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SILVIA PEDONE

ERGOMOUZAIKA: ALCUNE NOTE SUL MICROMOSAICO DI PRODUZIONE BIZANTINA TRA XIII E XIV SECOLO

Con il termine ergomouzaika1 si vuole indicare, seppure con qualche libert linguistica, la particolare tecnica artistica del micromosaico prodotto in area bizantina in un arco cronologico piuttosto circoscritto che va dal tardo XI secolo al XIV2. Lambiguit terminologica tuttavia solo uno degli aspetti ancora irrisolti che riguarda la raffinata tecnica artistica che riunisce insieme le peculiarit formali del mosaico, le difficolt tecniche e il gusto ricercato delloreficeria, la funzione cultuale delle icone portatili, nonch il valore simbolico di status e prestigio sociale3.
1 Il termine trae il suo pi antico riferimento dal De Cerimoniis (Bonn, I: 582), in particolare nel passo che descrive il pentapyrghion, vale a dire il mobile turrito in cui limperatore bizantino custodiva le sante reliquie. Oltre ai preziosi oggetti di culto, si fa riferimento anche ai cosiddetti ergomouka, termine che per non ha trovato una pi precisa traduzione. NellOttocento, Jules Labarte interpreta il termine in questione come la corruzione di ergomouzakia, riferendolo, appunto, alle icone musive. Vedi J. LABARTE, Histoire des arts industriels, II, Paris 1864, p. 47. 2 Tra i primi studi sul micromosaico bizantino ricordo qui quelli di Victor Lazarev (V. LAZAREV (LASAREFF), Byzantine Ikons of the Fourteenth and Fifteenth Centuries, in BurlM, I/XI, pp. 249-261; BurlM e i molti esemplari citati nella sua Storia della pittura bizantina, Torino 1967); lampia panoramica di Sergio Bettini nellarticolo del 1938 (S. BETTINI, Appunti per lo studio dei mosaici portatili bizantini, in FR, XLVI, 1938, pp. 7-39) e i fondamentali studi di Otto Demus (O. DEMUS, Byzantinische MosaikFR miniaturen, in Phaidros, III, pp. 190 ss.; ID., Byzantine Mosaic Decoration: Aspects of Monumental Art in Byzantium, London 1948 e ID., Two Paleologan Mosaic Icons in the Dumbarton Oaks Collection, in DOP DOP, 14, 1960, pp. 87-199. Solo nel 1978 Italo Furlan pubblica un primo elenco e catalogo delle icone musive fino ad allora note (I. FURLAN, Le icone bizantine a mosaico, Milano 1979). Negli ultimi anni stato dedicato allargomento un pi cospicuo numero di contributi che ha permesso di riportare la questione delle icone musive, al centro del dibattito sulla produzione e sullo stile figurativo medio e tardo bizantino. Si vedano a tale riguardo gli studi della Krickelberg-Ptz (A.-A. KRICKELBERGPUTZ, Die Mosaikikone des Hl. Nikolaus in Aachen-Burtscheid, in AachenerK, 50, 1982, pp. 10-141) e AachenerK di Ryder (E. C. RYDER, Reception and Re-interpretation: Portative Mosaic Icons in Western Europe, in Thirtieth Annual Byzantine Studies Conference, October 28-31, 2004, The Walters Art Museum and The Conference Johns Hopkins University Baltimore, Maryland; ID., Micromosaic icons of the late Byzantine period, Ann Arperiod bor, Mich., PhD, New York University, ed infine ID., Byzantine Mosaic Icons in the Medici Collection, in The Fifty-Sixth Annual Meeting of the RSA, Venice, Italy 8-10 April 2010 (in corso di stampa). Pi recentemente, in occasione del Congresso Internazionale di Studi Bizantini, svoltosi a Sofia (Bulgaria), Italo Furlan nuovamente tornato sullargomento delle icone musive con un intervento dal titolo Les icones mosaque mediobyzantines, in Proceedings of the 22nd International Congress of Byzantine Studies (Abstracts of Round Table Comunications), Sofia, 22-27 August 2011, p. 196. 3 In molti casi questi piccoli oggetti realizzati con tessere auree o argentee appartenevano ad esponenti dellaristocrazia imperiale e allimperatore stesso. Su questo argomento si veda in particolare RYDER 2010, cit. a nota 2. Tra le icone a micromosaico appartenute o donate da ricchi membri della famiglia imperiale si ricordano qui: la ben nota icona di San Demetrio a Sassoferrato, quella delle dodici feste al Museo dellOpera del Duomo di Firenze, licona di Cristo di Galatina e infine quelle portate in Italia dal Cardinale Bessarione per salvarle dalla minaccia dellavanzata turca sui territori bizantini. Cfr. C. BIANCA, Da Bisanzio a Roma: Studi sul Cardinal Bessarione, Roma1999; M. R. MENNA, BisanBessarione zio e lambiente umanistico a Firenze, in RINASA, 53, s. III, anno XXI, 1998, pp. 111-158; D. CHERRA, Collezionismo e gusto per larte bizantina in Italia tra Trecento e Quattrocento, in Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, III, s. 3, pp. 175-204.

