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DIRETTORE LUCA TELESE - A CURA DI CHRISTIAN RAIMO

www.pubblicogiornale.it SABATO 13 OTTOBRE 2012

I L

F U T U R O

H A

R A D I C I

A N T I C H E

UN PAESE ALLO SFASCIO

Italia zombi
di GIUSEPPE GENNA Arbasino: Non occorre esser vati per accorgersi che una societ si sfascia: si vede. Euna percezione diffusa, come per i cambiamenti climatici. Non pi solo un sentimento civile. Questo scorcio di Paesaggi italiani con zombi risale a quindici anni fa: lItalia era gi allo sfascio? allo sfascio da sempre per il discorso che lo scrittore pronuncia. Quale discorso pu fare oggi sullItalia uno scrittore? Egli ne eseguir uno sospetto, ne va della sua tradizione: si lamenta. Oggi il carattere nazionale fuori uso, armamentario che la retorica patriottarda si mangiata, sprecando una chance educativa che giunge sino alla mia generazione (i nati prima del 1975). La sinistra e i cattolici manutengono una solida concordia dei piccoli italiani circa i valori dellunit e dellantifascismo, tuttavia non prevedono quanto Enrico Berlinguer mutuava dal radicale francese Servant Schreiber. Nel suo La sfida americanaveniva preconizzata laccelerazione verso un sistema cibernetico di network, omogeneo al sistema distributivo di qualunque merce o valore distribuzione destinata a mutare la natura stessa della merce o del valore (mettiamo, per esempio, il valore della nazionalit). Anzich preparare a un futuro imminente e tanto diverso, le maestre elementari fanno spremere gli inconsci agli scolari della mia generazione sulla Bomba Atomica - che non esploder - e su un fotomontaggio di Robert Capa - anzich portare gli allievi dal vivo in Val dOssola. Inizia proprio dalla celebrazione astratta del miliziano spagnolo la demitizazzione delleroe resistente, che deflagra quando annichilito lo humus culturale su cui fare crescere qualunque mitologia: dagli Ottanta in poi. Si volta pagina, ma non secondo le aspettative di Giovanni Pellegrino, gi presidente della Commissione parlamentare su stragi e terrorismo: Abbiamo vissuto in una situazione di guerra civile rimasta a lungo quiesciente, e poi riaccesa di colpo nello scontro sociale che infiamm gli anni Settanta. Prendiamone atto, voltiamo pagina. una lettura semplice, se non semplicistica. Per i passi sono stati diversi, al di l del fantasma della guerra civile mai sopita. Trentanni dopo il suo rapimento, il 68% degli studenti non sa chi sia Aldo Moro forse era un pittore. Oggigiorno non c filtro a separare i quadranti ideologici, dunque, si vive in uno spensierato revisionismo a cui sarebbero gli intellettuali a dovere resistere ma gli intellettuali resistenti non hanno pi facolt di discorso. stata la narrazione stessa a levare loro questa facolt. Anzitutto la narrazione berlusconiana dellItalia, che ha equalizzato tutta la realt in uno spettacolo inverosimile. lamnio in cui cresce lindifferenza al potere della verit delle parole, degli atti, delle relazioni. Il fascismo televisivo non altro che una tappa adatta a fare s che si depositino fenomeni irrazionali scambiati per realt effervescenti e del tutto verisimili, a uso e consumo delle menti italiane a venire. Si vissuta la comparsa di lucciole geneticamente modificate, il che vanifica e verifica al contempo lanalisi antropologica di Pasolini. (SEGUE A PAGINA II)

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BUSI MEGLIO DELLITALIA QUANDERAVAMO STRONZI

(ie rpr ocgie i p) Inr iebsal dr i t a e u , rmaz m i cmbntr ,rs r e tr o no tc o ia i t t i Soi ro oo a oe a i naf t ie i sf r i a a e Fl oi o ,ns o a dL ceiG. A Maea F a c Vra dtr i urz o G. . t - rno eg E i e r o V lme e ( t dtv aR maz) ou Z r i r ut o l o no o no i
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Inr pr r a pr ers t ea e nmoa c e sl a b

Il gran rimosso 151 anni neri


di NICOLA LAGIOIA Ogni volta che il nome di Aldo Busi conquista l'onore delle cronache (ultima: la restituzione di 200mila euro a Giunti per la risoluzione di un contratto chiesta dallo scrittore per "manifesta incompatibilit manageriale e fattuale e promozionale tra le parti"; quindi laccordo con Dalai)... SEGUE A PAGINA IV di ALESSANDRO LEOGRANDE

Ci sono delle vecchie immagini girate da Luca Comerio, uno dei pionieri del documentarismo italiano, nella Piazza del Pane a Tripoli nel 1911. La camera indugia sul via vai dei nostri militari in divisa che si affollano lungo la strada, poi l'inquadratura si allarga ed entra in scena un patibolo. SEGUE A PAGINA II

