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FORMULA GUIDA l’ordine giuridico delle norme è indissociabile dal sistema simbolico dei
significati sociali”, ovvero dall’insieme dei valori, delle motivazioni e delle rappresentazioni
che costituisce l’orizzonte storico e il contesto culturale di ogni società e che ha una
portata “simbolica” perché dà all’esistenza umana un “senso” .
Carl Schmitt distingueva tre “tipi di pensiero giuridico”, a seconda che si privilegi, nel
concepire il “diritto”, la comprensione di quest’ultimo in termini di regola, decisione o
ordinamento. Ne conseguono 3 orientamenti giuridici concorrenti, che vanno sotto il nome
di normativismo, decisionismo e istituzionalismo.
DECISIONISMO. CARL SCHMITT afferma che “anche l’ordinamento giuridico, come ogni
altro ordine, riposa su una decisione e non su una norma”. Svolge un ruolo decisivo la sua
presa di posizione politica a favore del regime hitleriano, considerato come l’unica risposta
possibile ed efficace alla crisi dello Stato liberale classico. Schmitt concepisce il diritto
come “decisione” sovrana e originaria.
NORMATIVISMO. HANS KELSEN afferma che l’unica risposta alla crisi dello Stato
liberale classico sia la democrazia. Il che significa rivendicare e salvaguardare la
separazione del diritto e delle sue competenze dall’ambito delle decisioni politiche.
ISTITUZIONALISMO. SANTI ROMANO nella sua analisi dell’esperienza giuridica, non
parte dalla norma, ma invece individua la sorgente dell’esistenza, della validità e
dell’efficacia della norme nell’ordinamento giuridico. La sorgente del diritto, dunque, non
sono le norme ma è invece l’ordinamento giuridico. Però quest’ultimo costituisce a sua
volta un’istituzione sociale – storica, quindi è fondamentale l’equivalenza tra ordinamento
e istituzione. Nell’ordine delle norme non si rispecchia dunque un ordine naturale già dato
e predeterminato, ma si esprime la creatività di volta in volta determinata di concreti gruppi
umani.
Si tratta ora di affrontare il normativismo giuridico attraverso l’esame della “dottrina pura del
diritto” elaborata da Hans Kelsen. In questo autore è lampante il passaggio dall’iniziale
decisionismo al normativismo, ossia alla sempre più marcata formalizzazione della legge
Secondo Kelsen, infatti, ci si deve occupare dell’ordinamento giuridico come sistema di norme
Il nucleo della “dottrina pura del diritto” è per l’appunto l’analisi del sistema giuridico come
ordinamento di norme: e l’espressione “dottrina pura” dev’essere intesa nel senso di dottrina
non ideologica, priva di presupposi morali e valoriali
il diritto è l’ordinamento giuridico, il quale a sua volta è un sistema di norme: che cosa fonda
l’unità della molteplicità delle norme del sistema? Come vengono gerarchizzate? La risposta
kelseniana è che l’unità è garantita dalla “norma fondamentale” (Grundnorm), ossia la validità
è riconducibile a un’unica norma fondamentale che conferisce unità alla pluralità delle norme
La differenza tra le norme morali e quelle giuridiche sta nel fatto che le prime sono valide in
forza del loro contenuto, il quale ha qualità immediatamente evidente che dà loro validità,
mentre le seconde sono valide non per via del loro contenuto, in quanto qualsiasi contenuto può
essere oggetto di diritto.
Le norme giuridiche, allora, sono valide perché si sono presentate secondo un metodo specifico:
in questa prospettiva, il diritto vale soltanto come diritto posto, nella sua assoluta indipendenza
da norme morali. Esattamente in ciò risiede la positività del diritto, il quale è posto
autonomamente rispetto alle norme morali, in antitesi col giusnaturalismo.
Dunque, la “norma fondamentale”, lungi dall’essere una norma morale, è essa stessa una norma
giuridica: secondo la definizione di Kelsen, essa è “la regola fondamentale per la quale sono
prodotte le norme dell’ordinamento giuridico”; essa è
Nella modernità, che costituisce l’epoca storica nella quale il diritto conquista la propria
autonomia e la propria separazione dalle altre sfere sociali, l’insieme ordinato delle norme
giuridiche si presenta come l’esito di procedure complesse di deliberazione collettiva; è
evidente quindi che il diritto moderno non possa più configurarsi come un ordinamento
fisso e predeterminato, capace di fissare una volta per tutte dall’esterno il comportamento
umano in ogni suo aspetto.