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su questo scenario che si collocano i circa quaranta esemplari oggi conosciuti e conservati nei principali musei europei, in alcuni tra i pi celebri monasteri bizantini o fondazioni ecclesiastiche occidentali e orientali4. Le vicende personalissime di ciascun oggetto sono state argomento di diversi studi che hanno tentato di ricostruire la vicenda storico-critica, valutandone poi lapporto innovativo in seno alla tradizione musiva su scala monumentale5. Dal punto di vista generale questi oggetti sono caratterizzati da dimensioni assai ridotte, e rappresentano il prodotto del paziente dellaccostamento di minuscole tessere doro, dargento, di pietre colorate (lapislazzuli, malachite, ardesia) o paste vitree, spesso non pi grandi di uno o due millimetri di lato, adagiate su un letto di cera o di resina6. Il valore e il pregio di queste miniature rappresentato proprio dalle dimensioni spesso poco pi grandi di un palmo di una mano. Lestrema meticolosit nella disposizione delle microtessere permette agli artisti bizantini di raggiungere effetti cromatici e pittorici paragonabili, per ricchezza e raffinatezza, sia a quelli delle pi complesse composizioni dei cicli musivi monumentali, sia a quelli della miniatura dipinta o delloreficeria, con un sorprendente gusto per la complessit ornamentale e per la finezza dei dettagli decorativi. Proprio tra gli aspetti meno valutati e considerati dalla storiografia specifica, vi sono, infatti, alcune caratteristiche formali che insistono sulla scelta di particolari schemi ornamentali che solo apparentemente assolvono un ruolo di secondo piano nelleconomia dellimmagine. Infatti, rispetto alle scelte iconografiche fissate dalla consuetudine devozionale scelte iconografiche che insistono su soggetti sacri isolati, come le figure di Cristo, della Vergine, dei Santi e dei Profeti (raffigurati stanti, assisi o a mezzo busto), o su scene evangeliche e liturgiche (il dodekaerton) lornato del fondo, delle cornici nonch delle vesti e delle aureole svolgono, a mio avviso, un importante ruolo nella creazione complessiva dellimmagine che concede pi libert allinventiva e alla capacit tecnica delle singole botteghe, di permette di esprimere un pi personale estro artistico. Lanalisi ravvicinata delle cornici o dei tappeti musivi formati da croci scalinate, elementi geometrici, motivi a scacchiera e cos via, seppur legati alla trasmissione repertoriale, costituiscono un importante elemento per stabilire dipendenze tra i singoli esemplari, oltre far intravvedere, dietro citazioni pi puntuali, addirittura la cifra stilistica di una o pi botteghe di artisti. A titolo di esempio, vale la pena osservare pi da vicino uno tra gli esemplari meno conosciuti tra quelli conservati a Roma, ovvero la piccola icona di Santa
4 Per uno schema generale con lelenco gli esemplari noti, i dati tecnici e un inquadramento cronologico si vedano: KRICKELBERG-PUTZ 1982, cit. a nota 2 e S. PEDONE, Licona di Cristo di Santa Maria in Campitelli: un esempio di musaico parvissimo in RINASA, s. III, anno XXVIII, 2005 (2010), pp. 95-131, in part. Appendice I-II, pp. 119-131. Molti di questi preziosi oggetti sono stati esposti in occasione delle pi recenti mostre internazionali dedicate alla produzione artistica bizantina (Ibidem, nota 34, a cui si deve aggiungere la pi recente esposizione dal titolo ...). 5 Per pi estesi riferimenti bibliografici si veda PEDONE 2010, passim. 6 Sebbene dal punto di vista tecnico i micromosaici differiscano totalmente dai loro pi lontani antenati di et romana, si deve tuttavia far presente che dal punto di vista degli effetti ottici e dellarditezza esecutiva esiste tra i due esempi cronologicamente distanti una certa analogia (cfr. O. M. DALTON, Byzantine art and archology, Oxford 1911, pp. 328-430; FURLAN 1979, cit. a nota 2, pp. 8-11, KRICKELBERG-PUTZ 1982, cit. a nota 2, pp. 106-107). Resta da spiegare meglio una eventuale linea evolutiva della pi antica tecnica romana che possa arrivare ad un prodotto, in realt cos diverso e assai pi complesso (opera musiva o doreficeria?) come quello delle icone bizantine. 7 Per una bibliografia specifica, vedi: C. A. ERRA, Storia della immagine e chiesa di S. Maria in Portico di Campitelli, Roma 1750, pp. 8, 115-119; A. COLASANTI, Reliquiari medioevali in chiese romane, in Dedalo, XIII, II, 1933, pp. 282-296, in part. pp. 288-295; P. F. FERRAIRONI, Santa Maria in Campitel-

