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LA POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA ITALIANA E LA PARTECIPAZIONE AGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI

di Riccardo Bianco

INTRODUZIONE

Security is more than words, more than weapons, more

than money, more than one country or one organization it needs partnership.

Stephan Minikes, Ambasciatore USA presso lOSCE 11th Maastricht 1-2 dicembre 2003 OSCE Ministerial Council ,

Lo scopo del presente studio di analizzare lattuale politica estera e di sicurezza italiana, alla luce dei pi recenti sviluppi dellequilibrio mondiale, a cominciare dalla caduta del muro di Berlino fino agli ultimi drammatici e recentissimi eventi, che hanno modificato le precedenti consolidate logiche di equilibrio. Saranno esaminate nel particolare le capacit e le modalit realizzative degli intendimenti e degli impegni espressi dalla volont politica delle Nazioni inserite nellambito delle Organizzazioni Internazionali, allo scopo di raggiungere un obbiettivo comune. In questo contesto di grandi cambiamenti, viene per prima considerata lattuale 1

situazione del quadro geostrategico, che ha comportato, in tempi relativamente brevi, la modifica dei requisiti di sicurezza e stabilit internazionale, con le conseguenti implicazioni sul piano concettuale ed organizzativo su scala mondiale. Nella seconda parte si approfondisce limpegno ed il coinvolgimento crescente negli eventi internazionali di maggior rilievo in questi ultimi anni da parte delle principali organizzazioni occidentali, fra le quali le due di interesse preminente per lItalia, NATO e Unione Europea. Queste ultime hanno, infatti, dimostrato in molteplici occasioni di poter esercitare una funzione di tipo principalmente ordinatore, muovendosi tendenzialmente verso lo sviluppo di strategie per fornire sia le regole che gli strumenti finalizzati alla convivenza fra popoli. Il sistema di sicurezza che andato via via formandosi nellultimo decennio, aperto a crescenti allargamenti, presenta attualmente notevoli spinte integrative in un contesto evolutivo spesso estremamente fluido, alla ricerca continua di un equilibrio. Viene successivamente considerata la politica estera che lItalia persegue nel campo della sicurezza e difesa, esaminando le attivit svolte dai soggetti preposti allo sviluppo della cultura e dei mezzi per realizzare gli obbiettivi strategici in ambito internazionale; si analizzer inoltre il contributo alla politica estera dellazione militare, affiancata sia dalla diplomazia militare che dalla politica dei materiali della Difesa. Infine, ultimo ma di estrema e sostanziale rilevanza, viene esaminato il contributo che lItalia fornisce alle organizzazioni internazionali in termini di risorse, cio sia di uomini che di mezzi, in un contesto che vede aumentare in maniera esponenziale il numero di attivit di intervento per il mantenimento della pace da parte della NATO; anche lauspicato sviluppo della Sicurezza e Difesa Europea comporter certamente un ulteriore impegno di risorse, pur privilegiando uno sviluppo che eviti duplicazioni e sovrapposizioni con la NATO. Inoltre lingresso di nuovi paesi in entrambe le organizzazioni, se da una parte auspicato per validissimi motivi, dall altra comporter alle Nazioni originarie un notevole aumento dei contributi richiesti per agevolare linserimento dei nuovi arrivati. Quindi, la capacit di conciliare progetti ed aspirazioni a carattere internazionale con i budget nazionali, che ogni anno diventano sempre pi limitati e 2

vincolati, diventa la vera sfida del nuovo millennio, che dovr essere affrontata dai governi con la massima decisione e risolutezza e con la consapevolezza che, aprendosi opportunamente verso lesterno, verso la collettivit internazionale, si arrivi a creare un sistema di sicurezza che garantisca le migliori condizioni per una vera e sicura prospettiva di sviluppo dei singoli paesi.

CAPITOLO I EVOLUZIONE DEL QUADRO GEOSTRATEGICO1 1. IL NUOVO SCENARIO INTERNAZIONALE: DALLA DIFESA ALLA SICUREZZA
La catena di conseguenze prodotta dagli attentati terroristici dell11 settembre 2001 su Washington e New York, che ha attraversato gli anni successivi, ha influenzato totalmente ogni dimensione della vita internazionale2. La "lotta globale al terrorismo" si imposta in conseguenza come filo conduttore e criterio 1 Nell articolo Il ritorno della geopolitica, pubblicato su "MicroMega" (4/91), subito dopo il
disfacimento del blocco sovietico Yves Lacoste (geografo ed esperto dei problemi del terzo Mondo) constata, oltre al ritorno della geopolitica, la diffusione di un termine nuovo: "geostrategia". Egli intende per "geopolitica" le discussioni e le controversie per cittadini di una stessa nazione e riserva il termine geostrategia alle rivalit ed antagonismi tra Stati o tra forze politiche che si considerano assolutamente contrapposte. Il termine sottolinea l'importanza, in certi rapporti di forza, di dati geografici che sono considerati come poste in gioco rilevanti (uno stretto, un canale, i giacimenti di petrolio del Kuwait). Volendo fare degli esempi, l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein nel 1990 attiene alla geostrategia, analogamente le ragioni dell'intervento americano.

2 "The attack took place on American soil, but it was an attack on the heart and soul of the
civilized world. And the world has come together to fight a new and different war, the first, and we hope the only one, of the 21st century. A war against all those who seek to export terror, and a war against those governments that support or shelter them." -President George W. Bush, 10/11/01.

di azione per la grande potenza globale, gli Stati Uniti, ma salita anche al vertice delle agende delle principali organizzazioni internazionali, regionali e universali, a cominciare dalle Nazioni Unite. Ne stata ulteriore riprova la recentissima strage di Madrid dell11 marzo 2004, che ha fatto compiere al terrorismo internazionale un salto di qualit, coinvolgendo direttamente anche le nazioni del vecchio continente e che, fin dai momenti immediatamente successivi, ha indicato con chiarezza come sia necessaria una risposta europea3. Prima della caduta del muro di Berlino la contrapposizione est-ovest presentava una minaccia di chiara provenienza e di portata quantitative e qualitativa definibile con apprezzabile esattezza. Era una minaccia limitata nelle sue estreme conseguenze dalla deterrenza della risposta nucleare, possibile ad entrambi i contendenti. La fine del bipolarismo, e della guerra fredda, non ha creato i presupposti per lattesa stabilit, dando invece luogo a nuovi tipi di crisi. Dopo la fine dellordine bipolare, si sono smorzati gli entusiasmi e le giuste e comprensibili speranze della prima ora, mentre sono emerse con forza tutte le difficolt insite nel tentativo di costruire un ordine internazionale diverso, pi libero, democratico e rispettoso dei diritti umani. Sono apparsi sullo scenario internazionale molteplici fattori di insicurezza, che hanno imposto un radicale ripensamento dei modelli di Difesa delle societ occidentali, precedentemente incentrati sulla disponibilit di arsenali calibrati sulla vecchia minaccia-tipo. Allimmobilismo dello scenario europeo durante la guerra fredda subentrato un quadro di instabilit e di nuovi rischi alla sicurezza che ha spinto lItalia, insieme ai suoi alleati europei ed atlantici, a ripensare e ridisegnare in maniera sostanziale 3 Gli attentati a Madrid hanno convinto l' Unione europea ad accelerare lo sviluppo dei suoi
programmi anti-terrorismo. Nella "Dichiarazione sulla lotta al terrorismo" adottata dai capi di Stato e di Governo dell'Ue, riuniti a Bruxelles il 25 e 26 marzo 2004, sono contenute le principali misure: un coordinatore europeo per la lotta al terrorismo, l'olandese Gijs de Vries, l'impegno alla clausola di solidariet reciproca tra Stati membri e la creazione di una cellula per la condivisione delle informazioni di intelligence. L'orientamento del Consiglio dei governi e della Commissione presieduta da Romano Prodi di potenziare e coordinare in modo pi efficace su base internazionale la difesa comune dei Paesi membri da un pericolo che si sviluppa con strategie multinazionali. Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza del Consiglio dei governi Ue, sostiene la necessit di migliorare gli organismi giudiziari Ue, Europol e Eurojust e il coordinamento con i servizi di intelligence dei Paesi membri. Il commissario per la Giustizia Antonio Vitorino, responsabile alla lotta contro il terrorismo della Commissione europea, punta a potenziare gli strumenti militari, di intelligence e la cooperazione internazionale.

la propria azione di politica militare. cos che, nellultimo decennio del secolo passato, lAlleanza Atlantica stata interessata da un profondo processo di riforme. Gli Stati Uniti hanno rivisto le loro priorit strategiche, i loro strumenti operativi, i loro impegni internazionali. LUnione Europea si impegnata a sviluppare una propria politica estera, di sicurezza e di difesa comune. Il Mediterraneo, con i suoi forti squilibri economici fra nord e sud, i suoi molteplici conflitti e tensioni, la sua centralit come via di comunicazione economica, civile e militare, ha assunto una valenza strategica sempre pi alta. I Paesi dellEst sono alla ricerca di una collocazione in Europa e nel mondo, con un forte ancoraggio allOccidente ed al suo sistema di valori. La fase attuale del quadro di sicurezza euroatlantica erede delle trasformazioni intervenute in ambito NATO e UE alla fine del secolo scorso, processo in cui lItalia ha avuto un ruolo di rilievo, contribuendo al superamento delle vecchie barriere che dividevano lEuropa e allaggiornamento del legame transatlantico, coniugando in maniera qualificata gli obbiettivi strategici dellintegrazione europea con quelli del consolidamento degli spazi euro-atlantici. Nel medesimo tempo stato operato un notevolissimo sforzo di adattamento delle organizzazioni difensive nazionali ed internazionali, che ha comportato la revisione dei concetti e delle dottrine strategiche, per far fronte alle nuove minacce divenute multiformi, diffuse e multidirezionali, e tali da richiedere risposte multidimensionali e multinazionali. Gli attacchi terroristici dell11 settembre hanno ulteriormente sconvolto i precedenti assetti geostrategici, proiettando sulla scena internazionale i nuovi rischi derivanti da possibili azioni terroristiche e del crimine organizzato. La minaccia tradizionale non esiste pi, sorgono dei rischi di area che basano le proprie capacit non solo sugli armamenti, ma anche su strumenti diversificati e sofisticati, quali la movimentazione di denaro o di generi commerciali leciti ed illeciti, che consentono grandi guadagni, utilizzati per fini criminali. Si tratta quindi di una molteplicit di attivit asimmetriche che, variamente combinate ed articolate fra loro, vanno a configurare le minacce con le quali la Comunit Internazionale dovr confrontarsi nel futuro. Di tali minacce il terrorismo rappresenta il fattore catalizzatore e moltiplicatore. Il concetto di sicurezza, che alla base delle varie organizzazioni internazionali, un argomento molto dibattuto e controverso nel contesto delle relazioni internazionali. Esso stato affrontato principalmente da due scuole di pensiero: 5

quella realista e quella idealista. La prima lega la stabilit e di conseguenza la sicurezza allequilibrio delle forze in campo, mentre la seconda, sviluppata dopo la prima guerra mondiale, basa la sicurezza e lordine delle relazioni tra i vari stati sulloperato di grandi organizzazioni intergovernative. Da questo si evince la prima evoluzione del concetto di sicurezza che non pi visto solamente in ottica nazionale-militare ma si allargato e ormai ingloba vari aspetti che possono essere economici, politici, culturali, sociali e di altra natura. A questo punto si arriva al nuovo concetto di sicurezza basato su due valori fondamentali: identit culturale e integrit ordinamentale. Di conseguenza la sicurezza coincide con lassenza di minacce o lassenza della paura che tali valori vengano minacciati e quindi bisogna ridurre al minimo le condizioni di vulnerabilit specifica contro cui si rivolgono suddette minacce. Anche le minacce non si sono sottratte allinevitabile evoluzione dovuta al cambiamento dello scenario strategico globale scandito dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo delle Twin Towers4. Le politiche di sicurezza e difesa si trovano, oggi, a non potersi pi limitare alla sfera tradizionale delle capacit propriamente belliche, ma a doversi confrontare anche con un nemico trasversale, speso subdolo e talvolta immateriale. Rispetto alla precedente situazione di una difesa ingessata, lattuale necessit di una sicurezza si presenta come un processo dinamico, di natura pi complessa che richiede risposte pi ampie e diversificate. Lazione internazionale, oltre ai tradizionali strumenti politici, diplomatici, economici, culturali e di cooperazione fa sempre pi ricorso attivo allo strumento militare, divenuto uno degli indicatori essenziali della credibilit ed affidabilit del sistema- Paese nellambito delle relazioni internazionali. Cosa succede quando alla minaccia esterna, compatta e chiaramente individuabile, si sostituiscono altre minacce, minacce diffuse, pervasive, senza frontiere? Come elaborare una linea di difesa e di sicurezza che sia in grado di assumere la complessit dei rischi e di coniugarla coerentemente con dimensioni transnazionali e sovranazionali? Lungo questa ultima direzione si mossa la politica europea; lo sforzo compiuto dal trattato di Maastricht5 stato di spostare 4 Estratto dal Seminario di studio CEMISS Napoli 27-29 novembre 2002 pp. 37-38. 5 Il Trattato sull'Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ed entrato in vigore il 1
novembre 1993, ha cambiato la denominazione della Comunit economica europea in, semplicemente, "Comunit europea". Ha inoltre introdotto nuove forme di cooperazione fra i governi degli Stati

lidea di sicurezza da una precedente dimensione nazionale ad un nuovo piano sopranazionale e di articolarla in maniera pi complessa; la cultura della pace e della sicurezza di dimensione europea si va cos sviluppando a partire da una nuova concezione della sicurezza in cui i cittadini, singolarmente intesi, si identificano quali titolari dei diritti di sicurezza nazionale e internazionale. Non si tratta pi soltanto di una difesa comune nei confronti di un nemico esterno, ma della moltiplicazione delle dimensioni della sicurezza (legate allevoluzione dello sviluppo dei diritti umani) allinterno della quale viene a collocarsi la difesa militare, acquistando una centralit diversa, pi cosciente e con una definizione pi marcata. Lampliamento della concezione della sicurezza, e soprattutto il suo assumere dimensioni pi orizzontali e democratiche, indirizza verso la fuoriuscita da un ambito strettamente nazionalistico ad un livello di identit pi ampio, legato essenzialmente alla percezione di una uguaglianza in termini di vulnerabilit e di nuova solidariet di fronte a rischi con effetti imprevedibili. Molteplici fattori a pi dimensioni hanno operato lungo la linea di sviluppo di una nuova concezione e di una nuova policy di sicurezza; le costanti trasformazioni della situazione geostrategica internazionale hanno sicuramente rappresentato, a livello europeo, un potente stimolo in tal senso per far decollare le relative politiche comuni. Levento pi rilevante in questo contesto stato rappresentato dai conflitti nei Balcani che hanno profondamente segnato lEuropa, accelerando la ricerca di una pi coerente politica estera e di sicurezza. La crisi del Kossovo, dopo quella bosniaca, ha costituito per lOccidente unulteriore segnale nel far registrare la perdurante inadeguatezza dei sistemi di sicurezza comuni nel gestire, soprattutto in termini di tempestivit, situazioni complesse, con una conflittualit diffusa, elevata e radicata. Fino ad allora, concetti come quelli di prevenzione attiva dei conflitti e di gestione remota della conflittualit - intesi ad evitare che problemi locali si amplifichino fino ad innescare conflitti regionali potenzialmente capaci di mettere a rischio gli interessi nazionali o comunitari globalmente considerati non avevano ancora trovato una piena risposta organizzativa e procedurale e tanto
membri - nel settore della difesa e in quello della "Giustizia e affari interni". Aggiungendo questa cooperazione intergovernativa al sistema "comunitario" esistente, il trattato di Maastricht ha creato una nuova struttura a tre "pilastri" che politica cos come economica: si tratta dell'Unione europea (UE).

meno in una dimensione regionale europea. Lattentato terroristico dell11 settembre 2001 ha, a sua volta, nuovamente testimoniato la tendenza dei singoli Stati a muoversi del tutto autonomamente rispetto allEuropa e quindi- lurgenza di delineare politiche comuni. Tutte queste diverse esperienze hanno spinto lUnione Europea, come la Nato, a cercare formule nuove per una gestione pi tempestiva e diretta dei problemi di sicurezza. Lobiettivo principale, inizialmente confuso e conseguito per approssimazioni successive, era quello di evolvere dalla logica del supporto alla pace, nel senso di impiego di forze militari attivate allemergenza per la gestione della crisi, alla logica della gestione attiva delle crisi (crisis management)6. Da questultima derivano le Crisis Response Operations che comprendono tutto lo spettro delle cosiddette operazioni diverse dalla guerra, organizzate con una logica di prevenzione e di pianificazione organica degli interventi, svincolate dal concetto di intervento per art. 57. A fronte delle molteplici sfide vecchie e nuove, pur con molti problemi, contrariamente a quanto avvenuto nel passato, la difesa europea divenuta un tema centrale e concreto nel dibattito sul futuro dellUnione in quanto logico proseguimento lungo il percorso di affermazione e di riconoscimento della propria identit e sovranit; in vista di ci il pensiero strategico e limpostazione tattica in materia di difesa di alcuni Stati membri sono stati profondamente rinnovati. 6 Lo spettro delle possibilit di intervento nelle situazioni di crisi estremamente ampio: la
dottrina militare moderna ha elaborato un complesso di schemi di operazioni c.d. diverse dalla guerra, MOOTW (Military Operations Other Than War), che si adattano concettualmente alle diverse occorrenze. Si tratta delle missioni di supporto della pace, che vengono suddivise in operazioni di peace keeping (mantenimento della pace), peace enforcement (imposizione della pace), peace building (costruzione della pace) e peace making (azioni per far accordare parti ostili). La differenza principe tra le varie tipologie di intervento elencate risiede nella loro intensit che sar modulata in modo da ottenere il risultato voluto. Ci che le accomuna, invece, la necessaria presenza di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel rispetto delle norme dello Statuto dellONU.

7 La denominazione riferita allarticolazione del trattato Nord-Atlantico, che prevede, allart. 5


lo svolgimento di missioni di difesa collettiva (Collective defence) in caso di attacco subito da parte di un Paese aderente allAlleanza; per missioni non articolo 5 si intendono tutte le altre evenienze di impiego dello strumento militare NATO, ed in particolare quelle in ottemperanza a risoluzioni dellONU, allingerenza umanitaria, alle PSO (Peace Support Operations), alle CRO (Crisis Response Operations), e cos via.

Nuove responsabilit sembrano attendere lEuropa che dovr accettarle, pena vedere il totale azzeramento della sua influenza. Da pi parti si auspicato di improntare lo sviluppo della difesa e della sicurezza europee secondo il tipico percorso di integrazione indicato da Jean Monnet8, per il quale prima si stabilisce una solidariet di fatto - in questo caso in rapporto alle nuove istituzioni di sicurezza e difesa e alla nuova Forza di Reazione Rapida varata ad Helsinki nel 1999 per svolgere le cosiddette missioni di Petersberg9 gi stabilite nel 1992, e solo successivamente affrontare la questione della finalit strategica di tutto il progetto. Da ci deriva il convincimento secondo cui sar proprio lo sviluppo della dimensione della difesa e della sicurezza comuni a favorire lemergere, nel medio o nel lungo periodo, di una pi concreta identit politica europea, che consentir allUnione di svolgere pienamente il ruolo che le compete sulla scena internazionale. Come per lEuro si proceduto gradualmente attraverso varie fasi di integrazione economica, coronata dallintroduzione della moneta unica, anche per la sicurezza e la difesa necessario procedere attraverso passaggi intermedi, attendere che si consolidino per poi avanzare verso livelli di maggiore integrazione. Daltra parte proprio il mutamento del concetto di sicurezza, il suo assumere dimensioni pi orizzontali e democratiche dovrebbe facilitare la fuoriuscita da un ambito strettamente nazionalistico verso un livello identitario pi ampio, legato essenzialmente alla percezione di un destino comune. La questione sta divenendo ogni giorno pi urgente; essa ormai presente non solo nellagenda dei politici, ma nelle istituzione militari dei paesi membri gi da tempo impegnate in un profondo rinnovamento e comincia ad essere presente nella coscienza collettiva; come risulta da una serie di sondaggi, lopinione pubblica europea avverte come cruciali le questioni della politica di difesa e di sicurezza comuni e della politica estera comune, anche se le posizioni al riguardo sono piuttosto differenziate e rimane ancora basso linteresse per Forze Armate esclusivamente europee.

2. LA GLOBALIZZAZIONE DEI PROBLEMI DI SICUREZZA


8 Cfr. nota 33 p.41. 9 I compiti di Petersberg comprendono le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di
mantenimento della pace e le missioni di unit di combattimento per la gestione delle crisi, ivi comprese le missioni tese al ristabilimento della pace (art. 17 par. 2 del Trattato sull'Unione Europea).

Il 2001, che si era aperto con lavvio della presidenza Bush, sembrava un anno destinato a confrontarsi con un cresciuto disimpegno americano dalle aree di crisi, mentre le conseguenze di questa scelta avrebbero reso ancora pi manifesta lassenza di una governance effettiva della globalizzazione. Gli attentati dell11 settembre, considerati dagli Stati Uniti come una vera e propria dichiarazione di guerra, hanno prodotto un ricompattamento e riallineamento delle alleanze intorno alla potenza leader dellOccidente, coinvolgendo la comunit internazionale nei suoi multiformi aspetti: politici, economici, istituzionali e sociali. I grandi mutamenti del quadro strategico che hanno caratterizzato l'ultimo decennio dello scorso secolo, hanno chiaramente mostrato l'esigenza di aggiornare il patto transatlantico imperniato sull'Alleanza Atlantica, estendendone la vocazione dalla difesa comune alla sicurezza collettiva, per espandere l'area di pace, proiettando stabilit e sicurezza nello spazio euro-atlantico, al di fuori dei confini dell'Alleanza, coinvolgendo in questo disegno di stabilit cooperativa i Paesi dell'Europa dell'Est che non ne fanno parte, con attenzione speciale alla Russia e all'Ucraina. Europa, Stati Uniti, Russia, cos come gli altri attori della scena internazionale, non possono che nutrire comuni desideri di proseguire sulla strada della costruzione di un sistema di sicurezza internazionale condiviso e, al tempo stesso, avvertire comuni preoccupazioni circa l'eventualit di una nuova ingiustificata corsa al riarmo, con il rischio stesso di pregiudicare il cammino sin qui condotto e l'epoca di prosperit apertasi. Questa evoluzione del concetto strategico dell'Alleanza richiede e si accompagna ad un riequilibrio del legame transatlantico basato su un pi equo e bilanciato rapporto di doveri, oneri, responsabilit e diritti, tra l'Europa e gli alleati nordamericani. Vi bisogno di pi Europa nell'Alleanza, non di meno Alleanza in Europa. nell'ottica di questa visione strategica del futuro del rapporto transatlantico come fondamentale per la sicurezza europea, che si inquadra la prospettiva della costruzione della Dimensione Europea di Sicurezza e Difesa. Le crisi balcaniche di fine secolo hanno confermato, ove ve ne fosse stato bisogno, che vi forte esigenza di una Politica Estera di Sicurezza e Difesa (PESD) veramente comune, fattore trainante e determinante dello stesso processo di integrazione politica dell'Unione Europea e senza la quale l'influenza 10

dell'Europa sarebbe modesta, anche in scenari strategici vicini, di diretto ed immediato interesse per la nostra sicurezza. Senza una PESD comune non sar neppure possibile riequilibrare doveri e responsabilit, come opportuno e necessario, nel rapporto transatlantico e dare concretezza all'aspirazione ed all'esigenza di "pi Europa nell'Alleanza". Si impone, dunque, la necessit di sviluppare ulteriormente la riflessione in ambito comunitario: lo strumento opportuno potrebbe essere la redazione di un Libro Bianco Europeo sulle capacit militari e sulla convergenza delle politiche di difesa. La Politica Europea di Sicurezza e Difesa per essere credibile ed efficace richiede capacit operative europee adeguate alle nuove missioni, ai nuovi rischi ed alle nuove sfide alla sicurezza. La decisione assunta dall'Unione Europea di costituire entro il 2003, per le missioni di Petersberg, un Corpo d'Armata Europeo di Reazione Rapida, costituisce un primo importante passo. Poich esse includono la dimensione di soccorso civile, il Corpo d'Armata pu fornire un quadro logistico prezioso anche in scenari di disastri ambientali, quali possono essere causati da mutazioni climatiche. Le scelte sin qui fatte dal Consiglio Europeo delineano una crescente saldatura con l'Iniziativa delle Capacit di Difesa (DCI), decisa dall'Alleanza al vertice di Washington del 1999. un aspetto operativo e concettuale molto importante perch, nel perseguire gli obiettivi che gli europei si sono dati in chiave europea ad Helsinki, si sostengono al tempo stesso gli obiettivi di capacit che, come alleati, gli europei si sono dati nel contesto atlantico a Washington anche per colmare il divario operativo con gli Stati Uniti: quasi due facce della stessa medaglia per assicurare una chiara ed indispensabile saldatura fra l'ambito atlantico e quello europeo, rafforzando e riequilibrando il legame transatlantico. L'applicazione delle decisioni politiche ed operative che abbiamo concorso ad assumere in ambito europeo ed atlantico ha impresso, negli ultimi anni, una forte accelerazione alla riforma in profondit della Difesa italiana e del suo strumento militare. Tutto questo nell'ambito di un ampio confronto di opinioni tra societ civile e realt militare sui temi della pace e del ruolo internazionale dell'Italia, che ha portato a riscontrare il consenso a queste trasformazioni di una grande maggioranza della popolazione. Tappe essenziali del processo di trasformazione sono state: la riforma in chiave interforze dei Vertici militari; 11

la riorganizzazione delle strutture di comando e delle aree operative, logistiche, amministrative e tecnico-industriali centrali e periferiche; l'apertura alle donne del servizio militare; la riforma dell'Arma dei Carabinieri con l'assunzione del rango di Forza Armata; la sospensione della leva e il passaggio ad uno strumento militare interamente volontario. Su questo quadro va proiettato il progetto di ammodernamento dei mezzi, sistemi ed equipaggiamenti secondo le priorit e le esigenze operative delineate nella DCI e nel Catalogo delle Capacit di Helsinki. Un processo che richiede investimenti e lo sviluppo di coerenti politiche di sinergia con gli altri Paesi, anzitutto europei, nei settori della ricerca e degli approvvigionamenti. Un primo passo avanti stato fatto con la firma della "Lettera di Intenti" tra sei Paesi europei ad alta industrializzazione della difesa (Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Svezia). Altro elemento unificante della cooperazione nel settore delle politiche dei sistemi di difesa costituita dall'OCCAR, organo quadripartito (Francia, Germania, Italia e Regno Unito), che rappresenta un primo passaggio di cooperazione, nella prospettiva della costruzione di una Agenzia Europea degli Armamenti. Le Forze Armate, chiamate alle nuove missioni in questo nuovo secolo, dovranno essere capaci di far fronte alle mutate esigenze di sicurezza multidimensionale, in un contesto europeo, atlantico, e pi in generale internazionale ove sono vincenti la professionalit, un costante aggiornamento e formazione sia del personale militare sia di quello civile della Difesa, l'ammodernamento delle tecnologie e dei sistemi d'arma, la capacit di pensare, pianificare ed agire in chiave interforze e multinazionale. Tutto ci significa, per gli europei e per l'Italia, spendere certamente meglio e pi efficacemente le risorse di cui si dispone, ma anche investire pi risorse nel personale e nelle capacit operative, per poter prevenire e gestire meglio le crisi, ove dovessero manifestarsi. Un impegno, per l'Italia, coerente, progressivo, sostenibile e compatibile con le capacit e le potenzialit del nostro Paese e con le sue giuste ambizioni di essere protagonista della politica di sicurezza e difesa in Europa, nella NATO e nella 12

comunit internazionale10.

3. IL QUADRO STRATEGICO DI RIFERIMENTO


All'inizio del nuovo millennio l'Italia deve saper affrontare con successo nuove sfide in un quadro di sicurezza multidimensionale pi imprevedibile rispetto ai precedenti cinque decenni di storia repubblicana. Il nuovo mondo, segnato dalla rivoluzione dell'informazione in tutti i suoi aspetti, propone un'ampia gamma di opportunit e di rischi. Tra le opportunit si possono menzionare: l'aumento degli scambi e dell'interdipendenza tra paesi ricchi e meno ricchi; la possibilit di mobilitare vasti settori dell'opinione pubblica internazionale verso grandi cause 10 In particolare ed alla data del presente elaborato (marzo 2004) attiva la partecipazione alle
seguenti missioni/ operazioni internazionali da parte dellItalia:-

Bosnia:

NATO Joint

Forge, European Union Monitoring Mission, European Union Police Mission in Bosnia-Herzegovina;-Kosovo: NATO Joint Guardian, United Nations Interim Administration in Kosovo;- Fyrom: NATO Joint Guardian, NATO HQ-Skopie, EU Concordia;Albania: 28 Gruppo Navale, Delegazione Italiana Esperti, ALBIT Afghanistan : ISAF (International Support

(National), NATO HQ-Tirana;-

Assistance in Afghanistan);- Afghanistan e Mare arabico: Enduring Freedom;Iraq: Humanitarian Assistance, Antica Babilonia;- Iraq-Kuwait: Nations Iraq-Kuwait Observer Mission (UNIKOM);United

Marocco: United Nations Libano: United

Mission for the Referendum in Western Sahara (MINURSO);Nations Interim Force in Lebanon (UNIFIL);-

Etiopia/Eritrea:

United Nations

Mission in Ethiopia and Eritrea (UNMEE);-Malta: Missione Italiana di Assistenza Tecnico-Militare (MIATM);- India-Pakistan: United Nations Military Observer Group in India and Pakistan (UNMOGIP);- Repubblica Democratica del Congo: United Nations Organisation Mission in Democratic Republic of Congo (MONUC);Egitto: Multinational Force and Observer (MFO);- Palestina: International Presence in Hebron (TIPH);- Israele: Supervision Organization (UNTSO). 13 United Temporary Truce

Nations

Questo impegno si sostanzia nella presenza

umanitarie; la diffusione di correnti intellettuali capaci di formare una nuova comunanza culturale umanistica, rispettosa delle libert fondamentali in una ricchezza di diversit culturali; la diffusione della libera informazione, che supera le barriere di regimi politici e confessionali opprimenti. Le stesse forti spinte alla globalizzazione possono contribuire, oggi ed in futuro, insieme ad altri fattori di fondo, a generare anche squilibri e rischi di grande portata, in grado di causare violenti conflitti interni di lunga durata e devastanti conflitti tra Stati. Prima di passare in rassegna i rischi per la sicurezza del Paese, necessario tener presenti alcune proiezioni sul lungo periodo di taluni fattori importanti quali demografia, epidemie, risorse, politica e identit religiosa, che hanno implicazioni per il quadro globale della sicurezza internazionale.

4. INFLUENZA DEI FATTORI CULTURALI, POLITICI E RELIGIOSI


La globalizzazione continua ad influire sulla trasformazione dello Stato nazionale, sia a livello infranazionale che sovranazionale. Ogni volta che, per un insieme di concause,uno Stato entra in crisi profonda e rischia di collassare, gruppi criminali tenteranno di sfruttare le zone grigie di legalit e scarso controllo del territorio per ritagliarsi proprie sfere di potere. I flussi di traffici illegali (p.e. tabacchi, droga, armi, immigranti), che questi gruppi alimentano, finiscono per corrodere significativamente anche la sicurezza dei paesi pi stabili e ricchi. Parte dei problemi connessi alla trasformazione dello Stato indubbiamente legata ai grandi cambiamenti nell'identit culturale a livello locale e globale. Da un lato vi la percezione della diffusione di un'identit cosmopolita e globalizzante con alcuni caratteri uniformanti, mentre dall'altro si assiste all'adattamento ed al rinnovamento delle culture locali, specie dopo l'attuale eclissi dei grandi sistemi ideologici. Al tempo stesso va registrata l'accresciuta percezione dell'importanza del fattore religioso, spesso sentito come radice di profonde e violente contrapposizioni tra civilt. allestero di circa 12.000 militari, cui sono da aggiungere, e non solo per fini puramente statistici, gli appartenenti alle c.d. ONG (Organizzazioni Non Governative), che attestano il valore complessivo della presenza italiana su livelli quantitativi e qualitativi di assoluto rilievo internazionale. 14

Pur considerando i conflitti in cui il fattore religioso viene strumentalizzato, si possono ragionevolmente escludere gli scenari pi pessimistici. L'evoluzione culturale nelle varie parti del globo, pur rivelando tensioni da non sottovalutare, sembra sfumare significativamente gli scenari degli scontri tra civilizzazioni. Va posta piuttosto l'attenzione sulle incertezze generate dalla competizione tra diverse proposte all'interno di quell'area politico-culturale genericamente definibile come Occidente. D'altro canto, finita la Guerra Fredda, lo stesso fenomeno della globalizzazione ha favorito una trasformazione fondamentale nella suddivisione delle zone di sicurezza del pianeta. ragionevole affermare che tutti i paesi della fascia nord della zona eurasiatica, quelli delle Americhe ed alcuni gruppi consistenti di paesi dell'Africa e dell'Oceania non avvertono pi la necessit d'investire massicciamente nella difesa dell'esistenza stessa della nazione. Per la maggioranza di essi la principale preoccupazione , invece, di mantenere ed accrescere le condizioni di sicurezza esistenti e, per alcuni, di produrre sicurezza, reagendo a conflitti di media o bassa intensit, e di proiettarla nelle zone vicine. Purtroppo la natura stessa delle cause di conflitto, in grado di generare ripercussioni a grande distanza con dinamiche difficilmente prevedibili, rende pi arduo prevenire, reagire e risolvere. Gli stessi conflitti sono di natura assai diversa: da quelli pre-moderni, nei quali manca il quadro di riferimento statale, a quelli classici tra Stati, a quelli post-moderni, quando sono a carattere transnazionale e s'incardinano sull'informazione come arma. Secondo le differenti stime, sono in corso nel mondo da 39 a 282 conflitti di varia intensit.

15

CAPITOLO II I PRINCIPALI SOGGETTI DELLA POLITICA INTERNAZIONALE DI SICUREZZA E DIFESA E LE RISPETTIVE CORRELAZIONI: ONU - OSCE - NATO - UE
PREMESSA La politica pu essere definita anche come quel complesso di attivit settoriali (diplomazia, difesa, giustizia, economia, finanza, fisco, istruzione, sanit, e cos via) finalizzate al governo dei superiori interessi di una Nazione o di uno Stato (in passato, pur non del tutto desueto, il temine res publica ben identificava ci). Nella pratica comune, senza peraltro sottrarre valore al termine, queste attivit settoriali, a loro volta, sono definite come politiche a se stanti e, tra queste, due ossia la politica estera e la politica di difesa e sicurezza presentano particolari interrelazioni e 16

valenza. La politica estera identificata nellinsieme di azioni nei pi svariati piani (culturale, giuridico, commerciale, sociale, e cos via) che ogni Stato instaura in campo internazionale, tra le quali assumono particolare rilevanza quelle rientranti nel campo delle relazioni economiche e dei sistemi di sicurezza di primo livello. La politica di difesa e sicurezza correlata allinsieme di iniziative, anche a connotazione militare (ovvero condotte da mezzi terrestri, aerei e navali, ma non solo), poste in essere da uno Stato (o da una Nazione), eventualmente in cooperazione con altri Stati e Nazioni alleate, per fronteggiare e risolvere sfide, minacce e rischi11, sia di natura militare che di natura politica, al fine di tutelare e salvaguardare i propri interessi strategici, vitali e primari12. Si pu dire che ogni azione bellica attuata per conseguire il sistema di rapporti e di interessi ed imporre la pace e lo sviluppo ritenuti migliori per mantenere e consolidare detti interessi. Si pu affermare, assumendo che il concetto sia condiviso anche a livello nazionale in tutti i fori a ci deputati, che la politica estera, con tutte le sue implicazioni anche economiche, e la politica di difesa e sicurezza, con tutte le sue connessioni interne ed esterne, rappresentino due visioni separate ma non separabili della medesima realt e tendano allo stesso fine. Ci significa che una moderna politica di difesa e sicurezza non pu essere un fatto puramente militare n un atto esclusivamente nazionale, poich, per attuarla e renderla operante con positivi riscontri e ricadute sugli interessi nazionali, si rivela indispensabile uno stretto collegamento, una forte cooperazione ed un sinergico condiviso agire tra le impostazioni dei singoli Stati - in particolare di quelli pi forti 11
Interessante al riguardo la distinzione operata da Maurizio Cremasco, in CeMiSS Il ruolo della Forza europea di reazione rapida, Artistic&Publishing company, ed. 2001, tra sfide, rischi e minacce. Lautore individua le sfide in quelle poste dalla globalizzazione, dalla difesa dellambiente, dallAIDS, dallimmigrazione, dalle risorse, dalla criminalit organizzata, dalla sicurezza informatica, dal controllo degli armamenti e dal disarmo, da rapporti tra Stati Uniti ed Unione europea; i rischi in quelli derivanti dalle crisi regionali; le minacce in quelle conseguenti dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa (nucleari, chimiche e batteriologiche) e dal terrorismo internazionale.

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Recentemente con il termine interesse vitale o primario di uno Stato o di una coalizione di

Stati si intesa anche la salvaguardia di valori astratti, comuni e condivisi, costituenti gli elementi fondanti ed irrinunciabili della tipologia di struttura politica e sociale degli Stati stessi. Con ci si fa esplicito riferimento allintervento operato in Kosovo, poich stato anche giustificato in base al principio della c.d. ingerenza umanitaria negli affari interni di uno Stato, ed incentrato sulla leadership esecutiva dellAlleanza atlantica.

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economicamente, tecnologicamente e militarmente da porre, nella generalit dei casi, anche nellalveo delle decisioni e deliberazioni delle maggiori Organizzazioni che alimentano il sistema di sicurezza internazionale. Ogni Stato che vuole avere un rilievo internazionale obbligato a sviluppare una grande politica estera e una grande politica di difesa, entrambe strettamente coordinate. La prima, intesa come capacit di individuare sia aree geografiche di particolare interesse economico-strategico (con le quali allacciare rapporti di collaborazione, commercio e sviluppo) che aree geografiche di possibili crisi (nelle quali pu essere necessario intervenire). La seconda, intesa come definizione dei principi, dei mezzi e dei metodi politico-militari per il conseguimento degli obbiettivi strategici prefissati. Appare implicito che, nella pratica, debbano essere affrontati e possibilmente risolti due fondamentali ordini di problemi: quello relativo al coordinamento fra gli obbiettivi di breve, medio e lungo periodo - ci richiede una pianificazione sufficientemente proiettata nel futuro, e nello stesso tempo sufficientemente flessibile, delle attivit e dei programmi da portare avanti e quello riguardante lequilibrio tra fini e mezzi ci richiede la pi razionale utilizzazione, in funzione degli scopi realistici, delle risorse finanziarie e tecnologiche disponibili. Il conseguimento di un equilibrio di tal genere una sfida da vincere in quanto alla crescente ampiezza degli interessi da preservare corrisponde limpedimento, per variegate ragioni, di molti Stati ad esprimere un supporto militare adeguato13. Su questi Paesi grava, cos, il dilemma di uno squilibrio di fondo fra il livello di ambizione delle relative impostazioni di politica estera e la concreta attivazione e sostanza degli impianti possibili di politica della difesa e sicurezza, per poter svolgere, a livello almeno regionale, se non globale, o in aree determinate un ruolo attivo per il mantenimento della sicurezza e della stabilit internazionale. Nel quadro di un nuovo ordine mondiale ancora da costruire, nasce, pertanto, la necessit di coordinamento delle politiche estere e di difesa di tutti i Paesi che per 13
Di fatto nessuno Stato al mondo, ad eccezione degli Stati Uniti dAmerica (che, comunque, ricercano il consenso e ladesione, anche parziale, di altri Stati, per fini di supremazia etica e morale), appare in grado di esprimere un livello di potenza militare senza dover ricorrere al concorso di altri. Ogni altro Stato facente parte della NATO o dellUE, o di altri organismi di solidariet ed alleanza internazionale, deve giocoforza ricorrere a forme comuni ed intergovernative di collaborazione ed alleanza per poter perseguire militarmente i propri interessi nazionali, quando tale azione abbia rilevanza e risonanza planetaria.

