta fuori l’uomo dall’astrattezza del sapere speculativo riconducendolo al mondo, alla storia, alla società.

    Chiusa l’esperienza degli Annali, Marx partecipa a un’altra esperienza giornalistica, nel 1844: scrive per l’«Avanti» («Vorwarts») e pubblica un articolo – Glosse critiche all’articolo di un prussiano – sulla rivolta dei tessitori slesiani, in risposta polemica a un articolo di Ruge, che aveva criticato la rivolta per la mancanza di visione politica. Contro la svalutazione della rivolta dei tessitori della Slesia, Marx ricorda che ogni rivoluzione sovverte la società precedente e, in quanto implica il rovesciamento del potere esistente, dei vecchi rapporti, è un atto politico. Ormai la rottura tra Ruge è irreparabile: Ruge rimane un liberale, radicale, filo-illuminista, mentre Marx procede verso il materialismo storico e il comunismo. È a Parigi che Marx studia incessantemente i classici dell’economia politica: Smith, Ricardo, Say, De Sismondi. Per lui è iniziato un periodo di grandi letture, ma anche di molti progetti editoriali e di scrittura di lavori filosofici. Racconta Ruge (in una lettera a Max Duncker)⁴⁶: «Marx voleva scrivere una critica del diritto naturale hegeliano dal punto di vista comunista; poi si mise in testa di scrivere una storia della Convenzione e infine una critica di tutti i socialisti. Vuole sempre scrivere sulle cose che ha appena finito di leggere, ma poi ricomincia sempre a leggere e a prendere appunti. Eppure penso che, prima o poi, riuscirà a portare a termine un’opera lunghissima e astrusissima, in cui riverserà alla rinfusa tutto il materiale che ha ammucchiato»⁴⁷. Quello che Ruge non poteva sapere – ai tempi di questa lettera – è che Marx aveva già scritto la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico e i Manoscritti economico-filosofici (entrambe le opere furono pubblicate postume, la prima nel 1927 e la seconda nel 1932). E non poteva prevedere che le opere successive – in primis Il Capitale – non furono opere di materiale «alla rinfusa» e «ammucchiato», ma caratterizzate da un’organizzazione della materia stringente, scientificamente e metodologicamente ordinata, e soprattutto di indubbia chiarezza espositiva⁴⁸.

    La scoperta dell’economia politica. Il comunismo umanistico I manoscritti economico-filosofici del 1844

    La scoperta e la critica dell’economia politica – dopo gli studi parigini con la fine dell’esperienza degli Annali franco-tedeschi – trovano forza per la prima volta nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Si tratta di tre quaderni dove accanto all’analisi e alla critica di aspetti fondamentali dell’economia come il salario, la proprietà privata, la divisione del lavoro, compare anche una critica approfondita e incalzante della dialettica hegeliana. Nei Manoscritti abbiamo delle parti (alcuni sono solo dei frammenti) dedicate al denaro, ai bisogni, al lavoro estraniato fortemente permeati da un tratto umanistico. Un’analisi rigorosa e stringente evidenzia la dipendenza dell’uomo da forze esterne e astratte, che riducono quello che è un rapporto sociale (la merce, il denaro) in cose, forze fantasmagoriche cui l’uomo soggiace. Nei Manoscritti troviamo il nocciolo dell’analisi della società capitalistica basata sullo sfruttamento e la riduzione del lavoro a merce. Marx – per la prima volta – discute e critica approfonditamente e in modo serrato l’economia politica, confrontandosi con le teorie e le opere di Say, Smith, Ricardo, Mills⁴⁹ e con alcuni concetti fondamentali che poi saranno sviluppati nelle opere successive: salario, profitto, capitale, divisione del lavoro, proprietà privata, merce, denaro, alienazione. L’attualità e la modernità dei Manoscritti sono state evidenziate da Donaggio e Kammerer nella postfazione ai Manoscritti, edita nel 2019 da Feltrinelli: «Proliferano infatti oggi patologie sociali che i Manoscritti hanno descritto, nelle pagine penetranti, non sempre difficili e persino commoventi, sull’estraniazione e sull’alienazione»⁵⁰.

    I Manoscritti saranno pubblicati quasi 90 anni dopo dalla loro stesura, nel 1932, e susciteranno l’attenzione di chi ne apprezzerà la vena umanistica ed etica del critico dell’alienazione e della teoria dei bisogni, aspetti che saranno ripresi non solo da scrittori ed esponenti delle correnti esistenzialiste del secondo dopoguerra, ma anche da correnti filosofiche (come la Scuola di Francoforte) e da pensatrici come Agnes Heller che – raccordandosi ai movimenti giovanili e antiautoritari della fine degli anni ’60 – svilupperano nelle loro opere le analisi dei bisogni e dell’alienazione nella moderna società capitalistica. I Manoscritti rappresentano un crocevia teorico importante per il giovane Marx che sviluppa insieme la critica dell’economia politica e la critica della dialettica hegeliana⁵¹. Marx vede come la critica della dialettica hegeliana e la critica dell’economia politica procedano di pari passo e conducano ad analoghi risultati: l’alienazione dell’uomo con la forma estraniata delle relazioni sociali e la naturalità di leggi date per immutabili, la supposta razionalità dell’esistente. A questo ultimo riguardo Marx riconosce nei Manoscritti i meriti di Hegel nell’avere visto la generazione dell’uomo come un processo, l’oggettivazione come una contrapposizione, «l’uomo oggettivo, l’uomo vero perché reale, come il risultato del suo proprio lavoro». Tutto questo però dentro un processo astratto, dove l’alienazione viene superata solo spiritualmente, non nella vita reale. Per Marx, a differenza di Hegel, non si tratta di superare l’oggettività come tale, ma l’oggettività estraniata. Il confronto critico (duro, ma rispettoso) con Hegel – e in particolare con la dialettica – rimarrà una costante del suo percorso intellettuale, fino alla stesura del Capitale.

    L’umanesimo sociale di Marx si basa sull’analisi storica ed economica in cui sono presi come oggetto i rapporti sociali reali, storicamente determinati. Non si tratta semplicemente di capovolgere il rapporto tra soggetto e oggetto, ma di dare a entrambi le caratteristiche di forze e rapporti determinati, in cui i meccanismi economici di produzione plasmano i rapporti sociali, i comportamenti e le idee. In questo senso, dai Manoscritti, risulta evidente che oggetto dello studio di Marx non è la società o l’economia in generale, nelle sue caratteristiche astratte o come categorie ideali, ma una determinata società e una determinata economia, storicamente connotata, quella capitalistica. Anche senza essere esposta, la dottrina del materialismo storico comincia qui a prendere forma; prende vita nello stesso tempo in modo esplicito la prospettiva del comunismo, come la dimensione sociale e comunitaria di un’umanità liberata, come la riapproprazione dell’uomo della sua natura sociale. Per usare l’espressione di Erich Fromm, dalla dimensione dell’avere – che caratterizza il capitalismo – alla piena dimensione dell’essere. Si propone una visione di liberazione integrale, economica e sociale, umana dal dominio delle merci e dall’alienazione. Per Marcuse, nei Manoscritti, e più

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