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Maria in Campitelli7 (fig. 1). Nella sua attuale collocazione, al centro di una pi grande tavola lignea su cui si dispongono alcune reliquie, essa risulta scarsamente visibile, poich celata dietro un doppio vetro. Sul retro, una lamina argentea decorata, identificata come coperta di evangeliario, ne completa laspetto frutto, in realt, di un pastiche che risale al XVIII secolo, i cui elementi dovevano comunque, verosimilmente, essere gi stati assemblati molto tempo prima, anche se in un momento non meglio precisabile. Per quel che qui ci interessa specificamente, pare lecito supporre che allicona di Cristo fosse annessa, gi in antiquo, una speciale valenza storico-simbolica oltre che semantica e devozionale legata al culto che in genere si porta ai reliquiari. Sul medesimo supporto ligneo, come si diceva, sono infatti inseriti, entro quattro piccole teche ovali, diversi frammenti di reliquie (ossa, particelle di tessuto e di legno), parzialmente identificate da minuti cartigli. Ai lati del mosaico, fissati da appliques settecentesche, si dispongono verticalmente due foglietti rettangolari: a destra, ormai non pi leggibile, loriginale, di epoca non facilmente precisabile, e sul lato opposto la trascrizione moderna, la cui iscrizione sembra identificare esplicitamente la struttura con un altare portatile riferibile (o forse appartenuto) a Gregorio Nazianzeno e contenente le sante reliquie degli apostoli, dei martiri, dei confessori e delle vergini. La frammentariet del testo, registrata anche dal trascrittore settecentesco, non permette tuttavia di chiarire meglio la situazione e dunque leffettiva attendibilit dellidentificazione, che in realt potrebbe essere spuria o leggendaria, sebbene regolarmente ripetuta dalle fonti storiche. Nella parte inferiore della tavola, ai piedi del mosaico, collocata una piccola lamina metallica che doveva coprire e fissare anticamente la reliquia del sacro chiodo di Cristo. La superficie della lamina porta incisa una lunga iscrizione, poi trascritta nel 700 nel cartiglio posto nella parte superiore della tavola. Il primo a descrivere dettagliatamente laltarolo Padre Antonio Erra8, chierico dellOrdine della Madre di Dio, il quale, nella sua Storia dellImmagine e chiesa di santa Maria in Portico di Campitelli del 1750, dedica un intero capitolo allAltare portatile di san Gregorio Nazianzeno. Lattenzione probabilmente motivata dal fatto che lo stesso Erra fu testimone dellapertura dellaltare portatile e della sua risistemazione, nonch del rinvenimento del mosaico di cui, evidentemente, si era persa la memoria gi da molto tempo. La circostanziata descrizione di Erra fornisce una serie di notizie su cui varr la pena soffermarsi. In primo luogo, egli pone laccento sulla scuoperta del mosaico il che ci porta a credere che prima del 1738 gli stessi religiosi non fossero a conoscenza dellesistenza della piccola immagine. In secondo luogo, la testimonianza del sacerdote ci informa sulla condizione in cui loggetto doveva verosimilmente presentarsi prima della sua riapertura, con la lastra dargento della crocifissione che ricopriva interamente la faccia superiore delle due tavole sovrapposte, occultando cos tanto il sepolcrino delle reliquie, quanto licona musiva di Cristo.
li, Roma 1934, pp. 73-74; A. VALENTE, Intorno a un orafo del secolo XII, in BdArte, 31, 1937-1938, BdArte pp. 261-267, 1937/1938; FURLAN 1979, cit. a nota 2, p. 60; P. MONTORSI, Cimeli di oreficeria romanica. Un bronzetto modenese e due reliquiari romani, in Federico II e larte del Duecento italiano, Atti della III Settimana di Studi di Storia dellArte Medievale dellUniversit di Roma, Galatina 15-20 maggio 1978, a cura di A. M. Romanini, II, Roma 1980, pp. 127-152, in part. pp. 149-152; KRICKELBERG-PUTZ 1982, cit. a nota 2, p. 73; M. P. BERTONI, Santa Maria in Campitelli, Roma 1987; RYDER 2007, cit. a nota , 2, pp. 75-78, e da ultimo PEDONE 2010, cit. a nota 4. 8 ERRA 1750, cit. a nota 7.