Secondo altri autori è la “natura delle cose” che racchiude in se stessa criteri universali e
necessari che permetterebbero di distinguere il giusto dall’ingiusto e il bene dal male
L’ISTITUZIONE GRECA DELLA FILOSOFIA
Socrate afferma che per potersi interrogare sulla giustizia delle leggi, bisogna riconoscere
che lo spazio giuridico è un’istituzione sociale – storica e quindi che le sue determinazioni
possono essere alterate, riformulate e rielaborate. L’istituzione delle leggi nasce dalla
persuasione che è alla base del nomos.
Solo se si ammette che non esiste una determinazione normativa a priori è possibile porsi
la questione della giustizia, riconoscendo in quest’ultima la posta in gioco di azioni e
deliberazioni politiche.
Platone voleva affidare ai filosofi il compito di governare la polis, per ottenere la garanzia
che le leggi avessero come proprio fondamento la verità divina e la giustizia eterna. Solo
così, secondo Platone, sarebbe stato possibile evitare i pericoli e le minacce del regime
democratico, in cui le leggi vengono istituite a conclusione di un dibattito pubblico, il quale
però, non essendo fondato sulla verità oggettiva e assoluta, non da nessuna garanzia
circa la loro giustizia.
Platone mette radicalmente in dubbio il valore della persuasione, che costituisce la forma
specificamente politica del discorso. Infatti la persuasione presuppone che tutti abbiano la
possibilità di formarsi un’opinione corretta, mentre esclude che qualcuno possegga una
conoscenza scientifica e incontrovertibile nelle materie su cui devono essere prese
decisioni politiche.
Aristotele sostiene esplicitamente che il nomos sia taxis (ordine istituito, costruito
artificialmente) e non invece cosmos (ordine naturale o spontaneo). Ciò invita a pensare la
legge come l’esito di un’attività politica che la precede e la fonda, e che trova nello spazio
giuridico una provvisoria stabilizzazione e protezione.
ARENDT la varietà degli ordinamenti è molto ampia, sia nel tempo che nello spazio, ma
tutti hanno due caratteristiche comuni: sono stati tutti concepiti allo scopo di assicurare la
stabilità e la loro validità non è universale, ma è limitata sia sul piano territoriale, sia, come
nel caso della legge giudaica, per il fatto di riferirsi ad un’etnia determinata.
Gli esseri umani non ricavano dalla natura i modelli che prescrivono regole ai loro
comportamenti ma devono “istituire” un sistema di rappresentazioni sociali che dia ai
propri comportamenti stabilità e regolarità ma al tempo stesso dà loro un senso.
Castoriadis. Il “sociale – storico” è l’ambito dei valori, delle rappresentazioni ideali, delle
motivazioni e delle regole attraverso cui ogni gruppo di individui rende umana la propria
convivenza. In questo senso l’ordine sociale storico è sempre necessariamente simbolico
e istituito.
Simbolico perché le sue componenti non sono meri dati di fatto, ma dei significati che
reggono, strutturano e motivano l’esperienza umana.
Istituito perché tali significati costituiscono il prodotto o l’esito di un’elaborazione umana.
Luhmann afferma che la funzione fondamentale del diritto consiste nel regolare la
contingenza delle azioni umane e trasforma radicalmente la nozione classica di “sistema”
considerato come un insieme ordinato di concetti logici risultato di una operazione logica
preliminare, il cui compito consisteva nell’enucleare l’essenza presente nella realtà e nel
trasporla sul piano scientifico del sistema.
Con Luhmann si passa da una concezione sostanziale a una concezione funzionale del
sistema che riflette il funzionamento degli organismi viventi. Il sistema diventa la forma
attraverso cui avviene lo scambio di informazioni con l’ambiente e la riduzione della
complessità dello stesso, in funzione degli scopi di sopravvivenza e riproduzione.
Ogni sistema produce al suo interno dei sottosistemi a cui vengono delegate funzioni
specifiche.