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II

SABATO 13 OTTOBRE 2012

IL NOSTRO COLONIALISMO

Italiani brutta gente


(segue dalla copertina) Almeno venti arabi, tutti uomini, pendono irrigiditi con un cappio al collo. Sono stati da poco impiccati. Chi ha mai visto queste immagini di Comerio (riprodotte per pochi secondi in un vecchio film di Cecilia Mangini, Lino Del Fra e Lino Miccich, All'armi siam fascisti!, recentemente ripresentato in dvd da Raro Video)? Quanti studenti di storia contemporanea sanno a cosa rimandano? Immagino pochissimi. La loro rimozione dalla memoria collettiva direttamente proporzionale alla rimozione del colonialismo in Africa e nei Balcani. Un inspiegabile, lungo buio. Un lento, carsico lavorio che via via ha espunto le pagine nere della nostra storia recente, e creato il mito infondato degli italiani brava gente. Boris Pahor ne ha scritto a lungo nella sua recente autobiografia, Figlio di nessuno (Rizzoli). Il totalitarismo fascista, direttamente o indirettamente (tramite, ad esempio, il duce croato Ante Pavelic), ha mietuto per molti anni migliaia di vittime: uomini, donne, bambini, serbi, zingari, musulmani, ebrei, e oppositori al regime degli ustascia. stata una mattanza che avuto i suoi burocrati, i suoi gerarchi, i suoi esecutori. Una mattanza non inferiore alle nefandezze dei nazisti, senza la quale impossibile comprendere le recrudescenze del confine orientale in anni successivi. Senza trovare una risposta plausibile, Pahor ritiene inammissibile che nella letteratura postbellica italiana non si accenni alla vera importanza del fascismo nell'Europa della Seconda guerra mondiale, cercando invece di minimizzare il ruolo. Perch tanto silenzio? Perch tanto silenzio non riguarda solo la Jugoslavia o l'Albania, ma anche l'Africa italiana? Come per il confine orientale, anche per la riva sud del Mediterraneo sono rari i libri come quelli di Angelo Del Boca (I gas di Mussolini, A un passo dalla forca, La guerra d'Etiopia, Italiani brava gente?) in cui si raccontano le nostre imprese per ci che sono state, cio veri e propri atti di genocidio: bombardamenti di quartieri civili, uso di armi chimiche, deportazioni di massa, creazione di campi di concentramento. E allora non sorprende che nell'Italia del 2012 sia passato sotto silenzio la costruzione, con soldi pubblici, di un mausoleo in onore di Rodolfo Graziani, il governatore generale di Libia, il vicer di Etiopia, pi noto presso gli arabi come il macellaio del Fezzan, e che ad accorgersene e a indignarsi siano stati solo in pochi. Cos come non sorprende che il film di Mustafa Akkad sulla vita del leader anti-colonialista libico Omar al-Mukhtr, Il leone del deserto (con Anthony Quinn come protagonista), sia rimasto vittima di censura per circa trent'anni perch lesivo dell'onore dell'esercito italiano. Per la cronaca, la censura cadde solo dopo la celebre visita di Gheddafi a Roma nel 2009, quella in cui piazz la sua tenda a Villa Pamphili: per l'occasione venne proiettato su Sky. Sembra passato un secolo... Questo negazionismo strisciante, oltre a creare una memoria del Novecento del tutto edulcorata, ci impedisce di cogliere le forme di neocolonialismo che ritornano, alimentando per giunta il nostro innato provincialismo. ALESSANDRO LEOGRANDE

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GLI ECCESSI DEL CONTEMPORANEISMO

Possiamo sbarazzarci dei classici italiani?