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Padre Erra osserva che:


una parte del Mosaico caduta, e laltra, che molto maggiore, si conserva, bench sia staccata in pi luoghi dal suo fondo, che non pietra, ma legno; cosa veramente stupenda. Il Mosaico rappresenta Ges Cristo come indicano anco le cifre Greche a destra, e a sinistra IC, XC. Egli sta in piedi, porta in capo il diadema intersecato con la Croce, e tiene nella sinistra mano un libro serrato. La destra con la spalla e fianco non vi sono pi. Il suo manto d nel turchino e la veste nello scuro. Questo Mosaico ora coperto di cristallo invece della lastra di argento, che si collocata nella parte posteriore. A piedi di questa Effige si vede un sepolcrino coperto con lamina traforata ove stava il suddetto sacro chiodo di Cristo9.

Dalle sue parole si apprende inoltre che furono fatti fare alcuni saggi dagli Artefici, che lavoravano di Mosaico in San Pietro per assicurarsi della materia di cui era composta tale immagine e di una successiva relazione, ad oggi purtroppo non ancora ritrovata, di un suo confratello, padre Antonio Perona, circa le nuove scoperte rese possibili dallintervento di restauro. Non attualmente possibile stabilire quando e per quale motivo il piccolo mosaico venne nascosto e ricoperto con la lastra dargento sbalzata che, ancora nel 1738, era fermata con chiodetti sulla tavola superiore. Sembra comunque improbabile che loccultamento possa essere dipeso dalle cattive condizioni di conservazione dellicona, giacch la precisa testimonianza del padre Erra ci conferma che, allorch il reliquario (o laltare) venne aperto, il micromosaico del Cristo doveva risultare pressoch invisibile, evidentemente ricoperto da uno spesso strato di sporcizia. Il minuscolo mosaico (cm 19 x 11) presenta dunque limmagine frontale di Cristo (fig. 2), in piedi su un suppedaneo di profilo tondeggiante e raffinatamente decorato da un motivo a croci rosse e dorate su fondo bianco. La figura, identificata appunto in alto dai monogrammi IC e XC di cui resta oggi integro solo quello di destra (fig. 3) tiene nella mano sinistra il libro gemmato del Vangelo, formato da tessere verdi e rosse, ed atteggiato secondo uniconografia piuttosto comune, ampiamente utilizzata nella produzione di icone di et post-iconoclasta cos come nellarte suntuaria di epoca medio e tardo-bizantina. Unampia porzione sul lato sinistro della tavoletta gravemente compromessa dalla caduta delle tessere (fig. 4), cos che la cospicua lacuna permette di vedere il fondo chiaro del legno e il leggero strato di cera indurito, su cui stato tracciato, forse con uno stilo, un reticolato irregolare grosso modo corrispondente al disegno dello sfondo realizzato con le tessere nello strato superiore a mosaico. Non immediatamente chiaro a cosa potesse servire questo trattamento del supporto. improbabile, vista la grossolana irregolarit della griglia, che lartista potesse utilizzarlo come guida per la realizzazione del pattern decorativo dello sfondo; la stessa irregolarit si riscontra peraltro anche nei casi delle icone con san Giorgio di Tiblisi10 (fig. 5) e con quella di Cristo dellAthos11 (fig. 6). Forse questa tecniIbidem, pp. 115-116. Esposta la prima volta alla mostra Arte di Bisanzio nelle collezioni dellUnione Sovietica organizzata nel 1975 dallIstituto Georgiano di Storia dellArte, licona presenta una grande lacuna su gran parte della superficie lignea. Lidentificazione del santo stata possibile grazie alle poche lettere greche ancora leggibili in alto O Agios Ge(orgios) e dallabbigliamento tipico del santo-militare. Anche in questa icona il fondo campito con motivi geometrici differenti: il decoro a quadrati alternativamente rossi e verdi con motivo stellare bianco centrale, confrontabile con quello del Pantocratore dellAthos della seconda met del XIII secolo. Cfr. Furlan 1979: 59, fig. 14. 11 M. CHATZIDAKIS, HITH ??? EIKONA TOY XPIETOY ETH MYPA in Deltion, 1974, pp. 149MYPA, 157; FURLAN 1979, p. 90, fig. 36, cit. a nota 2. Licona proviene dal monastero della Grande Lavra e