Ogni sistema è caratterizzato dall’autoreferenzialità, cioè dalla capacità di riferire a se
stesso tutte le informazioni che provengono dall’esterno per autoinnovarsi e
dall’autoriflessività, cioè dalla capacità di produrre osservazioni sul proprio
funzionamento, per autocorreggersi
Se si applica la concezione Luhmanniana alla sfera giuridica, questa produce la veduta del
diritto come riduttore della complessità dell’ambiente sociale attraverso la selezione di
comportamenti valutabili come leciti o illeciti.
L’istituzione del sistema giuridico funge da stabilizzatore, ma benché ridotta o
regolamentata, la contingenza dell’agire persiste.
FONDAMENTALISMO E NICHILISMO
Una volta scoperta l’irriducibilità della contingenza e la sua radicalità, che s’oppongono
alla rivendicazione dell’assoluto, si fa strada un’opposta tentazione: la completa negazione
di ogni stabilità e di ogni oggettività.
NICHILISMO L’ indeterminatezza della contingenza renderebbe evanescente ogni figura
di senso, togliendo alle cose qualunque tipo di oggettività. L’unica conseguenza è il fatto
che nessuna realtà potrà aver mai un significato fornito di una qualche stabilità.
Questa necessità di partire dalla natura contingente rivela la struttura stessa dell’originario,
alla quale mancano i tratti di universalità e necessità che i “fondamentalisti” vi riconoscono
e i nichilisti vi disconoscono. L’origine, in se stessa indeterminata e sprovvista di senso,
potrà acquisire solo quello che le sarà conferito a posteriori. Solo la mediazione storico –
sociale riesce di volta in volta a dare ordine al caos originario, attraverso l’istituzione di un
sistema simbolico. Il fatto che l’elaborazione di significati, valori e norme non sia
riconducibile alla struttura universale e razionale dell’originario non toglie ai significati che
lo abitano quel tanto di oggettività e determinatezza, che riesce di volta in volta a
stabilizzare e ordinare efficacemente l’esperienza quotidiana.
La modernità nasce dal passaggio dal sistema simbolico all’istituzione di norme giuridiche.
Anche le norme giuridiche sono significati sociali ma si distinguono dagli altri per essere
sanzionati, stabilizzati. Nella società moderna il significato fondamentale è dato dal
DIVIETO DI INTERFERIRE NELLA SFERA ALTRUI SENZA IL CONSENSO
DELL’INTERESSATO.
La principale caratteristica del diritto moderno consiste nel suo svincolarsi rispetto al
potere e alla tradizione, differenziandosi e autonomizzandosi dalla politica, dalla morale e
dalla religione. La legge è intesa come il risultato di un’attività collettiva, esplicitamente
riconosciuta, e sottoposta a una rigorosa regolamentazione pubblica.
Lo spazio della democrazia va inteso come uno spazio simbolico. Ciò vuol dire
riconoscere che in esso è all’opera un riferimento decisivo a qualcosa che nel dato di fatto
non è presente.
Nessuna società può esistere senza istituzione e senza legge, ma l’ordine istituito delle
leggi deve essere posto da ogni società nel suo insieme, “senza poter ricorrere a una
fonte o a un fondamento extra – sociale”.
NOMOS È ciò che è proprio di ogni società, ciò che si oppone alla natura fisica ( physis );
al tempo stesso nomos è la legge, senza di cui gli esseri umani non possono esistere in
quanto esseri umani, poiché non c’è cittadinanza senza leggi e non ci sono esseri umani
al di fuori della cittadinanza. Secondo Aristotele l’uomo si umanizza soltanto nella polis e
per mezzo di essa.
Il nomos ha quindi 2 facce: è Istituzione di una particolare società e al contempo è il
presupposto transtorico perché ci sia società, il che significa che, qualunque sia il
contenuto del suo nomos particolare, nessuna società può vivere senza un nomos.
Democrazia significa il potere del popolo, in altre parole, il fatto che il popolo fa le sue
leggi, e , per farle, deve essere effettivamente convinto che le leggi siano un prodotto
umano.
DAL DIRITTO ALLA LEGGE E DAL DIRITTO AI DIRITTI
La modernità
A ) Da un lato si pone all’origine delle norme perché fa del diritto una sfera sociale
separata e autonoma
B ) Dall’altro lato però tende a disconoscere l’origine storico – sociale e il carattere istituito
di quelle stesse norme.