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ragioni economiche e/o militari hanno un peso internazionale di particolare rilievo. Aspetti, questi, che non sempre trovano una soluzione percorribile ed accettabile nellambito dei vari livelli del sistema di sicurezza internazionale, ovvero nellalveo di unalleanza politico-militare regionale, come la NATO, nel quadro di unOrganizzazione regionale, come lUnione europea, e nel contesto di unOrganizzazione mondiale, come lONU, evidenziando lesigenza di non escludere alleanze e approcci a geometria variabile polarizzati o fondati su iniziative specifiche, ed in tal campo gli esempi sono innumerevoli oltre ai piani attivati dagli Stati Uniti per la guerra al terrorismo internazionale dopo l11 settembre 2001e al problema dei rogue States14. La quasi totalit degli osservatori e degli analisti internazionali ha, immediatamente a valle dellattentato alle torri gemelle, affermato con forza che dopo tale evento il mondo non sarebbe stato pi come prima. Tale affermazione risulta, tuttavia, non essere una scoperta, ma una continuazione ed unulteriore evoluzione a quanto gi da diversi anni era presente, in maniera endemica ed allo stato larvale, nellinterno della scena internazionale. Con lavvicinarsi, infatti, della fine del secondo millennio, la situazione geo-politica internazionale, che fino a pochi anni prima sembrava cristallizzata, ha subito impulsi tali da renderla sempre pi instabile e difficile da interpretare. La proliferazione delle esigenze d'intervento di Forze multinazionali a seguito di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dellONU ha comportato luso massiccio e protratto nel tempo di forze terrestri, navali e aeree per risolvere le sempre pi frequenti situazioni critiche regionali e mondiali, nei teatri laddove le stesse emergevano. Tali teatri erano, e lo sono ancora poich molti di essi risultano attivi, 14 Rogue states, Stati canaglia: il primo che ha utilizzato questa espressione stato, in un articolo
apparso su Foreign Affairs nel 1994, il consigliere per la sicurezza nazionale Anthony Lake. La definizione veniva applicata a quelle nazioni che mostrano unincapacit cronica a impegnarsi costruttivamente col mondo esterno, e nellarticolo in questione era riservata a Iran, Irak, Libia, Corea del Nord e Cuba. Lespressione stata successivamente utilizzata sia da Bill Clinton che dal suo segretario di Stato Madaleine Allbright, senza dare per luogo alla creazione di un elenco formale. Le caratteristiche che fanno di uno stato uno Stato canaglia sono comunque quattro: tentativi di produrre armi di distruzione di massa; sostegno al terrorismo; trattamento biasimevole dei propri cittadini; propaganda ostile nei confronti degli Stati Uniti (cfr. Meghan L. OSullivan, Les dilemmes de la politique amricaine vis--vis des Rogue States, in Politique Etrangre, primavera 2000). avrebbe dovuto attagliarsi un giudizio fondato su categorie politiche e, se mai, etico-politiche

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generalmente non ad immediata portata di intervento dai luoghi nei quali tradizionalmente trovano dislocazione le capacit militari, richiedendo il loro riposizionamento ed alimentazione, anche con e per tempi non brevi. Linversione di tendenza sopra espressa al livello pi alto della diplomazia internazionale ha necessariamente prodotto un cambiamento di vedute, anche nelle organizzazioni militari, facendo assumere alle operazioni multinazionali di supporto e attuazione della pace e della sicurezza collettiva un rinnovato ruolo preminente. I blocchi contrapposti avevano modellato gli strumenti nazionali della difesa in maniera da soddisfare le esigenze di contenimento di un attacco massiccio, portato con armi potenti e con un gran numero di mezzi ed uomini; gli imponenti apparati militari sacrificavano la rapidit dazione per favorire la stabilit e la resistenza allurto contro lopposto contendente, conferendo staticit operativa e strategica allintero complesso, nel mentre era salvaguardata, in linea di principio, la flessibilit della sola azione tattica. Le problematiche minori a carattere locale del periodo della Guerra fredda, raramente risolte definitivamente in ambito Nazioni Unite, erano gestite mediante linvio di osservatori militari, oppure mediante la disposizione sul terreno di unesigua forza terrestre, neutrale, d'interposizione passiva e di separazione delle parti in lotta, avendo preventivamente acquisito la concordanza delle stesse parti in causa. In aggiunta, dette instabilit locali mantenevano, di fatto, una dimensione contenuta, in quanto stretto e biunivoco era il legame delle fazioni sul campo con le due superpotenze mondiali, ed il tutto doveva essere, ed era, ricompreso nel pi generale disegno egemonico ad esse relativo. Con la dissoluzione del sistema bipolare improvvisamente cessata la Guerra fredda, ossia quel conflitto non combattuto conclusosi senza un trattato di pace e, quindi, senza quel complesso di regole che permettono agli Stati di prevedere, controllare e governare gli avvenimenti successivi. Questa nuova situazione ha determinato, tra laltro, una prima revisione del Concetto strategico della NATO (la pi estesa alleanza militare esistente) nel 1991, seguita da una seconda nel 1999 che ha introdotto una struttura delle forze, pi contenuta ma pi agile e rapidamente impiegabile, articolata su: - Reaction Forces (Forze da combattimento di elevata prontezza), ulteriormente suddivise in Immediate Reaction Forces (IRF) e Rapid Reaction Forces (RRF); 20

- Main Defence Forces (Forze stanziali organizzate su base nazionale); - Augmentation Forces (Forze di mobilitazione/rinforzo). Il processo di revisione, proseguito nellambito della pi recente NATO Force Structure Review (NFSR), ha portato ad una nuova composizione, tuttora allesame dei paesi membri, che prevede, sostanzialmente, forze di risposta, in particolare: - Deployable Forces (DF), costituite da un pool di forze/comandi nazionali e multinazionali disponibili per lintera gamma di missioni NATO; - In-Place Forces (IPF), fornite primariamente dalle singole Nazioni per garantire una risposta iniziale ad unemergente minaccia al territorio alleato. Tali forze dovrebbero avere comunque un certo grado di mobilit per contribuire, se richiesto, alle operazioni non-Articolo 5 di risposta alle crisi; - Long Term Build-up Forces (LTBF), necessarie per fronteggiare limprobabile riemergere di una minaccia collettiva su vasta scala. Costituiscono forze aggiuntive da formare attraverso piani di rinforzo, mobilitazione delle riserve o, quando necessario, riaggregando appropriate forze. Le forze DF e IPF sono suddivise in High Readiness Forces (HRF, con prontezza graduata tra 0 e 90 giorni) e Forces at Lower Readiness (FLR, con prontezza fra 90 e 180 giorni). Le HRF insieme alle FLR costituiscono le Graduated Readiness Forces (GRF), in contrapposizione alle LTBF i cui livelli di prontezza sono superiori a 365 giorni. La struttura militare dellAlleanza ha cos iniziato un processo di trasformazione per essere in grado di condurre una vasta gamma di operazioni le Crisis Response Operations (CRO)15 - anche oltre la propria tradizionale sfera di responsabilit, definita dai confini territoriali dei Paesi aderenti, secondo quanto previsto dallArt. 5 15 Non-Article 5 CRO can be described as multifunctional operations which encompass those
political, military and civil activities, initiated and executed in accordance with international law, including international humanitarian law, contributing to conflict prevention and resolution, and crisis management in pursuit of declared Alliance objectives.Il

termine CRO stato impiegato

per la prima volta nello Strategic Concept adottato a Washington nell aprile 1999. Le CRO coprono una ampia serie di attivit, incluse le Peace Support Operations (PSO) ed includono tutte le non-Article 5 Operations autorizzate dal North Atlantic Council .Il documento di riferimento il MC 327/2, NATO Military Policy 21

di Collective Defence del Patto Atlantico. Per quanto riguarda le attivit Non-Article 5, la NATO a Washington16 nel 1999 ha ribadito la piena disponibilit al supporto, secondo criteri di opportunit e le proprie procedure, di operazioni di peacekeeping e di altro tipo sotto lautorit del United Nations Security Council o la responsabilit della Organisation for Security and Cooperation in Europe, mettendo a disposizione le proprie strutture ed expertise. Tuttavia, questo non esclude liniziativa di una operazione senza un mandato da parte delle summenzionate organizzazioni17. Conseguentemente, i Paesi della NATO hanno avviato un ciclo di ristrutturazione al fine di dotarsi di forze di minori dimensioni, ma pi reattive e con capacit di proiezione al di fuori dei confini nazionali. Questa azione di adeguamento ancora in atto richiede, oltre a una revisione delle strutture stesse, anche la modifica del loro grado di prontezza e della relativa dottrina di impiego. Tale processo, essendo improntato a continuit ed analisi permanente, stato oggetto di esame ed attenzione nellambito del vertice dei Capi di Stato e di Governo tenutosi a Praga il 21 e 22 novembre 2002. In detta sede stata assunta la decisione di costituire, riorganizzando e migliorando capacit esistenti, una nuova forza di risposta la Nato Responce Force di circa 21.000 unit, che dovr essere pienamente operativa entro il 200618. for Non-Article 5 Crisis Response, approvato dal Military Committee il 30 maggio e dal NAC il 16 agosto 2001. 16 Dal 23 al 25 Aprile 1999, la NATO ha tenuto il 15 Summit della sua storia lunga 50 anni a
Washington, DC. Il Summit coincise con un periodo straordinario della storia dellAlleanza, nel pieno delle celebrazioni per i suoi 50, e nel medesimo tempo segnata da una inedita campagna aerea mirata a riportare la pace in Kosovo, nella Repubblica Federale di Yugoslavia. Sebbene grande attenzione nel corso del Summit sia stata data alla crisi in Kosovo, a Washington i leaders NATO hanno affrontato un grande numero di altre importanti iniziative.

17 Come esempio si pu citare la presenza della NATO nel Kosovo (nessuna risoluzione del SC, ma
una decisione da parte dei 19 paesi NATO) ed in FYROM (invito da parte del Governo).

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La formazione utilizzer tecnologie di avanguardia e avr caratteristiche fortemente

innovative, sul piano della flessibilit e della prontezza di impiego, nonch della sostenibilit in operazioni prolungate. Sar naturalmente a composizione multinazionale ed interforze e potr essere proiettata e dispiegata in tempi ristretti su scala globale. Con riferimento alle esigenze evolutive dellorganizzazione, la Nato Responce Force agir da elemento pilota, catalizzatore di nuove capacit, cos come dichiarato nella prolusione tenuta dal Capo di SM della difesa nellinaugurare

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Contestualmente anche lUnione europea ha fatto registrare, per tener in adeguato conto il cambio di contesto internazionale, significativi progressi nel campo delle iniziative di politica estera e di sicurezza comune (PESC), nonch nel suo ulteriore sviluppo in quello della politica europea comune in materia di sicurezza e di difesa (PESD), che hanno portato alla definizione delle c.d. missioni di Petersberg19, nel campo delle Peace Support Operations ed alla successiva dichiarazione di Helsinki del 199920 nel solco di un sempre pi responsabile contributo attivo ai sistemi di difesa e sicurezza internazionale. Infatti, se nella difesa tradizionale, mirata essenzialmente alla difesa del territorio,
lanno accademico sociale dellISTRID (Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa) 2003-2004, a Roma il 27 febbraio 2003.

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Nella Dichiarazione di Petersberg del 19 giugno 1992, i paesi dellUnione europea occidentale (UEO) dichiaravano di essere pronti ad assegnare loro forze convenzionali per lo svolgimento di missioni militari sotto lautorit dellUEO. Tali compiti comprendevano: humanitarian and rescue tasks, peacekeeping tasks and tasks of combat forces in crisis management, including peace keeping. Il trattato di Amsterdam ha incorporato i Petersberg Tasks nel nuovo articolo 17 (Titolo V) del Trattato sullUnione europea. 20 In tale riunione tenutasi il 10 e 11 dicembre 1999, il Consiglio europeo ha convenuto in particolare quanto segue:- entro

il 2003 gli Stati membri devono essere in grado, grazie

ad una cooperazione volontaria alle operazioni dirette dallUE, di schierare nellarco di 60 giorni e mantenere per almeno un anno forze militari fino a 50.000-60.000 uomini capaci di svolgere linsieme dei compiti di Petersberg;nellambito del

Consiglio saranno istituiti nuovi organi e strutture politiche e militari per consentire allUnione di garantire la necessaria guida politica e direzione strategica di tali operazioni, nel rispetto del quadro istituzionale unico;saranno elaborate

modalit per la piena consultazione, cooperazione e trasparenza tra lUE e la NATO, tenendo conto delle esigenze di tutti gli Stati membri dellUE;saranno definite

disposizioni appropriate atte a consentire, nel rispetto dellautonomia decisionale dellUnione, ai membri europei della NATO, non appartenenti allUE e agli altri Stati interessati, di contribuire alla gestione militare delle crisi da parte dellUE;sar

creato un meccanismo di gestione non militare delle crisi per coordinare e rendere pi efficienti i vari mezzi e le varie risorse civili, parallelamente a quelle militari, a 23

poteva bastare la deterrenza, che ha mantenuto la pace diffidente per tanti anni, ora occorre proiettarsi per proteggere gli interessi vitali fuori dei confini nazionali, passando da un atteggiamento reattivo, orientato a contrastare un avversario a posteriori o almeno in contemporanea, verso un atteggiamento preventivo e proattivo, teso ad anticipare il verificarsi di possibili minacce politico-militari, intervenendo con tempismo, laddove necessario a salvaguardare i propri interessi o a consentire che gli stessi nascano, si sviluppino e si consolidino. Lanalisi che verr condotta nel prosieguo si riferisce, in special modo, allambito nazionale ed europeo, nel solco della continuit e dellevoluzione della partecipazione ed adesione dellItalia alle alleanze ed unioni gi operanti, senza escludere lattivazione di forme variabili di cooperazione e collaborazione transnazionale, focalizzate e finalizzate a possibili interventi di politica estera, di sicurezza e difesa, conseguenti da specifiche volont consolidate. In tale ambito il sistema Italia sar chiamato ad esprimere il proprio qualificato ed importante contributo, come peraltro ha gi fatto nel recente passato, vista anche la molteplicit

disposizione

dellUnione

degli

Stati

membri.

(cfr

Dichiarazione

di

Helsinki,).Conseguentemente si dato corso alla definizione della cosiddetta HHG (Helsinki Head-line Goal, con lobbiettivo di sostanziare, nel concreto e nel dettaglio, la costituzione di una Forza europea di reazione rapida (FERR) entro il 2003.Il contributo dellItalia alla FERR cos quantificato:Forze terrestri sino

ad un massimo di circa quattro Brigate (12.500-14.500 uomini);- Forze navali per 19 unit;Forze aeree per 18 velivoli;- Forze dei Carabinieri per una MSU

(Multinational Specialized Unit).Da evidenziare, inoltre, che lItalia contribuisce largamente a numerose Formazioni multinazionali a connotazione europea che costituiscono, al momento, il nucleo della FERR di cui intende dotarsi lUE, ed in particolare: EUROMARFOR (European Maritime Force); EUROFOR (European Force); SIAF (Spanish Italian Amphibious Force); MLF (Multinational Land Force). 24

di espressioni ed operazioni cui ha preso parte negli ultimi decenni21.

1.

O.N.U.
a. Generalit Le Nazioni Unite sono state fondate il 24 Ottobre 1945 da 51 nazioni impegnate a preservare la pace e la sicurezza collettiva grazie alla cooperazione internazionale. Oggi, praticamente, fa parte dellONU quasi ogni nazione del pianeta; in totale, 188 Paesi. Quando uno Stato diviene Membro delle Nazioni Unite, esso stabilisce di accettare gli obblighi dello Statuto ONU, un trattato internazionale che fissa i principi fondamentali delle relazioni internazionali. Secondo quanto disposto dallo Statuto, lONU svolge quattro funzioni: mantenere la pace e la sicurezza internazionali, sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni, cooperare nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto per i diritti umani, rappresentare un centro per larmonizzazione delle diverse iniziative nazionali. I Membri dell'ONU sono degli Stati Sovrani. Le Nazioni Unite non sono un governo mondiale e non legiferano. Esse, tuttavia, forniscono i mezzi per aiutare a risolvere i conflitti internazionali e formulano politiche appropriate su questioni di interesse comune. Alle Nazioni Unite tutti gli Stati Membri grandi e piccoli, ricchi e poveri, con differenti visioni politiche e diversi sistemi sociali fanno sentire la propria voce e votano per dar forma alle politiche della comunit internazionale. L'ONU ha sei organi principali. Cinque di questi lAssemblea Generale, il

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Dallinizio degli anni 80 si ricordano le seguenti principali operazioni: in Libano; la

partecipazione alla 1^ guerra del Golfo; gli interventi in Bosnia-Herzegovina, nella ex-Yugoslavia, in Kosovo, in Macedonia; gli interventi reiterati in Somalia; la presenza a Timor Est; la partecipazione ad Enduring Freedom e ISAF in Afghanistan; gli interventi di stabilizzazione e sicurezza in Iraq.In

tutte queste operazioni stato necessario, a vario titolo, porre in essere, sia pur su differenti livelli di graduazione, attivit connesse o connettibili con il trasporto strategico di cui si argomenta. 25

Consiglio di Sicurezza, il Consiglio Economico e Sociale, il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria e il Segretariato si trovano presso il Quartier Generale di New York. Il sesto, la Corte Internazionale di Giustizia, ha sede a L'Aia, in Olanda. Il capitolo VI dello Statuto dellONU prevede, in capo al Consiglio di Sicurezza, dei generici poteri conciliativi nelle controversie, nonch la possibilit di emanare raccomandazioni. Tali decisioni possono essere supportate attraverso linvio sul posto di osservatori. Nel quadro del capitolo VI vengono fatte rientrare le operazioni di conflict prevention (prevenzione dei conflitti), peace making (edificazione della pace) e humanitarian aid (interventi umanitari) . In questi casi lo strumento militare ha un ruolo eventuale e non coercitivo, si frappone tra le parti, ovvero, nel caso delle operazioni umanitarie, fornisce una protezione alle organizzazioni governative e non governative che assistono le popolazioni. Il capitolo VII contiene la disciplina degli atti coercitivi che la comunit internazionale pu mettere in atto allo scopo di impedire laggravarsi di una situazione di crisi. Dagli articoli 40, 41 e 42 discende, in particolare, la facolt del Consiglio di Sicurezza di imporre sanzioni agli Stati che non accolgano gli inviti a risolvere le controversie in modo pacifico. Questi inviti, se non rispettati, portano in una logica successione allimpiego dello strumento militare. Questi sono i c.d. interventi di peace enforcement, ossia di imposizione della pace. Sono caratterizzati dalla facolt data ai comandanti di far rispettare il diritto internazionale e il mandato anche con azioni di forza, attraverso limpiego delle truppe direttamente dislocate nel territorio degli stati in conflitto. In queste missioni, non ovviamente richiesto lassenso delle parti in conflitto allintervento del contingente. Si collocano invece in unarea intermedia tra le azioni previste dal capitolo VI e quelle del capitolo VII le operazioni di mantenimento della pace inizialmente considerate, in termini generali, come lintervento di una terza parte imparziale sotto la direzione di un organismo internazionale, volto a contenere, temperare e/o porre termine ad attivit ostili tra Stati o allinterno di questi, nel quale non escluso, se necessario, lesercizio della forza, in un contesto caratterizzato da un accordo accettato delle Parti in causa. Oggi, il peace keeping ha assunto, invece, la fisionomia di intervento a bassa intensit, sempre con il consenso 26

delle parti in causa, dove luso della forza previsto non per raggiungere lobiettivo della missione, ma solo per garantire lautodifesa delle unit in campo. Appartengono, infine, alle operazioni di costruzione della pace tutte le attivit che seguono ad un conflitto e hanno lo scopo di individuare e sostenere le strutture capaci di mantenere una situazione di stabilit politica. E enorme la differenza che intercorre tra le operazioni militari appena descritte e quelle tradizionali: infatti le prime sono il frutto di diverse regole di ingaggio dovute al confronto di varie metodologie. Le differenze naturalmente non si fermano solo alle regole di ingaggio ma investono anche gli obiettivi: con queste operazioni non si mira pi alla distruzione del nemico, ma si ha come scopo finale il ripristino della pace, oppure altre finalit umanitarie. Queste operazioni, per poter raggiungere il loro scopo, devono essere supportate al tempo stesso da azioni diplomatiche e politiche che, se utilizzate in maniera decisa e tempestiva, sono in grado nel tempo di ricomporre il conflitto. Lintensa e costante partecipazione dell Italia ai vari settori di attivit delle Nazioni Unite ha sempre costituito una componente fondamentale della sua politica estera22. Lazione dellItalia significativa in tutte le aree principali dellOrganizzazione: mantenimento della pace23; cooperazione allo sviluppo economico e assistenza umanitaria; promozione dello sviluppo sociale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti umani; cooperazione culturale e scientifica. Sotto il profilo finanziario, lItalia attualmente il sesto maggior contribuente 22 LItalia partecipa attualmente alle seguenti operazioni di pace dellONU: MINURSO
(Sahara Occidentale), UNMIBH-IPTF (Bosnia-Erzegovina), UNTSO (Israele), UNIFIL (Libano), UNIKOM (Iraq-Kuwait), UNMOGIP (India-Pakistan), MINUGUA (Verifica dei diritti umani in Guatemala), UNMIK (Kosovo), MONUC (Repubblica Democratica del Congo), UNMEE (Etiopia-Eritrea). Inoltre, lItalia partecipa alle operazioni della NATO in Bosnia-Erzegovina (SFOR) sotto legida dellONU e alla KFOR (Kosovo). Nel 1997 ha guidato la Forza Multinazionale di Protezione in Albania, anchessa posta sotto legida dellONU, contribuendovi con il contingente pi numeroso. Inoltre, lItalia ha aderito agli Stand-by arrangements, impegnandosi cos a rendere disponibili allONU un certo numero di unit militari in caso di necessit.

23 La partecipazione dell'Italia alle operazioni di pace risale alla guerra di Corea (1950-1953). 27

al bilancio ordinario delle Nazioni Unite, con una quota di 52,7 milioni di dollari, pari al 5,09% del totale. Nel 2000-2001, lItalia ha contribuito inoltre al bilancio delle operazioni di pace dellONU con una quota di circa 122 milioni di dollari, e al finanziamento dei Tribunali Internazionali dellONU con una quota di oltre 8 milioni di dollari. LItalia stata membro del Consiglio di Sicurezza per il biennio 1995-1996 e ne ha esercitato la presidenza due volte. Nel 1998, ha ospitato la Conferenza Diplomatica dellONU per la istituzione della Corte Penale Internazionale, il cui processo preparatorio ha sostenuto con decisione, ed al quale ha fornito un importante contributo di idee. Molto rilevante anche limpegno italiano nel sostegno ai programmi dellONU per lo sviluppo, per la lotta contro la droga e per la prevenzione del crimine. L'ONU la sede insostituibile per affrontare globalmente le nuove sfide. L'accresciuto rischio d'instabilit nelle varie regioni del mondo, le attribuisce un ruolo di primo piano nella prevenzione e nella gestione politica delle crisi. L'azione di mandato politico dell'ONU, che conferisce la necessaria legittimit ed autorit politica alle singole operazioni, si sviluppata ulteriormente. Anche nei casi di maggiore urgenza e delicatezza della situazione politica mondiale (Kossovo), il principio della preminenza del mandato ONU nella global governance, riconosciuto anche dalla Carta Atlantica, stato comunque riaffermato. Essenziale per la sua futura attivit una riforma per ampliare la rappresentativit del Consiglio di Sicurezza. Di seguito vengono riportate due interviste rilasciate dopo gli eventi dell11 settembre 2001. Dalla prima, nonostante sia trascorso poco pi di un anno24, esaminando le ipotesi conclusive dellautore, emerge quanto le vicende internaziornali si muovano rapidamente, rendendo spesso inadatta e superata una valutazione pur di fonte autorevole. Nel secondo intervento ben si riassume la delicata e mutevole situazione dellintreccio di partecipazione alle comunit internazionali, che rapidamente evolve verso nuovi orizzonti di sicurezza. b. Il ruolo delle Nazioni Unite dopo l11 settembre25 24 28
Data di chiusura della tesi: 26 aprile 2004.

25 Estratto dalla conferenza dellAmbasciatore Francesco Paolo Fulci (19 febbraio 2003, nel

Lazione terroristica condotta contro le torri gemelle di New York l11 settembre 2001 ebbe tre conseguenze che probabilmente gli stessi terroristi non si aspettavano. Primo, il crollo dei due grattacieli provoc oltre tremila morti, molte pi vittime di quanto non si sarebbe potuto immaginare. Nessuno, dico proprio nessuno, neppure i costruttori, aveva previsto che le due strutture si sarebbero liquefatte, afflosciate al suolo, auto distruggendosi un piano dopo laltro in una sorta di braciere apocalittico, bisogna essere stati sul posto per capire esattamente quello che successo. Nessuno immaginava che il calore avrebbe fuso una dopo laltra nel breve volgere di alcune ore le torri che sino a poco prima svettavano orgogliosamente nello skyline di Manhattan. Un eccidio, un vero e proprio atto di guerra insomma. Secondo, vi fu una brusca accelerazione del dibattito alle Nazioni Unite sulla necessit di combattere il terrorismo invocando lart. 51 dello Statuto. Ora questo articolo voi lo conoscete, ma bene ricordarlo, cita testualmente: nessuna disposizione dello Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva nel caso abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite fin tanto che il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Terza conseguenza, si cre nel governo e nel popolo americano una convinta e fortissima determinazione a punire gli autori del misfatto e ad adoperarsi in tutti i modi per prevenire la ripetizione di simili atroci accadimenti. C una foto, una foto che divenuta una sorta di simbolo, uno sprone per questa determinazione americana, la foto che ritrae grappoli di uomini e donne intrappolati dal fuoco che si tengono per mano e si tuffano nel vuoto per andare incontro ad una morte non meno atroce. Davanti a quella foto lAmerica ha giurato e continua a giurare ancora, vi assicuro sono stato ancora recentemente negli Stati Uniti: mai pi. Analizziamo queste tre conseguenze. Anzitutto la portata dellattentato. Come si ricorder esso era stato premeditato in sincronia contro tre obiettivi, i primi due erano le torri gemelle a New York e il Pentagono a Washington. Un terzo attentato di cui non mai stato chiaro il bersaglio forse la centrale nucleare di
quadro delle attivit della 54^ Sessione IASD)

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Three Miles Island o il Dipartimento di Stato o la stessa Casa Bianca, and fortunatamente a vuoto per il coraggio dei passeggeri dellaereo presi in ostaggio che si immolarono per prevenirlo. Quello che ebbe il pi forte impatto sullopinione pubblica non solo americana ma del mondo intero fu lattacco contro le torri gemelle. Era dai tempi della guerra civile americana, cio dal 1865, che non si registrava sul territorio continentale statunitense un episodio di guerra guerreggiata come quello dell11 settembre. Va poi ricordato che gi nel 1993 vi era stato da parte sempre di un gruppo terroristico il tentativo di far esplodere una carica di dinamite nei sotterranei dei due edifici, tentativo fortunatamente sventato in extremis ma che aveva chiaramente indicato come nelle torri si volesse scorgere un simbolo chiave della potenza economica americana da colpire e umiliare. Il risultato psicologico fu diametralmente opposto a quello che i terroristi si attendevano. Anzich demoralizzarsi gli americani reagirono con uno scatto di orgoglio nazionale senza pari. Mai, dico mai, si erano viste tante bandiere americane a Manhattan in tutta lAmerica, tante composte manifestazioni di solidariet come subito dopo lattentato e queste manifestazioni continuarono. Mai si era registrata una maggiore ondata di simpatia verso gli Stati Uniti dAmerica in tutte le altre parti del mondo. E vengo alla seconda conseguenza. Anche alle Nazioni Unite limpatto non fu diverso. Per anni, anzi per decenni si era discusso invano al Palazzo di vetro sul terrorismo; una lotta di liberazione legittima il terrorismo o piuttosto il terrorismo delegittima una lotta di liberazione? Quali misure gli Stati sono tenuti ad adottare per combattere il terrorismo e per contrastare i gruppi ed i Paesi accusati di fomentarlo o sostenerlo? Sino a tutti gli anni 80 alle Nazioni Unite era prevalsa la tesi che lart. 51 dello Statuto, che prevede il diritto allautodifesa nel caso di attacchi esterni, non potesse essere invocato per gli atti di terrorismo. Anzi, si era addirittura visto il caso di unAssemblea Generale dellONU che aveva condannato la ritorsione americana dei bombardamenti aerei effettuati dagli USA contro la Libia dopo lattentato alla discoteca di Berlino nel 1986. Ma la situazione cominci a mutare poco dopo il tramonto del mondo bipolare nel 1992. Quellanno per la prima volta il Consiglio di Sicurezza impose sanzioni contro la Libia con la risoluzione 30 748 perch non consegnava alcuni sospetti terroristi

presumibilmente coinvolti nellattentato contro laereo Lockheed precipitato in Scozia. Altre risoluzioni riguardarono il Sudan, contro cui si comminarono sanzioni perch accusato di ospitare chi aveva attentato alla vita del Presidente egiziano Mubarak durante una visita di questultimo in Etiopia. Nel 1999 poi era stata la volta del regime dei talebani in Afghanistan, rei di continuare ad accogliere terroristi nel loro territorio ed anzi di ospitare campi per laddestramento dei medesimi. Gi nel gennaio del 1998 e nel gennaio del 2000 inoltre erano state firmate allONU due Convenzioni, la prima per la soppressione degli attentati dinamitardi (sarebbe forse meglio dire attentati con esplosivo) e la seconda per la soppressione dei finanziamenti al terrorismo. Cosa aveva determinato queste due Convenzioni? Da un lato il mutato clima internazionale con la fine del bipolarismo, ma anche da un altro motivo ben specifico: nel 1993 si era scoperto in extremis il primo attentato contro le torri gemelle ed era altres emerso che analogo attentato era in avanzata fase di preparazione, da parte dello stesso gruppo, contro il palazzo di vetro. Davanti quindi allimminente pericolo terrorista che la sovrastava, lONU cominci a svegliarsi, ma si muoveva ancora timidamente come dimostrato dal fatto che le stesse due convenzioni anti terrorismo di cui vi ho parlato venivano inizialmente ratificate solo da una manciata di paesi, quella contro il finanziamento ai terroristi addirittura ratificata solo da quattro Paesi sui circa duecento che compongono la comunit internazionale. Il drammatico colpo di barra si produsse il 12 settembre 2001. Quel giorno fu la stessa Assemblea Generale a reagire per la prima volta, cio 189 Paesi membri delle Nazioni Unite e non solo i 15 del Consiglio di Sicurezza. LAssemblea Generale vot una risoluzione in cui condannava inequivocabilmente e nei termini pi energici gli orrendi attacchi terroristici del giorno prima a New York, Washington e in Pennsylvania. Per la prima volta quindi lAssemblea Generale, passando sopra in un colpo solo alle polemiche di tanti decenni e badate bene, con voto assolutamente unanime, a favore anche Stati sospetti di simpatie per i terroristi, approv quella Risoluzione che riconosceva il diritto alla difesa individuale o collettiva in base allo Statuto. In sostanza cio, si reputava possibile il ricorso allart. 51 dello Statuto, che significa una difesa immediata, senza aspettare che si riunisca niente e nessuno. Inoltre lAssemblea Generale dopo aver espresso la propria solidariet alle 31

vittime, alle famiglie, al popolo ed al governo americano incitava tutti i suoi membri a collaborare urgentemente per assicurare alla giustizia coloro che avevano perpetrato, organizzato, assistito, sponsorizzato gli attentati e coloro che li avevano aiutati nella barbara impresa. Dal canto suo il Consiglio di Sicurezza, il 28 settembre il Consiglio, sempre allunanimit, adottava la risoluzione 1373, con cui sanciva lapplicazione del Capitolo VII dello Statuto. E cio lautorizzazione al ricorso e alluso della forza, allimpiego dei mezzi anche militari. In particolare il Consiglio di Sicurezza con la 1373 invitava gli Stati a prevenire e bloccare il finanziamento di qualsiasi attivit terroristica; a rendere reato penale qualsiasi attivit finanziaria connessa o riconducibile al terrorismo, a congelare immediatamente tutti i fondi, beni o risorse di persone, enti o istituti che commettono o cercano di commettere o di facilitare la commissione di atti terroristici; a sopprimere e punire qualsiasi attivit svolta al reclutamento di nuovi membri dei gruppi terroristici oppure ad armarli ed addestrarli, a segnalare rapidamente complotti terroristici di cui gli Stati fossero venuti a conoscenza mediante scambi di informazioni; li invitava a scambiarsi mutuamente assistenza giudiziaria e a stabilire pi efficaci controlli alle frontiere per bloccare i movimenti dei terroristi. Per la prima volta il Consiglio di Sicurezza istituiva un comitato anti terrorismo composto da tutti e quindici i membri del Consiglio di Sicurezza, col compito di prendere tutte le misure possibili per assicurare la piena e incondizionata applicazione della risoluzione stessa. Questultima misura, quella dellistituzione del Comitato anti terrorismo, venne messa in pratica nel giro di pochissimi giorni e non passarono due mesi che non uno, non cento, ma addirittura centonove Stati (un vero record per i tempi dellONU) si impegnarono con questo Comitato anti terrorismo ad applicare la risoluzione 1373, e designarono, i rispettivi funzionari responsabili delle attivit di prevenzione anti terrorismo. Certo, le difficolt non mancarono e non mancano. Ad esempio non pochi Paesi in via di sviluppo fecero subito presente che con le scarse risorse e strutture operative a loro disposizione difficilmente avrebbero potuto controllare i flussi finanziari; questi Paesi spesso non hanno le strutture per cercare di monitorizzare quello che avviene allinterno delle loro frontiere, figuriamoci se sono in grado di capire quello che succede con grosse cifre che vengono da fuori. Alcuni Paesi occidentali promisero che 32

avrebbero dato loro la massima assistenza e collaborazione. Unaltra e imprevista conseguenza degli attentati di settembre si ebbe nello stesso Congresso americano. Il Congresso era stato fino ad allora assai tiepido, per non dire guardingo e sospettoso, nei confronti delle Nazioni Unite, nel timore che unadesione incondizionata al loro operato avrebbe potuto comportare lesioni di sorta alla sovranit nazionale americana. Da qui la notevole diffidenza dei legislatori americani rispetto a problemi fondamentali, come la partecipazione al bilancio o alle operazioni di pace delle Nazioni Unite, nonch la mancata ratifica, sempre da parte dello stesso Senato, di numerosi Trattati e Convenzioni stilati in sede ONU. Stante la necessit di ottenere ora la piena ed incondizionata solidariet del mondo, di colpo anche il Congresso americano dopo l11 settembre mut atteggiamento verso le Nazioni Unite. La questione dei contributi fu rapidamente appianata. Quella situazione si era trascinata per anni e anni: gli americani non intendevano pagare il contributo che dovevano, ma soprattutto non intendevano pagare per molte convenzioni specifiche. In breve, il massiccio attacco terroristico aveva nello spazio di un mattino ribaltato non solo allONU ma anche a Washington posizioni e atteggiamenti consolidati da tempo, facendo emergere e identificando nel terrorismo internazionale la nuova priorit pi urgente ed assoluta per lintera comunit internazionale. Questo era il fatto nuovo, lintera comunit internazionale aveva di fronte un unico terribile nemico, il terrorismo. Una unit simile alle Nazioni Unite non si era mai registrata prima. Per il nostro Paese la fedelt allONU ha costituito una costante, uno dei quattro grandi pilastri su cui dal dopoguerra in poi si regge la nostra politica estera, gli altri tre essendo lEuropa, la Nato e il Mediterraneo. Anche lItalia quindi si impegn fortemente a sostenere lONU nella lotta al terrorismo varando subito appropriate leggi, tra cui un nuovo articolo del codice penale, lart. 270 bis che sanziona ora lassociazione con finalit di terrorismo internazionale, rafforzando gli apparati di sicurezza e di giustizia nonch i controlli finanziari, creando strutture ad hoc volte a meglio studiare e prevenire e combattere il terrorismo internazionale. Insieme alle principali convenzioni dellONU contro il terrorismo, che abbiamo fatto distribuire, troverete anche lelenco delle 11 Convenzioni che lItalia ha gi ratificato, mentre il 33

Parlamento ha in corso di esame la dodicesima, che quella del 9 gennaio 1998 per la repressione degli attentati terroristici con esplosivi. LItalia peraltro resta fermamente convinta che il fenomeno del terrorismo vada combattuto non solo nelle sue estrinsecazioni e manifestazioni, ma anche e soprattutto a monte nelle sue cause originali. Vengo alla terza conseguenza dell11 settembre: la fermissima determinazione ingenerata nel Governo e nel popolo americano che di stragi come quella dell11 settembre non se ne dovessero verificare mai pi. Da qui la decisione di attaccare in forze, con laiuto di alcuni alleati, con la benedizione dellintera ONU e con lappoggio di tutta la comunit internazionale, il regime talebano in Afghanistan. Era infatti proprio questo il regime che, gi ammonito nellottobre 1999 dal Consiglio di Sicurezza a non ospitare basi di addestramento dei terroristi, era colpevole di aver dato asilo e aver sostenuto Bin Laden e la sua organizzazione Al Qaeda, che aveva poi rivendicato gli attentati dell11 settembre. Si sa cosa accadde al regime talebano, ma Bin Laden riusc a sfuggire alla cattura. A quella operazione in Afghanistan seguita una operazione di peace building, in cui come tutti sappiamo i nostri alpini sono direttamente coinvolti ed impegnati. Ma la determinazione americana non fin con la presa di Kabul e delle altre roccaforti talebane. Suscitava non poche preoccupazioni a Washington la situazione in Iraq il cui governo era sospettato di aver violato le risoluzioni ONU che gli impongono un disarmo totale per quanto riguarda le armi di distruzione di massa, armi che tra laltro, potrebbero facilmente cadere in mano a terroristi con le conseguenze che tutti possono immaginare. Di fatto gli americani sono andati sempre di pi persuadendosi della necessit di una vera e propria guerra preventiva, se lIraq non avesse proceduto a disarmarsi da s. Parte della comunit internazionale afferma invece che bisogna lasciare pi tempo agli ispettori dellONU per accertare leffettiva realt delle cose e ricorrere alla guerra solo come ultima estrema ratio. Questa divisione di opinioni lo sappiamo tutti passa anche allinterno della Nato e della stessa Unione Europea ed motivo di giuste preoccupazioni anche per il futuro di entrambe queste organizzazioni, anche se per la verit crisi come questa la Nato in passato ne ha avute e le ha superate brillantemente. Nel 1956, Nasser aveva nazionalizzato il Canale di Suez e anche l si verific una 34

situazione non dissimile: una Nato spaccata in due, ma con una situazione agli antipodi rispetto a quella attuale, perch allora erano le potenze europee, la Francia e la Gran Bretagna, che volevano militarmente attaccare lEgitto, mentre lAmerica fece di tutto alla fine per dissuaderli e prevenne la guerra. Oggi come oggi tre scenari restino essenzialmente possibili. Primo scenario, gli ispettori tornano a New York il 1 marzo poi forse di nuovo il 15 marzo ma a mani sostanzialmente vuote. Larga parte dellopinione pubblica mondiale continua ad invocare la pace; lattuale stato e clima di incertezza potrebbe continuare. Secondo scenario, Saddam Hussein decide di prendere la via dellesilio, anche per risparmiare al suo Paese e al suo popolo lorrore di una nuova guerra. Terzo scenario gli Stati Uniti entrano in guerra, e con loro qualche altro Paese, perch diciamo la verit, sono riusciti a costituire una coalition of the willing, anche se non con la scala e le dimensioni del 1991, anche senza lavallo dellONU. Gli americani e coloro che li sostengono ritengono che ormai possano, anzi debbano scattare le gravi conseguenze previste dalle risoluzioni in caso di inadempienza; gravi conseguenze in questo caso significa la guerra.

