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I contesti: dal disagio dei minori al disagio degli operatori

Gli operatori tra pi fuochi, come giocarsi il proprio ruolo al meglio


di Umberta Telfener* 1. Operatori delusi e scoraggiati Lespressione delusa della psicologa assunta come operatore in una cooperativa che deve fare i conti tra le proprie aspettative tradite, il mandato e il coinvolgimento personale da una parte e la realt di tutti i giorni dallaltra; le lacrime delleducatrice che non riesce a evitare che un bambino venga tolto alla famiglia dai servizi sociali che hanno lavorato senza informarla; lo sguardo sperso di un clinico che non comprende liter di una famiglia in via di separazione nella difficile relazione tra tribunale, regole di affido e possibilit evolutive; le speranze frustrate di molti operatori pieni di buona volont . Tutti i giorni capita di incontrare operatori delusi e scoraggiati per la difficolt di vedere riconosciuto il loro ruolo e di trovare un lavoro permanente e, pi ancora, per la fatica di acquisire una voce competente nellinterazione tra tante figure che si succedono e si affiancano, ma raramente si ingranano tra loro su una stessa situazione. Consapevole della difficolt del lavoro sociosanitario, soprattutto in questo momento storico1, vorrei individuare alcuni spunti di riflessione per poi accennare a un possibile percorso ottimale per lavorare con minor fatica e con un ritorno. 1.1. Lo smantellamento dei servizi in atto In Italia sta avvenendo un vero e proprio smantellamento dei servizi della salute mentale pubblici, che vengono svuotati di operatori e di significato. Oltre alle spiegazioni economiche, a mio parere tre altre ragioni rendono il lavoro integrato a volte impossibile: a. lincomprensione da parte di chi deputato a organizzare i servizi della differenza epistemologica del lavoro psichico rispetto a quello sanitario; b. la progettazione dei servizi e dei progetti in maniera lineare e semplice anzich complessa ab initio;

* Psicologa clinica, didatta sistemica e supervisore di strutture connesse alla salute mentale pubbliche e private, Roma. 1 Alla fine degli anni 80 un gruppo di operatori della salute inglesi che hanno studiato il servizio di salute mentale italiano lo hanno definito il migliore possibile. Da quella loro esperienza nato anche un libro: L. Fruggeri, U. Telfener et al., New Systemic ideas from the Italian Menthal Health Movement, Karnac Books, London 1991.

c. la contrapposizione anzich lintegrazione tra ottiche e posizioni diverse tra operatori che lavorano insieme. La conseguenza sempre pi frequente quella di servizi che partecipano alla costruzione della cronicit e di esiti indesiderati. Lindividuazione di un danno in un braccio rotto facile, c il corpo materiale, c qualcosa che non come dovrebbe essere; limmaterialit della mente crea una serie di problemi di oggettivizzazione sia dei temi su cui lavorare sia rispetto al rischio costante di un adeguamento alle norme culturali tacite, omeostatiche, normalizzanti e ortopediche. Troppo spesso si accomuna la psicologia alla medicina 2. La psicologia una prassi differente. Sua premessa eterogenea rispetto a quella dei medici e dei magistrati lineluttabilit del non sapere come posizione inevitabile, conseguenza del lavorare su situazioni impalpabili e non oggettive che obbligano a prendere decisioni che sono indeterminabili e indecidibili3. Mentre alcune altre discipline sono basate su leggi definite a priori e su prassi consolidate per cui pi si sa pi si competenti, nel mestiere degli psicologi necessario tollerare lincertezza e avere la capacit di avventurarsi in territori inesplorati. Premessa del lavoro sociopsico-educativo, sia per psicologi che per educatori, psichiatri, assistenti sociali e operatori generici non quella di agire su una realt reale quanto piuttosto la riscrittura di copioni e la decostruzione di processi che implementano circoli viziosi. Noi siamo costruttori e gestori di contesti oltre che creatori di senso e complessificatori di significati, certo non archeologi della psiche, n la psiche un substrato oggettivo e cosale dal quale far emergere dati certi. Loperatore sociosanitario non sa di pi e meglio del cliente: le sue teorie, ipotesi e narrazioni non sono pi vere; sono plausibili esattamente come quelle degli altri con i quali partecipa allanalisi delle situazioni. Come ci spiega Marco Bianciardi4 quello che le differenzia il fatto che le ipotesi del clinico dovrebbero rimanere a un ordine logico differente rispetto a quelle dei clienti: non al livello dei contenuti ma a quello dei processi che organizzano la conoscenza; non al livello del conoscere (operazione di primo livello) ma a quello del conoscere la conoscenza (secondo livello). Mentre il cliente si presenta con una narrazione che crede essere una descrizione oggettiva della realt, il clinico propone ipotesi alternative, senza ritenerle uniche e veritiere, allo scopo di verificare la loro utilit e la loro coerenza, al fine di complessificare la percezione del mondo e costruire una conversazione che possa evolvere e che sia perturbativa. Diventa importante sapere che si lavora da una posizione di sapere plurima: ci sono cose che sappiamo (da cui emergono le ipotesi che facciamo), altre che non sappiamo (la consapevolezza della nostra ineludibile ignoranza), cose che sappiamo di sapere (da cui emergono riflessivit e consapevolezza) e sappiamo di non sapere (che danno origine alla nostra curiosit);
2 Vedi lo scempio allUniversit La Sapienza di Roma dellannessione della Facolt di psicologia alla Facolt di medicina. 3 H. Von Foerster, Ethics and second order cybernetics, International Conference Systems & Family Therapy, Etics, Epistemology, New Methods, Paris 4-5-6 ottobre 1990, reperibile in 4 M. Bianciardi, Centralit della relazione terapeutica in terapia sistemica individuale, Connessioni, n. 20, marzo 2008.