Col passaggio alla modernità l’accesso ad un’unica verità trascendente e sacra diventa
problematico, e di conseguenza prende corpo l’interrogazione critica sui significati e sulla
loro contingenza. Il progetto della modernità ha svariate e complesse implicazioni: ma
innanzitutto dovrebbe presupporre l’esplicito riconoscimento della contingenza di tutti gli
assetti del mondo storico. Una volta riconosciuta la contingenza in contrasto con la
tradizione, LA MODERNITÁ CERCA SUBITO NUOVE FORME DI STABILITÁ E
NECESSITÁ e le trova nella pretesa di fondare l’ordine sociale sull’universalità necessaria
della Ragione o della Natura.
La normatività non è soltanto una componente del sistema simbolico, ma una sua
istituzione, cioè l’effetto o l’esito del suo istituirsi. La dimensione normativa costituisce il
primo prodotto della stessa creazione sociale dei significati. La normatività del sistema
simbolico è dunque una normatività istituita.
La normatività non ha luogo secondo un unico modello, ma in modi e forme storicamente
diversi. Perciò fondare la normatività del sistema simbolico si di un unico modello
prescrittivo appare di conseguenza irrealizzabile.
Il naturalismo afferma che “ i meccanismi del pensare e del sentire non sono mai stati
diversi per nessuno. Se è vero che la specie umana è una sola, esiste anche un’unica
costituzione comportamentale e cognitiva che la contraddistingue attraverso tutte le
culture.
Dall’unica natura e identità umana dovrebbe derivare anche, se non proprio un unico
diritto, certamente un’unica figura della normatività e del suo senso. Ma l’unica natura
umana, l’unica base NON FORNISCE NIENT’ALTRO CHE UNA PREMESSA o una
condizione, necessaria, ma da sola non sufficiente, alla produzione di comportamenti
umani concreti (che devono necessariamente essere di volta in volta effettivamente
istituiti)
Ciò che in questo modo risulta messo del tutto fuori gioco è il momento creativo
dell’istituire, che presuppone la contingenza e che si svolge nello spazio indeterminato del
sociale – storico.
L’istituire si radica nel linguaggio
Il linguaggio parlato tra esseri umani non ha mai soltanto una dimensione “duale” ( non è
mai soltanto il linguaggio privato che si parla tra due persone ), ma presuppone la
mediazione dell’intera pluralità umana. Senza questa complicazione, lo stesso linguaggio
“duale” non sarebbe neanche possibile. Infatti anche nell’intimità del colloqui più privato,
bisogna inevitabilmente ricorrere alle parole,alle regole, alle strutture sintattiche d’una
lingua determinata e comune.
CASTORIADIS ” La istituzione prima della società è il fatto che la società crea se stessa
in quanto società. L’istituzione prima si articola e si organizza in istituzioni seconde ( non
secondarie ), che possiamo dividere in due categorie.
TRANS – STORICHE È tale per es. il linguaggio: ogni lingua è diversa, ma non c’è società
senza linguaggio;
SPECIFICHE di determinate società e svolgono in esse un ruolo assolutamente
fondamentale. Per citare qualche esempio: la polis greca è un’istituzione seconda
specifica, senza la quale il mondo greco antico è impossibile e inconcepibile.
L’ ISTITUENTE E L’ISTITUITO
Ogni società costituisce il suo simbolismo, ma non può farlo in totale libertà giacché esso
s’aggancia a ciò che è naturale e a ciò che è storico. La storicità del diritto si rivela in tal
modo connessa all’istituzione sociale del sistema simbolico.
Ciò che costituisce e determina ogni società, in nessun caso la trascende dall’esterno.
Non c’è nessuna alterità che dall’esterno potrebbe fondare universalmente il sociale. La
determinazione dell’assetto globale d’una qualunque società è sempre e soltanto l’opera di
questa stessa società.
Il vero compito politico della società democratica consiste nel fare degli esseri umani,
attraverso l’istituzione delle leggi, i soggetti attivi del proprio cambiamento. Proprio questo
è il contenuto della loro libertà.
La normatività si radica nella socialità, le norme che strutturano la vita d’un gruppo umano
e i principi cui esse si ispirano sono a loro volta istituzioni sociali. E lo sono anche quando
il discorso sociale li riferisce ad una fonte trascendente. Perché la stessa trascendenza
deve necessariamente assumere una figura concreta per poter diventare significativa
all’interno di un determinato contesto storico – sociale.