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ca, evidentemente non occasionale, serviva a migliorare la tenuta della preparazione del letto di cera o di resina per la disposizione finale delle tessere musive. Lampia lacuna ha comportato la quasi completa perdita del braccio destro di Cristo, il che non ci consente di stabilire con assoluta certezza la posizione della mano, sebbene proprio i confronti con le altre quattro icone di analogo soggetto i due Pantocratori dellAthos, quello di Galatina, nonch quello della Peribleptos (oggi San Clemente) di Ocrida lascino in realt pochi dubbi circa il gesto benedicente del Salvatore. Le cadute interessano inoltre una piccola porzione della veste allaltezza del ginocchio. Labito, che, come ricorda la relazione dellErra, conservava allindomani della ripulitura del 700 ancora i toni azzurri del lapislazzulo, oggi piuttosto ingiallito dallamalgama ceroso che fu probabilmente aggiunto a protezione della superficie. In origine, labbinamento cromatico tra lazzurro del mantello, il rosso-bruno della tunica e loro delle lumeggiature, doveva essere pi spiccato e produrre un pi vivace effetto visivo. La calligrafica crisografia (fig. 7) con cui vengono stilizzate le pieghe e il disegno del panneggio ricorda, nella ricerca di nitidi contrasti, la pi antica tecnica degli smalti cloisonn. A questo proposito pu essere suggestivo il confronto con la figura del Salvatore benedicente che compare al centro della coperta di evangeliario oggi conservata alla Biblioteca Marciana di Venezia (fig. 8), che, pur risalente allet macedone, offre un chiaro esempio del tipo di effetti grafici cui gli artefici delle microicone potevano ispirarsi. Per altro verso, proprio il risalto della trama bidimensionale del disegno delle vesti ottenuto con tessere dorate richiama il lavoro di stilizzazione tipico delloricalco12. Per quanto riguarda i rapporti dellimmagine di Campitelli con le altre icone a micromosaico considerate dalla critica pi o meno coeve, le analogie pi rilevanti sembrano ravvisabili con il Cristo di Ocrida (fig. 9), con il quale effettivamente condivide, nonostante la differente iconografia (licona macedone raffigura il Pantokrator in trono), pi di un dettaglio. Oltre a una certa rigidit di postura, vanno infatti sottolineati il medesimo trattamento del panneggio, con un analogo rapporto dimensionale tra tessere dorate e disegno complessivo, nonch lidentica resa del suppedaneo, con lanalogo profilo e gli stessi motivi decorativi, e ancora il dettaglio del particolare disegno dei sandali. Questi elementi potrebbero anche far pensare a pi che una semplice consonanza stilistica e spiegarsi invece con una comune provenienza da un unico atelier. Licona di Campitelli stata datata intorno alla fine del XIII secolo, se non agli inizi del successivo, collocandola dunque nello stesso gruppo in cui figurano pure il Cristo di Galatina, quelli del Monte Athos, nonch il san Giovanni Battista di San Pietroburgo. Tuttavia, proprio un confronto ravvicinato tra queste immagini mette pure in evidenza, di l dalle consonanze, degli scarti stilistici di cui bisogna tener conto. In particolare, il mosaico romano mostra un trattamento pi rigido e meno elegante della postura, un disegno pi sommario, semplificato ed astratto della crisografia, con una disposizione delle tessere dorate che serve assai meno alla resa delle pieghe del panneggio, soprattutto in confronto con il pondus falcato e movimentato delle vesti che compare invece nelle figure del Cristo dellAthos e di Galatina. Nellicona pugliese e in quella athonita il Salvatore appare meno tetragono e animato da un leggero contrapposto, nonch sensibilmente
rappresenta il pi rovinato dei due esemplari di analogo soggetto provenienti dallAthos. Il secondo proviene invece dal monastero di Esphigmenou (ibidem, p. 89). 12 Per le porte bizantine in oricalco, ornate dalle figure sacre di Cristo di santi, profeti, ecc. si veda: Le porte del Paradiso. Arte e tecnologia bizantina tra lItalia e il Mediterraneo (Milion, 7), a cura di A. Iacobini, Roma 2009, passim.