c. Nazioni Unite, una proposta di riforma26


la crisi irachena ha provocato una forte scossa nel sistema delle relazioni internazionali, mettendo in discussione, a diverso titolo, sia il ruolo delle Nazioni Unite sia il potenziale dell'Unione europea intesa come soggetto politico. Si tratta di nuove prospettive che investono interessi nazionali primari del nostro Paese e che il governo affronta con chiarezza d'intenti, tanto pi che l'Italia si sente fortemente impegnata a salvaguardare la posizione dell'ONU come riferimento essenziale nell'ordine mondiale. Saremmo forse meno severi se ammettessimo che coloro che lamentano il declino delle Nazioni Unite ne sono in fondo anche corresponsabili. Il Consiglio di sicurezza pu decidere ed agire in quanto riesca a comporre gli interessi, sovente contrastanti, dei suoi membri permanenti. Ed precisamente quanto non si verificato nella crisi irachena: il risultato davanti agli occhi di tutti. Tuttavia, anche al di l del contingente, non vi chi non avverta l'esigenza di una riforma delle Nazioni Unite. La composizione del Consiglio di sicurezza risale al 1945 ed ignora 26 Franco Frattini, Ministro degli Esteri - Corriere della Sera, 3 Maggio 2003 35

fenomeni quali la decolonizzazione, come anche le trasformazioni politiche ed economiche che ne sono seguite. Diverse ipotesi di rafforzamento dei meccanismi di funzionamento dellONU, che comprendono anche opzioni sull'argomento del Consiglio di sicurezza, sono da tempo all'attenzione dei governi dei membri delle Nazioni Unite. L'esperienza legata all'intervento in Iraq ha dato rinnovata attualit alla domanda se una composizione pi aggiornata del Consiglio di sicurezza non possa ridare slancio allONU, aiutandolo a mantenere la propria centralit nel sistema delle relazioni internazionali. L'Italia, con un ampio gruppo di Paesi che ne condividono gli obiettivi, si fatta promotrice di una proposta capace di assicurare maggiore rappresentativit e trasparenza al massimo organo societario. Essa si ispira al convincimento che la soluzione non sta nell'integrare nel Consiglio di sicurezza - in qualit di nuovi membri permanenti - un numero limitato di Paesi, in rappresentanza dei diversi Continenti. Nessuno riceverebbe un mandato a farsi portavoce di aree geografiche variegate e al cui interno esistono sovente forti contrasti. Bisogna piuttosto puntare sul coinvolgimento nel Consiglio di sicurezza - attraverso rotazioni frequenti - di un ampio ventaglio di Paesi, eleggibili sulla base delle loro risorse economiche, del contributo alle Nazioni Unite, del loro impegno nelle attivit di peace-keeping e di aiuto allo sviluppo, eccetera. L'Italia condivide pienamente il principio della eguaglianza degli Stati sancito dalla Carta dell'ONU, ma anche cosciente che il problema delle gerarchie reali negli organi societari non pu essere eluso. Poich punta alla riforma e non alla rifondazione dell'ONU, l'Italia ha volutamente messo in disparte il problema del veto degli attuali membri permanenti. Una sua modifica, come ogni modifica sostanziale della Carta dell'ONU, presuppone infatti il consenso dei cinque e non sono prevedibili circostanze in cui questi Paesi rinuncerebbero a un simile privilegio. In un Consiglio di sicurezza pi democratico e rappresentativo, la minaccia o l'utilizzo del veto, contro l'orientamento prevalente, diventerebbero comunque pi problematici di quanto non accada oggi. Un nodo cruciale della riforma del Consiglio di sicurezza poi quello della rappresentanza dell'Unione Europea. Anche se velleitario pensare che - nel breve termine - l'Unione possa sostituirsi ai propri membri nella rappresentanza in Consiglio, il realismo non impedisce all'Italia di guardare comunque lontano. In un processo da affrontare a tappe, l'Italia 36

punta anzitutto a una attuazione dinamica delle norme gi esistenti nel Trattato dell'Unione Europea, che prevedono il coordinamento delle azioni degli Stati membri in seno alle Organizzazioni internazionali di cui fanno parte e che, per quanto specificamente concerne il Consiglio di sicurezza, oltre che imporre l'obbligo della concertazione e della informazione, incoraggiano anche i due membri permanenti europei ad assicurare la difesa delle posizioni e degli interessi dell'Unione. Dovremo fare in modo che a queste norme sia data effettiva applicazione, superando le passate reticenze, in modo che i Paesi europei in Consiglio di sicurezza esprimano posizioni discusse e coordinate fra tutti i membri dell'UE. Siamo ai primi passi di un processo che porteremo avanti sia nel corso della nostra imminente presidenza sia quando, come vivamente auspichiamo, ritorneremo in Consiglio di sicurezza per il biennio 2007-2008. anche nell' interesse di Gran Bretagna e Francia portare in Consiglio una linea condivisa da tutti i partners dell'UE, che presto saranno 25. Non a caso, la Convenzione europea sta lavorando in questa direzione. Un secondo passaggio di questo processo evolutivo si registrerebbe il giorno in cui, accanto ai due membri permanenti, l'Unione Europea avesse un suo seggio in Consiglio di sicurezza. Soprattutto se si considera che, in un Consiglio riformato, la voce dell'Europa esprimer interessi ed obiettivi di un' area prospera, democratica ed estesa dall'Atlantico fino ai confini con la Russia, includendo anche la Turchia. E, se l'integrazione politica dell' Europa progredir secondo il disegno dei padri fondatori, potrebbe poi realizzarsi l'obiettivo, per ora solo ideale, di una rappresentanza unica dell'Unione nel Consiglio di sicurezza. Per essere protagonista in Consiglio di sicurezza, l'Europa deve essere per un soggetto politico coeso e forte; in grado, anzitutto, di comporre al proprio interno i contrasti di interesse tra Paesi sempre pi numerosi e abituati a ragionare in termini di sensibilit nazionali ormai stratificate. La crisi irachena ha dimostrato che questa riduzione a unit non sempre possibile. I partners dovranno avvicinarsi molto di pi per allineare le loro posizioni, ma dovranno anche rispondere con nettezza al quesito cruciale: se intendano, o meno, mantenere l'integrazione europea nell'alveo naturale della comunit transatlantica. Per l'Italia non vi pu essere crescita dell'Europa al di fuori della solidariet con gli Stati Uniti. La storia della UE, a partire dai primi passi della Comunit Europea, stata tutta all'insegna della comunanza 37

di interessi, obiettivi e valori con gli Usa. E abbandonare oggi questa strada significherebbe suscitare insopportabili tensioni all' interno dell'Unione, rallentarne la crescita e indebolirne in maniera irreparabile ruolo e protagonismo sulla scena mondiale. Solidariet euro-atlantica non significa passiva accettazione di scelte compiute altrove; al contrario, dialogo paritario, in uno spirito di amicizia e di consapevole appartenenza alla stessa comunit. Un dialogo tra eguali presuppone un'Unione Europea che rafforzi le proprie capacit operative anche nel campo militare. questo un aspetto cruciale della costruzione dell'Europa malgrado la sua importanza venga colta occasionalmente. Due sono gli aspetti di cui l'Italia dovr farsi carico. Il primo che la dimensione di difesa europea rimanga strettamente compatibile con la salvaguardia dell'Alleanza Atlantica. L'ingresso nella Nato di tutti i Paesi membri dell'UE ne sarebbe ulteriore garanzia, nell'epoca in cui il concetto di neutralit ha perso il suo significato. Una Unione Europea che prendesse una deriva autonoma nel campo della sicurezza rischierebbe profonde divisioni. Del resto il pacchetto che regola i rapporti tra UE e Nato, il cosiddetto Berlin Plus, riflette proprio questa esigenza di solidariet transatlantica. Il secondo aspetto riguarda obiettivi e capacit della PESD (Politica estera di sicurezza e difesa). Anche in questo campo, se la coerenza con il legame euro-americano sar rispettata, potremo porci obiettivi ambiziosi, al di l delle cosiddette missioni Petersberg (cos dette dal nome della localit tedesca vicino a Bonn dove furono definite) che assegnano alla dimensione militare dell'Unione Europea compiti che potrebbero spingersi sino all'imposizione della pace. Anche per mancanza delle necessarie risorse, queste disposizioni non appaiono per pienamente attuabili. L'Italia, nell'ambito della Convenzione, si adopera sia per superare i condizionamenti operativi attuali, sia per incoraggiare forme di collaborazione pi ristrette e impegnative fra i Paesi disponibili. Perseguiamo questi traguardi nel corretto alveo istituzionale della Convenzione e in stretto raccordo con le istituzioni europee: il tratto distintivo della nostra azione cui sentiamo di dover aderire anche, ma non solo, in vista della prossima assunzione della presidenza. L'impegno nel campo della politica della difesa non pu prescindere da cospicui sforzi finanziari anche se le risorse nella stragrande maggioranza dei Paesi europei sono limitate. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che, in un'epoca di significativi adattamenti degli apparati 38

militari e di tumultuose trasformazioni tecnologiche, l'entit del contributo alle capacit militari dell'Unione e dell'Alleanza Atlantica influir profondamente sul peso politico di ciascun Paese. Nel dopo guerra fredda, il compito dei nostri apparati militari produrre stabilit e sicurezza, contrastando le nuove minacce, senza pi il vincolo di un'area geografica di stretto riferimento. Le organizzazioni e i Paesi non disponibili a partecipare a questa impresa saranno progressivamente marginalizzati. L'Europa ha per troppi anni consumato il bene della sicurezza che il terrorismo internazionale ha ripreso a insidiare. In questo quadro, anche l'Italia sa di dover fare, con i partner, la sua parte responsabile e attiva, nella nuova missione che la relazione transatlantica dovr perseguire: promuovere e produrre sicurezza.

1.
a.

O.S.C.E.
Generalit L'OSCE, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, derivata dal processo di Helsinki27, l'organizzazione che include l'insieme dei 55 Paesi, prima avversari durante la Guerra Fredda, in un nuovo quadro di collaborazione paneuropea. Essa la garante del Trattato CFE28 (Conventional Forces in Europe - Forze Convenzionali in Europa), l'architrave del disarmo convenzionale nel Continente. L'OSCE svolge da vent'anni un ruolo rilevante nella diplomazia preventiva e nella risoluzione in profondit delle cause conflittuali, operando in prevalenza nei settori attinenti alla convivenza civile (controllo della democraticit dei processi elettorali e politico istituzionali, umanitario, sociale, prevenzione dei conflitti o ristabilimento delle condizioni di normalit post-conflittuale). Il Trattato CFE, il Codice di Condotta, il Documento di Vienna 1999, la Carta per la Sicurezza Europea, la gestione degli accordi di disarmo nell'exJugoslavia (artt. II, IV, V del Trattato di Dayton-Parigi), lo studio di nuove misure di fiducia e sicurezza (CSBM) sono gli strumenti concreti con i quali 27 Atto finale di Helsinki della Conferenza sulla Cooperazione e Sicurezza in Europa, firmato
l1 agosto 1975.

28 Il Trattato sulle Armi Convenzionali in Europa (CFE), firmato nel 1990 sotto l'egida dell' OSCE
dai paesi appartenenti alla NATO e da quelli allora appartenenti al Patto di Varsavia.

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l'OSCE sviluppa la sua attivit. L'Italia partecipa all'OSCE con l'invio di numerosi esperti nelle sue operazioni e con un contributo finanziario a favore delle missioni di lunga durata superiore al 10% del totale. b. DALLA CSCE ALLOSCE Le origini dellOSCE risalgono al periodo di distensione dei primi anni 70, quando fu creata la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) che doveva fungere da foro multilaterale per il dialogo e il negoziato tra Est e Ovest. Dopo oltre due anni di riunioni a Helsinki e a Ginevra, la CSCE raggiunse un accordo sullAtto finale di Helsinki, firmato l1 agosto 1975.Tale documento conteneva una serie di impegni fondamentali su questioni politico-militari, economico-ambientali e relative ai diritti umani, che sono diventati il fulcro del cosiddetto processo di Helsinki e ha stabilito i principi fondamentali (il Decalogo) che regolano la condotta degli Stati nei confronti dei loro cittadini nonch fra di loro. Fino al 1990 lattivit della CSCE ha consistito principalmente in una serie di riunioni e conferenze che hanno ampliato e approfondito gli impegni assunti dagli Stati partecipanti, riesaminandone periodicamente lapplicazione. Tuttavia, con la fine della guerra fredda, il Vertice di Parigi del novembre 1990 ha impresso un nuovo corso alla CSCE. Con la Carta di Parigi per una nuova Europa la CSCE stata chiamata a svolgere il proprio ruolo nella gestione del cambiamento storico in atto in Europa e a rispondere alle nuove sfide del periodo post-guerra fredda, dotandosi di istituzioni permanenti e di capacit operative. Ai margini del Vertice di Parigi stato anche concluso un importante accordo per il controllo degli armamenti: il Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa (CFE). Attualmente numerosi altri importanti trattati sulla sicurezza militare fra cui il Trattato sui Cieli Aperti29 del 1992 e i Documenti di Vienna del 1990, 1992, 29 Il trattato Open Skies ha creato un libero mercato per i servizi dellaviazione civile
fornendo numerosi benefici per chi viaggia, chi commercia come pure per le economie in genere di ciascun paese. Il trattato sui cieli aperti, firmato ad Helsinki il 24 marzo 1992, entrato in vigore per lItalia il 2 gennaio 2002.

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1994 e 1999, nonch il fondamentale Documento sulle armi di piccolo calibro e leggere (2000) fanno parte dellacquis della dimensione politico-militare della CSCE/OSCE. Agli inizi degli anni 90 sono stati creati un Segretariato e varie istituzioni, le riunioni sono divenute pi regolari, sono state stabilite missioni sul territorio e lattivit della Conferenza stata meglio strutturata. Nel 1994 il Vertice di Budapest, riconoscendo che la CSCE non era pi una semplice Conferenza, ha convenuto di modificarne la denominazione in Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Oltre a rispecchiare il rapido sviluppo istituzionale verificatosi dopo la fine della guerra fredda, il cambiamento di nome ha impresso allOrganizzazione un nuovo slancio politico. Il Vertice di Lisbona del 1996 ha rafforzato il ruolo chiave dellOSCE nella promozione della sicurezza e della stabilit in tutte le tre dimensioni, promuovendo anche lelaborazione di una Carta OSCE per la sicurezza europea che stata adottata in seguito nel corso del Vertice di Istanbul nel novembre del 1999. Tale documento si rivelato un valido strumento per migliorare le capacit operative dellOrganizzazione e rafforzare la cooperazione con i suoi partner. Al Vertice di Istanbul stata altres firmata una versione adattata del Trattato CFE da 30 Stati partecipanti allOSCE. Nonostante i recenti sviluppi che hanno interessato altre organizzazioni, lOSCE oggi occupa ancora un posto peculiare nellambito delle istituzioni di sicurezza europee. Ci dipende da diversi fattori: lampia partecipazione euroatlantica ed euroasiatica, lapproccio cooperativo e globale alla sicurezza, gli strumenti di prevenzione dei conflitti, la radicata tradizione di aperto dialogo e di formazione del consenso, la vasta rete operativa di missioni sul territorio e un valido modello di cooperazione con altre organizzazioni internazionali. LOrganizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) un organismo di sicurezza paneuropeo i cui 55 Stati partecipanti coprono larea geografica da Vancouver a Vladivostok. Riconosciuta quale accordo regionale ai sensi del Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite, lOSCE uno strumento fondamentale per il preallarme, la prevenzione dei conflitti, la gestione delle crisi e la ricostruzione postconflittuale nella sua regione. Il suo approccio alla sicurezza, globale e cooperativo, peculiare: globale in quanto si occupa delle tre dimensioni della sicurezza: umana, politico-militare ed 41

economico-ambientale, affrontando pertanto un ampio ventaglio di questioni connesse alla sicurezza inclusi i diritti delluomo, il controllo degli armamenti, le misure miranti a rafforzare la fiducia e la sicurezza, le minoranze nazionali, la democratizzazione, le strategie delle forze di polizia, lantiterrorismo e le attivit economiche e ambientali. Lapproccio cooperativo in quanto tutti gli Stati che partecipano agli organi e alle attivit dellOSCE godono di uno status paritario. Le decisioni vengono adottate per consenso su una base politicamente ma non giuridicamente vincolante. Il Consiglio Permanente il principale organo stabile dellOSCE preposto alle consultazioni politiche e al processo decisionale. I suoi membri sono i rappresentanti permanenti degli Stati partecipanti. Essi si riuniscono settimanalmente presso il Centro Congressi dellHofburg a Vienna per discutere tutte le questioni pertinenti allOSCE e adottare in merito decisioni appropriate. LHofburg anche sede delle riunioni ordinarie del Foro di Cooperazione per la Sicurezza, che si occupa del controllo degli armamenti e delle misure miranti a rafforzare la fiducia e la sicurezza, nonch del Gruppo Consultivo Congiunto che vigila sullattuazione del Trattato CFE. I Ministri degli Esteri dei 55 Stati partecipanti allOSCE tengono riunioni annuali del Consiglio dei Ministri salvo negli anni in cui ha luogo la Riunione al Vertice dei Capi di Stato e di Governo. Tali riunioni offrono loccasione di riesaminare le attivit dellOSCE, adottare decisioni e stabilire linee guida e orientamenti per lOrganizzazione. Lultimo Vertice si tenuto a Istanbul nel novembre 1999. Inoltre, nel quadro della dimensione economica e ambientale, un organo speciale, il Consiglio Superiore, si riunisce una volta allanno a Praga come Foro Economico. Il Presidente in esercizio (Pie) dellOSCE, Ministro degli Esteri del paese che detiene la Presidenza, ha la responsabilit generale dellattivit esecutiva. La Presidenza, che ha una rotazione annuale, passata l1 gennaio 2003 dal Portogallo ai Paesi Bassi e nel 2004 sar assunta dalla Bulgaria. Questi tre paesi costituiscono lattuale Troika dellOSCE che presta la sua consulenza al Presidente in esercizio. Il Pie pu anche nominare Rappresentanti personali o speciali per trattare questioni o situazioni specifiche. Nel conseguimento degli obiettivi dellOSCE la Presidenza si avvale del supporto del Segretariato, diretto da un Segretario Generale, attualmente lAmbasciatore Jn Kubis 42

(Slovacchia), il cui secondo mandato triennale iniziato nel giugno 2002. Il Segretario Generale si occupa della gestione delle strutture e delle operazioni dellOSCE e funge anche da rappresentante del Pie. Il Segretariato, con sede a Vienna, fornisce supporto amministrativo e operativo allOrganizzazione e comprende, oltre allUfficio del Segretario Generale, il Centro per la Prevenzione dei Conflitti, lUfficio del Coordinatore delle attivit economiche e ambientali dellOSCE, la Sezione per le risorse umane e la Sezione per la gestione e le finanze. LUfficio di Praga presta assistenza svolgendo funzioni inerenti alla documentazione, alla ricerca e alle informazioni. Per poter adempiere al suo mandato lOrganizzazione ha creato diversi altri strumenti o istituzioni specializzate. LUfficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti dellUomo (ODIHR) svolge un ruolo attivo nel monitoraggio delle elezioni e nello sviluppo di istituzioni nazionali elettorali e per i diritti delluomo, fornendo assistenza tecnica, promuovendo lo sviluppo di organizzazioni non governative e della societ civile, occupandosi della formazione dei giornalisti e degli addetti al monitoraggio elettorale e dei diritti delluomo. LODIHR funge inoltre da punto di contatto dellOSCE per le questioni attinenti ai Rom e ai Sinti e fornisce supporto a specifici seminari OSCE nel campo della dimensione umana. Gli uffici dell`attuale Direttore dellODIHR, il diplomatico austriaco Christian Strohal, e del suo personale hanno sede a Varsavia, Polonia. Particolare importanza nel campo del preallarme e della prevenzione dei conflitti riveste lUfficio dellAlto Commissario per le Minoranze Nazionali, con sede allAia, Paesi Bassi. LAlto Commissario attualmente in carica, il diplomatico svedese Rolf Ekeus, esamina questioni relative alle minoranze nazionali e si adopera per disinnescare situazioni di tensione sin dallo stadio iniziale. Con consulenze e raccomandazioni incoraggia le parti a perseguire politiche non conflittuali. Nel 1997 stata creata la pi recente istituzione dellOSCE, lUfficio del Rappresentante per la libert dei mezzi dinformazione, al fine di osservare gli sviluppi relativi ai media negli Stati partecipanti e consentire una rapida risposta a gravi inadempienze dei principi e degli impegni OSCE relativi alla libert di espressione e dei mezzi dinformazione. LUfficio dell`attuale Rappresentante, Freimut Duve (Germania), ha sede a Vienna. Attualmente lOSCE dispone di 18 missioni o altre attivit sul territorio nei seguenti 16 43

Stati: Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, lex Repubblica jugoslava di Macedonia, Moldova, Uzbekistan. LOSCE funge anche da struttura per il controllo degli armamenti convenzionali e per le misure miranti a rafforzare la fiducia e la sicurezza, contemplate nel Documento di Vienna (emendato nel 1999). Nel 1994 gli Stati partecipanti hanno inoltre adottato un Codice di Condotta politico-militare che contiene i principi intesi a guidare il ruolo delle forze armate nelle societ democratiche. La CSCE/OSCE ha altres sviluppato alcuni meccanismi per la composizione pacifica delle controversie e ha istituito una Corte di Conciliazione e Arbitrato a Ginevra. Nel 1999 il Consiglio Permanente ha deciso di porre sotto gli auspici dellOSCE il Patto di Stabilit per lEuropa sudorientale. Un organo a parte, lAssemblea Parlamentare dellOSCE, composto da oltre 300 parlamentari di tutti gli Stati partecipanti allOSCE, si adopera per promuovere la partecipazione dei parlamenti alle attivit dellOrganizzazione, discutendo questioni e adottando risoluzioni e raccomandazioni relative alle attivit dellOSCE. I suoi membri svolgono inoltre un ruolo importante nel monitoraggio elettorale. La principale sessione annuale si tiene in luglio e nel corso dellanno hanno luogo diverse altre riunioni e seminari. Il Segretariato dellAssemblea ha sede a Copenaghen. Dopo aver svolto un ruolo di rilievo nel processo che ha portato al crollo del muro di Berlino, la Csce diventata uno dei pilastri portanti del nuovo sistema europeo. Sono stati infatti progressivamente ampliati i suoi compiti e rafforzate le sue strutture. Per sancire questa trasformazione le stato dato anche un nuovo nome: Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Oltre a promuovere il disarmo, i diritti umani e la cooperazione economica, l'Osce - a cui partecipano tutti gli Stati europei, quelli centroasiatici nati dalla disgregazione dell'Urss, gli Usa e il Canada - presente, con le sue missioni sul campo, in quasi tutti i punti caldi del continente, svolgendo un'importante opera di prevenzione dei conflitti e di gestione delle crisi. II coordinamento e la direzione politica di tutte queste attivit sono assicurati dalla Presidenza, vero centro motore dell'Osce. 44 Serbia e Montenegro, Tagikistan,Turkmenistan, Ucraina e

Da notare la funzione del tutto peculiare svolta dall'Osce, grazie specialmente alla sua capacit di collegare sicurezza e diritti umani, ma anche la necessit di riformarne ulteriormente la struttura istituzionale, rafforzandone gli strumenti operativi e i meccanismi di coordinamento con le altre organizzazioni internazionali, prima fra tutte l'Onu.

3. N.A.T.O.
a. Generalit Il 20 febbraio di questanno, la prima pagina dellInternational Herald Tribune riportava la prima frase di un articolo sulla NATO riportava:"NATO is back." Questo riassume in un certo modo lattuale fermento nellambito della NATO, che sta facendo muovere lorganizzazione con rapidi passi verso una nuova ed aggiornata configurazione, con vincoli transatlantici rinnovati e rafforzati. La# NATO unorganizzazione intergovernativa costituita nel 1949 allo scopo di assicurare la pace e la sicurezza in Europa. Lorgano di vertice il Consiglio Atlantico costituito dai Rappresentanti Permanenti dei 19 Paesi membri, che fanno capo ai rispettivi Ministeri degli Affari Esteri, ed presieduto da un Segretario Generale. Fanno parte della NATO 19 Paesi: oltre allItalia, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Regno Unito, Turchia, Ungheria ed USA (Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria sono entrati a far parte dellAlleanza nel 1999). Al vertice atlantico di Praga di novembre 2002 sono stati invitati sette nuovi paesi. Da gioved 1 aprile l'Alleanza si allargata con i nuovi membri: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia30. 30 Con la cerimonia del 2 aprile 2004 per l'allargamento della Nato a sette nuovi paesi si
celebra un avvenimento che risalter nella storia dell'Alleanza Atlantica e nella storia d'Europa. Lo ha affermato il ministro degli Esteri Franco Frattini, nell'aprire, in qualit di presidente d'onore del Consiglio atlantico, i lavori dell'incontro cerimoniale del Consiglio. Il ministro ha ricordato il terribile attacco di Madrid dell'11 marzo. Un attacco - ha sottolineato nel suo intervento - che ha costretto l'Europa a rivivere la tragedia dell'11 settembre. Ci ha ricordato in modo drammatico che la minaccia e' reale e vicina. Terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa, fanatismo e intolleranza, traffici illegali, questi sono pericoli che richiedono una risposta efficace da parte di tutti noi. Nessun singolo paese pu affrontare queste complesse minacce da solo.

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b. Funzioni primarie LAlleanza Atlantica incentrata principalmente sulla difesa collettiva: lArt. 5 del Trattato di Washington stabilisce infatti che "Le parti convengono che un attacco armato contro una o pi di esse in Europa o nellAmerica settentrionale sar considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nellesercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dallArt. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assister la parte o le parti attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, lazione che giudicher necessaria, compreso luso delle forze armate, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dellAtlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorch il Consiglio di Sicurezza avr preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali". Allindomani degli attentati negli Stati Uniti dell11 settembre 2001, lAlleanza
Per la prima volta le bandiere di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia sventolano sopra il quartier generale della Nato. All'alba di un nuovo secolo, l'ingresso di sette nuovi membri estende l'area di stabilit nel nostro continente. Conferma anche che le divisioni del passato sono state superate. E ci permette di guardare al futuro d'Europa con una nuova fiducia. Per pi di cinquanta anni - ha osservato il ministro - gli alleati hanno affrontato grandi sfide insieme. Abbiamo condiviso rischi e responsabilit, lavorando in una cornice comune capace di tenere conto di opinioni e posizioni differenti. La nostra eredit condivisa di valori e ideali ci ha tenuto uniti anche nei momenti piu' difficili. Questa eredit rimane il fondamento della comunit euro-atlantica. () Quanto alla attuale situazione di sicurezza, l'ingresso di nuovi membri simbolizza efficacemente il rinnovamento della solidariet fra Europa e Nord America, mentre ci confrontiamo con le nuove minacce. Riferendosi agli attentati di Madrid, Frattini ha sottolineato che la posta in gioco alta. Non possiamo fallire. Con questo spirito - ha aggiunto - guardiamo al summit di Istanbul. Con lo stesso spirito, contiamo sul sostegno dei nostri partners, dalla Russia, con la quale, da Pratica di Mare, la Nato ha una partnership strategica, al Mediterraneo. Nel dare il suo benvenuto ai sette nuovi paesi,il ministro degli Esteri ha affermato: Siamo incoraggiati dal fatto che ora possiamo anche contare sul vostro impegno e sul vostro contributo. Siamo sicuri che l'energia che vi ha portato qui sar di aiuto cruciale, mentre continuiamo a lavorare insieme, come alleati, per un futuro pacifico, stabile e prospero.

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ha dato immediata prova della solidariet atlantica, attivando, per la prima volta nella storia dellOrganizzazione, lArt. 5. Bench la NATO non sia intervenuta nelle operazioni militari in Afganistan, i Paesi dellAlleanza hanno offerto il proprio sostegno agli USA accogliendo le richieste di protezione di obiettivi sensibili, di scambio d`intelligence e di messa a disposizione di aerei radar per la sorveglianza del territorio americano. Gli attentati terroristici dell'11 settembre hanno evidenziato la necessit dellAlleanza di mettersi in condizione di affrontare le nuove sfide di sicurezza, quali la proliferazione delle armi di distruzione di massa e il terrorismo). Il vertice atlantico di Praga di novembre 2002 ha rappresentato un momento decisivo di trasformazione dellAlleanza, che era stato pi di mezzo secolo focalizzata sulla guerra fredda e sul contrasto ad una minaccia provenente dallinterno dellEuropa. A Praga, gli Alleati hanno deciso di affrontare le sfide del 21esimo secolo migliorando le proprie capacit militari, anche attraverso la creazione di una Forza di Reazione NATO #capace di rispondere rapidamente alle minacce da qualunque parte provengano - e di ristrutturare i comandi militari della NATO per renderli pi idonei ad affrontare queste nuove sfide. Le recenti decisioni dellAlleanza di assumere la responsabilit diretta della missione ISAF a Kabul -a partire da agosto 2003- e di fornire sostegno alla partecipazione della Polonia alla missione di stabilizzazione in Iraq, rappresentano le prime, significative, attuazioni degli orientamenti definiti a Praga per dare vita a una NATO, in grado di proiettare stabilit in uno spazio geopolitico ben pi ampio dei confini originari dellAlleanza. Nel richiamare queste decisioni, la Riunione dei Ministri degli Esteri di Madrid (3-4 giugno 2003) ha sancito un passaggio importante nel processo di trasformazione della NATO avviato con il Vertice di Praga. LItalia ha fortemente appoggiato questi sviluppi. Negli ultimi anni, sia l'Alleanza che l'Unione Europea si sono preoccupate delle carenze tra i paesi europei per quanto riguarda le capacit fondamentali, tra cui, il rifornimento in volo, le scorte di munizioni a guida di precisione ed i trasporti strategici. Per porvi rimedio, i paesi stanno ora riunendo le loro forze in modo innovativo per accrescere le loro capacit in questi settori. Un pi recente sforzo per aumentare le capacit europee ha avuto luogo con l'avvio del Piano d'azione europeo sulle capacit (ECAP) nel contesto della 47

Politica di sicurezza e di difesa europea della UE. L'ECAP ha creato dei gruppi interdisciplinari di esperti - noti come "gruppi ECAP" - per affrontare le pi serie carenze di capacit. Nell'ambito dell'ECAP, l'Unione Europea ha cooperato con la NATO e le sue agenzie per evitare dei duplicati e trovare delle sinergie. In questo modo, i rappresentanti della NATO hanno partecipato e contribuito ad alcune riunioni dell'ECAP. Allo stesso modo, allorch i Ministri della difesa della NATO hanno avviato l'Impegno sulle capacit di Praga, la nuova iniziativa sulle capacit dell'Alleanza, hanno deciso che questa nuova iniziativa avrebbe dovuto "pervenire a un reciproco rafforzamento e ad una piena trasparenza delle relative attivit dell'ECAP, tenendo conto dell'importanza dello spirito di apertura che rispetta l'autonomia di entrambi gli organismi nelle modalit che sarebbero state sviluppate". La necessit di un reciproco rafforzamento particolarmente importante in ogni attivit che implica la cooperazione multinazionale. Per facilitare ci, nella Conferenza di Praga sulla cooperazione multinazionale del settembre 2002, si ebbe cura di assegnare alla NATO delle funzioni guida per le attivit multinazionali nei confronti degli stessi paesi che avevano gi assunto una simile responsabilit nel contesto UE. Sebbene l'Unione Europea e la NATO abbiano individuato delle soluzioni comuni a delle comuni carenze, conservano differenti approcci al problema e continuano ad operare nell'ambito di differenti contesti politici e strategici. La pianificazione della difesa della NATO riflette gli obiettivi ed i mezzi per conseguirli, indicati nel Concetto strategico dell'Alleanza. In risposta ad un Questionario annuale per la pianificazione della difesa, i governi alleati sottopongono alla NATO i loro piani delle forze e delle spese per la difesa relativi ai successivi cinque anni, che vengono esaminati allo scopo di armonizzarli con gli Obiettivi delle forze della NATO. In tale processo, i Comandanti strategici dell'Alleanza - il Comandante supremo alleato in Europa ed il Comandante supremo alleato per l'Atlantico - hanno contribuito ad individuare le esigenze di capacit derivanti dai loro bisogni operativi e dalle loro missioni. L'Unione Europea non ha al momento un Concetto strategico in cui inserire la decisione politica presa ad Helsinki nel 1999 di sviluppare determinate capacit 48

militari. Di conseguenza, le esigenze di capacit sono state individuate simulando degli scenari generali che coprono l'intero spettro delle missioni umanitarie e di salvataggio, le operazioni di mantenimento della pace e di gestione delle crisi, i cosiddetti compiti di Petersberg e quindi incluse nel Catalogo degli obiettivi primari di Helsinki. La carenza viene determinata dalla differenza tra quelle esigenze ed i diversi contributi nazionali. I paesi europei sono stati riluttanti ad investire in alcuni campi per una serie ragioni, una delle quali chiaramente il costo. I bilanci della difesa sono stati peraltro sottoposti a delle limitazioni dopo la fine delle Guerra fredda, specie negli ultimi anni, allorch i paesi hanno cercato di soddisfare dei criteri economici - tra cui il contenimento del debito pubblico - imposti dalla creazione di una moneta unica europea. Inoltre, nel caso di molti paesi pi piccoli, acquisire e gestire capacit avanzate a livello nazionale non ha alcun senso n sul piano economico n su quello militare. c. Evoluzione dellAlleanza La riunione dei Ministri della Difesa di Bruxelles (12-13 giugno 2003) ha approvato la nuova Struttura dei Comandi della NATO. Sono stati mantenuti due Comandi Strategici che avranno tuttavia funzioni diverse. Il primo, dislocato a Mons in Belgio, sar lunico Comando Alleato responsabile per tutte le operazioni (ACO); il secondo (ACT), dislocato a Norfolk negli Stati Uniti, seguir i processi di trasformazione della componente militare dell'Alleanza, in termini di addestramento, sperimentazione e pianificazione a lungo termine. E stato anche ridotto il numero complessivo dei comandi regionali (da cinque a due) e sub-regionali (da tredici a sei). In Italia, precisamente a Napoli, continuer ad essere ubicato uno dei due comandi operativi regionali (laltro in Olanda). A livello sub-regionale (tattico), nel nostro Paese sar mantenuta la presenza di un comando marittimo (Napoli), nonch di un centro per le operazioni aeree (CAOC) statico e di uno dispiegabile (entrambi a Poggio Renatico). Va inoltre menzionato il Centro di Ricerche Sottomarine di La Spezia, che dipende dal Comando di Norfolk. Per completare il quadro della presenza delle strutture dellAlleanza in Italia, si segnala infine che a Roma ha sede il NATO Defence College, il pi importante centro di formazione ed aggiornamento professionale destinato agli ufficiali dei 49

Paesi membri e Partner dellAlleanza Atlantica. Allo scopo di promuovere pace e stabilit nellintera regione euro-atlantica, la NATO ha intensificato la sua cooperazione con i paesi vicini. In questo contesto si colloca la nascita del nuovo Consiglio NATO-Russia, istituito con la Dichiarazione di Roma approvata in occasione del Vertice del 28 maggio 2002 a Pratica di Mare, vicino a Roma. Il nuovo organismo sostituir il Consiglio Permanente Congiunto (creato con lAtto Fondatore del 1997) quale foro di consultazione, cooperazione e co-decisione. Nel nuovo Consiglio, gli Stati membri della NATO e la Federazione Russa siederanno intorno allo stesso tavolo, su un piano di parit, per lavorare insieme in nove aree di comune interesse (lotta al terrorismo, gestione delle crisi, non proliferazione, disarmo, difesa missilistica di teatro, cooperazione militare, interventi di salvataggio in mare, emergenze civili, nuove sfide e minacce. La diffusione di instabilit nelle aree periferiche allAlleanza ha spinto la NATO a sviluppare ulteriormente la sua azione in particolare nei Balcani31 e nel Mediterraneo. Dopo la scomparsa del nemico tradizionale, le operazioni di stabilizzazione nei Balcani che vedono attualmente impegnati circa 37.000 uomini - hanno costituito il principale terreno di attivit dell'Alleanza negli anni 90. L'Italia partecipa attivamente in Afghanistan alla forza internazionale Isaf, con circa 500 militari. Anche nel processo d'espansione dell'Isaf al di fuori di Kabul stiamo svolgendo un ruolo attivo. L'Italia in prima linea nella riorganizzazione dell'apparato giudiziario, svolgendo un ruolo guida per quanto la costituzione dei tribunali e la formazione di giudici. La leadership del nostro paese riaffermata anche nei Balcani. E' infatti un diplomatico italiano, Fernando Gentilini, a rappresentare il segretario Ue, Javier Solana, in Kosovo. Inoltre, l'Italia attualmente impegnata in operazioni di mantenimento della pace con quasi 10 mila uomini in diverse regioni del mondo e offrir uno dei maggiori contributi alla forza di reazione rapida della Nato, lanciata al Vertice di Praga del novembre 2002, che sar operativa dal 2006.LItalia tra i principali paesi contributori delle missioni a guida NATO nei Balcani, con 31 I Balcani sono definibili anche come Europa Sud-Orientale. L'area Europa Occidentale
include: Portogallo, Spagna, Francia, Italia. Quella Balcani/Mar Nero comprende: Slovenia, Croazia, RFJ, Repubblica della Bosnia- Herzegovina, FYROM, Albania, Grecia, Romania, Bulgaria, Moldavia, Ucraina, Russia.

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circa 6.000 uomini impegnati tra Bosnia, Stabilization Force in Bosnia and Herzegovina - SFOR - Kossovo, Albania e FYROM. Con unefficace interazione fra proiezione della forza militare e iniziativa diplomatica, in una visione dinamica della sicurezza, la NATO ha dato un fondamentale contributo al consolidamento della pace e della stabilit nella regione balcanica. Anche se non sono del tutto venute meno le minacce agli equilibri regionali, il panorama politico generale nei Balcani assai diverso da quello degli anni novanta. Ci ha reso possibile realizzare una graduale riduzione della presenza militare alleata in Bosnia e in Kosovo. Il rischio non rappresentato da un possibile ritorno del nazionalismo aggressivo, ma piuttosto dallassenza di prospettive di sviluppo economico, legata alla diffusione dei traffici illeciti e del crimine organizzato. Di concerto con UE, OSCE e Patto di Stabilit, la NATO oggi impegnata anche nellazione di contrasto di queste nuove minacce. La Conferenza regionale per la gestione e la sicurezza delle frontiere, svoltasi a Ohrid il 22 e 23 maggio, ha rappresentato un esempio significativo del nuovo approccio per la stabilit dei Balcani, conferendo attenzione particolare alla lotta contro la tratta di esseri umani. I paesi della regione si sono impegnati in misure concrete, in conformit rispettivamente dellAgenda di Salonicco e dei documenti della Conferenza di Ohrid al fine di combattere efficacemente limmigrazione clandestina e di migliorare la sicurezza e la gestione delle frontiere e di raggiungere livelli europei. LAlleanza ha avviato, nel 1994, il Dialogo Mediterraneo32 allo scopo di contribuire alla sicurezza e alla stabilit nella pi vasta regione mediterranea, e di pervenire ad una migliore comprensione tra la NATO e i suoi partner mediterranei. Nel vertice di Praga, i leader dell'Alleanza hanno stabilito un pacchetto di misure per migliorare questa attivit. Tali misure includono la possibilit di utilizzare ulteriormente le opportunit offerte dal dialogo multilaterale/bilaterale esistente per stabilire un pi regolare ed efficace processo di consultazione; per intensificare le relazioni politiche attraverso contatti ad alto livello ed attraverso il coinvolgimento di coloro che prendono le decisioni; per trarre vantaggio dal contesto EAPC, includendo i partner 32 Il NATO's Mediterranean Dialogue nato nel 1994 su iniziativa del North Atlantic Council.
Attualmente coinvolge sette paesi non-NATO della regione Mediterranea: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia.

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mediterranei in selezionate attivit di questo; e per sviluppare ulteriormente la cooperazione pratica nelle questioni di sicurezza di comune interesse, un approccio su misura alla cooperazione, ed un continuo processo di consultazione a livello di esperti. Un ulteriore sviluppo del Dialogo Mediterraneo trarr probabilmente ispirazione da ci che la NATO ha gi realizzato con l'EAPC e il Partenariato per la Pace. Con i paesi che ne fanno parte l'Italia ha avviato degli accordi bilaterali di cooperazione anche militare, per cui ha tutte le carte in regola per offrire un importante contributo all'ammodernamento dei loro apparati di difesa qualora questi paesi venissero chiamati ad affiancare le forze Nato nell'ambito di operazioni congiunte. LItalia, come paese mediterraneo, lo considera estremamente importante per la sicurezza europea. Il rafforzamento delle relazioni tra Nato e area mediterranea una delle priorit dellItalia che, per la propria posizione geografica, rappresenta una zona strategica. Al vertice di Istanbul, a fine giugno, verr proposto l'ulteriore sviluppo dell'iniziativa Dialogo mediterraneo per la cooperazione tra l'Alleanza e sette paesi: Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Giordania e Israele. A Istanbul la Nato potr mettere a punto con i partner mediterranei nuove forme di cooperazione per stabilit e sicurezza, come la partecipazione congiunta ad operazioni per il mantenimento della pace. Dopo gli attentati di Djerba e Casablanca, i paesi arabi cominciano a capire come la Nato possa offrire un forte contributo per combattere le minacce comuni, e l'Italia potrebbe svolgere un ruolo cruciale, soprattutto nel quadro del Partenariato euromediterraneo dell'Unione Europea.33 Nel 2004 previsto che si tengano in Italia un seminario sul Dialogo mediterraneo; una riunione del gruppo sulle politiche atlantiche (Apag); la 50a sessione annuale dell'assemblea parlamentare della Nato; la 50a assemblea generale dell'Associazione trattato atlantico (Ata). LItalia sostiene anche la necessit di una pi stretta collaborazione tra la Nato 33 Il Ministro degli Esteri Franco Frattini ha di recente preannunciato che lItalia ha chiesto
al Consiglio Atlantico del 3 marzo la trasformazione della normale relazione a distanza per la sicurezza e stabilit con i Paesi Mediterranei in una partnership privilegiata. Soltanto coinvolgendo i Paesi della sponda Sud in un comune programma di difesa e sicurezza creiamo le condizioni per una stabile soluzione e soprattutto per una stabile azione contro il terrorismo. Corriere della Sera, 10 febbraio 2004.