Nelle società tradizionali e premoderne, con la sola eccezione della classica greco –
romana, il rapporto tra l’esperienza e le norme è analoga al rapporto tra la lingua parlata e
regole grammaticali.
Nella democrazia il parallelismo tra regole grammaticali e regole giuridiche s’interrompe,
perché il processo di formazione delle regole giuridiche diventa esplicito e viene
pubblicamente sottoposto a un controllo collettivo
.
NORME E METANORME
La società moderna riconosce di essere la fonte delle proprie norme giuridiche. Il diritto
tende a concepirsi come legge posta da un’autorità competente, in conformità a procedure
a loro volta regolate da norme giuridiche.
Per regolamentare il modo con cui effettua la produzione di norme giuridiche , la società
ricorre alle cosiddette “norme di seconda istanza” o “metanorme” la cui funzione è di
regolare quei particolari atti umani che sono gli atti produttori di norme.
La norma giuridica, in virtù della sua natura formale e puramente razionale, diventa il
centro di un sistema normativo. Gli esseri umani diventano individui liberi e uguali davanti
la legge che li costituisce in soggetti astratti di diritto.
Secondo la metafisica dall’esistenza di cose buone per natura si dovrebbe passare alla
determinazione giuridica di quel che è giusto e sbagliato; insomma il “giusto per natura”
darebbe luogo a una legge universale, valida ovunque e sempre, indipendentemente dalle
leggi concrete contenute negli ordinamenti giuridici.
I difensori del diritto naturale parlano di un “giusto per natura”.In questa prospettiva, la
validità delle stesse norme giuridiche sarebbe subordinata alla loro conformità al diritto
naturale (al “giusto per natura”) Il che tuttavia presuppone l’annullamento della
contingenza.
Le leggi naturali sono universalmente date; sono elaborate o scoperte dalle scienze
naturali.
Le norme giuridiche sono prodotte o istituite e perciò sono sempre particolari; sono poste
dagli ordinamenti.
Ciò che rende umana la vita , non è il suo radicamento naturale, ma la mediazione
istituzionale che, che attribuendole una regolarità artificiale, le conferisce la sua
configurazione culturale e storica.
Il contenuto della norma fondamentale riposa su quegli elementi di fatto che hanno
prodotto l’ordinamento cui corrisponde. Non si tratta quindi d’una norma ulteriore o
superiore, ma del presupposto sociale del sistema normativo.
Le norme in quanto istituzioni sociali, non hanno nessuna eternità o immodificabilità: sono
sempre modificabili dall’attività istituente da cui traggono origine, valore e legittimità.
Questa è una conseguenza della positivizzazione del diritto che ha avuto luogo nella
modernità.
L’ordine sociale nelle civiltà premoderne si concepisce come estensione di una verità
trascendente, capace di reggere l’universo intero. Con la modernità, l’ordine non si pone
più come un dato insindacabile, indiscusso e sovrano, ma diventa la posta in gioco di
un’isituzione umana.
L’ordine sociale moderno, nato dal riconoscimento della contingenza, una volta costituito,
occulta la propria storicità. Si produce così la rimozione originaria della contingenza .
Al diritto viene attribuito il ruolo di regolamentare la vita sociale. Il suo ruolo è quello di
stabilizzare i comportamenti e rassicurare le aspettative dei consociati.
JACQUES LACAN dice che “ la specie umana è caratterizzata da uno sviluppo singolare
delle relazioni sociali e quindi viene permessa una infinita varietà di comportamenti
adattivi. La loro conservazione e il loro progresso costituisce la cultura.
La cultura quindi, costituisce una dimensione che non si trasmette per via genetica, è
l’opera collettiva attraverso cui si istituisce la molteplicità di significati, motivazioni, valori e
norme che rendono umana la vita.
In questa prospettiva la cultura si presenta come una “seconda natura” il cui compito
consiste nell’allontanare l’individuo dall’immediata pressione delle pulsioni, per orientarlo
verso attività non direttamente connesse ai bisogni primari, ma in realtà indispensabili
perché questi ultimi possono essere soddisfatti. Gehlen chiama “ESONERO” questo
spostamento delle energie individuali verso attività culturali e simboliche, che consentono
il soddisfacimento indiretto dei bisogni primari.
