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Rimini 13 febbraio 2013 Edizione n 2

dovesivadaqui@gmail.com

lAgave
Riconquistiamo la libert di
Da sempre alla parola viene riconosciuta grande forza, grande importanza. Gi nella Atene del IV secolo a.C. infatti, il retore Isocrate affermava efficacemente come la lingua sia genitrice della forma mentis di unintera civilt, come sia la struttura su cui si fondano tutte le attivit umane: Ma poich connaturata in noi la capacit di persuaderci gli uni gli altri, e di render chiaro a noi stessi ci che vogliamo, non solo siamo usciti dallo stadio di vita selvaggia, ma ci siamo riuniti, abbiamo costruito citt, dato leggi e inventato arti, e quasi tutto quanto noi abbiamo compiuto la capacit di parlare che ci ha aiutato a compierlo. Questa infatti ha dato leggi sul giusto e sullingiusto, su ci che bello e su ci che vergognoso. Ma se davvero le parole hanno questo ruolo di fondamenta dellagire umano, come possiamo render solide e personali queste fondamenta? Sono convinto che rivalutare il nostro uso della lingua, dalla scelta di un registro appropriato alle varie situazioni, alla selezione, pi in generale, di un lessico in grado non appena di dire, ma di dipingere ci che realmente vogliamo esprimere, sia ci che davvero si pu definire libert di , inteso come unione di parola e pensiero. Spesso accade infatti che non solo mal utilizziamo gli strumenti lessicali di cui disponiamo, ma piuttosto che li adoperiamo senza la bench minima coscienza, finendo per servirci di parole che non ci appartengono, che non possediamo. Parole! parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure cos le cos dette opinioni correnti! Per essere realmente liberi nel pensiero e nella sua espressione, innanzitutto necessario riconoscere le origini del nostro stesso lessico, del vocabolario che il mondo circostante ci consegna in ogni modo e momento: dai pi frequenti dialoghi con chi ci accanto, ai titoli di giornale, ai versi di Dante, alla comunicazione rapida degli electronic devices (cellulare, televisione, pc, etc). Bisogna che accada qualcosa tra il momento in cui le parole ci fluiscono allorecchio e quello in cui scivolano via tra le labbra: necessaria una presa di consapevolezza da parte nostra. La vera libert di parola, priva di censure, di limitazioni, consiste infatti nella formazione di una coscienza della quale troppo spesso noi stessi ci priviamo: se non disdegnassimo di bagnarci il capo immergendolo nelle cose a cui poniamo ascolto, le parole non ci parrebbero pi calotte leggere su uno specchio dacqua, ma cime diceberg gravi di un percorso semantico, di unevoluzione storico-sociale e duna serie desperienze personali e pertanto umanamente universali. E davvero cos le parole comincerebbero ad essere pesanti come pietre! Soltanto in questo modo le nostre labbra articoleranno parole sempre nuove, parole nostre. Anche i grandi autori, il pi delle volte, sono grandi non perch hanno avuto idee diverse, a noi aliene, ma proprio in quanto, forti di una solida consapevolezza e di una geniale sensibilit, hanno saputo esprimere con le parole pi efficaci quello che ciascuno di noi percepisce, a cui il pi delle volte per non siamo in grado di dar forma. Ma se capaci di questa consapevolezza, di questa riconquista linguistica, non avremo timore ad adottare anche noi le parole che i poeti scovano in quel loro porto sepolto: e se dunque ci parr, come accusa Enrico IV nellomonima commedia di Pirandello, di ripetere tutte le parole che si sono sempre dette, di rimasticare la vita dei morti, sar ora per una reale concordanza di pensieri, per la convinta adesione a parole in cui ci riconosciamo e non gi per una grigia omologazione.

Gianmarco Bizzarri

Rimini 13 febbraio 2013 Edizione n 2

dovesivadaqui@gmail.com

Il demone della tecnica


Il rapporto tra politica e tecnica che contraddistingue il nostro secolo ha del marcio in s. La tecnica, in origine, era un attributo degli dei con il quale provvedevano alla naturale limitatezza dell'uomo. In epoca moderna, con l'avvento del positivismo, ha assunto il connotato di volont di dominio sulle cose, di strumento per il progresso scientifico-economico a cui la politica deve far riferimento. Quest' ultima ha perso la funzione di decidere le sorti della nostra societ e del nostro vivere dal momento che essa guarda all'economia, a sua volta in stretto contatto con la tecnica. Il ruolo che rivestiva la politica sin dai tempi di Platone, come luogo di realizzazione dell'essere umano dove il bene individuale trovava compimento nel bene comune della polis, sembra che oggi le sia stato sottratto dalla tecnica, un mostro che bada esclusivamente ad "ingrassare" e che si compiace del proprio autopotenziamento non curandosi dell'umano: il suo fine non prevede n progresso n miglioramento delle condizioni umane ma il solo aumento quantitativo dei mezzi e della merce. In maniera del tutto autoreferenziale taglia fuori il vero protagonista del vivere: l'uomo. Che ne dell'uomo in questo scenario? I fini dell'economia e della tecnica coincidono con quelli umani? L'uomo non pu essere ridotto a mezzo. Se i valori umani cedono il posto al mito dell'economia si va incontro ad un collasso dei valori. In questo orizzonte dove i valori paiono trasvalutati il vero soggetto della storia dunque la tecnica; l'uomo si limiter ad accompagnarne in maniera passiva il suo corso dal momento che non pi autore e costruttore della storia ma ne subisce il flusso degli eventi. La condizione umana acquista valore esclusivamente come mezzo produttivo e nel disegno pi ampio di una finalit economica. In questo senso sembra opportuno un riferimento a Marx che gi aveva anticipato queste tematiche parlando di alienazione e di riduzione dell'uomo a merce. L'essere umano non produce e non lavora pi per realizzare se stesso, ma sacrifica il suo essere in nome di qualcosa di indefinito che non gli appartiene: non si riconosce pi per ci che ma per la funzione che svolge. Inoltre, se vero che la tecnica e l'economia parlano un linguaggio sconosciuto e oscuro ai pi, la nostra cara democrazia ancora perseguibile e realizzabile? La tecnica pone domande spesso incomprensibili dunque la scelta, da parte nostra, non prevede razionalit ma si basa esclusivamente su convincimenti retorici che poco hanno a che fare con il compito politico che spetta a ciascuno di noi. Non vi pu essere una decisione democratica poich nella maggior parte dei casi la massa non possiede strumenti per poter capire il linguaggio tecnico. Occorre che decisioni di questo tipo siano sostenute dal voto di tutti affidandosi a quei pochi che ne hanno conoscenza oppure che spetti a degli esperti il compito di prendere tali decisioni? In quest'ultimo caso della democrazia non rimane che la cenere. Decade il bene politico come porzione del bene umano: escludendo la dimensione politica dall'essere umano, quest'ultimo rinuncia a parte di s. Come possiamo riappropriarci di un aspetto essenziale dell'agire umano quando non abbiamo gli strumenti per farlo?

Rocco Monti

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