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Processo accusatorio fra Due e Trecento, processo inquisitorio e successive evoluzioni.

Il Processo Accusatorio
Il processo, nel medioevo, solo una delle forme di soluzione di una controversia: la soluzione giudiziale, che convive con altre forme di reazione ad un torto o ad un danno, che si possono definire extra-giudiziarie. Il ricorso al giudice solo un possibile sbocco di una situazione conflittuale. La faida, che pu dar luogo alla vendetta o alla pacificazione, una giustizia privata e negoziata, gestita dalle parti interessate e dalle loro famiglie, eventualmente con lassistenza di mediatori, ma sempre al servizio di logiche di gruppo, in cui a dominare la volont dei soggetti coinvolti nella contesa. I singoli possono anche rivolgersi allautorit pubblica, chiedendo che si instauri un processo. Questa richiesta di giustizia ad un organo pubblico (in quanto amministrata, dispensata da un organo fornito di una legittimazione pubblica, superiore alle parti) ha avuto, nel medioevo, diverse manifestazioni, diversi sbocchi. La prima stata quella del processo accusatorio.

Premessa: lordinamento giuridico comunale.


Il processo accusatorio, come quello inquisitorio (la forma che ad esso si affianca e con esso sintreccia nel corso del Duecento) regolato, infatti, parte dal diritto comune e parte dai diritti locali (statuti e consuetudini locali). In virt di questa peculiare struttura, esso presenta ovunque determinate costanti, ma soggetto anche a numerose varianti, tante quante sono le differenti norme locali, scritte e non scritte. Lillustrazione delle sue fasi e del suo rituale, pertanto, non devessere presa alla lettera, come un modello applicabile rigidamente in tutte le situazioni locali: essa si propone, pi semplicemente, di dare unidea dei binari entro i quali poteva scorrere, e solitamente scorreva, questo processo e dei problemi che esso poneva. Prima di fissare i caratteri essenziali del rito accusatorio, occorre analizzare i tratti costitutivi dellordinamento giuridico in et comunale. Gli elementi basilari di questo ordinamento giuridico, che qui descriviamo nella sua fase di sviluppo compresa tra il XII ed il XIV secolo, sono le leggi, le consuetudini, la dottrina. Le leggi sono costituite innanzitutto dal diritto romano giustinianeo, che nel corso del XII secolo, secondo una cronologia variabile da citt a citt, si afferma come diritto generale, anche in virt della qualifica, ad esso dispensata dai primi interpreti medievali, di diritto imperiale. Loperazione di collegamento del diritto romano con listituzione imperiale fu compiuta prima di tutto dai glossatori e non richiese alcun atto ufficiale di conferma da parte dellimperatore. Il XII secolo , per la verit, un secolo ancora di transizione. Altri diritti contendono al diritto romano il primato di diritto generale in certi luoghi: il diritto longobardo, ad esempio, ha ancora un peso rilevante a Pisa, a Milano, a Bergamo, nelle citt siciliane. La stessa identificazione del diritto romano con il diritto comune, la sua qualificazione come ius commune, non si affaccia, nel linguaggio giuridico, che nel Duecento. Per tutto il XII secolo ius commune, per i giuristi di scuola, i glossatori, qualcosaltro: il diritto naturale e non il diritto romano. Il diritto romano definito diritto comune solo nel tardo Duecento e poi nel Trecento, in cui si chiarisce la dialettica tra il diritto romano, detto ius commune, e i diritti locali, detti iura propria, con una terminologia che rester alla base del sistema giuridico delle citt italiane negli anni a venire. La terminologia usata per indicare le norme romane quella di leges. Leges sono anche, dove applicate, le norme del diritto longobardo. Il sistema delle fonti pi antico, ammesso dallimperatore, fondato su un binomio: leges (diritto romano, diritto longobardo) e consuetudo. I comuni conducono una lotta senza risparmio per il riconoscimento delle loro consuetudini, anche nel campo pubblicistico, dove i poteri dovevano essere direttamente conferiti dallimperatore ed in cui era discusso dai giuristi se le pi rilevanti funzioni pubbliche potessero essere acquisite per consuetudine. I comuni iniziano comunque a legiferare di buon ora per conto loro: in primo luogo con i brevia, le norme che gli ufficiali giuravano di osservare durante il loro mandato; in secondo luogo con statuizioni varie in materia penale, civile, amministrativa. Ad esse si d il nome di statuta, decreta, ordinamento. Erano normative destinate a far nascere un problema di legittimit. La soluzione pi facile era che il diritto di legiferare fosse concesso dallimperatore, che si collegasse quindi ad un permesso dellimperatore.

Un tal permesso verr individuato da alcuni giuristi del Duecento nella pace di Costanza (che in realt non diceva nulla al riguardo), mentre nel Trecento questo permesso sar identificato in una legge del Digestum vetus, la l. Omnes populi (D. 1.1.4). La produzione statutaria urbana incomincia prima della pace di Costanza (1183), per ottenere poi un decisivo impulso dopo di essa, ma non grazie ad essa, perch le citt avevano ottenuto solo il riconoscimento delle loro consuetudini, che sono cosa diversa dagli statuti. Nel corso del Duecento ogni comune si dota di un liber statutorum, destinato a fare ordine nella congerie di statuti precedentemente emessi. Lordine in alcuni casi molto rudimentale, in altri pi sofisticato: i singoli statuti vengono sistemati in un volume separato, diviso in libri ed in rubriche. Dei vari statuti, ora capitoli dello Statuto, si pu perdere la datazione precisa, in altri casi essa viene fortunatamente conservata. I pi antichi testi normativi cittadini sopravvissuti risalgono al XII secolo e sono un frammento di statuto pistoiese (forse del 1177), il Breve consulum di Genova del 1143, il Constitutum usus di Pisa del 1160, il Constitutum legis di Pisa, la cui prima redazione risale pure al 1160 e che ci pervenuto in una stesura del 1186, il Breve consulum e lo Statutum potestatis di Pistoia del 11401180, il breve dei consoli di Pisa del 1162 e 1164. I pi antichi libri statutorum sono del Duecento: Lodi 1201-1228, Benevento 1207-1230, Treviso 1207-1218, Volterra 1210-1224, Verona 1228, Genova 1229 (non pervenuti), Vercelli 1241, Bologna 1245-1267, Siena 1262, Vicenza 1264, Novara 1277-1286, Perugia 1279, Alessandria 1297, Spoleto 1296. Fra quelli non databili con precisione, ma ascrivibili al Duecento, vanno ricordati gli statuti di Bergamo, Brescia, Como. Dello stesso periodo sono le pi antiche redazioni di consuetudini cittadine, come quelle di Alessandria del 1178-1179, di Milano del 1216, di Como, Brescia, Bergamo, Reggio Emilia. Lo statuto cos formato non , per tutto il Duecento ed il Trecento, qualcosa di chiuso ad ulteriori aggiornamenti o integrazioni. Lattivit di normazione prosegue anzi febbrile, dando luogo a continue aggiunte ai capitoli originari. Lo statuto comunale di questo periodo assomiglia cos pi ad un mosaico di norme di varia provenienza (vi confluiscono anche i brevia degli ufficiali e regole consuetudinarie messe ora per iscritto), che non sempre prende le sembianze di un insieme bene ordinato di disposizioni. Ad esempio, gli Statuti di Verona del 1228 non sono divisi in libri: per questo occorre attendere la successiva redazione signorile del 1276 (Statuti di Alberto della Scala). A chi spetta il potere legislativo nei comuni? Esercitato ancora nella prima met del Duecento dal collegio dei consoli, come a Pavia, si consolider in capo al consiglio comunale e non al podest, che era solo organo esecutivo e giudiziario. La legislazione statutaria cittadina per certi versi generale, per altri speciale. generale perch si applica in tutto il territorio. E speciale rispetto al diritto comune. La legislazione statutaria, inoltre, sempre limitata, nel senso che: non mai esaustiva o completa, soprattutto nel privato; non mai esclusiva: coesiste con altre fonti di creazione del diritto; limitata verso lalto (diritto divino e naturale, che sono derogabili solo per giusta causa) e verso il basso (le consuetudini sono vincolanti). Gli statuti cittadini, inoltre, pur rappresentando la principale legge scritta della citt, non sono la fonte primaria del diritto. E vero che inizialmente la dottrina civilistica scettica di fronte alle norme statutarie, soprattutto di fronte a quelle che derogano alle leggi romane (le leges per antonomasia).

Ma poi si adegua e riconosce la validit prima di tutto delle consuetudini contrarie alle leges e poi agli statuti, categoria che si affaccia al pensiero giuridico solo in un secondo momento. Se i giuristi, soprattutto dalla seconda met del Duecento in poi, non rinnegano le esperienze giuridiche particolari, permane sempre una differenza di fondo tra il diritto statutario ed il diritto comune. E vero che la norma statutaria dotata di priorit, nel senso che prevale sul diritto romano, ma non comunque la norma primaria. I giuristi trecenteschi, quando il sistema ormai al suo apogeo, diranno che lo statuto devessere sempre interpretato secondo il diritto comune ed in modo da ledere il meno possibile il diritto comune. Ci consente alla norma statutaria di operare, ma sempre in un ambito di fatto dominato dal diritto comune. Corrisponde ad una visione semplicistica del diritto medievale, il pensare che le norme statutarie potessero essere applicate autonomamente dal diritto comune. Gli statuti generano sempre problemi interpretativi. Sono quelle che, nel gergo dei doctores, si chiamano quaestiones statutorum. Per risolvere questi problemi, i giuristi facevano uso del diritto comune. Quindi occorre distinguere tra applicazione ed uso del diritto comune. Tutto ci permette alla dottrina, che gestisce il diritto comune, di mantenere un ruolo decisivo allinterno del sistema delle fonti, nei cui confronti esercitano un ruolo di controllo. Questo atteggiamento dipende in buona sostanza anche dalla fondamentale convinzione che il diritto romano sia espressione non provvisoria di razionalit, il vero deposito dei princpi generali del diritto, il campo del certo e del vero, di contro agli statuti, espressione di politiche del diritto provvisorie e contingenti, evanescenti come ombre lunari e mutevoli come la luna, secondo la felice immagine calzante di Boncompagno da Signa, un retore che la esprime agli inizi del Duecento nella sua Retorica novissima: Queste leggi municipali e questi plebisciti sbiadiscono come ombre lunari e a somiglianza della luna si accrescono e decrescono secondo larbitrio dei legislatori. Il dinamismo della legislazione statutaria divent addirittura proverbiale: Legge fiorentina fatta la sera guasta la mattina, Legge di Verona non dura da terza a nona. Ed anche Dante, nel Purgatorio, avrebbe rimproverato a Firenze, la pletora di leggi: fai tanto sottili provvedimenti, cha mezzo novembre non giugne quel che tu dottobre fili. Nessuna raccolta di testi di legge per quanto autoritativa sarebbe stata da sola sufficiente. La forza acquistata dal diritto comune dipese in misura determinante dalla metodologia specifica adottata nellapplicazione dei testi medesimi. Fu la tecnica introdotta allinizio del XII secolo dai glossatori bolognesi a rendere ineludibile la conoscenza della legge romana (Padoa-Schioppa, Legislation and Justice). Lopinione dei giuristi divenne cos il motore essenziale del sistema. Di pi: divenne anche fonte del diritto, dal 300 al 500, nella veste tecnica di communis opinio, la cui osservanza consentiva di non incorrere nel sindacato per errore di diritto. Sul continente la complessit del diritto romano e del diritto canonico, ma via via anche le esigenze di applicazione di consuetudini scritte, statuti cittadini, ordinanze regie imposero uno standard di capacit tecnica che solo il giurista formato sui banchi di uno Studio generale era in grado di raggiungere in misura piena. Solo in et moderna lo Stato diventa la fonte esclusiva della legge e la legge a sua volta la fonte prevalente del diritto. Dal diritto come limite dello Stato al diritto come prodotto dello Stato. Quindi diritto non solo legge, nel medioevo e nellet moderna. E la consuetudine un limite per la legge, come si vede bene nel penale.

Ogni ordinamento giuridico non primitivo conosce il trinomio legge-dottrina-consuetudine, e dallet moderna, giurisprudenza (la giurisprudenza delle corti centrali: Senati, Rote, Consigli, Parlamenti). Nel modello medievale colpisce la consapevolezza del ruolo ineliminabile di ciascuno dei tre elementi: la concezione della onnipotenza della legge, considerata quale fonte pressoch esclusiva del diritto, nascer molto pi tardi, nellepoca delle riforme settecentesche. Essa sar superata solo in anni vicini. Cos come solo in questi ultimi anni, in virt dellordinamento comunitario europeo, si sta riaffermando la concezione, familiare allEuropa del medioevo, di un ordinamento legislativo a pi livelli. La fiducia nella giurisprudenza (dottrinale o giudicante) come elemento di controllo del sistema e strumento di certezza cade solo nel Settecento, con la formazione delle correnti antigiurisprudenziali. Allinterno dei regni vi era poi il diritto regio, in certi ordinamenti fin dalla fine del XII secolo: basti pensare ai regni dInghilterra o al regno di Sicilia, mentre allinterno del regno dItalia, la cui corona spettava allimperatore, da questo punto di vista la normativa regia assente. Nelle citt del regno dItalia un nuovo tipo di legislazione si avr solo con il trapasso dal regime comunale a quello signorile: il diritto signorile, promanante dai nuovi signori (i Visconti e poi gli Sforza a Milano ed in tante altre citt lombarde e dellItalia settentrionale, gli Scaligeri in Veneto, i Carraresi a Padova, gli Estensi a Ferrara, i Gonzaga a Mantova). In Lombardia, dopo una breve parentesi dei Torriani, conquistarono il potere i Visconti. Tappe fondamentli della loro ascesa politica furono la concessione del vicariato imperiale ad Azzone Visconti nel 1329 e nel 1395 la nomina a duca di Gian Galeazzo Visconti, da parte dellimperatore Venceslao. Lingresso dei signori nel panorama politico del tardo Duecento e poi del Trecento non elimin dallorizzonte il diritto comune, n il diritto statutario. I signori ottennero tuttavia dalle citt, nei vari atti di dedizione, larbitrium di legiferare super bono et pacifico statu civitatis senza essere vincolati al diritto vigente. Questo potere significava tra laltro: 1) che i signori potevano modificare o revisionare gli statuti; 2) che lefficacia degli statuti era subordinata allassenza di decreti contrari; 3) che ogni statuto doveva essere approvato dal signore. I Visconti promossero effettivamente revisioni statutarie nelle varie citt del dominio, con le quali cercarono di raggiungere una certa uniformit, superando le diversit di regime fino ad allora esistenti. Negli anni 30 del Trecento molto importanti furono le riforme di Azzone Visconti, che prese corpo negli Statuti di Milano del 1330 (non pervenuti), che fecero verosimilmente da modello per gli Statuti di Bergamo del 1333, di Como del 1335, di Piacenza del 1336, di Monza del 1333-1339. Giovanni e Luchino Visconti promulgarono gli Statuti di Cremona nel 1339 e di Varese del 1347; Giovanni Visconti gli Statuti di Bergamo del 1353; Bernab Visconti gli Statuti di Brescia del 1355. Cremona 1355-1356. Una revisione statutaria su amplissima scala fu quella promossa e condotta in porto negli anni 70, 80 e 90 del Trecento da Gian Galeazzo Visconti, che diede luogo alle seguenti compilazioni: Bergamo 1374, Brescia 1385, Cremona 1388, Lodi 1390, Piacenza 1391, Bergamo 1391, Vigevano 1392, Pavia 1393, Soncino 1393, Verona 1393, Milano 1396 (che riproducono quelli del 1351). Per le citt lombarde e venete, il momento finale della produzione statutaria coincide generalmente con il Quattrocento, e quindi con gli Sforza per le citt rientranti nel Ducato di Milano (Como 1458: Francesco Sforza, Monza 1466: Francesco Sforza, Milano 1498-1502: statuti di Ludovico il Moro e di Luigi XII dOrlans) e con la Repubblica di Venezia per le citt della Terraferma veneta (Verona 1450, Brescia 1473 = Brescia 1490, Bergamo 1491, Vicenza, Padova)

Quanto ai decreti, di fatto, anche se essi avevano per i signori la stessa efficacia dello statuto, che emanava dal populus, anche se molti di loro si definirono lex animata in terris e chiamarono lex generalis i loro decreti, questi per avere valore dovevano essere pubblicati e trascritti nel volumen statutorum e valevano solo negli ordinamenti locali ai quali venivano effettivamente spediti. Anche se si tratt comunque di una legislazione settoriale, innegabile che molte riforme furono possibili solo perch compiute a colpi di decreto.

Unosservatore autorevole della prassi del Duecento: Alberto Gandino


Nasce a Crema nel 1240-1250. Si laurea a Padova, dove allievo di Guido da Suzzara. Non un professore: fa il giudice itinerante a Lucca, Bologna, Perugia, Firenze, Siena, Modena. E pure podest a Fermo nel 1305. La sua opera la prima esposizione del diritto e della procedura penale fatta da un pratico. E essenzialmente una raccolta di quaestiones. Sintitola Tractatus de maleficiis. Fu scritto a Perugia (1286-1287) e poi rivisto a Siena (1299). Fu appositamente elaborata per i suoi due figli, Albicino e Iacobino, studenti a Padova, ma anche per tutti i sapienti. E divisa in 35 rubriche, dedicate alla procedura penale e al diritto penale. Se ne conoscono ben 7 redazioni manoscritte: tre di Gandino, del periodo 1286/1287-1301 e quattro spurie, di epoca pi tarda. Impressionante il numero delle fonti lette e messe a frutto. Si ritrovano i nomi di Azzone, Accursio, Odofredo, Bernardo da Parma, Guido da Suzzara, Iacopo dArena, Martino da Fano, Tommaso da Piperata, Uberto da Bobbio, Dino del Mugello, Guglielmo Durante, Riccardo Malombra.

Il rito accusatorio dei comuni italiani


Il rito accusatorio dei comuni italiani prevede una serie di fasi interne, ciascuna accompagnata da termini stretti (per presentare laccusa, per la litis contestatio, per presentare le prove, per difendersi) e da garanzie, tese a scongiurare il rischio di accuse temerarie o infondate (giuramenti, cauzioni, fideiussioni). Nel momento in cui siamo in grado di vederlo meglio operare, nel Duecento, esso ci appare come un processo formale, in cui era essenziale che sia le parti sia il giudice fossero assistite da personale specializzato (procuratori, avvocati, notai, giuristi consulenti) che conoscesse le regole del rito, fissate dal diritto, ed anche costoso: per i salari da versare agli avvocati o ai consulenti, per le somme richieste a titolo di garanzia. 1. E un processo che si instaura su domanda di parte, come nel civile. Presuppone un conflitto in atto tra due parti, senza con ci volersi sostituire (almeno nella sua forma pura) alla giustizia privata, che corre su un binario parallelo. E un processo che serve a risolvere un conflitto di parte e che alcuni storici propongono di chiamare processo reattivo (adottando il lessico proposto dal comparatista croato-americano Mirian Damaka, nel libro The Faces of Justice and State Authority, New Haven, Yale University Press, 1986, trad. ital. I volti della giustizia e del potere, Bologna, Il Mulino, 1991), perch presuppone un conflitto tra due parti ed istituzionalmente teso a risolvere questo conflitto. 2. E un processo triadico, a tre parti (accusatore, accusato, giudice), concepito come una contesa fra due parti avverse di fronte a un risolutore di conflitti neutrale. 3. Il giudice, nel rito accusatorio puro, ha una posizione diversa da quello che ricopre nel rito inquisitorio. Egli si limita infatti a reagire a determinate richieste delle parti: in particolare, non svolge un ruolo attivo nella ricerca delle prove e nella punizione del colpevole, ma si limita a consentire lo svolgimento dello scontro processuale tra le parti. Questo perch il comune, la res publica, non ha ancora sviluppato un interesse del tutto autonomo da quello delle parti alla punizione del colpevole. 4. E un processo circondato da numerose cautele, che servono a scongiurare il rischio di azioni temerarie o calunniose. Laccusatore simpegna a proseguire il processo fino al suo esito e a presentare le prove della colpevolezza dellimputato. Il giudice controlla i requisiti per lammissibilit degli accusatori e delle prove e provvede allescussione dei testimoni. 5. E un processo che, nel medioevo continentale, senza giuria, senza partecipazione popolare: giudice del fatto e del diritto sempre il podest o il giudice del maleficio, che valuta i requisiti formali, per verificarne la regolarit, fa citare laccusato, presiede la fase di litis contestatio, in cui laccusato dichiara se accetta o no il giudizio, ordina lacquisizione al processo delle prove, che sono prevalentemente testimoniali. Non esiste una giuria di accusa, chiamata a valutare la regolarit e la fondatezza d ellaccusa in via preliminare. Manca la giuria di giudizio, investita del potere di definire le questioni di fatto. 6. E un processo senza dibattimento orale. Le prove testimoniali vengono infatti acquisite in segreto, fuori dalla presenza delle parti e dei loro avvocati. I testimoni sono interrogati dai giudici, ma spesso anche dai notai, che quindi svolgono un ruolo importante nel processo penale. Le domande, per, vengono fatte sulla base dei capitoli offerti dalle parti: rispettivamente le intentiones dellaccusatore e le quaestiones dellaccusato. E prevista infatti la possibilit dellinterrogatorio incrociato: i testimoni saranno interrogati sulla base delle domande proposte dallavvocato dellaccusatore e poi saranno controinterrogati sulla base delle domande preparate dallavvocato dellaccusato, e via di seguito. 7. E un processo in parte orale (litis contestatio, accordi, perfino la sentenza in molti luoghi), in parte scritto (escussione dei testimoni, difese).

8. Manca linteresse allo studio delle sentenze (laddove fossero redatte per iscritto e fossero archiviate). Esse, infatti, non erano motivate. Il loro contenuto, quindi, dal punto di vista delle argomentazioni giuridiche, povero. Il formulario prevede che si indichino i nomi delle parti, si dia atto delle prove presentate e delle difese esperite (attraverso la tipica formula utriusque partis allegationibus auditis, udite le allegazioni di entrambe le parti), si decreti la condanna o lassoluzione. Solo la lettura dei processi completi d quindi la possibilit di valutare le argomentazioni giuridiche, che si possono reperire, dalle allegazioni delle parti, se esistono, e dai consilia eventualmente commissionati durante il processo dai giudici (consilium sapientis iudiciale) o dalle parti (consilium pro veritate) a giuristi non coinvolti come difensori nella causa. Neanche le allegazioni degli avvocati ed i consilia, tuttavia, erano soggetti, nel Duecento, ad unattivit di raccolta e quindi di studio. Il contenuto dei consilia dati in occasione di un processo resta perci affidata alla memoria dei presenti o dei pratici operanti in un determinato foro cittadino. Erano invece raccolte e studiate le quaestiones, che i doctores (cio coloro che erano in possesso della laurea in diritto civile e/o canonico, acquisita nelle universit esistenti, e che vi insegnavano a loro volta) redigevano per laddestramento dei loro studenti. Molte di tali questioni, com stato appurato, sono state ricavate da consilia resi in occasione di processi effettivamente celebrati nelle varie corti cittadine.

Il processo accusatorio un procedimento ad iniziativa dei privati. Si inserisce in un conflitto pi ampio tra le parti, di cui rappresenta una fase, a seconda dei casi conclusiva o interlocutoria. Laccusa, per i giuristi medievali, rappresenta il modo ordinario di procedere nel penale. I maestri si richiamano al diritto civile, al diritto canonico ma anche al diritto divino. Alberto Gandino, ad esempio, come altri prima di lui, cita il Vangelo: Si nemo te accusat, nec ego te condemno, aveva detto Ges alladultera. Laccusatore simpegna a proseguire il processo fino al suo esito e a presentare le prove della colpevolezza dellimputato. Il giudice controlla i requisiti per lammissibilit degli accusatori e delle prove e provvede allescussione dei testimoni. Il rito accusatorio prevede una serie di fasi interne, ciascuna accompagnata da termini stretti (per presentare laccusa, per la litis contestatio, per presentare le prove, per difendersi) e da garanzie (giuramenti, cauzioni, fideiussioni). Era dunque un processo costoso, nel quale doveva intervenire personale specializzato (notai, procuratori).

Gli accusatori
De iure, non possono accusare i servi, le donne (se non per i reati che le riguardano come persone offese), gli impuberi (cio i minori di 12 anni, se femmine, e di 14, se maschi), gli adulti minori di 25 anni, senza il consenso del curatore, i figli in potest senza il consenso del padre (tranne che per i crimini pubblici), i figli in potest contro il padre (anche per ingiuria grave: solo gli emancipati potevano accusare), gli infami, i banditi ed altre categorie di soggetti ritenuti non legittimati allaccusa per varie ragioni De iure, se il delitto privato pu accusare solo la parte lesa; se il delitto pubblico, chiunque, tranne restrizioni, come nel caso delladulterio. La distinzione tra delitti privati (delitti in senso stretto) e pubblici (crimini) tecnica e deriva dal diritto romano. Sono delitti privati: il furto, la rapina, lincendio, le ingiurie, laggressione, il ferimento, le percosse, la diffamazione.

Sono delitti pubblici (o crimini): leresia, la bestemmia, il crimine di lesa maest (sotto questa etichetta rientra una vasta serie di comportamenti contrari allordine della res publica ed allintegrit del governo e dei governanti, previsti dalla legge Iulia maiestatis, esposta in D. 48.4 e in C. 9.8), i reati sessuali (adulterio, stupro, ratto), la violenza pubblica e la violenza privata (altre figure delittuose complesse, che fanno capo alla legge Iulia de vi publica ed alla legge Iulia de vi privata: nella vis publica rientrano ad esempio lo stupro violento, lincendio il ratto di fanciulli; della violenza privata fanno parte la rapina in occasione di pubbliche calamit, la violenza per impedire di presentarsi in giudizio, loccupazione di fondi), lomicidio (previsto dalla legge Cornelia de sicariis et veneficis), il parricidio (legge Pompea de parricidiis), i reati di falso (legge Cornelia de falsis), la corruzione (legge Iulia repetundarum), le manovre speculative (legge Iulia de annona), il peculato, il sacrilegio, listigazione alla corruzione (legge Iulia de ambitus), il plagio (legge Fabia de plagiariis), il favoreggiamento, i reati connessi con laccusa (previsti dal senatoconsulto Turpilliano) ed altri titoli di reato. La fattispecie dei delitti privati, peraltro, viene doppiata, nel senso che si costituisce nel contempo una fattispecie speculare di delitti pubblici, in modo da fornire una tutela criminale anche ai comportamenti delittuosi inizialmente dotati solo di una tutela risarcitoria privata. Per i delitti privati, molti statuti stabiliscono che sempre necessario ottenere il consenso della parte lesa. La facolt di accusare comunque soggetta a non poche variazioni rispetto al diritto romano negli statuti.

Il libello accusatorio
In alcuni luoghi, laccusa devessere presentata entro un certo termine dal giorno della commissione del reato (a Bologna 1288: un mese). Non necessaria la redazione di un libello accusatorio scritto, come prevede la legge romana. Laccusa, pur presentata oralmente nellapposito ufficio del maleficio, devessere per trascritta nel libro delle accuse da un notaio. Dalla stessa devono risultare i nomi delle parti, il luogo ed il tempo del delitto, la richiesta di procedere. In alcune citt, gli statuti esigono che laccusatore indichi anche i nomi dei testimoni, a seconda dei casi per tutti o per alcuni delitti (Como, Perugia 1279; la regola nel diritto milanese, a partire dagli Statuti del 1330, e da l passa poi in altri statuti lombardi). Liscrizione alla pena del taglione caduta in desuetudine, come la pena stessa: questo, come afferma Gandino, per non scoraggiare gli accusatori. Nel diritto milanese si ha conferma di questa consuetudine contraria al diritto romano gi nelle Consuetudini di Milano del 1216, 3, de ordine causarum criminalium, 3: il reo si conviene come nelle cause civili, non accepta pagina inscriptionis, sed simplici porrecto libello (senza iscrizione alla pena del taglione, ma con la semplice presentazione - porrectio - del libello accusatorio). Laccusatore deve in genere giurare sulla verit dellaccusa e che non accusa animo calumniandi. Poi deve promettere di proseguire laccusa nei termini stabiliti e dare garanzia (securitas: fideiussori) per la multa e le spese. In caso di non prosecuzione dellaccusa, deve pagare una multa e rifondere le spese. E una regola del diritto milanese, come dimostra almeno la riforma statutaria del 1330, ed adottata anche da altri statuti lombardi. La carcerazione preventiva dellaccusatore richiesta de iure, mentre de consuetudine non si osserva. Ci confermato dalle consuetudini e dagli statuti lombardi, che non la prevedono.

Citazione dellaccusato
Nella citazione si ordina allaccusato di comparire in giudizio entro un dato termine e gli si notificano gli estremi essenziali del libello. Le citazioni necessarie de iure sono tre, dopo le quali si pu emettere il bando.

Presentazione
Nella prima udienza, si chiedono solitamente determinate garanzie allaccusato. A Bologna, ad esempio, ai sensi dello statuto del 1288, se laccusato si presenta nel termine stabilito nella citazione, il giudice si fa prestare il giuramento de veritate e di calunnia e la promessa di ripresentarsi e di adempiere leventuale condanna pecuniaria, dietro apposita fideiussione. Molto ricorrenti negli statuti sono altre due regole, che interessano questa fase del giudizio. Se il delitto delitto punito con pena sanguinis, laccusato tenuto a presentarsi personalmente e non attraverso procuratore: norma ricorrente in tutti gli statuti lombardi. La carcerazione preventiva dellaccusato imposta generalmente solo per i reati puniti con pena capitale. Nei reati puniti con pena pecuniaria, laccusato pu invece evitare il carcere se ha dei fideiussori oppure se paga una cauzione (secondo le Consuetudini di Milano 1216, il versamento di una cauzione ammesso anche per i reati capitali). Anche questa una norma che trova ampio riscontro nel diritto lombardo.

Litis contestatio
Dopo il giuramento dellaccusato (il giuramento de veritate dellattore di solito preteso gi al momento della presentazione dellaccusa), nella stessa udienza o in unaltra, il notaio legge il libello e il giudice interroga le parti. Il convenuto deve confessare o negare di aver commesso il delitto. E la litis contestatio: laccettazione del processo da parte del convenuto.

