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di Virgilio Ilari
Episte...che?
assaggi (come sempre nel vile silenzio, se non quando nella cinica
complicità, di molti scienziati del diritto).
“laurea breve” (da non confondere col sistema liberale dei prestiti d’onore
e delle borse di studio che si usa in America. Noi infatti facciamo
all’“europea”, aggiorniamo l’ancien régime, quando il “rollo di milizia”
garantiva esenzioni da tasse e corvées, privilegio del foro civile e
criminale, porto d’armi e licenza di caccia. Ma la carne da cannone, gente
in grado di vedere la faccia del nemico, si razziava nelle taverne e nelle
carceri o si acquistava da imprese specializzate).
Può dispiacere che nel dopoguerra sia scomparsa, in modo più o
meno permanente, dai corsi superiori di alcune scuole di guerra europee
(dai programmi svolti negli anni Ottanta presso l’Air University americana
si ricava però un giudizio del tutto opposto). Tuttavia, considerata l’attività
che si ricava ad esempio da Alere Flammam, il notiziario della Scuola di
guerra dell’Esercito Italiano, forse è stato meglio così, nonostante il valore
di alcuni docenti di storia militare (ad esempio i generali Stefani e Pirrone
e, per l’Istituto di guerra marittima, l’ammiraglio Ramoino) e con tutta la
dovuta considerazione per qualche testo notevole come Il conflitto civile
cinese (1945-49).
Del resto la Scuola di guerra italiana ha incontrato la storia militare
anche in altri contesti didattici, soprattutto presso le cattedre di tattica e
logistica, ma anche nell’attività del Centro analisi sui conflitti
contemporanei di Franco Alberto Casadio collegato con la cattedra di
strategia globale del generale Boscardi (fortunatamente la preziosa
documentazione accumulata in vent’anni è stata salvata dall’incuria
burocratica per generosa iniziativa personale dalla dottoressa Marina
Cerne, che la conserva nella sua casa di Gorizia mettendola a disposizione
della locale università). O nel magnifico elaborato sul dibattito relativo
alle “difese alternative” prodotto da un gruppo di lavoro del corso
superiore del 1976, non a caso animato dall’allievo Carlo Jean.
Invece il fatto di aver conservato o ripristinato la storia militare
nell’iter formativo degli ufficiali subalterni è a mio avviso un omaggio
quanto meno inutile, se non addirittura controproducente. Almeno
fintantoché cadettini craniorasati come galeotti, stremati dal bromuro e
dall’attività ginnico-sportiva e rincretiniti dall’analisi matematica,
dovranno sbattere i tacchi ad ogni cambio di professore incravattato e
supponente. Vale a dire fintantoché l’iter formativo non verrà impostato in
modo radicalmente diverso dall’attuale, abbandonando i ritmi di Stakanov
e i criteri pedagogici di Procuste e Torquemada (espiazione, sofferenza,
completomania, livellamento, ipocrisia, conformismo) e coltivando invece
spirito critico, indipendenza di giudizio, iniziativa, responsabilità, piacere
di apprendere da sé, propensioni e qualità personali. Tra le quali, talora,
potrebbe esserci perfino un talento storicista.
La vera questione è che la storia militare sia in grado di fertilizzare
il pensiero strategico militare e il processo decisionale politico-militare.
Non ha alcuna importanza che tutti gli ufficiali, specialmente quelli
esecutivi e operativi, da bambini ne abbiano sentito parlare. Niente paura:
non voglio limitargli la carriera: ma non sono certo quattro fesserie
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