Senza l’ “esonero” messo in atto dalla cultura, il singolo rimarrebbe prigioniero del mondo
fluttuante delle pulsioni, e perciò non potrebbe selezionare le azioni compatibili con il
soddisfacimento dei bisogni ed escludere le azioni incerte o pericolose. Lo strumento
capace di ridurre al minimo il rischio dell’esito dell’azione individuale è quindi la
stabilizzazione di determinati comportamenti attraverso l’istituzione di regole.
COGNITIVITÁ E NORMATIVITÁ
GIUSEPPE GUARINO “ l’uomo a-istituzione, fuori o senza istituzioni non esiste. Non
esiste l’uomo di “natura”, esiste solo l’uomo quale si forma attraverso la mediazione delle
istituzioni. Quindi, la presenza delle istituzioni nella vita umana è fondamentale e centrale.
L’ISTITUZIONE DELL’ORDINAMENTO
SANTI ROMANO esclude chiaramente che lo Stato sia l’unica fonte del diritto. Quindi la
“potestà di porre un nuovo diritto non precede il diritto “, ma “si muove nell’orbita di un
diritto preesistente La legge, quindi, non è mai il cominciamento del diritto ma, un’aggiunta
al diritto preesistente o una modificazione di esso.
L’IMMAGINARIO E IL MIMETISMO
Secondo i parametri del diritto moderno, questo sembra ridursi e mezzo finalizzato al
conseguimento della pace sociale. Subordinandosi radicalmente alla tecnica, e divenendo
esso stesso una mera tecnica sociale, il diritto finirebbe col perdere ogni sua autonomia e
specificità.
NICHILISMO GIURIDICO → il destino della modernità sarebbe la tendenziale scomparsa
del diritto e della politica.
La norma o la legge, infatti, nella tradizione metafisica Occidentale, hanno sempre
coinciso con un unico Ordinamento stabile e vero dell’essere, al e ci sarebbe una potenza
suprema, da tutti riconosciuta come tale.
Nella modernità si mostra l’inesistenza d’una potenza suprema e l’impossibilità del sapere
incontrovertibile. Venuti meno i fondamenti tradizionali l’unica potenza riconosciuta come
suprema è la Tecnica.
TECNICA Severino: “tecnica non è semplicemente la coordinazione dei mezzi più idonei
per raggiungere uno scopo che sia esterno alla tecnica. La tecnica ha un proprio scopo.”
NATALINO IRTI afferma che declinati i fondamenti, il diritto positivo si è ripiegato per
intero nelle procedure. Irti si allontana da Severino sostenendo che ciò che vale per la
tecnica non vale in tutto e per tutto per il diritto. Irti rivendica all’esperienza giuridica uno
spazio autonomo, da sottrarre all’assolutizzazione della Tecnica. Nella sua astrattezza,
quest’ultima infatti non è in grado di rispondere alle specifiche domande del diritto.
Quest’ultimo potrà magari ridursi a pura struttura formale indipendente dai contenuti
concreti che possono riempirla, ma deve cmq mantenere una sua specificità, pena la
dissoluzione della stessa esperienza giuridica.
La tecnica è una creazione umana, e quindi indissociabile dal suo contesto sociale –
storico di volta in volta dato. Quindi presuppone la contingenza dell’essere e si definisce
come un momento dell’istituire sociale – storico.
LA GLOBALIZZAZIONE E IL DIRITTO
Il diritto moderno nasce come procedura formale finalizzata a ordinare una molteplicità
atomizzata di individui. Ma l’astrazione del soggetto moderno in quanto individuo “senza
qualità”, pone il problema della sua mediazione con un’istanza di universalità generale.
Solo quest’ultima, infatti, è ritenuta in grado di produrre ordine, e di limitare le
conseguenze distruttive della conflittualità degli individui singolarizzati e contrapposti.
Ciò che rischia di scomparire è il privilegio che la società moderna aveva attribuito a sé
stessa: quello di regolare la propria creazione.
HABERMAS Sostiene che lo specifico della modernità è dato dal suo attingere la propria
normatività solo da se stessa. L’orientamento prodotto dalla modernità è normativo se e
solo se si sottopone alla verifica della sua validità. La garanzia del contenuto razionale
della modernità è solo la conformità a una tecnica procedurale che presume di essere
garanzia di razionalità e criterio ultimo di senso.