di MATTEO DI GES Un classico un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Ogni tanto accade l'incresciosa evenienza per cui la citazione di circostanza, che dovrebbe ratificare una tesi, serva piuttosto a negarne i presupposti, ribaltandola e rivelando la fondatezza del suo contrario. Probabilmente la celebre sentenza calviniana, che, come un meccanismo a molla, scatta inesorabile a suffragio di qualche ciarla mondana sull'irrinunciabile necessit di leggere (di rileggere, ci mancherebbe) i classici, rientra in questa casistica. possibile, insomma, che invece i classici, specie quelli italiani, abbiano finito di dire quello che avevano da dire, quantomeno per ora. Sembrerebbero perpetuarsi, a dispetto dei tempi e dei costumi, e le notizie editoriali parrebbero confermarlo: una sontuosa raccolta Utet fresca di stampa, curata magistralmente da Carlo Ossola, Letteratura italiana. Canone dei classici, per la libreria del salotto; una collana Bur di classici italiani, edita in collaborazione con l'Associazione degli Italianisti, con nuovi commenti e apparati aggiornati, per lo zainetto. Libri che per permangono sullo scaffale come un complemento d'arredamento o durano in borsa il tempo di preparare l'esame di Letteratura italiana I. Sarebbe pure un fenomeno collaterale, nel lento collasso della nazione, ma resta il fatto che la nazione stessa abbia contratto con la propria tradizione letteraria un debito fondativo: se l'Italia un'invenzione letteraria, la marginalizzazione della sua letteratura dovrebbe riguardare una cerchia pi estesa degli ultimi clienti della rateale Einaudi. L'ultima apertura al pubblico del Sacrario della Letteratura Nazionale, in occasione del Centocinquantenario, d'altro canto, ha avuto i caratteri di una cerimonia memoriale funebre, piuttosto che quelli di una riscoperta vivificante. Questa voga monumentalizzante (proprio nel senso di pietrificare e rendere inerte qualcosa di mobile e accessibile), tipically italian, sembrerebbe rimandare a una delle cause storiche di questo processo, ovvero alla micidiale attitudine accademica a museificare i testi della tradizione, rendendoli inaccessibili direttamente e contemplandone soltanto una ricezione parcellizzata e mediata dall'autorit preposta, quella del professore sciamano. Si tratta di un discorso del sapere le cui dinamiche di potere sono evidenti e non richiedono supplementi di indagine in questa sede. Tuttavia, per una volta, non il caso di prendersela con l'accademia (se non magari per deprecare la sciatteria deprimente della routine universitaria, speculare, e analoga negli esiti mortiferi, al culto per gli iniziati): troppo facile, specie di questi tempi. Anzi, a dirla tutta, molte delle interpretazioni meno conformiste e pi innovative delle opere canoniche italiane le hanno elaborate proprio corrucciati professori universitari, confezionandole in robusti e minacciosi saggi accademici: possiamo pure trovare intrigante la lettura degli Appunti queer sui Promessi sposi, recentemente pubblicati, col titolo Aria di braveria, da Tommaso Giartosio sul blog Le parole e le cose, giusto per fare un esempio; ma andr ricordato che a restituirci un Manzoni assai diverso da quello compitato svogliatamente al liceo avevano gi provveduto tempo Ezio Raimondi e Salvatore Silvano Nigro, tanto per dire. O si pensi ancora a una recentissima Introduzione alla Divina Commedia, sempre di Ossola, che si legge come una passeggiata attraverso dieci secoli di letteratura occidentale. Come aria nuova circola finalmente in alcuni manuali di italianistica (la collana diretta da Battistini per Il Mulino, per dire). E non vale neppure avviare la solita tirata sulla scuola che ammazza la lettura: per quanti professori di lettere necrotici e necrofori affollino le aule cimiteriali italiane (scrivendo magari nel tempo libero appassionati pamphlet contro lo stolido studio della poesia in classe), ce ne sono altrettanti che spacciano Leopardi originali, senza tagliarli con l'anfetamina del cazzeggio paratelevisivo, con grande competenza e qualche successo didattico. Ecco, a proposito di televisione et similia, ci sarebbe da chiedersi, semmai, se quell'antico, esiziale, ruolo del professore-sacerdote non sia stato devoluto, mutandosi in una versione pop ma conservandone inalterate le logiche di trasmissione autoritarie, agli intrattenitori da festival letterari e letture di massa. Se, in altre parole, a dispetto della qualit degli show letterari e delle ottime intenzioni delle operazioni di divulgazione spettacolare, il pubblico-lettore non preferisca delegare il Benigni di turno a leggere e a comprendere al posto suo, come faceva un tempo con l'austero docente. Poi ci sarebbe la questione della lingua: ogni tanto qualcuno tira fuori questa storia della necessit di tradurre le opere del canone italiano, per agevolare gli italofoni del ventunesimo secolo: un pretesto per piallare la prosa di Machiavelli e Alfieri, fino a farla aderire a quella del Bruno Vespa saggista. Finalmente, spezzato il giogo dei tiranni parrucconi, il Carofiglio di turno non dovr pi imitare Petrarca: sar semmai questo che dovr adeguarsi a quello (un discorso diverso andrebbe fatto per il Busi traduttore di Boccaccio e Ruzante, nonch per le imperdibili Novelle stralunate dopo Boccaccio, curate per Quodlibet da Elisabetta Menetti e riscritte, tra gli altri, da Celati e Cavazzoni). E se, interpellati da Nuovi argomenti a proposito del loro sentimento identitario nazionale, gli scrittori italiani sentenziano che la loro patria solo la lingua, nondimeno i classici italiani non dicono pi nulla alla gran parte di loro, specie agli autori dell'ultima generazione, che ne ignorano proprio la lingua, oltre che storia e tradizione. bastato un ventennio di bulimia contemporaneistica e di sovradosaggi di best seller anglosassoni per far dimenticare, tra le altre cose, che proprio il nostro Novecento una ininterrotta rivisitazione del canone nazionale. Calvino lo sapeva bene, ma ormai nemmeno lui lo si legge pi: un classico.