Positiones
In una successiva udienza, il cui termine fissato dal giudice, o nella stessa, il giudice interroga le parti per circoscrivere loggetto della prova. Linterrogatorio avviene sulla base di domande proposte dallattore (positiones) a cui laccusato deve rispondere con le parole credo, non credo, nego. Se risponde credo i fatti rimangono confessati e provati. Si d quindi un termine allaccusato e allaccusatore per produrre le prove. In particolare, allaccusatore per indicare i testi e le domande da porre loro (intentiones) e allaccusato per le proprie domande (quaestiones) da porre ai testi daccusa e per la lista dei testimoni a difesa. Questo momento varia da statuto a statuto, ma sempre dopo la litis contestatio.

Testimonianze
I testimoni hanno un ruolo centrale. Il giudice valuta se i testimoni hanno i requisiti per testimoniare. Procede quindi alla loro escussione, sulla base delle intentiones dellaccusatore e delle quaestiones dellaccusato. Le parti assistono solo al giuramento dei testimoni. Le domande sono fatte dal giudice o da un notaio, sulla scorta dei capitoli presentati dalle parti. Anche ai testimoni possono essere chieste delle garanzie.

A Bologna, ad esempio, secondo i gi menzionati statuti del 1288, il procedimento si svolge cos: laccusatore d al giudice la lista dei testimoni; il giudice li cita e dispone il pignoramento di alcuni beni a garanzia; chiede le intentiones allaccusatore, le quaestiones allaccusato. In ogni caso, vi sono due differenze importanti rispetto alla prassi inquisitoria: lescussione dei testi si fa dopo la citazione dellimputato, al quale devono essere comunicati i capi daccusa.

Duello
Nel Duecento, diverse citt italiane, anche per tradizione di diritto longobardo, continuavano ad ammettere il duello giudiziario nei loro statuti, talora con minuziosit, pur se con riferimento ad un numero ristretto di crimini, peraltro non dei minori, e con cautele (esistenza di indizi di colpevolezza contro il reo; mancanza di prove piene). A Perugia, ad esempio, nello statuto del 1279, dove il duello ancora largamente presente, in un capitolo il sistema probatorio dellomicidio incentrato sulla confessione e sui testimoni; in loro assenza o insufficienza si d allaccusato la facolt di difendersi con il giuramento ma, qualora lattore lo incolpi di spergiuro, pu essere ordinata la pugna, ad arbitrio del podest e del capitano del popolo. E in altra sede si dice che lomicidio pu sempre provarsi con il duello. Un mosaico che lascia convivere differenti metodi di soluzione di una lite. Non era ovunque cos. Molti altri statuti tacevano. E nel Regno di Sicilia il duello era stato espressamente proibito da Federico II, in una costituzione del Liber Augustalis che Roffredo accoster agli ultimi esiti del diritto canonico, e a Baldo tanto piacer, per la sua tensione verso lequit naturale [C1] , pur se limperatore aveva insistito nel conservare il deprecato rimedio contro gli imputati di veneficio, omicidio clandestino e lesa maest, a fini dichiaratamente intimidatori. Dal XII al XIII secolo, i pontefici si occuparono pi spesso del duello e, con qualche eccezione, formulando giudizi tutto sommato contrari al suo utilizzo, quanto meno nei processi ecclesiastici. Certo, si tratta di decisioni di specie, di schegge che emergono da una prassi che ancora li utilizza appieno: ma esse denotano comunque una forma di reazione. Sono lettere di Callisto II, di Alessandro III e di Celestino III, che in una di esse condanna la prava consuetudo relativamente ad un caso verificatosi in una corte di giustizia laica, dove, essendo stato commesso un furto e mancando lattore (un sacerdote) di testimoni, questi aveva chiesto il duello, svoltosi poi tramite un campione. Morto il convenuto (un laico) in seguito alle ferite ricevute, per il papa si tratta, n pi n meno, che di un omicidio. Anche Innocenzo III fu chiamato a risolvere casi concreti, ma il suo pontificato segna un vero punto di svolta, nel momento in cui lavversione nei confronti del duello e delle ordalie si congiunge ad un pi ampio e ambizioso disegno: una giustizia ecclesiastica da un lato sempre pi centralizzata ed efficiente (grazie anche alluso di una forma processuale come linquisizione) e dallaltro sempre meno compromessa con la giustizia secolare (la presenza di sacerdoti era essenziale allespletamento delle ordalie). Quando questo obiettivo verr tradotto sulla carta, nel IV concilio lateranense del 1215, la conferma dellinterdizione del duello e il solenne divieto rivolto ai chierici di partecipare alle ordalie acquisteranno un sapore nuovo. Lappoggio della scienza fu determinante, sia prima che dopo. Infatti, rispetto al XII secolo, et in cui la decretistica era ancora divisa, non essendo ancora del tutto convinta che il duello dovesse ritenersi illecito in ogni caso, quanto meno per i laici, la canonistica del Duecento, forte dei nuovi appigli normativi, si schier senza reticenze contro la pugna, e questo senza far differenze tra giudizi ecclesiastici e secolari.

Pubblica fama - Giuramento dellaccusatore


La pubblica fama (cattiva reputazione dellaccusato) ed il giuramento dellaccusatore, de iure, non hanno valore di prova piena in materia criminale. Determinati statuti, invece, elevano al rango di piena prova sia la pubblica fama, provata da un certo numero di testimoni, sia il giuramento della persona offesa, eventualmente congiunto ad altri elementi (testimoni, pubblica fama). Anche il giuramento dellaccusato pu talora avere rilevanza. Ad esempio, secondo lo Statuto di Perugia del 1279, il cittadino di Perugia accusato di furto che non sia n convinto n confesso pu difendersi con giuramento dallaccusa. Se per lavversario si oppone, laccusato, se maggiore di 14 anni ed la cosa rubata ha un valore superiore ai 20 soldi, deve difendersi il suo giuramento con il duello, altrimenti si reputa confesso (cap. 293). Dopo la fase probatoria, laccusato presenta le proprie allegazioni e difese.

Esiti
Il processo accusatorio pu terminare in vari modi:

A) Mancata prosecuzione dellaccusa. Il processo pu semplicemente interrompersi perch laccusatore non pu proseguire laccusa e quindi abbandona il processo oppure la ritira formalmente, rinunciando ad essa: cosa che, se vuole evitare sanzioni pecuniarie, in genere pu fare solo entro certi termini. E evento frequentissimo. La mancata prosecuzione dellaccusa integra il crimine di tergiversatio, che gli statuti puniscono in genere con una pena pecuniaria. Equesto il rischio dei processi accusatori. Labbandono pu dipendere: 1) dallintimidazione esercitata dallimputato sullaccusatore o sui testimoni; 2) da effettiva incapacit di proseguire laccusa; 3) dal fatto che accusatore e accusato hanno trovato un altro modo di risolvere il loro conflitto. Ma in questo caso allora interviene la pace. La collusione con laccusato si chiama invece prevaricazione ed punita dal diritto comune con una pena arbitraria e dagli statuti con una pena per lo pi pecuniaria. B) Condanna per contumacia: frequentissima.
Se, dopo le citazioni di rito (tre, ma anche due secondo alcuni statuti: Perugia 1279; Spoleto 1347), laccusato resta assente, non sarebbe possibile emanare una sentenza di condanna: questo secondo tanto il diritto civile quanto il diritto canonico. Neanche si potrebbero ricevere le deposizioni dei testimoni. Il diritto romano prevede che i beni di colui che non risponde alla chiamata nel termine previsto siano confiscati. Se lassente si presenta entro 1 anno, ammesso a difendersi e, se viene assolto, i beni gli sono restituiti. Se si presenta dopo 1 anno, i beni rimangono invece al fisco. In Italia, la consuetudine ben diversa e cos pure differente il regime degli statuti. Contro il contumace, infatti, il giudice pu emettere immediatamente una sentenza di bando e successivamente, se egli non si presenta nel termine previsto, di condanna in relazione al reato di cui accusato, senza bisogno di ulteriori indizi: la contumacia equivale infatti ad una confessione presunta. Non necessario che il giudice disponga di prove effettive della colpevolezza dellinquisito.

Effetti del bando 1) perdita della capacit processuale; 2) perdit della capacit di ricoprire incarichi pubblici; 3) perdita del diritto allintegrit fisica e financo della vita (nel diritto milanese e lombardo: solo se il delitto punito con pena capitale) o allintegrit dei suoi beni; 4) confisca dei beni (solo per determinati reati: nel diritto milanese e lombardo prevista per il crimine di lesa maest, la ribellione, lomicidio, la falsa moneta). Il bando diventa esecutivo trascorso il termine stabilito perch limputato si possa presentare. La contumacia, per il diritto statutario, equivale dunque ad una prova piena di colpevolezza: il reo, si dice, si considera come convinto e confesso. Il podest o i suoi giudici devono pertanto condannarlo. Questa condanna, in base ad alcuni statuti cittadini, pu essere definitiva e quindi, oltre che inappellabile, immediatamente esecutiva e perci da eseguirsi, non appena il bandito catturato (quando perviene in fortia communis), senza che gli siano concesse le difese (autorizzando, anzi, la sua tortura, per scoprire i complici o altri delitti da lui commessi). Per altri statuti la condanna revocabile: se il bandito viene catturato o si costituisce, inizia un nuovo procedimento che pu portare allassoluzione o alla condanna definitiva: cos, ad esempio, se il reato non punito con pena di sangue, avviene a Milano, secondo gli statuti trecenteschi, e poi in altre citt lombarde che seguono questo modello. Il bando un provvedimento caratteristico del processo penale anche per tutta let moderna. Con il suo rifiuto a comparire in giudizio, colui che citato si pone fuori dalla comunit, in uno stato di inimicizia, alla stregua di un nemico. Osserva Otto Brunner che Solo nel XVIII secolo il concetto moderno del diritto penale che punisce il violatore del diritto, senza considerarlo per ci un nemico e senza espellerlo dalla comunit giuridica, si stabilisce definitivamente nel diritto continentale. A questo punto si afferma anche lidea che soltanto il soldato avversario sia nemico nel senso del diritto internazionale. Gli statuti, inoltre, mirano a fare il vuoto intorno al bandito, punendo qualsiasi comportamento di favoreggiamento. Sono ipotesi delittuose che non mancano mai: punito chi presti aiuto o consiglio ai banditi, chi li accolga nella propria casa, viene financo punita la comunit che offra ricetto ai banditi, tollerando che in essi dimorino o soggiornino (conversatio). Si impongono soprattutto agli abitanti dei borghi e dei villaggi di adoperarsi afinch i banditi siano consegnati alla giustizia. Tutto questo insieme di disposizioni pone, com logico, spinosi problemi interpretativi. Ci si chiede, ad esempio, se sia necessaria la consapevolezza che taluno stato bandito, e si risponde affermativamente, tanto che molti statuti specificano che colui che d ricetto al bandito deve sapere il suo stato. Ci si chiede a quali condizioni una comunit possa essere punita per non aver consegnato il bandito alla giustizia, e via discorrendo. Il favoreggiamento dei banditi negli statuti Propriamente, ragionando secondo il diritto comune, c differenza tra nascondere il bandito (receptare) e lasciarlo liberamente soggiornare. La differenza viene fatta notare da importanti giuristi del Trecento. Gli statuti, tuttavia, considerano spesso equivalente alla ricezione il lasciare che il bandito soggiorni pubblicamente. In tal caso, lillecito sembra possa essere costruito come unomissione dellobbligo di espellere oppure di catturare e di presentare alle competenti autorit il bandito che sia trovato nella comunit: obbligo da intendersi violato, come molti statuti affermano, nel momento stesso in cui il bandito sia lasciato soggiornare pubblicamente (publice morari) in una determinata comunit. Lobbligo pu essere penalmente sanzionato tanto nella comunit quanto in ciascuna persona.

Qualche esempio. Perugia 1279, cap. 278, p. 277: si castrum vel villa aut specialis persona receptaverit vel retinuerit aliquem exbannitum pro maleficio (se un castello o un villaggio o una persona individuale avr accolto o tenuto qualche bandito per maleficio multe differenziate per i castelli, le ville, le chiese o i monasteri). Pistoia 1286, III, 12, p. 107: nulla communitas sive comune... receptet vel permictat habitare aliquem exbannitum... (nessuna comunit o comune accolga un bandito o gli permetta di abitare tra le sue mura: multa). Pistoia 1286, III, 163, p. 151: si in aliqua comunitate nostri districtus publice et palam staret et moraretur aliquis rebellis civis... eadem pena puniatur talis comunitas per cuius territorium publice et palam et in presentia hominum comunitatis transiret aliquis rebellis civis..., si non traxerint ad capiendum eos et eos caperent, si potuerunt (se in qualche comunit del nostro distretto stesse ed abitasse pubblicamente e apertamente qualche cittadino ribelle tale comunit sia punita con la stessa pena irrogata al ribelle, se gli abitanti non avranno cura di prenderlo e non lo abbiano preso, potendolo fare . Pisa, Breve 1286, III, 32, p. 387 s.: Si quod autem commune pisani districtus aliquem exbannitum pro maleficio aliquo, vel quasi, receperit, vel ibi esse aut stare permiserit (se qualche comune del distretto pisano avr accolto o permesso di dimorare nei suoi confini un bandito per maleficio o quasi maleficio): luniversitas condannata ad una multa hoc ipso quod probetur exbannitum publice morari vel stare in communi vel universitate (nel momento stesso in cui si provi che il bandito abitava pubblicamente o stava nel comune o nelluniversitas). Nello statuto di Lucca del 1308, III, 82, p. 193 s., si proibisce che un comune o universitas del distretto teneat... vel receptet... in suo comuni vel terra vel pati ibi aliquem morari imbanpnitum vel condenpnatum pro maleficio, asosinum (sic) vel masnaderium, ex quo notum vel denunptiatum fuerit in ipso comuni publice talem imbanpnitum esse vel condenpnatum occasione maleficii vel quasi, vel nisi esset notorium (tenga o accolga nel suo comune o terra, o lasci abitare un bandito o condannato per maleficio, un assassino o un masnadiero, da quando sia noto o denunciato pubblicamente nello stesso comune che il tale era bandito o condannato per un maleficio od un quasi maleficio, o ci non fosse notorio). La pena dovuta salvo quod ipsum comune presentaverit lucano Comuni talem imbanpnitum vel condenpnatum... (a meno che lo stesso comune non presenti al comune di Lucca tale bandito o condannato). Nel successivo cap. 83 si considera equivalente lomessa reazione tosto che un bandito sia avvistato in un comune del distretto. Non pertanto indispensabile che un bandito soggiorni per un certo periodo: Item, quod si in aliquo comuni districtus et fortie apparuerit vel visus fuerit aliquis imbanpnitus pro maleficio, statim, quam citius fieri potest, homines illius comunis trahant ad capiendum illum talem imbanpnitum cum armis et sine armis ad eorum beneplacitum, clamando post et contra talem imbanpnitum Capiatur, capiatur. Et pulsari faciant campanas eorum comunis ad sturmum. Quod si non fecerint, puniantur in ea summa ac si receptassent (se in qualche comune del distretto apparso o stato visto qualche bandito per maleficio, immediatamente, quanto prima possibile, gli uomini di quel comune si traggano a catturarlo con armi o senza armi a loro scelta, gridando Si prenda, si prenda. E facciano suonare le campane del loro comune a stormo. E se non lo faranno, siano puniti nella stessa somma dovuta qualora lo accogliessero). Lobbligo coinvolge anche i comuni che sentano il rumore e le campane o verosimile che li possano udire: et sic de campana in campanam per districtum et totam lucanam fortiam fiat pulsatio et rumor de comuni in comune, et trahatur, ut dictum est, donec talis imbanpnitus captus fuerit, ad penam superius nominatam pro quolibet comuni (e cos di campana in campana per tutto il distretto ed il territorio lucchese si propaghi il suono ed il rumore di comune in comune e sia protratto finch tale bandito non sia preso, pena la sanzione sopra nominata per ciascun comune).

C) Assoluzione per intervenuta concordia tra le parti.


Il processo pu terminare per accordo delle parti, che presentano al giudice un atto di pace redatto davanti ad un notaio (instrumentum pacis). De iure, in base alla l. Transigere del Codice (C. 2.4.18, de transactionibus: una costituzione di Diocleziano del 293), si pu transigere solo se il delitto pubblico ed punito con la pena di morte, eccetto ladulterio, per il quale non lecita la pace, ed il falso per il quale lecito transigere, bench non sia punito con la pena di morte. Transigere vel pacisci de crimine capitali excepto adulterio non prohibitum est. In aliis autem publicis criminibus, quae sanguinis poenam non ingerunt, transigere non licet citra falsi accusationem (Non proibito transigere o fare pace di un crimine capitale, eccetto ladulterio. Negli altri crimini pubblici, che non comportano una pena capitale, non lecito transigere, eccetto che per laccusa di falso). Col tempo, si verr ad ammettere in dottrina che la pace lecita anche se il delitto punito con pena corporale, come la mutilazione, la fustigazione, ed anche se il delitto privato, purch sia punito con la pena di morte. Si discute anche se si debba prestare attenzione alla pena stabilita dal diritto comune o dallo statuto: finisce per prevalere la tesi che si deve aver riguardo allo statuto. Quanto agli effetti della pace, la disputa aperta gi tra i glossatori ed i postaccursiani. Pillio ed Azzone sostengono una tesi che dilata le conseguenze della concordia raggiunta ben oltre le parti del contratto: la pace impedisce infatti a chiunque e non solo alle parti di proporre accusa e, se il processo in corso, lo fa cessare, con lassoluzione dellimputato. In questo modo, le parti hanno il potere di decidere le sorti del processo. Per Iacopo Colombi, Ugolino e Accursio, invece, la pace impedisce la proposizione dellaccusa solo alle parti che lhanno conclusa, ma non ad altri. Odofredo aderisce invece alla tesi azzoniana. Guido da Suzzara arriver addirittura a dire che laccordo tra le parti vale anche nei confronti del podest. Ma su questultimo punto, mentre Iacopo dArena, il Revigny ed il Belleperche affermeran no che la pace non preclude n ad altri n perfino allo stesso accusatore di presentare accusa (per Iacopo, leffetto della liceit della pace, discendente dalla l. Transigere, solo quello di evitare che nel futuro, a causa della pace, loffensore possa essere ritenuto reo confesso), prevarr la tendenza contraria, affermata a chiare lettere da Dino e da Alberto Gandino: il podest pu sempre proseguire dufficio il processo. Questo non deve portare a concludere che con lavvento del processo inquisitori o la pace abbia terminato di svolgere un ruolo: in realt, la pace nel Duecento e nel Trecento ha ancora unincidenza fortissima ed anzi si pu dire che in certi luoghi il numero pi alto di assoluzioni per pace privata si riscontra proprio nelle inquisizioni. Pu anche avvenire che il podest assolva limputato, che gli presenta la carta della pace, anche se reo confesso: cos a Perugia, nel 1276. Le consuetudini e gli statuti accolgono regole diverse dal diritto comune. In Lombardia, la pace nel XII-XIII secolo ha un certo rilievo, in relazione a determinati reati. A Bergamo, nello Statutum vetus del Duecento, la pace ammessa per i reati di ferimento con armi vietate (pena prevista: guasto dei beni ed espulsione); ferimento senza premeditazione (pena prevista: guasto dei beni ed espulsioni); omicidio non premeditato (non tractatim factum), punito con il bando perpetuo, il guasto dei beni e lespulsione dalla citt. In questultimo caso, la pace con il ferito poi deceduto o con i suoi eredi consente la revoca del bando. Si stabilisce invece che la pace non pu incidere sulla pena in caso di omicidio premeditato (pena prevista: bando perpetuo ed altre) e di rottura della pace (pena prevista: come sopra). Nel 1220 si decide di stabilire la pena di morte per lomicidio premeditato.

Lo stesso si stabilisce per lomicidio preterintenzionale commesso in citt (ferite in citt da cui derivata la morte). Nel 1221, tuttavia, il comune costretto a stabilire, con effetto retroattivo, che la pace consente alluccisore con premeditazione di evitare la pena di morte (salve le pene anteriormente stabilite). Evidentemente la pena di morte non era stata accettata. Solo nello statuto del 1331, al quale collabor Alberico da Rosciate, si ritorna alla disposizione originaria del 1220, ordinando che la pace non giova ad evitare la pena di morte, in caso di omicidio premeditato. Gli statuti di Milano del 1330, ricostruibili indirettamente, negano invece alla pace leffetto di evitare la pena capitale per qualsiasi omicidio in generale. La tendenza della legislazione statutaria lombardia comunque quella di assegnare alla pace un rilievo solo riguardo ai reati puniti con pena pecuniaria, che la concordia serve a ridurre. Levoluzione differente, a seconda delle citt. A Como, ancora nel 1335 la pace consente di evitare la pena di morte in caso di omicidio, sostituendola con una pena pecuniaria, a sua volta alternativa al carcere in caso dinsolvenza. Si arriver ad eliminare ogni effetto sulla pena capitale per omicidio solo nel 1344. Altrove non cos: a Padova , uno statuto del 1236 ammette che la pace possa sottrarre lomicida dalla pena capitale, ma nel 1266 si stabilisce che la pace non cancella la pena di morte per lomicidio premeditato. Mentre a Perugia lo statuto del 1279 esclude che la pace possa avere effetti sulla pena prevista per un certo numero di reati, tra cui lomicidio ed i ferimenti con cicatrici permanenti (un dato statutario nella prassi non sempre rispettato: a volte la pace accettata, a volte no). A Bergamo secondo lo statuto del 1353 (Giovanni Visconti), la pace riduce la pena pecuniaria della , ma non vale a redimere la pena capitale. Nello statuto di Bergamo del 1391 e in quello di Pavia del 1393, la pace ha un ruolo ancor pi limitato: la pena pecuniaria infatti diminuita solo di e si conferma che essa non serve ad eliminare la pena di sangue. Altri statuti, non di area lombarda, introducono anche dei limiti cronologici: la pace efficace, ai fini della riduzione della pena pecuniaria, purch risulti fatta prima dellaccusa o entro un certo periodo di tempo dalla commissione del reato. Cos a Siena, secondo il costituto del 1262, il podest giura di non condannare il reo che abbia ottenuto la pace prima dellaccusa e comunque entro 3 giorni dal maleficio, se non alla della pena. A Todi, lo statuto del 1275 stabilisce che di ogni maleficio pu essere fatta pace tra le parti entro 4 giorni dal reato e conclusa la pace il podest e i suoi giudici non possono pretendere che della pena pecuniaria prevista. A Perugia nel 1279 si proibisce al podest e al capitano del popolo di punire i delitti per i quali sia fatta pace entro 8 giorni dallaccusa (se limputato contumace) o dalla litis contestatio (se limputato si presenta), ad eccezione dei seguenti: omicidio, falso, rottura della pace, percossa in faccia con ferro che lasci un segno o una cicatrice, arto o altra parte del corpo debilitata, rapina su strada, furto e percossa con spintone (cap. 313). Anche questi statuti, come quelli lombardi, garantiscono alle parti la facolt di fare la pace. La pace raffigurata come un limite allazione degli organi giurisdizionali. E il segno di una giustizia che si vuole mantenere elastica, negoziabile. Tale evoluzione non deve far pensare ad una rapida scomparsa della pace dalla prassi dellet moderna, come si vedr in seguito. D) Assoluzione per insufficienza di prove. Laltro possibile sbocco del processo accusatorio lassoluzione per insufficienza di prove: tuttaltro che raro.

Il Processo inquisitorio
Cenni di diritto canonico Il rito inquisitorio diverso a seconda che si tratti del diritto civile o del diritto canonico. Nel diritto canonico, linquisizione oggetto di varie decretali di Innocenzo III: in particolare, delle decretali Licet Heli (1199, 3 Comp. 5.2.3 = X. 5.3.31), Super his (1203: 3 Comp. 5.1.3 = X. 5.1.16), Per tuas (1204), Qualiter et quando (1206: 3 Comp. 5.1.4 = X. 5.1.17), Inquisitionis (1212: 4 Comp. 5.1.2 = X. 5.1.21). Sono fonti tutte ricomprese dapprima nella III o IV Compilatio e poi nel Liber Extra. Il IV Concilio lateranense del 1215 al c. 8 (4 Comp. 5.1.4 = X. 5.1.24) diede in seguito conferma a quanto gi stabilito da Innocenzo III nella decretale Qualiter et quando del 1206, aggiungendo nuove disposizioni quanto allordo del processo inquisitorio. Ed proprio con riguardo allordine che il diritto canonico, da una parte, ed i canonisti dallaltra, offrirono anche ai laici un modello di svolgimento del processo inquisitorio fondamentale. Basti pensare che Alberto Gandino nel suo trattato ne tiene ampiamente conto, quando descrive la fase iniziale del giudizio. Ad esempio, vi la distinzione tra inquisizione generale o speciale. Linquisizione generale non rivolta contro una persona specifica ed informale. Essa ha lo scopo di scoprire gli autori infamati di eventuali illeciti. Quando da essa emerge che qualcuno diffamato, questi viene citato e gli si chiede se confessa di essere infamato di quel particolare delitto. Se confessa, il giudice pu procedere con linquisizione speciale: sono resi noti al diffamato i capitoli sui quali sintendono sentire i testimoni e questi pu svolgere le sue eccezioni, sia prima che dopo lescussione dei testi. Se il convenuto nega la cattiva fama, qualora linquisizione sia sorta su impulso di parte (cum promovente) si apre una fase in cui occorre che il promotore provi linfamia. Se invece linquisizione avviene nullo promovente, il giudice indagher su ci per conto suo, senza dover provare linfamia: eventualmente questo avverr nel giudizio dappello. Nel procedimento canonico, qui rapidamente riassunto, assume pertanto un rilievo centrale la diffamatio, sostitutiva dellaccusatio. Esso conduce peraltro allapplicazione di pene differenti da quelle applicabili con il rito accusatorio, dato che, come dicono i canonisti, non si tratta di un vero e proprio rito criminale nella forma.

Il diritto canonico introduce anche un rito inquisitorio speciale, applicabile per la repressione delleresia. Esso presenta particolarit specifiche, in particolare un allentamento drastico dei diritti di difesa dellimputato.

Il processo inquisitorio nelle citt tra Duecento e Trecento


Vediamo di approfondire alcuni aspetti del processo inquisitorio, che furono gi dibattuti nel DueTrecento.

Accusa e inquisizione
Il rito accusatorio la forma processuale ordinaria secondo il diritto comune, che, secondo linterpretazione dei giuristi, ammette che il giudice possa procedere ex officio solo per certi reati. Laccusa rito ordinario anche negli statuti del XII-XIII secolo. In prosieguo di tempo, per, con riferimento al diritto municipale, il rapporto si ribalta. Molti di essi concedono al podest larbitrium inquirendi, per determinati reati, se non addirittura per tutti. La dottrina ne tiene conto. Alberto Gandino, ad esempio, agli inizi del Trecento, afferma che consuetudine dei suoi tempi che i giudici dei podest procedano ex officio per tutti i reati: et ita servant iudices de consuetudine, ut notat dominus Guido, et ut vidi communiter observari, quamvis sit contra ius civile (e cos osservano i giudici per consuetudine, come nota Guido da Suzzara, e come ho visto comunemente praticare, bench sia contrario al diritto civile). Lo stesso Gandino, in una quaestio del Tractatus de maleficiis (Quomodo de maleficiis cognoscatur per inquisitionem, q. 15), riporta le molte ragioni, gi a suo tempo allegate da Guido da Suzzara, per preferire linquisizione, se provata, qualora sopraggiunga un accusatore: 1) i malefici non devono rimanere impuniti (ne maleficia remanenant sine pena); 2) accusa e inquisizione tendono allo stesso fine e quindi sono fungibili; 3) una legge del Codice dice espressamente che se laccusatore desiste dallaccusa e chiede labolizione dellaccusa, il giudice pu proseguire il processo facendo lui stesso linquisizione. Si potrebbe, vero, obiettare che laccusa un rimedio ordinario, mentre linquisizione un metodo straordinario e quindi, nelleventuale concorso, deve prevalere la prima: ma ci vero quando un rimedio straordinario non sia previsto dal diritto comune. Nel nostro caso, i due modi di procedere sono entrambi secundum ius commune e tendono allo stesso scopo: e dunque luno non esclude laltro. Se poi accusa e inquisizione concorrono fin dallinizio (Quomodo de maleficiis cognoscatur per inquisitionem, q. 17), ancor pi forti sono le ragioni a favore del procedimento dufficio: le minori solennit, la maggiore idoneit del giudice rispetto allaccusatore, la maggiore facilit nello scoprire la verit, sicch il privato che insista nel voler accusare si sospetta che voglia colludere con il reo. Per risolvere la questione, nota Gandino, alcuni distinguono a seconda che laccusa sia proposta dalla parte lesa o da un terzo, dando la precedenza allaccusatore nel primo caso: ma gi Guido da Suzzara aveva optato per linquisizione in entrambe le ipotesi, per la maggiore affidabilit e capacit del giudice, che ha il dovere di accertare la verit con tutti i mezzi possibili. Nel Trecento, contro lopinione di Dino del Mugello, che fa leva sulla natura straordinaria dellinquisizione, Cino da Pistoia ritiene che tra inquisizione e sopravvenuta accusa si debba preferire questultima, perch il privato pi corruttibile (l. Ea quidem, C. de accusationibus). La stessa preoccupazione esprime Bartolo il quale, ragionando de iure communi, ritiene che laccusatore non debba essere preferito se linquisizione stata iniziata grazie al suo impulso (petitio o promotio) oppure stata intrapresa accusatore negligente et ritardante.

