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CHIESA DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA

Convegno Diocesano di Pastorale Giovanile


Reggio E. - Sabato 7 Marzo 09

Educare la fede
di Osvaldo Poli

Come intendere la formazione


La formazione non va intesa riduttivamente come trasmissione di contenuti.
L’insistenza esclusiva sui contenuti è un dato caratteristico della tradizione culturale cattolica , tanto da essere
definita: la “Maladie catholique " .
La formazione, anche alla fede, viene impartita come se le persone fossero dei puri spiriti, a prescindere dagli
aspetti umani e psicologici che entrano in gioco nella formazione, come se la mediazione delle strutture
psicologiche non fosse ritenuta, di fatto necessaria.
("sindrome del vecchio parroco": nel corso per i fidanzati devo dire tutto perché poi non li vedo più,
meglio approfittarne)
Nella formazione vi debbono essere due attenzioni:
- L'attenzione veritativa relativa alla proposizione di contenuti sufficienti ed organici. Essa non è sbagliata, ma è
insufficiente: la fede ha una dimensione veritativa non manipolabile, ma rischia di non distinguersi
dall’indottrinamento.
Essa rappresenta solo un aspetto della formazione, cui è necessario aggiungere:
- L'attenzione educativa e pedagogica (è necessaria, non è un optional non è in contrasto con la precedente).

Anche l’educazione alla fede non può prescindere dalla proposta di contenuti teologici coerenti e ragionevoli, ma è
necessario tener conto della realtà umana, delle condizioni psicologiche di chi deve essere formato o di
chi vuole progredire nella sua vita di fede.
L’attenzione pedagogica dovrebbe essere preminente.
Il metodo è altrettanto importante dei contenuti: il “come fare” deve tener conto delle persone concrete cui è diretta
(di cosa pensano, cosa provano)

* Anche Dio l'ha usata (Lettera agli Ebrei: Dio aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai
padri per mezzo dei profeti,….), fa parte della pedagogia divina tener conto della condizione attuale di colui che
ascolta e della sua possibilità di capire. E’ necessaria dunque una duplice fedeltà: Fedeltà all'uomo, e fedeltà a Dio.

Esempi:
* EMMAUS: accoglie i bisogni psicologici dei discepoli.
* OSEA: crea le condizioni psicologiche perché il profeta comprenda pienamente ciò che deve
annunciare.
La fede è un dono di Dio, ma è nostra responsabilità creare le condizioni umane (in noi e negli altri) per poter
capire la verità e la bellezza della proposta cristiana e viverla pienamente.
L'azione della Grazia (normalmente) si serve dei meccanismi psichici GRATIA SUPPONIT NATURAM ET
PERFICIT EAM.
Non che la cura degli aspetti psicologici siano decisivi per la crescita della fede che resta un dono di Dio, ma essi
possono facilitare o ostacolare la risposta all'azione della grazia (come l'azione del sole su un terreno coltivato o
incolto, del vento rispetto al fatto che vele siano spiegate o chiuse). L'uso degli strumenti psicologici tende a
rendere facile l'azione della grazia , o quantomeno cerca di non ostacolarla.
“ Homo non est anima tantum “ (San Tommaso)
Nella nostra tradizione formativa c’è una sottovalutazione del momento psicologico, una elusione dello spessore
antropologico dell’esperienza religiosa e morale. (esempio la pratica del PERDONO).