ancora, ci sono cose che non sappiamo di non sapere (che portano alla collusione, alla risonanza) e che non sappiamo di sapere (che scaturiranno come esperienza intuitiva). Il clinico quindi la persona che sa di sapere e sa di non sapere, in quanto ogni descrizione soggettiva, parziale, riduttiva, auto-referente e temporanea. Diventa importante tollerare il dubbio e lincertezza. Il clinico deve soprattutto essere consapevole della possibilit di non sapere di non sapere, considerare quindi inevitabili alcune sue zone cieche e la possibilit costante di esiti indesiderati. Questo implica fare interventi insaturi, dare suggestioni, non credere troppo alle proprie ipotesi, aprire possibilit anzich limitarle. Significa sapere che anche quando le persone arrivano con un problema definito o quando un contesto propone un bisogno specifico, la domanda emerge dal processo di negoziazione che conduce alla costruzione di una cornice condivisa. necessario che non ignoriamo la nostra ignoranza e che ci rendiamo conto che: a. non tutte le informazioni sono alla nostra portata; b. possiamo conoscere un sistema solo parzialmente ma plausibile che risuoniamo con esso; c. la collusione nella quale cadiamo inevitabile e pu essere utilizzata per comprendere di pi; d. rischiamo costantemente la possibilit di creare cronicit, soprattutto se partecipiamo alla costruzione della gravit/ pericolosit della situazione con la quale ci stiamo confrontando; e. il processo che instauriamo pu far star male (rischio del rischio iatrogeno, iatreia = cura, gignomai = nascere, che nasce dalla cura) anche quando lintervento condotto nel migliore dei modi possibili5; f. gli esiti indesiderati, potendo emergere anche da un intervento condotto nel migliore dei modi, devono sempre essere presi in considerazione come possibilit in modo da intervenire mutando noi stessi e creando un processo evolutivo attraverso la ridefinizione adattativa del sintomo e operazioni sulle operazioni. 1.2. Il mandato dei servizi esperti per i malati Un altro costrutto sociale reificato costantemente che ha un valore di forte coesione sociale la dicotomizzazione rigida e oggettiva tra sani e malati, tra esperti e incompetenti. Triest6, rifacendosi a Bion7 e riproponendo quanto ci avevano gi detto Foucault, Satz e Illich, prende in considerazione le relazioni inconsce che si formano tra le organizzazioni che si occupano di salute mentale e la societ in cui sono inseriti. Esplora il ruolo di mantenimento assegnato dalla societ a specifici gruppi di lavoro specializzati (lesercito, le chiese, laristocrazia) nello sforzo di prevenire/evitare lo smembramento della vita quotidiana e di sbarazzare la societ del
5 M. Bianciardi, U. Telfener (a cura di), Ammalarsi di psicoterapia. FrancoAngeli, Milano 1995. 6 J. Triest, Save the saviour, Pedriali and our workshop on Learning from doing, Milano 2010. 7 W.R. Bion, Experiences in groups, Tavistock/Routledge, London 1961. 3