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e lUnione Europea nei loro sforzi di promuovere la sicurezza e la stabilit regionale mediante le operazioni di gestione delle crisi (crisis management) e mantenimento della pace (peace-keeping) (Vedere anche lIdentit Europea di Sicurezza e Difesa della NATO -- ESDI ). Nel dicembre 2002, la NATO e lUE sono giunte ad un accordo sullutilizzo di assetti NATO per operazioni a guida UE (cosiddetto Pacchetto Berlin Plus). Il 31 marzo 2003 ha avuto inizio la prima operazione a guida dell'Unione Europea con utilizzo di mezzi e capacit NATO (missione "Concordia", nella ex Repubblica Jugoslava di Macedonia). LUfficio NATO del Ministero degli Esteri segue e coordina linsieme di queste tematiche avvalendosi della Rappresentanza Italiana presso il Consiglio Atlantico, che ha sede a Bruxelles. E unattivit che implica aspetti immediatamente operativi - come lintervento dellAlleanza nei Balcani ed il sostegno allazione di contrasto al terrorismo ma anche progetti di lungo ed ampio respiro: lallargamento dellAlleanza; il nuovo rapporto con la Russia attraverso il rilancio della collaborazione promosso dalla creazione del Consiglio NATO-Russia; lo sviluppo delle relazioni in seno alla Commissione NATO-Ucraina, del Partenariato per la Pace e del Consiglio di Partenariato Euro-Atlantico; del Dialogo Mediterraneo; della cooperazione tra NATO e Unione Europea, lammodernamento delle capacit militari e lo sviluppo di quelle a difesa della popolazione civile. LUfficio NATO svolge la sua attivit in stretto coordinamento con altre Amministrazioni dello Stato, dalla Presidenza del Consiglio (per il coordinamento interministeriale nella gestione delle crisi), al Ministero della Difesa (per le questioni militari), a quello dellInterno (per le emergenze civili).

4. UNIONE EUROPEA "Non vi sar pace in Europa, se gli Stati si ricostituiranno sulla base della sovranit nazionale... I paesi d'Europa sono troppo piccoli per garantire ai 53

loro popoli la prosperit e l'evoluzione sociale indispensabili. necessario che gli Stati europei si costituiscano in federazione...". Jean Monnet34, 5 agosto 1943 a. Generalit Prima di trasformarsi in un vero e proprio progetto politico, lidea di Europa era patrimonio di una stretta cerchia di filosofi e di intellettuali. Victor Hugo pensava agli Stati Uniti dEuropa con spirito pacifista e umanista. Ma gli ideali ottocenteschi furono smentiti drammaticamente dagli eventi bellici del XX secolo. Dopo la seconda guerra mondiale, con la Resistenza e la sconfitta dei regimi totalitari, comincia ad affiorare il concetto di unorganizzazione del continente europeo in grado di superare gli antagonismi nazionali. Allora come oggi il compito dellUnione europea garantire la pace, la prosperit e lo sviluppo. Per questo, nel corso degli anni postbellici, sono nate diverse organizzazioni con fini istituzionali diversi. Dal 1950 al 1987: la creazione della cooperazione politica europea Durante le varie tappe della costruzione europea, i concetti di unione politica, di politica estera comune e di difesa comune sono stati regolarmente posti all'ordine del giorno da una serie di progetti politici. I primi tentativi di 34 Jean Monnet nacque nel 1888 a Cognac, Francia. Durante la prima guerra mondiale lavor a
Londra nel campo della cooperazione economica tra gli alleati. Dal 1920 al 1923 fu segretario generale delegato presso la appena costituita Societ delle Nazioni. Nei successivi 15 anni si occup di finanza internazionale, pianificando una cooperazione economica tra Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, e si dedic agli affari legati allindustria del cognac dellazienda di famiglia. Dopo la seconda guerra mondiale gli fu affidato lincarico di guidare il Commissariat du plan, responsabile della ripresa economica della Francia. Nel 1950 sugger al Ministro per gli affari esteri francese Robert Schuman lidea di unificare la produzione di carbone e acciaio di Francia e Germania. Il suggerimento port alla costituzione della Comunit europea per il carbone e lacciaio. Monnet ne fu il primo presidente. Monnet aveva un altro grande progetto, la costituzione della comunit per la difesa europea, ma non ottenne alcun risultato. Nel 1954 si dimise dalla carica di presidente dellalta autorit della Comunit europea per il carbone e lacciaio e un anno dopo fond un comitato dazione per gli stati uniti dEuropa. Il comitato si sciolse nel 1975. Nel 1976 ad un incontro tra capi di stato in Lussemburgo si decise di conferire a Monnet il titolo di cittadino onorario dEuropa per il suo lavoro di fondatore della Comunit europea. Jean Monnet mor nel 1979. Lidea su cui Monnet basava il suo lavoro era fondamentalmente che le istituzioni pubbliche, e non la cooperazione inter governativa, erano la chiave per una comunit europea stabile e duratura.

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trasferimento significativo di competenze relative a tali politiche sensibili sono stati bloccati da una minoranza di Stati membri, a causa del suo carattere intergovernativo. Per questa ragione, a partire dagli anni 70 stata privilegiato il trasferimento progressivo. Il piano Plven35 del 1950 prevedeva la creazione di un esercito europeo integrato sotto un comando comune. Il piano, oggetto di negoziati tra i sei Stati membri della Comunit europea del carbone e dell'acciaio (CECA) dal 1950 al 1952, port alla firma del trattato che istituiva la Comunit europea di difesa (CED). Il corollario della CED fu un progetto politico volto a creare una struttura federale o confederale, presentato nel 1953. La "Comunit politica europea" prevedeva la creazione di un'Assemblea parlamentare bicamerale, un Consiglio esecutivo europeo, un Consiglio dei ministri e una Corte di giustizia. La Comunit politica avrebbe avuto ampie competenze e avrebbe dovuto assorbire, a termine, la CECA e la CED. Il tentativo purtroppo fall poich il progetto fu respinto dall'Assemblea nazionale francese nel 1954. Agli inizi degli anni 60, si svolsero difficili negoziati sulla base dei due piani Fouchet36, che prevedevano una pi stretta cooperazione politica, un'Unione di Stati e politiche estere e di difesa comuni. Un comitato, incaricato di presentare proposte concrete, giunse a compromessi difficili ma ambiziosi, quali l'istituzione di un segretariato indipendente o la prospettiva del voto a maggioranza qualificata in determinati settori. Purtroppo, in mancanza di un accordo sulle proposte del comitato Fouchet, nel 1962 i negoziati tra gli Stati membri si arenarono. In seguito alla richiesta dei capi di Stato e di governo di esaminare la possibilit di avanzare sul piano politico, nel 1970 fu presentato al vertice di Lussemburgo il cosiddetto rapporto Davignon37. Fu l'inizio della

35 Ren Pleven, Primo Ministro francese 1950-1951. 36 Al vertice di Bonn del 1961, i capi di Stato e di governo dei sei Stati fondatori della Comunit
europea incaricarono una commissione intergovernativa, presieduta dall'ambasciatore francese Christian Fouchet, di presentare alcune proposte in merito allo statuto politico di un'unione dei popoli europei. 37 Il 6 marzo 1970 Il Consiglio incarica un comitato di esperti presieduto da Pierre Werner (Primo Ministro lussemburghese dal 1959 al 1974) di formulare proposte per la realizzazione dell'Unione economica e monetaria e affida ad un altro comitato di esperti, guidato da Etienne Davignon (Ministro affari esteri belga dal 1969 al 1976), il compito di elaborare proposte in materia di cooperazione politica.

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Cooperazione politica europea (CPE), varata in maniera informale nel 1970 e successivamente istituzionalizzata con l'Atto unico europeo (AUE) nel 1987. La CPE prevedeva essenzialmente la consultazione tra gli Stati membri sulle questioni di politica estera, mentre l'attuazione delle azioni comuni era competenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). L'accordo sulla CPE era facilitato dal fatto che questa costituiva uno strumento molto meno coercitivo e implicava un coordinamento meno impegnativo degli strumenti precedenti. L'istituzione del Consiglio europeo nel 1974 contribu a un migliore coordinamento della CPE, grazie al ruolo svolto dai capi di Stato e di governo nella definizione dell'indirizzo politico generale della politica comunitaria. Da quel momento, il ruolo della presidenza, unitamente all'interesse dell'opinione pubblica per i lavori della CPE, cominciarono a rafforzarsi reciprocamente attraverso le prese di posizione ufficiali della Comunit europea (CE). In seguito all'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica e alla rivoluzione islamica in Iran, gli Stati membri si resero conto della crescente impotenza della CE sulla scena internazionale. Determinati a potenziare la CPE, nel 1981 essi adottarono pertanto il rapporto di Londra, che obbligava gli Stati membri a procedere a consultazioni preliminari e a coinvolgervi la Commissione europea, per qualsiasi questione di politica estera che riguardasse tutti gli Stati membri. Il rapporto del comitato Dooge38, elaborato nel 1985 in vista della conferenza intergovernativa (CIG) che port all'Atto unico europeo, conteneva una serie di proposte relative alla politica estera. Le disposizioni introdotte nel trattato CE dall'Atto unico permisero di istituzionalizzare la CPE, il gruppo dei corrispondenti europei e un segretariato posto sotto l'autorit diretta della 38 Al Consiglio europeo di Milano del giugno 1985 furono perseguiti alcuni risultati concreti.
Venne infatti raggiunto un accordo sulla proposta di dar vita ad una nuova fase del processo di integrazione europea. Da una parte i politici europei si impegnarono a cercare di costruire unEuropa pi vicina ai cittadini. A tale fine fu istituito un comitato che inizi i suoi lavori il 7 novembre 1984 con lobiettivo di studiare un programma dazione comune nei settori della sanit, dellistruzione, del diritto e della lotta contro il terrorismo e la droga. Dallaltra venne istituito un secondo comitato, noto come Comitato Dooge che doveva formulare proposte per migliorare i rapporti allinterno della Comunit europea e in sede di cooperazione politica europea.

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Presidenza. Gli obiettivi della CPE furono estesi a tutte le questioni di politica estera di interesse generale e fu con l'entrata in vigore dell'Atto unico nel 1987, 17 anni dopo la sua inaugurazione, che la CPE ha ottenuto una base giuridica. L'Unione europea (UE) non una federazione come gli Stati Uniti, n un semplice organismo per la cooperazione tra i governi, come le Nazioni Unite. E', infatti, un organismo unico nel suo genere. I paesi che costituiscono l'UE (gli "Stati membri") uniscono le loro sovranit per guadagnare una forza e un'influenza mondiale che nessuno di essi potrebbe acquisire da solo. Nella pratica, mettere insieme le sovranit significa che gli Stati membri delegano alcuni dei loro poteri decisionali alle istituzioni comuni da loro stessi create in modo che le decisioni su questioni specifiche di interesse comune possano essere prese democraticamente a livello europeo. Al processo decisionale dell'UE in generale e alla procedura di codecisione in particolare partecipano tre istituzioni principali:

Il Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini dell'UE ed eletto direttamente da essi; Il Consiglio dell'Unione europea, che rappresenta i singoli Stati membri; La Commissione europea, che cerca di difendere gli interessi generali dell'Unione.

Tale "triangolo istituzionale" d vita a politiche e leggi (direttive, regolamenti e decisioni) che si applicano in tutta l'UE. Di norma, la Commissione propone nuove leggi dell'UE che spetta al Parlamento e al Consiglio adottare. Vi sono altre due istituzioni che svolgono un ruolo vitale: la Corte di giustizia, che fa rispettare le leggi europee, e la Corte dei conti, che verifica il finanziamento delle attivit dell'Unione. Tali istituzioni sono state create dai trattati che sono la base di tutte le attivit dell'UE. I trattati sono approvati dai capi di Stato e di governo degli Stati membri e ratificati dai loro parlamenti. Questi ultimi stabiliscono le norme e le procedure che le istituzioni dell'UE devono seguire. Oltre a tali istituzioni, l'UE possiede una serie di altri organismi che svolgono funzioni specializzate (Il Mediatore europeo, Organismi finanziari, Organismi consultivi, Organismi interistituzionali, Agenzie decentrate39). 39 57
15 agenzie specializzate ("agenzie comunitarie") svolgono alcuni compiti tecnici,

scientifici o di gestione nell'"ambito comunitario" (il "primo pilastro dell'Unione europea);

Il Consiglio dellUnione europea


Il Consiglio dellUnione europea il principale organo decisionale dell'UE. Come il Parlamento europeo, stato creato dai trattati istitutivi negli anni '50. Esso rappresenta gli Stati membri e alle sue riunioni partecipa un ministro di ciascun governo nazionale degli Stati membri Il Consiglio ha sei responsabilit principali: 1. Adottare leggi europee. Il Consiglio esercita il potere legislativo insieme al Parlamento europeo per un ampio spettro di competenze comunitarie; 2. Coordinare le politiche economiche generali degli Stati membri; 3. Concludere accordi internazionali tra l'UE e uno o pi Stati o organizzazioni internazionali; 4. approvare il bilancio dell'UE insieme al Parlamento europeo; 5. elaborare la politica estera e di sicurezza comune dell'UE (PESC: per maggiori dettagli, si veda il paragrafo relativo alla Politica estera e di sicurezza comune), sulla base degli orientamenti generali definiti dal Consiglio europeo; 6. coordinare la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale (si veda la sezione Giustizia e affari interni). La maggior parte di tali responsabilit riguarda il cosiddetto ambito comunitario, vale a dire quei settori di azione in cui gli Stati membri hanno deciso di mettere insieme le loro sovranit e delegare i poteri decisionali alle istituzioni dell'UE. Tale ambito costituisce il primo pilastro dell'Unione europea. Le ultime due responsabilit, tuttavia, riguardano per lo pi settori in cui gli Stati membri non hanno delegato i propri poteri, ma stanno semplicemente cooperando. Si tratta della cosiddetta cooperazione intergovernativa che riguarda il secondo e il terzo pilastro dell'Unione europea (PESC e cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale).

L'Istituto dell'Unione europea per gli studi sulla sicurezza e il Centro satellitare dell'Unione europea svolgono compiti specifici connessi alla politica estera e di sicurezza comune (il "secondo pilastro dell'Unione europea); Europol e Eurojust aiutano a coordinare le politiche e la cooperazione giudiziaria in materia penale (il "terzo pilastro" dell'Unione europea).

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b. POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE (PESC) Nuove minacce e nuovi bisogni, legati alla fine della guerra fredda, all'unificazione tedesca e al crollo dellex-Jugoslavia, hanno indotto gli Stati membri a munirsi di uno strumento come la PESC. La Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC)40 dellUnione Europea (UE) ha avuto inizio col Trattato di MAASTRICHT, entrato in vigore il 1 novembre 1993: to develop an autonomous military decision making capability in order to implement and conduct the full range of the so called PETERSBERG Tasks. sviluppare unautonoma capacit decisionale militare per lorganizzazione e la condotta dellintero spettro delle missioni cosiddette di PETERSBERG Con tale Trattato stata sancita la nascita dei tre pilastri su cui edificare la nuova Unione: il primo concerne le Comunit Europee (la Comunit Europea propriamente detta e le ormai decadute CECA, Comunit del Carbone ed Acciaio, ed Euratom le cui vestigia sopravvivono nella prima) e copre le aree di cui le Comunit sono responsabili: dalloriginale mercato comune alle politiche agricole fino agli aspetti culturali, alleducazione, allambiente; 40 Tappe fondamentali dell evoluzione della PESC: 1952 creazione della CECA 1958 trattato di Roma: nasce la Comunit Economica Europea (ed EURATOM) 1979 prima elezione Europarlamento a suffragio universale 1992 firma del Trattato dellUE a MAASTRICHT 1996 vertice NATO a BERLINO forze separabili ma non separate (BERLIN plus) 1997 Trattato di AMSTERDAM: Gestione UE delle crisi & PETERSBERG Tasks 1999 vertice NATO WASHINGTON: identit europea di sicurezza e difesa (ESDI) 1999 vertice di COLONIA: nasce la PESD 1999 Consiglio di HELSINKI: headline goal (obiettivo primario capacit militari) 1999 Consiglio di HELSINKI: architettura politico militare per crisis management 2001 Trattato di NIZZA 2001 Dichiarazione di LAEKEN sulloperativit (parziale) dellUE 59

il secondo attiene alla Politica Estera e di Sicurezza Comune tesa a difendere i valori comuni, gli interessi e lindipendenza dellUnione nonch a rafforzarne la sicurezza esterna; il terzo riguarda la cooperazione in materia giudiziaria, di polizia e di diritto penale. Maastricht segna lingresso sulla scena mondiale dellUnione in quanto tale e con mezzi e possibilit autonome, per la difesa dei principi fondamentali e dei valori su cui essa stessa ha inteso fondarsi. Le disposizioni sulla PESC sono state rivedute dal trattato di AMSTERDAM, entrato in vigore il 1 maggio 1999. In tale sede stata conferita al Segretario Generale del Consiglio dellUnione la carica di Alto Rappresentante per la PESC (chiamato anche Mr. PESC), per una maggiore visibilit ed efficacia della politica estera dellUnione. Il nuovo trattato di NIZZA, firmato il 26 febbraio 2001 e recentemente ratificato da tutti gli Stati Membri, contempla nuove disposizioni in materia di PESC per rafforzarne i meccanismi decisionali per il prossimo allargamento a nuovi Stati Membri. Creato con l'entrata in vigore del trattato sull'Unione europea (Trattato UE) nel 1993, il titolo V ha sostituito, in seno all'edificio comunitario, la CPE con un pilastro intergovernativo. Gli obiettivi della PESC vengono perseguiti, nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite (e dei diversi accordi europei per la pace e la sicurezza), attraverso misure atte al mantenimento della pace, al rafforzamento della sicurezza internazionale, allo sviluppo ed al consolidamento della democrazia e dello stato di diritto nonch al rispetto dei diritti fondamentali. Obiettivi Gli obiettivi della PESC sono: la difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali e dellindipendenza dellUnione; il rafforzamento dellUnione e dei suoi Stati membri; il mantenimento della pace ed il rafforzamento della sicurezza internazionale; lo sviluppo ed il consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti delluomo e delle libert fondamentali. 60

Gli Stati membri dellUE si impegnano quindi a sostenere attivamente e senza riserve la PESC in uno spirito di lealt e di solidariet reciproca e ad astenersi da azioni contrarie agli interessi dellUnione o tali da nuocere alla sua efficacia a livello internazionale. L'articolo 11 riporta i cinque principali obiettivi della PESC:

la difesa dei valori comuni e degli interessi fondamentali dell'Unione; il rafforzamento della sicurezza dell'Unione; il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale; la promozione della cooperazione internazionale; il rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto, nonch il rispetto dei diritti dell'uomo.

La PESC viene citata anche nell'articolo 2 (ex articolo B) delle disposizioni comuni del trattato UE, che sancisce che uno degli obiettivi dell'Unione consiste nell' "affermare la sua identit sulla scena internazionale, in particolare mediante l'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune, che potrebbe condurre a una difesa comune (...)". Il titolo V costituisce un pilastro distinto dell'Unione europea, poich le procedure di funzionamento, di tipo intergovernativo, si distinguono da quelle adottate nei settori comunitari tradizionali, quali il mercato interno o la politica commerciale. Questa differenza evidente soprattutto con riferimento al processo decisionale, che richiede il consenso degli Stati membri, mentre nei settori comunitari tradizionali richiesta la votazione a maggioranza. D'altronde, gli strumenti della PESC, come quelli del terzo pilastro, sono diversi da quelli della Comunit europea. Il trattato di Maastricht ha dotato la PESC dei seguenti strumenti principali:

le posizioni comuni, in base alle quali gli Stati membri devono adottare politiche nazionali conformi alla posizione definita, sulle singole questioni, dall'Unione europea41;

le azioni comuni, che sono interventi operativi degli Stati membri a titolo della PESC42.

41 Un esempio di coordinamento di questo tipo la lotta contro il traffico illecito di diamanti


finalizzata alla prevenzione e alla soluzione dei conflitti (2001/758/PESC) e che riguarda paesi come la Liberia, la Sierra Leone e l'Angola. 42 Un esempio di questo tipo il sostegno offerto all'Autorit palestinese nei suoi sforzi per

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L'Unione europea pu invece esprimersi attraverso decisioni, la conclusione di accordi internazionali, dichiarazioni e contatti con i paesi terzi. Una seconda differenza rispetto al primo pilastro il ruolo ridotto che svolgono la Commissione, il Parlamento europeo e la Corte di giustizia, una caratteristica in netto contrasto con le competenze delle tre istituzioni a livello comunitario. Il ruolo della Commissione comprende il diritto di presentare proposte legislative e di procedere all'esecuzione del bilancio. Essa esercita inoltre una certa influenza nella formulazione e nel coordinamento di questa politica che abbraccia pi pilastri. Il Parlamento europeo pu presentare interrogazioni e raccomandazioni al Consiglio e ospita a cadenza annuale un approfondito dibattito sull'attuazione della PESC. Infatti, anche se la politica viene formulata a livello intergovernativo, il numero di soggetti che partecipano al processo elevato e comprende il Consiglio europeo, il Consiglio dei ministri degli Affari esteri, il Comitato politico e di sicurezza, i corrispondenti europei, il gruppo di lavoro PESC e i consiglieri PESC. A ci si aggiunge la suddetta influenza della Commissione e del Parlamento europeo. Nel quadro delle relazioni esterne, la PESC dispone di una nuova gamma di strumenti di intervento che accompagna gli strumenti tradizionali, in particolare la politica commerciale e la cooperazione allo sviluppo . Per favorire un funzionamento armonioso ed evitare contraddizioni tra i due tipi di azioni (comunitaria e intergovernativa), l'articolo 3 del trattato UE sancisce che: "L'Unione assicura (...) la coerenza globale della sua azione esterna nell'ambito delle politiche in materia di relazioni esterne, di sicurezza, di economia e di sviluppo. Il Consiglio e la Commissione hanno la responsabilit di garantire tale coerenza e cooperano a tal fine. Essi provvedono, nell'ambito delle rispettive competenze, ad attuare dette politiche". L'articolo 301 del trattato CE facilita tale compito, che riguarda il primo e il secondo pilastro, permettendo al Consiglio di imporre sanzioni economiche a nome dell'Unione. Nei primi anni, tuttavia, l'azione comune degli Stati membri nell'ambito del titolo V non ha soddisfatto le attese degli Stati membri. A fronte di un bilancio relativamente negativo, l'obiettivo dei negoziati della successiva conferenza intergovernativa stato quello di introdurre le riforme istituzionali necessarie a rendere la PESC efficace.
contrastare le azioni terroristiche organizzate nei territori sotto il suo controllo.

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Le innovazioni apportate dal trattato di Amsterdam43 e i successivi sviluppi Anzitutto, il carattere operativo della PESC stato rafforzato grazie a strumenti pi coerenti e ad un processo decisionale pi efficace. stata introdotta la possibilit di voto a maggioranza qualificata, con la doppia garanzia rappresentata dall'astensione costruttiva e la possibilit di rinviare una decisione al Consiglio europeo in caso di veto eccezionale di uno Stato membro (il cosiddetto "freno di emergenza"); alla Commissione stato riconosciuto un ruolo pi significativo a livello di rappresentanza e di attuazione e si consolidato il legame con l'Unione dell'Europa occidentale (l'UEO ). L'UE pu ora delegare all'UEO l'esecuzione delle missioni di Petersberg, e, grazie ad un accordo successivo, alcune competenze dell'UEO sono state trasferite all'UE. Il trattato di Amsterdam ha inoltre introdotto un nuovo strumento di politica estera, che venuto ad aggiungersi all'azione comune e alla posizione comune: la strategia comune. Il Consiglio europeo definisce consensualmente le strategie comuni nei settori in cui gli Stati membri hanno importanti interessi comuni. Ogni strategia comune precisa gli obiettivi, la durata e i mezzi che l'Unione e gli Stati membri devono fornire. In tal senso, essa costituisce il quadro generale per le azioni dei tre pilastri dell'Unione, assicura la coerenza delle relazioni esterne e permette al Consiglio di adottare le misure di attuazione attraverso azioni e posizioni comuni votate a maggioranza qualificata. Il Consiglio inoltre abilitato a raccomandare strategie comuni al Consiglio europeo, come si verificato nel caso della Russia, dell'Ucraina e della regione mediterranea nel dicembre 1998. La prima strategia comune, quella relativa alla Russia, stata adottata dal Consiglio europeo di Colonia, sei mesi pi tardi. In generale, le decisioni relative alla PESC sono adottate all'unanimit. Gli 43 Il trattato di Amsterdam il risultato della Conferenza intergovernativa lanciata il 29
marzo 1996 in occasione del Consiglio europeo di Torino. Esso stato adottato dal Consiglio europeo di Amsterdam (16 e 17 giugno 1997) e successivamente firmato, in data 2 ottobre 1997, dai ministri degli affari esteri dei quindici Stati membri. entrato in vigore il 1 maggio 1999.

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Stati membri possono tuttavia ricorrere all'"astensione costruttiva": in altri termini, l'astensione di uno Stato membro non impedisce che una decisione venga adottata. Tale meccanismo si applica se le astensioni non rappresentano pi di un terzo dei voti ponderati del Consiglio. Inoltre, se uno Stato membro motiva la propria astensione con una dichiarazione formale, esso non obbligato ad applicare la decisione, ma accetta, in uno spirito di reciproca solidariet, che questa impegni l'Unione e si astiene pertanto da qualsiasi atto che possa contrastare l'azione dell'Unione basata su tale decisione. Il titolo V modificato del trattato UE prevede tuttavia il ricorso alla maggioranza qualificata in due casi:

per l'adozione delle misure di attuazione di una strategia comune elaborata dal Consiglio europeo; per l'adozione delle misure di attuazione di un'azione comune o di una posizione comune precedentemente adottata dal Consiglio.

Per quanto riguarda le decisioni adottate a maggioranza qualificata, gli Stati membri possono tuttavia valersi di una clausola di salvaguardia che consente loro di impedire che si proceda alla votazione per importanti motivi di politica nazionale. In una situazione di questo genere, dopo che uno Stato membro ha esposto le sue motivazioni, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, pu chiedere che della questione si occupi il Consiglio europeo e che i capi di Stato e di governo si pronuncino all'unanimit. Dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, il Segretario generale del Consiglio svolge la funzione di Alto rappresentante per la PESC44. Egli ha il compito di assistere il Consiglio nelle questioni che rientrano nel settore della politica estera e di sicurezza comune contribuendo alla formulazione, all'elaborazione e all'attuazione delle decisioni. Su richiesta della presidenza, esso agisce a nome del Consiglio e gestisce il dialogo politico con i paesi terzi, migliorando la visibilit della PESC e garantendone la coerenza. Alla rappresentanza esterna e all'attuazione della PESC contribuiscono anche le attivit della Troika, di cui fanno parte il ministro degli Affari esteri del paese titolare della presidenza dell'UE, l'Alto rappresentante per la PESC, il Commissario responsabile delle relazioni esterne e, se necessario, un 44 Attualmente lincarico di Mr. PESC ricoperto da Javier Solana, gi Segretario Generale della
NATO.

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rappresentante del paese a cui spetta la successiva presidenza dell'UE. La coerenza della PESC dipende dalla capacit di reazione degli Stati membri agli sviluppi internazionali. L'analisi congiunta delle questioni internazionali e delle loro conseguenze e la diffusione delle informazioni a tutti gli attori dovrebbero consentire all'Unione di reagire in modo pi efficace e meno dispersivo. A questo scopo, stata creata l'unit di programmazione e di rapido allarme, istituita presso il Segretariato generale del Consiglio e operante sotto la responsabilit dell'Alto rappresentante per la PESC45. L'unit la grande novit del trattato di Amsterdam e la sua funzione quella di permettere agli Stati membri di agire insieme sul piano logistico e di svolgere quindi un ruolo pi importante sulla scena internazionale. Di fronte al proliferare di nuove minacce e considerato il mutamento dei concetti classici di difesa, una politica estera efficace deve anche postulare capacit militari finalizzate al compimento di missioni umanitarie o volte a ristabilire la pace anche con luso della forza. Negli anni immediatamente seguenti alla firma del Trattato di Amsterdam, una serie di Consigli europei (i meeting che riuniscono i capi di Stato e di governo) tenutisi ad Helsinki, Feira e Nizza, ha avviato il processo per la graduale realizzazione delle capacit autonome europee, qualora la NATO non fosse impegnata nel suo complesso, per condurre operazioni di Crisis Management. Lobiettivo primario di HELSINKI Nel quadro della realizzazione di un approccio coerente e globale dellUnione 45 L'unit composta da 20 esperti provenienti dal Segretariato generale del Consiglio (3), dagli
Stati membri (15), dalla Commissione (1) e dall'Unione dell'Europa occidentale (1). I suoi compiti principali sono:-sorvegliare

e analizzare gli sviluppi dei settori che rientrano nella

PESC; -valutare gli interessi dell'Unione nel campo della PESC; -individuare in tempo utile eventi, potenziali crisi politiche o situazioni che potrebbero avere conseguenze significative per la PESC; -elaborare opzioni politiche ai fini della definizione di politiche in sede di Consiglio. 65

alla gestione delle crisi (e comprendente gli strumenti politici e le capacit militari) il Consiglio Europeo di HELSINKI del dicembre 1999, in particolare, ha sancito la determinazione europea di sviluppare capacit decisionali autonome e di avviare e condurre operazioni militari sotto egida europea in risposta a crisi internazionali, qualora la NATO opti per non intervenire come organizzazione. Gli Stati Membri si sono impegnati a sviluppare, evitando duplicazioni non necessarie, tutte le capacit atte a condurre le cosiddette missioni di PETERSBERG (che vanno dallhumanitarian aid al peace enforcement) in supporto alla Common Foreign and Security Policy (CFSP = PESC). In particolare gli Stati Membri dellunione hanno stabilito lHeadline goal (obiettivo primario) per lo sviluppo delle capacit militari Europee, che pu cos essere sintetizzato: - costituzione entro il 2003 di una forza capace di affrontare tutte le missioni di tipo PETERSBERG, forte di 15 brigate o fino a 60.000 uomini; - la forza dovr essere self sustaining con capacit di comando, controllo, intelligence, di combat support e logistiche e in aggiunta, quando appropriato, con elementi navali ed aerei; - gli Stati Membri dovranno essere in grado di proiettare la forza entro 60 giorni e fornire unit minori di reazione rapida disponibili e proiettabili in tempi pi brevi; - la forza dovr essere in grado di permanere in teatro per almeno un anno. A tale impegno, come dichiarato nella iniziale Capabilities Committment Conference del 20 novembre 2001, lItalia ha aderito (e partecipa) con un notevole contributo di personale ed assetti46. 46 le Forze Armate dedicano, nel complesso, un contributo consistente in un mix di unit terrestri,
navali ed aeree, per circa 20.000 uomini, cos composto:-

Comando Operativo di Vertice

Interforze (COI) ed associati assetti di comando, controllo, comunicazioni e intelligence, quale framework per il Comando delle operazioni a livello strategico, da costituirsi, con laggiunta di elementi joint internazionali, qualora chiamati a svolgere il ruolo di Comando delloperazione;- un Comando a livello di Corpo 66

Un successivo headline goal mirato al 2010 attualmente in dicussione, e si svilupper in relazione ai progressi fatti in ambito del European capabilities action plan, nonch dello sviluppo delle capacit di rapido intervento e della strategia di sicurezza europea. Questi obbiettivi conferiscono nuovo vigore ai concetti di interoperabilit, movimentazione strategica e sostegno delle forze. In merito a questi temi verranno date nuove indicazioni durante il Consiglio Europeo del prossimo giugno. Una recente iniziativa di Francia e Gran Bretagna prevede la costituzione di gruppi tattici inter-forze europei da mobilitare entro 15 giorni e dispiegabili sul campo per almeno un mese47. I due paesi, a cui si aggiunta la Germania, dArmata da impiegare per un singolo turno in operazioni oppure, alternativamente, un Comando a livello Divisione enucleato dal Comando di Corpo dArmata, sostenibile nel lungo periodo, e tre Brigate di manovra di cui due impiegabili contemporaneamente ed una (Brigata aeromobile) impiegabile in teatro di operazioni per un massimo di quattro mesi;- un Comando di componente marittima imbarcato, o basato a terra, a cui si aggiunge un gruppo dimpiego di 21 unit navali, costituito da una portaeromobili, unit combattenti daltura (Caccia e Fregate), unit contromisure mine ed altre di supporto, velivoli imbarcati, elicotteri, componenti specialistiche (Forze Speciali e Reggimento San Marco), unitdelle Capitanerie di Porto;- 18 velivoli da combattimento, 5 aerei da trasporto, 3 velivoli di pattugliamento marittimo, 2 aerei cisterna e 3 elicotteri. 47 Si tratta una forza di reazione rapida di circa 1500 uomini, da mobilitare nellarco di due giorni e
dispiegare per almeno un mese. Rispetto allHelsinki Headline Goal, che prevedeva la costituzione di una Forza di Reazione Rapida Europea (FERR) composta da 50-60000 uomini, mobilitabili in un mese e dispiegabili per un anno, le differenze sono molteplici. La forza anglo-francese dovrebbe essere pi leggera, mobilitabile in tempi pi brevi e capace di operare in contesti difficili, quali citt, deserto, montagne o giungla. Mentre la FERR era stata pensata per un impiego essenzialmente nei Balcani, sembra che la nuova forza sia stata pensata per impieghi in contesti extraeuropei, e pi specificamente nel continente africano, dove sono presenti molti failed e failing states, ovvero stati lacerati da contrasti etnici e/o tribali, dove lautorit statuale non riesce pi a controllare il territorio. In Africa, poi, sia la Francia sia la Gran Bretagna controllavano delle colonie, dove hanno inviato negli ultimi anni delle forze di peace-keeping: il caso, ad esempio, di Sierra Leone e Costa dAvorio. Infine, proprio in Africa, e precisamente nella Repubblica Democratica del Congo, che lUnione Europea ha effettuato loperazione Artemis. Tale missione, la seconda condotta dallUnione, dopo la missione Concordia nella Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, durata dal giugno al settembre 2003. Il compito principale delloperazione era stato quello di contribuire alla

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hanno presentato in maniera congiunta liniziativa al Comitato Politico per la Sicurezza dellUnione Europea (COPS) il 10 febbraio 2004. Una volta che il COPS avr ricevuto il parere tecnico del Comitato Militare e avr esaminato liniziativa, questa sar presa in considerazione dal Consiglio informale difesa del 5-6 aprile a Bruxelles. Infine, lapprovazione dovrebbe giungere dalla riunione congiunta dei Ministri degli Esteri e della Difesa dellUE, che si riuniranno a Bruxelles il 17 e 18 maggio. Liniziativa aperta agli altri stati che dimostrino un alto livello di interoperabilit, ovvero, gli eventuali partecipanti devono essere willing and able. Unintesa di questo genere nel campo della difesa tra paesi europei , al momento, possibile solo allinfuori del quadro giuridico dei Trattati dellUnione Europea. Le c.d. cooperazioni strutturate da attuarsi nel settore difesa erano espressamente previste nel Trattato Costituzionale UE approvato dalla Convenzione Europea nel giugno 2003. Tuttavia, al Vertice europeo di dicembre 2003, la Conferenza Intergovernativa non ha trovato laccordo sul testo del trattato costituzionale, che attende quindi di essere approvato. Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) Con il Consiglio europeo di Nizza (2001) sono state istituite, con atto del Consiglio dellUnione, unarchitettura definitiva e nuove strutture politiche e militari permanenti tese ad assicurare il controllo politico e la direzione strategica delle crisi, e la condotta delle operazioni. Nasce cos la PESD (Politica Europea di Sicurezza e Difesa: fu cos definita per la prima volta nel precedente vertice di Colonia del 1999) quale parte e strumento della PESC, cio in sintesi: - un Comitato politico di sicurezza (COPS); - un Comitato militare (EUMC); - uno Stato Maggiore (EUMS).
stabilizzazione delle condizioni di sicurezza e al miglioramento della situazione umanitaria a Bunia, ad assicurare la protezione dellaeroporto e dei profughi dei campi di Bunia e, nel caso la situazione lo richiedesse, di contribuire alla sicurezza della popolazione civile, del personale delle Nazioni Unite e della presenza umanitaria nella citt. (Cfr. Risoluzione 1484 (2003) adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite alla sua 4764ema riunione il 30 maggio 2003). La missione impegnava 1500 uomini, per la maggior parte francesi. Il modello utilizzato per lOperazione Artemis differiva da quello di Concordia, basato sulla cooperazione tra NATO ed UE. Per loperazione nella Repubblica Democratica del Congo lUnione adottava il modello della Framework Nation, che in questo caso era la Francia.

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Le capacit e le strutture della politica europea di sicurezza e di difesa (PESD), che hanno subito un'importante evoluzione rispetto al 1999, sono articolate in tre componenti: le prime due, la gestione delle crisi militari e la gestione delle crisi civili, sono chiamate le missioni di Petersberg. La terza componente costituita dalla prevenzione dei conflitti. Nel giugno 1999, il Consiglio europeo di Colonia ha inserito la gestione delle crisi nel cuore del processo di potenziamento della PESC. Due anni dopo, al vertice di Gteborg, la prevenzione dei conflitti stata definita uno degli obiettivi principali delle relazioni esterne dell'Unione. Dal 1999 in poi, quasi tutti i Consigli europei hanno tentato di affinare e potenziare gli strumenti di cui l'Unione dispone per perseguire azioni autonome nel quadro della PESD, che costituisce una parte integrante della PESC. L'obiettivo quello di rendere operativa la PESD a partire dal 2003 e dare quindi all'UE una posizione unica al mondo, grazie ad una gamma completa di strumenti (economici, diplomatici, militari, di polizia, ecc.). Le missioni di Petersberg sono state integrate nel titolo V del trattato sull'Unione europea. Si trattato di un notevole passo avanti in un momento in cui era diventata nettamente meno grave (rispetto ai tempi della guerra fredda) la minaccia di conflitti su larga scala, ma si assisteva alla recrudescenza di conflitti locali che costituivano un serio rischio per la sicurezza europea (ad esempio la guerra nellex-Jugoslavia). Le missioni di Petersberg traducono adeguatamente la volont degli Stati membri di garantire la sicurezza attraverso missioni:

missioni umanitarie o di evacuazione di persone; di mantenimento della pace; di forze armate ai fini della gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace.

La riuscita della gestione delle crisi, che sar realizzata in conformit con la Carta delle Nazioni unite, dipende dalla collaborazione con l'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (NATO), in quanto l'UE dovr utilizzare i mezzi della NATO a livello di capacit militari, di pianificazione operativa, ecc. Per evitare sovrapposizioni di competenze e colmare le lacune specifiche in materia di gestione delle crisi, stato istituito un partenariato strategico, articolato in due componenti: 69

La componente militare La componente militare stata istituita nei Consigli europei di Helsinki e di Nizza. A Helsinki stato adottato il cosiddetto "obiettivo globale", ovvero il potere dell'Unione di spiegare, entro un periodo di 60 giorni e per almeno un anno, fino a 60.000 uomini (con la partecipazione delle forze armate di alcuni paesi candidati). All'obiettivo globale sono state associate nuove strutture militari istituite a Nizza, la pi importante delle quali il Comitato politico e di sicurezza (COPS). Sostituto del Comitato politico, il COPS segue l'andamento della situazione internazionale, contribuisce alla definizione delle politiche e veglia all'attuazione delle politiche adottate. Composto principalmente da rappresentanti nazionali, il Comitato il centro nevralgico delle attivit di gestione delle crisi. Per garantirne il buon funzionamento, esso assistito da un gruppo di lavoro politico-militare, un comitato che si occupa degli aspetti civili della gestione delle crisi, dal Comitato militare (CM) e dallo Stato maggiore (SM). Il CM fornisce al COPS e all'Alto rappresentante consulenza in materia militare mentre lo SM, che parte integrante del Segretariato del Consiglio, responsabile dei compiti di reazione rapida, di pianificazione strategica e di valutazione.

La componente civile La componente civile, messa a punto durante i Consigli europei di Feira (1999) e di Gteborg (2001), grazie ad un importante contributo della Commissione, stata istituita per migliorare un ambito in cui la comunit internazionale ha mostrato alcune debolezze. Per fornire valore aggiunto, l'Unione europea creer, entro il 2003, quattro strumenti interdipendenti principali. Tali strumenti sono i seguenti: . la cooperazione di polizia: la possibilit di spiegare fino a 5.000 agenti di polizia, di cui 1.000 entro un periodo di 30 giorni, per missioni che possono andare dal ristabilimento dell'ordine pubblico, in cooperazione con una forza militare, alla formazione degli agenti di polizia locale. Tra i paesi candidati, l'Islanda e la Norvegia contribuiscono alla cooperazione di polizia; . il potenziamento dello Stato di diritto: la possibilit di fornire fino a 200 giudici, procuratori e altri esperti in materia; . l'amministrazione civile: la possibilit di disporre di un'unit di lavoro

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incaricata di organizzare o garantire lo svolgimento di elezioni, organizzare i sistemi fiscali e scolastici, l'approvvigionamento idrico, ecc.; . la protezione civile: la possibilit di assistere gli operatori umanitari attraverso operazioni di soccorso, ecc. L'Unione europea dovr essere in grado, in un periodo compreso tra tre e sette ore, di schierare fino a due o tre squadre di valutazione composte da dieci esperti e squadre di intervento composte da 2.000 persone. Inoltre, stato creato un comitato che si occupa degli aspetti civili della gestione delle crisi allo scopo di migliorare i rapporti tra la componente militare e quella civile. Avvalendosi degli strumenti del primo pilastro, tale comitato implica una cooperazione da parte della Commissione, e si basa sulla considerazione che il successo di un intervento dipende strettamente dalla reciprocit delle attivit militari e di quelle civili. La prevenzione dei conflitti, la terza componente della PESD, ne costituisce lo sviluppo naturale, in considerazione delle immani sofferenze umane e degli altissimi costi prodotti dai conflitti violenti. La Commissione vi svolge un ruolo importante, che si concentra sul miglioramento della coerenza e dell'efficacia di tutti gli interventi dell'Unione. Questa nuova strategia integrata, finalizzata alla stabilit strutturale a lungo termine, mira a garantire la creazione o la restaurazione di un ambiente politico favorevole nelle regioni oggetto degli interventi. Nella prospettiva della promozione della pace e della stabilit, i quattro obiettivi principali sono:

coordinare e utilizzare in maniera pi sistematica gli strumenti di cui dispone la Comunit; identificare immediatamente le cause del conflitto e cercare di risolverle; migliorare la capacit di intervento nelle prime fasi dei conflitti; promuovere la cooperazione internazionale in materia.