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pi slanciato, come si pu notare pi precisamente considerando il diverso rapporto tra la misura della testa e le proporzioni del corpo. Tutti questi elementi farebbero pensare non solo a una provenienza da una diversa bottega, ma anche a una datazione leggermente pi precoce dellicona di Campitelli rispetto agli altri esemplari citati, presumibilmente intorno alla met del XIII secolo. Questo non significa, peraltro, che lesecuzione dellicona romana non mostri passaggi di notevole finezza, ad esempio nellespressione severa del volto (fig. 10), realizzato con sfumature tonali assai delicate e ottenute con luso di tessere minutissime, in modo da definire con precisione le labbra rossastre, larcata sopracciliare e lo sguardo con gli occhi rivolti leggermente verso sinistra. Ma anche dal punto di vista del parato decorativo il mosaico romano presenta soluzioni di grande ricercatezza. Merita in questo senso unattenzione particolare la decorazione dellampia aureola crucisignata, con una doppia fascia rossa, al cui interno si alternano tessere bianche, blu e dorate. Ancora pi complesso poi il motivo dello sfondo, che rappresenta quasi un unicum nel panorama delle icone musive: invece di ununiforme campitura in tessere dorate, esso presenta due differenti pattern ornamentali che giocano sulla variet cromatica delle tessere di colore verde, azzurro, rosso e bianco. Lo sfondo appunto suddiviso in due zone sovrapposte, secondo la proporzione spesso ricorrente di 2/3. Ma qui la parte superiore caratterizzata da una trama di quadrati regolari, formati dallincrocio di una duplice fila di tessere auree, alternativamente campiti con un motivo a croci rosse, verdi e blu (fig. 11). Il segmento inferiore invece decorato con un pi fitto tappeto di croci a tessere doro su un fondo blu scuro (fig. 12). Ancora differente il trattamento del bordo perimetrale, che prevede un filare continuo di tesserine verdi e un motivo scalinato che alterna i colori blu, bianco, rosso e verde (fig. 13). Proprio questa inedita ricchezza di elementi decorativi fa dellicona di Campitelli un caso esemplare, e per certi versi ineguagliato, delle istanze stilistiche che distinguono la produzione dei micromosaici allinterno della cultura figurativa bizantina. Come abbiamo gi osservato allinizio, nella creazione delle icone a micromosaico sembrano confluire, da una parte, le risorse della tecnica tradizionale degli smalti, con la loro ostentata preziosit dei materiali e il carattere astrattamente calligrafico dei motivi ornamentali, dallaltra, le possibilit di una resa cromatica e luministica tutta giocata su sottili sfumature e delicati accostamenti tonali, che sfidano i raggiungimenti della pittura e della miniatura. A tale proposito sembra davvero molto vicina alla nostra icona, per concezione e impaginato, la piccola immagine della Vergine stante posta in apertura del Tipikon di Palermo13 (fig. 14); accostabile anche per la suddivisione del fondo in 2/3 e per la scelta di un motivo decorativo a quadrati alterni colorati della parte inferiore. Non escluderei, in conclusione, che analogamente ai cosiddetti libri di modelli, potessero esistere repertori comuni alla miniatura e alloreficeria, che diffondessero alcuni dettagli decorativi, e non solo figure e iconografie, analoghi a quelli messi in opera nella piccola icona di Campitelli.