pericolo di essere dominati dallassunto che il gruppo rappresenta (gli assunti di base diventano pericolosi in proporzione ai tentativi fatti di tradurli in azioni). Le organizzazioni che ruotano attorno alla salute mentale, sostiene lautore, vengono investite del compito di occuparsi dei devianti e finiscono per operare sotto un assunto di base unico, quello dellinclusione/esclusione. Lo scopo quello di tener rinchiusi gli altri (coloro che manifestano sintomi e si discostano dalle norme) e rassicurare/ricompattare i cittadini che si definiscono normali proprio attraverso questa prassi di esclusione. Collegando gli assunti di base alle dinamiche interne delle organizzazioni che si occupano di salute mentale e allimmagine degli operatori, Triest sostiene che ci sia un paradosso costitutivo di tutto il lavoro nella salute mentale: le organizzazioni connesse alla salute mentale e i loro operatori portano a termine il loro scopo sociale solamente a patto che non raggiungano risultati soddisfacenti nella missione di riabilitare i matti e di non reintegrarli nella societ. Il mandato cui gli operatori si trovano a rispondere quindi molto ambiguo e ambivalente e la posizione dei malati come distanti e diversi da chi cura crea una dicotomia che ostacola il processo stesso di presa in carico e una reale collaborazione nel processo. L'unica possibilit di uscita dalla situazione attuale , secondo Aldo Bonomi8, l'alleanza tra la comunit di cura (gli insegnanti, gli operatori di salute e soprattutto quelli di salute mentale, per la loro necessit di confronto con linclusione e lesclusione) e la comunit operosa (le imprese, il lavoro) impedendo che quest'ultima si allei con la comunit rancorosa (quella comunit che si crea con il gossip televisivo quotidiano, quella del rifiuto e della critica). Un altro modo per uscire da questo paradosso costitutivo potrebbe essere proprio quello di chiedere aiuto ai nostri utenti e lavorare con loro anzich su di loro, implementando la fiducia nelle loro ipotesi e nelle loro risorse, ma questa possibilit tutta da costruire. 1.3. Le divaricazioni fra lavoro sociale e sanitario e terzo settore I lavori sociale e sanitario rischiano di divergere sempre pi e il ricorso al terzo settore (cooperative che non hanno una specificit n sociale n sanitaria e che non assumono ma coinvolgono attraverso contratti a termine 9) crea percorsi sempre diversi in cui agli operatori vengono chiesti salti mortali: contratto generico e lavoro come professionista, azzeramento della propria professionalit, assenza di figure cardine fondamentali per la delicatezza del lavoro richiesto che risultano solamente sulla carta ma che non vengono istituite (vedi il case manager, il supervisore), operativit nei contesti dove non possibile per limprovvisazione del lavoro, equipe con professionalit diverse che devono operare nello stesso modo, doppie/triple
8 A. Bonomi, Sotto la pelle dello stato, Feltrinelli, Milano 2010. Triest e Bonomi mi sono stati fatti conoscere
dallamico e collega Valerio Vivenza, che ringrazio e che mi scrive a proposito di questi argomenti: Credo sia necessario un movimento pi ampio, al di fuori della salute mentale, della salute in generale, del pubblico. Si sta affermando una modalit di welfare diversa che non passa unicamente dalla grande azienda pubblica ma che non di meno statale. Un movimento tutto ancora da costruire, in nuce . 9 Secondo un articolo de La Repubblica del 12 giugno 2011, c un abuso di contratti a termine che spiega come i precari coprano la carenza di un organico sempre pi ridotto e dilaghino i rapporti a tempo determinato anche in settori delicati come gli ospedali e le compagnie aeree.