La Commissione ha pubblicato una vasta gamma di raccomandazioni relative ad attivit in materia, compresa la prevenzione a lungo termine e a breve termine e la cooperazione internazionale. Tra le raccomandazioni principali si annoverano l'integrazione degli indicatori di conflitto e dei principi della prevenzione dei conflitti nella formulazione dei programmi di aiuto e di cooperazione. 71

Nel febbraio 2001, stato istituito un meccanismo di reazione rapida, elaborato dalla Commissione. Il meccanismo, che permette che il finanziamento rapido della gestione delle crisi, pu essere attivato in presenza di una minaccia all'ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini e in altri casi analoghi che minacciano la stabilit di un paese. L'assistenza si concretizza in aiuti non rimborsabili a breve termine e copre tutte le attivit che non rientrano nelle competenze dell'Ufficio per gli aiuti umanitari (ECHO). Grazie a tale strumento, l'Unione europea ha potuto avviare la ricostruzione politica, economica e sociale dell'Afghanistan. L'Unione dell'Europa occidentale (UEO) In termini concreti, l'articolo 17 del trattato di Amsterdam prevede che la PESC comprenda tutte le questioni relative alla sicurezza dell'Unione, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune che, se il Consiglio europeo decide in tal senso, potrebbe condurre a una difesa comune. Tale articolo ha inaugurato il trasferimento di competenze dall'UEO all'UE e quasi tutte le missioni di Petersberg sono state incorporate nelle nuove strutture dell'Unione, compresi gli organi ausiliari dell'UEO, quali il centro satellitare e l'Istituto di studi sulla sicurezza, operativi dal gennaio 2002. L'UEO ha segnato, nel 1954, lo sviluppo della sicurezza e della difesa in Europa. Il 13 dicembre 2000, a Marsiglia, i Ministri degli Esteri e della Difesa dellUnione Europea Occidentale, alla luce degli sviluppi nellambito della Politica Estera di Sicurezza e Difesa, tra le altre determinazioni riguardanti il futuro della UEO decisero di modificarne il ruolo realizzando, a partire dal 1 luglio 2001, una struttura residuale in grado di garantire agli stati Membri gli adempimenti discendenti dal Trattato di Bruxelles modificato, in particolare quelli che derivano dagli Artt. V (difesa collettiva)
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e IX (relazioni con

lAssemblea Parlamentare)49. Con la chiusura del UEO Military Staff, avvenuta 48 ARTICLE V: If any of the High Contracting Parties should be the object of an armed attack in Europe, the other High Contracting Parties will, in accordance with the provisions of Article 51 of the Charter of the United Nations, afford the Party so attacked all the military and other aid and assistance in their power. 49 ARTICLE IX: The Council of Western European Union shall make an annual report on its 72

il 30 giugno 2001, si conclusa la sua dimensione operativa. Dal 1 luglio 2001 stata avviata la struttura residuale UEO, che continuer ad assolvere i compiti inerenti gli articoli del Trattato di Bruxelles sopraccitati, sempre sotto la responsabilit del UEO SecGen. L'UEO ha comunque svolto un ruolo importante nell'aggiornamento delle prime missioni di Petersberg, come il distacco di polizia a Mostar o la cooperazione con la polizia albanese. La cooperazione multilaterale L'Unione europea gestisce e orienta la PESC in collaborazione con altri soggetti internazionali. Oltre alla NATO, che svolge un ruolo importante nell'attuazione delle missioni di Petersberg, collaborano alla PESC soprattutto l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e l'Organizzazione delle Nazioni unite (ONU). La CE, e successivamente l'UE, sono state rappresentate alle riunioni dell'OSCE e del suo predecessore, il CSCE, dal 1989, in quanto nel momento in cui l'OSCE ha cominciato a concentrarsi sulla prevenzione dei conflitti, sulla gestione delle crisi, sulla democratizzazione e sulla riabilitazione, emersa la necessit di promuovere le sinergie ed evitare le sovrapposizioni di competenze. Un esempio di sostegno all'OSCE da parte dell'UE il servizio di sorveglianza in occasione delle elezioni libere e dello sviluppo delle istituzioni di difesa dei diritti dell'uomo nelle nuove democrazie, per esempio in BosniaErzegovina nel 1997 e nel 1998. Inoltre, numerosi accordi dell'UE, come PHARE50 , TACIS, CARDS e MEDA si basano sugli acquis dell'ONU, dell'OSCE e del Consiglio d'Europa. Per questa ragione, l'UE fornisce un apprezzato valore aggiunto. Oltre al ruolo che l'ONU svolge attraverso la sua carta, che definisce la
activities and in particular concerning the control of armaments to an Assembly composed of representatives of the Brussels Treaty Powers to the Consultative Assembly of the Council of Europe.

50 Il programma PHARE attualmente il principale strumento della cooperazione finanziaria


e tecnica della Comunit europea con i paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO). stato creato nel 1989 per sostenere il processo di riforme e la transizione economica e politica in Polonia e Ungheria. Nel 2000-2006 il programma fornir circa 11 miliardi di euro per il potenziamento istituzionale attraverso gli interventi di gemellaggio e l'assistenza tecnica e per il sostegno agli investimenti.

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gestione delle crisi civili, l'organizzazione ha stipulato molteplici accordi tra i suoi organi e la Commissione. Gli stati membri dell'UE sono tutti membri dell'ONU, e dal 1992 coordinano le azioni in tale sede in modo da esprimere la volont dell'Unione europea. Nella gestione delle crisi civili, particolarmente in materia di polizia, l'UE ha dimostrato di essere pronta a condurre operazioni nel quadro dell'ONU e dell'OSCE. Al Consiglio europeo di Gteborg del giugno 2001 si giunti alla conclusione che l'UE deve sviluppare le proprie capacit nel campo della PESD in modo da svolgere un ruolo pi importante ed adeguato nell'ambito pi ampio della gestione delle crisi da parte dell'ONU. Nella collaborazione con le organizzazioni internazionali, le azioni dell'UE si ispirano a quattro principi:

fornire un valore aggiunto; assicurare l'interoperabilit; garantire la visibilit; assicurare l'autonomia decisionale.

Il finanziamento delle spese operative legate alla PESC Il bilancio complessivo della PESC per l'anno 2002 stato pari a 35 milioni di euro, ovvero a meno dell'1% del bilancio destinato alle azioni esterne. Tale somma non stata giudicata sufficiente per la gestione delle crisi, un settore che si molto sviluppato dopo l'adozione, nel 1999, delle prospettive finanziarie dal 2000 al 2006, e si stanno esercitando pressioni affinch la linea di bilancio corrispondente venga aumentata. Il carattere civile dell'Unione dimostrato dal fatto che essa si concentra sugli aiuti di preadesione, sulla cooperazione e sugli aiuti umanitari. Tali priorit hanno, per esempio, permesso di fornire al Kosovo, nel 2001, 360 milioni di euro. Tale somma, una larga percentuale della quale stata fornita sotto forma di interventi comunitari, era destinata alla ricostruzione della regione, dei suoi edifici, dell'amministrazione pubblica, della societ civile, e cos via. Il Trattato sull'Unione Europea pone le spese operative della PESC a carico del bilancio comunitario o del bilancio degli Stati membri, secondo un criterio di ripartizione da definire secondo i casi. Considerata complessa ed inefficace, tale procedura stata modificata dal trattato di Amsterdam, che imputa le spese operative della PESC al bilancio comunitario, tranne quando queste riguardano 74

operazioni che coinvolgono il settore militare o della difesa o quando il Consiglio, deliberando all'unanimit, decide diversamente. In quest'ultimo caso, previsto che gli Stati membri che si siano astenuti con una dichiarazione formale non siano obbligati a contribuire al finanziamento dell'operazione. I due aspetti sono tuttavia difficili da distinguere poich un'azione operativa di gestione di crisi comprende di solito, accanto ad un aspetto civile, un aspetto militare; la responsabilit dei costi diviene allora incerta. In seno al Consiglio, si cerca di trovare una definizione delle operazioni PESD che sia accettabile da tutti gli Stati membri. La Commissione ha pubblicato una comunicazione in cui riconosce la mancanza di coordinamento tra gli strumenti e di flessibilit delle procedure di gestione delle crisi civili, per quanto riguarda le operazioni di polizia, lo stato di diritto, la Protezione civile e l'amministrazione civile. quindi necessario che le procedure che regolano la gestione delle crisi civili e la prevenzione dei conflitti siano pi efficaci e pi rapide. Tra le due opzioni, quella di un fondo ad hoc e quella che prevede l'introduzione di maggiore flessibilit, la Commissione ha scelto la seconda, in quanto il fondo ad hoc pone difficolt a livello di responsabilit, di controllo e di coerenza. A questo proposito, la Corte dei conti ha espresso parere favorevole. La soluzione pi pratica consiste in una procedura decisionale rapida combinata con procedure di attuazione semplificate, sostiene la Corte, sottolineando che gli strumenti comunitari e gli strumenti della PESC sono complementari. L'opzione proposta dalla Commissione garantisce il livello massimo di trasparenza e di responsabilit politica nel quadro di un accordo interistituzionale. Le modifiche apportate dal trattato di Nizza Il trattato di Nizza, entrato in vigore il 1 febbraio 2003, ha apportato alla PESC modifiche relative soprattutto ai seguenti ambiti:

la cooperazione rafforzata, che sar possibile per l'attuazione di un'azione o di una posizione comune, se queste riguardano questioni che non hanno implicazioni di ordine militare o di difesa. Se nessuno Stato si oppone o chiede una decisione unanime al Consiglio europeo (il cosiddetto "freno d'emergenza"), la cooperazione rafforzata viene decisa a livello di Consiglio, a maggioranza qualificata, con una soglia di otto Stati membri;

il comitato politico e di sicurezza sar autorizzato dal Consiglio europeo a

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prendere autonomamente decisioni adeguate per garantire il controllo politico e la direzione strategica di un'operazione di gestione di crisi. Tale mandato aumenta l'importanza del comitato nel quadro della PESD.

Partenariato Mediterraneo La UE mirer a fornire nuovo impulso e sostanza al Partenariato Euromediterraneo, con l'obiettivo di consolidarne il rilancio in occasione della VI Conferenza Ministeriale Euromediterranea, che costituir l'occasione per una verifica dello stato di attuazione delle iniziative varate a Valencia. Una priorit sar inoltre la trasformazione in filiale della Facility BEI51 per il Mediterraneo. possibile sostenere con maggiore forza una nuova architettura finanziaria verso i Paesi prossimi considerando lopportunit di creare la Banca Euro-Mediterranea, che si affiancherebbe cos come banca regionale di sviluppo alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo che orientata verso i Paesi dellEuropa centro-orientale52. Particolare attenzione verr dedicata allo sviluppo di un dialogo tra le culture destinato a promuovere una migliore comprensione reciproca fra le due sponde del Mediterraneo. Per quanto riguarda la questione della dimensione e dellequilibrio geopolitico, le prospettive finanziarie successive al 2006 dovranno tenere conto dello squilibrio tra i finanziamenti comunitari diretti ai partner mediterranei e quelli diretti ai candidati e vicini centro-orientali. Nel 2000 gli aiuti europei impegnati per i partner mediterranei sono stati pari a 4,6 euro pro capite (gli aiuti effettivamente erogati sono ancora inferiori), quasi un decimo dei 40 euro impegnati per i candidati centro-orientali. Ma lo squilibrio tra Sud ed Est destinato ad ampliarsi drasticamente con lallargamento: dal 2004, i nuovi 51 Istituita nel 1958 dal trattato di Roma, la Banca europea per gli investimenti (BEI)
contribuisce al raggiungimento degli obiettivi dell'Unione concedendo prestiti e garanzie per finanziare determinate categorie di progetti d'investimento.

52 La creazione di una Banca Euro-Mediterranea venne proposta dalla presidenza spagnola


della UE (primo semestre 2002), ma di fronte alle obiezioni di numerosi Stati europei, timorosi di creare una istituzione ridondante, il Consiglio Europeo di Barcellona (marzo 2002) decise di istituire per il momento una facility presso la BEI dedicata ai partner mediterranei, il FEMIP (Facility for Euro-Mediterranean Investment and Partnership).

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membri dellUnione riceveranno infatti aiuti stimati in 545 euro pro capite su base lorda e circa 400 euro pro capite su base netta mentre gli aiuti ai partner mediterranei non registrano incrementi significativi. Un analogo squilibrio esiste tra i Paesi dellEst candidati e quelli non candidati a cui si rivolge la politica di prossimit. Squilibri di questa portata tra nuovi membri dellUnione e Paesi confinanti rischiano di approfondire quelle divisioni, lungo i confini della futura Unione allargata, che la politica di prossimit ambisce invece a ridurre. dunque indispensabile che nellambito delle future prospettive finanziarie gli stanziamenti comunitari nei confronti dei Paesi confinanti siano elevati significativamente rispetto ai livelli attuali. Per la prima fase di evoluzione della politica di prossimit 53, la Commissione propone una dotazione indicativa per il 2004-2006 di 955 milioni di euro, di cui 700 milioni provenienti da INTERREG, 90 milioni da PHARE, 75 milioni da
TACIS,

45 milioni da CARDS e 45 milioni da MEDA. La scarsit degli importi

provenienti da CARDS e da MEDA non tuttavia incoraggiante per un rapido progresso della integrazione tra i diversi programmi di cooperazione. Questo aspetto particolarmente rilevante perch dai risultati del periodo transitorio 2004-2006 dipender evidentemente lesito della proposta di creare un nuovo strumento di prossimit.

Balcani Occidentali La UE attribuisce grande importanza alle relazioni con i Paesi della Regione dei Balcani Occidentali. Si tratta di una regione nella quale l'Unione stata chiamata dalle circostanze e dalla forza degli eventi a sperimentare con successo la sua capacit di coordinata proiezione esterna. Nei confronti dei 53 La Commissione europea ha adottato il 1 luglio 2003 una Comunicazione intitolata
''Preparare il terreno per un nuovo strumento di prossimit'' mirata a migliorare gli interventi dell'Unione europea alle frontiere esterne dopo l'allargamento e a rafforzare la cooperazione con i paesi dei Balcani occidentali e del Mediterraneo, con la Russia, l'Ucraina, la Bielorussia e la Moldavia. Tra il 2004 e il 2006 la Commissione intende operare un migliore coordinamento degli attuali strumenti di cooperazione transfrontaliera (INTERREG, PHARE-CBC, TACIS-CBC, CARDS e MEDA) grazie all'istituzione di "programmi di prossimit" che dovrebbero essere varati sin dal 2004.

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Paesi della Regione dei Balcani Occidentali, per i quali si dovr confermare solennemente la prospettiva di una futura adesione all'Unione, il principale strumento di azione dell'Unione continuer ad essere il processo di Stabilizzazione ed Associazione. Sviluppo economico e lotta al crimine organizzato costituiranno due settori prioritari per l'azione dell'Unione, che si adoperer inoltre per sviluppare utili forme di sinergia tra questa strategia comune europea nei confronti della regione ed iniziative regionali quali l'INCE, l'Iniziativa adriatico-ionica ed il Patto di Stabilit per i Balcani che dovrebbero essere in grado nei rispettivi settori di competenza di promuovere lo sviluppo di utili forme di cooperazione settoriali. Sulla base della comunicazione presentata dalla Commissione, la Presidenza italiana intende sviluppare un rapporto intenso di cooperazione e di buon vicinato con i "nuovi vicini" a Est (Ucraina, Moldova e Bielorussia), e con i Paesi del Mediterraneo. Sulla base di un approccio necessariamente basato su criteri di differenziazione, intendiamo sviluppare formule originali di cooperazione che consentano un rafforzamento complessivo del rapporto tra l'Unione e questi Paesi. Relazioni transatlantiche Per quanto riguarda le relazioni Europa - USA, viene considerata una priorit rafforzare un partenariato che per l'UE resta una "relazione strategica fondamentale", valorizzando le non poche aree di positiva collaborazione che gi esistono ed estendendole ad altri settori. Ha particolare importanza, a tale riguardo, la ricomposizione delle dispute commerciali in corso con gli Stati Uniti ed il proseguimento dei lavori nel quadro dell'Agenda positiva lanciata al Vertice di Washington a maggio 2002. La cooperazione tra Stati Uniti ed Unione Europea essenziale per affrontare le sfide cruciali di oggi, a cominciare dalla lotta al terrorismo ed alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. Lotta al terrorismo, non proliferazione e cooperazione tra UE e Nazioni Unite Le misure e le iniziative previste dal piano d'azione adottato dal Consiglio Europeo il 21 settembre 2001 prevedono piena continuit all'azione dell'Unione 78

nella lotta contro il terrorismo. Viene sostenuta con continuit l'azione europea volta alla ricerca di strumenti idonei a garantire una politica pi rigorosa e attiva in materia di non proliferazione, rapportando i sistemi normativi, di prevenzione, di verifica e - laddove necessario - di imposizione, in un quadro multilaterale e in conformit al diritto internazionale. Essa promuover attivamente il ruolo dell'UE nei principali fori multilaterali, nelle Organizzazioni internazionali e regionali. Particolare impegno sar dedicato alla partecipazione dell'Unione alle attivit dell'ONU, sulla base delle priorit che saranno approvate dal Consiglio, prima dell'estate, per l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Si attribuir particolare considerazione alla ricerca di modi e mezzi per migliorare la cooperazione tra UE e Nazioni Unite anche nel settore della gestione delle crisi con strumenti civili e militari. L'urgenza della necessit di dotare l' Unione di nuovi strumenti contro il terrorismo ulteriormente testimoniata dalla nomina del 25 marzo 2004 di un mister Antiterrorismo: il compito di coordinatore delle attivit del Consiglio europeo su come contrastare attentati e stragi stato affidato all' olandese Gijs de Vries, ex segretario di Stato agli Affari interni del governo del suo Paese. Dal punto di vista degli equilibri interni all' Ue, la nomina di de Vries una vittoria di Javier Solana, il mister Pesc che si occupa di Politica estera e Sicurezza comune, altri campi sui quali il dibattito politico invoca compattezze che l' Unione non stata in grado finora di dimostrare. Secondo la versione di Solana, de Vries contribuir a preparare i Consigli dei ministri degli Interni e quelli dei ministri degli Esteri che si occuperanno di terrorismo, spinger gli Stati membri ad applicare le decisioni prese. Ecco il punto critico. Sia il presidente di turno del Consiglio europeo, il premier irlandese Bertie Ahern, sia Prodi hanno messo in evidenza che le principali misure annunciate dall'Ue dopo le stragi dell' 11 settembre 2001 sono ancora inattuate. Troppe decisioni stanno aspettando la ratifica dei Paesi membri. Nessuno dei capitoli fondamentali ancora entrato in attuazione completa, ha detto Prodi. Tra i principali accordi in attesa c' l' introduzione del mandato di arresto europeo. L' Italia non ne ha ancora ratificato la nascita n lo ha fatto per Eurojust, un coordinamento di magistrati. E' in questa cornice che va vista la clausola di solidariet per gli Stati dell' Unione vittime di futuri attentati. Una dichiarazione approvata dal Consiglio si richiama all' 79

articolo 42 del trattato costituzionale proposto dalla Convenzione, in base al quale se viene colpito un Paese gli altri devono essere solidali, anche con i propri militari, come se fossero stati bersagli. Relazioni UE-NATO: Accordo "Berlin Plus" In questo contesto, viene perseguita l'esigenza di disegnare al meglio e rendere coerente la relazione tra l'Unione Europea e la NATO. Il raccordo tra le due organizzazioni fondamentale per rendere possibili le missioni europee di maggior impegno. Sulla scia delle intese raggiunte con la Turchia e la NATO in occasione del Consiglio Europeo di Copenaghen del dicembre 2002, vengono affinate le modalit di attuazione dell'Accordo Berlin Plus, che assicura il "prestito" di risorse NATO per operazioni dell'Unione. Ci consente di evitare la costituzione di "doppioni", che risulterebbero politicamente inopportuni ed economicamente non funzionali.

Operazione "Concordia" e missione di polizia internazionale in Bosnia (EUPM) Resa pi "robusta" dal saldo raccordo con la NATO, la PESD ha quindi effettuato le sue prime prove sul terreno, cio i seguiti dell'operazione "Allied Harmony" in Ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia (operazione e l'operazione "Concordia"), la missione di polizia internazionale nella former Yugoslav Republic of Macedonia (fYROM) (missione Proxima54) Artemis nella regione congolese dell'Ituri. Si dovr in seguito decidere su eventuali nuove missioni in considerazione delle esigenze determinate dagli sviluppi internazionali, dal ruolo crescente dell'Unione Europea nella gestione delle crisi e dalle priorit di intervento definite nell'ambito della PESC.

c. LE STRUTTURE POLITICHE E MILITARI DELLA PESD 54 LUnione Europea ha deliberato la missione di polizia internazionaleProxima in linea con gli
obbiettivi del Ohrid Framework Agreement del 2001 ed in stretta cooperazione con le autorit locali. La missione cominciata il 15 dicembre 2003 ed ha una durata iniziale di un anno.

80

Le strutture, tese ad assicurare il controllo politico, la direzione strategica delle crisi e la condotta delle operazioni sono: un Comitato politico di sicurezza (COPS) composto da rappresentanti permanenti con il rango di Ambasciatori; un Comitato militare (EUMC) composto dai Capi di Stato Maggiore della Difesa, rappresentati dai loro delegati permanenti; uno Stato Maggiore (EUMS) responsabile dellallertamento rapido, dellanalisi delle situazioni e della pianificazione strategica per le missioni cosiddette di PETERSBERG. I rapporti con la NATO Per gli Stati membri tutto ci ha comportato (e per certi versi ancora comporta) dei problemi a causa della diversit delle rispettive Costituzioni e della limitatezza dei budget nazionali per ladeguamento dei propri strumenti militari. Con riferimento ai primi quindici membri dellUnione, quattro infatti sono neutrali in base alla loro Carta costituzionale e non hanno mai partecipato ad alleanze finalizzate alluso (legittimo) della forza; undici sono invece membri della NATO. Tale membership ha effetti sullordinamento interno ed obbliga gli Alleati alla partecipazione a programmi per laggiornamento e linteroperabilit dei mezzi nonch alladdestramento comune del personale delle loro Forze Armate, con costi spesso elevati che gravano sul bilancio statale di ciascun membro. Inoltre, non bisogna dimenticare che, nello stesso ambito, gi operava la Unione Europea Occidentale (UEO). A seguito della definizione da parte della NATO e della UE dellesigenza di una Identit Europea di Sicurezza e Difesa (IESD) infatti, la Difesa venne inizialmente affidata alla responsabilit della UEO che doveva, in modo duplice, funzionare come pilastro europeo di difesa e pilastro europeo della NATO. Si creava un principio di complementariet tra le tre organizzazioni che sembrava essere recepito anche dagli USA e dai Paesi NATO non membri UE. In seguito le capacit militari della UEO sono confluite in modo definitivo nella UE. 81

Nel quadro dello sviluppo di forze separabili ma non separate rispetto a quelle dellAlleanza atlantica, data lappartenenza di diversi Paesi alle diverse organizzazioni, si subito posto il problema della determinazione ed applicazione di modalit che consentano allUE di accedere agli assetti ed alle capacit comuni della NATO. BERLIN Plus il nome dellaccordo mirato al superamento di tale impasse, il cui iter iniziato in ambito NATO-UEO ed proseguito in quello NATO-UE con il Vertice della Alleanza Atlantica di Washington, nel 1999. Il 16 dicembre 2002, lUnione Europea e la NATO hanno sottoscritto la dichiarazione congiunta per una nuova era di coordinazione tra le due organizzazioni multinazionali. Ci ha costituito il primo passo per lesito positivo del cosiddetto accordo BERLIN Plus, con riferimento alla disponibilit per lUnione delle capacit di pianificazione della NATO. Oggi, il BERLIN Plus sostanzialmente concluso e si giunti allo stadio di pianificazione per la definizione congiunta di assetti NATO attuali e futuri pre identificati e utilizzabili da parte dellUE in operazioni a guida europea. Laspetto centrale costituito dalle modalit di coinvolgimento delle strutture dellUE, in particolare della partecipazione di Ufficiali del Military Staff dellUnione alle attivit di SHAPE. Le Capacit Militari e lECAP. Allindomani della determinazione dellHeadline goal (1999), stata creata una Headline Goal Task Force (HTF) costituita da esperti militari, rappresentanti delle Capitali, per la realizzazione e la comparazione dei cataloghi delle capacit necessarie (HELSINKI Headline goal Catalogue) e dei contributi offerti (HELSINKI Force Catalogue). Questa Task Force, anno dopo anno, ha estratto ed aggiornato dai suddetti cataloghi, un elenco delle carenze per poi includerle nel terzo Catalogo dei Progressi (HELSINKI Progress Catalogue). Il problema relativo al Conseguimento delle Capacit europee per la gestione delle Crisi (Headline goal appunto) resta il tema centrale nellambito dellevoluzione della PESD. Sono, comunque, stati fatti concreti progressi nel settore dellEuropean Headline goal mediante: - contributi aggiuntivi da parte dei Paesi (in modo limitato); 82

- avvio

di

progetti

di

iniziative

nazionali/multinazionali

per

la

realizzazione/acquisizione di capacit. Attraverso tali misure stato possibile colmare in tutto, o almeno in parte, alcuni dei settori carenti. Per le carenze residue, si deciso di adottare un European Capability Action Plan (ECAP) che si articolato in Pannelli di studio volti a provvedere proposte ed indicazioni su ulteriori modi di procedere. Lobiettivo dellEuropean Capabilities Action Plan , in buona sostanza, quello di rimediare alle lacune esistenti mediante procedure coordinate tra gli Stati Membri, sulla base dei principi bottom-up e volontariet, mettendo in comune tutti i progetti bi- o multilaterali in atto per lacquisizione di nuove capacit militari. I pi recenti sviluppi hanno visto levoluzione dei pannelli ECAP in Gruppi di progetto (sempre a partecipazione volontaria) la cui funzione quella di mettere in pratica le soluzioni identificate, affrontando i problemi nella loro completezza, vale a dire con linclusione dello studio e definizione di dottrine, concetti operativi ed esigenze a fronte delle risorse. Parallelamente alla creazione dei Gruppi di progetto, stato avviato un Informal Advisory Group (IAG), composto da Rappresentanti personali dei rispettivi Ministri della Difesa, il cui compito quello di rendere consapevoli, fornendo adeguate informazioni e raccomandazioni, i Ministri stessi sulle iniziative da perseguire per adeguare le capacit militari dellUnione. La soluzione delle lacune resta subordinata al reperimento di fondi (o allacquisto di nuovi assetti) su base volontaria nazionale o multilaterale anche mediante iniziative alternative allECAP. Occorre ricordare due eventi: - il Consiglio europeo di Siviglia (21-22 giugno 2002), poich, in virt delle sue conclusioni, lUnione Europea subentrata alla NATO con lOperazione Militare CONCORDIA in Macedonia, in seguito allaccordo quadro con la NATO per limpiego di assetti e capacit dellAlleanza (BERLIN Plus); - la sottoscrizione del Trattato UE, ad Atene il 16 aprile 2003, da parte dei nuovi entrati (Acceding States) Repubblica Ceca, Lituania, Estonia, Lettonia, Cipro, Malta, Ungheria, Polonia, Slovenia e Slovacchia. Nel primo caso, loperazione percepita, dai Membri dellUE e dai Paesi Terzi, come preludio ad un pi vasto impegno (militare) dellUnione per il 83

mantenimento della pace e della stabilit della piattaforma euromediterranea e per il contrasto al terrorismo. Per quanto attiene allavvenuto allargamento, esso comporter la necessit di iniziare a misurarsi con i problemi operativi che lesercizio della PESC a venticinque membri comporter. Si pu prevedere che le linee programmatiche nel settore Difesa dovranno considerare, tra gli altri: . lo sviluppo dellHeadline Goal; . i rapporti NATO-UE; . la lotta al terrorismo e contestualmente i rapporti mediterranei e laccesso dei Paesi candidati nellesercizio della PESC. Per leffettivo raggiungimento dellHeadline Goal, il problema principale riguarder ancora la mancata soluzione pratica delle carenze individuate nel corso della Capability Improvement Conference. Circa i rapporti NATO UE, competer sicuramente alla nostra Presidenza il perfezionamento degli aspetti attuativi e di dettaglio del BERLIN Plus. Ma ci dovr avvenire nel contesto di una nuova era di collaborazione tra le due sponde atlantiche, indispensabile specie in seguito alla recente crisi delle organizzazioni internazionali, dipendente anche dal fatto di essere state concepite cinquantanni fa. Verso i Paesi che per motivi diversi, non ultimo quello della stabilit regionale, sono particolarmente significativi per lo sviluppo della PESC (quelli del Dialogo Mediterraneo, quelli di recente entrati nellUnione - ma che completeranno il loro effettivo ingresso nel 2004 - e quelli candidati e/o confinanti) lItalia, quale paese centrale dellarea euromediterranea con interessi nazionali specifici, dovr continuare a perseguire lobiettivo dellavvicinamento e della collaborazione. In tale ottica potr essere avviata uniniziativa mirata a stabilire e a promuovere una serie di esercitazioni allargate ai Paesi della sponda Sud ed ai nuovi membri, contestualmente dando inizio ad un processo di valorizzazione delle Forze multinazionali europee con riferimento alla loro possibile interazione con le strutture politico-militari dellUnione Europea. Per quanto riguarda gli scenari futuri di impiego della Forza di Reazione Rapida Europea non potremo trascurare il nuovo contesto strategico che si delineato allindomani dell11 settembre, soprattutto a seguito dellintenzione manifestata da molti leaders europei di individuare un possibile ruolo della 84

PESC/PESD nella lotta contro il terrorismo. La lotta al terrorismo non rientra negli scenari legati a PETERSBERG. A tuttoggi gli unici aspetti presi in considerazione in ambito PESC/PESD riguardano quelli di self protection delle Forze europee dispiegate per operazioni di tipo PETERSBERG con la possibilit di offrire una qualche forma di protezione, peraltro limitata, anche alla popolazione civile. Tuttavia, nel Trattato (costituente) sullUnione Europea (TEU), si prevede uno snellimento del Decision Making in ambito politico con la creazione di una figura unica di responsabile PESC e compare anche laggiornamento dei compiti di Petersberg con lesplicito riferimento alla lotta al terrorismo ed alla difesa della popolazione civile dellUnione (e dei Paesi Terzi che ne facciano espressa richiesta) da tale minaccia. Alla luce dellimportanza assunta dalla lotta al terrorismo e dei recenti sviluppi delle crisi internazionali, dagli esiti dei lavori della Convenzione lecito attendersi la collocazione del contrasto al terrorismo ed alla proliferazione delle Weapons of Mass Destruction (WMD)55 tra i principali temi nellagenda dellUnione, che ha gi inserito nellHeadline goal Catalogue, versione 2002, di cui si detto in precedenza, i SIBCRA Teams, assetti medico-sanitari con capacit anti NBC e ne sta rivalutando altri nella direzione della lotta preventiva al sovversivismo a favore anche di popolazioni civili per la salvaguardia precauzionale dei confini dellUnione mediante luso di capacit militari.. Sono state istituite di recente due agenzie per lo svolgimento di mansioni tecniche, scientifiche e di gestione molto specifiche, nel quadro della politica estera e di sicurezza comune (PESC), ovvero del "secondo pilastro" dell'UE. Le due agenzie sono l'Istituto dell'Unione europea per gli Studi sulla Sicurezza (con sede a Parigi, Francia) e il Centro Satellitare dell'Unione europea (con sede a Torrejn de Ardoz, Spagna), entrambe appartenenti in precedenza all'Unione dell'Europa Occidentale (UEO), ed oggi confluite nell'Unione Europea.

CAPITOLO III LALLARGAMENTO DELLUNIONE EUROPEA E DELLA NATO


55 La pi diffusa definizione per WMD Armi Nucleari, Chimiche e Batteriologiche 85

VERSO EST COME SECURITY POLICIES.


Il s degli irlandesi al referendum sullallargamento dellUE56 ha gettato le basi per quella che pare configurarsi come la prossima decisiva sfida europea. Eppure, quello dellallargamento un processo gi in atto da anni, anche in seno ad altre organizzazioni sovranazionali attive sul continente (OSCE, UEO, NATO, etc.). Dal punto di vista strategico, sono vari i commentatori di questioni militari o comunque legate alla sicurezza che negli anni si sono espressi scettici sullopportunit di tale processo, soprattutto riguardo allallargamento verso i Paesi dellEst europeo, principalmente temendo pericoli relativi alle dinamiche della sicurezza e difesa delle pi influenti organizzazioni europee: lUE e la NATO. Semplificando, di volta in volta, in relazione allinclusione di tali Paesi sono stati paventati:

rischi di carattere istituzionale, come ad esempio quelli relativi a possibili paralisi dei meccanismi decisionali; rischi di carattere internazionale, soprattutto per ci che concerne latteggiamento russo;

rischi di carattere operativo, legati soprattutto allobsolescenza ed alla scarsa compatibilit dei materiali delle Forze Armate dei Paesi dellEst con quelli europei e della NATO. Bench i timori espressi e raggruppabili in queste categorie siano certamente fondati, il limite di queste analisi risiede nella loro tradizionale concezione di fondo della sicurezza, generalmente concepita solo in termini di peso politico o economico o militare. Eppure, innegabile che la complessit del mondo attuale stia sempre pi spingendo verso una ridefinizione del concetto di sicurezza, da concepire sempre pi in termini multidimensionali, date le minacce multidirezionali e soprattutto globalizzate (criminalit organizzata, traffici illeciti della pi disparata natura, terrorismo internazionale, instabilit regionali, etc.) proprie dellepoca che stiamo vivendo. In un simile contesto, lapproccio alle problematiche relative alla sicurezza deve assumere gioco forza un carattere multifunzionale, ed una di queste funzioni a nostro parere esplicata appunto dai processi di allargamento. Scopo del nostro 56 Il 19 ottobre 2002 L'Europa ha fatto un altro passo in avanti, col pronunciamento dei cittadini
irlandesi - ha votato il 48,5% degli aventi diritto - che d via libera al trattato di Nizza, ribaltando la clamorosa sconfitta di un anno prima, quando un analogo referendum si concluse con il successo dei no.

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articolo pertanto illustrare da una parte come il fenomeno dellallargamento sia in ultima analisi esso stesso una security policy, e dallaltra le questioni legate alla sicurezza che il dibattito sullallargamento alimenta. 1. GLI ALLARGAMENTI EUROPEI NEL TEMPO Sin dal fatidico 1989, laffrancamento dei Paesi gi oltre cortina (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) dai regimi comunisti (per alcuni Stati si trattato di un vero e proprio affrancamento territoriale da altri Stati) parve porre dei problemi di diversa natura per ci che concerne leffettivo avviarsi di questi Paesi verso la democrazia e leconomia di mercato. Le condizioni politico-economiche di questi Paesi infatti, nei primi anni Novanta, erano caratterizzate da: economie disastrate e con grosse incognite nella loro riconversione; mancanza di esperienza e di mentalit democratica; corpus legislativi pensati per sistemi sovietici, collettivistici e comunque non democratici n rispettosi dei diritti umani; concreti rischi di conflittualit sociale, etc. Una simile situazione rischiava di creare pi minacce alla sicurezza europea rispetto a quante concretamente ne esistessero prima della caduta del muro. In questa prospettiva consideriamo i primi accordi di cooperazione e di aiuto (come il PHARE e, per ci che concerne le repubbliche ex-sovietiche, il TACIS) come tentativi (riusciti) di evitare lincancrenirsi di situazioni potenzialmente esplosive. Al di l delle dimensioni meramente materiali, il grande apporto fornito da questi accordi infatti ha riguardato a nostro avviso il loro valore come conditionality instruments, ovvero come strumenti di pressione per lavvio di questi Paesi verso sistemi politici ed economici democratici cos come occidentalmente concepiti, giacch ogni programma di cooperazione, come anche ogni forma di aiuto, ha inteso richiedere per la sua implementazione la graduale edificazione di un economia di mercato, del rispetto dei diritti umani, di un sistema multipartitico basato sullalternanza e cos via. Con eguali finalit di stabilizzazione in senso democratico dellintera area centroorientale, sempre ai primi degli anni Novanta incominciarono le prime politiche di allargamento da parte delle principali organizzazioni europee. Considereremo le enlargement policies di queste organizzazioni in senso cronologico dal loro avvio. Ovviamente, la NATO e lUnione Europea godranno di un attenzione molto pi estesa rispetto alle altre organizzazioni. 87

Il Consiglio di Europa stata la prima organizzazione ad aprirsi allEst. Esso ha avviato il proprio processo di allargamento nel 1990 con lUngheria, a cui sono seguite, nellordine, la Cecoslovacchia e la Polonia (1991), la Bulgaria (1992), la Repubblica Ceca, lEstonia, la Lituania, la Romania e la Slovacchia (1993), lAlbania, la Lettonia, la Macedonia, lUcraina e la Croazia (1995), la Russia (1996), e la Georgia (1999)57. Fin dal 1993 il Consiglio dEuropa ha disposto che gli Stati che vogliono entrare a far parte di esso devono soddisfare tutte le seguenti condizioni: le loro classi politiche devono essere scelte per mezzo di libere elezioni condotte sulla base del suffragio universale; devono garantire la libert di espressione nonch i diritti di eventuali minoranze etniche; infine, al momento dellingresso devono sottoscrivere la Convenzione Europea per i Diritti Umani ed accettare leventuale intromissione negli affari interni da parte degli organismi preposti al controllo della sua applicazione. Da notare che proprio in conseguenza di tali condizioni che lingresso della Russia e soprattutto della Croazia fu a lungo dibattuto per timore di dare legittimit a governi non del tutto legittimi secondo il metro di valutazione disposto dallo stesso Consiglio. Un'altra organizzazione che avvi un significativo processo di coinvolgimento degli attori centro-orientali fu lUnione dellEuropa Occidentale (UEO), che nel 1994 permise lingresso al suo interno di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria in qualit di partners associati, a condizione che tali Stati presentassero garanzie assimilabili a quelle appena mostrate per il Consiglio dEuropa. Ovviamente, oramai dal 1999 Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca godono dello status di membro effettivo, essendo entrati i tre Paesi in quellanno nella NATO. Per ci che concerne lUnione Europea invece, nel suo ambito si cominci a parlare di allargamento verso lEuropa Centro-Orientale ancora prima dellEuropa che conosciamo oggi, e cio nel 1993, ovvero due anni prima della quarta tornata che ha portato allingresso delle tradizionalmente neutrali Svezia, Austria e Finlandia. A conclusione del Consiglio Europeo di Copenhagen del giugno di quellanno infatti, venne reso noto che: the associated countries in Central and Eastern Europe that so desire shall become members of the European Union. Accession will take place as soon as an associated country is able to 57 Smith, K. The European Union and Central-East Europe: The Implications of Enlargement in
Stages, Ashgate Publishers Ltd. Aldershot, 1998.