SEGUE DALLA COPERTINA


La storia italiana moderna si consuma per scenari decennali. In un generale sentimento del progresso che rimane costante fino a oggi questi scenari costituiscono degli universi di riferimento, che hanno dettato fasi distinte di nostalgie: nei Cinquanta la ricostruzione e leducazione politica di massa; nei Sessanta il boom e il capitalismo nazionale accanto alla maturazione politica e allesplosione dei movimenti; nei Settanta limporsi di telecomunicazioni e cibernetica che mette in mora i movimenti politici; negli Ottanta il trionfo del broadcast e della finanziarizzazione, della deideologizzazione; nei Novanta lazzeramento dellidea di rappresentanza e lo sfogo concesso al qualunquismo microfascista che la cifra genetica dellitalianit: questa capacit di essere giacobini in assenza di rivoluzione, lautoritarismo pi dei Cesaroni che dei Cesari, schierato contro i valori umanistici e contro chi li incarna, unautentica specialit italiana. Da Mike Buongiorno al Drive In a Capitan Ventosa, uno sturacessi vivente che vorrebbe fare le veci del servizio pubblico, per la risata grassa e codina della nazione. La metafora televisiva, la morale no. Il discorso del potere, dagli Ottanta in poi, diviene un invito alla lotta tra generazioni in sostituzione di quella di classe. Futuro: zero. Si ha limpressione che in Italia tutto accada in letteratura, come nellAffaire Moro per Sciascia: per via di quellastrarsi dei fatti in una dimensione fantastica, da cui ridonda una costante, tenace ambiguit. O ancora, in Arbasino: Lideologia italiana. Mai badare minimamente ai dati che la contraddicono. Rimuovere i fatti: e cancellarli come inopportuni e contraddittori in un discorso. Stiamo del resto parlando di un Paese che passato da un modello di sovranit segretamente limitata a un modello di sovranit palesemente limitata senza colpo ferire, senza mobilitazione. Il tessuto sociale non si strappa: continua a fare da rete allacrobata che incanta il pubblico, cio ci che fu la gente, cio ci che fu la nazione. GIUSEPPE GENNA