Anche nel caso in cui allaccusatore non si possa rimproverare alcuna negligenza, comunque, il giudice non deve ammettere laccusatore se ritiene che questo intenda colludere o transigere con il reo e lo pu legittimamente interrogare su ci, per scoprire se intenda rinunciare allaccusa: nel qual caso non lo deve ammettere. Se per, conclude Bartolo, si tiene conto degli statuti, per i quali linquisitio rimedio ordinario, allora il sopraggiungere dellaccusa non fa venir meno linquisizione (l. Si Maritus Si ante extraneus, ad legem Iuliam de adulteriis). Sono ragioni valide anche per Baldo (l. Ea quidem), che, accanto a quelle pi tecniche, torna a riproporle: hoc expedit rei publicae, quia iudex non ita de facili corrumpitur ut pars praeterea accusatio precedens non tollit inquisitionis veritatem, si iudex perpendit partem colludere, puta quod accusator producit testes nescientes veritatem vel desistit (ci giova alla res publica, perch il giudice non si lascia corrompere facilmente come la parte inoltre laccusa precedente non annulla la verit emersa durante linquisizione, se il giudice ha scoperto che le parti si sono messe daccordo, ad esempio perch laccusatore ha prodotto dei testimoni che ignorano la verit oppure desiste dallaccusa). Nel 500 cade ogni velo. Specchio fedele di questa nuova prospettiva la pratica giudiziaria di Giulio Claro. Il rito processuale penale solo inquisitorio: laccusa diventata uno dei suoi possibili presupposti. Il sopraggiungere dellaccusa non impedisce la prosecuzione dellinquisizione.

Prove legali
Il sistema probatorio che fa da sfondo al rito accusatorio (ed a quello inquisitorio) basato sul principio della prova legale. Prova legale significa che le prove hanno unefficacia predeterminata dalla legge. La dottrina, a questo riguardo, prima di tutto quella canonistica, sulla base dei testi normativi (che per il diritto romano fornivano solo degli spunti: per la confessione Dig. 48.18.1.17 e 27, per gli indizi Cod. 4.19.25, per la testimonianza Dig. 22.5.1.2) elabora una gerarchia, distinguendo tra prove piene, prove semipiene e semplici indizi. Il giudice pu condannare alla pena ordinaria solo se dispone di una prova piena. E prova piena quella che induce il perfetto convincimento (credulitas) del giudice. Tali sono considerate, sia dai civilisti che dai canonisti: la testimonianza di almeno due testi concordi, che affermino di aver visto limputato commettere il delitto; la confessione dellimputato; la notoriet del crimine. Si tratta delle prove che la tradizione retorica, conosciuta anche dalla dottrina di diritto comune, qualificava come prove inartificiali. La prima prova piena costituita da due testimoni concordi de veritate o de visu. Un testimone singolo de veritate, per il principio unus testis, nullus testis, accolto dal diritto divino, dal diritto romano e dal canonico, prova semipiena, che fa prova piena solo se congiunto ad un indizio. La dottrina sia civilistica che canonistica ha elaborato una serie di regole sullidoneit dei testimoni. La regola unus testis nullus testis enunciata in una costituzione di Costantino del 334, poi introdotta nel Codice di Giustiniano, sia per le cause civili che per quelle penali (CTh. 11.39.3 = Cod. 4.20.9). La norma passa nel Breviario Alariciano, nelle sue epitomi (Lex Romana Curiensis) e nel diritto bizantino. Linsufficienza probatoria di un unico teste affermata anche nei testi del Vecchio Testamento: Numeri 35.30 (per lomicidio), Deuteronomio 19.15, in generale (Non stabit testis unus contra aliquem, quidquid illud peccati et facinoris fuerit: sed in ore quorum aut trium stabit omne verbum), Re 21.10 e, fondamentale, Daniele 13, 1-64, 34-41 (episodio di Susanna).

Nel Nuovo Testamento i passi sono cinque: Matteo 18.16, Giovanni 8.17-18, II Corinzi 13.1, I Timoteo 5.19, Ebrei 10.28. La confessione pu essere spontanea oppure estorta sotto tortura. Nel diritto romano non era considerata prova sufficiente alla condanna. Nellalto medioevo alcuni pontefici (Gregorio Magno, Niccol II) riprovano le confessioni estorte. I glossatori la considerarono invece come una prova piena, anzi la regina delle prove (regina probationum) o almeno equivalente a prova piena, se spontanea. Se estorta con la tortura, che serviva principalmente a ci (oltre che a confermare la deposizione di testi sospetti o a far indicare allimputato, gi convinto o confesso, i suoi complici), la confessione, per valere come prova, doveva essere ratificata (secondo un principio enunciato, ad esempio, da Azzone). La ratificazione un istituto sconosciuto al diritto romano.

Indizi
La prova artificiale, cio la presunzione, non ritenuta formalmente una prova, ma un argomento: la commissione del delitto da parte dellimputato si deduce indirettamente da altri fatti, che si chiamano indizi, i quali, con un ragionamento (argomento o presunzione), basato sulla probabilit o sulla verosimiglianza, lasciano dedurre il fatto principale. Lindizio un fatto oggetto di prova diretta (testimonianza). Gli indizi, pur non essendo sufficienti per la condanna alla pena ordinaria sono nondimeno importantissimi nel rito inquisitorio. Senza indizi, infatti, il giudice non pu procedere allinquisizione speciale, alla cattura dellinquisito, alla tortura. Per ciascuna di queste operazioni processuali sono richiesti indizi qualitativamente diversi: pi lievi per linquisizione e la cattura, pi gravi per la tortura. La valutazione degli indizi lasciata alla discrezionalit del giudice. La dottrina interviene per con varie classificazioni, cercando di predeterminare il pi possibile lefficacia di ciascuno di essi. La prassi delle corti per assai varia. In particolare, la dottrina non dice comunque quali e quanti indizi occorrano: la materia lasciata alla discrezionalit del giudice. Si limita a suggerire quali indizi non sono di per s sufficienti a condannare. La questione pi rilevante connessa al valore degli indizi ai fini della condanna penale. La distinzione tra prove e presunzione, tra prove inartificiali e prove artificiali, prove vere e prove finte, corrente negli ordines iudiciarii del Duecento. Nella gerarchia delle prove, i canonisti collocano le presunzioni nel gradino pi basso. Nel commentare il c. Quia verisimile, de praesumptionibus, Innocenzo IV si era espresso per una condanna a pena pecuniaria o anche corporale pi mite: nota tamen quod ubi ex praesumptionibus proceditur multum debet iudex temperare sententiam et maxime ne condemnet nisi raro et modice ad poenam nec pecuniariam nec corporalem (Nota tuttavia che quando si procede per presunzioni il giudice deve temperare di molto la sentenza e soprattutto non deve condannare se non raramente e ad una pena, n pecuniaria n corporale). Dal canto suo, la dottrina civilistica sinterroga sullinterpretazione da attribuire a Cod. 4.19.25, de probationibus, l. Sciant cuncti, la costituzione di Graziano, Valentiniano e Teodosio (a. 382) che nei giudizi accusatori ammetteva solo idonee testimonianze, chiarissimi documenti e indizi indubitati e pi chiari della luce: Sciant cuncti accusatores eam se rem deferre debere in publicam notionem, quae munita sit testibus idoneis vel instructa apertissimis documentis vel indiciis ad probationem indubitatis et luce clarioribus expedita (Sappiano tutti gli accusatori che devono accusare soltanto di fatti provati da testimoni idonei o da documenti chiarissimi o da indizi indubitati e pi chiari della luce).

Vi sono prese di posizioni favorevoli allirrogazione della pena edittale sulla scorta di indizi indubitati: negli ultimi decenni del Duecento questa la posizione dellautore del tractatus de tormentis e di Tommaso da Piperata. Questultimo, nel suo Tractatus de fama, esclude che si possa condannare alla pena ordinaria sulla base di una sola testimonianza o della fama; richiede inoltre una pluralit di indizi per poter torturare un accusato. Per la condanna, invece, occorre una pluralit di indizi indubitati, che egli individua in una serie di forti indizi di colpevolezza collegati tra loro (simul iuncta: come dir Gandino). Tommaso fa un esempio che egli stesso definisce di scuola: se si prova che uno usc da una stanza, avente un solo ingresso, pallido, con in mano una spada sanguinante e nella camera si trova un morto, questi sono indizi indubitati contro di lui. Un altro esempio pi attuale, continua sempre Tommaso, quello di Tizio ucciso in una vigna o in un fondo. Se il giudice ha testimoni che depongano che Seio era nemico di Tizio, di averlo visto brandire unarma contro di lui, fuggire dal luogo del delitto al tempo dellomicidio, che si era sparsa voce che Seio aveva ucciso Tizio, tutto ci sufficiente per una condanna alla pena ordinaria. Altro caso. Trattandosi di provare un mandato ad uccidere, una catena di indizi collegati e indubitati possono essere la circostanza che limputato fosse: 1) nemico dellucciso, 2) vicino al luogo del maleficio al tempo della sua commissione, 3) aver accolto in casa lomicida, 4) essere questo un suo domestico o far parte del suo seguito, 5) aver limputato minacciato di uccidere la vittima, averlo offeso. Di diverso avviso era per Alberto Gandino, per il quale tutti i sapienti di Bologna e di altri luoghi dicevano, e ci era confermato dalla consuetudine, che in base a simili indizi (ai quali non si ricollega una presunzione legale e quindi sono indubitati solo per il giudice, ma non per legge espressa) non si pu irrogare una pena corporale, ma solo una pena pecuniaria: sed omnes sapientes, quos Bononie vidi et alibi, dicunt, et etiam vidi de consuetudine observari, quod propter talia vel similia non possit quis diffinitive in persona damnari at si ex maleficio, ex quo essent talia indicia, deberet sequi pecuniaria penaposset locum habere, quod scripsit dictus dominus Thomas et quod dicitur dicta l. ultima C. de probationibus et ita vidi sepius observari (ma tutti i sapienti che ho visto a Bologna e altrove dicono, ed ho anche visto osservare per consuetudine, che a causa di tali e simili indizi non si pu condannare nessuno definitivamente nella persona ma se dal maleficio, al quale si riferiscono tali indizi, dovesse discendere una pena pecuniaria potrebbe avere luogo ci che ha scritto Tommaso da Piperata e ci che stabilisce la legge ultima del titolo de probationibus del Codice e cos vidi spesse volte osservare). E conclude: la ratio che giustifica questopinione che nei giudizi criminali, dove il rischio per le persone maggiore, occorre molta pi prudenza che nei giudizi civili: ratio est, quod ubi maius periculum vertitur, maior est requirenda cautela (la ragione che, quando le persone corrono un maggior pericolo, occorre una maggiore prudenza).

Tortura
La tortura, per il diritto comune, lecita solo nei reati puniti con pena corporale. Inoltre, devono precedere sufficienti indizi di colpevolezza contro linquisito. La tortura non stata praticata in tutti i comuni, ancora nel Duecento (ad es. a Perugia). Il primo statuto che ne parla quello di Verona del 1228. Secondo la concezione medievale della prova, gli indizi, pur non sufficienti per la condanna alla pena ordinaria, costituiscono comunque un primo grado di colpevolezza che giustifica il ricorso alla tortura. La tortura vista dunque come lo strumento attraverso il quale limputato pu purgare gli indizi esistenti contro di lui. Estremamente dettagliata gi nella dottrina del tardo Duecento la trattazione degli indizi per lapplicazione della tortura.

Basti pensare alla rappresentazione che ci viene offerta da Alberto Gandino nel Tractatus de maleficiis, dove compare una sistemazione della materia. Significativa la discussione intorno alla fama: chi sempre stato di buona fama, anche qualora sia infamato di un delitto, non pu per ci stesso essere sottoposto ai tormenti, se non vi sono altri indizi contro di lui. E una sorta di privilegio di buona fama. Un altro apporto duraturo quello relativo allobbligo di concedere le difese allimputato, prima di addivenir alla tortura, per consentire di proporre prove che possano eventualmente condurre alla verit in altro modo. Infine, vi la riprovazione degli abusi gi frequenti nella pratica: podest che mandano ai tormenti immediatamente senza indizi precedenti, podest che inventano nuove forme di costringimento psichico o di intimidazione degli imputati, per estorcere la confessione, podest che si avvalgono dellarbitrium loro concesso per omettere i presupposti della tortura, mentre tale operazione assolutamente illecita. Se limputato confessa, la confessione, per poter essere utilizzata, deve essere ratificata in un momento successivo, entro 24 ore. Se il reo ritratta e neghi di aver commesso il delitto, pu essere nuovamente sottoposto ai tormenti. Se il reo torna a confessare ed in seguito nuovamente ritratti, devessere assolto. Se il reo non confessa, teoricamente dovrebbe aver purgato gli indizi esistenti contro di lui. In molti ordinamenti, tuttavia, si tengono validi gli indizi raccolti e si procede ad una condanna a pena straordinaria. Se il giudice dispone solo di indizi, se questi sono gravi, per il principio che ad una frazione di prova corrisponde una frazione di colpevolezza, pu emanare una sentenza di condanna, ma solo ad una pena straordinaria.

Il Processo nelle epoche pi avanzate


Il rito inquisitorio moderno il risultato di unelaborazione secolare, nella quale il contributo maggiore stato dato dai grandi giuristi del Trecento e del Quattrocento. Sorvoleremo sui singoli aspetti della formazione delle regole nellet del Commento, per concentrarci sul volto assunto dal processo inquisitorio in et moderna ed in particolare nel Cinquecento. E questa let delle pratiche criminali. Esse sono uno strumento essenziale per apprendere il contenuto delle regole e lordo del processo inquisitorio moderno. Gli statuti e la legislazione principesca contengono infatti solo frammenti. Il quadro completo fornito solo dalle pratiche criminali, che informano altres sulle innovazioni della prassi. Angelo Gambiglioni Nato sullo scorcio del 300 e morto nel 1461, scrive un fortunatissimo Tractatus de maleficiis, conservato in 18 manoscritti,18 incunaboli (la prima edizione Mantova 1472), 31 cinquecentine (lultima: Colonia 1599). Il trattato fu pubblicato a Bologna nel 1438 e poi rivisto ed integrato. Il Gambiglioni si era addottorato in diritto civile a Bologna nel 1422. Era stato allievo a Padova di Raffaele Raimondi, a Bologna di Giovanni Nicoletti da Imola e di Floriano Sampieri. Notevole fu la sua carriera giudiziaria e politica: podest di Volterra, vicario e collaterale del podest a Perugia, giudice a Citt di Castello e a Roma, Luogotenente del Senatore a Roma, collaterale a Norcia. Proprio a Norcia gli capita di condannare illecitamente a morte un inquisito, come racconta Paride del Pozzo. Sta in prigione un anno, ma esce, grazie allinteressamento di tutti i collegi dei giuristi dItalia. Si ritira ad insegnare a Bologna dal 1431 al 1444. Dalla sua scuola passeranno Alessandro Tartagni, Bartolomeo Cipolla, Paride del Pozzo.

Infine, insegner a Ferrara, dal 1444 o 1445 fino alla morte (1461). Tra Bologna e Ferrara scrive una pregevole Lectura Institutionum. Ma il suo capolavoro indubbiamente il Tractatus, che fu tra laltro arricchito dalle addizioni di altri giuristi: in particolare, quelle di Agostino Bonfranceschi da Rimini (morto nel 1479). Gambiglioni aggiorna la pratica del processo penale, nellevoluzione subita dopo Gan dino e dopo un altro trattato criminale, attribuito curiosamente ad un giurista inesistente, Bonifacio Vitalini, mentre fu scritto da Bonifacio Antelmi. Il lavoro dei primi del Trecento e, data la strana storia della sua paternit, si usa anche chiamare pseudo-Vitalini. Peraltro, lAntelmi si prese la rivincita, perch a lui fu falsamente attribuita la Lectura alle Clementine di Bonifacio Ammannati! Storie di editori disinvolti, alla ricerca di espedienti per vendere di pi i tomi da loro pubblicati. Ippolito Marsigli E ancora a Bologna che rinva lopera di un altro grande criminalista, di nobile famiglia bolognese: Ippolito Marsigli (1450-1579), che, oltre a comporre diverse letture su titoli del corpus iuris civilis, legher il suo nome ad unaltra pratica criminale, la Practica causarum criminalium detta anche Averolda, perch dedicata ad Altobello Averoldi, vescovo di Brescia, terminata nel 1525 circa. Insegn dal 1480 al 1524, con vari intervalli dedicati allattivit forense ed a cariche pubbliche (giudice, capitano, podest). Egidio Bossi Nasce nel 1488. Il padre era pretore ad Alessandria. Studia a Pavia, dove ha per maestri Franceschino Corti, Rocco Corti, Paolo Pico di Montepico. La sua carriera nel Ducato di Milano brillante: podest di Alessandria nel 1513, avvocato fiscale nel 1514, podest di Novara nel 15818. Francesco II Sforza lo nomina senatore nel 1528. Nel 1536 diviene membro dei 60 Decurioni di Milano. Muore nel 1546. Dopo la sua morte, il figlio Francesco, giovandosi degli scritti lasciati dal padre, mette insieme unopera chiamata Tractatus varii qui omnem fere criminalem materiam complectuntur, che esce nel 1562. Quasi due terzi del trattato sono dedicati alla materia processuale. Giulio Claro Nasce ad Alessandria nel 1525. Si laurea a Pavia nel 1550, avendo avuto come maestri Andrea Alciato, Niccol Belloni e Jacopo Alba. Viene nominato senatore nel 1557. In quanto senatore pi giovane viene nominato pretore a Cremona. In seguito diventa Presidente del Magistrato Straordinario (1563), reggente e membro del Supremo Consiglio dItalia (1565), consigliere di Filippo II. Muore a Saragozza, nel 1575. La sua opera principale il Liber Quintus Sententiarum (libro V delle Sententiae: gli altri libri sono dedicati alla materia civilistica), diviso in 22 paragrafi, di cui il primo, i 2-20 sui singoli reati (ordinati semplicemente in ordine alfabetico!) ed il Finalis alla procedura penale, spiegata con un linguaggio quanto mai preciso in 100 questioni. La prima edizione stampata nel 1568. Lorenzo Priori E lautore della prima pratica criminale in lingua volgare. La sua esperienza ha un orizzonte ben definito: la pratica giudiziaria dei tribunali della Terraferma del Cinquecento, vista attraverso locchio di un esperto cancelliere veneziano, qual era questuomo

che nel corso del Cinquecento ebbe modo di visitare tutte le maggiori citt del dominio veneto, accompagnando i patrizi veneziani inviati a governare e a giudicare. Il Priori trasfuse in essa tutto un mondo, se cos si pu dire. Scritta verosimilmente alla fine del 500, intorno al 1598, questa Pratica, pur non essendo la prima che si occupa delle corti di Terraferma, ha per delle peculiarit che la rendono speciale. Documenta infatti il delicato periodo di transizione da un sistema giudiziario ancora dominato dai tribunali cittadini ad uno direttamente controllato dai grandi tribunali veneziani, come il Consiglio dei Dieci. Testimonia anche il graduale e dirompente effetto della legislazione veneta sulle regole di diritto comune e statutarie. La Prattica criminale usc postuma, dopo la morte del suo autore, avvenuta nel 1610. La prima edizione del 1622, ma ben presto ne furono fatte molte altre. Lultima, che nel frontespizio indicata come nona, del 1738. Gli insegnamenti del Priori riecheggiano di sovente anche nelle successive pratiche venete, sicch si pu veramente parlare di un patriarca indiscusso della criminalistica veneta. Nella sommaria descrizione che segue, attingeremo da un lato alla pratica di Giulio Claro, testimonianza lucida della prassi del Ducato di Milano nellet spagnola; dallaltro, faremo riferimento alla Prattica criminale di Lorenzo Priori, che descrive lo svolgimento del processo penale nella Terraferma Veneta.

Presupposti dellinquisizione
Il procedimento prende lavvio quando al giudice giunge la notizia della commissione di un reato attraverso la fama (generica o specifica), la querela, la denuncia di organi pubblici a ci deputati (la polizia urbana o del contado), il notorio, la fragranza. La prassi, gi verificabile nel Duecento, di affidarsi al giudice piuttosto che agire da soli, divenuta stabile nellet moderna. I privati informano il giudice con una querela, chiedendo al giudice di procedere. Un altro caso frequente quello della denuncia. Perch il giudice possa procedere, occorre che il reato rientri fra quelli per i quali egli pu procedere ex officio. La distinzione fra delitti pubblici e delitti privati ha perso importanza. In base a questa, il giudice dovrebbe intervenire dufficio anche senza querela solo se il delitto pubblico, mentre se il delitto privato dovrebbe muoversi solo se c la querela di parte. Ma, come dice Priori, ormai il giudice pu agire dufficio senza querela anche per un delitto privato, se c un interesse pubblico. La querela per importante, perch apre la via al giudice per indagare. Occorre inoltre che il giudice accerti prima lesistenza del corpo del reato. Si tratta di una regola gi affermata dai Commentatori. Il giudice, ricevuta una querela o una denuncia, deve accertare il corpo del reato: la regola vale per i delitti facti permanentis, come lomicidio e lincendio (Bartolo, Comm. D. 48.18.22, de questionibus, l. Qui sine, n. 2). Non vi obbligo ed il giudice pu subito inquirere de veritate delicti nei delitti che si perfezionano solo animo (eresia) o momentanei (adulterio, furto senza scasso, ingiurie verbali). Inquisizione generale Se il giudice non conosce il nome del presunto colpevole (mancano la querela o la denuncia oppure querela e denuncia sono generiche) procede allinquisizione generale, durante la quale va alla ricerca di eventuali testimoni che abbiano visto chi ha commesso il reato o gli provino per lo meno dei fatti (indizi), dai quali risalire al colpevole.

Inquisizione speciale Il giudice pu indagare contro una persona determinata solo se nei suoi confronti si realizza almeno uno dei seguenti presupposti: infamia; querela; denuncia; indizi emersi durante linquisizione generale; flagranza; delitto notorio; delitto scoperto incidentalmente nel corso di un processo. Anche in questo caso siamo di fronte ad una regola fondamentale del processo inquisitorio, elaborata dalla dottrina. Essa sar accolta espressamente da tutte le pi importanti legislazioni principesche in materia criminale. Ad esempio, le Nuove Costituzioni milanesi del 1541, che costituiscono le fondamenta dellordinamento normativo lombardo fino ai codici, accolgono il principio: non si pu procedere contro qualcuno nisi aliquid precedat, senza qualche presupposto. I criminalisti lombardi ritengono che la norma serva a tutelare le parti: ad refrenandam malitiam et protervitatem iudicum (per frenare la malizia e la protervia dei giudici), come dice Giulio Claro. Lazione penale, se esistono questi presupposti, obbligatoria. Le Nuove Costituzioni stabiliscono che, delatis criminibus per denuncia, accusa o querela, i giudici debbano incominciare entro 15 giorni e finire entro 60, se altro non stabilito dagli statuti.

Infamia.
Per il diritto canonico la prova dellinfamia nei riguardi di una determinata persona deve sempre precedere linquisizione speciale sul crimine, pena la nullit del processo. Se per limputato non propone la relativa eccezione, il processo valido. Come si prova linfamia? 1. due testimoni sono sufficienti; 2. I testimoni devono attestare di aver sentito linfamia a maiore parte populi. 3. I testimoni devono attestare di aver appreso dellinfamia in luogo pubblico. 4. Devono nominare le persone dalle quali hanno udito. Perci devono essere interrogati, com prassi. E se non fossero interrogati, la prova non varrebbe, perch la fama deve aver origine da persone oneste e degne di fede, non da malevole ed improbe, a meno che non si tratti di reati turpi.

Querela.
E laccusa spogliata di alcuni suoi requisiti solenni: 1. Libello scritto (ma essa deve comunque essere trascritta). 2. Subscriptio ad penam talionis. De consuetudine non era richiesta. 3. Fideiussio de accusatione usque ad finem prosequenda. 4. Satisdatio de solvendis expensis in casu succumbentie. 5. Giuramento di calunnia (giuramento che laccusa vera e non fatta animo calumniandi). De consuetudine, era prestato. 6. Carcerazione. De consuetudine, non era praticata (Bartolo, l. fin. C. de accus.). Secondo Claro, il giudice non dovrebbe procedere ad indagare su querela se questa non ha tutti i suoi requisiti solenni, nel caso in cui vi sia solo querela.

Denuncia.
Chi pu denunciare? Da un lato, ufficiali a ci deputati (nel Ducato di Milano gli Anziani delle contrade o delle parrocchie ed i Consoli dei borghi, dei villaggi e delle altre terre, secondo una normativa gi in vigore nel Trecento e confermata dalle Nuove Costutuzioni di Milano del 1541, nel titolo de accusationibus et denuntiationibus), dallaltro i privati. I divieti di accusa valgono de iure anche per i denuncianti. Questi divieti per nella prassi non si applicano: i denuncianti infatti sono per lo pi ufficiali poveri e vili, talora anche infami. Cos Bartolo da Sassoferrato.

Claro pensa che lopinio Bartoli vada osservata se lo statuto non preveda linquisizione come mezzo ordinario. Altrimenti quilibet admittitur ad denunciandum: publice enim interest delicta ad magistratuum notitiam quomodocumque pervenire (chiunque ammesso a denunciare: infatti interesse pubblico che il magistrato abbia notizia dei delitti in qualunque modo). De iure, si possono denunciare solo i delitti notori. De consuetudine anche i delitti occulti: anzi, per questi vi un obbligo di denuncia. De iure, si devono denunciare anche i delitti non punibili (ad esempio, un omicidio commesso per legittima difesa o per difendere il proprio onore, nei casi ammessi). Possono denunciare anche i privati? De consuetudine cos. Le Nuove Costituzioni milanesi del 1541 disciplinano la denuncia degli Anziani e dei Consoli. Nella denuncia (delazione), si devono esprimere il titolo di reato, tempo e luogo della commissione, i nomi e i cognomi di chi li ha commessi o li ha fatti commettere, nomi e cognomi dei testimoni nomina. E sufficiente nominare i testi informati del delitto o dellautore. Il denunciante non tenuto a provare la verit di quanto afferma, secondo la prassi, contraria al diritto comune. Il denunciante non deve neanche iscriversi ad penam talionis. I denuncianti rispondono per calunnia? Per la Glossa e per Bartolo, s. Cos vuole anche la communis opinio. Per la negativa, si pronunciano altri giuristi e Giulio Claro. Una chiosa sulle denunce segrete provenienti dai privati. In Lombardia sono severamente criticate da Egidio Bossi (de accusatione, n. 3), perch nascondono spesso vessazioni e calunnie che poi non si possono punire: et ideo Senatus noster per decretum superioribus diebus ordinavit non posse procedi per tales notificationes sine nomine et calumniose quaerelantes esse condemnandosi in expensis (e perci il nostro Senato per decreto nei giorni scorsi ha ordinato che non si possa procedere in base a tali notificazioni senza nome del denunciante e che coloro che querelano calunniosamente debbano essere condannati nelle spese). Nelle Nuove Costituzioni del 1541 si vieta di ammettere denunce (delazioni) segrete: Nec etiam admittere possunt delationes criminum, nisi is, qui deferat, nomen et cognomen exprimat; nec super eis alio modo procedi possit; et si procedatur, processus sit nullius valoris et momenti, judexque puniatur arbitrio Principis vel Senatus (E i giudici non possono ammettere le denunce dei crimini, se colui che denuncia non esprima nome e cognome; e non si pu procedere sopra tali denunce e se si procede il processo nullo ed il giudice sia punito ad arbitrio del Principe o del Senato). Nella Repubblica di Venezia la denuncia segreta costituisce invece una pratica corrente, incoraggiata, anche se con limiti, dal potere centrale. La contrapposizione tra quanto si osserva comunemente in Terraferma e quanto si usa al centro, cio a Venezia, netta nel Priori: Il giudice nelle denontie che fossero fatte da particolari deve avvertire et considerare sessi denontiatori sono di buona fama, vita et conversatione et se si muovono a denontiare per carit o per odio o per altro, et se sono infami, vili, conspiratori, nemici et finalmente ogni loro qualit perch questi tali devono esser di buona fama, vita, conversatione, et che a denontiar si muovano solamente per zelo di giustizia. Et questo si deve osservare con diligenza a fine che il denontiato non tenta travaglio et spesa ingiustamente per falsa et iniqua denontia, la quale se tale fosse conosciuta il denontiante sarebbe punito di calunnia ad ogni pena ad arbitrio del giudice et alla resattione de tutti li danni, spese, et interessi ne i quali casi quando paresse alla giustitia si pu anco dar giuramento al denontiante che la denotia sia vera et non per causa di calunnia. Altro lo stile dei Provveditori straordinari: Ma gli illustrissimi signori generali mandati fuori per castigare et estirpare li scelerati chinquietano li sudditi del stato, togliendoli la robba, lhonore, et la vita, non tengono o non devono tener questo

stile nellinquirire. Fanno far li proclami ordinarij nella citt, vicariati et ville che cadauno debba denontiare secretamente li nomi di questi giotti, dopo prendono con molta diligenza, prestezza e silentio le debite informationi generalmente cos de i delitti come delle persone, essaminando ex officio li principali delle citt, merighi, degani o altri delle ville et vicariati et venendo in cognitione procedono subito per ogni picciol inditio, considerata la qualit del delitto et conditione della persona, alla retentione del delinquente diffamato, continuando poi con listesso modo ad inquirir et a formar il processo.

Indizi.
Gli indizi sono sufficienti ad inquirendum specialiter. Se anzi dai testimoni si ricavano indizi ancora pi urgenti, si procede a cattura o citazione absque alia speciali inquisitione (come si vedr oltre). Di regola, dice Claro, ogni processo informativo speciale incomincia con querela o denuncia. Solo se non vi siano querela e denuncia o i testimoni non nominino alcuna persona in particolare, il giudice interroga i testi super fama. Questo avviene soprattutto con i delitti occulti: quo casu difficile et quandoque etiam impossibile est invenire testes qui de veritate criminis deponant (nel qual caso difficile e talora anche impossibile trovare testimoni che depongano sulla verit del fatto). Non solo il giudice non incomincia linquisizione generale dalla fama. Neanche linquisizione speciale: tota hec practica diffamationis hodie non servatur, nisi quando alia indicia haberi non possunt (tutta questa pratica della diffamazione oggi non si osserva, se non quando non si possono avere altri indizi). Dunque: 1. bastano gli indizi; 2. se non ci sono gli indizi, allora la fama va provata. Ma anche qui, non pi vero quanto scriveva lOstiense alla met del Duecento, che il giudice debba prima indagare sulla fama e poi sugli indizi. Se il reo infatti non si oppone, il processo resta valido. Emerge in questa fase tutta limportanza dei testimoni, sia quelli che hanno visto commettere il delitto, sia quelli informati degli altri svariati fatti, dai quali il giudice pu risalire al colpevole (indizi), sia quelli che depongono solo su ci che hanno udito da altri (testimoni de auditu), i quali nel processo criminale non contano, ma servono solo a rintracciare i testimoni oculari (de visu). La condizione dei testimoni nel processo inquisitorio dellet moderna, peraltro, assai svantaggiata, come si rileva da moltissime fonti. Spesso sottoposti a pressioni o a minacce da parte di imputati pi forti e importanti, capaci di intimidirli grazie alle loro autorevoli relazioni, quando non di giungere alla loro soppressione fisica. Anche la loro posizione nel processo non era facile. Aleggiava sempre su di essi il sospetto del falso e della corruzione. Come limputato, non potevano rifiutarsi di comparire davanti al giudice, che nel caso aveva il potere di punirli con una pena corporale. Ancora in sintonia con limputato, non potevano rifiutarsi di rispondere o di rispondere in modo reticente, vago, contraddittorio, secondo la tipologia che vedremo per il reo, altrimenti rischiavano di essere sottoposti a tortura. Potevano essere costretti a stare in carcere, ancora una volta quasi come il reo, sia prima che dopo la deposizione: una misura, questa, che si rendeva necessaria o per verificare che non fosse stato corrotto oppure per costringerlo a ricordare o per intimidirlo, distogliendolo dal mentire, ma anche per proteggerlo da eventuali ritorsioni dellimputato e della sua famiglia. Per tutelare il segreto istruttorio, viceversa, i testimoni erano spesso indotti a promettere di non rivelare a nessuno quanto avevano deposto. Cos era in Lombardia.