committenze, contratti capestro, lavori impegnativi e coinvolgenti pagati a babbo morto, mancata coordinazione tra figure professionali diverse Questo crea una semplificazione degli interventi e della lettura dei contesti che, rispondendo a una logica meccanicistica, si allontana sempre pi dalla professionalit psi, la travisa e ne tradisce il significato intrinseco. Quegli operatori che lavorano coi pazienti con un modello semplice in un servizio che stato pensato ab origine in maniera semplice, intervengono su qualcuno in unottica sommatoria (aggiungere interventi e operatori, credendo che questa sia una soluzione possibile quando invece contribuisce a considerare il problema grave e la situazione compromessa). Aiutano a risolvere un problema oggettivandolo, decodificandolo allinterno di categorie definite a priori e chiamandosi fuori dal problema. Interventi di questo genere per sommatoria non fanno altro che incistare la situazione, veicolare un messaggio di patologia e costruire il portatore di sintomi come colui/colei che malato, matto o molto danneggiato. Mi ricordo invece Gianfranco Cecchin il quale, di fronte ad un paziente che durante le sedute peggiorava, decideva di allungare il tempo tra un incontro e laltro, spiegando allinteressato che forse insieme avevano messo in atto incontri troppo perturbativi. Che messaggio di competenza e fiducia inviava al suo interlocutore circa le sue risorse e la sua possibilit di resistere al peggioramento! Che fiducia nel processo passava, non permettendosi di dubitare della soluzione messa in atto e come rimaneva fermo nella certezza prognostica di una possibile evoluzione per il meglio! La psicologia come prassi contestuale non a caso impone di mettere in comune premesse sul contesto e sul progetto e condividere possibili percorsi, anzich agire sullaltro da una posizione privilegiata ed esterna. Ho presente contesti in cui la fiducia nelle persone e nellevoluzione dei problemi fa s che il lavoro psi sia prevalentemente una coordinazione di una coordinazione di premesse e progetti anzich lindagine sempre pi intrusiva su pensieri pirata e vissuti disomogenei, ricercati tra le orecchie dellaltro. 1.4. Legemonia di una logica categoriale e riduttiva Anche le categorie che gli operatori utilizzano sono intrise della cultura e delle pratiche occidentali sia esplicite che tacite. Troppo spesso ci si attesta sulla patologia anzich sulle risorse degli individui e dei sistemi in toto; troppo spesso si fa riferimento a categorie normative gi presenti nella societ, allontanando la possibilit di soluzioni alternative e di processi nuovi. Troppo spesso si utilizzano categorie di giudizio assolutamente dicotomiche: o buoni o cattivi, onesti o disonesti, perdendo la possibilit di tirar fuori dagli altri anche le loro qualit nascoste. rischiosa legemonia di una logica categoriale e riduttiva. Come operatori della psiche non abbiamo il compito di identificare malattie ma siamo chiamati a ragionare sui processi che emergono dalla commistione di problemi e risorse, allinterno di un contesto definito. Ci sono anche altri modi di considerare i problemi che ci vengono portati che hanno a che fare con la descrizione, con luso di concetti descrittivi possibilmente psicologici e basati sulle relazioni allinterno dei contesti e
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delle pratiche sociali (con la consapevolezza costante di quali stiamo utilizzando). Servono in modo dimensionale per valutare come influiscono nellesperienza di s e del mondo, come sono, e/o sono stati, adattativi e per mettere in atto processi che coinvolgano la comunit pi estesa. La posizione dimensionale rispetta maggiormente la soggettivit, va verso la singolarit del funzionamento della persona. La salute mentale ha a che fare con lo sviluppo e la realizzazione di s, avere sintomi parte del processo di salute, avere un pattern di personalit serve per crescere. La domanda da farsi cosa successo ma non solo nella realt e nella storia del cosiddetto paziente ma anche nella comunit culturale allargata e nel tempo della cura, cio da quando il problema stato portato allo scoperto e gestito con gli operatori preposti. Luigi Boscolo solito affermare (come dargli torto?) che la cronicit emerge a seguito di pi operatori che etichettano in modo simile e categorizzano la persona entro confini rigidi dai quali non riesce pi ad affrancarsi. Il cadere nella trappola della malattia e della gravit del sintomo, la mancanza di coordinamento tra figure professionali, il rischio di entrare in risonanza e riprodurre dinamiche uguali a quelle vissute gi in precedenza, la mancanza di un case manager che coordini gli interventi e tenga in testa gli accadimenti e la strategia di intervento, lorganizzazione dei servizi basata spesso sullurgenza e sulla scarsa progettualit condivisa e molto altro ancora, fanno si che alcune se non molte situazioni cliniche rischino di diventare croniche non per la gravit della situazione stessa ma per come vengono gestite. Anche operatori singolarmente molto bravi perdono di efficacia allinterno di unorganizzazione che non tiene conto della necessit di costruire una strategia condivisa e di mettere in comune le premesse adattative e processuali che sono in campo. Solo unipotesi e un intervento che emergano dallembricazione di tutte le convinzioni in gioco possono risultare evolutivi, altrimenti si instaurer una lotta di potere (spesso tacita) che porter il paziente designato a venir preso in mezzo e a poter rispondere soltanto con i sintomi (di pi dello stesso). Diventa necessario per evitare la cronicit passare da un intervento inteso come tecnica allembricazione dei significati presenti nel contesto determinato dal problema, sottolineandone le potenzialit. Gianni Rotondo10 sostiene addirittura che i pazienti cronici sono utili ai servizi in quanto costituiscono la continuit tra teorie cliniche e terapeutiche che mutano ogni volta che cambia il primario. Le scissioni allinterno del servizio pubblico vengono recuperate e ricomposte nel singolo utente, a suo discapito in quanto rischia di non trovare pi la coerenza propria e della cura, cos come privi di coerenza sono stati spesso gli interventi che sono stati proposti nel tempo, uno di seguito allaltro, per sommatoria e seguendo una logica del servizio non rispettosa della persona. I pazienti diventano necessari a costruire la continuit e utili come collanti della storia del servizio anzich essere gli operatori utili ai pazienti!
10 G. Rotondo, Malattia mentale e servizi psichiatrici, in M. Bianciardi, U. Telfener (a cura di), op. cit. 6