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SABATO 13 OTTOBRE 2012

III

LIBRI ITALIANI NEL MONDO

Limmaginaria patria degli edonisti infelici


di CRISTIANO DE MAJO Sul Corriere della Sera dell8 ottobre, un articolo di Ranieri Polese, riportando dati e chiacchiere con agenti letterari ed esperti del settore alla vigilia della Buchmesse, attestava una sorta di spread alla rovescia di dimensioni molto pi ridotte in realt nel rapporto tra autori italiani di narrativa tradotti in Germania e autori tedeschi di narrativa tradotti in Italia. Le ragioni di questo successo del, direbbe Montezemolo, romanzo made in Italy sono, a sentire gli intervistati: lelemento folklorico, pasta, un bel paesaggio, un intreccio giallo, magari un thriller fra i vigneti del Chianti con un ispettore simpatico e un morto con un coltello nella schiena, oppure un immaginario arcaico femminile, la Sardegna. Per un po di anni anche mafia camorra e ndrangheta hanno funzionato bene. Insomma un grande amore per le storie che non tradiscono limmagine del Belpaese vagheggiata dai nordeuropei (una mescola di tradizioni, crudelt, passione e gioia di vivere), anche se, in verit, in questi anni leditoria tedesca, come quella francese, non stata del tutto disattenta alla nostra letteratura cosiddetta di ricerca. ancora pi difficile farsi unidea di quali siano le logiche che guidano la pubblicazione di romanzi italiani in lingua inglese, un mercato storicamente poco attento alla narrativa straniera, e forse per abbondanza di prodotto interno oltre che di sciovinismo letterario. Su Amazon.com si trovano edizioni in inglese di Piperno, Ammaniti, Veronesi, Avallone, Giordano; c una notevole invasione di crime novel nella patria del crime novel (Camilleri, Carofiglio, Carlotto); ma sono anche annunciate per il 2013 di due romanzi complessi, non proprio dei bestseller, Storia della mia purezza (Pacifico) e Il tempo materiale (Vasta); mentre sono del tutto assenti i nomi considerati pi alti e influenti della nostra letteratura contemporanea: Siti, Moresco, Nove, Trevi; Tommaso Pincio che, forse superficialmente, potrebbe sembrare lo scrittore pi in sintonia con quellimmaginario, presente, e per motivi credo pi musicali che letterari, con Un amore dellaltro mondo e basta. Se ne potrebbe trarre la conclusione che la forma romanzo compiuta abbia maggiori garanzie di riscuotere attenzione e che lo sperimentalismo sia visto con diffidenza, con le eccezioni di Pacifico e Vasta, che per scrivono di due temi molto sentiti in America: il problema dellidentit religiosa e il terrorismo. Un altro dato interessante viene dal Premio Alassio 100 libri, che ogni anno incorona un libro per lEuropa a opera di una giuria composta da italianisti stranieri. Vincitrice di questanno Valeria Parrella, che segue Michela Murgia, Margaret Mazzantini. Tutte a vario titolo rappresentanti di una letteratura che verrebbe da definire mainstream se non normale. Qualche giorno fa invece si poteva leggere sulla Los Angeles Review of Books un lungo articolo su una edizione bilingue dei Canti di Leopardi curata da Jonathan Galassi, celebrato traduttore di Montale, oltre che poeta e presidente di Farrar, Strauss & Giroux. Alan Williamson, lautore della recensione, si soffermava sulla difficolt di tradurre Leopardi, citando Calvino oltre i confini dellItalia, Leopardi non esiste e, attraverso qualche esempio, riconosceva a Galassi la buona riuscita in unimpresa cos difficile. La parte finale del pezzo era dedicata, invece, a un ragionamento interessante sullimmagine degli italiani. Per quale ragione, si chiedeva lautore, gli italiani, percepiti da nordeuropei e americani come un popolo caldo, amichevole ed edonista, hanno nel loro pantheon letterario scrittori cupi come Leopardi, Montale, Pavese? Le risposte che ipotizzava Williamson non convincono del tutto: un passato troppo pi glorioso del presente (pessimismo storico); condizioni di vita estremamente dure fino al Ventesimo secolo. Ci vorrebbe forse una maggiore conoscenza dellidentit italiana e della sua letteratura per concludere che la profonda cupezza di cui parla Williamson un elemento tuttora presente nei nostri venerabili maestri letterari, e anche una caratteristica rimossa nella nostra autorappresentazione. In quanto a cupezza, proviamo a tracciare una linea che unisca i puntini Leopardi e Pavese, appunto, fino a Pasolini e Moresco Se vero che la nazione italiana una costruzione letteraria prima che geografica (Carducci, Volponi) tema tra laltro approfondito ne LItalia letteraria di Stefano Jossa, uscito qualche anno fa per Il Mulino bisognerebbe forse abbandonarsi alla letteratura per scoprire qualcosa di pi su noi stessi; la cupezza dei nostri classici potrebbe indicare che il modo in cui amiamo rappresentarci e odiamo essere rappresentati sia una falsa pista, che sole pizza e mandolino siano specchietti per le allodole per dissimulare un antropologico mal di vivere. Nelle Lezione americane Italo Calvino d una definizione magnifica di Leopardi dipingendolo come un edonista infelice. Ed bizzarro come questa stessa definizione si possa applicare a molti prototipi di arci-italiano, veri o solo scritti, dai personaggi di Alberto Sordi a Silvio Berlusconi. Leopardi, a ben vedere, non sarebbe come vuole il luogo comune, il mostro, lalterit, lanticorpo, ma lincarnazione di un elemento ben presente nel nostro DNA. La cupezza in noi e nel nostro spirito, sotto la maschera di Pulcinella.

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MORRICONE PI POP DI RAMAZZOTTI