Nella Repubblica di Venezia, solo il rito inquisitorio speciale adottato dal Consiglio dei dieci imponeva ai testimoni il giuramento di segretezza, che circondava questa magistratura di unaurea mitica di giustizia imparziale e inesorabile. In Lombardia si usava anche, a differenza di altri territori dItalia, di far giurare i rei gi nella fase anteriore alla chiusura dellistruzione cio durante linquisizione generale e speciale. Si tratta di una specificit locale, rilevata da molti criminalisti: un ulteriore incombente a carico dei testimoni, idoneo ad intimidirli. Lopposizione alle dichiarazioni dei testimoni costituiva uno dei capitoli pi importanti delle difese del reo. Tutte le pratiche criminali dedicano perci spazio alle possibili eccezioni contro i testimoni. Tra queste, un ruolo di spicco spetta al rispetto delle numerose regole sullidoneit. Come per gli accusatori, tanti sono i soggetti che, nel medioevo e nellet moderna, non hanno credibilit, secondo elenchi redatti dai giuristi seguendo le leggi romane e i diritti particolari, per la loro condotta di vita o per particolari relazioni intrecciate col reo: infami, falsari, soggetti gi condannati, parenti, domestici, nemici, procuratori, curatori, tutori, amministratori, debitori e creditori, complici. Sono i testimoni inabili, non ammessi di regola a testimoniare, ma la cui deposizione accolta eccezionalmente, proprio nei casi pi delicati, i delitti di prova difficile o pi atroci, dove la circospezione avrebbe dovuto essere massima e dove invece vigeva nel suo pieno rigoglio una direttiva repressiva, tesa ad assicurare con ogni mezzo la punizione di un colpevole (ne crimina remaneant impunita: affinch i crimini non rimangano senza punizione).

Flagranza.
E unaltra delle vie allinquisizione speciale. Contro colui che stato sorpreso a commettere il delitto (repertus in flagranti crimine) si pu procedere de plano, cio iuris ordine non servato, ad esempio, senza concedere le difese od emettere la sentenza (Claro per dellopinione che essa debba essere pronunciata, anche se omettendo le solennit). Il giudice, tuttavia, nei casi gravi, non pu condannare il reo sulla base della sola flagranza: deve interrogarlo e, se confessa, lo potr condannare; se non confessa, lo potr sottoporre a tortura. Se nega, in questi casi gravi, secondo Claro, bene procedere con prudenza e non negare le difese, prima di eseguire la pena capitale, a meno che il reo non sia anche manifestamente convinto per testimoni idonei o confesso. Si pu tuttavia scusare il giudice che procede sommariamente per timore di uno scandalo, come quando il delitto fosse atroce ed il popolo invocasse una punziona esemplare oppure fosse necessario placare una sedizione e non vi fosse altro mezzo per farlo che impiccando il concitatore del popolo. Nei casi lievi (ad esempio: porto darmi vietate), si pu procedere direttamente ad applicare la pena, anche senza sentenza. Ci non toglie che, allinterno dei singoli Stati regionali italiani, non fossero in vigore misure ancor pi repressive nei confronti delle persone colte a commettere un delitto. Un esempio significativo viene dalle leggi sul flagrante crimine (di cui si parler nel paragrafo della contumacia), emanate da Venezia nel Cinquecento per colpire la piaga dei delitti commessi dai banditi: in tal caso, si assicurava limpunit a chiunque avesse ucciso i colpevoli di determinati reati, colti sul fatto, oltre ad altri premi. E se un giudice fosse testimone di un delitto? Non potrebbe certo condannare per ci stesso il reo senza ulteriori prove. Il giudice deve decidere secondo i fatti allegati e provati in giudizio. Laver visto commettere un delitto apre sicuramente la via allinquisizione speciale, come lapprendere dellesistenza di un delitto incidentalmente, in una causa civile oppure da un testimone che confessasse di aver commesso un delitto.

Notorio.
Anche il notorio un presupposto per linquisizione e nel contempo una causa che consente al giudice di procedere senza rispettare lordo. Crimine notorio quello commesso coram populo vel maiori parte populi. Nella prassi, sulla sola base che il delitto e il colpevole siano notori, si usa procedere in modo sommario. Secondo Claro, invece, si deve comunque accertare il corpo del reato, nei delitti che lo esigono. Inoltre necessario provare: 1) che il delitto sia notorio; 2) che sia notorio chi lo ha commesso. In questo secondo caso sarebbero sufficienti anche due testimoni: ma Bartolomeo da Saliceto consiglia di essere molto prudenti e di interrogare la maggior parte dei vicini, per evitare problemi nel giudizio di sindacato. Bisogna poi che il delitto non sia scusabile o non punibile: questo pu gi essere notorio, ma quando ci non sia certo o sia dubbio, bisogna se il reo assente citarlo e se presente ammonirlo a presentare le sue difese, anche se non stato citato. Claro dice infine che de consuetudine si usa emettere una sentenza che dichiari notorio il delitto. Senza qualcuno di questi presupposti non pu procedersi allinquisizione speciale (o processo informativo), e quindi alla ricerca delle prove contro il presunto colpevole. Il giudice, nel modello civilistico, procede quindi a raccogliere le prove prima del dibattimento, sentendo tutti i testimoni utili. Altro punto essenziale: questa fase del procedimento segreta. Linquisizione generale e speciale, fa notare ad esempio Giulio Claro (q. 11), si possono fare senza citazione della parte rea: et hec practica fuit optima ratione introducta, ne si reus citaretur statim defugeret vel posset facilius testes examinandos subornare (e questa pratica stata introdotta per unottima ragione: affinch il reo, non fugga, qualora citato, o non possa con pi facilit corrompere i testimoni da esaminare).

Cattura.
Gli indizi sono necessari anche per procedere alla cattura dellinquisito. In questo caso, per, devono essere pi consistenti di quelli richiesti per la semplice inchiesta. Per la cattura occorre inoltre che il giudice abbia verificato lesistenza del corpo del reato e che il delitto sia punito con pena corporale. Nel Ducato di Milano questo importante requisito, gi stabilito dagli statuti, come si ricorder, ribadito dalle Nuove Costituzioni milanesi del 1541, al titolo de accusationibus et denuntiationibus: rei carceribus mancipari non possint pro aliqua imputatione, nisi ex ea ingeratur poena corporis afflictiva (i rei non possono essere liberati dalle carceri per nessuna imputazione, se da essa discenda pena corporale afflittiva). Il giudice deve tenere in considerazione la persona da arrestare, per la quale potrebbero bastare gli arresti domiciliari. Gli ufficiali non possono arrestare nessuno senza mandato, fuori dellipotesi di fragranza in certi reati. Molte legislazioni autorizzano anche i privati a catturare il delinquente oppure, e questo tipico degli statuti, gli abitanti di un quartiere o di una comunit rurale.

Citazione.
Se il reo non viene catturato, devessere citato alle carceri (si presuppone che il delitto per cui inquisito meriti pena corporale). La citazione un atto dovuto che non pu mancare. Ma occorre che il giudice, per procedere a questo atto ulteriore, disponga di altri indizi, ancora pi forti, contro lindagato.

Nella citazione alle carceri si deve altres riprodurre il libello inquisitorio. Se invece il giudice procede per un delitto lieve, non si forma un libello inquisitorio, basta la querela di parte ed il reo si cita a difesa. La citazione pu essere consegnata in persona o alla casa oppure in forma pi solenne e pubblica. In alcuni luoghi, come nella Terraferma veneta, in uso anche una citazione ad informare la curia, quando mancano i presupposti del mandato alle carceri. A questi citati spetta la concessione del salvacondotto de veniendo et redeundo, il quale implica anche che non possano essere interrogato che per i capi dimputazione specificati nella citazione o nel libello inquisitorio. Si serva anco ne i casi ne i quali singerisce pena di sangue, et che non shabbiano inditij che movino il giudice a far ritenere il reo et tanto manco alla citatione, di far un mandato al reo o rei sospetti che debbano nel termine assignato comparere ad informare la giustitia di quelle cose che sar o saranno interrogati, sotto certa et limitata pena la quale gli pu esser tolta per la loro inobedienza: anzi che non comparendo si proclamano poi formalmente per il delitto, rendendosi per tal loro assenza et inobedienza tanto maggiormente sospetti et inditiati, et perch questi sono nella medesima conditione delli rei carcerati, poich comparendo et dopo constituiti possono esser messi sotto chiavi et nelle carceri, et contra di loro si pu procedere per qualunque colpa. Il che non si serva n si pu fare con li presentati volontariamente per il salvacondotto generico che hanno dalla legge 1512 et 1514 come si dir al suo capo. Per questo li citati ad informandam Curiam, come di sopra, dimandano il salvocondotto de veniendo et redeundo, il quale se gli concede clausulatamente, cio che detto salvocondotto vaglia in quanto che il reo dica la verit delle cose delle quali sar interrogato, et questo stato deciso et terminato anco nel reggimento di Sal, nel tempo delleccellente domino Vincenzo Viceamano, giudice del maleficio di quella terra.

Contumacia.
Si gi osservato quali fossero le conseguenze della contumacia gi nel processo accusatorio. Secondo il regime invalso nella consuetudine ed approvato dal diritto statutario, contro il contumace il giudice pu emettere immediatamente una sentenza di bando e successivamente, se egli non si presenta nel termine previsto, di condanna in relazione al reato per cui inquisito, senza bisogno di ulteriori indizi: la contumacia equivale infatti ad una confessione presunta. Non necessario che il giudice disponga di prove effettive della colpevolezza dellinquisito. Per il periodo che sitiamo esaminando si pu dire di pi: bench si possa sostenere che, almeno in relazione a taluni delitti, il giudice sia obbligato a raccogliere prove a favore del contumace, co m suo dovere quando il reo presente in giudizio, di fatto, dice Claro, il giudice assume testimonianze contro di lui: il giudice che facesse il contrario sarebbe destituito come imperitus e fatuus. Ai tempi di Giulio Claro, nel Ducato di Milano, una volta che il giudice abbia indizi sufficienti alla cattura, se il crimine tale da meritare la confisca dei beni, fa stilare da un notaio lelenco dei beni, mobili e immobili, dellinquisito e li fa prendere in consegna dai consoli o dai sindaci del luogo dove sono posti. Dopo di che, il reo viene bandito e condannato con sentenza definitiva. Il Senato suole tuttavia ammetterlo alle difese: se per si presenta dopo 1 anno, leventuale assoluzione non implica la restituzione dei beni, che restano incamerati dal fisco: un regime (codificato anche nelle Nuove Costituzioni milanesi del 1541) che, come osserva Claro, in fondo non molto distante da quello di diritto comune. La confisca dei beni, fa notare lo stesso Claro, un effetto della contumacia solo se il reato per cui si procede punito con la confisca: altrimenti, il contumace non viene spogliato del suo patrimonio. La legislazione principesca lombarda del Cinque-Seicento risolve anche altri problemi. Le litterae ad novas defensiones, di competenza del Senato, con le quali il bandito veniva ammesso a difendersi, potevano essere chieste dal bandito solo entro 2 anni dalla commissione del reato, ai sensi degli Ordini di Tomar del 17 aprile 1581: questo termine, che nelle Nuove Costituzioni del 1541 non era stato previsto, veniva ora prefissato, come precisava Filippo II nel testo

dellordinanza, per impedire che i banditi temporeggiassero e nel frattempo venissero a mancare i testimoni oppure fosse raggiunta la pace con la famiglia delloffeso. Cos pure nel 1616 il Senato, in uno dei suoi numerosi Ordini, precis che il bandito non aveva diritto di chiedere le difese, se dal processo risultava gi convinto o confesso. Anche in Francia varie fonti attestano che possibile condannare il contumace alla pena prevista per il reato commesso. Anche nel foro canonico, il contumace viene prima scomunicato e poi, dopo 1 anno, viene condannato. Sempre Claro fa notare che, se il contumace bandito e condannato si presenta, lui, e non il giudice, ad avere lonere di provare la sua innocenza. Egli ricorda un caso risolto dal Senato nel 1548, in cui fu scritto al pretore di Cremona di eseguire la sentenza di condanna contro un certo Vairano, accusato di sodomia e condannato al rogo, qualora egli si fosse limitato ad osservare che non cerano indizi contro di lui e, nel termine fissato, non avesse svolto ulteriori difese. Era infatti sufficiente la precedente sentenza di condanna. Restavano poi in vigore le norme statutarie contro il favoreggiamento dei banditi, che la legislazione principesca inaspr ancora di pi. Si pu ricordare, ad esempio, quella grida del 12 giugno 1583, che prevedeva tutta una serie di sanzioni contro i favoreggiatori di un bandito, anche se fossero il padre, la moglie, il fratello o frequentatori occasionali del malcapitato. Molto ricco anche il panorama offerto dalla Terraferma veneta del Cinquecento, che faceva parte della Repubblica di Venezia. Il contumace che non fosse anche convinto di reit, in ossequio ad una legge del Senato del 1504, poteva essere bandito ad inquirendum. Il contumace aveva tempo 16 mesi per presentarsi e fare le sue difese, con lavvertenza che il bando era per s solo indizio ad torturam: in caso contrario, i banditi si consideravano rei confessi. Il 21 marzo 1524 il Senato stabil che il provvedimento si poteva prendere solo nei confronti di sospettati di reati gravi e per la durata di 2 anni. Se invece il reo era sottoposto al bando ordinario, poteva solo inoltrare una supplica a Venezia per poter svolgere le sue difese e se venivano concesse doveva presentarsi entro 1-2 mesi, secondo i luoghi. Nel frattempo, non si accettava alcuna difesa in suo favore e agli imputati presentati si stralciava dalla copia del processo tutto ci che concerneva il reo assente. La legislazione veneta intervenne in modo massiccio anche su molti altri aspetti del banditismo, modificando gli equilibri delle citt di Terraferma, innovando rispetto al diritto locale, con una massiccia ingerenza. Sono leggi demergenza, spesso temporanee, spesso soggette a ripensamenti, tese a fronteggiare con misure severissime il banditismo. 1. Luccisione del bandito era lecita anche se effettuata in modo proditorio, cio con linganno e il tradimento, pur di fronteggiare la minaccia dellalto numero di banditi. Dati gli abusi, per, il Consiglio dei dieci il 29 luglio 1489 proibisce di uccidere i banditi con insidie, appostamenti di gruppi pi numerosi di 5 persone o comunque in qualsiasi modo con premeditazione. L 11 settembre 1490 tale legge viene tuttavia revocata e la prassi, come osserva acutamente il Priori, la rispetta: Guardinsi dunque i banditi di venir ne i luoghi a loro prohibiti per i suoi bandi perch anco se bene per la legge 1489, 29 luglio li banditi overo condannati in lire cinquanta non potevano esseroffesi se non in puro homicidio, et non per insidie et appostate, nondimeno lanno 1490, 11 settembre detta legge 89 fu rivocata di modo che stante la detta rivocatione il bandito overo condannato come di sopra pu impune esser offeso in insidie et appostat in setta et in monopolio, come descritto nel titolo di essa legge, et anco con lesoneratione darcobugi, di che ne sono seguiti molti et diversi giuditij et specialmente vedansi le lettere delli eccellentissimi signori Capi delleccelso Conseglio di X de d 12 febraro 1553, per le quali dichiarito che lesonerante

larcobugio contra il bandito non incorre nella pena della legge, et ci f deciso per risposta delle lettere scritte per il podest di Bergamo di quel tempo. 2. Gli uccisori dei banditi godevano dellimpunit. Le leggi venete, fino al 1595, concedevano di uccidere impunemente solo i banditi condannati alla pena capitale. Dal 1595 per limpunit viene estesa a qualsiasi bandito. 3. Chi uccideva un bandito conseguiva di solito una taglia come premio. Poteva anche ricevere una voce liberar bandito, che poteva vendere ad altri oppure usarla, liberando un altro bandito. La voce liberar bandito poteva essere acquisita anche per se stessi: cos il bandito che ne uccideva un altro poteva liberarsi dal bando. La legge del 18 luglio 1549 tolse per ai banditi questa facolt, che aveva provocato non pochi inconvenienti ed ingiustizie. Ma questa politica non ebbe successo: il 31 ottobre 1569 si accord di nuovo la liberazione del bando ai banditi che ne avessero ammazzati altri. Altre leggi stabilirono che il bando doveva essere per un delitto uguale o inferiore oppure esclusero determinati banditi dal beneficio. 4. La voce liberar bandito si poteva conseguire anche uccidendo i colpevoli di determinati gravi reati (omicidio, stupro, ratto, incendio, violenza nelle cose o nella persona commessi con insidie e con appostamento alla casa o alla strada), colti in flagranza, in base alle leggi sul flagrante crimine del 16 dicembre 1560, 10 dicembre 1567 e 15 aprile 1574, tutte puntualmente ricordate dal Priori: Et quelli che con insidie et appostatamente andassero alla casa o alla strada et commettessero homicidio, sforzo, rapto, incendio o violenza nella robba o nella persona, in quellistante et in fragranti non solamente possono esser presi dalli ministri et seguitati etiam in aesi alieni da cadauna persona, ma anco facendo resistenza possono esser impune offesi et morti et li captori in tali casi conseguiscono la terza parte de i beni de retenti, quali sintendono confiscati arme, cavalli, danari chhavessero con loro, et gli altri due terzi de beni divisi secondo il consueto, et vedasi quanto s detto nel capo della confiscatione de beni. In oltre conseguiscono libert di liberar un bandito per homicidio puro diffinitiv overo un bandito a tempo, et come nelle leggi 1560, 16 decembre, 1561, 26 novembre, 1567,10 decembre, 1574, 15 aprile. Erano leggi volte soprattutto ad incoraggiare la lotta contro i banditi. Tutti questi inasprimenti non bastarono per risolvere il problema del banditismo, destinato ad aumentare e ad aggravarsi. Si tent anche la strada pericolosa di ampliare i poteri dei rettori. I rettori, se ricevevano un caso per delegazione servatis servandis (cio con il rito inquisitorio ordinario), acquisivano anche il potere di bandire da tutto il territorio della Repubblica esclusa Venezia e se veniva loro concesso il rito inquisitorio speciale del Consiglio dei dieci, anche da Venezia! Mentre se agivano con i poteri ordinari potevano tuttal pi bandire dalla citt in cui operavano, dal territorio di questa, 15 miglia al di l dei confini, dai 4 luoghi (Oriago, Bottenigo, Lizzafusina e Gambarare), ed eventualmente da Venezia e dal Dogado (cio dalle 9 podesterie di Grado, Caorle, Torcello, Murano, Malamocco, Chioggia, Loreo e Cavarzere). Inoltre il 20 maggio 1580 il Senato confer ai rettori delle citt pi grandi il potere di castigare immediatamente con la morte i banditi catturati, dopo un processo sommario! Il 26 ottobre 1585, proseguendo sulla stessa linea, il Senato eman la famigerata legge dei cinque casi, in cui autorizzava i rettori delle grandi citt a procedere sommariamente nei casi di svaliggiamenti fatti alla strada et depredatione delle case, nelli sforzi di donne et homicidi commessi con mascherati e travestiti et di incendiari. Nel gennaio 1586 il Senato precis che tali delitti dovevano essere commessi o da banditi o da loro complici e favoreggiatori. Il 20 luglio 1580 si concesse a tutti i banditi la possibilit di potersi liberare uccidendo altri banditi. La legge fu prorogata per due anni il 26 gennaio 1587. Nellagosto 1580 si riserv il potere di concedere le voci liberar bandito ai soli rettori c on corte, provvisti di almeno 2 dottori come giudici (nel 1620 il Consiglio dei Dieci avoc tale potere a s stesso).

Nel Seicento si giunse perfino a permettere la liberazione dal bando dietro pagamento di somme di denaro in misura ancor pi larga che nel passato. La legislazione veneta infine risolve anche altri problemi, che altrove sono lasciati alla dottrina o agli statuti. 1. I banditi non possono essere impunemente uccisi dal padre, dal figlio, dal fratello, dallo zio, dal nipote, dai cugini, dalla moglie, dal suocero, dal genero (leggi 26 giugno 1524 e 22 giugno 1573). 2. Cos chi ammazza un bandito nei 3 giorni successivi alla pubblicazione del bando gode lo stesso dellimpunit, bench i banditi abbiano tempo 8 giorni in base alle leggi 26 lugl io 1503 e 18 luglio 1561, ma non pu liberare altri banditi o riscuotere taglie, per una prassi giudiziaria consolidata (per molte giudicature in ci seguite, dice il Priori). E da notar anco che quello che ammazzasse un bandito ne i tre giorni dopo la publicatione del suo bando, egli ha bene limpunit in quanto che contra di lui la giustitia non procede, per molte giudicature in ci seguite, ma per non ha facolt di liberar altro bandito n meno di conseguir le taglie, se non che li banditi per osservanza hanno termine di tre giorni anzi di giorni otto, vedansi le leggi 1503, 26 luglio et 1561, 18 luglio di poterandare a suoi confini, il qual termine passato oltre che incorrono nella pena contenuta nella sua condanna sintendono banditi di terre et luo ghi, secondo detta legge 1503 nel modo come si dir pi a basso. 3. Sempre in virt di giurisprudenza, chi uccide un bandito senza sapere che costui era bandito gode ugualmente dellimpunit, ma non riceve premi. Avvertendo anco che quando constasse che uno havesse ammazzato un bandito non sapendo chegli fosse bandito, ma che lhavesse ammazzato per altra causa o per altro accidente opinione che questo tale habbia bene limpunit, di modo che la Giustitia non proceda contra di lui, ma per che non debba conseguire per tal morte taglie n beneficij promessi dalle leggi o statuti. 4. Una legge del 1532, poi confermata, prende in considerazione il caso inverso: lecito uccidere un bandito quando sia finito il tempo del bando, ma questo non sia stato cancellato e quindi il bandito sia ancora formalmente tale (ancora vivo in raspa): Il bandito poi vivo in raspa, bench fosse finito il tempo del bando, pu essere impun morto, legge 1532, 24 ottobre, caso 1547, 13 marzo et 17 detto, 1550, 20 genaro, 1551, 21 febraro et altri, si come anco fra li confini pu esser ammazzato con schioppo come di sopra si detto. 5. Per una legge del 16 dicembre 1544 e per la giurisprudenza delle magistrature centrali veneziane non invece lecito uccidere il bandito catturato dalla polizia ( un problema trattato anche da Alberto Gandino e da altri prima di lui) oppure condurre con male arti un bandito in un luogo a lui proibito, non volendo questa serenissima Republica religiosissima che alcuno venga ingannato et tradito. Ma non per quando egli si ritrovasse nelle mani delli ministri n anco quando un bandito fosse condotto retento con male arti fra li confini del suo bando, intendendosi anco con male arti se si conducesse con artificio il bandito in luogo a lui prohibito, potendosi credere ragionevolmente che lui non lo possi sapere et che per forza e violenza lo conducesse, ne i quali casi li delinquenti sarebbero gravemente puniti conforme alla legge 1544, 16 decembre et molti giuditij seguiti in questo proposito, non volendo questa serenissima Republica religiosissima che alcuno venga ingannato et tradito.

Interrogatorio.
Se linquisito (o anche reo, nel linguaggio giuridico) compare, si procede al suo interrogatorio (examen, constitutum). Nella prassi veneta, diverso il trattamento dellimputato catturato o che si presenta a seguito di mandato alle carceri. Il retento messo in prigione, da solo e separato; il presentato viene tenuto in luogo sicuro.

Quando il reo si presentato overo preso et carcerato, subito si deve constituire et in tanto il retento mettere in una prigione solo, separato dallaltri acci non sia instrutto, et il presentato consignare alli cavalieri per tenerlo nel luogo o camere de i presentati. Ma quando non vi sia luogo destinato, se glassegna una casa nella corte con una sigurt di non partirsi secondo il parere del giudice havendo rispetto alla qualit della persona et alla natura del delitto. Linterrogatorio viene verbalizzato da un notaio. In alcune prassi giudiziarie, esistono diversi tipi di interrogatorio: uno ordinario e pi generico (costituto de plano) ed uno pi specifico e dettagliato, duro e aggressivo, duro e serrato, volto a mettere in evidenza e contraddizioni dellinquisito (Povolo), basato su continue opposizioni (costituto opposizionale). De consuetudine, il reo non soggetto ad alcun giuramento; non ha diritto all assistenza di un difensore, n a conoscere immediatamente gli indizi raccolti contro di lui. Attendasi adunque solamente al fatto et alle circostanze, le quali tutte si cavino dal processo et anco dalle risposte del reo, non dandogli copia de glinditij se non doppo constituto et doppo che gli siano intimate le difese, le quali ne i casi gravi et atroci et di difficil prova non sintimano se prima non intimata la parte offesa, acci che veduto in copia il constituto possa reprovare le cose introdotte dal reo et illuminare la giustitia innanti la publicatione del processo. Sono tutte regole che si sono imposte nella prassi giudiziaria: de iure tutto il contrario. Inoltre, limputato ha lobbligo di rispondere, non ha il diritto al silenzio. Pu anche essere messo a tortura, se rifiuti di rispondere. Secondo alcune pratiche giudiziarie, si pu ricorrere alla tortura anche se limputato sia reticente, cio sia resto a parlare, dicendo di non sapere o di non ricordarsi le cose che gli vengono chieste, come osserva il Priori, ed in altre ipotesi ancora: imputato che si contraddice (varius) o dice cose incompatibili (contrarius) o cose diverse (vacillans), che ritratti o dica cose inverosimili. Di queste tipologie di deposizione, valide anche per i testimoni, d un ottimo quadro riassuntivo Egidio Bossi: testis dictur varius, cum nulla causa assignata dicit contrarium eius quod primo dixerat... Contrarius vero est, cum dicit duo, quae simul esse non possunt... Sed vacillans dicitur, qui timendo et dubitando varie loquitur (testimone vario quello che senza motivo dice tutto il contrario di ci che aveva deposto in precedenza... Contrario il teste che dice due cose che insieme non possono stare... Vacillante il teste che per timore e per dubbio dice ora una cosa, ora unaltra). Quando il reo non volesse rispondere alle interrogationi o che dicesse non sapere o non ricordarsi quelle cose che ragionevolmente deve sapere et ricordarsi, non tanto sopra il delitto quanto anco sopra le circostantie, o che non rispondesse immediat la verit o che volesse negare il nome, padre, patria, allhora il giudice pu farlo condurre a i tormenti et col mezo di quelli farli rispondere affirmativamente o negativamente alle sudette interrogationi, ma non deve punto interrogarlo sopra il delitto, sopra inditij precedenti et legitimi, il qual reo obligato senza haver tempo o termine di subito rispondere. Linterrogatorio pu essere pi o meno pressante, pi o meno duro. Linterrogatorio ordinario, che segue certe regole, detto costituto de plano. In certe prassi inquisitorie, ad esempio quella del Consiglio dei Dieci nella Repubblica di Venezia, in uso anche un interrogatorio pi incalzante, detto costituto opposizionale. Sono ammissibili anche interrogatori incrociati tra pi imputati. Si confrontano anco i rei ne i constituti quando che fossero pi rei in uno caso, uno de quali confessasse et laltro no, onde allhora il confesso si fa dire al compagno in faccia la serie del fatto con tutti i particolari et circostanze, scrivendo diligentemente le proposte et risposte, ma questo reo confesso deve anco confermare il suo contenuto ne i tormenti, affin che faccia inditio contra il compagno accusato, il qual tormento serve in luogo di giuramento essendo la persona infame, di che pi particolarmente se ne dir al capo della tortura.