1.5. Le prassi solitarie di lavoro Il mito della psicoterapia ha favorito prassi di lavoro uno a uno e la fantasia che le persone siano sane o malate, turbate psichicamente o perfettamente funzionanti. Il lavoro socio-psicologico invece, a mio parere, la co-costruzione di contesti in cui ciascuno possa operare al meglio. Basaglia 11 e Psichiatria democratica hanno proposto alla fine degli anni Sessanta cambiamenti radicali, rompendo le strutture di potere (bastavano un certo numero di letti occupati per diventare primario di un padiglione manicomiale). Si trattato certamente di una rivoluzione che per non ha avuto unevoluzione continuativa: la forza di alcuni modelli dellumano, la prassi duale come intervento pi comodo, le scuole private che insegnano privilegiatamente la psicoterapia, la complessit del sociale, le ragioni della crisi economica e dei tagli finanziari (il nemico diventa comodamente esterno, diventa qualcun altro in un luogo irraggiungibile) hanno fatto s che il paradigma individualistico non fosse sconfitto ma solo temporaneamente messo da parte. Anche i centri di salute mentale, nati collidea di contaminarsi col sociale, sempre di pi hanno rischiato con lentrata degli psicologi di diventare succursali di centri privati, favorendo attivit di secondo livello (dagli anni Ottanta a oggi) anzich favorire la sperimentazione di prassi alternative, contaminate col sociale e integrate nel territorio. Ne una dimostrazione la rinuncia a lavorare in equipe multidisciplinari, che prima era stata una vera risorsa. 2. Il percorso verso processi di co-costruzione con gli utenti e fra gli operatori Nel caso di un percorso sociosanitario cos come nella psicoterapia, non solo ci che viene scelto come terapeutico ad avere degli effetti terapeutici, ma anche ci che pu risultare di contorno o apparire del tutto inutile. Le parole e le azioni che facciamo e che non facciamo costruiscono la danza e possono portare o non portare agli effetti desiderati, proprio in virt del fatto che, in un processo di co-costruzione, non sono solo io operatore a determinare gli effetti di ci che metto in atto ma saranno anche e soprattutto i miei interlocutori (sempre plurali) ad attribuire un senso a ci che viene espresso in parole e azioni, retroagendo sulla base di questo senso attribuito. Alla luce di quanto affermato, o ci si dichiara sconfitti, disperando di poter intervenire, o ci si pone nella posizione di intendere lintervento come un continuo e costante provvedimento di secondo ordine durante il quale loperatore si interroga costantemente su quanto sta accadendo, sia a livello delle proprie premesse generali, sia a livello delle azioni concrete (ad esempio la scelta di una domanda, pi che di un'altra, di un percorso o di una decisione alternativa), come sostiene Bianciardi12. Tra le azioni concrete possiamo annoverare quegli interventi che si traducono nelle parole spese, nelle domande fatte nel corso della conversazione terapeutica
11 . 12 .. Bianciardi, 2006.

ma non solo; anche i progetti pensati e proposti; e, ancora, bere il the insieme (identificare un oggetto transizionale) oppure sporcarsi le mani usando immagini, metafore e storie inventate nel qui e ora dell'incontro e nello spazio co-costruito oltre a compiti a casa con gli utenti e riflessioni tra operatori: operazioni terapeutiche tanto quanto una conversazione tradizionale con lutente. La danza relazionale che include tutti i presenti ineludibile. Chi ha partecipato allindividuazione di un sintomo? Chi alla sua reificazione? In che modo gli operatori che vi hanno partecipato hanno colluso col problema, lo hanno ingigantito o hanno cercato di decostruirlo? Quali contesti evolutivi sono stati co-costruiti al fine di rendere la situazione processuale anzich statica? Quali aspetti sono stati compresi allinterno di un evento reale e quali disconosciuti? Ma ancora di pi, quali traumi ha rinforzato il lavoro socio-sanitario ? Non esiste nel lavoro con gli utenti un intervento lineare n un solo livello di osservazione/azione, lo continuo a ripetere. Mai. La ricorsivit, le doppie posizioni diventano garanzia di circolarit e processualit. Ci troviamo invece con operatori organizzati dallurgenza in contesti in cui sono stati messi a lavorare su una categoria di persone, senza una sufficiente riflessione sulle premesse del contesto e sulloperativit stessa. Colludere, secondo Laing13, significa connettersi a un sistema, fare un accoppiamento strutturale con esso, co-costruendo regole condivise che mantengono lo status quo. Unoperazione inizialmente ineluttabile al fine di venire accettati la necessit di confermarsi reciprocamente che Laing definisce un inganno condiviso, dove ciascuno accetta di stare al gioco dellaltro, attivando un processo di conferma reciproca. I processi collusivi sono fantasie agite allinterno della relazione, in un contesto dato, quando gli attori hanno scarsa consapevolezza di come il sistema funziona, nel desiderio quasi inconsapevole e sempre attivo di adattarsi a esso. Colludere significa anche cadere nelle trame di un sistema e ragionare secondo la logica del sistema stesso. Perdere quindi il proprio potere perturbativo e risuonare sulle stesse note che fanno risuonare il sistema. Si tratta di un momento di cecit: non sapere di non sapere porta a mettere in atto operazioni nella convinzione che possano essere perturbative quando invece sono troppo sintoniche con il clima interno e quindi diventano solo rumore e non producono nessun cambiamento. Non cadere nel gioco che ci viene presentato ma neppure venir espulsi, la difficolt sta nel rapporto tra riconoscimento e perturbazione, la posizione necessaria quella di essere contemporaneamente dentro e fuori. 3. Situazioni critiche e nuove modalit di lavoro Il clinico prende in carico problemi soggettivi e vi partecipa con la propria soggettivit. Premessa fondamentale di questo delicato processo diventa la
13 R.D. Laing (1961), Lio e gli altri, Sansoni, Firenze 1969. 8