Se è vero, che la democrazia moderna rimette il contenuto normativo della società
all’attività di deliberazione e di produzione di senso della società stessa, è altrettanto vero
che si disconosce la propria collocazione storico – sociale determinata. La creatività
dell’agire collettivo, allora, si confina nello spazio dell’ interpretazione. Ma il primato
dell’interpretazione è al tempo stesso effetto e rimedio dell’odierna crisi della normatività.
Le norme non sono la mera registrazione dei dati di fatto, ma invece l’esito di una
deliberazione sociale e sono istituite per dare alla vita sociale un ordine e un senso.
Quest’ordine resta sempre suscettibile di cambiamenti e rielaborazioni, rimesse alla
responsabilità delle deliberazioni collettive.
Paradossalmente, proprio mentre si producono miriadi di leggi per far fronte sempre a
nuove emergenze, si tende a negare il loro carattere creativo, cioè la loro dipendenza da
deliberazioni e scelte sociali – storiche, e si tende a vedere in esse il riflesso di una legalità
a priori.
LA CENTRALITÁ DELL’INTERPRETAZIONE
Bisogna tenere distinti i due momenti della legislazione e interpretazione. In realtà la loro
distinzione implica una subordinazione: ed è proprio tale subordinazione che il primato
dell’interpretazione tende a ribaltare, con la conseguenza, giuridicamente insostenibile,
che l’intervento individuale dell’interprete, se lo si ritiene sciolto dall’obbedienza al vincolo
statuito dalle legge positiva, potrebbe giungere a modificare o addirittura stravolgere il
senso stesso che il sistema delle norme vigenti ha istituito.
Il momento decisivo culmina nella produzione legislativa, ovvero la creazione collettiva
istituente, sulla quale poi dovrà esercitarsi la creatività dell’interprete. Oggi però la
centralità si sposta sul piano giudiziario.
Il processo di decodificazione risale alla crisi dello Stato liberale classico basato sul
principio di legalità, cioè sull’assoluto predominio di un’unica fonte legislativa.
Con la crisi dell’idea di codice:
1. Si attribuisce sempre più importanza alle leggi speciali,
2. Si formano micro – sistemi normativi riguardanti una determinata materia,
3. Si moltiplicano discipline settoriali che proliferano accanto al Codice civile, ma finiscono
poi per invaderne il territorio.
4. Entra in crisi la stessa unità dell’ordinamento giuridico.
Mentre cresce la giuridicizzazione della vita concreta, l’inettitudine normativa della società
e delle sue istituzioni viene surrogata dalla creatività degli interpreti. L’onere della
decisione pratica presa caso per caso assume in sé dignità legislativa. L’interprete diventa
il legislatore chiamato di volta in volta a risolvere il caso concreto.
La conseguenza di questo processo è il cambiamento radicale del ruolo dei giudici, infatti
la produzione legislativa sempre più abbondante e caotica, lascia aperti margini ampi di
creatività da parte del giudice.
L’ampliarsi del flusso legislativo è tale che conduce all’adozione di nuove tecniche, e
soprattutto alla delega di poteri normativi al Governo, o ad organi istituzionali nuovi.
La norma giuridica era originariamente una statuizione generale e astratta rivolta a tutti i
soggetti di un ordinamento giuridico. La produzione di norme era scarsa, cambiava
lentamente e derivava in gran parte da una sola fonte, quella legislativa. Ora la legge
diventa statuizione programmatica; spesso, quando prevede una delega, non è
suscettibile di applicazione immediata ma rimanda ad altri organi dello Stato, ne deriva
una molteplicità di fonti normative, e un flusso legislativo continuo, spesso contraddittorio,
con traslazione di poteri dal legislativo all’amministrazione dello stato.
LA CREATIVITÁ DELL’INTERPRETAZIONE
La svolta ermeneutica ha delle ripercussioni dirette su uno dei capisaldi della tradizionale
teoria dell’interpretazione giuridica, ovvero la distinzione tra il momento della produzione
legislativa e quello della sua applicazione che rifletteva e garantiva non solo la distinzione
tra politica e diritto, ma anche l’equilibrio tra il potere legislativo e quello giudiziario. La
reciproca limitazione tra diritto e potere si traduceva nella separazione tra l’ambito della
politica, nel quale si dispiega il processo collettivo di creazione delle leggi, e l’ambito
giurisdizionale, nel quale le leggi vengono interpretate e applicate.