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2. Cosa significa educare la fede

La fede è una cosa che "ti prende bene"


Non è primariamente una serie di verità da credere né di norme da osservare con coerenza (se non
secondariamente), ma è innanzitutto un RAPPORTO Personale con Gesù, vissuto in termini anche affettivi, anche
inconsci, oltre che razionali.
E’ questa una verità già implicita nella famosa domanda n° 13 del Catechismo di S. Pio X .
Per qual fine Dio ci ha creati? Riposta: per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e poi goderlo nell’altra in
paradiso

Se la fede è soprattutto un rapporto personale, alla trasmissione integrale della dottrina, va aggiunta la cura della
maturazione degli aspetti affettivi di tale rapporto, in cui agiscono forze psicologiche (le nostre paure ed i nostri
bisogni) così potenti che non di rado "deformano" il volto di Dio .
Vi è un rapporto “emozionale“ anche con la parola di Dio e con i brani del Vangelo : ad es
- Figliol prodigo
- Sacramento della confessione
- Vignaioli dell’ultima ora
- Offri l’altra guancia a chi ti percuote
- Perdonate 77 volte 7
Dunque è forse è più opportuno partire dalla situazione esistenziale di ciascun ragazzo che puntare solo dalla
esattezza dei contenuti e insistere sulla coerenza dei comportamenti
La formazione consiste nell'accorgerci delle correnti affettive profonde che caratterizzano il rapporto con
Lui e che ci fanno avere paura o poca fiducia .
Esse limitano la nostra capacità di AMARE e di Sentirci Amati da Lui.
La vita spirituale è un cammino, proprio perché l’adesione alla verità è sempre personale, progressiva, parziale.

Comprensione dei rifiuti e delle resistenze alla fede


Considerato che tanti ragazzi hanno già ricevuto una educazione alla fede, nel maggior parte dei casi
benevolmente imposta dai genitori, e hanno ricevuto i sacramenti, va capito il senso delle loro difficoltà, le
motivazioni per cui si sono allontanati o non la sentono significativa .
Va capita la “fatica”, di fare propri in termini personali ciò che hanno appreso e che ora richiede una adesione più
libera o più “da grandi “.
Qualche esempio

1. Una ragazza di 19 anni


Immaginiamo l’impatto emotivo che la lettura dei 10 comandamenti possa avere su una ragazza che sta
attraversando il momento psicologico che ella stessa così descrive:

Sento che sto cambiando e che non sono più quella di prima. Entro in libreria e compro di tutto,
non solo libri importanti ed intelligenti come fino a poco tempo fa, ma anche i libri che prima
consideravo frivoli e ho scoperto che non sono poi così male. Spendo un sacco di soldi per
“stupidate” che prima non mi permettevo. Prima ero una ragazza seria che non fa certe cose.
L’altra sera sono uscita con la mia compagnia con una cuffia etnica e i miei amici mi hanno presa
in giro tutta sera. Prima non l’avrei mai fatto: ero considerata la brava ragazza che studia e lavora,
che fa volontariato, che ascolta tutti e da sempre ottimi consigli. Anzi ora racconto di più di me
stessa, a volte sono irrefrenabile , dico tutti i miei casini, e ho detto che non so cosa farò ancora da
grande. Grande stupore perchè finora passavo per quella “ sicura in tutto” Mi sto accorgendo che
prima non ero libera: volevo che tutti mi considerassero in un certo modo: la ragazza seria , più
brava delle altre. Mi rendo conto solo ora che ho fatto cose per paura del giudizio altrui o essere
considerata “in un certo modo”, la ragazza più matura, brava.
Mi sembra di cominciare a vivere realmente solo ora. Mi rendo conto che ho sempre avuto paura
di deludere i miei genitori e io sono diventata la “brava ragazza seria” che loro volevano e che io
gli ho lasciato credere di essere. Facevo volontariato, ma lo facevo “perchè si fa così “, perchè per
essere bravi si aiutano gli altri. Ma ora mi accorgo che era una convinzione che mi era rimasta
appiccicata ma che non davvero mia. Non vado più neanche in chiesa: sono stufa di fare la brava
aspettandomi che Dio, in cambio mi protegga o non mi punisca.

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E’ chiaro che se le sue prevedibili resistenze affettive non diventano consapevoli e se non sono gestite, anche la
fede rischia di essere cestinata come tutti di tutti gli insegnamenti rifiutati.