formazione degli operatori sociosanitari al fine di implementare la competenza professionale e la capacit di essere persone integre e consapevoli di s. Gli operatori formati in maniera non specifica, insistendo sulla patologia del singolo14 si difendono dallansia oggettivando gli utenti o attuando un meccanismo di splitting (sono totalmente buoni e meritevoli di essere salvati oppure totalmente rompiscatole e inguaribili). Troppo poco si riflette con gli operatori su quanto siano investiti delle proiezioni e da relazionalit transferali e contro-transferali di colleghi e utenti (anche di capi), da fenomeni di rispecchiamento che non hanno valenza neutra e che subiscono in ogni luogo di lavoro. In Italia la prassi di apprendimento basata sullapprendimento nel fare (learning from doing di anglosassone tradizione) presente, naturalmente, senza venir esplicitata come modalit di estremo valore e senza che ci si rifletta abbastanza sopra; cos manca una riflessione esplicita sugli aspetti non verbali gesti, azioni e altri significanti delle situazioni di lavoro15. Si dovrebbero istituire nuove modalit di training pi attente agli aspetti concreti e a una lettura contestuale degli eventi. Aspetti individuali, gruppali, organizzativi e sociali dovrebbero diventare insegnamenti trasversali ai percorsi formativi delle diverse categorie anzich risultare processi favoriti o ignorati a seconda degli indirizzi delezione. Cos si dovrebbero aumentare le funzioni riflessive e ci dovrebbe essere una maggiore attenzione allo sviluppo personale (intuizione, uso di s, multidimensionalit, costruzione dellautorevolezza). arrivato il tempo che dovremmo decostruire molti dei percorsi formativi messi in atto fin ora per riflettere su un cambiamento delle premesse e conseguentemente dei percorsi stessi. Il rapporto tra prassi routinaria e spazio per nuovo apprendimento andrebbe ricalibrato per includere: a. una maggiore attenzione alle dinamiche correlate al senso di s (un pi equilibrato rapporto tra attivit pensare/fare con uninsistenza sul secondo aspetto, unindagine emotiva pi approfondita e personale, la riflessione sulla tensione tra bisogni individuali e gruppali, la gestione dei conflitti e del controllo, apprendere una prassi basata sul rispetto e sulla condivisione); b. la capacit di identificare i giochi in atto; c. lanalisi dei processi paralleli tra prassi istituzionale e cosa accade tra/negli/con gli utenti; d. una costante attenzione agli aspetti contestuali. Vediamo nel dato esperienziale alcune di queste modalit. 3.1. La valutazione della capacit educativa

14 In Italia abbiamo una dicotomia interessante, ci sono operatori formati solamente sulla patologia e altri poco consapevoli delle categorie diagnostiche; ambedue gli eccessi portano allinsicurezza nella prassi e a una progettazione monca. 15 R.D. Hinshelwood, L.D. Brunner, contributo al Pedriali and our workshop on Learning from doing, Milano 2010.

Il tribunale invia una coppia molto conflittuale al consultorio di zona con la richiesta di stabilire le modalit abitative e di frequentazione della figlia unica di circa quattro anni. La richiesta quella di una valutazione delle due figure genitoriali e della loro capacit educativa. Il padre molto manipolativo e influenza le figure apicali del servizio attraverso le sue amicizie personali, infondendo sospetti sulla salute mentale della moglie e sulla sua capacit genitoriale. Il caso arriva al consultorio gi inquinato da un incrocio di telefonate tra responsabili (del distretto e del servizio) e con una certa scia di urgenza e delicatezza. Il caso poi gi seguito dal Materno Infantile a seguito di problemi comportamentali e di sonno della piccola, triangolata tra i due. Il medico del distretto chiede agli operatori del consultorio di sua iniziativa di fare una valutazione psicologica anche della figlia (pi meglio, secondo lottica medica; pi peggio, in un'ottica di salute mentale, in quanto si rischia sempre letichettamento e la patologizzazione).

Gli operatori che si occupano del caso potranno difendere la loro professionalit solamente unendosi e collaborando tra loro, ridefinendo la domanda del tribunale, stabilendo un contatto tra servizi e andando a contattare personale il giudice preposto e rinegoziando la domanda e il mandato. Dovranno resistere insieme alle azioni e contro-reazioni della coppia, manipolativa e conflittuale e cercare insieme un modo per liberare la ragazza dal gioco interattivo e molto patologico dei genitori. Un caso in cui sono implicati operatori di strutture diverse ha bisogno del pensiero condiviso altrimenti lo spezzettamento crea iatrogenia certa. 3.2. Il trattamento delle dipendenze
Gli operatori di una cooperativa che non si era mai occupata di dipendenze sostituiscono gli operatori andati in pensione di un Sert con una lunga tradizione. Il lavoro prima era coordinato e collegiale, le premesse erano diventate comuni dopo una lunga prassi di discussione sui casi in equipe. Accedono al servizio sia pazienti con doppia diagnosi e una lunga storia di dipendenza che ragazzi che sono stati fermati dalla polizia per essere stati trovati alla guida con un tasso alcolico maggiore di quello di legge o per possesso di sostanze (la legge attuale , a mio parere, troppo severa e non distingue tra tipologia di dipendenze, con la conseguenza di creare pi danni di quelli che tenta di risolvere). Gli operatori giovani che sono intervenuti nel Sert non hanno avuto tempo di riflettere sul fenomeno e la loro doppia committenza (lavorano per il Sert ma sono assunti o hanno un contratto con una cooperativa) fa s che rischino di sentirsi presi tra due fuochi e che la dimostrazione della loro professionalit diventi la loro preoccupazione precipua. Se, nel tentativo di mostrare la loro capacit di risposta, i giovani operatori rispondono alle due tipologie di pazienti nello stesso modo (con veemenza, trattando anche le situazioni occasionali come pericolose e disfunzionali e i giovani malcapitati come futuri tossici, gi dipendenti) creeranno un danno sia agli utenti che alla struttura. Rispetto ai giovani si insister sulla patologia anzich sulle risorse, rispetto alla struttura si perder la sua possibile valenza evolutiva; in ambedue i casi non si sar in grado di operare una necessaria promozione della salute.