Lo spaghetti sound che ha conquistato il mondo


di VALERIO MATTIOLI Qualche anno fa la Societ Dante Alighieri lanci un sondaggio per scoprire quale fosse la canzone italiana pi famosa nel mondo. VinseAzzurro, scalzando a sorpresaNel Blu Dipinto di Blu. Ancora pi a sorpresa,O Sole Mionon riusc ad andare oltre la quarta posizione, superata da (uh) lEros Ramazzotti di Musica . Risultati e modalit del sondaggio restano quantomeno sospetti, ma viene da chiedersi perch nella lista non comparisse un altro brano che per decenni ha significato musica italiana nel mondo. Daccordo, un brano che ha il difetto di non essere una vera e propriacanzone, e che per di pi sconta il peccato di non essere stato concepito per il mercato discografico in quanto tale, ma che resta nondimeno un miracolo di musica pop. Quel brano il tema di apertura diIl buono, il brutto e il cattivo, film di Sergio Leone del 1966. Colonna sonora, naturalmente, di Ennio Morricone: lantenato, se mai ce ne dovesse essere uno, dello ma s, chiamiamolospaghetti sound. Praticamente lunico, reale contributo dellItalia alle fortune e alle miserie della storia del pop. Internazionale, si intende. A meno che non crediate sul serio che di l dalle AlpiAzzurroabbia avuto lo stesso impatto di, non so,She Loves You. almeno un paio danni che, tra Inghilterra e Stati Uniti, gli aggiornatissimi mogul della musica indipendente pi elitaria e a conti fatti modaiola (lunica che conta, a quanto pare) vanno costruendo a nostra insaputa una versione della storia del pop italiano drasticamente alternativa a quella che dalle nostre parti si riduce perlopi alla diatriba cantautori vs. Sanremo. Esistono dei precedenti, chiaro: gi nel 1985 John Zorn incise un intero album-omaggio proprio a Morricone. E sempre Morricone stavolta quello delle colonne sonore per Dario Argento e dei dischi assieme al Gruppo dImprovvisazione Nuova Consonanza fu oggetto di una pregevole operazione di recupero intitolataCrime and Dissonancee curata da Mike Patton. Sullaltro versante, il ricercatissimo produttore ed ex membro a tempo perso dei Sonic Youth Jim ORourke, sono anni che sbandiera la sua passione per il Battiato degli anni 70 e per i suoi ai pi oscuri collaboratori quali Roberto Cacciapaglia e Lino Capra Vaccina. Ancora pi significativo lo status conquistato allestero dalla cosiddetta italodisco, il synthpop ballerino nato tra Bologna e Milano nel periodo fine 70/inizi 80: vuole la leggenda che fu a questi materiali che si ispir Juan Atkins, luomo che quasi da solo ha inventato la techno, il che farebbe dellItalia la culla involontaria del pi tellurico sommovimento che la musica pop abbia mai conosciuto negli ultimi trentanni. In tempi pi recenti, ci hanno pensato etichette la page come Not Not Fun e produttori elettronici come Demdike Stare a inventarsi un bizzarro guazzabuglio che mescola senza soluzione di continuit sonorizzazioni morriconiane, italoprog primi 70, Goblin, Battiato, Area e reperti Baby Records dimenticati dalla Storia. Solo questestate, le ristampe di materiali italiani ad opera di etichette inglesi, americane, persino australiane, praticamente non si contavano. Il fenomeno interessante: per questi musicisti parrebbe esistere una specie di spaghetti-continuum che va dalla met degli anni 60 ai primi anni 80, cos musicalmente peculiare da fare scuola a s anche rispetto ai pi blasonati nomi angloamericani. In cosa consista tale unicit, presto detto: atmosfere melodrammatiche (siamo in Italia dopotutto) ma minacciose, mediterranee (qualsiasi cosa voglia dire) ma inquietanti, e un misto di sperimentazione e melodismo esasperato che produce quel tipico clima dasun & violenceche suona al tempo stesso grave e lascivo. Al di l del fatto che il come ci vedono gli altri quasi sempre istruttivo, a colpire larco temporale delle ispirazioni: lo spaghetti sound praticamente il suono degli anni di piombo e del periodo di massima turbolenza di una nazione la cui storia turbolenta quasi per definizione, il che confermerebbe la tesi di Massimo Ilardi che nel suoPossibilmente Freddi Come lItalia esportava cultura (1964-1980)lasciava intendere che lItalia, per produrre materiali capaci di conquistarsi un ruolo centrale nel dibattito culturale internazionale, avesse necessariamente bisogno di conflitti e pistolettate. Pi prosaicamente, il fenomeno ricorda limponente operazione di recupero che nellultimo ventennio ha portato la crema della scena pop angloamericana a riscoprire prima il rock tedesco degli anni 70 e poi quello giapponese dello stesso periodo. Il primo si conquistato un posto nella storia col nome di krautrock. Il secondo, scoppiato e delirante, chiamiamolo sushi noise. Che prima o poi toccasse allItalia era insomma inevitabile: di fatto, lo spaghetti sound lultimo atto di un novello Patto Roma-Berlino-Tokio tanto musicale quanto (ohib) culinario.

CHI SIAMO E CHI SAREMMO


Grazie a tutta la redazione, a C. Mazza Galanti e jumpinshark. Le fotografie del numero - a cura di A. Imbriaco e F. Severo - sono di Olivo Barbieri, dalla serie Site Specific, un progetto di immagini e video sui paesaggi urbani in tutto il mondo. Le sue opere sono ora al Fotografia Festival Internazionale di Roma al Macro e a novembre Site Specific LONDON 12 alla Ronchini Gallery di Londra. Tra i suoi molti libri segnaliamo il recente Flippers 1977-1978, testo di Francesco Zanot, Danilo Montanari Editore Ravenna. Orwell anche su facebook e su twitter @orwellp.