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assume the obligations of membership by satisfying the economic and political conditions required. (Commission of the European Communities, 1993, p. 13), ovvero quelle condizioni che, dettagliatamente codificate, sono conosciute come criteri di Copenhagen e che sono relativi: alledificazione della democrazia e di un regime legislativo democratico che tenga conto del rispetto dei diritti umani e delle minoranze; allapprontamento di unefficiente economia di mercato; ed allintera ed assoluta accettazione del cosiddetto acquis communitaire, ossia del diritto comunitario nonch di quanto disposto dai Trattati che regolano lUnione Europea. Da notare che questi Paesi vengono definiti nel documento associated perch essi allora erano quasi tutti aderenti degli European Association Agreements, una di quei numerosi accordi di cooperazione che presero forma nei primi anni Novanta e di cui si parlato in precedenza. In particolare, la Cecoslovacchia, la Polonia e lUngheria avevano sottoscritto tali accordi gi nel 1991, mentre la Bulgaria e la Romania li sottoscrissero proprio nellanno del vertice di Copenaghen. Successivamente, tali accordi saranno sottoscritti nel 1995 da Estonia, Lituania, e Lettonia, nel 1996 dalla Slovenia, e nel 1998 dalla Slovacchia, a cui si aggiungeranno nel corso dellanno anche due Stati non continentali: Malta e Cipro (per una chiara disamina di questo cammino vedasi European Commission, 1997). In ogni caso, gi nel 1997 apparve chiaro che solo la Repubblica Ceca, la Polonia, lEstonia, lUngheria, la Slovenia e la Slovacchia erano in linea con quanto stabilito dai criteri economici di Copenhagen, come anche con ci che concerne ladeguamento allacquis communitaire, mentre, in relazione ai criteri relativi alla democrazia ed alla partecipazione politica, da questo gruppo di Stati la Slovacchia fu considerata in posizione ancora non soddisfacente. Fu cos che nel Consiglio Europeo del Lussemburgo del dicembre 1997 venne presa la decisione che nel primo processo di accesso allUnione Europea da lanciare nel Marzo 1998 sarebbero stati inclusi solo quegli Stati sopra menzionati (a cui nel frattempo si era aggiunto Cipro) con lesclusione della Slovacchia, inclusa in una seconda ondata dallargamento posticipata alla prima. Successivamente, durante il Consiglio di Helsinki del 1999, anche gli altri Stati, ai quali nel frattempo si erano aggiunti Malta e la Turchia, furono invitati ad iniziare i negoziati per lingesso nellUnione Europea, da avvenire comunque sempre in una seconda fase. Lallargamento della NATO invece si discosta da quello di tutte le altre 89

organizzazioni fin qui esaminate, poich non dispone e non fissa alcun criterio rigido per lammissione, sebbene comunque ormai tradizione acquisita che un potenziale membro si conformi ai pi basilari principi di democrazia, libert individuale, e rispetto dei diritti umani e della legge (tradizione comunque consolidatasi solo negli ultimi venti anni, dacch in passato la Grecia dei Colonnelli, ad esempio, non ebbe alcun problema a continuare a far parte della NATO). Sono pertanto queste le peculiarit che hanno fatto s che il cammino dellallargamento della NATO presenti aspetti suoi propri. Fino ad almeno il 1994 la NATO sembr non voler puntare troppo verso una sua espansione, quasi a timore di perdere una sua identit. in questo quadro che vanno inquadrati il decisivo impulso verso la costituzione del Partnership for Peace, il rafforzamento di unaltra arena di dialogo come lOrganization for Security Cooperation in Europe (OSCE) e soprattutto lapprontamento del North Atlantic Cooperative Council (NACC). Da quellanno cominci a prendere piede per lidea di un allargamento verso Est, soprattutto per impulso della Germania prima e degli Stati Uniti poi, in quanto la stabilizzazione dellarea in questione venne ad assumere un importanza ancora pi marcata che in precedenza, dato che proprio in quegli anni i legami economico-politici fra lEuropa (e ovviamente Germania in primis) ed alcuni Paesi dellEst assunsero una dimensione impensabile fino a pochi anni prima. Questi Paesi sono quelli che poi diventeranno effettivamente membri della NATO nel 1999: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Essi furono scelti fra gli altri che chiedevano uneguale ammissione nellAlleanza Atlantica (e che negli anni Novanta hanno compiuto anche sostanziali sforzi, a volte nei limiti delle loro possibilit, onde adeguarsi o per lo meno avvicinarsi agli standard delle forze NATO) in quanto tali Paesi sono stati quelli che pi degli altri hanno compiuto i passi pi sostanziali delle riforme politico-economiche necessarie, come riconosciuto in occasione del Consiglio Europeo del Lussemburgo (sebbene si tratti di un giudizio espresso in ambito europeo, tali considerazioni erano condivise ed avevano la loro importanza anche in ambito NATO), e, per ci che concerne gli interessi primari della NATO, anche in ambito militare. Questa rapida rassegna delle varie forme di allargamento che sono state intraprese dalle organizzazioni esaminate permette di introdurre il concetto di allargamento come security policy. 90

2.

LALLARGAMENTO COME SECURITY POLICY Si visto nel paragrafo precedente come ogni allargamento, da qualunque organizzazione sia stato sponsorizzato, ha previsto e preveda il soddisfacimento in varia misura, da parte dei Paesi aspiranti ad una membership in ognuna di queste organizzazioni, di una serie di condizioni che, al di l di alcune differenze peculiari nella loro formulazione, possono essere raggruppate nelle seguenti categorie:

Instaurazione di regole democratiche di azione e partecipazione politica: il che vuol dire per lo meno linstaurazione di forme di rappresentanza politica eletta liberamente in un sistema a suffragio universale e in un contesto multipartitico;

Instaurazione di unefficiente economia di mercato: il che significa il pi ampio possibile incoraggiamento dei principi della libera concorrenza; Rispetto dei diritti umani e civili: un punto relativo quindi alle questioni legate al rispetto della legge e dei diritti delle minoranze etniche;

Adesione allo spirito di fondo che regola le organizzazioni accoglienti: il che, per limitarci allUnione Europea ed alla NATO, significa rispettivamente per luna laccettazione dellacquis communitaire, e per laltra delle sue dottrine strategico operative. indubbio che questi conditionality instruments hanno permesso il raggiungimento di quello che secondo noi era il loro compito originario: la stabilizzazione di un area potenzialmente turbolenta e destabilizzante per lintera Europa, stabilizzazione avvenuta in varia misura in tutti Paesi dellEst esaminati, seppure per molti di essi rimanga ancora molta strada da fare. proprio questo che configura in ultima analisi gli allargamenti esaminati come security policies. Consideriamo in particolare la questione in relazione agli allargamenti di quelle organizzazioni che hanno giocato il ruolo pi centrale in questo processo: lUnione Europea e la NATO. Abbiamo visto che entrambe le organizzazioni si sono allargate ad Est, per quanto anche la sola desiderabilit di una membership in queste organizzazioni pu considerarsi un successo nel cammino verso la stabilit e la sicurezza del continente europeo, sebbene il cammino sia ancora lungo, se non altro perch altre ondate di ingresso sono ancora da venire. Come mai tanto interesse da parte dellUnione Europea e della NATO ad allargarsi? E come mai nello stesso tempo tanta desiderabilit da parte dei Paesi dellEst per lingresso in queste organizzazioni? La risposta alla prima di queste 91

domande insita nelle precedente esposizione: entrambe le organizzazioni hanno mirato e mirano tuttora alla stabilit ed alla messa in sicurezza di unarea che, solo negli ultimi anni, ed in larga misura in conseguenza di quei conditionality instruments prima esaminati, ha cominciato ad essere pi tranquilla. Certo, questa sensibilit stata maggiormente diffusa ed esplicitata pi in ambito NATO, data la pi spiccata caratterizzazione militare propria di questorganizzazione, mentre in ambito UE hanno giocato e giocano indubbiamente un grande peso anche altri fattori non di secondaria importanza, quale ad esempio lestensione dei mercati al fine delledificazione di un sistema economico europeo pi forte e maggiormente capace di affrontare la concorrenza nordamericana e/o quella asiatica. Anche tale fattore, tuttavia, appare in ultima analisi connesso ai concetti di stabilit e sicurezza, come stato pure da altri osservato: While security is defined as a necessary but not sufficient condition for the development of democracy, democratic structures, identities, and policy condition the means and the objectives of security policies58 . indubbio infatti che, nel turbolento e globalizzato mondo postmoderno, alquanto riduttivo considerare il concetto di sicurezza solo nella sua dimensione militare, essendo tale concetto oramai sempre pi interconnesso con questioni legate alla stabilit delle regole democratiche, delleconomia di mercato, del rispetto dei diritti umani etc. Del resto, se fosse solo per il fattore economico, lallargamento difficilmente avrebbe destato tanta attenzione in ambito UE, come anche in ambito NATO. Esso un processo molto costoso, che tra laltro obbliga anche al ripensamento di politiche delle quali gli attuali Stati Membri sono stati tradizionalmente destinatari (si pensi alla politica sullagricoltura) o di procedure politico-decisionali ed assetti istituzionali gi da tempo acquisiti59, senza un ritorno economico per niente certo per lUnione Europea, malgrado alcuni segnali incoraggianti. Anche per la NATO valgono considerazioni simili60. Dal punto di vista strettamente militare, infatti (e quindi in ci che la NATO ci guadagna), due to the necessity to allocate scarce resources selectively, only 15 per cent of the new members armed forces (ovvero 58 Reimund Seidelmann La governance della difesa e della sicurezza europea, 2001. 59 In tal senso si consideri quanto disposto dal Trattato di Amsterdam prima e da quello di Nizza
sulle numerose modifiche istituzionali da mettere in atto con le prossime ondate dingresso.

60 Sugli sforzi finanziari, espressi in termini costi/benefici, sostenuti sia dalla NATO che
dallUE, si rimanda al relativo allegato D.

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quelle della Polonia, Repubblica Ceca, ed Ungheria) were developed according to NATO standards. This resulted in two-tier military structures with a disjuncture between the standardized immobile, elite (well-trained, professional, deployable, Inoltre interoperable, better-equipped and so on) and the non-standardized rest (conscript-based, ineffective, old-type military)61. lallargamento stesso verso questi Paesi fu a suo tempo fonte di possibili divergenze con la Russia. Tuttavia, continuando a considerare il fenomeno secondo la nostra sensibilit verso la relazione democratizzazione/stabilit, lallargamento della NATO verso quei Paesi assume un significato connesso alla sicurezza che va ben oltre il tradizionale metro della ricaduta in termini di maggiori capacit militari acquisite dallAlleanza, venendo piuttosto a coincidere per lappunto pi con questioni di sicurezza geostrategica. Rispondere alla seconda domanda, ovvero sul perch i Paesi dellEuropa Centro Orientale aspirino ad essere inclusi nelle due organizzazioni, invece un impresa un po pi complessa. La prima interpretazione pu essere riassunta nei seguenti punti62: Essi vedono in tale allargamento pi un ritorno allEuropa che un ingresso ad essa (rejoining rather than joining the west), o, nel caso dei nuovi Stati come la Slovacchia, vi sarebbe una conferma della nuova dignit acquisita con lindipendenza; Essi mirano ai vantaggi economici che deriverebbero dalla membership nellUE, vantaggi che vanno dallacquisizione delle libert di movimento di merci, persone e capitali fino ai sussidi finanziari provenienti dei Fondi strutturali e per lagricoltura; LUE si configura come una garanzia di sicurezza seconda solo alla NATO; La membership nellUE consentirebbe lopportunit di partecipare alle principali decisioni nei riguardi del continente; La stessa ammissione nellUE, essendo subordinata allimplementazione di una serie di garanzie nei riguardi del libero mercato, della democrazia, dellinnalzamento degli standard di sicurezza sociale etc., consente di varare pi 61 ediv, Ji: The Puzzle of NATO Enlargement In Contemporary Security Studies. Vol. 22.,
2001, No.2., p. 11.

62 Henderson, Karen , The Challenges of EU Eastward Enlargement, International Politics,


Vol. 37, No. 1 (2000), pp. 8 9

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facilmente una serie di policy in tal senso; Un certo ruolo lo giocherebbe pure il timore di essere lasciati indietro, e quindi di subire, anche indirettamente, le decisioni dei vicini europei, nel caso si rimanesse fuori. Un'altra interpretazione, per molti versi assimilabile alla precedente, invece quella secondo la quale, le opportunit percepite dai Paesi dellEst europeo di un ingresso nellUE sarebbero le seguenti63: Lallargamento incarna lidea di un ritorno allEuropa ( interessante tra laltro notare come i due studiosi esprimano tale concetto in maniera assai simile, inserendolo entrambi nel primo punto delle loro argomentazioni).; La stessa UE has generated a new national myth in many of the new democracies, which is altering the process of identity formation; I conditionality instruments connessi alla logica di emissione degli aiuti europei hanno fornito e forniscono un insostituibile supporto alle riforme democratiche e sul rispetto dei diritti umani; LUE diventata negli anni il partner pi importante di questi Paesi per ci che concerne gli scambi commerciali; Il cosiddetto Patto di Stabilit varato nel 1993 dallUE si rivelato una spinta decisiva verso la risoluzione pacifica delle questioni legate al diffuso problema delle minoranze. Come evidente si tratta di interpretazioni assai simili, in qualche misura estensibili (almeno per alcuni punti) anche alla NATO, che permettono di cogliere le varie dimensioni del concetto di sicurezza secondo quanto in precedenza specificato, ovvero come un concetto da considerare non solo in termini militari, ma anche in termini politici, economici, sociali, e cos via. A conclusione cerchiamo pertanto di esplicitare e riassumere la relazione che intercorre fra lallargamento dellUE e della NATO e la sicurezza e la stabilit europea, ovvero quella relazione che configura lallargamento stesso come una security policy, sia per le due organizzazioni oggetto danalisi, sia per i Paesi dellEst aspiranti membri. 63 Hyde-Price, Adrian: The Antinomies of European Security: Dual Enlargement and the Reshaping of European Order, Contemporary Security Policy, vol.21, no.3 (December 2000), p. 149. 94

E evidente come questo modello permetta di cogliere lopportunit che lallargamento rappresenta per tutti gli attori coinvolti in questo processo. Ovviamente, il nodo democratizzazione/spinta alla democratizzazione connotato dai conditionality instruments mostrati sopra. stato spesso osservato che, nellinteresse di una reciproca armonia, gli allargamenti delle due organizzazioni in esame dovrebbero procedere in pi stretto collegamento, magari condividendo anche una comune strategia. Seppure questa esigenza possa per certi versi essere condivisibile, de facto, una certa sinergia fra i due processi gi la si sta gi raggiungendo. Anzi, pi che di sinergia, sarebbe forse pi corretto parlare di complementariet. Qui di seguito si vedr il perch. Fra i candidati allingresso nella NATO vi sono tre Stati Balcanici, lAlbania, la Croazia e la Macedonia (gli altri sono la Bulgaria, lEstonia, la Lettonia, la Lituania, la Romania, la Slovacchia e la Slovenia) che, per una serie di ovvi motivi, non sono certamente ancora pronti per lUE. Ovviamente, come facilmente intuibile, qualora questi Paesi dovessero mai entrare a far parte della NATO, ci avverrebbe solo in un futuro ancora lontano, e quindi probabilmente dopo altri allargamenti. chiaro che linserimento di questi Paesi fra i possibili futuri membri stato possibile solo perch la NATO non dispone criteri rigidi daccesso come quelli dellUnione Europea, come sottolineato in precedenza. Eppure, la sola possibilit dingresso basta a spingere, seppur fra incertezze e molti passi indietro, questi Paesi sulla strada delle riforme necessarie. Una seconda argomentazione ha una natura pi ipotetica, e riposa sullordine di accesso dellingresso nella NATO. il prossimo allargamento della NATO consentirebbe sia una prima penetrazione (tramite la Slovenia) che un accerchiamento della turbolenta ed ancora piena di incognite area Balcanica (tramite la Bulgaria e la Romania, due Paesi dai quali tra le altre cose la NATO ha ricevuto un importante supporto ai tempi della guerra in Kossovo); nello stesso tempo permetterebbe laccalappiamento di un Paese che, dallo scorso decennio, quello che sta facendo pi fatica a derussificarsi; infine si porrebbero le basi per un ulteriore allargamento anche verso gli altri Stati Baltici tramite liniziale inclusione della Lituania. (la Lituania sia il Paese pi ad Ovest sia quello che presenta la pi bassa percentuale di minoranza russa, ovvero l8% a fronte del 34% della Lettonia e al 28% dellEstonia) Laltro motivo proprio relativo alla complementariet che si sta delineando fra la 95

NATO e lUnione Europea: tali Stati sono gli stessi esclusi dalla prima fase di allargamento dellUE. Praticamente, come se esistesse un tacito patto: dove non pu ancora occuparsene lUE, se ne occupa intanto la NATO, anche perch essa, come abbiamo mostrato, ha la capacit di fungere da primo sprone verso lattivazione di riforme democratiche nei Paesi aspiranti membri. Riteniamo pertanto che, in relazione ai due processi di allargamento, le domande fondamentali non risiedano tanto su questioni come quella esposta sopra, ovvero sulla necessit o meno di un pi stretto coordinamento nelle politiche perseguite dalle due organizzazioni. Oltre ad aver mostrato la loro complementariet de facto, a nostro avviso infatti tali processi saranno almeno nellimmediato futuro ancora pi facilitati (quanto meno per la NATO), data la piega che hanno preso le cose dopo gli accordi assunti dallAlleanza Atlantica con Putin durante il vertice di Pratica di Mare (28 maggio 2002) . In pratica, le due organizzazioni non si troveranno pi ad avere a che fare, come nel decennio scorso, con una dirigenza russa continuamente preoccupata ed allarmista verso ogni genere di allargamento (seppure comunque questo non significa certo una Russia disinteressata verso tali questioni). Piuttosto pensiamo che una lettura come quella che abbiamo dato degli allargamenti, ovvero come security policies, debba spingere verso altri due ordini di interrogativi, sui quali, a quanto ci risulta (ma probabilmente questo solo un nostro limite), non ci si soffermati molto finora:

La maggior parte dei Paesi dellEuropa Centro-Orientale dovr faticare ancora a lungo onde raggiungere i requisiti minimi per la piena ammissione nella NATO e nellUnione Europea, eppure entrambe le organizzazioni si trovano nella difficile posizione di dovere accelerare i loro processi di allargamento, onde approfittare del momento storico favorevole dato che, come sembra si vada delineandosi, almeno con lattuale dirigenza politica russa non dovrebbero sussistere insormontabili problemi di resistenza ed intolleranza verso gli allargamenti, come abbiamo appena mostrato (inoltre, i fatti dell11 settembre e la conseguente emergenza terrorismo stanno indubbiamente spingendo tutti gli attori statuali e sovrastatali europei verso una maggiore unitariet nella gestione della sicurezza europea). probabile che alcuni di questi Paesi giungeranno ad essere integrati in condizioni di non piena e perfetta preparazione (soprattutto per quanto riguarda la NATO, ma ci valga anche per lUE, considerando alcuni aspetti). Ora, vi la possibilit che, una

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volta che tali Paesi vengano effettivamente ammessi in queste organizzazioni, essi perdano interesse a portare avanti ulteriori riforme, avendo perso i principali stimoli ed incentivi che li spingevano in tal senso? Se un tale rischio esiste vi la possibilit di approntare misure per prevenirlo e/affrontarlo? Che genere di misure? La pi o meno lenta, graduale, ma indubbia ed inarrestabile stabilizzazione dei Paesi Centro-Orientali della prima met degli anni Novanta ha consentito, alla fine dello stesso decennio, sia allUE che alla NATO di indirizzare i loro allargamenti anche verso altre regioni ad alto rischio di turbolenza: la NATO, come abbiamo visto, ha rivolto il suo interesse verso larea balcanica, come lUE verso la sempre pi calda area mediterranea, mediante laccettazione delle candidature di Malta e Cipro e le aperture con la difficile Turchia. Ora, fino a quanto e fino a quando ogni instabilit di una regione confinante con i (potenzialmente continuamente mutanti) confini della NATO e dellUnione Europea pu condizionare le loro policy di allargamento? Fino a che punto ci si pu allargare senza dover ridefinire radicalmente e in toto le logiche ed i meccanismi intrinseci che fanno funzionare le due organizzazioni, se non addirittura ridefinire le loro identit e finalit? Tentare di concettualizzare delle risposte a questi interrogativi (soprattutto quelli appartenenti al secondo punto) indubbiamente intrigante, eppur tuttavia siamo consci che alla fin fine ci sia ancora in una certa misura prematuro, se non si sperimenta almeno un'altra ondata negli allargamenti. Prematuro, ma non specioso, ed per questo che riteniamo che lavvio di un certo dibattito in tal senso non possa comunque che essere salutare per un presa di coscienza su verso cosa (e verso dove) si stanno dirigendo la NATO e lUnione Europea.

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CAPITOLO IV LA POLITICA ESTERA ITALIANA DI SICUREZZA E DIFESA: GEOSTRATEGIA E RETE DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
"It was Italy's leadership that allowed NATO's strategic theory to be transformed into strategic practice." (Generale Wesley Clark, Roma, 7 ottobre 1999)

1. I CAMPI DI SVILUPPO DELLA POLITICA ESTERA ITALIANA DI SICUREZZA E DIFESA Agli inizi degli anni '90, il modello di difesa nazionale ha esplicitamente incluso tra i compiti delle FF.AA. l'intervento in territorio estero a tutela dei legittimi interessi nazionali, nel rispetto del diritto internazionale, pattizio e consuetudinario. A parte alcune possibili operazioni di carattere tradizionale, quali quelle a tutela delle ambasciate e dei cittadini italiani all'estero in occasione, ad esempio, di una guerra civile, ormai un dato acquisito che la tutela degli interessi nazionali si realizza in maniera preminente agendo nell'ambito delle organizzazioni internazionali. La dimensione euro-atlantica della politica di sicurezza multidimensionale del Paese s'inscrive quindi nella partecipazione ad organizzazioni come la NATO e l'Unione Europea. Nel quadro regionale paneuropeo ampiamente riconosciuta dall'Italia la 98

necessit di mantenere un saldo ancoraggio alla NATO, fondamento della difesa collettiva cui partecipiamo. L'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite64, che sancisce il diritto alla legittima difesa, individuale o collettiva, ne costituisce il riferimento giuridico internazionale. I compiti che il Nuovo Concetto Strategico (Washington 199965) assegna all'Alleanza Atlantica sono: sicurezza, consultazione, deterrenza e difesa, gestione delle crisi e sviluppo del partenariato con altri paesi dell'area euro-atlantica. L'Italia partecipa attivamente a livello politico alla ridefinizione dell'Alleanza, allo sviluppo dell'Identit Europea di Sicurezza e Difesa (IESD), quale essenziale pilastro della NATO, in raccordo con la Politica Europea di Sicurezza e Difesa, alla riforma delle strutture di gestione dell'emergenza civile; alla creazione di un Centro per le armi di distruzione di massa (WMD Centre); al Dialogo Mediterraneo; al sostegno a favore delle nuove democrazie. 64 Articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, San Francisco 26 giugno 1945:Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoch il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell'esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell'azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. 65 Meeting del North Atlantic Council a Washington D.C. il 23 e 24 aprile 1999. Dalle conclusioni
del resoconto: All'ingresso nella sua sesta decade d'esistenza, l'Alleanza Nord-atlantica deve essere pronta ad affrontare le sfide e le opportunit di un nuovo secolo. Il nuovo Concetto strategico riafferma lo scopo permanente dell'Alleanza e stabilisce i suoi fondamentali compiti di sicurezza. Esso mette in grado una NATO trasformata di contribuire al contesto di sicurezza in evoluzione, sostenendo la sicurezza e la stabilit con la forza del suo impegno collettivo per la democrazia e per la risoluzione pacifica delle dispute. Il Concetto strategico guider la politica di sicurezza e di difesa dell'Alleanza, i suoi criteri operativi, l'assetto delle sue forze convenzionali e nucleari e l'organizzazione della difesa collettiva, e sar via via sottoposto a revisione alla luce dell'evoluzione del contesto di sicurezza. In un mondo in condizioni d'incertezza la necessit di una difesa efficace rimane, ma nel riaffermare questo impegno l'Alleanza continuer ad usare pienamente ogni opportunit per contribuire a costruire un continente non diviso, promuovendo ed incoraggiando la visione di un'Europa integra e libera.

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A livello operativo, l'Italia contribuisce con Forze di Reazione Immediata e Rapida anche alle attivit di mantenimento della pace (Capitoli VI e VII della Carta delle Nazioni Unite) e allo sviluppo delle capacit della IESD. Questultima si sviluppa in seno alla NATO, disponendo di forze militari non separate da quelle dell'Alleanza, ma impiegabili autonomamente qualora la NATO decidesse di non intervenire in una crisi (separable, but not separate). Lo sviluppo della NATO frutto dell'arricchimento del rapporto Europa-USA con ulteriori dimensioni commerciali, culturali, economiche e politiche, che ne hanno spostato il baricentro verso i grandi orizzonti della mondializzazione. in questo quadro mondiale che s'inserisce il contesto regionale in cui l'Italia svolge il suo ruolo di potenza europea. Durante gli anni della Guerra Fredda l'Italia, in qualit alleato, si trovata in una posizione strategica estremamente delicata. Pur trovandosi in condizioni politico-militari relativamente favorevoli rispetto ad alleati e vicini, ha pagato un prezzo considerevole nella lotta a fenomeni destabilizzanti con forti collegamenti internazionali (terrorismo e mafia). L'Italia ha svolto una preziosa funzione di collegamento, di stimolo competitivo dei mercati energetici e di mediazione con il mondo mediorientale durante le fasi pi acute del conflitto arabo-israeliano e delle tensioni nazionali ed internazionali nel Nord Africa. Nell'esperienza strategica italiana sono state importanti, in questo senso, le due missioni in Libano e la gestione delle crisi di Sigonella e Lampedusa. Dopo il 1989, una serie di eventi nella Regione Mediterranea ha coinvolto, spesso in prima linea, il Paese: la guerra del Golfo, le guerre di dissoluzione dell'exJugoslavia, il rischio di collasso dell'Albania, le crisi del Corno d'Africa e la guerra del Kossovo .

2. COSTANTI NAZIONALE

CAMBIAMENTI

DELLA

GEOSTRATEGIA

Sotto il profilo della geografia strategica, l'Italia fa parte della Regione Mediterranea, un'area cruciale per la sicurezza euro-atlantica, inclusa tra gli stretti di Gibilterra, Bosforo, Kerch, Bab el Mandeb, Hormuz e il Canale di Suez. Questa regione 100

suddivisibile in quattro aree: Europa Occidentale, Balcani/Mar Nero, Medio Oriente/Mar Rosso, Maghreb. La struttura degli approvvigionamenti energetici nazionali caratterizzata da forti vincoli con il Maghreb, il Golfo Persico e la Russia. Di conseguenza l'Italia deve seguire costantemente l'evolversi della situazione di sicurezza in tutte le aree della Regione Mediterranea, mentre la zona dell'Europa Occidentale inserita nell'area coperta dalla partecipazione alla NATO ed alla UE. Storicamente, il ruolo geostrategico dell'Italia ha conosciuto tre fasi. La prima, dal 1860 al 1918, in cui le priorit erano la difesa/riconquista del Paese, la ricerca di un grande alleato o di una coalizione affidabile ed il difficile bilanciamento tra strumento terrestre e navale. La proiezione militare esterna fu piuttosto limitata. La seconda, dal 1918 al 1943, vede risolta la questione dell'indipendenza nazionale, mentre i problemi precedenti restano e si aggravano con l'affermarsi del nuovo strumento aeronautico e con una proiezione di potenza al di sopra delle risorse disponibili. La scelta iniziale della coalizione sbagliata in una guerra d'aggressione, prevista come regionale ma divenuta mondiale, segn la fine traumatica di quella strategia espansionista. La terza, dal 1943 al 1989, vede la soluzione delle questioni della ricerca di un'alleanza affidabile e dell'equilibrio tra le FF.AA. nella scelta della collocazione internazionale. Sorge tuttavia il problema della trasformazione del Paese da consumatore a produttore di sicurezza, con un conseguente aumento di responsabilit e di decisionalit nazionale. La fase attuale in parte la conseguenza di una politica impostata e condotta con successo negli anni '80 ed in parte determinata dalla partecipazione ai profondi processi di trasformazione dell'Unione Europea e della NATO, in cui l'Italia ha avuto un ruolo di rilievo. Da un lato i suoi interessi nazionali si affermano soprattutto attraverso il contributo alla definizione degli obiettivi della comunit internazionale, europei ed atlantici, dall'altro essi hanno acquisito una definizione ed una portata maggiore che in passato. Il nuovo ruolo assunto dal Paese nell'ultimo quindicennio deriva da una maggiore consapevolezza politica e sociale che la pace non pu essere garantita se non condivisa anche all'esterno. Solo la partecipazione attiva (assertive engagement) permette di godere tutti i vantaggi dei contesti multinazionali e le operazioni di pace non sono accessorie in questa posizione geostrategica, bens essenziali. 101

L'Italia, attraverso iniziative nazionali o nel contesto delle grandi organizzazioni internazionali di sicurezza, ha contribuito al superamento delle vecchie barriere che dividevano l'Europa, all'aggiornamento e rinnovamento del legame transatlantico ed al faticoso ristabilimento della pace e della democrazia sull'altra sponda dell'Adriatico. La tradizione politico-culturale italiana, nel suo insieme, ha una valenza globale. Occorre saperla tradurre concretamente, se necessario ed opportuno, nel rispetto del diritto internazionale ed in maniera solidale con le popolazioni oppresse dalla violenza, anche al di l delle aree di primario e pi diretto interesse strategico nazionale. Coerentemente con la sua cinquantennale tradizione diplomatica, l'Italia intende coniugare, in modo politicamente qualificato ed operativamente efficace, gli obiettivi strategici dell'integrazione europea con quelli dell'allargamento degli spazi euro-atlantici, nel quadro di un dinamico rapporto con gli alleati nordamericani.

3. LE POLITICHE ATTINENTI ALLA SICUREZZA NAZIONALE


Alla politica di sicurezza compete la gestione della sicurezza multidimensionale in ambito nazionale ed internazionale, seguendo le linee della grande strategia del Paese. La politica di sicurezza nazionale attuale riflette la profonda trasformazione nella natura e nella tutela degli interessi nazionali attraverso la partecipazione alle missioni militari a sostegno della pace, come accennato in precedenza. Questa evoluzione ha precisi fondamenti costituzionali e rende credibile l'impiego dello strumento militare a tutela della sicurezza interna ed internazionale, della legalit internazionale, dei diritti umani, del rispetto delle minoranze e della convivenza pacifica tra i popoli. Il diritto internazionale regola sia l'intervento degli Stati nei conflitti armati sia le modalit degli interventi stessi, con particolare riferimento alla Convenzione Internazionale sui genocidi (1948) ed a quelle di Ginevra66. L'entrata in funzione del Tribunale Criminale Internazionale (ICC)67 render possibile il perseguimento 66 I principali strumenti del diritto umanitario sono le quattro convenzioni di Ginevra del 1949 e
i due protocolli aggiuntivi, del 1977. Tali convenzioni sono state sottoscritte da quasi tutti i paesi, ed forte anche la tendenza ad unadesione universale ai due protocolli.

67 Il Tribunale Criminale Internazionale (International Criminal Court) stato costituito con il


relativo Statuto di Roma il 17 luglio 1998, con ladesione da parte di 120 Nazioni partecipanti alla

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di eventuali responsabilit individuali. La politica militare (defence policy), ricompresa nella politica di sicurezza, l'insieme dei piani, programmi ed azioni che la Difesa attua per la preparazione e l'impiego dello strumento militare, nel continuum delle possibili crisi, in modo da garantire la difesa degli interessi vitali e concorrere alla sicurezza multidimensionale del Paese.

4. AREE E PRIORIT DELLA POLITICA MILITARE


All'interno del pi ampio contesto della politica di sicurezza, l'azione della politica militare si manifesta in aree di primario interesse strategico che sono individuabili nello spazio euro-atlantico e nella Regione Mediterranea. All'interno di esse, le priorit strategiche sono: nel Sud-Est ed Est Europeo: (1) concorrere al mantenimento di condizioni di libert e sicurezza di navigazione nel Mar Adriatico, in quanto componente indivisibile del Mediterraneo; (2) sostenere l'armonizzazione delle forze armate e di sicurezza dei Paesi ai criteri di condotta e d'efficacia atlantici ed europei, utilizzando l'esercizio PfP ed i sistemi di cooperazione intensificata tra le Forze Armate attraverso esercitazioni congiunte e/o la costituzione di formazioni multinazionali; (3) partecipare alle iniziative internazionali, tese a favorire il rispetto delle minoranze etniche e la salvaguardia dei confini territoriali; (4) incoraggiare il nascente dialogo tra Grecia e Turchia con spirito imparziale e costruttivo, in modo da sostenere questi due alleati nella risoluzione dei loro contenziosi e facilitare il pieno inserimento della Turchia nella comunit europea; (5) valorizzare i rapporti esistenti con l'Ungheria, nella sua posizione di raccordo tra l'Europa Centrale e quella Sud-Orientale, nonch tra la Regione Centrale e quella Meridionale della NATO; (6) favorire l'integrazione di un crescente numero di Paesi nelle strutture euro"United Nations Diplomatic Conference of Plenipotentiaries on the Establishment of an International Criminal Court" . Questo il primo Tribunale Criminale Internazionale permanente stabilito con uno statuto per promuovere la legalit ed assicurare che i pi gravi crimini internazionali vengano puniti.

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atlantiche; nell'area Nord Africana: (1) concorrere al mantenimento di condizioni di libert, sicurezza di navigazione e sostenere la risoluzione dei contenziosi marittimi in quella rilevante parte del Mar Mediterraneo; (2) rafforzare il dialogo con i Paesi dell'area (Algeria, Egitto, Marocco, Mauritania e Tunisia), gi impegnati in un pluriennale dialogo con i loro partner atlantici ed europei, sia attraverso le iniziative mediterranee internazionali in corso, sia con forme di collaborazione tra le Euroforze15 e le forze armate di questi Paesi; (3) sostenere l'incipiente dialogo con la Libia, secondo le possibilit realisticamente offerte dall'auspicabile miglioramento della situazione interna e internazionale del Paese; nel Vicino e Medio Oriente: (1) rafforzare ed ampliare il dialogo pluriennale europeo e NATO con i Paesi dell'area, in modo analogo a quanto proposto e svolto con i partner del Nord Africa; (2) contribuire ad una soluzione stabile e duratura del processo di pace attraverso attivit di osservazione, mantenimento della pace e concorso alla soluzione delle radici di conflitto, sostenendo l'approccio europeo a favore del dialogo, della tolleranza, della moderazione e del rispetto dei diritti umani; (3) concorrere all'azione svolta dalla comunit internazionale per incoraggiare costruttivamente tutti i Paesi dell'area a compiere significativi progressi nella non proliferazione delle armi di distruzione di massa e nel controllo degli armamenti; (4) concorrere, secondo l'opportunit, alle iniziative politiche di riduzione dei contenziosi marittimi nel Mediterraneo Orientale, delle tensioni nell'area del Golfo Persico e della Penisola Arabica, salvaguardando in primo luogo la libert e sicurezza di navigazione e di equo accesso alle fonti energetiche, in accordo con i principi e le risoluzioni dell'ONU, favorendo i commerci legali nell'area; nell'area del Mar Rosso e del Corno d'Africa: (1) promuovere le iniziative di pace e stabilizzazione in corso nei Paesi teatro di 104

conflitti endemici o in quelli che si stanno avviando al consolidamento della loro ricostruzione; (2) contribuire ad assicurare la libera circolazione navale in quel bacino di passaggio strategico e, se necessario, prestare aiuto contro il crescente fenomeno della pirateria; nell'area Transcaucasica e del Mar Nero: (1) contribuire, insieme agli altri partner atlantici ed europei, all'ulteriore sviluppo stabilizzante delle buone relazioni con la Russia e con i Paesi storicamente collegati ad essa; (2) favorire le prospettive future di un'integrazione dell'Ucraina nella dimensione euroatlantica, utilizzando l'esercizio PfP e sistemi di cooperazione militare intensificata, specie in campo aeronavale; (3) seguire attentamente i diversi conflitti, in modo da poter tempestivamente sostenere, con l'accordo delle parti, le iniziative locali, regionali ed internazionali tendenti a disinnescarli, favorendo un equilibrato sviluppo dell'industria estrattiva; (4) contribuire ad assicurare la libera circolazione navale e commerciale nel Mar Nero.

5. LO

STRUMENTO

MILITARE

COMPONENTE

ESSENZIALE

DELLA POLITICA ESTERA


Le politiche di sicurezza e difesa del Paese Italia, ulteriormente sviluppatesi nel tradizionale solco della politica estera e di concerto con le innovate necessit di sicurezza interna, si sono rivelate fondamentali per assicurare al Paese il ruolo che oggi da ogni parte gli viene riconosciuto allinterno delle pi importanti istituzioni internazionali: le Nazioni Unite, lAlleanza Atlantica, lUnione Europea. Nellambito di tali consessi si estrinseca in maniera importante lazione esterna dello Stato, alla quale la Difesa fornisce uno strumento indispensabile. In questo contesto le Forze Armate rappresentano listituzione massima per la sicurezza e lindipendenza delle collettivit in un sistema di Stati nazione concepiti essenzialmente come potenziali belligeranti. Lazione della diplomazia militare nella rete delle relazioni internazionali Nell'ambito della "grande strategia" del Governo italiano e del ruolo di 105

coordinamento del Ministero degli Affari Esteri in materia di politica internazionale, la diplomazia militare ha una funzione sinergica, specializzata e di crescente profilo. Sinora i suoi indirizzi e contenuti emergevano soprattutto applicati attraverso la prassi, ma l'insieme delle riforme attuate ne permette adesso una formulazione puntuale. La diplomazia militare, pur cominciando a prendere forma dal punto di vista organizzativo nel Ministero della Difesa a partire dagli anni '80, non di per s un'assoluta novit. A sostegno dell'azione attuale, c' una secolare tradizione di diplomazia esplorative. Nella storia repubblicana d'Italia, la diplomazia militare ha concorso validamente al processo di crescente assunzione nazionale di responsabilit nell'arena internazionale. I suoi campi d'azione sono stati: il processo di controllo degli armamenti e di gestione delle tensioni durante la Guerra Fredda; la salvaguardia degli interessi nazionali nel Mediterraneo; il mantenimento della coesione europea ed atlantica; lo sviluppo della PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune); il mantenimento della pace, sotto le bandiere dell'ONU o con iniziative specifiche. La diplomazia militare definibile come uno strumento della politica militare, sinergica con quella estera, la quale tende alla prevenzione e risoluzione dei conflitti. Il carattere spiccatamente negoziale e di cooperazione la distingue nel quadro della politica militare. Gli obiettivi fissati per la diplomazia militare sono: la stabilit in una sicurezza condivisa; il controllo degli armamenti; la riduzione delle tensioni; la promozione di rapporti di fiducia, collaborazione ed amicizia; l'aiuto alla costruzione di forze armate rispettose dei valori democratici e della Carta dell'ONU; la diffusione di questi valori attraverso l'insegnamento militare e l'esempio operativo; il dialogo sui temi della sicurezza multidimensionale; l'attenzione rivolta alle entit locali, transnazionali e non-governative che condividano i medesimi fini; il sostegno ai Paesi amici nelle forme pi adeguate (visite, trattati, cooperazioni, approvvigionamenti, aiuti e scambi). Un nuovo aspetto della diplomazia militare sar il contributo attivo allo sviluppo di ulteriori elementi umanitari nello jus in 106 militare fatta di accreditamenti d'addetti militari, missioni d'addestramento, visite navali, trasvolate oceaniche, missioni umanitarie ed

bello. Nell'ambito dei compiti attuali possiamo citare: il sostegno ai negoziati ed all'applicazione degli accordi di controllo e riduzione degli armamenti convenzionali ed NBC, nonch a tutti gli accordi su misure di fiducia e sicurezza (CSBM); l'attivit d'insegnamento (in patria ed all'estero), consulenza ed assistenza alle FF.AA. dei Paesi con cui sono operativi degli accordi specifici (MoU); il contributo nazionale a tutte le attivit PfP, di dialogo NATO, UE e di consulenza d'alto livello all'ONU ed all'OSCE; l'attivit di visite, esercitazioni, scambi con Paesi amici; gli aspetti qualificanti dell'attivit di addetti militari, rappresentanti e personale di collegamento ad alto livello. All'interno dell'obiettivo generale di mantenere la stabilit in una sicurezza condivisa, l'interesse per la stabilit dell'Europa, in rapporto ad altre aree geografiche, preminente e definisce le citate priorit nelle aree di primario interesse strategico. Al di l di esse, senza pregiudicare lo sviluppo d'interessi politici pi ampi, ogni ulteriore iniziativa di diplomazia militare deve essere sostenuta da una chiara motivazione politico-strategica e dalla dimostrazione di un consistente valore aggiunto, per giustificare l'impiego di risorse. Come le recenti crisi hanno dimostrato, la tradizionale visione geografica va integrata con la chiara percezione dei nuovi o rinnovati rischi transnazionali che possono influenzare la sicurezza e stabilit dell'Italia (fondamentalmente: crimine organizzato transnazionale, traffici illeciti di merci e persone, economia criminale, terrorismo internazionale, aggressioni informatiche). Le unit specializzate MSU sono state una risposta efficace nella gestione di parte di questi rischi nell'ambito di missioni di mantenimento della pace. In termini di diplomazia militare bisogna valorizzare i successi in Bosnia e Kossovo, sostenendoli con l'ampia rete di contatti esistenti tra le forze di gendarmeria. Tali contatti andranno ulteriormente sviluppati in modo che gendarmerie e forze di guardia di frontiera dei nuovi partner possano armonizzare gli standard, facilitando la comune lotta ai nuovi rischi transnazionali. Questa attivit dovr essere opportunamente inserita nel campo della diplomazia militare, considerando 107

le competenze dei differenti dicasteri nazionali e le specificit dei pilastri della UE. Infine precisa intenzione continuare ad estendere un'ampia e vivace rete di accordi bilaterali nel campo della cooperazione per la difesa. Lo strumento principale la sottoscrizione e l'esecuzione di Memoranda d'Intesa (MoU) con tutti i Paesi che rientrano nelle aree di interesse. La diplomazia militare e la stessa politica di sicurezza in generale non sarebbero concepibili senza le citate dimensioni (europea, mediterranea, transatlantica) in cui esse affondano le radici. L'Italia, come qualunque Stato membro dell'Unione Europea, non sarebbe in grado di esprimere efficacemente gli interessi nazionali senza la sua partecipazione alle organizzazioni mondiali e regionali. In coerenza con i fondamentali della politica estera nazionale, la diplomazia militare non pu prescindere dall'azione dell'ONU e di significative organizzazioni regionali come l'OSCE, nella misura in cui esista il consenso tra i Paesi membri. Nei casi in cui venuto meno questo consenso, l'Italia ha dimostrato in ogni circostanza di saper agire nello spirito di quei fori internazionali, esprimendo costruttivamente formule che bilanciassero esigenze distinte, ma non separabili.