2. Una ragazza di 22 anni


Immaginiamo la reazione emotiva all’idea della trascendenza e onnipotenza divina della ragazza che così si
descrive:

Mi rendo conto che io non voglio essere normale. Questa parola per me ha significato negativo
Voglio sentirmi migliore, speciale, e mi trovo a rincorrere degli attimi di gloria esaltante che ti
fanno sentire all’apice. Trasformo tutte le cose in un motivo di vanto per me, per avere la
sensazione di avere qualcosa in più: ad esempio per essere stata anoressica, mi dico : non tutti
sarebbero stati capaci di vivere e rimanere concentrati e lucidi come me, senza mangiare per tanto
tempo. E’ come se martellassi gli altri, perché pensino che sono la migliore, ingigantisco con
intelligenza e prudenza i difetti degli altri quasi a svilirli per far risaltare le mia maggiori doti . A
volte mi sento una stronza. Ho incontrato dei professori veramente colti e mi dicevo: è solo perchè
hanno studiato più anni di me. Se io avessi la loro età, li sopravanzerei. Il mio rapporto con Dio? A
volte mi rifiuto di pensare che esista , mi da un po’ fastidio. Quando ci penso è come se volessi
trovargli qualche difetto (ad esempio che lascia accadere cose ingiuste), ed allora è come se mi
sentissi meglio.
Se questa ragazza non si rende conto della negatività dei suoi dinamismi psichici, troverà poco attraente la vita
cristiana, e…senza sapere bene perché, abbandonerà per vivere la sua avventura narcisistica.

3. Un ragazzo 27 anni
Immaginiamo infine che l’annuncio dell’amore di Dio incontri le dinamiche affettive del seguente ragazzo:

Se la mia ragazza ha dei problemi -racconta- la cosa mi disturba, perchè se è incasinata non mi
telefona così spesso come vorrei. Se un amico è ammalato penso solo se può avermi trasmesso la
malattia, ma di lui non me ne frega nulla. Io non do niente agli altri gratis, se lo faccio ho sempre
un tornaconto. Se alcune volte taccio e sopporto è perchè ho paura di non avere qualcuno con cui
andare in ferie d’estate. Io arrivo in ritardo e faccio aspettare gli altri , se qualcuno lo fa con me mi
arrabbio molto e gliela faccio pagare. Se gli altri non fanno ciò che mi aspetto o mi fanno un torto,
divento vendicativo, gliela faccio pagare all’ennesima potenza e lo cancello dalla mia vita. Solo
che un po’ alla volta ho cancellato tutti. Io non ascolto gli altri , mentre gli altri devono ascoltare
me. Butto loro addosso i miei problemi, ma non ascolto i loro . Così ho sfinito tutti, ed ora mi
stanno alla larga perché mi dicono che sono una palla al piede. Do per scontato che debbano
prendermi come sono e che mi debbano amare, ma io non faccio altrettanto. Un po’ alla volta mi
sono sentito tradito da tutti, mi sono chiuso in me stesso, sono sempre pessimista, penso che la vita
sia ingiusta con me e mi sono detto: anch’io è giusto che me ne freghi degli altri. Non vado più
nemmeno in Chiesa e non ci credo più perché Dio è ingiusto con me.
Il vissuto dell’immaturità è caratterizzato dai seguenti punti:
- esisto solo io
- esistono solamente i miei bisogni
- tu devi vivere per me
- io non devo nulla e te
L’annuncio dell’amore di Dio in un simile contesto psicologico non avrà risonanze significative o susciterà un rifiuto
emotivo. Come se ascoltasse qualcuno parlare in una lingua straniera perfettamente sconosciuta. Se il terreno
non è arato, la semente non può attecchire.
Quando il rapporto con Dio è caratterizzato da simili dinamiche affettive noi, è difficile creare intimità con Lui, è
infatti molto difficile fidarsi che ci voglia bene davvero e scommettere che valga la pena di amarlo.
La storia di fede di ciascuno è un susseguirsi di resistenze ad accorgersi di essere amati e lasciarci amare e a
rispondere con gratitudine provando la voglia di contraccambiare.