Confronti.
Pu essere necessario un confronto tra i testimoni o la parte offesa e limputato, che porti al riconoscimento del reo. Anche a questo proposito soccorre la prassi. Se il reo non fosse conosciuto per nome da i testimonij, ma solamente descritto nelleffigie, ne glhabiti et per altri segni, et che interrogati essi testimonij dicessero che vedendo esso reo lo conoscerebbono, allhora il giudice deve far mettere il reo in filla et di compagnia di tre o quattro dellistessa statura et simili pi che sia possibile et vestiti dellistessa sorte di habiti, mostrandoli ad essi testimonij o testimonio, facendoli discernere fra questi il reo, et se fosse mostrato uno che non fosse in effetto et che doppo subito leleggesse affermando ci una, pi volte, farebbe inditio et si starebbe a questultimo detto. Il medesimo si osserva nella parte offesa, la quale non conoscesse il delinquente per nome, ma solamente per leffigie et statura et che dicesse di conoscerlo quando lo vedesse, onde mostratolo di compagnia daltri et conosciutolo si reinfaccia il delinquente, dicendogli che non pu negare di esser colpevole poich stato fra que glaltri discernuto et conosciuto, procurando con questi mezi et altri simili argomenti di convincerlo. Il confronto tra testimoni e imputato de iure non obbligatorio. Il Senato di Milano lo richiede: a) quando il teste contra reum sia de visu; b) quando i testi si contraddicano tra loro; c) quando il teste deve riconoscere il reo (in tal caso, il reo andr mostrato insieme con altre tre o quattro persone a lui simili fisicamente e vestite allo stesso modo). Se il reo inquisito per un delitto che merita solo una pena pecuniaria dopo linterrogatorio gli si possono concedere le difese per procuratore, cio pu farsi rappresentare da un procuratore e restare in libert previa fideiussione oppure messo agli arresti domiciliari. Il giudice comunque deve stare sempre attento, quando concede al reo di preparare le sue difese a piede libero. Se il delitto punito con pena corporale le cautele sono ovviamente maggiori. Quando che il reo sia constituito ricercando cos la qualit del delitto et della persona si deve serrar in prigione sicura, non lasciando che alcuno li parli quando che per il delitto egli meritasse pena afflittiva del corpo, nel qual caso non si rilassa altrimente con sigurt, ma se il delitto fosse lieve di modo che il delinquente non venisse a ricevere pena corporale, ma che si trattasse di pena pecuniaria, allhora si deve rilassare con una sigurt la quale sotto certa et limitata pena si oblighi di rappresentarlo ad ogni richiesta della giustitia o di stare et pagare la condanna, per essecutione della quale doppo fatta si pu procedere immediatamente contra il detto piezo. Ma perche pare che fatte le rilassationi i rei non si curino di fare le loro difese n di espedirsi, deve per il giudice in questo esser circonspetto nel farli rilassare se non per giuste cause, assegnandoli termine prefisso il qual passato possa il giudice fatte o non fatte le difese venire allespeditione et astringere la sigurt di rappresentare nelle forze il reo rilassato o di pagare la condanna et la pena contenuta nellatto della sigurt, le quali rilassationi si sogliono faranco specialmente nelle feste di Natale et di Pasqua et anco ne i casi ne i quali apparesse chel reo non fosse colpevole, overo non molto inditiato, assegnando a loro casa o altro luogo per prigione con la sigurt sudetta, secondo larbitrio del giudice, ma se il delitto fosse enorme o che il reo fosse confesso o convinto o che il giudice sperasse di qualche maggiorinditio, non si deve a modo nessuno rilassar il reo. Se il giudice lo ritiene opportuno, potr eventualmente far prestare una cauzione al reo di non offendere la vittima o la parte offesa. Se limputato povero, potr accontentarsi del suo giuramento. Pu il giudice, anco nel rilassare i rei et tanto maggiormente quando che fosse ricercato dalla parte offesa, astringerli a dare una sigurt di non offendere alcuno delli avversarij, et quando il reo fosse povero n havesse sigurt, allhora se li admette la iuratoria cautione la quale dura secondo larbitrio del giudice.

Ripetizione dei testimoni.


Dopo linterrogatorio, se il reo non ha confessato, avviene il riesame dei testimoni, gi ascoltati nella fase istruttoria (segreta). I testimoni esaminati nel processo informativo devono essere riascoltati (repetitio testium). Il giudice pu delegare questoperazione. La repetitio testium qui examinati sunt in processu informativo potest delegari, dice Claro, e cos accade nella prassi: et ita servatur de consuetudine. La repetitio testium non necessaria se il reo contumace e non compare. Limputato e i difensori hanno solo il diritto di assistere al giuramento dei testimoni, che poi devono essere esaminati in segreto.

Pubblicazione del processo e difese.


Dopo linterrogatorio e il riesame dei testimoni, il giudice deve intimare le difese allimputato, al quale, se ne fa richiesta, si deve anche dare copia a sue spese degli indizi e delle altre prove esistenti contro di lui, nonch del verbale del costituto. La prassi nel senso che la pubblicazione si faccia dopo la repetitio dei testimoni e dopo lexamen del reo. Nomi e deposizioni testimoniali vanno dati al reo solo se ne abbia fatto richiesta. Quindi il processo valido anche se limputato non ha preso visione delle prove contro di lui. Per alcuni criminalisti, opportuno comunque che il giudice, nellintimare le difese, fissi anche un termine entro il quale il reo pu ottenere copia degli indizi. Ma con li rei presenti sintima le difese, dandogli copia de glinditij nel modo sopradetto innanzi che si venghi a tormenti, potendo loro purgare glinditij con altri mezi et prove che con quello del tormento, la qual copia per si d mentre venghi da loro ricercata come si fa allaccusatore, al qual reo doppo intimategli le difese non dimandando egli termine la giustitia deve ex officio statuirlo, notando nellatto il termine con lordine che gli sia data la copia a sue spese, affin che non curandosi di difendersi et venendosi allespeditione appar sempre lintimationi debite et con lordine della copia, il che si deve fare anco ne i rei conventi et confessi a quali ne anco il prencipe per la sua potest ordinaria pu negare le difese, anzi che quando il reo povero et non habile per la sua povert di difendersi se li assegna glavvocati de i prigionieri o altri che lo difendano Si d copia del processo offensivo anche alla parte offesa, affinch possa collaborare con la giustizia. Doppo formato il processo offensivo et tolto il constituto del reo, si suole ne i casi atroci et oscuri intimare la parte offesa alla quale si d copia del constituto acci che tanto maggiormente possa delucidare la giustitia... Il reo ha diritto di ricevere solo le deposizioni concernenti la sua persona. I nomi dei testimoni devono essere comunicati. E bene per, notano alcuni criminalisti, tra cui il Priori, osservare determinate cautele nel riferire i nomi dei testimoni allimputato. Cos opportuno indicare i nomi alla fine del processo informativo (cos si chiama il fascicolo che contiene i risultati dellistruttoria) e mischiati, in modo che il reo conosca il contenuto delle deposizioni e chi ha deposto, ma non possa collegare le une agli altri. Si dovrebbe anche controllare ogni dichiarazione del testimone, eliminando quelle che lo possano identificare. Meglio sarebbe, a questo punto, dice il Priori, nei casi pi gravi, non dare copia ai rei dei processi. Doppo formato il processo offensivo et tolto il constituto del reo, si suole ne i casi atroci et oscuri intimare la parte offesa alla quale si d copia del constituto acci che tanto maggiormente possa delucidare la giustitia, et poi al reo si d copia del processo a sue spese, cio di quelli inditij solamente concernenti la sua persona, dandogli i nomi de i testimonij essaminati in fine del processo et confusi, massime ne i casi atroci et quando li rei fossero potenti affine che non si possa sapere qual sia la loro depositione, et per possono havendoli in nota confusamente opponere alle loro persone. Et se il testimonio super generalibus rispondesse di esser parente di una delle parti da

che si scoprisse chi egli fosse si suol anco tenere occulta questa parentela per fuggir il danno et il pericolo di esso testimonio, quando chegli testificando contra il reo fosse conosciuta la sua depositione, et per sarebbe cosa utilissima, cos alla giustitia come a i testimonij, se ne i casi gravi et atroci si procedesse nelle formationi de i processi secondo il stilo delleccelso Conseglio di dieci senza dar copia a i rei de i processi, perch facendo cos i testimonij essendo certi che le loro depositioni non dovessero esser vedute se non dalla giustitia direbbono senza timore la verit, et perci si venirebbe in cognitione facilmente de i delinquenti che per tal causa molti enormi delitti passano impuniti. Le parti non possono, dopo la pubblicazione del processo, chiedere il riesame dei testimoni sui capitoli daccusa intorno ai quali sono gi stati interrogati: si teme che possano subornarli. Possono invece produrre nuovi capitoli e su questi chiedere che siano ascoltati nuovi testimoni. Ben possono le parti, doppo la publicatione del processo sopra nuovi capitoli che trattino altra cosa della gi prodotta et publicata, essaminaraltri testimonij fino alla sentenza exclusiv perch cessa ogni sospittione di subornatione Quando che sia publicato il processo et che le parti ne habbino havuto copia non si pu pi essaminare testimonij introdotti da esse parti sopra i capitoli et cose gi publicate, rispetto che potrebbono, veduto chavessero non haver provata la loro intentione a suficienza, introdurre essi testimonj subornandoli a deponere la falsit, et perci conforme a molte decisioni et lettere di clarissimi signori avogadori non si admettono questi testimonij doppo la pubblicatione sudetta, vedansi le lettere del podest di Padova dellanno 1563, 12 maggio scritte in questo proposito. Al giudice invece permesso di risentire i testimoni ed eventualmente pu, se non teme che siano stati comprati, udire quelli che il reo gli indica. Lo dicono gi i commentatori nel Trecento: il giudice, nel rito inquisitorio, pu riesaminare i testimoni anche dopo la pubblicazione delle testimonianze (Bartolo, Comm. D. 48.5.2, ad legem Iuliam de adulteriis, l. Ex lege iulia Si publico, n. 15). Ben vero che nei i casi gravi et atroci, nei quali il giudice pu anco ex officio procedere, pu esso giudice ex officio doppo publicato il processo essaminare testimonij sopra listesse cose publicate per delucidatione della verit. Et quando cos sia stretto da gran causa et importante necessit et che sia certo sopra tutto che ne i testimonij non vi possi essere alcuna subornatione che altrimente non si deve fare pu anco accettare in cedula dalla parte i nomi de i testimonij et ex officio essaminarli, tutto che sia publicato il processo s come medesimamente ne i sudetti casi si osserva di accettare dalla parte offesa le interrogationi che si devono fare a testimonij, non ponendo per nel processo n la cedula n meno dette interrogationi le quali solamente servono per instruttione del giudice. I capitoli di difesa sono tanti. E ammesso, ad esempio, quello della difesa coartata col luogo e col tempo, che corrisponde allalibi circostanziato: quello semplice non ammesso. Il giudice, tuttavia, devessere molto circospetto nellammettere questo capitolo e ancor pi attento nellinterrogare i testimoni, che spesso depongono il falso. Perci dovr porre loro molte domande e sentirli personalmente, senza delegare lescussione ai notai o al cancelliere. Havuta che habbi il reo la copia del processo offensivo, per difendersi dallimputationi in questo dedotte suol presentar capitoli per giustificare le cose introdotte nel suo constituto et che concernono le sue difese, et per essendo materia di molta importanza ne i criminali necessaria una diligente inquisitione et consideratione nelladmissione di questi capitoli. Si admette similmente il capitolo concernente la difesa coartata col luogo et tempo, perch se fosse semplice non si admetteria per esserimprobabile, anzi che il testimonio deponendovi sopra si renderebbe sospetto di falso essendo grande la temerit sua, testificando che lhomicidio o altro delitto non fusse stato commesso dal delinquente, senza render altre ragioni. Ma si deve anco avvertire che nellessaminare sopra il capitolo di difesa coartata vi bisogna unestraordinaria diligenza, producendosi per il pi testimonij subornati et sospetti di falso, quali

prontamente depongono di esservi ritrovati con il delinquente nellhora et punto del delitto commesso, et per si possono interrogare quando andorono col reo, in qual luogo, se soli o accompagnati, di dove si partissero et a che hora gionsero, della sorte di habiti et arme, se si ferm sempre col reo et a qual fine, la distanza dal luogo del delitto quello ove andorono, et per qual causa ricordarsi tanti particolari, se incontrorono alcuno, et se con alcuno havessero parlato, se intese ragionare del delitto commesso con tutte le circostanze et chi sincolpava, con dichiaratione doppo se quella notte era oscuro o pure lucesse la luna, con quellaltre interrogationi che comportar la buona conscienza del giudice secondo la qualit del delitto. Non commettendo questo essame a canceliero o nodaro senza la presenza del rettore o del giudice, perch con tal presenza il testimonio quando fosse subornato temerebbe molto pi a deponere la falsit n meno si devono concedere lettere dimissorie per far lessame sudetto.

Le difese devono essere svolte prima della tortura.


E dallesito delle difese che dipende la decisione del giudice circa la sottoposizione o meno dellimputato ai tormenti. Ma con li rei presenti sintima le difese, dandogli copia de glinditij nel modo sopradetto innanz i che si venghi a tormenti, potendo loro purgare glinditij con altri mezi et prove che con quello del tormento Possono essere torturati prima delle difese solo i rei carcerati, in presenza di determinate condizioni. Ne anco si d copia al reo retento se non doppo i tormenti, quando che per la qualit del delitto ricercasse certi tormenti prima che gli fossero intimate le difese, come ne i delitti de furto, nellhomicidio commesso de mandato, o in altri che si sogliono commettere in compagnia daltri, et che il reo si havesse per convento, nel qual caso innanzi la publicatione del processo et prima che sintimano le difese si procede a i tormenti col protesto per saper i complici, come al capo della tortura si dir, nel che poi il giudice si governa secondo larbitrio suo, havendo in consideratione la qualit del delitto et conditione della persona. Vedasi un caso in Quarantia criminale che fu deliberato di non darsi copia de glinditij prima della tortura di Bernardino Goffetto da Cologna retento 1558, 22 marzo. Tra i capitoli di difesa dellinquisito spicca, anche per let moderna, quello relativo alla pace ottenuta dalloffeso o dalla sua famiglia. La tendenza della legislazione, sia statutaria che principesca, ormai da tempo quella di ridurne progressivamente gli effetti ai soli reati puniti con pena pecuniaria, a tutto vantaggio del potere inquisitorio del giudice nei casi pi gravi dei reati puniti con pena capitale e corporale, affinch essi non rimangano impuniti a discrezione delle parti. Il dato confermato dalle Nuove Costituzioni milanesi del 1541, nel titolo sulle accuse e le denunce: in casibus, in quibus condemnatio pecuniaria facienda est, ubi adsit pax vel remissio offensi aut ejus haeredum et successorum, alioquo modo procedi non possit, nisi hi sint, in quibus ex officio procedere concessum est (nei casi in cui si deve pronunciare una condanna pecuniaria, quando vi sia la pace o la rimessione della querela da parte delloffeso o dei suoi eredi e successori, non si possa procedere in alcun modo, a meno che non si tratti di reati per i quali concesso procedere dufficio). La prassi delle paci continua tuttavia anche in questo periodo, soprattutto per i reati rispetto ai quali, teoricamente, esclusa. Ci significa che la pace pu produrre ugualmente effetti apprezzabili sul processo. Un primo effetto lo si consegue solo di fatto: la pace, come osserva Giulio Claro in un passo famoso della sua pratica, impedisce concretamente al giudice di giungere alla punizione del delitto, perch gli viene a mancare la collaborazione della vittima. Un secondo effetto anche giuridico. Laddove, come in Lombardia, c ampia possibilit di ottenere la grazia, la cui concessione politicamente serve ad assecondare una visione sacrale e mitica della giustizia centrale del sovrano, la pace ne diviene una condizione indispensabile: senza aver ottenuto la pace dalloffeso oppure dai suoi eredi la grazia non si pu concedere. Nel Cinquecento continuano pertanto le discussioni sulle paci, sia tra i giuristi che nella giurisprudenza delle corti, almeno su determinati punti. E oggi ex generali consuetudine ammesso fare pace per qualunque delitto, afferma Claro: perci, tutte le questioni agitate in dottrina su questo problema perdono significato. Rimane invece importante stabilire chi pu fare pace e come. Ad esempio: il padre pu fare pace per unoffesa fatta al figlio? Il Senato ritiene di no, ma esige il consenso di entrambi, almeno quando intervengono ferite. E fuori di dubbio, poi, che se la vittima morta, il diritto di fare pace spetta ai parenti pi prossimi. Un altro caso delicato quello degli uxoricidi: il marito deve ottenere la pace non solo dai figli comuni, ma anche dai fratelli e dagli altri parenti stretti della moglie uccisa. Nel Ducato di Milano si richiede anche la pace con tutti gli eredi del defunto, sia quello di sangue che quello dei beni, se sono diversi.

E se vi sono pi eredi, il reo deve ottenere la pace da tutti, affinch si spengano tutti gli odii ed i rancori. Infine, sempre secondo la prassi del Senato, la pace ha effetto solo se risulta da un atto notarile. Solo eccezionalmente e per delitti non gravi, si d efficacia ad una pace provata per testimoni. Un caso del genere capit proprio a Giulio Claro, alla cui presenza era stata fatta una concordia per uningiuria ad un dottore in vista della grazia: il Senato la consider valida (1559). Quanto allesperienza della Terraferma veneta, Lorenzo Priori ricalca quanto Claro attesta per la Lombardia.

Usi ed abusi del segreto nel processo inquisitorio moderno fra teoria e prassi.
Il principio del segreto degli atti istruttori una delle regole fondamentali del processo inquisitorio moderno. Ne fornisco una prima rappresentazione riferendomi al percorso regolare di un processo inquisitorio cinquecentesco, astraendo per ora dalle specificit di singole corti e da un discorso relativo allevoluzione della regola. Ecco dunque quali sono le principali operazioni coperte dal segreto nel processo inquisitorio moderno. 1. Il segreto copre linquisizione generale e linquisizione speciale, durante le quali il giudice prende informazioni sul delitto e sul reo, attraverso lesame di testimoni. Le indagini devono svolgersi allinsaputa dellinquisito, nella pi assoluta segretezza, lontano dagli occhi indiscreti e dalla vista del sospettato e dei suoi difensori. Le operazioni compiute, e quindi in particolare gli interrogatori, devono per essere documentate per iscritto. Lobbligo del segreto si riverbera anche sui documenti che registrano le deposizioni testimoniali e linterrogatorio dellimputato, le sole fonti attraverso le quali il reo sar poi in grado di regolare la propria difesa. Tali fonti sono tenute celate allinquisito, per tutta la durata del processo informativo e del processo offensivo. Tutto ci che il reo pu apprendere, delle prove raccolte contro di lui o di ci che stato detto contro di lui, gli pu essere comunicato solo dal giudice. Il notaio o il giudice che rivelino allimputato il contenuto degli atti istruttori o dibattimentali prima della chiusura del processo informativo od offensivo si rendono colpevoli di falso e sono puniti con una pena straordinaria, ad arbitrio del giudice. 2. Compiuta linquisizione speciale allinsaputa del reo, il giudice lo fa catturare, se dispone di indizi sufficienti alla cattura e se il reato per il quale si procede merita una pena corporale, oppure lo cita. 3. Se il reo non si presenta, si apre un procedimento speciale per contumacia. Se il reo viene catturato o si presenta spontaneamente, interrogato, senza che ancora possa conoscere gli indizi esistenti contro di lui. 4. Quando cade il segreto? Esiste, in effetti, un momento, in cui il segreto deve cadere ed allimputato devessere consentito di consultare gli atti: di avere, come si dice, copia degli indizi. Questa vera e propria cesura, nel processo penale, cronologicamente non coincide con la chiusura delle indagini pre-dibattimentali, anteriori cio alla chiamata in giudizio dellimputato, ma pi avanzata. Si deve attendere, infatti, la chiusura della fase offensiva, quella fase del processo inquisitorio in cui limputato sottoposto ad uno o pi interrogatori (costituti). Si deve attendere listante in cui il giudice, anche dopo aver interrogato il reo, decide di scoprire le carte, perch ritiene di non poter acquisire altro contro il reo. Di conseguenza, se il giudice ritenesse opportuno un supplemento istruttorio, dopo i costituti, lattesa del reo (e dei suoi difensori) si prolunga. La pubblicazione degli atti del processo deve effettuarsi comunque prima della tortura.

Il giudice non pu, di regola, sottoporre linquisito a tortura, se prima non lo gli ha consegnato copia degli indizi contro di lui. La tortura infatti unanimemente considerata uno strumento sussidiario, con presupposti rigidi. Occorre, tuttavia, la domanda della parte. Se al giudice non viene chiesto di vedere gli atti, egli non tenuto dufficio a darne copia allinquisito. Un primo punto interessante da notare che il percorso appena delineato e attestato nel Cinquecento non coincide con quello suggerito dal diritto comune. Secondo il diritto comune (in questo caso: il diritto canonico), quando si procede dufficio per inquisizione, il giudice dovrebbe prima procedere alla verifica della fama in relazione ad un delitto commesso, per accertare chi sia diffamato, cio chi sia sospettato di aver commesso il delitto. Una volta raccolta la fama contro una determinata persona, il giudice dovrebbe citare il reo in giudizio ed opporgli la diffamazione; a questo scopo, dovrebbe dargli copia della diffamazione contro di lui. Linquisito deve quindi conoscere chi lo diffama. Si avverte la prudenza con cui questo nuovo metodo viene usato, rispetto allaccusa, che porta ad un processo aperto. Se il reo nega di essere diffamato e nega di aver commesso il delitto, solo allora il giudice (se procede dufficio sine promovente, come si detto: in questo caso, la questione della fama pu essere momentaneamente accantonata per essere ripresa nelleventuale giudizio di appello. Quindi il giudice bene che abbia i suoi testimoni pronti per quellevento. Se il reo, peraltro, non si appella, il giudizio rimane valido) pu procedere allinquisizione speciale, super veritate criminis, per usare il linguaggio dei canonisti. Questo lordo suggerito dal c. 8 del IV Concilio lateranense del 1215 (4 Comp. 5.1.4, X. 5.1.24 = decretale Qualiter et quando di Innocenzo III del 1206) e dalla Glossa ordinaria. Senonch, questo ordo, nella prassi, salta ben presto. Gi nella seconda met del 200, vediamo i canonisti chiedersi: che cosa succede se il giudice non ha indagato sulla fama? Lo potr fare solo in alcuni casi. Ma sono casi importanti: ad esempio, se linquisizione avviene sine promovente, senza un privato promotore, ma ex mero officio iudicis. Ma i canonisti del secondo Duecento e del primo Trecento, ragionando de iure, sono inflessibili sulla necessit che linquisizione speciale sia fatta solo dopo aver citato il reo e dopo aver comunicato al reo i capi dimputazione. Nella seconda met del Trecento, sincomincia per ad osservare che la consuetudine ormai del tutto contraria: prima si fa linquisizione speciale e poi si cita il reo e lo si esamina. La fonte pi importante, in dottrina, la repetitio di Angelo Ubaldi alla l. Si vacantia dei Tres libri, tenuta a Perugia nel novembre 1373: sed de consuetudine hoc non servatur, immo servatur oppositum, quia primo fit inquisitio et postea super ea inquisitus interrogatur et examinatur (n. 197: ma per consuetudine ci non si osserva, anzi si osserva lopposto, perch prima si fa linquisizione e dopo linquisito viene interrogato ed esaminato sulla stessa). E unosservazione che sar ripresa da molti: ad esempio, da Mariano Sozzini, nel suo commento al c. Qualiter et quando (n. 664). Si noti che per il diritto comune (ad es. Bartolo, Sozzini, n. 917) non necessario che al reo siano notificati i capi dimputazione nella citazione (molti statuti, per, impongono questo adempimento). Il giudice li deve per informare il reo del delitto di cui inquisito, quando costui si presenta. Interessante per su questo punto la notazione di Mariano Sozzini. Se il giudice intende procedere subito ai tormenti, cosa che egli riprova, perch ritiene che prima si debba fare di tutto per provare il delitto attraverso testimoni (n. 1067), non informi il reo di niente, perch potrebbe istruirlo e quindi indurlo a confessare il falso, se non ha commesso il delitto: adverte tamen, quia quod dixi, quod iudex debet tradere copiam inquisitionis, procedit quando intenderet procedere per probationes testium. Secus si per tormenta et maxime si delictum esset

personale, quia tunc consulo, imo adiuro omnes officiales, ne aliquo modo propalent delictum et eius qualitates et circumstantias, ne forte instruant captum, ut tandem metu tormentorum mendaciter fatetatur delictum (n. 950: Avverti tuttavia che ci che ho detto, dover il giudice dare copia dellinquisizione, vale solo qualora intenda procedere assumendo prove testimoniali. Diversamente se con tormenti e soprattutto se il deliito fosse contro la persona, perch allora consiglio, anzi scongiuro tutti gli ufficiali, che in nessun modo rivelino il delitto, le sue qualit e le sue circostanze, affinch non istruiscano il reo e questo per il timore dei tormenti non confessi alla fine falsamente il delitto). Emerge qui una dimensione garantistica del segreto, di cui parler dopo. In quale momento il reo devessere informato dei nomi dei testimoni de veritate: prima o dopo la loro deposizione? E la risposta non tarda a venire gi nel Duceneto: solo dopo che il giudice ha compiuto lesame dei testimoni, gli dovranno essere comunicati i nomi e le deposizioni. Lo dice gi lOstiense: si teme che i testimoni possano essere corrotti. E la pratica successiva conferma la saggezza di queste precauzioni: Angelo Ubaldi, nel 1373, non fa che ripetere e ribadire lopinione dellOstiense (n. 199). Mariano Sozzini, nel commentare il c. Qualiter et quando, fa lo stesso nel 1436-1442 (n. 664). Riassumendo: non pi necessario che il giudice accerti autonomamente prima la fama e in seguito passi a raccogliere indizi contro il diffamato, ma si procede immediatamente ad indagare in segreto sul delitto e su chi pu averlo commesso e solo dopo aver assunto tutte le informazioni possibili contro qualcuno, tramite testimoni, si spicca lordine di cattura nei suoi confronti o li si cita in giudizio. Linquisizione speciale, al momento in cui il reo cade nelle forze della giustizia o si presenta spontaneamente alla chiamata, gi compiuta. Per il Cinquecento, abbiamo la testimonianza precisa di Giulio Claro, il quale afferma che quicquid sit de iure, la pratica in senso del tutto contrario: il giudice, quando consta del delitto, assume informazioni in genere ed interroga per prima cosa i testimoni che reputa informati del crimine (super veritate criminis) per scoprire chi lo abbia commesso. E se non lo sanno, allora li interroga sulla fama, senza nominare nessuno, ma chiedendo contro chi si diriga la fama. E se risulta che qualcuno in particolare diffamato, allora indaga specialiter contro di lui, e secondo la qualit degli indizi raccolti lo fa catturare o citare. E cos, dice Giulio Claro, si pu concludere che il giudice indaga sulla fama e sulla verit del reato nello stesso contesto. Gi Angelo Ubaldi (repetitio alla l. Si vacantia, n. 197) aveva attestato che nella pratica prima si faceva linquisizione (segreta) e dopo, su di essa, si interrogava e si esaminava il reo: quindi il percorso, lordo, suggerito dalla Glossa ordinaria al Liber Extra, non si osserva pi. Lo dice anche Mariano Sozzini (repetitio al c. Qualiter et quando). Sono autorit che gi conosciamo. Dice ancora Claro che la communis opinio, attestata dal Bianchi, da Antonio da Butrio, dallAretino, esige che i testimoni dellinquisizione speciale per fare fede contro il reo debbano essere ascoltati dopo che il reo stato citato, altrimenti le loro deposizioni non valgono. Ma la pratica in senso contrario: sed certe quicquid sit de iure, contrarium servatur de consuetudine. Dice a questo proposito un altro criminalista, il padovano Marcantonio Bianchi che stylus et consuetudo est in civitatibus Lombardiae quod testes sive super generali sive super speciali inquisitione et etiam super accusatione examinantur sine citatione partis ( stile e consuetudine nelle citt della Lombardia, che i testimoni siano esaminati sia sulla inquisizione generale sia su quella speciale ed anche sullaccusa senza previa citazione della parte), come gi aveva affermato Alessandro Tartagni in un suo consilium (cons. 41/II = cons. 65/I, Habita super contentis, n. 9 in fi.). Di pi: si tratta per alcuni (Casoni, Follerio) dello stylus Italiae.

E certo che le testimonianze assunte prima che il reo sia citato non valgono de iure (Bartolo, l. De tormentis, C. de quaestionibus). Daltra parte, bisogna anche considerare lutilit di sentire i testimoni immediatamente. Si addiviene dunque ad un compromesso: i testimoni dovranno ripetere la testimonianza in giudizio. Questa pratica attestata da Bartolomeo da Saliceto, nella l. De tormentis, C. de quaestionibus, n. 11: ideo iudices cauti ante inquisitionem recipiunt informationem testium et in scriptis redigunt ne post ea dicant contrarium et informatione habita formant inquisitionem et si pena sit corporalis citari faciunt inquisitum, re non verbo ne fugiat... et postea eum faciunt respondere inquisitioni et si neget iterato examinant testes citato et in iudicio veniente ut testes videat iurare (perci i giudici cauti ricevono le informazioni dai testimoni prima dellinquisizione e le redigono per iscritto, perch dopo non dicano il contrario di quanto dichiarato, ed avuta linformazione, se la pena corporale, fanno citare linquisito, di fatto e non a voce, perch non si dia alla fuga... e dopo lo fanno rispondere allinquisizione e se nega esaminano di nuovo i testimoni, lui citato e presente in giudizio, affinch veda i testimoni giurare). Precisa Giulio Claro: 1) le testimonianze assunte dal giudice prima della citazione del reo fanno senzaltro fede contro i rei contumaci (cio contro i rei che, pur essendo stati chiamati in giudizio, sono rimasti assenti), anche se sono state raccolte quando il reo non era presente e non era ancora stato citato. E una consuetudine, una pratica, che merita approvazione ed perci definita ottima: perch se si informasse prima il reo che si sta indagando contro di lui fuggirebbe oppure corromperebbe i testimoni. 2) Invece, se il reo compare, cio viene catturato o si presenta, le testimonianze assunte nella fase istruttoria speciale non hanno valore se non sono ripetute o confermate nel dibattimento. Ma anche qui, non si deve credere, che limputato ed i suoi difensori possano assistere allinterrogatorio o successivamente prendere visione dei verbali scritti dellinterrogatorio. De iure, gli avvocati dovrebbero essere presenti (l. Custodias, de publ. iud.), ma lo stile delle corti ben diverso e, sottolinea Claro, questo a tutti notissimo. In questo caso, lordo, il percorso da seguire nel processo ormai diventato un altro: quello suggerito ai giudici cauti da Bartolomeo da Saliceto (l. fin. in fi. C. de quest.). I cauti iudices, dunque, assumono informazioni dai testimoni prima di formare il libello inquisitorio e le redigono per iscritto, affinch in giudizio non dicano il contrario di quello che hanno dichiarato nella fase istruttoria. Poi, una volta comparso o catturato il reo, lo interrogano, facendogli rispondere allinquisizione. Se questi nega, allora esaminano nuovamente i testimoni, citando il reo a vederli giurare. E poco, come si vede, se ci si mette dalla parte del reo e degli avvocati: ma questo poco devessere comunque osservato, pena la nullit del processo. Commetterebbe un gravissimo errore, dice Claro, quel giudice che procedesse alla tortura, o peggio alla condanna, senza aver fatto prima ripetere ai testi la deposizione ricevuta nellinquisizione speciale. I testimoni non devono essere riascoltati in giudizio, a confermare le loro deposizioni, solo se limputato contumace, come si detto. Di pi: i testimoni non devono ripetere le loro dichiarazioni anche se il contumace si presenta. In certi luoghi (Ducato di Milano, Repubblica di Venezia), infatti, il contumace che intenda comparire in giudizio pu chiedere con una supplica di essere ammesso a difendersi: ma i testimoni non devono comunque essere riascoltati. Claro ricorda un caso capitato nel 1559: il podest di Valenza fu allora aspramente ripreso dal Senato di Milano per aver citato i testimoni a comparire in giudizio ed in seguito averli condannati, per non essersi presentati, condanna dichiarata nulla dal Senato. C un momento, si detto, in cui il reo ha diritto di avere copia degli indizi contro di lui. Si visto come la pratica abbia ritardato questo momento.