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IV

SABATO 13 OTTOBRE 2012

COS LITALIAN THEORY

Gi Giordano Bruno era un cervello in fuga


di ROBERTO CICCARELLI A differenza di altri paesi europei, la Spagna, l'Inghilterra o la Francia, e poi la Germania, la filosofia italiana non ha accompagnato la creazione di uno Stato nazionale. Non ne ha costruito l'apologo, n celebrato la fine. La politica, come la storia, sono state pensate da Machiavelli e Bruno, Vico o Leopardi al di l della costituzione di uno Stato, radicandosi in una dimensione prestatale che ha alimentato una critica contro l'autorit politica, ma anche l'opposto: una radicale diffidenza rispetto ad ogni forma di vincolo politico statale a beneficio dei legami comunitari o municipalisti. In entrambi i casi l'atto iniziale del pensiero politico in Italia risuona nell'universale, e contraddittoria, assenza del territorio e di un'autorit. L'apolidia della filosofia cos diventata l'oggetto stesso della riflessione, il suo reale contenuto politico. C' una tradizione che ha sottolineato i limiti di questa anomalia che ha impedito la formazione di una cultura condivisa. De Sanctis, Croce, Gramsci e Garin hanno battuto un argomento ancora attuale: in Italia i pensatori, come gli intellettuali, sono stati orfani di un'autorit, maturando l'aspirazione fallace di governare gli affari dello dello Stato, oppure condizionarli. Salvo poi confessare, loro stessi, il sogno degenerato dell'autonomia rispetto allo Stato che oggi si diffuso in maniera uniforme in tutta la societ sotto forma del desiderio di familismo e cooptazione. Ma questo aspetto degenerativo dell'intellettuale italiano non l'unico, n quello determinante, nell'Italian Theory. L'assenza di una vocazione nazionale del pensiero non rappresenta pi il sintomo di una condizione cosmopolita, espressione con la quale Gramsci stigmatizzava l'intellettuale distaccato dalla politica delle masse, ma l'insorgenza di un materialismo radicale. Un rovesciamento che sarebbe avvenuto dopo la fine della guerra fredda, facendo emergere un tratto della filosofia italiana largamente trascurato visto che la figura del pensatore, come quella dello scrittore o poeta, stata presa in considerazione solo per la sua individualit. un retaggio della cultura storicista, affascinata pi da singolarit esemplari che dalle storie politiche di cui esse erano l'espressione. Un limite che, paradossalmente, torna anche nell'Italian Theory quando sottolinea la risonanza internazionale riscontrata dai libri di Giorgio Agamben, di Toni Negri o Roberto Esposito. Questa diffusione stata possibile perch nelle filosofie italiane - il plurale obbligatorio considerata la diversit degli approcci e delle prospettive - risuona favorevolmente un contesto politico sensibile alla radicalit del pensiero e alla ricerca del conflitto contro le politiche dell'austerit imposte dal neoliberismo. Una situazione simile si afferm nel periodo fondativo della differenza italiana tra il XVI e il XVII secolo. Se Giordano Bruno ad esempio pass buona parte della sua vita vagando per le corti, le universit o le prigioni europee, lo fece perch seguiva le rotte dell'emigrazione intellettuale di una strana, e pericolosa, generazione. In quegli anni Hobbes sosteneva nel Behemoth che il vero pericolo sociale per la corte d'Inghilterra, come per tutte quelle europee, si annidava nelle bettole dove i chierici vaganti sobillavano onesti artigiani e lavoranti di bottega al libero esercizio del pensiero e all'insurrezione contro i regnanti. Da bravo uomo d'ordine consigliava al Re inglese di arrestarli tutti. Il suggerimento venne accolto, ma non imped a questa fiumana di ingrossare la corrente tra la fine del XVI secolo fino alla Rivoluzione Francese. L'Europa era attraversata da una moltitudine di trickster, picari, pirati di terra alla ricerca del porto sicuro di un ingaggio quotidiano. C'erano gli attori della Commedia dell'arte, i pittori e architetti del Rinascimento italiano al servizio dell'Ancien Rgime, da Madrid a Pietroburgo: da Tiziano a Piranesi, solo per restare alla Repubblica di Venezia, esistono decine di storie che raccontano l'imponenza di una fuga dei cervelli dalle ristrettezze economiche in cui papi e cardinali, nobili e dogi tenevano le intelligenze che lavoravano al loro servizio. Questa anche la storia della filosofia italiana. Una volta considerato questa prospettiva, il canone dell'identit nazionale non sar pi lo stesso. L'italiano in s non esiste, non perch sia evaporato nella nuvola delle sue tipologie dialettali, ma perch la sua identit scaturita da un nomadismo che si difeso dalle pretese predatorie delle autorit, dedicandosi alla creazione di una nuova forma di vita individuale e collettiva. Ovunque si trovi. Poi, per chi volesse farsi unidea di tutto questo: Roberto Esposito, Pensiero Vivente. Origine e attualit della filosofia italiana, Einaudi Dario Gentili, Italian Theory, Dall'operaismo alla biopolitica, Il Mulino Paolo Virno, Michael Hardt, Radical Thought in Italy: a Potential Politics, Minneapolis.Londra, University of Minnesota Press L. Chiesa-A. Toscano, The Italian Difference between Nihilism and Biopolitics, re.Press, Melbourne

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PERCH ALDO BUSI IL GRANDE RIMOSSO