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Fede e adolescenza
L’adolescenza, una fase che oggi si prolunga fino ai 25 anni e oltre, è tutt’altro che l’età della trasgressione. Tale
concezione appare molto limitativa e condizionata da un clima culturale dei decenni trascorsi.
Non è questa la chiave interpretativa di questa età. La voglia di diventare grandi non comporta necessariamente la
ribellione o la trasgressione, né chi trasgredisce maggiormente diventa certamente una persona più matura ed
equilibrata.
L’adolescenza, dal punto di vista psicologico, si caratterizza come fase della vita in cui i valori vengono
internalizzati, fatti propri in termini personali, nella faticosa ricerca ed elaborazione delle proprie personalissime
motivazioni per aderire al valore.
Uscire dall’infanzia significa superare la motivazione ai comportamenti corretti dettati principalmente dalla “paura”
delle reazioni dei genitori. Il superamento di tale motivazione infantile di adesione ai valori deve necessariamente
avvenire attraverso una fase di elaborazione personale che può comportare errori, opposizioni, per conquistare la
libertà di aderire a ciò che è giusto, senza essere condizionati dalla paura dei genitori o della conseguenze.
Diversamente, un ragazzo può comportarsi correttamente ma rimanere psicologicamente immaturo ed infantile.
La maturità psicologica consiste nel ripulire i meccanismi psicologici da tutti i residui di dipendenza infantile relativi
ai vissuti valoriali, per attuare una adesione ad essi sempre più simile all’intima convinzione, libera e forte perché
esente da paure che hanno poco a che vedere con all’amore per ciò appare alla coscienza come vero e giusto.
Anche nel campo della fede, il compito evolutivo dell’adolescente non consiste nel rifiuto degli insegnamenti
ricevuti, quanto nel
- Vagliarne la ragionevolezza.
- Comprendere i limiti dell’interpretazione della fede attuata dai genitori e non rifiutarla per l’imperfezione ed i
limiti con cui è stata praticata da essi.
- Scoprire le proprie motivazioni personali per aderire liberamente a ciò che appare vero e giusto alla sua
coscienza, senza lasciarsi condizionare dalle reazioni altrui, reggendo la loro eventuale disapprovazione.

Indicazioni
L’indicazione riguarda il seguente percorso: dalla centralità dei contenuti alla centralità della persona.
La pastorale non può rinunciare a presentare la figura di Gesù senza perdere la propria identità e la propria
missione. La proposta di fede quindi va fatta esplicitamente.
Ma tale annuncio va “accompagnato“, ponendo maggiore attenzione alle persone a cui è rivolta.
E’ opportuno partire dalla persona e dalle sue reazioni emotive ed intellettive per aiutarla a "trovare le proprie
ragioni" per aderire alla verità proposta. Va dissodato il terreno su cui la proposta cade.
Ogni persona ha il diritto di ricercare i propri motivi per credere ed aderire alla verità (non di fabbricarsela a proprio
uso e consumo).
Di "percorrere la propria strada" per arrivare a Dio e noi possiamo solo aiutarlo ad avanzare di un passo nel suo
percorso.
Non dobbiamo avere paura della libertà delle persone…
I NO di oggi non ci debbono spaventare se vi è un atteggiamento di onesta ricerca.
La verità ha di che imporsi da sola, senza pressioni.
Chi cerca davvero non può che trovarla.