Vediamo ora con quali modalit deve avvenire in concreto la pubblicazione del processo e cosa si deve rivelare al reo. La condizione dellimputato prima e dopo linterrogatorio. Prima di essere interrogato, il reo viene di solito custodito in un carcere segreto e non si permette a nessuno di parlargli, affinch nessuno possa istruirlo sul modo di occultare il delitto. Abbiamo la testimonianza di Ippolito Marsigli, Averolda, Nunc videndum, n. 15: communiter ut docet experientia iudices tenent reos criminis in carceribus secretis et non permittunt quod ipsi possint alloqui nec procuratores nec advocatos nec aliquam aliam personam donec non est completus processus et non est datus terminus ipsis reis ad faciendas eorum defensiones et hoc faciunt iudices ne ab aliquo instruantur ad occultandum delictum (di solito come insegna lesperienza i giudici tengono i rei di un crimine in carceri segrete e non permettono che questi possano interloquire con procuratori, avvocati o qualche altra persona finch il processo non completo e non stato dato un termine agli stessi imputati per fare le loro difese ed i giudici fanno cos perch i rei non vengano istruiti da qualcuno ad occultare il delitto). Una funzione pi garantistica del carcere segreto indicata da Mariano Sozzini (Comm. c. Qualiter et quando: 1436/37-1442): il carcere serve anche per evitare che qualcuno istruisca il reo a sua insaputa ed a suo danno. Ne parleremo nel paragrafo sul segreto. Il reo deve stare detenuto prima dellinterrogatorio il minor tempo possibile. In alcuni luoghi questo tempo definito. Ad esempio, nello Stato Pontificio, non pi di 3 giorni, secondo una bolla emanata nel 1549 da Paolo III (1534-1549), cio Alessandro Farnese, il papa del Concilio di Trento. Dopo essere stato interrogato, il reo devessere posto ad largam, cio in una prigione pi larga, dove pu liberamente parlare con i suoi avvocati (Ippolito Marsigli). Anche secondo il Priori, il reo deve restare in prigione: Quando che il reo sia constituito ricercando cos la qualit del delitto et della persona si deve serrar in prigione sicura, non lasciando che alcuno li parli quando che per il delitto egli meritasse pena afflittiva del corpo, nel qual caso non si rilassa altrimente con sigurt. 1. Il giudice non tenuto a consegnare copia degli indizi raccolti nellinquisizione generale. 2. Il giudice prudente consegna la copia degli indizi rinvenuti nellinquisizione speciale solo dopo aver acquisito tutte le informazioni contro il reo e dopo aver legittimato il processo informativo attraverso la ripetizione dei testimoni. 3. Come osserva il Cartari, il giudice pu negare le difese al convenuto se non ha ancora acquisito tutte le informazioni contro di lui, perch prima lattore che ha il diritto di provare, e quindi la corte e il fisco, le proprie ragioni e poi il convenuto. 4. Le deposizioni testimoniali devono restare sempre segrete: ai testimoni ed allimputato. Come dice Ortensio Cavalcani, nel suo Tractatus de testibus: attestationes debent esse partibus secretae, l. Multum C. de test. ... pariterque testibus debent esse secretae, ne unus sciat, quod alter deposuit tex. est in l. Minime de leg., et sunt arcana, quae pectore iudicis debent custodiri, ne revelentur partibus propter maximum subornationis periculum (le deposizioni devono rimanere segrete alle parti, come impone la legge Multum del Codice e parimenti devono restare segrete ai testimoni, affinch uno non sappia ci che laltro ha deposito: testo di riferimento in questo caso la legge Minime, e sono arcani che devono essere custoditi nel petto del giudice, affinch non siano rivelati alle parti per il grandissimo rischi di subornazione). 5. Il giudice non deve comunicare la copia degli indizi prima del costituto. Attendasi adunque solamente al fatto et alle circostanze, le quali tutte si cavino dal processo et anco dalle risposte del reo, non dandogli copia de glinditij se non doppo constituto et doppo che gli siano intimate le difese... 6. La copia degli indizi devessere invece assolutamente data prima della tortura. Era gi un adempimento richiesto da Alberto Gandino: ma viene continuamente ribadito anche in seguito da Bartolo, Baldo, Paolo di Castro, Angelo Ubaldi, Angelo Gambiglioni, Ippolito Marsigli.

Lo attesta Bartolomeo Cipolla, che viene consultato due volte su questo punto (cons. 64 e cons. 65, in questultimo caso dal podest di Verona), allegando tutte le autorit dottrinali di cui si detto, oltre allo stile della corte pretoria di Padova: Ultimo pro hoc etiam adduco quia ita servatur in pratica et de stillo pallacii communiter in civitate Paduae, a quo stilo non est recedendum (cons. 65, n. 8: Da ultimo adduco anche in questo senso che cos si osserva comunemente nella pratica e nello stile del palazzo nella citt di Padova, dal quale stile non si deve recedere). E lo stesso si deve osservare anche se il reato atroce. Cos de iure per il crimine di lesa maest (Marsigli). Cos dovrebbe essere nella prassi: ancora il Marsigli ricorda di essersi acquistato grande onore per aver consigliato in tal senso il Capitano di giustizia di Milano in una causa di falsa moneta. Cos la prassi della Curia napoletana (Tommaso Grammatico). Di pi: lobbligo di dare copia degli indizi anche in questi casi pu essere argomentato anche dal diritto municipale milanese: infatti lo statuto autorizza la tortura per molti delitti atroci, senza derogare ai presupposti (Rolando della Valle, cons. 7, n. 38-42; Egidio Bossi, de indic. et cons. ante torturam n. 74-77). Ma nella pratica non sempre accadeva cos. Lo attesta Gianpietro Ferrari, nella sua Pratica edita nel 1587: licet hoc male observent isti moderni latrunculatores (bench questa disposizione sia male osservata da questi giudici moderni). Lo attesta Giovanni Antonio Zavattari, nel De fori Mediolanensis praxi, edito nel 1584: tanta est quandoque eorum libido accusatos persequendi, ut captos quandoque incontinenti torture subiiciant. Neque removentur ab hoc, tametsi reus prius quam torqueatur petit in voce sibi dari copiam indiciorum (Tanta talora la loro voglia di perseguire gli accusati, che talvolta sottopongono immediatamente a tortura i catturati. E non si astengono dal fare ci, anche se il reo prima di essere torturato chieda a voce che si dia copia degli indizi). Si tratta di un abuso, aggravato dal fatto che a Milano lobbligo di dare gli indizi prima di procedere alla tortura imposto dallo Statuto. Abusi in tal senso si possono riscontrare anche nella prassi della Terraferma veneta, come vedremo. Piuttosto: interessante osservare come un simile procedimento si prestasse ad essere legittimato dal conferimento del libero ed assoluto arbitrio in procedendum. Ma i giuristi erano contrari. Ne ricorda molti Alessandro Tartagni, cons. 65/I: i giudici non possono negare le difese col pretesto del libero arbitrio, anche se egli, nel caso di specie, ritiene che il giudice abbia fatto bene a negare copia degli indizi allimputato, un certo Pietro giurisperito e causidico, a cui, durante il costituto, era stato ripetutamente chiesto di difendersi. Egli aveva sempre risposto negando gli indizi, ma senza fornire un alibi, e chi si limita a negare senza fornire un alibi circostanziato nel luogo e nel tempo (coartata loco et tempore) si rende sospetto. Ma c di pi: ci si pu anche richiamare ad unopinione di Innocenzo IV, citata anche da Baldo, secondo cui il giudice pu negare al reo uneccezione se ritiene vehementer che sia allegata per ritardare la spedizione della causa. Siamo proprio in questa situazione, dice il Tartagni, per la qualit degli indizi e per la qualit delle opposizioni del reo, sempre generali e non specifiche.Inoltre, il podest temeva che i testimoni sarebbero stati corrotti, poich Pietro era in loco illo stipatus multis amicis prout saepenumero sunt causidici... et fortasse in civitate illa de facili consueverunt haberi testes in vitium illius subornationis praerumpentes et vidi ex processibus et actis publicis in civitate illa saepe agitari (pieno in quel luogo di molti amici, come spesso lo sono i causidici e probabilmente in quella citt era consuetudine che vi fossero testimoni macchiati del vizio di subornazione ed ho visto spesso dai processi e dagli atti pubblici, che accadevano vicende di questo genere). Quel caso ben presente alla mente di Egidio Bossi, il quale non esiter a definire sbagliata quella decisione: che io tuttavia non osserverei e piuttosto preferirei sbagliare dando la copia che negandola, perch dal negarla potrebbe seguire che un innocente sarebbe ucciso e cos vedo quotidianamente praticare, che la copia degli indizi viene data e ai grandi ed ai meno importanti e ad ogni genere di persone (quod ego tamen non servarem et potius vellem errare dando copiam

quam denegando, quia per negationem posset sequi, ut innocens occideretur... et ita quotidie video servari, quod copia indiciorum datur et magnis et parvis et omni genere personarum: de indiciis, n. 75). Un conto non dare i nomi, un conto non dare la copia: ritorneremo su questo punto importantissimo. 7. Il giudice non tenuto a consegnare copia degli indizi dufficio: lobbligo scatta solo dopo la richiesta (petitio) del reo (Bartolo; Claro; Follerio; Ottaviano Volpelli, cons. 21, dove dice che cos si pratica nel Piceno e a Roma, anche se il reo si trovi gi elevato in attesa di ricevere la tortura, e ancora nel cons.74, dove dice che a Roma tale pratica canonizzata; Flaminio Cartari, che cos interpreta le bolle di Paolo III e Pio IV). Altri sostengono che la pubblicazione va fatta dufficio se il reo idiota o rusticus, cio semplice e senza cultura (Marsigli). Altri ancora sostengono che debba avvenire sempre dufficio (Novello; Lancillotto Corradi, nel suo Praetorium et curiale breviarium, edito nel 1563, Prospero Farinaccio q. 39 n. 97; Sebastiano Guazzini, che nel suo Tractatus ad defensam, edito nel 1639, cita la Bolla di Paolo III confermata da Pio IV, che il Cartari interpretava in altro modo). Ancora ai tempi di Giovanni Battista Cavallino, a Milano la parte non viene citata a veder pubblicare il processo (pubblicazione espressa), mentre a suo avviso sarebbe conveniente farlo: vero che a Milano questa citazione non si soliti farla, poich non si usa la pubblicazione del processo ad istanza del giudice: consiglio tuttavia ai notai attuari (= cancellieri) ed agli altri notai che intervengono nelle cose criminali di introdurre questo stile di pubblicazione del processo offensivo o lo facciano decretare dal giudice: si rilasci una copia fatta sulloriginale alla parte, con il termine di tanti giorni per fare le proprie difese (verum est, quod Mediolani hec citatio non consuevit practicari, cum non fiat publicatio processus offensivi expressa: consulo tamen actuariis et ceteris notariis rerum criminalium, ut introducant hunc stylum publicationis processus offensivi vel faciant decretari per iudicem: super originali cedatur copia processus parti, cum termino tot dierum ad faciendum suas defensiones...: Actuarium practicae criminalis, edito nel 1587). 8. Il reo ha diritto a ricevere soltanto la copia degli indizi contro di lui. 9. Se vi sono pi imputati, di cui alcuni presenti ed altri contumaci, de iure i presentati hanno diritto ad avere gli indizi anche prima della condanna dei contumaci; de consuetudine, invece, si consegnano solo dopo che i contumaci siano stati condannati (Bossi; Senato 11 agosto 1558 al podest di Fontanella e Romanengo). Ottima pratica, secondo Claro, perch cos i contumaci non prendono cognizione degli indizi esistenti contro di loro , non possono corrompere o intimidire i testimoni; per le stesse ragioni opportuno comunicare solo gli indizi relativi ai presenti e mai quelli esistenti contro i contumaci (Claro). Anche il Cavallino approva questa consuetudine. Flaminio Cartari attesta che essa applicata anche nello Stato della Chiesa. 10. Nella pratica, se gli imputati sono potenti, si comunicano i nomi dei testimoni separatamente dalle deposizioni, in modo che linquisito possa leggere il contenuto delle dichiarazioni ed i nomi dei testimoni, ma non possa collegare le une agli altri. Ci protegge i testimoni da eventuali ritorsioni. Questa deroga stata affermata inizialmente nei soli processi contro gli eretici (Glossa ordinaria al Liber Sextus di Giovanni dAndrea; Pietro Paolo Parisio, cons. 2/IV), ma s tata in seguito adottata anche per gli altri reati (come provano numerose pratiche: quella di Marcantonio Bianchi, ad esempio). Claro attesta che in Lombardia consuetudine non dare i nomi dei testimoni nei processi contro gli eretici: molto raramente il Senato concede la stessa cosa in altre cause (egli ricorda un caso del 1564, in cui il Senato concesse di non pubblicare i nomi dei testimoni in un processo di omicidio, propter potentiam adversariorum). Nello Stato della Chiesa v. Paolo III, bolla In favorem omnium pauperum, dove eccettua solo leresia e gli altri crimini eccettuati. La segretezza dei testimoni propria anche del rito dei Dieci: uno dei punti di maggiore attrito tra il diritto statutario, il diritto comune e il diritto veneto.

E uno dei casi in cui, secondo alcuni giuristi di Terraferma, come il Priori, sarebbe opportuno estendere il diritto veneto anche al rito di Terraferma. Uno sguardo agli statuti Negli Statuti di Milano del 1396 prevista questa sequenza (tra parentesi confronti con statuti lombsrdi precedenti): 1. consegna copia del libello inquisitorio (Monza p. 1330: consegna copia solo su richiesta e solo dopo che ha risposto; Bergamo 1353: consegna copia del libello alla parte che lo richiede; Pavia 1393: consegna copia del libello alla parte solo se lo richiede e comunque solo dopo aver risposto) 2. termine ad deliberandum di 1 giorno (Bergamo 1353; nulla Pavia 1393) 3. interrogatorio dellimputato 4. copia dellinterrogatorio, su richiesta (Bergamo 1353; nulla Pavia 1393) 5. nomi dei testimoni, su richiesta (Bergamo 1353; nulla Pavia 1393) 6. interrogatorio dei testimoni 7. termine a difesa di 15 gg. prima di procedere alla tortura (Bergamo 1353: termine di 10 gg.; nulla Pavia 1393). 8. tortura Ancor pi garantististici sono gli Statuti di Cremona 1339 e 1388: 1. Tortura: devono precedere legittimi indizi, devono essere scritti negli atti prima della tortura, deve essere data copia degli indizi allimputato prima della tortura, termine a difesa di 5 giorni. 2. Il giudice tenuto a dare copia dellinquisizione, dellinterrogatorio e dei nomi dei testimoni; dopo le deposizioni dei testimoni tenuto anche a dare copia delle stesse.

Confessione.
La confessione resta alla base del sistema probatorio moderno. I giuristi ed i pratici, in questo periodo, ne approfondiscono i presupposti di validit: solo una confessione spontanea, giudiziale e non revocata fa infatti piena prova. Limputato devessere innanzitutto maggiore det, devessere consapevole degli effetti della confessione e deve naturalmente essere fisicamente in grado di dichiarare la propria volont. La confessione pu essere spontanea od estorta tramite tortura. In entrambi i casi, la confessione fa piena prova del delitto solo se giudiziale: devessere cio resa in giudizio, davanti ad un giudice competente (non davanti ad un notaio) e nel luogo pubblico deputato (non in privato). La confessione extra-giudiziale costituisce per un sufficiente indizio ad torturam. Importantissimo il requisito della spontaneit della confessione. Significa che la confessione doveva essere resa fuori da qualsiasi forma di costringimento fisico o morale. Si tratta di un fattore su cui giuristi e pratici insistono molto. Evidentemente gli abusi nella pratica erano numerosi. Ecco dunque ricorrere con frequenza la raccomandazione di evitare pratiche diaboliche. Linterrogatorio dellimputato non doveva infatti mai essere condotto in modo suggestivo, cio suggerendo subdolamente le risposte al reo. Le domande dovevano essere generali e non specifiche: si consigliava di partire da fatti generali e lontani da quelli criminosi per avvicinarsi gradualmente a quelli centrali della causa. Era ammissibile che, nel fare ci, il giudice si avvalesse di astuzie e di abilit, ma non di inganni e di falsit. Questo valeva anche per i terzi, eventualmente assoldati dal giudice: assolutamente riprovati erano stratagemmi, come quelli narrati da Mariano Sozzini, consistenti nel mandare qualcuno in carcere ad istruire il reo inconsapevole, raccontandogli fatti che, al momento opportuno, il malcapitato avrebbe potuto inconsciamente rivelare nellinterrogatorio o sotto tortura. Cos come era vietato illudere il reo con false promesse dimpunit. Anche una confessione spontanea poteva dunque essere attaccata.

La prassi, dice Giulio Claro, che il reo, dopo aver confessato, si ponga in carcere e gli si prefigga un termine per presentare le sue difese. Et hanc practicam servat totum mundum (E questa pratica la segue tutto il mondo), come dice Bartolomeo da Saliceto e ribadisce Bossi. Si potevano allegare i seguenti vizi: 1. Confessione stragiudiziale: a meno che la parte offesa non lavesse espressamente accettata: ma anche in questo caso, secondo Claro, nella pratica tali confessioni non pregiudicano, pur facendo indizio a tortura. 2. Confessione resa in giudizio, ma davanti ad un giudice incompetente oppure non nellesercizio delle proprie funzioni. 3. Confessione estorta con promessa dimpunit. Claro incomincia col narrare un caso deciso in Senato nel 1558: una certa Caterina Candolia aveva confessato davanti al podest di Vogona di aver commesso infanticidio, persuasa dalle sue blandizie ma anche dalle sue minacce; avendo provato ci davanti al pretore di Intra, a cui il senato aveva delegato il caso, venne sottoposta a tortura e, persistendo nella negativa, alla fine fu assolta. Claro consapevole che crebrior recepta sententia che il giudice possa, nella ricerca della verit, simulare qualcosa, come nellesempio biblico del giudizio di Salomone. Ma tale opinione non gli mai piaciuta: nessun uomo buono, tanto meno il vero giudice, che devessere veritatis amantissimus, deve ricorrere alla frode e al mendacio. Lesempio di Salomone non pertinente: l si tratt di fingere, non di mentire. Claro consiglia quindi ai giudici di astenersi da tali promesse e di studiare di accertare la verit con altri mezzi pi giusti. Se tuttavia tale confessione c stata? Claro dice che in proposito Giovanni Nicoletti da Imola, in un consiglio, ritenne che non si potesse condannare il reo confesso e che tale opinione fu giudicata comune da alcuni; altri invece ritenevano comune lopinione di Cino da Pistoia, secondo cui il reo potesse essere condannato, nonostante la promessa dimpunit. A Claro lopinione di Giovanni da Imola sembra senzaltro pi equa, soprattutto nel caso in cui la promessa provenga da un soggetto come il principe in grado di mantenerla, concedendo la grazia. In tal caso, egli propenderebbe per lassoluzione, poich non onesto violare la fede data e Bossi attesta di aver sempre visto praticare cos: et revera apud nos ita semper observatum fuit et quotidie observatur. Viceversa, se la promessa sia stata fatta da soggetto che non poteva farla, imputi a s stesso il reo di averci creduto: comunque, meglio non condannare il reo ad una pena ordinaria, in questa evenienza, in mancanza di altri indizi. 4. Mancanza del corpo del delitto. Il reo non devessere condannato in base alla sola sua confessione, se altrimenti non risulti il corpo del delitto. Bench Giovanni dAndrea abbia assicurato che di fatto si osserva il contrario, tale opinione errata, come sostiene anche Ippolito Marsigli ed altri dottori ritengono che il giudice sia ugualmente obbligato ad indagare sulla verit del delitto. Bisogna per distinguere: se il delitto uno di quelli che si perfezionano solo animo, come leresia, la confessione fa testo. Se invece si tratta di un delitto di fatto, cio materiale, allora occorre ulteriormente distinguere: se il reo confessa genericamente di aver commesso qualche delitto, ad esempio uno o pi omicidi o furti senza indicare quali persone avrebbe ucciso o derubato, certe non debet ex tali confessione condemnari (certamente non deve essere condannato sulla base di una simile confessione). Non c nessun dubbio tra i dottori, inquesto caso, come riconosce anche Egidio Bossi. Se invece il reo confessa di aver commesso qualche delitto specificando la vittima oppure la cosa rubata, bisogna vedere se il delitto di fatto transeunte, e quindi non lascia delle vestigia, come ladulterio e il furto, ed allora se c la querela della parte offesa, ci sufficiente per la condanna e cos si pratica, come afferma Bossi. Altrimenti la sola confessione non sarebbe sufficiente ed i giudici dovrebbero assumere informazioni, come dice il Gambiglioni (e perci i giudici, quando i ladri confessano davanti a loro mari e monti e di aver commesso molti furti in vari luoghi devono inviare nei nunzi a raccogliere informazioni, altrimenti spesso sarebbero condannati degli innocenti (et ideo iudices, quando fures confitentur coram eis maria et montes et plura furta se alibi commisisse, debent mittere nuncios ad habendam informationem, alias saepe innocentes condemnarentur) e di fatto attesta che avviene Egidio Bossi. Anche il Senato ha deciso cos pi volte. E per questo motivo un dottore si trov in serio pericolo di vita, per aver consigliato di

impiccare dei ladri confessi (in suo favore emise un pare Alessandro Tartagni). Veniamo ai delitti di fatto permanente, come lomicidio, lincendio e simili: qui non dubbio che la corte deve accertare prima lesistenza del delitto. E quindi i cauti giudici inq uesta evenienza fanno esaminare i cadaveri di coloro di cui si sospetta che possano essere stati uccisi, eventualmente facendoli disseppellire ed analizzare per controllare se vi siano tracce di ferite. Cos avviene di solito anche nella pratica, pur se non mancano eccezioni, come qul Nicol Torelli di Prato, che fece impiccare tre diffamati di assassinio confessi di aver ucciso tre ignoti e di averli buttai in mare, pur non essendo stati trovati i loro cadaveri, caso riferito da molti. Bastano per delle tracce, anche se non si trova il cadavere, come sostiene Bartolomeo Chasseneux, secondo cui il Senato, al tempo in cui egli era vicario di giustizia a Milano, condann a morte un massaro che aveva confessato di aver ucciso il proprio padrone e di averlo buttato nel lago di Como, perch era stato trovato del sangue nel luogo del delitto, indicato dallo stesso massaro. 5. Confessione fatta da un minore senza lassistenza del curatore. E una difesa molto fragile, perch nella pratica, come attestano molti autori, non si richiede lassistenza di un curatore. 6. Processo irregolare (iuris ordine non servato). In questo caso, bisogna distinguere. Se la confessione spontanea, secondo la dottrina di Innocenzo IV (c. Qualiter et quando2), che communis opinio, il reo pu essere condannato anche se il processo irregolare. E vero che Angelo Ubaldi sugger, in un suo consilium, come via pi sicura, di rifare il giudizio, per evitare guai durante il giudizio di sindacato, come in effetti capit di fatto di passare ad un giudice perugino, a causa dello stesso Angelo. E certo se un giudice cos fasse, non commetterebbe un errore. Ci nonostante, la comune opinione talmente canonizzata nei giudizi e nelle scuole, che un giudice in iudicando pu seguirla intrepido, senza temere danni nel sindacato. Non ha invece nessun valore la confessione estorta con i tormenti, se non precedevano legittimi indizi, quandanche il reo labbia ratificata: n sufficiente che questi sopravvengano. Lo diceva gi la Glossa ed communis opinio (gl. unica, l. Quaestionis habendae, ff. de quaestionibus). 7. Confessione qualificata. Il reo potrebbe anche eccepire che la sua confessione non fu absoluta et pura, ma cum aliqua qualitate adiecta, ad esempio: omicidio per legittima difesa. Ma in tal caso, il giudice ha facolt di considerare confessato lomicidio semplice, se limputato non prova lesistenza dei presupposti della legittima difesa, secondo una teoria di Bartolo, che communis opinio: e perci non recedere nella pratica dallopinione di Bartolo che senza dubbio la pi approvata e dal comune consenso dei dottori e dalla consuetudine (et ideo non recedas in practica ab opinione Bartoli quae procul dubio et communi doctorum consensu et consuetudine est magis approbata). Potrebbe per tale confessione produrre almeno una mitigazione della pena? E una opinione che stata sostenuta per la prima volta da Niccol dei Tedeschi e che Bossi ed altri hanno definito comune. Anche nella pratica osservata, come dimostra il Grammatico per la prassi napoletana. Di certo, si pu anche procedere ad applicare la pena ordinaria, se vi sono altri indizi contro il reo, al di l della sua confessione. Attenzione che se per il reo prima confessa il delitto e poi, non subito ma dopo qualche tempo, dichiari di averlo fatto a sua difesa, pu essere tranquillamente condannato a morte, se non prova lesistenza della legittima difesa. E pi prudente quindi che il reo neghi di aver commesso lomicidio, aggiungendo la riserva: e se lho commesso, lho commesso per mia difesa. 8. Confessione spontanea revocata. Il reo pu revocare la confessione spontaneamente fatta? S, ma in tal caso deve dire che essa fu erronea e deve provare lerrore (e non sarebbe sufficiente sottoporsi a tortura per provare lerrore, come dice Bossi). Quanto alla confessione estorta con la tortura, essa non era valida se linquisito non lavesse ratificata in giudizio 24 ore dopo la cessazione dei tormenti, ad bancum iuris, cio al tribunale, e non in carcere. La ratifica permetteva alla confessione estorta di recuperare due qualit di cui altrimenti la confessione rischiava di essere priva: la spontaneit e la giudizialit (i tormenti erano inflitti in un luogo diverso da quello del giudizio).

Al reo dovevano comunque essere concesse le difese, malgrado la ratifica. Poteva avvenire che, anzich confermare la confessione resa sotto tortura, limputato la revocasse. Per togliere efficacia alla confessione, limputato doveva per provare che essa era erronea: in sostanza, doveva dimostrare con testimoni la sua innocenza, a meno che la revoca non fosse intervenuta incontinenti, cio immediatamente dopo la confessione (requisito sul quale si discuteva: a seconda degli autori, il reo poteva revocare la confessione prima che essa fosse trascritta oppure prima di essere nuovamente interrogato dal giudice). In caso contrario, il giudice poteva ripetere la tortura: la precedente confessione era considerata sufficiente indizio per sottoporre di nuovo il reo ai tormenti. A questo punto: 1) se egli perseverava nella negativa, cio continuava a negare, allora teoricamente non poteva essere posto una terza volta a tortura ed avrebbe raggiunto lo scopo di purgare tutti gli indizi esistenti contro di lui ed avrebbe dovuto essere assolto. Nella prassi di Terraferma, poteva essere torturato una terza volta: Se poi tirato gi il reo revocasse la confessione gi fatta su la corda pu di nuovo per detta confessione, qual fa nuovo inditio alla tortura, esser torturato, et persistendo nella negativa non si deve torturare la terza quando che per glinditij della prima confessione fossero pienamente purgati per la pena della seconda tortura, et quando non fossero purgati di che si sta nellarbitrio del giudice si pu reiterare sino al terzo collegio cio la terza volta sino al qual termine et non pi si procede. Nella prassi si faceva spesso riserva degli indizi gi raccolti, in modo da poter ugualmente condannare il reo ad una pena straordinaria. Claro ad esempio dice che apud nos, cio nel Ducato di Milano, talvolta anche dopo una grave tortura e malgrado la perseveranza del reo nella negativa, con indizi valde urgentia il Senato suole condannare i rei ad una pena straordinaria (trireme, a tempo o anche perpetua, se il reo valde famosus, cio molto diffamato). Claro non approva la prassi di altri grandi tribunali. Ad esempio, il Parlamento di Parigi fa torturare i rei convinti e bench, sotto tortura, neghino, li condanna egualmente a morte; il Sacro Regio Consiglio napoletano fa la stessa cosa quando intende irrogare una pena straordinaria. Ma sono pratiche contrarie al diritto e allequit, a giudizio di Claro. Pu capitare anche che il reo venga assolto, ma rebus sic stantibus: con riserva quindi di riaprire il caso, al sopraggiungere di nuovi indizi. Quando il reo confessasse la prima volta, et tirato gi negasse, et poi di nuovo tirato su confessasse, et ritornasse doppo levato dalla pena a negare, che cos continuando nella negativa alcuni sentono che si debba rilassare pro nunc, con tutto che per lopinione dalcuni, se il delitto fosse grave et atroce et il reo fosse famoso et gravemente inditiato, si procederebbe a qualche pena estraordinaria, non ostante la detta negativa o revocatione della medesima sua confessione, ma se il reo constantemente non volesse confessare per i tormenti datigli secondo la qualit et quantit del delitto et che havesse ad plenum purgati glinditij che fossero contro di lui si deve rimettere nelle prigioni nelle quali star si debba anco per dieci giorni per vedere se sopravenissero nuovi inditij, et poi rilassarlo pro nunc nel modo che si detto. 2) se invece il reo confessava e poi nuovamente ritrattava. il giudice avrebbe potuto sottoporlo a tortura una terza, ed ultima, volta.

Tortura.
Prima di sottoporre qualcuno alla tortura, il giudice deve verificare la sussistenza di varie condizioni. Un preciso elenco di tali presupposti lo si trova, ad esempio, in Giulio Claro, fedele testimone della prassi lombarda del Cinquecento.