6. LA POLITICA DEI MATERIALI DI DIFESA


La politica dei materiali di difesa ha lo scopo di dotare le FF.AA. italiane dei sistemi d'arma, di C3I e di sostegno logistico in modo da concludere con successo le missioni affidate, proteggere la vita del personale proprio ed alleato, mantenere ed aumentare l'interoperabilit o la standardizzazione con alleati e partner, ridurre le perdite umane, materiali ed ecologiche. Inoltre, le attuali operazioni di supporto della pace richiedono sistemi d'arma ad alto contenuto tecnologico, i cui costi di ricerca e sviluppo sono estremamente rilevanti a fronte di bilanci contenuti, di qui la necessit di sviluppare tali sistemi in collaborazione con altri Paesi. In tale quadro, la politica dei materiali della difesa ha anche lo scopo di mantenere capacit tecnologiche e produttive tali da assicurare nel quadro delle alleanze e delle integrazioni politiche: il controllo e lo sviluppo di tecnologie avanzate, la sicurezza dei rifornimenti, in caso di crisi, alle proprie forze ed ai Paesi amici, la compatibilit finanziaria con le risorse disponibili, la possibilit d'influenzare il quadro strategico con il sostegno a lungo termine a favore di Paesi-chiave. 108

Logicamente una politica dei materiali di difesa deve operare in coerenza con l'insieme della politica industriale del proprio paese e di quelli alleati. I significativi cambiamenti avvenuti nel giro di un decennio nello scenario globale ed europeo dell'industria dei materiali di difesa sono stati affrontati dai Paesi occidentali lungo due direttrici: quella industriale e quella istituzionale. Sul piano industriale, di fronte ad un mercato caratterizzato da eccesso di capacit produttive, forte competitivit e ridotta domanda, stato avviato un processo di revisione che ha portato le industrie nazionali, tra cui quella italiana, a effettuare una coraggiosa ed impegnativa azione di ristrutturazione, razionalizzazione e concentrazione delle risorse nelle aree di eccellenza, in grado di reggere la competizione e di puntare ad un mercato europeo per il settore. Il processo di riorganizzazione industriale in continua evoluzione sta portando, in ambito europeo, alla realizzazione di poli transnazionali per ciascun settore di produzione, di consistenza e livello tecnologico tali da assicurare la presenza sul mercato. L'Italia, con una ristrutturazione industriale giunta a compimento nel 1994, si pienamente inserita in tale processo con gli accordi tra Finmeccanica ed EADS in campo aeronautico (preceduti dalle intese tra Alenia-Finmeccanica e Marconi Systems - ora British Aerospace System - nell'elettronica per la difesa e tra Agusta-Finmeccanica e Westland-GKN nel settore elicotteristico), mentre nel campo missilistico al via MBDA (Matra BAe Dynamics Alenia). Contemporaneamente, sul piano dell'iniziativa istituzionale, il nostro Paese punta allo sviluppo della collaborazione governativa con gli altri partner europei nella prospettiva di creare, consolidare ed allargare comuni strutture preposte all'approvvigionamento militare, anche attraverso la partecipazione dei Paesi europei in sedi a geometria variabile. Nell'ambito di questa seconda direttrice si applica lo sforzo di razionalizzazione della politica europea di domanda e di offerta dei materiali di difesa nel mercato globale. Solo con un credibile meccanismo di attuazione della politica dei materiali di difesa si pu contribuire a realizzare gli obiettivi di fondo della politica estera nazionale riguardo alla PESD e all'ESDI. WEAG Nel settore degli armamenti, il WEAG (Gruppo Europeo Occidentale degli Armamenti) il primo foro europeo, per storia ed ampiezza di partecipazione, che 109

include tutti i paesi europei, tanto membri della NATO, quanto non appartenenti ad alleanze militari (Austria, Finlandia, Svezia). Ha lo scopo di: consentire un uso pi efficace dei fondi per ricerca, svi luppo e approvvigionamento dei materiali d'armamento; accrescere la standardizzazione e l'interoperabilit degli armamenti tra i Paesi membri; rafforzare il peso politico-industriale dell'Europa nell'ambito della NATO. A partire dai Consigli Europei di Amsterdam e di Colonia, e sotto l'impulso delle presidenze WEAG greca ed italiana, in atto uno sforzo di rivitalizzazione del gruppo in modo da verificare la possibilit di adeguarlo alle esigenze future. OCCAR La pressione del duplice ciclo di rapide ristrutturazioni industriali negli Stati Uniti ed in Europa e la logica necessit di decidere ed agire in tempi brevi hanno fatto nascere l'OCCAR (Organismo Congiunto per la Cooperazione in materia di Armamenti). Esso il secondo foro rilevante per agire sulla domanda militare e ne fanno parte Francia, Germania, Italia, Regno Unito. Belgio, Paesi Bassi e Spagna hanno avanzato formale domanda di adesione, mentre la Svezia dimostra un forte interesse. L'OCCAR rappresenta una vera e propria Agenzia Europea per gli Armamenti, destinata a gestire una serie di programmi di approvvigionamento e ad assistere i partecipanti nello sviluppo di equipaggiamenti militari in collaborazione, coordinando le esigenze a lungo termine ed i relativi investimenti tecnologici La Lettera d'Intenti Dal lato invece della razionalizzazione dell'offerta, la pi importante iniziativa la Lettera d'Intenti (LoI). Sottoscritta nel 1998 dai Ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Svezia, essa rappresenta la risposta politica alla dinamica di fusioni societarie europee, fornendo la spinta propulsiva fondamentale al processo di europeizzazione dell'industria per la difesa. Il primo importante risultato venuto con l'Accordo quadro, firmato il 27 luglio 2000, che rappresenta un importante riferimento giuridico ed amministrativo per la costituzione della base tecnologica e industriale europea, delineando i contorni salienti di una comune identit industriale in Europa. Questo processo d'integrazione poggia su due principi basilari: 110

la creazione di opportunit per accogliere il contributo di tutti i partner, in modo proporzionale alle rispettive risorse e capacit, salvaguardando le specifiche aree d'eccellenza; l'interdipendenza industriale e tecnologica fra i sei Paesi, con la rinuncia alla completa autonomia in uno o pi settori di produzione, a favore di una crescente integrazione. Gli articoli della LoI rappresentano il fondamento per progredire in tre settori vitali: la nascita di un mercato europeo dei materiali di difesa pi integrato; la definizione di regole comuni per l'export dei prodotti europei sui mercati terzi; una chiara pianificazione a medio-lungo termine degli investimenti per la ricerca tecnologica e la R&S. Per arrivare ad un mercato europeo, bisogna attuare con rapidit l'armonizzazione europea delle normative nazionali, comprese le procedure contrattuali, per snellire tempi e modalit della fornitura dei materiali d'armamento. E perci importante procedere ad una progressiva applicazione, in modo uniforme e comune, dell'articolo 296 del Trattato di Amsterdam (ex-articolo 223 del Trattato di Roma), anche nel settore dei materiali di difesa, in modo che s'instaurino condizioni di scambio intraeuropeo nettamente pi simili a quelle degli altri beni regolate dalle leggi comunitarie, pur nella considerazione della specificit dei materiali di questo settore, ed in questa direzione che le Nazioni si stanno muovendo. CNAD e rapporto transatlantico La politica dei materiali di difesa in Europa tende logicamente a rafforzare l'industria continentale, senza immaginare la creazione di blocchi economici chiusi. La messa a punto di una base tecnologica e industriale europea rappresenta la condizione perch l'insieme delle imprese transnazionali europee sia in grado di collaborare e competere con il complesso delle industrie USA del settore. L'ulteriore armonizzazione operativa degli strumenti militari dovr essere compiuta sulla base di un nuovo scambio bilanciato (new two -way street) tra le due sponde dell'Atlantico, in cui le vendite di materiali d'armamento verso gli 111

USA non siano ostacolate da improprie limitazioni ed in cui siano equilibrate le compensazioni in caso d'acquisto negli USA. In questo contesto andr collocata opportunamente l'iniziativa statunitense, lanciata durante la Conferenza Ministeriale NATO a Firenze (26 maggio 2000) con la Defence Trade Security Initiative (DTSI - Iniziativa per la Sicurezza nel Commercio di Difesa). Sviluppo della ricerca e della tecnologia Il ruolo della CNAD (Conferenza dei Direttori Nazionali degli Armamenti), organismo NATO con l'obiettivo di razionalizzare la domanda e la logistica della produzione e favorire la cooperazione, resta di marcata rilevanza. Esso include tra le sue strutture anche una rappresentanza della realt industriale (NIAG). I principi fondamentali per sviluppare un'organica politica di R&S in Europa sono: l'interdipendenza tecnologica, in grado di evitare dispendiose duplicazioni degli strumenti militari futuri; la funzione propulsiva da attribuire ai paesi dotati di strutture tecnoindustriali pi rilevanti; la funzione integratrice dei paesi a minor volume produttivo, ma con distinti fattori di competitivit, indispensabili per un mercato comune della difesa; il peso finanziario nazionale e collettivo adeguato a sostenere gli obiettivi concordati. Nell'ambito del Ministero della Difesa, si sviluppata ulteriormente in questo decennio la consapevolezza dell'importanza della ricerca tecnologica e sono stati individuati i settori tecnologici prioritari per il conseguimento delle future capacit operative. I programmi di sviluppo La politica dei materiali di difesa, quella industriale e quella della ricerca tecnologica si realizzano in programmi d'approvvigionamento, sottoposti alla valutazione del Parlamento.Questi programmi, in linea con le pianificazioni precedenti e con le missioni affidate alle FF.AA., sono pienamente compatibili con l'Iniziativa sulle Capacit di Difesa (DCI) della NATO e con l' Headline Goal scaturito dal vertice UE di Helsinki. Anche nella gestione della sicurezza internazionale forniscono quella superiorit tecnologica che uno dei presupposti per affrontare missioni di questo tipo. I programmi internazionali di sviluppo, produzione ed acquisizione dei sistemi, degli equipaggiamenti e dei mezzi della Difesa ai quali l'Italia partecipa, a vario 112

titolo, sono circa 50. A questi vanno aggiunti i programmi esclusivamente sviluppati in ambito nazionale per ragioni di sicurezza e opportunit. Protezione degli interessi strategici Essi comprendono: il mantenimento dello spazio di sicurezza indivisibile nel quadro euro-atlantico; la sicurezza dell'Unione Europea e dei suoi cittadini nei suoi vari aspetti; la stabilit nelle aree d'interesse strategico nazionale ed europeo; il rispetto delle regole fondamentali per la pacifica convivenza internazionale68. Prevenzione e gestione delle crisi internazionali Nell'ambito di questa missione sono comprese sia le numerose attivit della diplomazia militare, sia la partecipazione ad operazioni militari di prevenzione e gestione delle crisi. Le finalit sono quelle di garantire la pace, la sicurezza, la stabilit e la legalit internazionale, nonch l'affermazione dei diritti fondamentali dell'uomo, nel rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite, nell'ambito di organizzazioni internazionali e/o di accordi bi-multilaterali, con particolare riguardo alla capacit autonoma europea di gestione delle crisi.

68 Agli inizi degli anni '90, il modello di difesa nazionale ha esplicitamente ricompreso tra i compiti
delle FF.AA. l'intervento in territorio estero a tutela dei legittimi interessi nazionali, nel rispetto del diritto internazionale, pattizio e consuetudinario. A parte talune possibili operazioni di carattere tradizionale, quali quelle a tutela delle ambasciate e deicittadini

italiani all'estero in occasione,

ad esempio, di una guerra civile, ormai un dato acquisito che la tutela degli interessi nazionali si realizza in maniera preminente agendo nell'ambito delle organizzazioni internazionali. 113

CAPITOLO V IL CONTRIBUTO ITALIANO AL FUNZIONAMENTO DEGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI


1. ANALISI DELLE RISORSE IMPEGNATE: CONTRIBUTO ECONOMICO E PATRIMONIO UMANO Attualmente l'Italia il terzo Paese al mondo, dopo USA e Regno Unito, per contributo complessivo alle operazioni militari a sostegno della pace, includendo la partecipazione a missioni direttamente gestite dall'ONU e la presenza nelle operazioni multinazionali su mandato ONU. La base per futuri contributi alla sicurezza internazionale sar data dalla Forza di Reazione Rapida dell'Unione Europea, la cui composizione stata determinata nella Conferenza d'Impegno delle Capacit (CCC) a Bruxelles (20-21 novembre 2000). Il contributo nazionale a questo elemento essenziale della PESD e dell'integrazione europea a livello politico di circa 20.000 soldati, di cui 12.000 (2 Brigate con supporti tattici) sono disponibili per impiego simultaneo e prolungato in operazioni di oltre un anno, senza contare gli equipaggi di navi ed aerei69. L'Italia tra i pochi Paesi a poter mettere a disposizione un comando con capacit interforze ed unit altamente specializzate e d'lite come la Brigata Alpina e la Brigata Aeromobile70. 69 Un totale di 4 Brigate, di cui 2 Meccanizzate, 1 Alpina e 1 Aeromobile sono disponibili.
L'impiego sul terreno vede in genere 2 Brigate Meccanizzate, una delle quali sostituibile con quella Alpina, se opportuno. I comandi della componenteterrestre,

dotati di adeguati supporti,

possono essere a livello Divisione (impiego prolungato) o Corpo d'Armata (sei mesi). 70 Il Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) ed associati mezzi di comunicazione pu
servire da quadro per un comando a livello "Comando dell'Operazione" (livello strategico) e va integrato con altri elementi interforze internazionali.La Brigata Aeromobile viene offerta solo per compiti di entry force e con un impiego per periodi di 4/6 mesi. In tali periodi essa pu incrementare

114

Le forze navali comprendono: una portaeromobili, un Task Group con componente anfibia (1 battaglione di fanteria di marina) e di forze speciali; 22 tra elicotteri ed aerei imbarcati ed un totale di 21 unit navali71 . Le forze aeree disponibili annoverano: un sistema di C2; 47 velivoli; due batterie di missili contraerei con relativo supporto radar. Il contributo rispecchia il quantitativo di forze dedicato alla NATO come Forze di reazione e rappresenta un bilanciamento tra capacit di combattimento e di supporto. Infine i Carabinieri forniranno gli effettivi necessari ai compiti di polizia militare (un plotone ed una compagnia) e per la costituzione di un reggimento MSU a guida nazionale (150 effettivi), confermando la leadership in un settore d'lite. Un ulteriore contributo alla sicurezza internazionale dato dalla costituzione di forze multinazionali con alcuni dei Paesi amici con i quali si condivide una comune percezione della stabilit internazionale. Le strutture pi rilevanti cui l'Italia partecipa sono: SHIRBRIG, CAOC, NRDC, RFAS, SFS, Eurofor ed Euromarfor (con Francia, Portogallo, Spagna), SIAF (con la Spagna), EAG (con Francia e Regno Unito), la Forza Multinazionale Terrestre (con Slovenia ed Ungheria) e la MPFSEE (Albania, Bulgaria, Croazia, Fyrom, Grecia, Italia, Romania e Turchia). Nel dicembre 2000, Italia, Francia, Olanda, Spagna e Regno Unito hanno sottoscritto una dichiarazione d'intenti per dar vita ad una Iniziativa Anfibia Europea che rafforzer il contributo alle attivit della NATO e dell'Europa. Queste forze, che gi svolgono importanti funzioni politico-militari, assumeranno rilievo crescente man mano che verranno impiegate in varie attivit e missioni operative, contribuendo a sviluppare una rete di sicurezza condivisa tra tutti gli Stati del continente. LItalia partecipa ormai da tempo a pieno titolo ai sistemi internazionali creati per garantire la stabilit e la sicurezza. Come gi visto, le sue Forze Armate sono state e continuano ad essere attivamente ed estensivamente impegnate nelle Nazioni Unite (missioni di peacekeeping di natura tradizionale), nellAlleanza Atlantica (compiti di collective defence e di crisis response), nellUnione Europea (missioni cosiddette di Petersberg, che vanno dallintervento umanitario al
lo spiegamento nazionale massimo nel teatro d'operazioni sino a 14.000 uomini. 71 La portaeromobili Garibaldi pu fornire un Comando Componente Marittima imbarcato per circa sei mesi, supportata dal CINCNAV di S. Rosa per compiti specialistici (Water Space Management e Maritime Air Operation Centre), mentre per periodi pi lunghi disponibile un comando a terra.

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peace enforcement, come pure in coalizioni con intenti ed obbiettivi specifici e contingenti, spesso sotto legida delle Nazioni Unite). Limpegno nazionale nellambito di questa assai ampia e variegata serie di attivit continuamente in crescita: Per lONU, oltre agli impegni contingenti nelle operazioni di pace, la Difesa chiamata ad assicurare stand-by arrangements, ossia forze disponibili allimpiego, di circa 1500 uomini e mezzi delle tre forze armate. In ambito NATO, in relazione al programma di adeguamento alle nuove esigenza strategiche, in corso di realizzazione un dispositivo militare di intervento rapido, basato su alta prontezza operativa e sulla proiezione tempestiva delle forze per rispondere alle crisi e per il controllo delle conflittualit, anche al di fuori dei confini dellAlleanza. Inoltre sono in corso azioni volte a concretizzare i nuovi impulsi della volont politica recentemente impressi (Consiglio NATO-Russia, allargamento della NATO, allargamento dellUE, Carta Costitutiva dellUE, nuova composizione del Consiglio di Sicurezza dellONU, processo di integrazione europea rinnovato negli indirizzi nel semestre a guida italiana, e cos via). La NATO caratterizzata da una peculiarit che ha contribuito ad assicurarle un funzionamento al massimo livello per oltre 50 anni. Caso unico nella storia delle alleanze, si dotata di fondi comuni utilizzati per realizzare una struttura di comando e controllo integrata, fondata su risorse umane e finanziarie poste a disposizione delle Nazioni fin dal tempo di pace, su base proporzionale alla propria dimensione internazionale ed economica. Inoltre, sono state realizzate le infrastrutture necessarie ad elevare linteroperabilit delle forze. In tal modo, nel corso dei decenni, si sono creati dei vincoli tali che i programmi a fondi comuni vengono oggi definiti il collante dellalleanza. Per comprendere lampiezza di tali programmi sufficiente ricordare che, in 50 anni, sono state costruite opere per un valore complessivo di quasi 32 miliardi di Euro e sono stati spesi fondi per il loro funzionamento per una cifra analoga. Il personale che si occupa di tale materia opera nel settore della logistica delle risorse, caratterizzato da programmi di competenza diretta dellAlleanza, differente dal consumer logistic, coordinata dalla NATO, ma responsabilit delle singole Nazioni. I programmi comuni, infatti, soddisfano requisiti militari riconosciuti come esigenza di tutte le Nazioni. Si evidenzia, quindi, la differenza del settore delle risorse NATO, che si muove 116

nellinteresse esclusivo dellAlleanza da altre realt quali, ad esempio, i fondi strutturali dellUnione Europea, che sostengono le singole Nazioni.Questo concetto si estrinseca nel principio regolatore in campo NATO di Over and Above, intendendo comprese nel finanziamento a fondi comuni unicamente quelle opere che le Nazioni non realizzerebbero per le proprie esigenze. Questa caratteristica si pone come una delle componenti principali della NATO, ribadita nel concetto strategico approvato nel Summit di Washington nellaprile 1999, conferendo nuovo vigore al principio politico-militare su cui si fondano le risorse NATO, cio la suddivisione dei rischi, dei costi e dei benefici tra i Membri dellAlleanza. Per risorse NATO si intendono i mezzi ed il personale necessari per la realizzazione ed il funzionamento delle infrastrutture finanziate a fondi comuni, nella pi ampia accezione del termine, ossia opere edili e per le telecomunicazioni (infrastrutture ed infostrutture). Nel settore delle risorse NATO rientrano: I programmi finanziati con i fondi del NSIP (NATO Security investment Programme), che destinato alla realizzazione delle predette opere, con un tetto di spesa annuo di circa 670 M; Le spese sostenute sul Military Budget, che copre i costi di funzionamento (Operations & Maintenance) di Comandi ed installazioni operative, con un tetto di spesa di circa 770 M. Il personale (Manpower) necessario alla gestione dei predetti organismi, che ammonta a circa 16.000 unit fra militari e civili (personale di Comandi NATO, Agenzie,etc.). Da questo panorama sono esclusi i programmi di armamento, tranne i loro studi di fattibilit, come nel caso del Theatre Ballistic Missile Defence, finanziato con il NSIP. E interessante notare come le infrastrutture classiche, quali aeroporti ed oleodotti, stiano progressivamente lasciando il campo alle infostrutture72. Le opere ad alto livello tecnologico hanno raggiunto il livello del 50% degli investimenti a fondi comuni, ed in futuro assai probabile un ulteriore aumento. Una serie di eventi, aggreganti e disgreganti, ha determinato, negli ultimi anni, un repentino cambiamento e adeguamento delle politiche di difesa e sicurezza. 72 Infrastrutture telematiche per la gestione di applicazioni multimediali, basate su tecnologie
comprendenti la microelettronica, il software, le radiotecnologie, la fotonica,il trattamento dei segnali.

117

Lallargamento

la

successiva

ristrutturazione

dellAlleanza Atlantica,

levoluzione della politica estera e di difesa dellUnione Europea, levoluzione geopolitica del bacino del Mediterraneo, contribuiscono a mantenere la centralit strategica dellarea geografica entro la quale lItalia si pone come insostituibile ponte fra tre continenti. Il continuo avvicinamento dei paesi dellest europeo al sistema di valori occidentali ed i rapporti di stretta e crescente cooperazione consolidatisi, grazie anche allopera fondamentale della politica estera nazionale nei confronti della Federazione Russa, contribuiscono a delineare un movimento di inclusione che si contrappone alle spinte centrifughe che si erano verificate nellultimo decennio. In questo panorama diversificato e multiforme, la Difesa impegnata su pi fronti ed in contesti operativi senza precedenti dalla fine del secondo conflitto mondiale. La natura dellAlleanza Atlantica si arricchita di nuove identit nazionali e, coerentemente con il mutamento del panorama geostrategico, affronta in questo tempo una fondamentale ristrutturazione organizzativa, il cui fine quello di ridurre la struttura di comando, massimizzare i contributi dei paesi membri e renderla pronta ad affrontare con efficacia le sfide del futuro. A tale processo di rinnovamento, lItalia partecipa con atteggiamento convinto, al fianco degli alleati, allo scopo di prevenire e fronteggiare le minacce che asimmetricamente si affacciano sul mondo: dai confronti etnici e religiosi ai traffici illeciti ed alla criminalit organizzata, ai conflitti di bassa e media intensit, ai fenomeni di instabilit interna e, soprattutto, al terrorismo internazionale. Questultimo aspetto si presenta oggi come una vera e propria forma di minaccia al bene pubblico primario che ha comportato una decisa accelerazione dei processi di trasformazione dei dispositivi di sicurezza e difesa. Proprio in questottica, si pongono i processi di allargamento della NATO e dellUnione Europea, in un volere di aggregazione volto ad intensificare le iniziative di affermazione dei valori primari universali. Levoluzione della politica di sicurezza e difesa comune europea, in una accezione nientaffatto alternativa, bens complementare alla Nato, rappresenta una realt sempre pi compiuta, nella ricerca di unappropriata suddivisione di compiti che accresca lefficienza dentrambe. Le missioni cosiddette di Petersberg, che lEuropa in grado di assolvere a pieno titolo, sono umanitarie negli scopi e negli effetti e richiedono tutte un livello medio-basso dintensit, se si esclude quella di 118

Peace Enforcement. Laspetto economico di una tale situazione, nella quale da escludere una separazione operativa dellUnione Europea dallAlleanza Atlantica, da tenere in prima considerazione. Lappartenenza alla NATO ha sinora consentito a molti dei membri europei di contrarre i budget della Difesa senza immediate e irreversibili conseguenze per la loro sicurezza. In questo quadro, il perseguimento di una comune politica europea di sicurezza e difesa vuole rappresentare un fattore abilitante con il quale lUnione Europea nel suo complesso possa configurarsi quale partner pienamente idoneo degli Stati Uniti dAmerica, in grado di massimizzare le proprie risorse, umane, culturali ed economiche, anche nel campo della sicurezza internazionale. Ci, in maniera compatibile ed inscindibile con la NATO che e rester il fondamento della difesa collettiva del Continente. Lattiva e propulsiva partecipazione dellItalia sia nella Forza Europea di Reazione Rapida che nella costituenda Nato Response Force il segno pi evidente dellimportanza e dellindissolubilit del rapporto transatlantico. Circa diecimila uomini e donne delle Forze Armate italiane sono impegnati in operazioni al di fuori dei confini nazionali. Al rinnovato impegno nei Balcani si sono aggiunte missioni in Afghanistan ed in Irak. Missioni che hanno presentato e presentano alti rischi per il personale, ma che costituiscono una fase fondamentale del continuo evolversi dellimpegno italiano nella riaffermazione dei diritti inalienabili dei popoli. Si tratta di impegni gravosi per le Forze Armate, che negli ultimi anni hanno visto modificarsi in maniera totale il proprio orizzonte operativo, con ripercussioni sensibili in tutti gli ambiti dellorganizzazione militare stessa. Il quadro sopradescritto ha imposto per la Difesa un coerente processo di ridimensionamento con il quale riequilibrare il proprio rapporto, da un lato, con le altre componenti della societ, dallaltro, con le contingenze allinterno delle quali essa chiamata ad intervenire. I relativi campi dazione sono rappresentati da: - riconoscimento dellimportanza delle Crisis Response Operations (C.R.O.) ed il continuo miglioramento delle capacit da acquisire per far loro fronte; - continuazione del processo di miglioramento dellefficacia complessiva del 119

sistema difesa sul piano tecnologico, addestrativo, operativo, organizzativo e di comando, allo scopo di pervenire ad una utilizzazione ottimale delle risorse finanziarie73, umane e strutturali disponibili; - capacit di fronteggiare nuovi rischi per la sicurezza e le minacce di connotazione globale, quali il terrorismo internazionale e la proliferazione delle armi di distruzione di massa; - riorganizzazione delle funzioni di servizio e di supporto esplicate nel pi generale quadro della sicurezza, quali quelle nei settori della lotta alla criminalit organizzata, lassistenza alla popolazione civile nei casi di eventi calamitosi, la prevenzione del fenomeno dellimmigrazione clandestina, lopera di sorveglianza dei cosiddetti obiettivi sensibili individuati allinterno del territorio nazionale; - armonizzazione del sistema difesa con le aspettative generali dello Stato, in modo sinergico con le politiche adottate da altri Dicasteri e sulla base dellindiscusso patrimonio culturale e dei valori del mondo militare. La Difesa, in linea con le linee politiche del Governo, nel perseguimento di una spesa improntata a rigorosi criteri di indispensabilit, sostenibilit e lungimiranza, ha intrapreso una serie di iniziative di carattere strutturale atte ad incrementare le caratteristiche di ottimizzazione e trasparenza della propria gestione. Nel quadro delle necessit complessive del Paese, il Dicastero si appresta a completare il passaggio ad uno strumento pienamente professionale, i cui costi siano attentamente calibrati ed improntati al continuo miglioramento dellefficienza dellintero strumento militare, secondo un percorso progettuale gi ben delineato e contraddistinto concettualmente da obbiettivi chiari, definiti e progressivi. Il freno pi significativo per il conseguimento di tale disegno rappresentato dalla indisponibilit di parametri e riferimenti, certi e di medio periodo (5/10 anni), 73 In merito, necessario evidenziare la profonda riorganizzazione operata nel campo tecnicoamministrativo da parte del Dicastero mediante la riduzione e laccorpamento dei Centri di Responsabilit Amministrativa da 18 a 7, conferendo compiuto ruolo di indirizzo, proposizione e controllo alla figura del Segretario Generale della Difesa/Direttore Nazionale degli armamenti.

120

relativi al volume di risorse previsionali che la Nazione pu assicurare alla Difesa. In assenza di questa condizione, settori quali quello degli investimenti sono destinati ad essere condizionati dallincertezza, con conseguente criticit nella pianificazione delle acquisizioni, caratterizzate per loro natura da uno sviluppo finanziario pluriennale ed in massima parte svolte in cooperazione internazionale. Tale settore tra laltro caratterizzato da una serie di concrete iniziative di collaborazione industriale in ambito nazionale (Gruppo di Lavoro Industria Difesa), europeo (Agenzia Europea per la Difesa, OCCAR74, L.o.I.) ed internazionali (Five Powers, NAG), secondo una logica di sempre maggiore integrazione produttiva e di rafforzamento delle attivit di ricerca e sviluppo nelle aree ad alta tecnologia. In detto quadro, la disponibilit di una stabile e condivisa ipotesi finanziaria di riferimento riguardo le risorse previsionali future nel loro complesso, includendo quindi anche quelle da destinare al mantenimento in efficienza dello strumento in inventario, consentirebbe un effettivo salto di qualit e si presenterebbe quale moltiplicatore di efficacia nella ottimizzazione di tali meccanismi e delle connesse mutue interrelazioni. Per mantenere una impostazione complessiva coerente con levoluzione degli scenari internazionali di riferimento, necessario raggiungere, nel medio termine, un livello di spesa per la Funzione Difesa75 pi vicino a quello dei maggiori partners europei (pari, dunque, a circa l1,5% del Prodotto Interno Lordo). Lobbiettivo si presenta ragionevole, su di esso converge la generalit degli intendimenti, e costituisce una pre-condizione per continuare a sostanziare il voluto rango dellItalia negli ambiti internazionali. Ciononostante, il quadro congiunturale economico-finanziario nazionale ed internazionale non consente, neanche questanno, di avvicinare tale traguardo, imponendo un progetto di bilancio della Difesa, per il 2004, improntato secondo il principio di un nuovo, generale e stringente contenimento della spesa, che riduce la percentuale di risorse dedicate alla Funzione Difesa dall1,059% del 2003 all1,040% del 2004. 74 Uno dei punti qualificanti dell' OCCAR la rinuncia al giusto ritorno industriale su ogni
singolo programma, a vantaggio di un calcolo complessivo e bilanciato su pi programmi e su pi anni.

75 121

La Funzione Difesa l'insieme delle spese limitato ai compiti strettamente militari,

escludendo le spese per i CC, le pensioni e le funzioni complementari.

Gli stanziamenti complessivi risultano essere mantenuti, di fatto, sugli stessi livelli sostanziali del 2003, devolvendo al vitale settore del personale non solo le ridotte risorse aggiuntive, ma ritagliando consistenti disponibilit dagli altri settori di spesa per sostenere, per quanto consentito, un deciso sviluppo del processo di transizione alle Forze Armate professionali. In tale contesto, il progetto di bilancio 2004 deve poter sostenere il processo di professionalizzazione delle Forze Armate e assicurare un complesso di risorse minimo da dedicare allesercizio ed allammodernamento dello strumento militare. Di tale scelta risentono, come diretta conseguenza, i settori dellesercizio e dellinvestimento. Per lesercizio stato necessario comprimere ulteriormente le spese correnti ed in particolare quelle correlate ai c.d. consumi intermedi che, per la specificit della Difesa, sono rivolte principalmente al funzionamento, mantenimento in efficienza, addestramento e conservazione dello strumento militare nel suo complesso. Conseguentemente, la prontezza operativa e la disponibilit dei Reparti verranno significativamente ridotte, soprattutto nei contesti internazionali e multinazionali, anche perch le attuali restrizioni finanziarie si sommano alle pesanti decurtazioni operate nei precedenti esercizi finanziari. La significativa contrazione delle risorse per linvestimento comporta ulteriori dilazionamenti e diluizioni della spesa su un numero sempre maggiore di esercizi finanziari, con conseguente ritardo sul programmato ingresso in servizio di nuovi mezzi, tecnologicamente competitivi, e il rimando degli ammodernamenti e della risoluzione delle obsolescenze su quelli in servizio, usurati e logorati dallestensivo uso in operazioni. In particolare, dovr essere rinviato lavvio di nuove acquisizioni e dovr altres essere sottoposto a profonda revisione, in riduzione, il piano degli ammodernamenti e dei rinnovamenti in atto. Ci potr anche comportare lesigenza di dar corso ad attivit di rinegoziazione con i Paesi partners, con limpossibilit di onorare appieno gli impegni gi assunti e consolidati da tempo con la NATO e lUnione Europea e con conseguenze negative sullinteroperabilit delle unit operative. In sintesi - e per quanto concerne il bilancio 2004 - limpostazione dei provvedimenti di politica economica e finanziaria richiede di rinnovare la 122

definizione di stringenti e ineludibili priorit che pongono concreti vincoli alla crescita delle risorse devolvibili alla Difesa. Alla luce delle risorse previsionali stabilite, il 2004 non assume quella attesa funzione di capostipite lungo una linea di finanziamenti progressivamente crescenti per disporre di uno strumento militare di entit s ridotta rispetto al passato ma pienamente competitivo e qualificato, in ogni sua componente, per consentire la piena espressione dellazione politica generale. Infatti, tale funzione dovr, giocoforza, essere attribuita ad esercizi finanziari ad esso successivi. Ci senza nulla togliere alla visione prospettica e concettuale dellequilibrato sviluppo di un coerente e sinergico disegno, rispetto al quale dovranno essere comparate e definite le necessit economiche della Difesa, da valutare in sintonia con gli obbiettivi e le finalit proprie, anche attraverso il progressivo conseguimento di traguardi ed obbiettivi programmatici intermedi.

2. STRUTTURA ED IMPIEGO DELLO STRUMENTO MILITARE NAZIONALE


Riferimenti nazionali Dallesposizione e dallanalisi degli scenari di riferimento in cui impiegare lo strumento militare, appare opportuno procedere ad una rilettura aggiornata della formulazione concettuale delle missioni assegnate a detto strumento. Ci al fine di verificarne la relativa validit, applicabilit e di valutare uneventuale necessit di modifica, aggiornamento, ma, soprattutto, contestualizzazione, per quelle a derivazione nazionale e internazionale, alla luce delle esigenze connesse con loggetto del presente studio. I riferimenti normativi si presentano, innanzitutto, nella normativa nazionale e, di esplicito rimando, in quella internazionale, chiamata in causa sia dalla Carta costituzionale (art. 10) che dalla normativa discendente (es.: L. 331/2000), ispirata dalle riflessioni scaturite dalla fine della contrapposizione tra i blocchi. Tale situazione ha richiesto la riformulazione delle missioni generali delle FF.AA., che correntemente sono76: 76
La riformulazione delle missioni contenuta nel Libro Bianco 2002 della Difesa, presenta, in altra forma, le tre funzioni fondamentali che il Modello di Difesa 1995 stabiliva per le FF.AA., ovvero: presenza e sorveglianza; difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale; difesa integrata degli spazi nazionali. Lanalisi compiuta delle attivit militari per lespletamento di dette tre funzioni, implica comunque lintegrazione interforze, la multinazionalit e la proiezione esterna dellintero strumento operativo, ad espansione della proiezione permanente

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- difesa degli interessi vitali del Paese contro ogni possibile aggressione (prima missione). Allinterno di essa grande valenza, per quanto di interesse, assumono: la vita e i diritti fondamentali della popolazione nel territorio nazionale; lintegrit del territorio nazionale (piattaforma terrestre, spazio aereo e acque territoriali); la sicurezza, lintegrit e la libert dellinsieme delle vie di comunicazione e laccesso ai beni essenziali per i predetti interessi; la sicurezza delle aree di sovranit nazionale e dei connazionali allestero; - salvaguardia e protezione degli interessi strategici e/o vitali del Paese (seconda missione). Allinterno di essa grande valenza, per quanto di interesse, assumono: il mantenimento dello spazio di sicurezza indivisibile nel quadro euro-atlantico; la sicurezza dellUnione Europea e dei suoi cittadini nei suoi vari aspetti; la stabilit nelle aree di interesse strategico nazionale ed europeo; il rispetto delle regole fondamentali per la pacifica convivenza internazionale77; - prevenzione e gestione delle crisi internazionali (terza missione). Allinterno di essa grande valenza, per quanto di interesse, assumono: la partecipazione ad operazioni militari di prevenzione e gestione delle crisi, con le finalit di garantire la pace, la sicurezza, la stabilit e la legalit internazionale, nonch laffermazione dei diritti fondamentali delluomo, nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite, nellambito di organizzazioni internazionali e/o di accordi bimultinazionali, con particolare riguardo alla capacit autonoma europea di gestione delle crisi. - concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e assistenza nelle pubbliche emergenze (quarta missione). Dalla riformulazione delle missioni emersa la necessit di un adeguamento ad ampio spettro dello strumento militare, caratterizzato prima di tutto
attribuita alle forze navali e temporanea, in dipendenza dallo specifico impiego, di quelle aeree. 77 Agli inizi degli anni 90, il modello di difesa nazionale ha esplicitamente ricompreso tra i compiti delle FF.AA. lintervento in territorio estero a tutela dei legittimi interessi nazionali, nel rispetto del diritto internazionale, pattizio e consuetudinario. A parte talune possibili operazioni di carattere tradizionale, quali quelle a tutela delle ambasciate e dei cittadini italiani allestero in occasione, ad esempio, di una guerra civile, oramai un dato acquisito che la tutela degli interessi nazionali si realizza in maniera preminente agendo nellambito delle operazioni internazionali.

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dallimpiegabilit laddove lo richiedano gli interessi nazionali e la volont politica per la tutela, la salvaguardia e la difesa degli stessi. In aggiunta e nei documenti pertinenti, viene sottolineata, quale prerogativa irrinunciabile: la capacit di proiezione esterna78 dello strumento operativo; la sua partecipazione ad operazioni nel teatro euro-atlantico, nel sud-est europeo, nellarea del nord-Africa, nel vicino oriente, nel medio oriente, nel Transcaucaso e nel Mar Nero79. In particolare, la Direttiva Ministeriale 199980 fissa precisi riferimenti per le attivit di pianificazione delle forze, laddove, circa largomento, stabilisce di privilegiare lo sviluppo di mezzi che consentano il conseguimento di una adeguata mobilit e della capacit di proiezione esterna di forze terrestri per via marittima e aerea, concetto ripreso nella successiva81. Tali indirizzi trovano concreta attuazione nelle direttive esecutive per il conseguimento delle capacit operative fondamentali, esplicitate nel Concetto 78 Ove per proiezione esterna da intendersi limpiego e lintervento del potenziale anche
militare al di fuori dei confini nazionali, e quindi al di fuori dellarea dove usualmente, per derivazione storica confinaria, erano contenuti i valori stessi di sopravvivenza della comunit nazionale. Tale assunto esclusivo ovvero di escludere da una determinata dimensione ogni minaccia ad essa imponibile -, consegue dalle esperienze storiche del relativamente recente passato, e non ultime le esperienze legate alla II guerra mondiale ed agli anni ad essa immediatamente successivi.

79 Si assiste, con la citata notazione, ad una consapevole indicazione e determinazione non pi


confinaria, limitrofa del concetto di interesse nazionale, ma ad una sua espansione, anche in forme inizialmente non del tutto possedute, verso termini geografici pi coerenti con il rinnovato quadro geo-strategico della presenza dellItalia sulla scena internazionale. Ben rappresenta ci la determinazione attribuita allItalia, ovvero di potersi definire Una potenza regionale con interessi globali.

80 Il documento, emanato a livello nazionale in armonia con e discendenza dalla Ministerial


Guidance NATO, sottolinea quale prerogativa irrinunciabile: la capacit di proiezione esterna dello strumento, la sua partecipazione ad operazioni nel teatro euro-atlantico, nel sud-est europeo, nellarea del Nord-Africa, nel vicino oriente, nel medio oriente, nel Transcaucaso e nel Mar Nero. Esso anticipa, inoltre, le linee progettuali che costituiranno, subito dopo, base per levoluzione di una concreta capacit di intervento in politica estera e di difesa da parte dellUnione Europea, sia pur con le limitazioni note.

81 Tra le capacit fondamentali richieste assumono, infatti, rilevanza per largomento di cui
trattasi: tempestivit e disponibilit delle forze; loro schieramento e mobilit, nonch sostenibilit logistica.