Ogni ragazzo ha una propria "esperienza della fede" (delle difficoltà a credere, del suo rifiuto di essa, delle ragioni
che lo sostengono) e se non è ascoltata e compresa in profondità non si riesce a capire di cosa abbia realmente
bisogno per crescere in essa. Vi possono essere delle lacune teologiche da colmare, dei dubbi non risolti, ma
anche molte "ferite" ricevute, molte "delusioni" da recuperare (constatando le contraddizioni di molti cristiani e il
male da essi ricevuto), molto disorientamento (non so più se credo o no…credo a modo mio)
Per progredire nella vita di fede sembra a me opportuno dunque, far emergere le obiezioni, le DIFFICOLTA’ a
credere.
Se la persona non comprende esattamente la natura delle sue difficoltà (ed è spesso solo parlandone e
confrontandosi che si possono meglio comprendere), difficilmente potrà progredire nella vita spirituale. Perchè
dunque, non creare dei gruppi, dei Laboratori di ricerca spirituale. in cui sia possibile raccontare il proprio cammino,
i propri dubbi, scoprire le proprie resistenze?
- Laboratori di internalizzazione per giovani cristiani.
- Laboratori di ricerca spirituale con chi si sente lontano dalla chiesa perché non tutti hanno la fede, ma tutti hanno
la loro ricerca spirituale, che coincide con la "ricerca di senso" della vita.
In simili laboratori si potrebbe mettere a tema domande quali:
- Che ne penso dell’educazione alla fede che ho avuto in parrocchia e in famiglia ?
- Che cosa rifiuto di essa e perchè?
- Cosa invece mi sembra di accettare?
- Cosa mi allontana dalla fede?
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- Quale è stato un momento decisivo e davvero convincente per la mia esperienza di fede?
- Quali i fatti che mi hanno allontanato dalla vita di fede e dalla pratica religiosa?

Fare della nostra vita un dono d’amore a Dio e ai fratelli


Che risonanza emotiva può avere l’annuncio: “fare della propria vita un dono d’amore a Dio e ai fratelli?”
Che percezione della sua desiderabilità può realizzarsi nei nostri ragazzi?
Siamo certi di essere capiti o rischiamo di parlare una lingua straniera?
Esiste una difficoltà specifica che rende difficile la percezione dell’amore di Dio?

Sì, esiste ed è la stessa che rende difficile accorgersi dell’amore ricevuto dalle persone più vicine. Sembra che i
sensori della gratitudine si siano spenti.

1. La capacità di apprezzare il bene ricevuto ha come nemico naturale la tendenza a «dare per scontato» la
positività delle situazioni: da quella più radicale di esistere, a quella più complessa delle numerose circostanze
favorevoli che accompagnano la vita.
Questo atteggiamento genera progressivamente un senso di «banalità del bene», che confluisce nella mancanza
di gusto del vivere, così caratteristico del modo attuale di sentire la vita.
La capacità di apprezzare ciò che di positivo si riceve dalle persone, contrasta con una visione puramente
«funzionale» delle relazioni. È un fatto incontestabile che chi riceve solamente, sviluppa una “abitudine” tale da
impedirgli di apprezzare quanto altre persone fanno per lui.
E’ necessario avere occhi per vedere che non tutti i rapporti umani si riducono al do ut des, per “ vedere l’amore “.
Chi non se ne rende conto, si condanna ad una visione della vita cinica, senza amore. Comprende la vita e le
relazioni in modo superficiale e distorto, non si rende conto che ciò che riceve è fondamentalmente un regalo,
segno e dimostrazione della bontà dei genitori, ad esempio, e del loro desiderio di rendere felici i figli.
Tutto ciò che è ottenuto piegando il genitore alle proprie pretese diviene una «cosa senza anima», priva del suo
significato sostanziale.
L’aiuto nei compiti scolastici estorto al genitore «giocando» sui suoi sensi di colpa impedisce di vedere in questo
stesso gesto la sua disponibilità generosa ad essere d’aiuto.
Il fascino perverso esercitato dal senso di onnipotenza infantile non elaborato attraverso l’esperienza educativa del
limite, rende incapaci di apprezzare il bene ricevuto e l’amore da cui si è circondati, impoverendo la capacità di
leggere la realtà e capire la vita nei suoi aspetti positivi più profondi. Nulla è più disperante di non avere niente per
cui ringraziare.
Eppure questo sembra oggi il sentire più diffuso nelle giovani generazioni.
Accorgersi di ricevere, rende possibile lo sviluppo del senso di gratitudine come atteggiamento di fondo con cui
affrontare la vita.
Nella misura in cui si irrobustisce la corrente profonda della gratitudine, vengono meno atteggiamenti immaturi di
pretesa (e con essa il malcontento per ciò che non si può avere), di recriminazione e di lamentela nei confronti
della vita.
È sorprendente la quantità di occasioni in cui sarebbe più ragionevole essere grati invece che lamentarsi.
L’atteggiamento infantile di pretesa è irrealistico e ingiusto: non dispone alla restituzione perché, non trovando
motivi di riconoscenza, mina alle fondamenta la reciprocità dei rapporti, principio cardine della virtù della giustizia.
Proprio qui la giustizia ha il suo fondamento. Essa è motivata dalla voglia di restituire qualcosa di quanto ricevuto,
come risposta riconoscente all’amore ricevuto.
L’emozione della gratitudine rende più facile agire secondo giustizia, nei confronti dei genitori, dei famigliari e delle
persone attraverso le quali si manifesta l’inspiegabile benevolenza della vita.
La capacità di ricevere, tutta da propiziare nei ragazzi, apre progressivamente ad un atteggiamento di
riconoscenza verso la vita in quanto tale, percepita come sostanzialmente buona, anche se non tutto è andato
bene. Dispone a sentire la vita sotto il segno della benedizione, percependola come un «mistero buono».
La capacità di gratitudine rappresenta la base psicologica necessaria per una sana religiosità naturale, non
generata dalla paura, come viene spesso immaginato, ma dal bisogno di avere Qualcuno da ringraziare.