Di fronte a categorie a rischio c il bisogno di operatori ben strutturati nel loro contesto e ben consapevoli di quello che stanno facendo, consapevoli della storia del contesto in cui sono inseriti e dei ruoli, delle differenze, delle premesse condivise (non si lavora mai abbastanza sulle premesse condivise!). 3.3. La cura degli psicotici

Psicologi che lavorano in una comunit per psicotici con il ruolo di operatori si trovano in dubbio su quando proporsi come professionisti della psiche e quando uniformarsi al lavoro sulla quotidianit. Non possono certo vestire i due panni in maniera implicita, decidendo soggettivamente quando si comportano come n svolgere contemporaneamente le due funzioni. Rischierebbero di squalificare il lavoro psicologico oppure di invadere la quotidianit di psicologismi. Devono pertanto definire un luogo in cui si entra per riflettere su quanto accade e dove si utilizzano le categorie psicologiche e non cadere nella trappola tesa involontariamente sia dai ragazzi che dai colleghi di sporcare il contesto quotidiano proponendo interpretazioni e collegamenti psichici.

3.4. Il progetto di smantellamento dei servizi e i pericoli che ne derivano La pressione allinterno dei servizi, invidie, fatica e incomprensioni, paghe irrisorie che dequalificano il lavoro, lorganizzazione basata prevalentemente sullurgenza, squalifiche dallesterno (politiche che non tengono conto del punto di vista degli operatori, progetti accettati sulla base di chi li propone anzich di una progettazione coordinata del territorio, mancanza di risorse, dirigenti che impongono processi anzich concordarli), routine il progetto di smantellamento che in atto deriva dalla politica nazionale e regionale. Questa tende in maniera demagogica a: a. privatizzare sempre pi le cure; b. non pianificare la salute mentale a livello globale ma proporre nicchie e doppioni di progetti, in una rincorsa tra strutture a finanziare proprie enclave di eccellenza; c. svuotare di significato la difficile operativit attuata sul campo; d. non riconoscere lesclusivo percorso mentale e la sua delicatezza e particolarit (se si pensa che i dentisti senza unaltra specifica formazione possano lavorare con i pazienti affetti da disturbi di personalit si trasceso il significato del malessere psichico. Cos come avviene coinvolgendo in colloqui con casi delicati tirocinanti appena usciti dalluniversit, senza nessuna esperienza); e. aumentare sempre pi il lavoro burocratico per gli operatori; f. minacciare perfino a tratti di riaprire gli ospedali psichiatrici. In questa situazione, come ho gi accennato, gli operatori corrono molti pericoli: - rispondere principalmente al bisogno e allurgenza; - non farsi carico in maniera complessiva di una situazione ma rispondere singolarmente coinvolgendosi uno alla volta, per sommatoria; - sommare gli interventi anzich integrarli tra loro per costruire una progettazione mirata e temporalmente definita; - non prendere in considerazione il sistema determinato dal problema che li include; - partire semplici (lofferta di un unico intervento terapeutico) e complessificarsi nel tempo, sul peggioramento della sintomatologia senza immaginare un percorso ottimale e temporalmente definito; - utilizzare metafore occidentali legate alla psicoterapia pensata come panacea;
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- utilizzare categorie intrise di cultura come fossero neutre (la famiglia, per esempio, considerata unicamente come nucleo composto inderogabilmente da tre persone, .); - non utilizzare il servizio come risorsa e come un contesto in cui sia possibile levoluzione e lapprendimento dei singoli operatori oltre che il contenimento dellutenza; - partecipare allimplementazione dellomeostasi, della patologia, della collusione e di circoli viziosi. 4. Suggerimenti per lavorare al meglio Quali operazioni mettere in atto per evitare i pericoli che incombono sempre e comunque, che fanno parte del processo stesso della cura e sono ineliminabili? Se il lavoro sociosanitario emerge da una coordinazione tra persone allinterno di uno spazio di discorso condiviso, non ci saranno procedure oggettive nel lavoro clinico, e quello che sar chiaro e auto-evidente alla fine non sar prevedibile prima dellincontro terapeutico. Di seguito alcuni suggerimenti per lavorare al meglio: - mettere in atto operazioni riflessive di secondo livello; - prestare attenzione ai propri pregiudizi; - ridefinire sempre e comunque la domanda; - sapere di operare su indecidibili e indeterminabili; - lavorare in rete nel contesto allargato; - tenere sempre a mente possibili esiti indesiderati; operare da una posizione di rispetto16. 4.1. Il rispetto Mi soffermer solamente sullultimo aspetto, quello del rispetto, in quanto lo ritengo la pi importante accezione insita nel termine professionalit. Il rispetto implica un sentimento e un comportamento informati alla consapevolezza dei diritti e dei meriti altrui, dell'importanza e del valore morale, culturale della controparte e della relazione; per un clinico significa avvicinarsi alla persona e alla situazione come professionista consapevole della dialettica caos/ordine, stabilit/cambiamento, disponibilit/ritrosia, ed equivale a nutrire un profondo riguardo sia per se stessi e per i propri pregiudizi/premesse, sia e soprattutto per la/le persone con la loro richiesta di aiuto. Ancora di pi un valore per la relazione che insieme si former e che lelemento precipuo di cura. Rispetto significa quindi prendere in considerazione i sintomi, la storia, le abitudini di pensiero e i comportamenti che hanno avuto un senso pi o meno adattivo, che la persona considera ancora utili/ indispensabili per il futuro, dei quali
16 Rinvio per un approfondimento degli aspetti sopracitati al mio U. Telfener, Apprendere i contesti, Raffaello Cortina,
Milano 2011.