1. Prima di tutto, occorre aver accertato, quando sia possibile, lesistenza del corpo del reato (ut constet de delicto). Nella pratica, tuttavia, si usa frequentemente torturare i sospettati di furto senza ulteriori indagini preliminari. Questo scorretto, secondo Claro: i giudici giusti non pongono nessuno alla tortura, se prima non appaia che il delitto stato commesso. Egli si meraviglia quindi che il Senato nel 1555 abbia ordinato di condurre ai tormenti un certo Simone, ebreo, accusato di aver violentato una fanciulla cristiana e di averla uccisa per coprire il misfatto, sebbene il cadavere non fosse stato trovato. 2. Deve trattarsi di un delitto punito con una pena corporale: in tal caso, si pu procedere a
tortura anche se il delitto non grave.

3. Si deve valutare se il delitto non possa essere provato in altro modo. La tortura, infatti, un
mezzo sussidiario, da impiegare quando non si hanno a disposizione altre prove. Si dovr ricorrere ad essa, consiglia Claro, pi facilmente nei delitti occulti che in quelli palesi: ad esempio, il veneficio, il falso, ladulterio. Alcuni giudici sono soliti torturare il reo anche dopo che il delitto pienamente provato anche attraverso testimoni de visu, per ottenere la confessione. E una prassi che alcuni autori ritengono diffusa in tutta Italia e adottata soprattutto da giudici ed assessori poco eruditi. La verit , soggiunge Claro, che in questo Ducato i rei convinti, confessi o anche gi condannati sono interrogati sotto tortura solo super sociis et super aliis criminibus, cio perch confessino il nome dei complici oppure altri delitti, ma non il delitto principale. Quella pratica non dunque osservata.

4. Occorrono poi sufficienti indizi a tortura, secondo la valutazione discrezionale del giudice. Il giudice devessere molto circospetto: perch se mettesse a tortura qualcuno senza indizi potrebbe essere gravemente punito nel giudizio di sindacato. Tali indizi devono non solo esistere, ma essere anche legittimamente provati. Inoltre, come si detto, devono essere sufficienti alla tortura. Neanche su ordine regio si potrebbe sottoporre uno a tortura senza indizi: cos rispose Matteo DAfflitto al re Federico e cos rispose Tommaso Grammatico al cardinale Colonna. Quanti indizi ci vogliono? Alcuni dicono anche uno solo. Bartolo distingue: se lindizio prossimo, ne basta uno solo, se remoto ne occorrono di pi. Si dice che questa sia la communis opinio. Quicquid sit de iure, de consuetudine basta anche un solo indizio. Questa certamente la prassi del Ducato di Milano dove si osserva che anche per un solo indizio, prossimo o remoto, si autorizza la tortura. Bench la materia sia discrezionale, i giuristi non rinunciano a discutere il valore degli indizi ai fini delle varie fasi processuali. A questo scopo si compongono anche dei vasti trattati. Riportiamo come esempio la tavola degli indizi predisposta da Giulio Claro. Fama. La fama, se non accompagnata da altri indizi (adminicula), non da sola indizio sufficiente a tortura. E communis opinio. Claro daccordo: la communis opinio in questo caso tutior et verior, cio pi sicura e pi vera de iure ed attesta da parte sua di averla sempre seguita, come del resto i giudici giusti. La fama in materia criminale non ha di per s valore probatorio, neanche come prova semipiena.

E bench per la tortura possa anche essere sufficiente meno di una prova sempiena, la fama senzaltro un indizio valde remotum dal delitto e perci fallace, come insegna quotidianamente lesperienza. Perci, pi prudente non sottoporre a tortura limputato, in mancanza di ulteriori indizi. Unus testis (un solo testimone). Un testimone senza dubbio sufficiente per poter procedere allinquisizione speciale; per la communis opinio anche sufficiente per la tortura. Deve per trattarsi di un testimone integro, cio nei cui confronti non si possa opporre alcuna eccezione. Alcuni attestano che secondo lopinione di molti ci si potrebbe avvalere anche di testimoni inidonei: ed invero, aggiunge Claro, molti giudici formano uninquisizione o procedono a tortura anche sulla base del detto di un testimone inabile. Questi giudici per male faciunt, quia saepe vexant innocentes (agiscono male, perch spesso opprimono degli innocenti). In ogni caso, molto fallace e pericoloso ammettere testimoni che riferiscano di aver sentito qualcuno commettere un delitto, riconoscendone la voce. Molti sanno perfino imitare la voce di qualcuno talmente bene da ingannare perfino i suoi familiari o i suoi domestici. Dichiarazione del complice. De iure, il reo non pu essere interrogato intorno ai suoi complici se non si tratta di crimini eccettuati, cio crimini atroci. E vero che in molti luoghi uso interrogare sempre il reo sui suoi complici. Nel Ducato di Milano, tuttavia, ci non consentito che in alcuni casi (ladri, frodatori di sale e di biade, assassini prezzolati, rapinatori di strada), mentre per il resto si osserva il diritto comune. Vi tuttavia un caso in cui il reo immancabilmente sinterroga e si tortura per conoscere il nome del complice ed quando costui sia il mandante del delitto. Parlando in base al diritto comune, il detto del socius criminis indizio sufficiente per indagare contro la persona da questi indicata. Non invece indizio sufficiente alla trasmissione dellinquisizione, se il crimine non fa parte della categoria degli excepta, e neanche alla tortura: in questultimo caso, non pu valere neanche contro i sospettai di crimini eccettuati, se con esso non concorre qualche altro indizio. Quindi, ad esempio, il detto del mandatario non fa assolutamente indizio a tortura da solo contro il presunto mandante. Unaltra regola: il detto di due complici non fa mai piena prova contro qualcuno, cos da renderlo convinto del crimine, ma serve solo per sottoporlo a tortura, come attestato nella prassi dei Parlamenti di Bordeaux e di Parigi. In questo caso, le dichiarazioni dei due complici fanno indizio anche se sono singolari, come conferma anche Bossi. E si noti, ancora, dice Claro, che per poter valere come indizio il detto del complice devessere confermato con giuramento, come afferma Ippolito Marsigli. Di pi: occorre che la dichiarazione sia confermata sotto i tormenti. La testimonianza di un complice, in quanto infamato, non pu valere senza tortura. Dichiarazione del ferito. Claro propone una distinzione. Se il ferito guarisce, le sue parole varranno come denuncia contro la persona indicata valida ad aprire linquisizone, ma non a trasmetterla o a citare il reo. C chi oratica il contrario: ma costoro, come dice Angelo Gambiglioni, sono da qualificarsi imperiti. Viceversa, se il ferito muore, pur avendo perseverato fino alla morte nellindicare qualcuno come colpevole, non si potrebbe assolutamente de iure utilizzare tale asserzione come un indizio ad inquirendum.

Tuttavia, quicquid sit de iure, per consuetudine si osserva che tale dichiarazione sia valido indizio ad inquirendum: communis stylus et observantia Italiae. Fuga dal carcere. Per la communis opinio, chi fugge dal carcere si considera reo confesso e convinto del delitto che gli viene attribuito. Quindi, de iuris rigore, potrebbe tranquillamente essere condannato alla pena ordinaria. La prassi del senato tuttavia contraria: la fuga vale come indizio solo contro i contumaci, mentre per gli altri la fuga del carcerato fa solo indizio a perch vengano sottoposti al pi alto grado di tortura, come si osserva anche a Napoli. E se i carcerati tentano di fuggire, ma non riescono nellintento, lattentato non viene considerato di solito dal Senato un indizio a tortura. Ma la prassi, sul punto, oscillante, ammette Claro. Inimicizia capitale. Una gravissimia inimicizia pu servire per assumere informazioni contro qualcuno e per formare e trasmettere linquisizione e per procedere a cattura. Non vale assolutamente come indizio a tortura, con tutto che si tratti di inimicizia capitale. E communis opinio, suffragata da molti autori (Tommaso Grammatico a proposito della prassi napoletana, Egidio Bossi). Claro attesta tuttavia di aver visto utilizzare come indizio a tortura linimicizia capitale, in un caso in cui il delitto era clandestino e non vi erano altri imputati. Confessione stragiudiziale. Finch non sia revocata come erronea, fa sicuramente indizio a tortura e lo stesso a dirsi di una confessione giudiziale invalida, perch fatta davanti ad un giudice incompetente oppure perch fatta davanti al giudice come privato, cio non in tribunale. Confessione sotto tortura. Anche la confessione estorta sotto tortura si considera indizio valido per condurre una seconda volta il reo ai tormenti, qualora non perseveri nella confessione, ma la ritratti. Ma non si pu assolutamente ripetere la tortura pi di due volte: sono pertanto da riprovare quei giudici che sottopongono i rei ai tormenti giorno e notte, come testimonia Angelo Bonfranceschi nelle sue note di commento al De maleficiis di Angelo Gambiglioni, affinch perseverino nella confessione estorta. La terza volta il reo che non ratifica la confessione deve essere assolto rebus sic stantibus. Minacce. Fanno indizio ad inquirendum contro chi proferisce le minacce ed anche ad torturam, se si tratta di un uomo potente e di mala fama. Pace. La stipulazione di una concordia permette al giudice di aprire uninquisizione speciale contro loffensore. Per quanto concerne la tortura, invece, de iure si deve distinguere a seconda che per il delitto si possa transigere o meno. Se dunque il crimine pubblico ed punito con la pena capitale, la pace non fa indizio a tortura, perch qui la pace ammessa, negli altri s. Ma questa, avverte Claro, materia soggetta a prassi diverse. Apud nos, cio nella prassi milanese, lo strumento di pace fa senzaltro piena prova contro chi ha fatto la pace nella veste di offensore: perci consigliabile che la pace venga stipulata da un terzo a nome di tutti gli interessati, senza nominarli; anche se li nominasse, comunque, potrebbe non valere come prova piena contro il nominato , com stato effettivamente deciso a Napoli. Mendacio, variatio, titubatio del reo. Le opinioni dei dottori non sono univoche: per alcuni tali elementi sono sufficienti a tortura, per altri no, se non si accompagnano ad altri indizi. Per Claro, la materia pertanto demandata alla prudenza del giudice, il quale dovr valutare se la menzogna oppure le dichiarazioni contraddittorie siano frutto di dimenticanza, se vertano sui punti

principali del processo, se via sia stata un immediato ripensamento e quindi una correzione della precedente dichiarazione, e cos via. Certamente, dice Claro, la sola incostanza, la sola titubanza nel rispondere o la trepidazione del reo non sonoindizi sufficienti a tortura, ma da essi si ricava solo una qualche presunzione contro di lui. Molti infatti sono per natura timidi e quando sono addotti alla presenza del giudice si turbano al punto che, anche se innocentissimi, non sanno quel che dicono e costoro non si devono torturare. Uscita da una casa con un unico ingresso, spada insanguinata, faccia pallida, uomo morto allinterno della casa. E il celebre cumulo di indizi che per alcuni rappresenta il caso paradigmatico di indizi indubitati sufficienti alla condanna. Eppure per alcuni tale congiunzione di indizi solo sufficiente alla tortura. Inoltre, nella pratica, dice Claro, di aver sempre visto che la cosa sia lasciata allarbitrio del giudice: infatti, talvolta ho visto dei rei contro i quali pendevano gravissimi indizi di questo tipo essere torturati gravemente, altre volte anche li ho visti condannare, non tuttavia alla pena ordinaria del delitto, ma soltanto ad una straordinaria (nam aliquando vidi reos, contra quos extabant huiusmodi gravissima indicia, graviter torqueri, aliquando etiam vidi eos condemnari non tamen pena ordinaria delicti, sed tantum extraordinaria). Res furtiva. Se la cosa rubata viene trovata presso qualcuno, tale inventio fa indizio a tortura contro di lui. Occorre per che costui sia di mala fama, altrimenti se la sua reputazione fosse buona, il fatto non deporrebbe contro di lui. La stessa cosa vale per chi solito comprare e vendere cose mobili di quel tipo e presso di lui la cosa rubata fosse tenuta in vista: ci non sufficiente per far calare i sospetti contro di lui. Si possono torturare anche i testimoni. In questo caso la tortura serve a sanare lirregolarit di certe testimonianze, di per s inaffidabili. I testi inabili, ad esempio gli infami, oppure il complice (socius criminis), i testimoni varii, cio che si contraddicono, fanno fede solo se torturati. Se il teste persona vile e ignobile, le opinioni sono controverse: meglio , per Claro, rimettersi allarbitrio del giudice, che decider secondo la qualit della persona e dei fatti. Lo stesso si deve fare con i testimoni che sono stati presenti al delitto, quando dicono di non aver visto nessuno. E invece rimesso allarbitrio del giudice di decidere se si debbano torturare tutti o solo alcuni. Bisogna infine considerare se la persona da torturare non abbia qualche privilegio di immunit: a. Dottori. De iure non possono essere torturati, anche se Gandino dice che ai suoi tempi, de consuetudine, il contrario. Nondimeno, osserva Claro, questa consuetudine de iure non vale niente e quindi non dovrebbe essere seguita e cos comunemente si ritiene. Nel Ducato di Milano i dottori non sono sicuramente sottoposti ai tormenti. b. Persone poste in dignit. Certamente non possono essere torturate: ad esempio, nel 1558 il Senato ordin di non torturare Don Geronimo Pecorari, un feudatario. c. Milites. Non possono essere torturati: ma deve trattarsi di quelli che sono chiamati equites (cavalieri) o capitanei o militi dottori. I militi privati quotidie torquentur. d. Nobili. De iure, non si potrebbero torturare. Ma questa una materia totalmente lasciata alla consuetudine. Nel Ducato di Milano e in Francia, i nobili si possono torturare. In Spagna sembra invece, stando ad alcuni autori, che si tenda a rispettare il privilegio. e. Decurioni (consiglieri) cittadini. De iure, sono esenti pure loro dalla tortura: ma de consuetudine gi ai tempi di Gandino era il contrario. f. Minori di 14 anni. De iure non possono essere torturati, ma soltanto intimiditi, eventualmente facendo uso di bastonate. Nella pratica lombarda non si usa ricorrere alla tortura: ma nel 1552 il Senato ordin di far elevare sulla corda un certo Martino Magone, bench avesse solo 14 anni ed

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avesse solo percosso con delle pietre, senza che fosse seguita la morte e vi fosse perfino la remissione della querela da parte della vittima. g. Vecchi decrepiti. E una categoria esente de iure. Ma anche qui, il Senato ammette delle eccezioni (caso del 1550). Se la persona anziana, ma non decrepita, pu certamente essere torturata: cos stato deciso dal Senato nel 1547 (un robusto sessantenne) e nel 1561 (si trattava di una persona di 65 anni). h. Donna incinta. Certo non si pu torturare: anzi, consuetudine che si aspettino 40 giorni dopo il parto, come ha deciso anche il Senato nel 1559. Nel 1557 il Senato ha anche concesso lesen zione ad una donna che allattava il bambino. i. Chierici. I chierici si possono torturare, in ogni caso meno severamente dei laici. Devono per essere diffamati e sospetti. Sicch, ad esempio, un testimone de visu non sarebbe sufficiente, se non constasse anche la diffamazione: ma questo, osserva Claro, non si pratica a Milano.

I gradi della tortura


Claro afferma che i gradi della tortura, se si segue una classificazione proposta da Baldo, che Ippolito Marsigli ritiene comunemente recepita, sono 5: 1. Minacce di porre a tortura. 2. Conduzione al luogo dei tormenti. 3. Spogliazione e legatura del paziente. 4. Elevazione sulla fune (in eculeo, che indica in questo periodo lo strumento pi in voga, cio la corda, mentre anticamente leculeo era una sorta di macchinario di legno con cui si slogavano le giunture del torturando). 5. Squassi. La pratica del Senato lombardo, tuttavia, a detta di Claro, non conosce che 3 gradi di tortura: 1. Territio. Si usa atterrire il reo, minacciandolo di ricorrere alla tortura oppure conducendolo sul luogo dei tormenti, arrivando fino a spogliarlo e legarlo. 2. Il secondo grado si ha quando il reo viene elevato sulla corda o fune ed interrogato per uno spazio di tempo considerevole. 3. Il terzo grado lo squasso. Nella prassi lombarda, si tratta in concreto di un tratto di corda (ictus funis). Se per il Senato ha ordinato che linquisito sia bene tortus o acriter tortus, si usano dare due tratti di corda. Da notare che la tortura deve essere ordinata dal Senato: il giudice inferiore non vi pu ricorrere di sua iniziativa. Non solo: anche lo strumento, i gradi e la durata erano fissati dal supremo tribunale lombardo. Con le parole di Lorenzo Priori, che qui assume come modello Giulio Claro: Il primo grado adunque quando il reo viene spaurito dal giudice minacciandolo di torturare, nel qual grado anco si comprende il terrore chegli sente mentre si conduce alla corda, si spoglia et si liga, quando per la ligatura non sia atroce. Il secondo grado quando si pone il reo a i tormenti overo che sinterroga ne i tormenti et quando si leva, et che per buon spatio si tenga suspeso. Il terzo quando si tortura et squassa sufficientemente, cio la saccata et due squassi, et allhora detto quod bene et acriter torqueatur, la qual saccata, essendo il reo levato a mezzo della tortura, opera che li bracci et ossi si disnodino et si fanno habili a ricevere la tortura. I mezzi di tortura praticati in Lombardia erano la corda, cio una fune a cui limputato doveva essere appesso cone entrambe le braccia legate dietro alla schiena, che era il mezzo ordinario e poi, in via sussidiaria, quando limputato per ragioni fisiche non avrebbe potuto reggere la corda, il cnape ed il fuoco ai piedi. Come dice Cavanna: se la confessione, come dicono i doctores, la regina probationum in vista della condanna, la corda, si aggiunge nei tribunali lombardi, la regina tormentorum per i suoi vantaggi tecnici. Il canape era una legatura stretta che si faceva intorno ad un braccio, prima il destro, mentre il sinistro veniva appeso alla fune. Il fuoco ai piedi consisteva nel cospargere le estremit di lardo, immobilizzandole poi in un apposito strumento di legno detto zocco, sotto cui si accendeva il fuoco, separato dalle piante dellimputato da una tavoletta. Per scottare le piante si levava appunto questa tavoletta. Il tormento era tanto disumano, che altrove era stato abolito, mentre a Milano forse erano ancora in uso nel Settecento. Per questo periodo sono rammentati anche i sibili, cio legnetti che si stringevano contro le dita dellimputato. Si conviene havere in consideratione let, la fortezza, se giovane o troppo vecchio, la sanit, la dispositione et le forze del patiente, et qualit del delitto, inclinando pi tosto in dubbio al poco

tormento che al molto ad arbitrio sempre del giudice prudente, perch se il giudice ingiustamente torturasse il reo et che morisse, quando per lo facesse o perche fosse corrotto da danari o mosso per inimicizia, si condannarebbe alla morte, et se per limperitia almeno ad una pena estraordinaria come si dir al suo luogo. Si deve avvertire che non si pu dar corda ad alcuno che havesse il petto intiero, o che fosse rotto o stroppiato ne i bracci, o sottoposto a qualche diffetto, il che si fa vedere diligentemente dal perito o maestro della giustitia, qual poi con giuramento in obligo di deponere la verit del diffetto asserito dal reo, stante la qual relatione il giudice subito et allhora deve essercitare il tormento del fuoco che dolore intenso et tanto grande, che mentre tiene il patiente li piedi al fuoco non pu confessare, ma grida continuamente fin tanto che se glinterpone la tolella [tavoletta], la qual interposta egli non sente pi dolore. La tortura, in concreto, dipende dal prudente arbitrio del giudice, che proceder secondo gli indizi. La tortura avviene in segreto, senza la presenza degli avvocati difensori (e non dovrebbero intervenire neanche gli avvocati fiscali). Priori consiglia ai giudici molta prudenza: Ma avvertisca il giudice di esser cauto nellinterrogare il reo alla tortura, con poche parole et sopra glinditij solamente che siano prossimi al fatto, havendo le interrogationi pronte, spedite et generali, cio: con chi fosti sabbato o tal giorno, in talhora, et con che arme. Procedendo sempre con tali interrogationi generali, di modo che la specificatione sempre nasca dal reo patiente et non male haver dette interrogationi generali scritte in un sommario pi ristretto sia possibile, perch non si deve con parole superflue che fanno poco al caso tenere in tormenti il reo, qual non lecito mai persuadere a confessare il delitto contra di s, n anco minacciarlo di maggiori tormenti del solito n meno deve interrogarlo di vita, costumi, conversatione, se non fosse ladro publico, insidiatore, monetari o per altri casi eccetti, ne i quali casi si pu interrogare in genere senza fare alcuna specificatione se non doppo et in quanto che in processo ne apparesse et ne fosse fatta mentione. Degli effetti della confessione ottenuta con la tortura, si detto sopra.

Confessare o negare? Strategie processuali


Il commentario al c. Qualiter et quando di Mariano Sozzini, celeberrimo giurista senese di vasta cultura, vissuto nel Quattrocento, uno dei primi esempi di sistemazione di una materia ampia e confusa, come dice lo stesso autore nell'epilogo, sistemazione di poco successiva a quella, ben pi fortunata, di Angelo Gambiglioni. Fu scritto tra il 1436-37 ed il 1442. Divenne cos rilevante in dottrina, che nemmeno Felino Sandei, cio uno dei pi abili ed influenti sistematori della materia penalistica, os arare un campo, a suo dire, gi cos profondamente coltivato dal predecessore che tanto ammirava. Si tratta di unopera singolare: un commentario costruito principalmente come un trattato di questioni. L'autore mette a frutto una vasta conoscenza. Tra i canonisti sono regolarmente citati Goffredo da Trani, Innocenzo IV, Enrico da Susa, Giovanni d'Andrea, Paolo Liazari, Pietro d'Ancarano, Antonio da Budrio, Giovanni da Imola, Domenico da S. Gimignano, e naturalmente il suo maestro, Niccol dei Tedeschi. E' folta anche la schiera dei civilisti le cui opere sono sfruttate: oltre a Bartolo e Baldo, e prima ancora Alberto Gandino e Tommaso da Piperata, spiccano i nomi di Bartolomeo da Saliceto - il cui contributo penalistico intensamente valorizzato -, Angelo Ubaldi (ad esempio, nella definizione delle specie d'inquisizione o nel rapporto tra accusa e inquisizione), Angelo Gambiglioni dArezzo del cui freschissimo trattato criminalistico il Sozzini d pronta notizia ed ampio ragguaglio -, Nello da S. Gimignano, e personaggi del mondo giuridico senese come Federico Petrucci. Quali consigli d il Sozzini a chi abbia problemi con la giustizia? Presentarsi, confessare, negare? Se uno colpevole di un delitto punito con pena corporale, meglio che non si presenti. Se uno catturato o tanto folle da presentarsi, per salvarsi gli anche moralmente lecito mentire, bench la questione possa essere discussa. E opportuno che confessi solo quando la pena gli pu essere convertita in pecuniaria. In ogni caso, non creda linquisito alle promesse dellufficiale: faciunt enim largas et amplas promissiones ut eruant veritatem, quam postea minime observant (fanno infatti larghe ed ampie promesse allo scopo di estorcere la verit, che poi non mantengono per niente). Se linquisito innocente, quale strategia processuale meglio tenere? Se il delitto uno di quelli che pu essere provato anche con mezzi diversi dalla parola dellaccusato, ci si pu presentare: purch il giudice non sia inetto, il pericolo dellingiustizia tollerabile e comunque vale la pena di correre il rischio piuttosto che lasciar sussistere linfamia (a meno che non sia colpevole di altri delitti). Se il delitto non di quelli che si prestano ad una verifica basata su altri elementi probatori, non ci si deve presentare: nullo modo comparet, quamvis innocens sit, si modo scit quid intendat officialis (non si presenti in nessun caso, bench sia innocente, se solo a conoscenza di ci che lufficiale vuole sapere da lui). E se linquisito viene catturato o si presenta non confessi, se appena gli possibile, anche se ci pi facile a dirsi che a farsi. Se confessa sotto tortura, revochi la confessione, perch altrimenti, fra laltro, come dice Niccol dei Tedeschi, peccherebbe, perch come se volesse uccidere se stesso. In questi crimini che non possono essere facilmente provati con altri mezzi (reprobati), i giudici devono essere molto diligenti e valutare attentamente la confessione: se essa sia stata prodotta per il timore dei tormenti oppure perch effettivamente il frutto della verit. Soprattutto, il giudice deve accertarsi se linquisito abbia parlato con qualcuno, perch pu essere stato istruito a sua insaputa. Il Sozzini, a questo proposito, ricorda un caso in cui quattro cittadini, per eliminare un rivale politico, gli avevano mandano un tale a raccontargli di un certo delitto, del quale venne poi diffamato.

Di modo che, quando fu torturato, confess. Fortunatamente, il giudice, in sede di ratifica della confessione, interrogandolo di nuovo, scopr che aveva parlato con estranei. Diciamo la verit, dice il Sozzini, chi tanto forte da poter resistere ai tormenti? Nemo fere, si vera fateri volumus. Stiano dunque bene attenti i giudici, se non vogliono dannarsi lanima, abusando dei mezzi processuali. 1. Se il delitto per il quale si inquisiti merita una pena pecuniaria, meglio presentarsi in giudizio e confessare. Si possono anche trarre dei vantaggi nel confessare, in tali casi. 2. Se il reo ha confessato, necessario un supplemento istruttorio: ai testi a difesa il giudice opporr nuovi testi daccusa per corroborare e sostenere la confessione. 3. Se il reo ha negato, la pratica comune ricorre alla tortura. Secondo lo ius commune bene distinguere. Qualora il delitto sia tale che non possibile addivenire a tortura, il giudice deve procedere allesame dei testimoni e, se questi non provano chiaramente il fatto, assolvere il reo. 4. Se il delitto tale per cui possibile adibire i tormenti, opinione del Sozzini che il giudice ante omnia in quantum potest elaboret alio modo elicere a reis veritatem, quam per tormenta (prima di tutto per quanto possibile si sforzi di ricavare dai rei la verit in altro modo che non per mezzo dei tormenti), chiamando a deporre testimoni. Non enim arbitror a principio inchoandum esse a tortura, sed quantum potest fieri elaborandum est ut aliter habeatur veritas si fieri potest (infatti non ritengo che si debba incominciare dalla tortura, ma cheper quanto possibile ci si debba adoperare affinch la verit risulti in altro modo). Linquisito in questo caso ha la facolt di replicare, una volta pubblicati i verbali delle deposizioni. Se la ricerca della verit per testimoni fallisce, si pu adoperare il mezzo della tortura, sempre che sussistano le condizioni richieste (indizi, crimini, persone). La confessione va ottenuta con molta cautela. Preoccupazione del Sozzini che non venga in alcun modo inquinata la verit. Perci il giudice deve guardarsi dallistruire il reo. Le domande devono essere generali e se linquisito confessa tutto senza contraddirsi, e la confessione viene ratificata, si pu presumere che essa rappresenti il frutto della verit. Talora si pu invece presumere che linquisito confessi per paura dei tormenti. Questo dilemma un punto nodale del processo, secondo l'esperienza del giurista senese: ecco dunque, con dovizia di particolari, una carrellata di casi vissuti in prima persona. Non sufficiente che il reo confessi di aver ucciso Tizio. Il giudice cauto deve interrogarlo anche sullarma, chiedere dove labbia presa, dove abbia colpito. Il giudice avr agito diligentemente in primo luogo se, avuta notizia dellomicidio, avr invi ato degli ufficiali periti e discreti ad esaminare le ferite e le circostanze. In secondo luogo se, una volta catturato il reo, si assicurer che egli non parli con nessuno e che sia custodito in luogo segreto, per evitare che sia istruito sul delitto. E questo accade assai spesso con i ladri, che confessano delitti mai commessi. Questo perch, dice il Sozzini, non credo che neanche uno su mille riesca a resistere. E tuttavia, non si pu credere loro facilmente, ma occorre un supplemento dindagini: ad esempio, sulla sorte delle cose rubate. Sono utili alcune esemplificazioni, che rendono evidente il peso della questione. I Il Sozzini narra di quel ladro che a Siena usava incastrare le persone sulle quali si appuntavano i sospetti dei furti da lui commessi, con il seguente stratagemma. Udito che qualcuno era inquisito del furto, si appostava nel luogo di tortura cercando di captare la confessione del malcapitato. Una volta che costui avesse confessato che la refurtiva si trovava in un certo luogo, tosto ve la portava, in modo che il giudice la ritrovasse. Fu scoperto grazie alla sagacia di un senatore, che riusc a salvare dalla forca un innocente. Il giudice, commenta il Sozzini, deve quindi essere, alloccasione, abile, e

mescolare le parole dolci con le mordaci, per scoprire la verit. La vittoria della verit fu celebrata davanti a tutto il popolo in modo spettacolare e simbolico. Il senatore fece vestire allinnocente una veste lugubre con il laccio al collo ed al colpevole dei panni candidi ed una corona dulivo. Dopo la narrazione dei fatti, tocc all'innocente vestire labito bianco e ritornare a casa propria cinto della corona dalloro, tra plausi e suoni di strumenti, mentre il colpevole venne avviato al patibolo. Ecco una sentenza memorabile - esclama il Sozzini - che insegna come gli ufficiali debbano essere prudenti. II Un altro esempio. Il Sozzini racconta che nei mesi passati un novellus Capitano di giustizia lo aveva consultato in merito ad un furto di denaro verificatosi in un ospizio e di come egli gli avesse suggerito di non accontentarsi della confessione dellimputato, ma di interrogarlo anche sullutilizzo dei soldi. Non era sufficiente che il reo affermasse di aver speso il denaro: doveva anche rivelare dove aveva nascosto il denaro sottratto e, nel caso positivo, doveva essere ispezionato il luogo e presa visione dei registri dell'albergo. Era del resto una convinzione di Baldo, che occorresse dare valore probatorio alla confessione dei ladri con una certa prudenza, maxime in his que de facili non possunt reprobari seu probari aliter quam per tormenta (soprattutto trattandosi di fatti che non si possono contestare o provare facilmente in altro modo che attraverso i tormenti). III Unaltra storia vera accaduta a Firenze. Un capitano di giustizia di nobile schiatta, ma non fiorentino, per vendicarsi della condanna inflitta a suo tempo da un fiorentino ad un membro della sua famiglia, quando era venuto a reggere la sua citt, dopo accurata ricerca, punta gli occhi su uno dei rampolli della famiglia nemica, che conduceva vita dissoluta, e lo inquisisce per furto. Riesce a farlo confessare con uno stratagemma. Promette al vero ladro limpunit, in cambio del suo aiuto. fa quindi imprigionare il giovane e lo mette in una cella vicino al ladro, facendo in modo che da un piccolo buco il giovane possa sentire l'altro lamentarsi di tutti i suoi delitti. La notte seguente il Capitano mette sotto tortura di nuovo il ladro per fargli confessare il nome dei complici. Come daccordo, questi nomina il giovane. Il Capitano cura allora che il ladro ritorni in prigione, ma in una cella diversa, per evitare sospetti. Il giorno dopo, il giovane, interrogato, nega. Di notte, posto sotto tortura, confessa. Entrambi vengono condannati a morte. Il ladro viene a sapere della sorte del giovane tramite il confessore, che per consolarlo gli racconta della disperazione del suo complice, che continua a professarsi innocente, mentre lui almeno colpevole. Il confessore induce il ladro a rivelare il segreto. Il giovane viene salvato in extremis da un nunzio che ferma lesecuzione appena in tempo. Il Capitano non viene punito: ci che il Sozzini vivamente deplora.