2. D’altra parte non viene richiesto oggi ai ragazzi la fatica di resettare il carattere per diventare capaci di mettersi
nei panni degli altri, e di fare la fatica di costruire dei rapporti buoni in famiglia, basati sulla reciprocità e sulla
giustizia.
Le famiglie entrano in fibrillazione se la pagella non è troppo buona, ma non si allarmano se il figlio è egoista e
prepotente.
Nessuno più chiede la fatica di diventare persone migliori, di prendersi la responsabilità di rendere buoni i rapporti,
anche a prezzo e fatica propri (mettere ordine in casa, di aiutare chi è stanco, di collaborare nelle faccende
domestiche, di adattarsi al tenore di vita della famiglia anziché pretendere livelli di consumi impossibili)
A partire dai genitori spesso arrendevoli, deboli, sommersi dai sensi di colpa.
E con questo è negata l’esperienza del far felice un altro.

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Nessuno più indica loro che ne vale la pena, che li rende più fieri di sé. Che li aiuta a tirar fuori il meglio di sé, più
capaci di voler bene a qualcuno.
E’ necessario che sia loro richiesto fin da subito di rispondere “dando qualcosa di sé”.
Diversamente, rimarranno chiusi nella pretesa infantile di ricevere considerazione, affetto, ritenendo di avere diritto
a ciò che li gratifica o di cui abbisognano, senza nulla dovere in cambio. I rapporti famigliari non equilibrati,
caratterizzati dalla pretesa di avere senza dare, di lasciare ad altri la fatica della convivenza in famiglia, sono
evidentemente malati e costituiscono un serio pericolo per i figli. Rimarranno chiusi nella pretesa infantile di
ricevere considerazione, affetto, aiuto ritenendo di essere gli unici ad avere tale diritto.
Esigere dai figli che vogliano bene anche ai genitori, è dunque essenziale per la loro maturazione umana.
È giusto che i genitori non si accontentino di essere dei fornitori di servizi gratuiti, di esistere per i figli “solo quando
hanno bisogno di qualcosa”, o di non “contare niente perché al mondo esistono solo loro”.
È ragionevole che vogliano ben altro che qualche bacino o che si rifiutino di essere tenuti buoni con qualche
sufficienza scolastica.
È giusto che i genitori esigano di essere voluti bene dai figli nella misura in cui è loro possibile per età e carattere,
divenendo anch’essi progressivamente responsabili del rapporto.
Di essere trattati con rispetto, senza la pretesa di avere energie, tempo, soldi, disponibilità illimitate. E di essere
aiutati quando sono stanchi. Molti ragazzi avvertono un lodevole impulso a salvare la terra dal disastro ecologico o
a soccorrere gli ultimi esemplari di pinguini dall’Antartide, ma non si sognano nemmeno di aiutare la mamma a fare
i piatti. Infatti è lei minacciata di estinzione. È proprio inevitabile che la mamma debba essere ammalata perché i
figli lavino i piatti? Se il genitore ha mal di testa, non dovrebbe essere strano che i figli abbassino il volume dello
stereo. Se la mamma è stanca non dovrebbe essere normale far finta di non accorgersi che ha bisogno d’aiuto.
Tutto questo presuppone la capacità del genitore di dire: dammi di più.