In un contesto del genere il legame tra diritto e interpretazione è molto forte; eppure il
diritto non equivale né coincide con l’interpretazione: quest’ultima ne è solo la
manifestazione.
PAOLO GROSSI → “non si può dire che il diritto è interpretatio, perché il diritto si
manifesta come interpretazione, come presa d’atto di qualcosa che c’è, che non si crea
ma si può solo dichiarare, integrare, correggere e rinnovare.”
Secondo la tesi del presupposto della dimensione ontologica del diritto, la realtà stessa
contiene nelle sue determinazioni oggettive un ordine intrinseco e originario il cui
fondamento non sono gli esseri umani che lo creano; essi possono solo interpretarlo.
KELSEN →afferma che la norma giuridica positiva deve creare un quid novum. Senza
dubbio, l’odierna difficoltà di “creare qualcosa di nuovo” tende a deresponsabilizzare il
momento normativo che finisce con l’abdicare al suo ruolo istituente.
L’autore afferma anche che “ un potere di creazione del diritto” viene attribuito al giudice
“quando il legislatore lo autorizza a valutare, entro certi limiti, interessi tra loro
contrastanti e a decidere il contrasto a favore dall’uno o dell’altro”.
Mario Barcellona parla di autopoiesi (auto creazione) materiale del sistema giuridico.
Bisogna distinguere innanzitutto momento materiale e momento formale della stessa
autopoiesi.
Il momento formale allude alla dimensione produttiva di norme; si tratta dunque, del
rinnovamento o della modifica delle norme poste, che ha luogo secondo le regole stabilite
dallo stesso sistema e che dunque compete al potere legislativo.
Il momento materiale allude all’interpretazione la quale consiste nell’applicare le norme
poste ai casi concreti, e attraverso di essa l’autopoiesi ( = capacità di un sistema di
autoriprodursi ) del sistema giuridico s’arricchisce di nuovi contenuti offerti di volta in volta
dalle circostanze date.
Attraverso l’interpretazione del diritto l’interprete pone una norma che, non formalmente
ma dal punto di vista del suo contenuto, prima di tale sua attività non faceva parte del
tessuto normativo predisposto dal legislatore. Il problema dell’interpretazione, allora, sta
tutto nel determinare da dove proviene questa regola che l’interprete introduce nel sistema
e cosa lo autorizza ad introdurla in esso.
L’origine dei significati sociali va individuata nella creatività sociale istituente perché
veicola una creazione immaginaria che non ha un precedente reale.
L’agire umano è la fonte dei significati, ma, nel suo momento istituente, è esso stesso
privo di fondamento. È impossibile trovare un’origine trascendentale, un fondamento
ultimo, da cui l’ordine dei significati, dei valori, delle motivazioni sociali e delle norme
giuridiche potrebbe scaturire come conseguenza automatica.
Nel punto in cui l’interpretazione ha termine, il sapere acquisito ci lascia nonostante tutto
sguarniti di certezze e rassicurazioni ultime. Il significato, pur interpretato e compreso, in
ultima analisi, si mostra per quello che è: creazione immaginaria rimessa a se stessa,
intesa a ricoprire l’abisso senza fondamento. L’ordine dei significati immaginari è dunque,
in se stesso, radicalmente contingente, eppure, una volta istituito, ha l’oggettività e la
stabilità dello storico – sociale.
La teoria del diritto affronta la questione evolutiva dell’autopoiesi del sistema, la filosofia
del diritto si occupa giustificazione del suo fondamento.
Il paradosso della democrazia è che il popolo non abbia un’identità, che esso non esista
come unità al di fuori delle istituzioni che lo strutturano, ma che tali istituzioni traggano non
solo la propria legittimità ma il loro stesso essere dal popolo sovrano che le istituisce.
L’apertura dello spazio della politica all’interno della democrazia è possibilità di sollevare la
questione della giustizia come interrogazione circa la legittimità della legge. Ciò implica il
riconoscimento da parte della società di se stessa come fonte o origine.
La giustizia è la messa in discussione non solo di una certa legge, ma del criterio stesso
che presiede all’elaborazione della legge.