13 Let normanna e sveva in Sicilia. Mostra storico-documentaria e bibliografia, Catalogo della mostra, Palermo, Palazzo dei Normanni 1994, a cura di R. La Duca, Palermo 1994, p. 28.

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Fig. 1 Roma, Santa Maria in Campitelli. Altarino reliquiario con licona musiva bizantina (da PEDONE 2010, cit. nota 4).

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Fig. 2 Roma, Santa Maria in Campitelli. Particolare della sola icona musiva di Cristo (foto M. Necci).

Fig. 3 Particolare del monogramma cristologico XC (foto M. Necci).

Fig. 4 Dettaglio della lacuna dellicona musiva e dei segni incisi sul letto di cera (foto M. Necci).

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Fig. 5 Tiblisi, Istituto Georgiano di Storia dellArte. Icona musiva con San Giorgio (da FURLAN 1979, cit. a nota 2).

Fig. 6 Athos, Monastero della Grande Lavra. Icona musiva con Cristo benedicente (da FURLAN 1979, cit. a nota 2).

Fig. 7 Icona di Campitelli, dettaglio della crisografia della veste (foto M. Necci).

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Fig. 8 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, cod. Lat 1, 100. Coperta evangeliario con icona di Cristo realizzata a smalto.

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Fig. 9 Ocrida, Chiesa della Peribleptos (San Clemente). Icona musiva con Cristo assiso (da FURLAN 1979, cit. a nota 2).

Fig. 10 Icona di Campitelli, dettaglio del volto di Cristo (foto M. Necci).

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Fig. 12 Icona di Campitelli, particolare del fondo della porzione inferiore (foto M. Necci).

Fig. 13 Icona di Campitelli, particolare della fascia di bordo con motivo scalinato (foto M. Necci).

Fig. 11 Icona di Campitelli, particolare del fondo della porzione superiore (foto M. Necci).

Fig. 14 Palermo, Cappella Palatina, Tipikon della Confraternita di Santa Maria la Naupattitissa (da Let normanna 1994, cit. a nota 13).

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