La certezza intrattabile che li guida nell’esigere la reciprocità è che se i figli non si accorgono di essere voluti bene
e credono che valga la pena provare a fare felice qualcuno, a partire dai loro stessi genitori non ci sarà felicità per
la loro vita. Più semplicemente: che anch’essi debbono imparare a voler bene a qualcuno, modificando gli aspetti
del carattere che rendono difficile vivere questo valore. Con molti gesti apparentemente banali, anche i figli
possono rifiutarsi di amare i genitori: scavalcando il sacchetto dei rifiuti invece che portarlo al cassonetto, lasciando
che il genitore, stanco di chiedere inutilmente un favore, scenda in cantina a prendere l'acqua minerale, ma così
facendo uccidono in sé stessi la capacità di voler bene a qualcuno. Il genitore che non chiede mai nulla per sé ed è
troppo disponibile, ad esempio, non riscuote riconoscenza per la sua dedizione, ma deve affrontare pretese ed
incomprensioni sempre maggiori da parte dei figli.

Molti ragazzi rimangono sorpresi all'idea che anche i genitori abbiano “bisogno di qualcosa” di considerazione, di
stima, di affetto, di qualche legittima soddisfazione. In essi sopravvive clandestinamente il desiderio di “dare una
soddisfazioni ai genitori”. La cultura educativa attuale non lo considera una motivazione positiva, ma la sospetta di
inautenticità, di accondiscendenza che snatura l’identità del figlio.

Il figlio è così privato della possibilità di scoprire “cosa ha da dare” per far contento qualcun altro e sviluppa un
atteggiamento esclusivamente utilitaristico nelle relazioni interpersonali.
In molti ragazzi è completamente assente l'esperienza emotiva soddisfacente del rendere felice un'altra persona,
anche se a prezzo di qualche fatica. Se il genitore si annulla, non chiede nulla, impedisce ai figli di sperimentare
compiutamente la loro capacità di dare, di fare felice qualcuno. Di scoprire la loro più profonda positività. Con
questi vissuti , come potrà sentirsi attratto dall’idea di donarsi a Dio e ai fratelli ?

Proposta

Considerato che i presupposti di comprensione e di desiderabilità, di forza attrattiva del valore sono venuti meno ,
perché non dare vita a gruppi di incontro , e di confronto per giovani
 Sulle loro relazioni in famiglia in modo da imparare ad interpretarle secondo l’amore che anch’essi debbono ai
genitori, ai fratelli e alle sorelle?
 Sulle relazioni di amicizia.
 Sulle relazioni amorose, di fidanzamento, per diventare capaci di leggere l’amore ricevuto e diventare capaci
di amare realmente l’altro .
E’ la loro vita il luogo dell’incontro con Dio. E’ la loro identità la casa di Dio in loro. Solo leggendo più in profondità
le loro esperienze , affinando i sensori dell’amore, potranno sentire vera la proposta , esserne attratti e sentirsi
disponibili a viverla .

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