La mancata Riforma della lingua italiana


(segue dalla copertina) ... impossibile non ricalcare un pensiero che sentirebbe il dovere di presidiare motu proprio la coscienza di chi si occupa di libri. L'autore di Seminario sulla giovent il grande rimosso della letteratura italiana. Pi biasimato al di qua degli schermi televisivi che affrontato sulla pagina, e pi detestato sul facile piano delle esternazioni che osservato nello specchio sopra cui uno scrittore si rivela (la sua opera), Busi la dimostrazione di come la societ letteraria abbia da queste parti molto di onorato e poco di autenticamente letterario. Busi non frequenta, non omaggia, non promuove, non ricambia, non firma appelli, frigge l'aria in tv e non di rado manda affanculo a sproposito. Il che dovrebbe essere irrilevante al cospetto degli almeno cinque grandi libri da lui scritti, e di una ventina di cosiddetti minori in grado di portare qualunque letterato in cerca di accettabili prebende a diventare l'eroe dei propri (discretamente) riveriti. Eppure, ai critici questo basta per non occuparsi di ci che gli eviterebbe lo smacco di essere ricordati per aver lasciato il compito ai colleghi delle generazioni successive. Ai giornalisti culturali sufficiente il lato folk (di Oscar Wilde guarderebbero il dito che punta il girasole pur di evitare la luna in Salom) mentre per gli scrittori con la fissa dell'avanzamento sociale semplicemente un controsenso addentrarsi in Vita standard di un venditore provvisorio di collant annusando sin dall'ingresso una dura aria di palestra in ogni stanza della quale mancano garanzie e automatismi dello scatto di carriera. plessit, libera dalla padronalit curiale, poi leguleia, poi accademica, poi ministeriale, infine televisiva e dunque non pi la biografia del popolo che avrebbe potuto essere ma il guaito delle plebi di ogni censo e condominio sociale? Non un caso che Busi consideri una grande occasione mancata la messa al bando della Bibbia di Diodati nel Seicento. Se Lutero, con la sua traduzione, fondava la lingua tedesca, agli italiani toccher per molto ancora il latino amministrato dalla Chiesa (la Controriforma senza Riforma), cio una lingua padrona. L'italiano giunger irrimediabilmente borbonico o savoiardo, fascista o democristiano, poco gramsciano e molto togliattiano di stanza all'hotel Lux. Sempre servo di qualcuno. Cos per Busi liberare la lingua ha significato spillarla dalle profondit carsiche in cui continua a scorrere Boccaccio e San Francesco e Giordano Bruno e Teofilo Folengo per non tacere l'anonimo metaletterario dell'Indovinello veronese che tutti li precede... Per farlo non basta una lingua, ci vuole un pugno di romanzi. Ci vuole un'architettura narrativa e personaggi quali un Barbino, un Angelo Barzanovi e un Celestino Lometto, un'Anastasia e una Teodora, perfino un Aldo Subi. Una Georgina Washington. Busi riuscito nell'impresa perch ha condotto il corpo a corpo con una lingua d'adozione ("a casa si parlava il bresciano. L'italiano stata la mia seconda lingua"), portando avanti la propria guerra di liberazione dopo aver stretto un patto con gli Alleati di altre lingue che padroneggia molto bene: il francese di Laclos, l'inglese di Sterne e delle Bront, l'americano di Melville, il tedesco di Kafka e dei Tre saggi sulla teoria sessuale di Freud.

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Eppure non si tratta solo di questo. La ferita originaria. Se fosse il personaggio Busi a travisare lo scrittore nella coscienza altrui, il problema non si sarebbe posto quando il suo nome era ancora sconosciuto. L'esordio sarebbe dovuto essere un trionfo. E invece, se si vanno a leggere le prime anemiche recensioni a quella quadratura del cerchio tra misura, libert e festa della lingua che ancora Seminario sulla giovent, si coglie tutto l'analfabetismo di ritorno che in Italia non di rado aggredisce chi si occupa professionalmente di leggere e riferire. Ma "di ritorno" da che? Dal mancato incontro con una lingua finalmente salvata. Il pi squillante e splendido what if che sorge dalle pagine migliori di Aldo Busi infatti: cosa sarebbe accaduto alla lingua italiana (cio a tutti noi) se a un certo punto avesse imboccato la via di Boccaccio anzich quella del Petrarca, se avesse conservato la sua forza materica e la sua viva com-

Questo non vuol dire che Busi centri sempre il colpo. Se lo facesse ingrasserebbe i suoi lettori col balsamo della prigionia. Invece il suo apparato retorico cos mostruosamente messo a punto da renderci liberi (ecco lo scandalo) di seguirne i momenti di trionfo e quelli in cui perde quota o si tradisce, lasciandoci ammirati per come si libera dalle strette di pochezza del paese in cui si muove e subito dopo sospettosi perch che libert sarebbe quella che mostra il gesto di strapparsi il collare che non le stringe pi la gola? Per finire, per, in esclusive oasi di meritata pace (qui perfino liberi di non rivendicare nulla) come la scena in cui Barbino schiaccia zanzare nei cessi pubblici a Parigi. Troppa grazia per la Terza Repubblica a venire. Troppo libero arbitrio, per l'italiano standard. NICOLA LAGIOIA

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