125

strategico del Capo dello SMD (anno 2000), e nelle conseguenti attivit di pianificazione discendenti e di predisposizione degli assetti condotte dal Dicastero della Difesa. Tutto ci esaminato, si ritiene che il quadro delle disposizioni nazionali, legislative e normative, sia compiutamente delineato e non necessiti, almeno concettualmente, di essere integrato con orientamenti specifici, essendo in esso esaustivamente trattata e prevista la tematica del trasporto strategico. Riferimenti internazionali e alleati Il bisogno di una riconfigurazione e riorientamento dello strumento militare emerso anche e soprattutto in campo internazionale, nellambito delle organizzazioni e alleanze cui lItalia partecipa. In campo ONU da sempre evidenziata, per non dire fortemente sollecitata, la necessit che le Nazioni aderenti rendano disponibile uno strumento militare in grado di intervenire per dare pratica attuazione, anche laddove richiesta la coercizione, alle risoluzioni dellorganizzazione82. Nellambito NATO, il concetto strategico dellAlleanza (ed. 1999) pi volte evidenzia la necessit di disporre di uno strumento dislocabile anche e soprattutto al di fuori del territorio degli alleati, da mantenere ad un adeguato livello di reazione e dispiegamento, prevedendo lo stazionamento avanzato di forze, quando e ove necessario. La relativa implementazione ha sottoposto ad attenta analisi e studio la tematica nellambito della DCI (Defence Capability Initiative), definendo il quadro esecutivo in cui dovr muoversi lAlleanza per il relativo accettabile conseguimento83. 82 Per questo aspetto si rimanda, tra laltro, al c.d. Rapporto Brahimi, che ben identifica quali
siano state e siano ancora, per alcuni settori, le aree di criticit dellorganizzazione. Criticit che non consentono lauspicata capacit di intervento per la risoluzione, anche in forma coercitiva, di situazioni di crisi che richiedono un intervento militare diretto.

83

La tematica del trasporto strategico (via aerea e via mare), enucleata dalla pi generale

problematica delle deficienze dello strumento operativo della NATO nel sottosettore della Deployability and Mobility, oggetto di iniziative dedicate nellambito degli impegni sottoscritti dalle Nazione aderenti durante il vertice dei Capi di Stato e di Governo, tenutosi a Praga il 21 e 22 novembre 2002.

Tale quadro, pi generalmente noto come PCC (Prague Capabilities

126

LUE ha in atto, conseguentemente alle decisioni adottate al vertice di Helsinki, la costituzione di una forza europea di reazione rapida e di intervento per lo svolgimento specificatamente di operazioni di supporto alla pace; non definito un raggio dazione ma pu essere correlato allambito degli interessi vitali e strategici dellUnione stessa. Le missioni assegnabili sono attinenti alla tipologia del Peace Support e del Peace Enforcement, quale migliore specificazione delle attivit ONU nella terminologia e in quelle del non-art. 5 della NATO nella sostanza. Considerazioni Alla luce di quanto sopra le missioni cui chiamato a corrispondere lo strumento militare nazionale appaiono coerenti, ben conformate e definite, contraddistinte, per gli aspetti innovativi, dalla necessit di trovare attuazione al di fuori dellarea di tradizionale operazione. Gli interventi militari saranno presumibilmente pi frequenti e prevalentemente proiettati in aree non contigue, al di fuori del territorio nazionale. Le varie fonti normative non sono in contrasto, anzi sono connotate da un elevato grado di congruenza con i principi dettati dalle organizzazioni internazionali (ONU, NATO, UE). La necessit di dispiegamento dello strumento operativo fuori area esigenza da soddisfare per far fronte alle molteplici e impegnative sfide poste dalla conformazione del contesto corrente e degli scenari futuri. Emerge ineludibile il bisogno di rendere agevole e funzionale tale capacit, contemperandola con le caratteristiche intrinseche delle singole componenti lo strumento, tenendo conto delle potenzialit correnti militari e civili, nonch degli orientamenti internazionali e alleati consolidati e in via di definizione, ma, soprattutto, delle quantit e qualit richieste allo strumento oggetto di proiezione. Le recenti esperienze internazionali hanno, infatti, posto in evidenza come sia importante non tanto il definire i bisogni di trasporto e proiezione in relazione alle componenti da impiegare, ma bens il determinare il livello accettabile, Commitment), impegna le Nazioni aderenti a porre in atto ogni azione funzionale al colmare, in particolare, le criticit nel campo del strategic sealift e strategic airlift. 127

sostenibile, coerente e funzionale agli obiettivi da conseguire in teatro (strettamente soddisfare. Allo stesso tempo, importante procedere mantenendo unampia visione della problematica dello strumento militare nazionale. Ci affinch le soluzioni individuate siano caratterizzate da un giusto grado di equilibrio tanto pi auspicabile in questa fase di profonda, complessa e onerosa trasformazione strutturale84. Trasformazione che pare opportuno debba essere letta anche in sistema con levoluzione generale della cooperazione, della collaborazione e della compartecipazione alle specifiche risorse in una oramai acquisita chiave di lettura trans-nazionale. La presenza attiva dellItalia nello scenario internazionale, nellambito dei sistemi di sicurezza e difesa, per lo svolgimento di variegate forme di missioni, comprese quelle militari, per il sostegno alle decisioni assunte e condivise di tutela, diretta e indiretta, degli interessi nazionali, ha dato risultati positivi ed un rinnovato riconoscimento della professionalit, della competenza e del prestigio delle proprie Forze Armate. Forze Armate che, superando la definizione di strumento di 84
Il rimando al c.d. Modello interamente professionale, o Professionalizzazione delle

discendenti

dalle

volont

dalle

scelte

politiche)

conseguentemente calcolare le capacit di trasporto e dispiegamento da

Forze armate i cui lineamenti attuativi, relativamente al personale sono contenuti nella Legge 14 novembre 2000, n. 331 (Norme per listituzione del servizio militare professionale), nel Decreto legislativo (D.Lgs.) 8 maggio 2001, n. 215 (Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dellarticolo 3, comma 1, della Legge 14 novembre 2000, n. 331) ed altri D.Lgs. in itinere.

Nellattuazione di tale modello

sono, altres, coinvolti una molteplicit di aspetti ad esso strettamente correlabili quali: la disponibilit di mezzi e materiali operativamente e tecnologicamente avanzati; sistemi di formazione ed addestramento coerenti ed innovativi; supporti logistici generalizzati e rispondenti agli standard europei ed occidentali; altro. Ci a significare quanto di valenza sia stata la scelta di dar corso alla sospensione del servizio militare di leva obbligatorio (coscrizione obbligatoria) dal 31 dicembre 2004. 128

difesa in senso stretto, si rivelano sempre pi strumento di sicurezza e stabilit nazionale e internazionale, in quanto, oltre a far fronte agli impegni al di fuori del territorio metropolitano, operano su base oramai permanente allinterno di esso, in particolare da quando pi concreta, prossima e intrusiva diventata la minaccia posta dal terrorismo, dal possibile impiego delle armi di distruzione di massa e dai rischi di destabilizzazione. Tali eventualit sono riconosciute sempre pi come reali da parte delle alleanze e delle forme di solidariet internazionale, sia a carattere squisitamente politico (ONU-OSCE), sia a carattere politico-economico (UE), sia a carattere pi propriamente militare a differente natura (NATO e UE nellambito delle iniziative della IESD, della PESC, della PESD e della HHG85), nonch da quelle costruite sul consenso e sulla partecipazione. Tali alleanze e organizzazioni registrano, inoltre, adesioni in aumento con i conseguenti processi di allargamento e trasformazione in atto, poich inevitabile che il nuovo ordine mondiale basato sul multilateralismo e la multipolarit dovr poggiare su istituzioni internazionali adeguate ai tempi. La possibilit di operare a pieno titolo allinterno di dette organizzazioni e sullo scenario su cui esse influiscono impone, pertanto, di disporre di uno strumento militare di primo livello. Ci condizione preliminare affinch lItalia possa continuare a svolgere quel ruolo propulsivo e catalizzante nei processi epocali di riforma in atto, e che troveranno nel 2004 un preciso riferimento temporale per la relativa concretizzazione conseguente ai nuovi impulsi di volont politica impressi nel 2002 e nel 2003 (Consiglio NATO-RUSSIA, allargamento della NATO, allargamento dellUE, carta costitutiva europea, nuova composizione del Consiglio di Sicurezza dellONU, processo di integrazione europea rinnovato in indirizzo nel semestre a guida italiana, sostegno alla stabilizzazione nel vicino e lontano Oriente, etc.). I tradizionali impegni presi con lONU vengono mantenuti, sia per quanto concerne la disponibilit di contingenti nelle operazioni di pace che per i c.d. stand-by arrangements, cio le forze pronte a disposizione per limpiego, che 85
IESD (Iniziativa Europea di Sicurezza e Difesa).

PESC

(Politica

Estera HHG

di

Sicurezza Comune). PESD (Politica Europea di Sicurezza e Difesa). (Helsinki Head-line Goal). 129

ammontano ad un contributo di 1.500 uomini, pi mezzi, navi ed aerei di Esercito, Marina ed Aeronautica. Limpegno assunto nellambito della NATO, che ha in atto un complesso programma di adeguamento alle nuove esigenze strategiche, investe invece lintero strumento operativo nazionale. Infatti lAlleanza sta finalizzando la realizzazione di un dispositivo militare di intervento rapido, fondato su capacit operative pronte allimpiego e sulla proiezione tempestiva delle forze per la risposta alle crisi ed il controllo della conflittualit, anche al di fuori dei confini dellAlleanza. In tale ambito: - le Forze Armate italiane sono state fortemente impegnate nella realizzazione di un Comando terrestre ad alta prontezza operativa che ha raggiunto, nel mese di dicembre 2002, la piena operativit (Full Operational Capability = FOC); - il Comando navale ad alta prontezza operativa, che ha completato la certificazione FOC alla fine del 2003. La costituzione dei due Comandi italiani framework proiettabili ad alta prontezza operativa ha richiesto una determinazione rilevante e rappresenta un concreto esempio della volont nazionale di contribuire fattivamente al processo di revisione in atto della NATO. Inoltre, i due succitati Comandi sono stati anche offerti allUnione Europea quali Comandi High Readiness Force (HRF), rispettivamente Land e Maritime, nellambito della HELSINKI Headline Task Force86. Per quanto riguarda lUnione Europea, il semestre di presidenza a guida italiana vede la Nazione impegnata nella realizzazione degli obiettivi conosciuti come Helsinki Headline Goal nellambito dellomonima Task Force, ai quali le Forze Armate dedicano, nel complesso, un contributo consistente in un mix di unit terrestri, navali ed aeree, per circa 20.000 uomini, cos composto: 86 Le capacit ritenute fondamentali, anche in base agli impegni presi per il soddisfacimento dello Headline Goal (20 novembre 2000) sono: tempestiva disponibilit delle forze; interoperabilit; capacit di operare in contesti multinazionali; schieramento e mobilit; C4ISR; precisione e letalit di ingaggio; sostenibilit
logistica; sopravvivenza e protezione delle forze.

130

- Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) ed associati assetti di comando, controllo, comunicazioni e intelligence, quale framework per il Comando delle operazioni a livello strategico, da costituirsi, con laggiunta di elementi joint internazionali, qualora chiamati a svolgere il ruolo di Comando delloperazione; - un comando a livello di Corpo dArmata da impiegare per un singolo turno in operazioni oppure, alternativamente, un comando a livello Divisione enucleato dal comando di Corpo dArmata, sostenibile nel lungo periodo, e tre Brigate di manovra di cui due impiegabili contemporaneamente ed una (Brigata aeromobile) impiegabile in teatro di operazioni per un massimo di quattro mesi; - un comando di componente marittima imbarcato, o basato a terra, a cui si aggiunge un gruppo dimpiego di 21 unit navali, costituito da una portaeromobili, unit combattenti daltura (Caccia e Fregate), unit contromisure mine ed altre di supporto, velivoli imbarcati, elicotteri, componenti specialistiche (Forze Speciali e Reggimento San Marco), unit delle Capitanerie di porto; - 18 velivoli da combattimento, 5 aerei da trasporto, 3 velivoli di pattugliamento marittimo, 2 aerei cisterna e 3 elicotteri. Infine, limpegno nellambito delle coalizioni a scopo predeterminato e contingente (le c.d. coalitions of willing), in coerenza con le decisioni adottate dai massimi organi costituzionali, dovr essere assicurato utilizzando le capacit operative dello strumento militare nella misura necessaria al conseguimento della tutela degli interessi nazionali. Gli impegni sopra indicati saranno onorati traendo le unit per il loro svolgimento da ununica struttura organizzativa e di disponibilit organica ed operativa, conformando e generando le forze secondo il principio dei complessi di capacit progressiva, nonch inserendo ed integrando tali forze nazionali in unit interforze e multinazionali nei vari contesti di impiego. Il ruolo e la presenza dell'Italia sullo scenario internazionale, per lo svolgimento di varie forme di missioni di difesa e sicurezza a sostegno e salvaguardia degli 131

interessi nazionali laddove essi si sostanzino, sempre attivo e determinante. E', in merito, unanimemente acclarato e condiviso che uno strumento militare competitivo, efficiente, efficace, ben preparato, rapidamente impiegabile e proiettabile, perfettamente interconnesso e integrabile con le forze cooperanti comprese le organizzazioni civili, dosabile ed equilibrato per ogni possibile evenienza di intervento, costituisca elemento irrinunciabile per esprimere una qualificata e qualificante volont politica nazionale e per entrare nel novero delle Nazioni che contano effettivamente, al contrario di quelle che sono chiamate solo ad avallare decisioni prese altrove.

3. PREVISIONI DI SVILUPPO FUTURO


Le prospettive Il futuro della politica di sicurezza italiana , nonostante le incognite degli scenari globali, ormai tracciato per il prossimo decennio/quindicennio: l'avvio di una stagione di rinnovamento del pensiero strategico nazionale, della policy di sicurezza, della qualificazione del capitale umano, dell'ammodernamento di tutte le componenti portanti, organizzative e materiali, della Difesa. Questo processo si costruisce su uno scenario che deriva dalla posizione geostrategica dell'Italia ed frutto dell'azione politico-economica sviluppata nel passato decennio e della tradizione politico-sociale del Paese. Le questioni della sicurezza nazionale Nel periodo che va sino al 2015 appare ragionevole ipotizzare un basso rischio di minaccia militare convenzionale rivolta al territorio nazionale, mentre eventuali minacce non convenzionali andranno contrastate nell'ambito delle iniziative della comunit internazionale e delle alleanze cui l'Italia partecipa. Le questioni su cui si misura a medio termine la politica di sicurezza nazionale sono: la stabilizzazione dell'Europa del Sud-Est contro l'insorgere di nuovi conflitti locali e l'infiltrazione su larga scala del crimine organizzato transnazionale; l'evoluzione dei Paesi nelle aree del Maghreb e del Medio Oriente/Mar Rosso, anche nel contesto dei rischi globali di proliferazione; il sostegno costruttivo al pi vasto processo di superamento del problematico 132

rapporto greco-turco ed all'inserimento della Turchia in Europa; l'attenzione alle crisi caucasiche ed alle loro connessioni di lungo periodo con i Paesi dell'Asia Centrale; il nuovo ruolo internazionale del Paese come attore di primo piano della sicurezza regionale nell'ambito dell' UE, della NATO, dell' OSCE e dell'ONU. E sullo sfondo di questo quadro strategico di riferimento primario e di pi diretto interesse che si delineano le politiche che continueranno a definire, in un contesto euroatlantico, il nuovo ruolo del Paese, ma con interessi generali anche pi ampi nella cornice della partecipazione attiva alla realizzazione di una condizione di stabilit e di pace, a livello globale della comunit internazionale.

L'integrazione dell'Europa Sud-orientale Stabilizzare l'Europa Sud-orientale non significher solo assenza di conflitto armato, bens togliere quell'area dall'isolamento e liberarla dai fattori frenanti che hanno contribuito a scatenare le guerre. Tra questi fattori significativo l'impetuoso sviluppo del crimine organizzato transnazionale. Sin dal 1988 l'Interpol aveva designato la regione come "Corridoio dei Balcani", vera e propria fascia d'interscambio di un'area di economia illegale, le cui quote di maggioranza sono detenute da organizzazioni italiane, russe e turche. Quest'area economica influisce in modo sensibile sull'andamento dei conflitti dal Caucaso all' Afghanistan con lo scambio di armi, droga, esseri umani, materie prime e denaro da riciclare. Sconfitti i progetti politico-militari dei vecchi leader nazionalisti, opportuno prevenire altri potenziali focolai di conflitto come, per esempio, quelli legati alle minoranze albanesi o ad ulteriori frazionamenti in mini stati indipendenti, potenzialmente penetrabili da mafie internazionali. Il Trattato di Schengen, una effettiva cooperazione internazionale ed una gestione integrata dei vari aspetti delle missioni militari a sostegno della pace appaiono gli strumenti pi adeguati per rispondere a questa serie di rischi e minacce. Come sar la sicurezza La sicurezza sar sempre pi: multidimensionale, ad alta integrazione internazionale, interforze, incardinata sull'informazione. Multidimensionale perch la dimensione transnazionale dei rischi e la concreta esperienza delle 133

operazioni militari a sostegno della pace richiedono un approccio integrato nella gestione delle crisi. La crisi non un'emergenza puntuale, ma un continuum che va gestito preventivamente, tempestivamente e, nei limiti del possibile, compiutamente. Essa parte da fattori di rischio preesistenti e termina con il riassestamento politico dell'area colpita e la ricostruzione economico-sociale verso assetti pi stabili, sostenibili, rispettosi dei diritti umani e democratici. L'alta integrazione internazionale una scelta politica ed un dato di fatto. La scelta politica privilegia il dialogo e la cooperazione globali e regionali come strumenti di risoluzione dei problemi, il rispetto delle norme internazionali liberamente accettate, l'integrazione europea ed il legame transatlantico. Il dato di fatto che nessuna nazione europea occidentale oggi in grado di garantire autonomamente aspetti rilevanti della propria sovranit e dei propri interessi particolari, cos come nessuna grande potenza pu ignorare a lungo le interdipendenze create dalla globalizzazione. Le nuove responsabilit e l'accresciuto ruolo dell'Italia sono articolati su due livelli. Da un lato sono strettamente connessi agli sviluppi dei grandi fori internazionali. Dall'altro non escludono, in linea di principio ed in circostanze particolari di minaccia specifica alla propria sicurezza, in accordo con la Carta dell'ONU, eventuali legittime azioni unilaterali, esaurite tutte le possibilit di gestione multilaterale ed integrata. All'interno di una concezione di sicurezza multidimensionale, l'azione delle FF.AA. interforze per coprire efficacemente tutti gli ambienti operativi e tutti i rischi di sicurezza in cui sia legittimo ed efficace l'impiego dello strumento militare nelle sue quattro componenti. Il nuovo insieme delle missioni richiede l'acquisizione ed il mantenimento di capacit prioritarie, tra le quali basilare un ulteriore ammodernamento della gestione logistica, secondo i pi avanzati criteri NATO. L'azione delle politiche della Difesa La diplomazia militare condurr la sua azione partendo dalle indicazioni espresse dai quattro fori internazionali fondamentali (ONU, OSCE, NATO e UE). L'asse pi innovativo del prossimo decennio sar rappresentato dallo sviluppo politico ed operativo della Politica Estera di Sicurezza e Difesa quale fattore d'integrazione 134

dell'Unione. Grazie ad essa l'UE potr essere un efficace attore di sicurezza multidimensionale ed un elemento di riequilibrio nel rapporto transatlantico, rapporto di cui si conferma l'importanza e vitalit. Tale indirizzo richiede una politica dei materiali di difesa ed industriale capace d'integrare il mercato del settore, sostenuto da un sistema industriale europeo globalmente rilevante ed aperto alle nuove possibilit di cooperazione e competizione transatlantica e mondiale.

Una visione strategica per il futuro della politica di sicurezza e difesa italiana La fine del XX secolo ha segnato per la Difesa nazionale una svolta epocale in termini di trasformazioni avviate, risultati ottenuti, riforme impostate e proiezione verso il futuro. Sul versante internazionale l'Italia si impegnata con un alto profilo per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Vertice dell'Unione Europea a Helsinki nel quadro dello sviluppo di una comune Politica Europea di Sicurezza e Difesa, ed a favore della realizzazione dell'Identit Europea di Sicurezza e Difesa, quale rafforzato pilastro europeo in seno alla NATO. Queste scelte sono il frutto di un nuovo ruolo e di nuove responsabilit in materia di sicurezza che il Paese ha saputo assumere nel corso delle ultime Legislature. In particolare, l'elevato contributo fornito in occasione delle missioni di pace nei Balcani, ancor pi significativo se sommato all'effetto moltiplicatore derivato dall'essere stata nazione ospitante per la logistica di parte predominante delle Forze Alleate, ha evidenziato l'acquisita consapevolezza che la pace non pu essere garantita se non condivisa anche all'esterno. Nonostante le incognite degli scenari globali, il percorso della politica di sicurezza e difesa italiana per il prossimo decennio/quindicennio ormai tracciato, con l'avvio di una stagione di rinnovamento ed innovazione sia del pensiero strategico nazionale, sia della policy di sicurezza, sia della qualificazione del capitale umano, sia di ammodernamento di tutte le componenti portanti della Difesa. La fase attuale del quadro della sicurezza euroatlantica erede delle trasformazioni intervenute in ambito NATO ed UE nell'ultimo decennio del secolo scorso, processo in cui l'Italia ha avuto un ruolo di rilievo, contribuendo al 135

superamento delle vecchie barriere che dividevano l'Europa, all'aggiornamento del legame transatlantico, coniugando in maniera qualificata gli obiettivi strategici dell'integrazione europea con quelli del consolidamento degli spazi euro-atlantici. Gli interessi nazionali (la significativa partecipazione alle missioni di pace lo testimonia) si tutelano soprattutto attraverso il contributo alla definizione del sistema di obiettivi di pace, stabilit, sicurezza, legalit, salvaguardia dei diritti umani e sviluppo della comunit internazionale, dell'Unione Europea e dell'Alleanza. L'Alleanza Atlantica ha preso atto, al Vertice di Washington (1999), dei rischi di natura batteriologica, nucleare e chimica esistenti ed ha ribadito il valore della deterrenza e della necessit di mantenere un'adeguata e credibile capacit di risposta flessibile nei riguardi della potenziale minaccia di attacchi con armi di distruzione di massa rivolti contro un Paese alleato o l'Alleanza nel suo complesso. Globalizzazione e sviluppo tecnologico ampliano il novero delle opportunit ma, contemporaneamente, configurano l'emergere di nuove minacce e rendono obsolete talune difese di natura unilaterale. La scelta strategica di fondo di un'ampia collaborazione internazionale nel settore della difesa, con particolare sostegno e partecipazione a ricerca e programmi europei, si unisce all'opportunit di utilizzare i risultati e le ricadute della ricerca civile-commerciale (tecnologie duali87), assai significativi in campi come le comunicazioni e lo spazio. Gli sviluppi tecnologici sono in grado di sollecitare cambiamenti nella stessa dottrina militare, come suggerisce il dibattito sulla RMA (Revolution in Military Affairs). Il quadro di accresciuta imprevedibilit in cui ci troviamo ad operare accentua la 87 Duali sono definite quelle tecnologie a doppio uso civile e militare. EUCLID (1990) favorisce
lo sviluppo della base tecnologica delle imprese. Gli attuali progetti EUCLID impegnano circa 38 milioni di Euro, mentre per quelli futuri si prevede una spesa aggiuntiva di circa 15 milioni di Euro annui. THALES (1996) favorisce la cooperazione tra laboratori ed enti di ricerca governativi. Il Mutual Use of Test Facilities (mutuo uso degli impianti di sperimentazione) ha lo scopo di incoraggiare e razionalizzare l'utilizzazione reciproca dei centri di ricerca e sperimentazione governativi. SOCRATE consente la partecipazione di Austria, Finlandia, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia e Ungheria ai programmi di ricerca WEAG. "Preparazione del futuro" un progetto di MoU italo-francese per il finanziamento dei progetti di ricerca e lo scambio di informazioni tecniche.

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necessit che la sicurezza sia sempre pi: multidimensionale, ad alta integrazione internazionale, interforze, incardinata sull'informazione e sulla rilevanza tecnologica. Multidimensionale perch la dimensione transnazionale dei rischi e la concreta esperienza delle operazioni militari a sostegno della pace richiedono un approccio integrato nella gestione delle crisi. La crisi non un'emergenza puntuale, ma un continuum che va gestito preventivamente, tempestivamente e, nei limiti del possibile, compiutamente. Essa parte da fattori di rischio preesistenti e termina con il riassestamento politico dell'area colpita e la ricostruzione economico-sociale verso assetti pi stabili, sostenibili, rispettosi dei diritti umani e democratici. L'alta integrazione internazionale , al tempo stesso, una scelta politica ed un dato di fatto. La scelta politica dell'Italia, dell'Europa, della comunit euro-atlantica privilegia il dialogo e la cooperazione globali e regionali come strumenti di prevenzione e risoluzione dei problemi, il rispetto delle norme internazionali liberamente accettate, l'integrazione europea ed il legame transatlantico. Nessuna Nazione europea occidentale oggi in grado di garantire autonomamente aspetti rilevanti della propria sovranit e dei propri interessi particolari, cos come per le interdipendenze create dalla globalizzazione, le stesse grandi potenze sono consapevoli che integrazione e cooperazione sono garanzie del mantenimento degli elevati livelli di sviluppo raggiunti. L'Italia, da parte sua, continuer a sviluppare la sua azione in stretta connessione con l'iniziativa dei grandi fori internazionali, non escludendo, tuttavia, in linea di principio ed in circostanze particolari di minaccia specifica alla propria sicurezza, in accordo con la Carta dell'ONU, eventuali legittime azioni unilaterali, esaurite tutte le possibilit di gestione multilaterale ed integrata. In questo ambito, per la parte che le propria, la diplomazia militare svilupper la sua azione, in coerenza col quadro dei principi e degli orientamenti espressi dai quattro fori internazionali fondamentali (ONU, OSCE, NATO e UE). L'impiego dello strumento militare a tutela della sicurezza interna ed internazionale, della legalit internazionale, dei diritti umani, del rispetto delle minoranze e della convivenza pacifica tra i popoli trova riscontro in precisi fondamenti costituzionali ed avviene in conformit alle regole del diritto internazionale, anche con riferimento alle modalit di condotta dei conflitti armati (jus in bello). 137

La riforma e l'apertura negli ultimi dieci anni della NATO e la crescita dell'Unione Europea hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo di condizioni di libert, democrazia e progresso nel continente europeo, nel rispetto degli interessi legittimi di sicurezza di tutti gli Stati, creando un clima di attiva cooperazione attraverso il Partenariato per la Pace tra gli alleati e gli altri Paesi, a partire dalla Russia, grande potenza strategica, e dall'Ucraina, protagonisti tutti del processo di pace e di riduzione degli armamenti in corso. Il passaggio progressivo e graduale attualmente in corso dei Paesi candidati a membri a pieno titolo dell'Alleanza Atlantica e dell'Unione Europea favorir l'espansione di iniziative tese all'affermazione di valori di coesione e solidariet, aperte alla collaborazione con quanti condividono gli obiettivi della tutela della sicurezza e della stabilit internazionali. Ulteriore stabilit e sicurezza verranno dallo sviluppo politico ed operativo della Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD), importante e trainante fattore d'integrazione dell'Unione Europea ed asse politico pi innovativo del prossimo decennio. La UE dovr saper essere un efficace attore di sicurezza multidimensionale ed elemento di riequilibrio di un rapporto transatlantico di cui si confermano importanza e vitalit. Un indirizzo strategico di questa natura richiede che gli europei comprendano la necessit di dotarsi di accresciute e pi efficaci capacit militari, sostenute da una politica dei materiali di difesa ed una politica industriale in grado di dar vita ad un mercato di dimensioni continentali, sostenuto da un sistema industriale europeo robusto ed aperto alle nuove possibilit di cooperazione e competizione transatlantica e mondiale. La NATO rappresenta la pietra angolare della sicurezza collettiva euro-atlantica, proiettata in una dimensione di estensione ed apertura (outreach and openness). Tale evoluzione dipende in modo decisivo da un'equa suddivisione tra europei ed alleati nord-americani di ruoli, rischi, responsabilit e benefici nella difesa comune. per questo che si sta attuando un rapporto coerente, sinergico e trasparente tra Identit Europea di Sicurezza e Difesa (IESD), in seno all'Alleanza, e la Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) dell'Unione Europea. Questa relazione dettata dalla disponibilit di un unico insieme di forze e capacit, in cui il nuovo ruolo europeo pone l'esigenza di maturazione di ulteriori capacit di comando e controllo delle forze proiettabili in teatri esterni. L'Italia fra i Paesi in grado di svilupparle e di esprimerle. 138

Le missioni affidate alle FF.AA. vanno assolte secondo una logica interforze e multinazionale (Joint and Combined), per poter coprire efficacemente tutti gli ambienti operativi e tutti i rischi di sicurezza in cui sia legittimo ed efficace l'impiego dello strumento militare nelle sue componenti (Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri). La dimensione preminentemente ed intrinsecamente interforze e multinazionale degli scenari e delle missioni operative, in cui le nostre Forze Armate saranno chiamate ad operare, richiede quindi una impostazione concettuale, di pianificazione, direzione e gestione dello strumento militare nazionale e delle sue componenti, fortemente unitaria, integrata e sinergica. L'insieme delle nuove missioni comporta l'acquisizione ed il mantenimento delle capacit definite e concordate in sede NATO ed Unione Europea (alla base delle azioni di ristrutturazione avviate). Fra esse risultano particolarmente importanti e critiche quelle del C4ISR (Comando Controllo Comunicazioni Computing, Intelligence, Sorveglianza, Ricognizione), della proiettabilit e mobilit; dell'ingaggio efficace; del sostegno logistico e della protezione delle forze. La gestione di queste forze e delle loro capacit sar tesa a concentrare gli effetti sull'obiettivo da perseguire. La corrispondenza tra le capacit individuate come prioritarie e critiche in sede europea (HGC) e quelle indicate in sede atlantica (DCI) contribuisce al rafforzamento delle capacit operative europee della NATO e della UE, consolidando il rapporto sinergico fra le due organizzazioni. Il quadro strategico tiene conto degli effetti positivi e negativi della globalizzazione e delle proiezioni a lungo termine di importanti fattori che influenzano il contesto generale. Le questioni su cui si deve misurare la politica di sicurezza nazionale sono: la stabilizzazione dell'Europa del Sud-Est per scongiurare l'insorgere di nuovi conflitti locali e neutralizzare i fattori di fragilit delle nuove democrazie (tra i quali il crimine organizzato transnazionale); l'evoluzione dei Paesi nelle aree del Maghreb e del Medio Oriente/Mar Rosso, nel contesto dei rischi globali di proliferazione; il sostegno costruttivo al pi vasto processo di positiva evoluzione del difficile rapporto greco-turco e di inserimento della Turchia in Europa; l'attenzione alle crisi caucasiche ed alle loro connessioni di lungo periodo con i Paesi dell'Asia Centrale; il nuovo ruolo internazionale del Paese come attore di primo piano della sicurezza regionale nell'ambito dell'UE, 139

della NATO, dell'OSCE e dell'ONU. Le politiche della Difesa si inquadrano in una concezione che parte dalla "grande strategia" del Paese, si esplica in una politica di sicurezza multidimensionale e si realizza nelle politiche in cui la Difesa ha un ruolo particolarmente rilevante (politica militare, diplomazia militare, politica dei materiali di difesa). Mentre la zona dell'Europa Occidentale inserita nell'area coperta dalla partecipazione alla NATO ed alla UE, le aree geografiche della Regione Mediterranea considerate di preminente e pi diretto interesse nazionale per questa politica sono: Europa Sud- Orientale; Europa Orientale; Nord Africa; Vicino e Medio Oriente; Mar Rosso e Corno d'Africa; Mar Nero, Caucaso e Transcaucaso. La diplomazia militare ha lo scopo di ampliare e consolidare l'area della stabilit e della sicurezza condivisa e di prevenire e risolvere le possibili crisi con strumenti fondamentalmente negoziali e di cooperazione, in sinergia con la politica estera. La politica dei materiali di difesa si occupa di raggiungere gli obiettivi di ricerca e sviluppo, tecnologici e d'approvvigionamento dei materiali necessari allo svolgimento della politica e della diplomazia militari. I punti qualificanti della politica dei materiali di difesa sono: creare un mercato comune europeo dei materiali di difesa; consolidare un'identit europea industriale nel settore, aperta alla collaborazione transatlantica e a futuri sviluppi globali; giungere alla creazione di un'agenzia europea degli armamenti; elaborare regole comuni europee in materia di politiche d'esportazione. Il contributo alla sicurezza collettiva nell'ultimo decennio facilmente riassumibile ricordando i teatri operativi in cui hanno agito o agiscono le Forze Armate italiane: Namibia, Salvador, Cambogia, Angola, Afghanistan, Golfo Persico, Kuwait, Iraq del Nord, Somalia, Mozambico, Albania, Adriatico, FYROM (Macedonia), Bosnia-Erzegovina, Kossovo, Uganda, Guinea, Congo, Libano, Turchia, Sinai, Israele, Timor-Est, Eritrea, Etiopia. Si tratta di un lungo e significativo complesso di impegni che conferma la scelta di fondo di una politica di intervento e concorso attivo a favore della pace, della stabilit, della sicurezza e della legalit internazionale anche al di fuori delle aree di pi diretto interesse strategico nazionale. L'ultimo contributo di grande rilievo , in ordine di tempo, quello reso disponibile, 140

nel quadro dell'emergente Politica Europea di Sicurezza e di Difesa, per il conseguimento degli obiettivi fissati a Helsinki in tema di future capacit europee integrate per la gestione delle crisi internazionali: 20.000 soldati, pari a 4 brigate sperimentate e d'lite con relativi supporti; un gruppo navale con portaerei leggera e componente anfibia, forte di 21 navi e 22 tra aerei ed elicotteri imbarcati; 47 aerei da combattimento e trasporto, un sistema di comando e controllo e due batterie di missili contraerei; un reggimento di Carabinieri per assumere la guida di unit multinazionali specializzate. Si tratta di uno sforzo di dimensioni analoghe a quello degli altri principali Paesi della UE. La natura e le caratteristiche del nostro impegno nelle missioni di pace negli ultimi anni sono anche il frutto dell'elaborazione delle lezioni apprese in decenni di esperienza operativa e di un approccio nazionale alle operazioni militari di sostegno alla pace. Questo approccio fonde: la prevenzione del confronto, combinando i contributi di forze militari, intelligence e diplomazia ufficiale e parallela; la robustezza militare a scopo deterrente e di protezione dei contingenti unita ad un uso calibrato e proporzionato della forza solo in casi di stretta necessit; il generoso impegno nella collaborazione a favore della popolazione civile. Nel contesto degli orientamenti prima delineati della nostra politica militare si inquadrano le quattro missioni dello strumento militare: la difesa degli interessi vitali del Paese; la protezione degli interessi strategici; la prevenzione e la gestione delle crisi internazionali; il concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni ed assistenza nelle pubbliche emergenze. Esse richiedono una profonda integrazione interforze che tenga conto anche dei nuovi rischi multidimensionali (quali ad esempio le instabilit ed i conflitti regionali e il crimine organizzato transnazionale) e del significativo e complesso ruolo assolto, in questa nuova dimensione dei rischi, dalla componente dell'Arma dei Carabinieri. L'intelligence, in un'epoca permeata dalla rivoluzione dell'informazione, ha un ruolo centrale nel proteggere e promuovere l'interesse nazionale, salvaguardando la sicurezza del Paese. Rispetto alla prevenzione e risoluzione delle crisi un elemento focale ed un vero moltiplicatore di forze. Il 2004 si annuncia come un anno di svolta nella evoluzione dellorganizzazione 141

della Difesa. Il semestre italiano passato alla guida dellUnione Europea ed i rilevanti impegni internazionali di cui lItalia si fa carico sono una significativa testimonianza del suo ruolo nel panorama variegato del nuovo ordine mondiale. Le risorse disponibili, in conseguenza dellimportante opera di risanamento economico del Paese, costituiscono un condizionamento al quale la Difesa si adegua con senso di responsabilit, nel rispetto e nella partecipazione alle misure economiche adottate dal Governo e, nella rinnovata determinazione allassolvimento dei propri compiti di difesa dello Stato e di tutela degli interessi nazionali, nel quadro degli inalienabili principi improntati al perseguimento ultimo della pace, della stabilit e della sicurezza e salvaguardia dei diritti umani.

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CONCLUSIONI
Le tematiche affrontate in questa analisi riguardano dimensioni fondamentali della vita individuale e collettiva, analizzate dalla prospettiva dellintegrazione europea nei settori della sicurezza e della difesa, nel contesto di una politica estera comune. A completamento dellesame sulla evoluzione delle organizzazioni internazionali nellambito del concetto di sicurezza collettiva, nel presupposto che gli individui e le culture elaborino cognitivamente ed emotivamente in maniera diversa il binomio sicurezza/insicurezza a causa delle molteplici componenti variamente connesse su scala locale, nazionale, regionale e internazionale, appare di grande interesse esprimere alcune considerazioni a riguardo delle percezioni, delle immagini e degli atteggiamenti conseguenti elaborati dalle persone e dai gruppi sociali. Rischi e minacce, sicurezza e difesa non sono quindi solo risultati di eventi oggettivi, esterni, ed effetti di decisioni politiche e di attivit ad esse correlate, ma si sostanziano anche quali rappresentazioni collettive. Lemergere e lescalation delle crisi, i rischi e la loro gestione, le radici delle minacce e le politiche per contenerle interagiscono profondamente con la difesa e la sicurezza, in quanto questi ultimi sono considerati quali beni simbolici elaborati, prodotti e sostenuti collettivamente e fruiti soggettivamente. Un tipo di analisi che parta dalle percezioni, dagli atteggiamenti, dalle opinioni e dalle immagini che si formano al riguardo quindi di fondamentale supporto per la comprensione delle complesse dinamiche che attraversano questa dimensione, oggi pi che mai centrale per la civile e pacifica convivenza, e rappresenta un punto di partenza irrinunciabile per la costruzione di un linguaggio comune tra istituzioni e cittadini, cio per una comunicazione politica ed istituzionale priva di equivoci e di fraintendimenti, a sua volta indispensabile elemento per ogni elaborazione di progetti che impegnino la responsabilit reciproca in ambito internazionale, nel quadro di 143

comuni regole condivise. Il tempo della tollerabilit delle insicurezze parziali pu considerarsi tramontato: divenuto globale, il nostro mondo si presenta come un reticolo di interconnessioni strettamente interdipendenti, per cui la dfaillance di un solo elemento, fosse anche molto piccolo, pu compromettere la tenuta dellinsieme. Inoltre, i rischi sono oggi globalizzati, cio si presentano su scala planetaria, ed includono i problemi ecologici, il terrorismo internazionale, i collassi economici che destabilizzano intere regioni, la proliferazione delle armi batteriologiche, chimiche e nucleari, nonch la permeabilit delle frontiere, mettendo cos in crisi la dimensione esclusivamente statuale ( politico-diplomatica e militare ) della sicurezza e della difesa. La sicurezza quindi oggi un concetto complesso, interpretabile i diversi modi: se in termini generali pu essere definita una sorta di protezione dellidentit (di appartenenza etnica, religiosa e cos via), in termini specifici interessa dimensioni a pi livelli tra loro interconnessi, che partono dalla sicurezza interna ma interessano quella nazionale, quella collettiva di area e giungono fino allambito globale. La trasversalit dei rischi e delle minacce necessita di un approfondito ripensamento della tutela delle popolazioni secondo linee del tutto nuove, che vanno al di l delle tradizionali impostazioni geostrategiche e giuridiche. Siamo passati dalla visione tipica della guerra fredda che riduceva il concetto di sicurezza ai suoi aspetti militari e strategici (intesa come sicurezza nazionale) allemergere di nuove nozioni: la sicurezza divenuta multidimensionale e multifunzionale. Nella sua accezione pi profonda, la human security (che pone una forte enfasi sulla difesa dei diritti delluomo, delle minoranze e soprattutto dei soggetti vulnerabili, sulla condanna dei crimini contro lumanit, includendo anche un ventaglio di minacce molto pi ampio) si sta ponendo, in maniera sempre pi marcata, come uno dei principi fondamentali a cui ispirare la politica estera degli Stati. Questo ripensamento concettuale pone al centro dellattenzione alcune domande fondamentali sullesistenza, la natura e la costruzione sociale della minaccia e sui modi in cui la sicurezza viene praticata; ci si dovr cos muovere con una nuova considerazione del degrado ambientale, dei rischi alimentari e delle epidemie, della crescita demografica differenziale e delle conseguenti migrazioni incontrollate, della criminalit, del terrorismo internazionale, delle guerre domestiche o meno e cos via. Venendo cos meno le classiche distinzioni tra sicurezza interna e esterna, nazionale e internazionale, la ricerca di una sicurezza globale deve essere 144

considerata, con piena ragione, la vera sfida del terzo millennio.

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