non ha consapevolezza piena e dai quali si sente organizzato/a e a volte gestito. Significa indagare proprio quella forma che, al momento dell'incontro crea disagio e cercarne la coerenza adattativa e contemporaneamente indagare le aree che sono libere dalla sintomatologia e che permettono di funzionare al meglio. Significa pensare che la neonata relazione creatrice di significati nuovi e di possibilit. Il contesto deve pertanto essere marcato in modo da rassicurare lutente che non un pesante fardello da sbrigare: cordialit, minuziosa osservanza degli appuntamenti, ascolto attento, creativit sono elementi non abbastanza ovvi per un inizio corretto del lavoro. 4.2. Altri suggerimenti A questi aspetti si aggiungono: - attenzione al verbale, non verbale, tonale, alla prossemica, ai gesti oltre che alle parole; - affiliare lutente, definire il contesto come collaborativo; - meta-comunicare sulla relazione, su genere, razza, religione proprie e altrui, operare cio tenendo conto delle ineludibili differenze e della contaminazione culturale che permea ogni incontro; - abbandonare regole a priori, accettare la molteplicit dei saperi possibili tra i quali si deve imparare a destreggiarsi con coraggio; - passare da una tecnica prescrittiva alla capacit di riconoscere e apprezzare la narrazione portata; - mettersi in gioco personalmente, prendere una posizione definita e onesta e assumersene la responsabilit. 5. Conclusioni: le scorie tossiche da purificare Nei servizi si respira unariaccia, la frustrazione dello staff tangibile e c pochissima cura nella gestione del gruppo degli operatori, ancor meno nella gestione collettiva e riflessiva dei casi. Nei servizi si tende a lavorare singolarmente su un individuo singolo, lurgenza ha fatto dimenticare le risorse del contesto sia degli utenti che degli operatori stessi. Non a caso Triest parla di scorie psichiche tossiche cui gli operatori della salute sono esposti e che sono chiamati a purificare 17. Scorie che hanno a che fare, secondo lautore, con cui concordo assolutamente, col senso di fallimento e di insufficienza che si vive molto spesso, la sensazione di essere sotto attacco oltre alla frustrazione che i singoli sperimentano in rapporto al gap tra le aspettative, il coinvolgimento emotivo personale e la realt lavorativa. Personalmente credo che la soluzione sia in una maggiore attenzione al gruppo di operatori (rituali collettivi di
17 J. Triest, Save the saviour, cit. 1

incontro, condivisione e aggiornamento) e a una capillarit del sociale tutta da costruire e implementare. Gli operatori sono presi tra pi fuochi e devono imparare a rinunciare, come motivazione primaria del lavoro psicologico, a ogni fantasia di cura, guarigione, crescita, miglioramento del s, consapevolezza; rinunciare alle interpretazioni, a una salute mentale pensata come a priori. Non si tratta neppure di dare consapevolezza (rendere conscio linconscio) piuttosto di sopportare lansia di rimanere in territori sconosciuti, non cercare ladattamento, non proporre lintegrazione, rendere coerenti, spiegare le trame relazionali che ci includono, rinunciando alla razionalit di una spiegazione, uscendo dalla stanza, sporcandosi le mani.

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