Indizi per la condanna


La posizione di Gandino e di altri giuristi, sfavorevoli ad assegnare valore di piena prova agli indizi, ai fini della condanna, si mantiene anche in et moderna. Secondo linterpretazione corrente della l. Sciant cuncti, C. de probationibus (C. 4.20.25), per poter pronunciare una sentenza di condanna penale, de iure communi, occorrono indizi indubitati e pi chiari della luce (indicia ad probationem indubitata et luce clarioribus expedita). Sono indizi indubitati: a) gli indizi espressamente ritenuti tali dalle leggi romane; b) gli indizi che siano ritenuti tali dal giudice. Devono essere pi duno e devono rendere certo il giudice della commissione del fatto. Lapprezzamento demandato al suo arbitrio. In entrambi i casi, comunque, la pena da irrogarsi devessere straordinaria o arbitraria. Lidea riproposta da Angelo Gambiglioni nel 400, secolo nel quale si devono pure registrare prese di posizioni contrarie: ad esempio Niccol dei Tedeschi, che per oscilla in altri luoghi, oppure Filippo Decio, la cui adesione al convincimento del giudice pi sicura: in praesumptionibus indubitatis dicendum quod si adeo sunt violentae, quod aliter iudex credere non possit, quod tunc poena ordinaria imponatur: secus si non essent omnino indubitatae et quod totum arbitrio iudicis remittitur (riguardo alle presunzioni indubitate si deve dire che se sono cos violente, che il giudice non possa credere altrimenti, allora si deve irrogare la pena ordinaria: diversamente se non fossero del tutto indubitate e tutto rimesso allarbitrio del giudice). Baldo invece manifesta scetticismo nei confronti di una condanna emanata sulla sola base di indizi lasciati alla libera valutazione del giudice, in mancanza di una confessione estorta sotto tortura Anche Ippolito Marsigli era contrario allirrogazione di una pena corporale in seguito ad indizi indubitati. Nel 500 sostengono la tesi della irrogabilit solo di una pena pecuniaria o tuttal pi di una pena corporale leggera, in Francia Jean Imbert, in Lombardia Egidio Bossi. La Constitutio Criminalis Carolina del 1532 e lOrdonnance di Villers-Cotterets del 1539, cio le due fonti principesche in cui per la prima volta in Europa, rispettivamente in Germania e in Francia, il processo penale inquisitorio viene integralmente regolato in ogni sua fase, sono su questa stessa linea. Lo stesso sar disposto nellOrdonnance Criminelle del 1670, che sostitu la precedente ordinanza e rappresent il punto di riferimento normativo del processo penale in Francia fino al Code Merlin ed al Code dinstruction criminelle napoleonico del 1808. Ludovico Carerio, con riguardo ai delitti occulti e di difficile prova, favorevole allapplicazione della pena ordinaria anche su indizi indubitati. Il Senato di Milano, come attesta Claro, pur non applicando la pena di morte n la pena ordinaria, irrogava una pena straordinaria corporale: trireme, fustigazione, tratti di corda. Una soluzione che Farinaccio considerava tipica dei tribunali centrali e pericolosa per le corti inferiori (meglio la pena pecuniaria, o tuttal pi lesilio o un tratto di corda). Nel 500 spuntano voci nuove. Mentre la regola tradizionale ribadita dal Menochio, che d una definizione degli indizi indubitati fondandola sul solo convincimento del giudice, facendo discendere da essi una pena pecuniaria o corporale non ordinaria, Francisco Sarmiento de Mendoza, nellopera Selectae interpretationes, riprova la prassi di condannare a pena arbitraria su indizi dopo lesperimento vano della tortura e sostiene la possibilit di comminare la pena ordinaria anche sulla sola base di presunzioni: o il giudice certo oppure rimane nel dubbio. C poi il dissenso polemico di alcuni umanisti: Francesco Duareno afferma con decisione la possibilit di una condanna a morte sulla base di congetture, ed anche nel suo allievo, Ugo Donello, si trova uno spunto contro la concezione quantitativa della prova: aut actor probat aut non probat. Nel 1635, tuttavia, il principe dei criminalisti sassoni, Benedict Carpzov, nella sua monumentale Practica nova rerum criminalium, proclama con forza lidea che il convincimento soggettivo, fosse anche pieno, non costituisce prova.

Ma ormai le premesse filosofiche da cui partivano glossatori e commentatori erano state messe in discussione, nel Seicento. Una nuova nozione di probabilit viene messa a punto da alcuni filosofi. La probabilit non pi, come insegnava Aristotele, legata alla communis opinio: probabile non pi ci che tutti sanno come per lo pi accada o non accada, sia o non sia (Analitici primi, II, 27, 70 a 3; Retorica, I, II, 1357 a 34), ma lesito di una verifica basata sul calcolo statistico. Nel contempo, perde terreno lidea che, nel campo della ricostruzione di un fatto, sia possibile addivenire ad una certezza assoluta, come nelle dimostrazioni geometrice e scientifiche. Nel campo dei fatti ci si deve accontentare di una certezza di grado inferiore, una certezza meramente probabile o morale, basata sulla probabilit. Sono riflessioni svolte da filosofi come Antoine Arnauld e Pierre Nicole, gli autori della Logica di Port-Royal (1662); da Pierre Bayle, nel suo Dictionnaire historique et critique (1696-1697). I filosofi rivalutano la probabilit. Scrive Pascal in uno dei suoi Pensieri (n. 754-843): Non questo [la natura] il paese della verit: essa erra sconosciuta in mezzo agli uomini. Questo nuovo concetto viene approfondito dai giusnaturalisti (Grozio, Pufendorf, Domat), da Locke, Bentham e, alla met del Settecento, da Jean-Martin de Prades, nella voce Certitude dellEncyclopdie ou Dictionnaire raisonn des sciences, des arts et des mtiers, diretta da Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond DAlembert (Paris 1752); da Antonio Genovesi negli Elementa artis logico-criticae (1752) e nella Diceosina, o sia filosofia del giusto e dellonesto (1766). Lo fanno proprio gli illuministi. Le tradizionali prove dirette dei fatti storici perdono il loro connotato di assoluta certezza e vengono ridimensionate. Si ritiene erronea la contrapposizione tra la testimonianza, la confessione e le presunzioni. Anche la testimonianza e la confessione non garantiscono risultati certi, se per certezza sintende la certezza matematica (Domat). La confessione perde il suo primato di prova oggettiva, di per s evidente. Lago della bilancia si sposta verso la soggettivit del giudice. Scrive Filangieri, ne La scienza della legislazione, III, I, XIV: La certezza non altro che lo stato danimo sicuro della verit di una proposizione. E Francesco Maria Pagano, nella Teoria delle prove, afferma: Qualsiasi prova sempre indiziaria. La verit non si considera pi raggiungibile per gradi e ad ogni grado non deve pi corrispondere una frazione di pena. Michel Foucault, nel libro Sorvegliare e punire, ha descritto efficacemente questo modo di pensare: Un grado raggiunto nella dimostrazione formava gi un grado di colpevolezza... non si poteva essere innocentemente oggetto di un sospetto. Il sospetto implicava, nello stesso tempo, da parte del giudice un elemento di dimostrazione, da parte del prevenuto il segno di una certa colpevolezza e da parte della punizione una forma limitata di pena (p. 46). La sentenza potr dunque essere solo di assoluzione o di condanna. Nel contempo, molti degli indizi ai quali il comune consenso aveva attribuito valore univoco nel medioevo e nellet moderna (la fuga, la contumacia, la pace tra le parti, il silenzio del reo, la confessione estorta con i tormenti) perdono questo connotato. In questottica, anche la tortura viene ad essere considerata un mezzo fallace, inidoneo a condurre alla verit assoluta, che non esiste, ed inutile dal punto di vista del giudizio, poich il giudice pu emettere una sentenza di condanna anche sulla base di indizi indubitati. La moderna nozione di certezza morale penetr anche tra i pratici. Se ne serv, ad esempio, Tommaso Briganti, uno dei pi grandi criminalisti del Regno di Napoli, autore di una fortunata Pratica criminale (1747), per interpretare la nota Prammatica che nel 1621 aveva autorizzato i giudici ad emettere una sentenza di condanna alla pena ordinaria, qualora si trattasse di delitti atroci ed esemplari, anche sulla scorta di indizi indubitati, superando cos le note controversie dottrinali.

Ed aveva dato la seguente definizione di indizi indubitati: quelli che provati legittimamente inducono la mente del giudice a credere fermamente il delitto esser commesso dallinquisito, quietando il suo intelletto in questa ferma credenza. Secondo il Briganti, allo scopo di interpretare il testo della Prammatica occorreva distinguere tra certezza metafisica, fisica e morale. Nel dare la definizione di certezza morale il Briganti sispirava agli scritti di Pierre Bayle. Dicesi certezza metafisica quella che nasce da princip geometrici... Questa non ammette possibilit in contrario. Levidenza fisica quella che nasce da sensi, per mezzo de quali veggiamo quelle cose chesistono; ma pure pu alquanto dubitarsi, se i sensi cingannano. Levidenza morale dicesi quella che nasce da dimostrazioni morali, produce si una piena certezza ed una intiera persuasione, ma non fa vedere, che il contrario sia impossibile; come impossibile fa vedersi il contrario, a riguardo di quelle cose, che sono state dimostrate matematicamente. La vera natura dunque di questa certezza morale non consiste, come nelle dimostrazioni geometrice in un punto indivisibile; ma soffre il pi ed il meno, e si promena da una grande probabilit sino ad una grandissima probabilit: questi sono i suoi limiti, e per conseguenza include certezza evidente, ma non esclude la possibilit in contrario... Questo appunto lindizio indubitato, che richiede la prammatica, cio una ferma credenza morale. Era dunque assurdo, come avevano fatto altri autori (la critica era rivolta a Scipione Rovito), esigere una certezza pi forte, impossibile da raggiungere nel campo della ricostruzione dei fatti. A sua volta, Cesare Beccaria trarr ispirazione dal Briganti nel dare la definizione di certezza morale, nel paragrafo XIV sugli indizi, incluso nella III edizione del Dei delitti e delle pene (marzo 1765; la prima edizione del 1762): rigorosamente la certezza morale non che una probabilit, ma probabilit tale che chiamata certezza, perch ogni uomo di buon senso vi consente necessariamente. Un altro filone di pensiero assai critico nei confronti della tradizionale nozione di verit quello che fa capo ad Anthon Matthes, il gi citato umanista tedesco vissuto in Olanda, autore di unopera di commento ai libri terribili del Digesto, dedicati al diritto penale (D. 47-48), il De criminibus (1644), per pi versi innovativa: contiene infatti una vera e propria parte generale del diritto penale, parallela a quella che nel contempo andavano elaborando i giusnaturalisti, ed avanza molte interpretazioni controcorrente del diritto romano. Per questi motivi, lopera riscuoter unimmensa fortuna tra i criminalisti del Settecento. Il Matthes nel Seicento, come gi nel Cinquecento ludinese Tiberio Deciani ed il francese Pierre Ayrault, fa parte di quegli umanisti fortemente critici nei confronti delle strutture inquisitorie del processo penale, di cui auspicano il superamento anche ad altri riguardi. Per quanto concerne la prova legale, celebre la conclusione del discorso del Matthes: o il crimine provato con argomenti o non provato. Se provato, non vi alcuna ragione per cui non possa infliggersi la pena ordinaria. Se non provato, non vi spazio alcuno per la punizione, ma o ci si riserva di compiere ulteriori indagini nei confronti del reo oppure egli deve essere assotlo con sentenza dal giudice (aut crimen probatum est argumentis, aut probatum non est. Si probatum est, nulla caussa est, cur ordinaria poena infligi non debeat. Si probatum non est, nullus puniendi locus relinquitur, sed aut in reum amplius inquirendum, aut sententiam iudicis absolvendus est : De criminibus, II, XVI, 6). La sentenza lapidaria del Matthes sar ripresa un secolo pi tardi da un giurista post-beccariano di alto valore, il valtellinese, Tommaso Nani, nel De indiciis (1781). La tortura sar limitata ed infine abolita nel corso del Settecento in tutti i grandi Stati dEuropa, in tempi diversi. In Prussia Federico II la limita nel 1740 e labroga del tutto nel 1754. Nel Regno di Napoli viene limitata nel 1738 con una prammatica di Carlo di Borbone ispirata dal ministro Bernardo Tanucci, ed abolita integralmente nel 1789.

In Russia ne auspica la soppressione Caterina II nelle celebri Istruzioni del 1767: labolizione sar per realizzata solo nel 1801, dallo zar Alessandro III. In Austria, la prevede ancora la Constitutio Criminalis Theresiana promulgata nel 1768 da Maria Teresa, dove addirittura, con teutonica precisione, delle tavole con figure mostrano al giudice ed ai suoi servitori come procedere nei confronti del paziente. Labolizione giunger ben presto nel 1776, ispirata da Joseph von Sonnenfels, che aveva dato alla luce nello stesso anno il suo fortunato opuscolo Sullabolizione della tortura. In Lombardia, la tortura cess di esistere solo pi tardi, nel 1784, in virt di un decreto di Giuseppe II. In Toscana fu il fratello Pietro Leopoldo ad abolirla, nella Riforma del processo criminale del 1786 (detta anche Leopoldina). In Francia fu abolita da Luigi XVI nel 1780 e 1788 e definitivamente lAssemblea costitue nte nel 1789. NellOttocento il principio del libero convincimento del giudice sar riconosciuto espressamente in Francia dalla legge 16-29 settembre 1791, dal Codice dei delitti e delle pene di Merlin del 3 brumaio anno IV (1795) e dal Code dinstruction criminelle del 1808. In tutti e tre i casi, esso una direttiva rivolta ai giurati. Gli stessi modelli ispirano il Codice di procedura penale del Regno italico del 1807, opera di Giandomenico Romagnosi, che non introduce nel Regno dItalia la giuria ma conferma il principio del libero convincimento del giudice. La Norma interinale per la Lombardia austriaca (1786), 204, e la Riforma della legislazione criminale toscana (c.d. Leopoldina, 1786), CX, erano rimaste invece fedeli al sistema della prova legale: gli indizi potevano condurre solo allirrogazione di una pena straordinaria e non alla pena ordinaria: (nella Norma interinale fanno eccezione i crimini non capitali). Il codice penale austriaco del 1803, invece, ammette la possibilit di condannare alla pena ordinaria anche sulla base di indizi, ma fissa dei limiti molto rigidi al valore probatorio degli indizi. Il Regolamento di procedura penale austriaco del 1853, infine, metter in pratica la teoria della prova legale negativa: alle prove legali deve aggiungersi il libero convincimento del giudice, e viceversa. La discussione sulla certezza morale proseguir comunque per tutto lOttocento. E interessante notare come, in questo periodo, lidea della predeterminazione del valore di determinati mezzi di prova non sia del tutto abbandonata, pur combinandosi con la nuova teoria della certezza morale. Cos pu avvenire che, accanto a sistemi probatori come quello adottato in Francia a partire dal 1791, in cui per addivenire alla condanna necessaria e sufficiente lintima convinzione del giudice, ne esistano altri, in cui si richiede che il giudice, per condannare, non solo sia convinto della colpevoleza dellimputato ma disponga anche di una prova legale. E la cosiddetta teoria della prova legale negativa, accolta dal Regolamento di procedura penale austriaco del 1853, la cui elaborazione fu opera anche di taluni esponenti del pensiero illuministico (Gaetano Filangieri). Unus testis nullus testis La regola concordemente accolta dai pi autorevoli filosofi e giuristi del Sei-Settecento, anche se con motivazioni differenti: Pufendorf (De iure naturae et gentium del 1672, I.5, cap. 13 9), Montesquieu (De lesprit des lois, XII.3), Beccaria (Dei delitti e delle pene del 1764, 13), Filangieri (La scienza della legislazione del 1780-1788, I.3, cap. 15), Francesco Mario Pagano (Considerazioni sul processo criminale, Teoria delle prove). E invece fortemente criticata in Inghilterra, dove la common law non la riconosce (William Blackstone, Commentaries on the Laws of England e Jeremy Bentham, Trait des preuves judiciaires).

Se la regola unus testis, nullus testis ritenuta espressione di ragione dai giusnaturalisti e dagli illuministi, la giustificazione della sua razionalit per diversa a seconda degli autori. Pufendorf ritiene che sarebbe rischioso affidarsi ad un solo testimone e che solo il confronto delle testimonianze permette di scoprire eventuali falsit. Montesquieu si basa invece su un ragionamento meramente quantitativo e non sostanziale: il detto di un solo testimone equivale al detto dellaccusato e quindi occorre una seconda testimonianza per dirimere il contrasto. E una motivazione accolta ancora da Cesare Beccaria: pi dun testimonio necessario, perch fintanto che uno asserisce e laltro nega niente v di certo e prevale il diritto che ciascuno ha dessere creduto innocente. Gaetano Filangieri non daccordo con Montesquieu: laffermazione del testimone non equivale a quella dellaccusato, perch il primo non ha alcun interesse ad affermare mentre il secondo ha un interesse a negare. La ragione della necessit di disporre di almeno due testimoni concordi dunque unaltra: molto difficile che due persone, separatamente interrogate dicano la stessa cosa, se non perch entrambi dicono la verit. Due soli testimoni non sono per sufficienti alla condanna se il giudice non anche convinto della colpevolezza del reo e viceversa, il libero convincimento del giudice non sufficiente se non c anche laprova legale. Lo stesso pensiero esprimer, nel medesimo ambiente napoletano, Francesco Mario Pagano, nelle sue Considerazioni sul processo criminale. Ma nel Settecento e nel primo Ottocento vi sono anche voci contrarie: William Blackstone nei Commentaries on the Laws of England attesta che la regola unus testis nullus testis non si applica nelle corti di common law, mentre Jeremy Bentham nel Trait des preuves judiciaries (la fortunata traduzione in francese pubblicata a Parigi nel 1823 dalleditore Etienne Dumont) critica sia la condanna automatica sulla base di due testimonianze concordi, sia lassoluzione in presenza di un solo testimone a carico. Nel Settecento la regola sar accolta dalla Norma interinale per la Lombardia austriaca del 1786 ( 182), come gi dal Regolamento del processo civile per la Lombardia austriaca del 1785 ( 151), e poco pi avanti, sar confermata dal codice penale austriaco del 1803.

Sentenza e appello
Se il giudice dispone di una prova piena, procede alla condanna alla pena edittale. Questa sentenza, per il diritto comune, inappellabile. Ma negli altri casi, de iure lappello concesso. Molti statuti prevedono dei gradi di appello. Le consuetudini e gli statuti lombardi, tuttavia, non ammettono appello nel penale. A Milano, le consuetudini non richiedono nemmeno la forma scritta per la sentenza. Le Nuove Costituzioni milanesi del 1541 ribadiscono la regola fondamentale da osservarsi per tutto il Dominio: A sententia lata in causa criminaliter mota et criminaliter decisa... non possit per quempiam appelari... nec de nullitate dici... nec alio juris remedio uti, sed executioni mittatur (Che contro una sentenza emessa in una causa mossa in via criminale e decisa in via criminale nessuno possa esperire lappello o la querela di nullit n servirsi di altro rimedio, ma che la stessa sia mandata ad esecuzione). Si pu tuttavia fare ricorso al Principe o al Senato perch riesamini il processo. La prassi della Terraferma veneta, invece, diversa, vigendo per tutta let moderna un sofisticato sistema di appelli (a meno che ad assumere il processo non fosse il Consiglio dei Dieci). Anche il consilium sapientis rigorosamente proibito nel penale nelle citt del dominio lombardo: lo riaffermano le stesse Nuove Costituzioni (In causis criminalibus consilium sapientis non detur), ma il divieto era gi previsto dagli statuti viscontei del Trecento, prima con riguardo ai soli malefici puniti con pena di sangue (Statuti di Milano del 1330) e successivamente per tutti (decreto del 1393).

Larbitrium del giudice nel processo inquisitorio moderno


Una delle sistemazioni pi interessanti delle varie opinioni dottrinali sulla discrezionalit del giudice nel processo penale quella di Bartolomeo Cipolla (nella repetitio alla l. Si fugitivi, C. de servis fugitivis), che scrive nella seconda met del Quattrocento. Secondo il giurista veronese, la pena stabilita dalla legge o dallo statuto pu essere unica o alternativa. La pena unica pu essere certa e determinata. In tal caso il giudice non pu imporre una pena differente da quella che ha giurato di applicare (Baldo): pu per dispensare da essa (ad esempio per ragioni di et, se il condannato un fanciullo o un vecchio pu non applicare la pena dellamputazione della mano) o interpretarla (come quando lo statuto stabilisce che qui occidit occidatur: chi uccide, sia ucciso). In questo modo si deve limitare lopinione di Baldo, secondo cui quando la pena determinata il giudice non ha larbitrio. La pena unica pu essere incerta e indeterminata per legge o per statuto. In tale ipotesi, scelga il giudice quale pena applicare. E il problema della pena arbitraria. A questo riguardo il Cipolla prospetta le seguenti ulteriori distinzioni. a) la specie della pena arbitraria determinata, per legge o per diritto comune. Se larbitrio semplice (arbitrium procedendi et determinandi seu condemnandi super maleficiis), il giudice non pu mutare la specie (Glossa ordinaria al Liber Extra, gl. c. Inquisitionis, de accusationibus, e pi tardi Antonio da Budrio; Alberto Gandino; Alberico da Rosciate), a meno che il crimine non sia enorme. Se larbitrio conferito generale (in inquirendo, procedendo, torquendo, puniendo, banniendo et condemnando et generaliter purum, merum et liberum arbitrium in maleficiis, non obstante iure communi vel statuto), allora il giudice pu anche spingersi oltre e mutare la specie, fino a comminare la pena di morte. Un arbitrio del genere previsto, ad esempio, negli statuti di Verona del 1450. b) Le stesse distinzioni si applicano quando la pena determinata nella specie per consuetudine. c) Se la specie della pena non in alcun modo determinata dalla legge o dallo statuto, bisogna vedere: se lo statuto dice espressamente che il giudice pu punire fino alla morte oppure che non pu arrivare fino alla morte: va seguito. se lo statuto non dice nulla: si pu arrivare fino alla pena di morte, purch il delitto sia consumato. se lo statuto dice che il giudice pu punire di pi o di meno secondo la colpa, a suo arbitrio: se la pena pecuniaria il giudice non pu imporre una pena corporale e se la pena corporale, non pu imporre una pena corporale pi grave.

Pena ordinaria, legittima difesa e pena corporale ordinaria


1) La pena ordinaria una pena unica e determinata, dalle leggi romane o dagli statuti, nella specie (pena di morte, altra pena corporale, pena pecuniaria), nella quantit, nel tempo. Anche in questo campo larbitrio del giudice pu esplicarsi, diminuendo o aggravando la pena stabilita. La pena corporale ordinaria, infatti, non si pu applicare ed al suo posto occorre stabilire una pena arbitraria: quando il reato colposo; quando il reato non consumato; quando vi eccesso di difesa (anche doloso per la communis opinio); quando un reato doloso commesso da un impubere proximus pubertati (10 anni e mezzo-14) o da un minore di 25 anni; quando commesso da un complice (auxiliator), senza fornire un contributo causale determinante; quando sussiste unaltra giusta causa di diminuzione della pena (ad esempio, il giusto dolore, lubriachezza colposa, linfermit di mente sopravvenuta al delitto). 2) La pena non si applica del tutto in caso di legittima difesa. Quando infatti la violenza impiegata per difesa, cio per reagire contro unaggressione ingiusta, e si mantiene entro certi limiti, essa lecita, secondo le dottrine dei giuristi del diritto comune. Chi uccide laggressore non pu essere punito per omicidio. Il principio, affermato a chiare lettere dal diritto romano giustinianeo - diritto comune in Italia e in molti altri territori europei - non sar pi abbandonato e vale tuttora secondo gli attuali codici europei. Violenza s, ma entro certi limiti, si detto. Quali sono questi limiti nel medioevo? Essi sono enunciati solo in parte dal diritto romano. Sono in realt elaborati dalla dottrina medievale, il vero perno del sistema del diritto comune medievale. I limiti sono precocemente individuati nei requisiti della proporzione o congruenza tra aggressione e reazione, e nellattualit della difesa. A questo proposito, si possono distinguere almeno tre fasi storiche. In un primo momento, tra gli anni 40 e 90 del XII secolo, quei limiti sono intesi in modo rigido. Proporzione significa perfetta equivalenza tra aggressione e difesa sotto il profilo dei mezzi. Attualit significa immediatezza: illecita la difesa preventiva, illecita quella successiva allaggressione (vendetta). E questa la prima posizione di civilisti e canonisti: Uguccione, ad esempio, nella propria Summa al Decreto di Graziano (1188 ca.) parla espressamente di eadem vis (stesso tipo di violenza) come di un requisito indispensabile per poter invocare la legittima difesa. Una seconda fase, che va dagli anni 90 del XII secolo fino a buona parte del 200, vede la dottrina modificare il rigore di questi principi, rendendoli pi elastici, pi aderenti alla situazione concreta. La difesa diventa proporzionata quando nel caso concreto era inevitabile, indipendentemente dallequivalenza dei messi usati. E questo gi uno sviluppo del Duecento, che compare innanzitutto nei canonisti: come dicono Alano Anglico a Bologna (1202) e lApparato francese Animal est substantia (1206-1210), la difesa lecita quando non possibile allaggredito di difendersi altrimenti (non possum me alio modo tueri).

Tra i civilisti, ce n traccia gi in Odofredo, quindi gi prima di Bartolo, che sar lautorit pi citata dai giuristi posteriori. La difesa preventiva, inoltre, si considera lecita, sia contro le minacce di fatto (terror armorum), sia contro le minacce solo verbali (minae). La difesa posteriore, invece, rimane sempre illecita e sempre qualificabile giuridicamente come vendetta, quando loffesa riguarda la persona, a meno che laggredito non dimostri che vi era timore che laggressore colpisse di nuovo. Se invece lattacco riguarda il patrimonio, e in particolare il patrimonio immobiliare, ammesso che il soggetto passivo di uno spoglio recuperi lui stesso le terre o il castello perduti mediante autotutela. La distinzione tra vis illata (violenza compiuta) e vis inferenda (violenza non ancora messa in atto, ma solo minacciata) e quella tra offesa reale e personale prima di tutto diffusa nella canonistica. Le minacce di fatto, ad esempio, sono ritenute sufficienti per difendersi dallApparato al Decretum Animal est substantia. Il diverso trattamento delloffesa reale e personale, ai fini della valutazione del requisito dellattualit della difesa, si rinviene invece gi in Uguccione, Melendo, Alano, canonisti bolognesi del XII secolo e poi in Giovanni Teutonico, che fissa anche una presunzione di difesa nel caso di vis illata: a favore dellaggredito, si presume fino a prova contraria che laggressore potesse colpire di nuovo. La distinzione passa presto anche ai civilisti. Ci sono spunti gi nella Glossa accursiana e poi nella scuola di Orlans (Jacques de Revigny, Pierre de Belleperche) e in Cino da Pistoia, il quale chiarisce bene la ragione della differenza: la violenza alle persone irreparabile, le res invece sono recuperabili. Si noter che qui i giuristi medievali lasciano ai privati la cura di riprendersi le cose. Come e quando? Per recuperare il possesso del bene perduto alcuni fissano un termine in giorni. Ma il criterio che si afferma un altro: bisogna attenersi al tipo di bene spogliato e al soggetto e si autorizzati ad agire nel tempo necessario nel caso concreto: anche dopo anni! Anche in questo caso, si tratta di indicazioni gi presenti di buonora nella dottrina canonistica. LApparato Animal est substantia e Vincenzo Ispano pongono come momento finale quello in cui laggredito passi ad altre occupazioni, esigendo quindi che egli reagisca prima (antequam divertat). Uguccione chiede che loffeso reagisca cum primum poterit (quanto prima). Il requisito dellinevitabilit della difesa fa sorgere il problema della fuga. Se la fuga possibile, teoricamente la difesa non pi inevitabile. Qui per sono i giuristi del Trecento, Bartolo e Baldo in primo luogo, a modificare il criterio in modo decisivo. Il grande Bartolo afferma due tesi. La fuga non mai un obbligo, perch sempre un disonore per chiunque. La fuga una vergogna solo per alcuni, i nobili oppure gli abitanti di una determinata citt: per questi, non sussiste dunque obbligo di fuga. Baldo aggiunger una terza indicazione: la fuga non un obbligo, quando rischia di mettere a repentaglio la salvezza o lincolumit dellaggredito. Siamo cos entrati nella terza fase della storia della legittima difesa: la fase del favor defensionis. Bartolo e Baldo ne sono i principali attori. Bartolo, innanzitutto, afferma che la prova dellinevitabilit della difesa pu anche essere data per presunzioni e la presunzione maggiore questa: basta provare per testimoni che lucciso aggred per primo oppure che egli si era accinto a colpire, che era venuto verso di me con lanimo di uccidere. Il criterio avr grande fortuna. Lo applicheranno Angelo Ubaldi a Venezia e Bartolomeo Cipolla nella Terraferma Veneta; lo loderanno Egidio Bossi, Giulio Claro, Prospero Farinaccio.

Laltro grande sviluppo verso il favor defensionis vede come protagonista Baldo. Leccesso di difesa, che si ha quando uno oltrepassa i limiti della difesa, non deve essere punito con la pena ordinaria. Questo vale sia per leccesso colposo che per il doloso. Erano stati i canonisti per primi a distinguere tra eccesso colposo e doloso. Baldo ammetteva la mitigazione della pena anche per leccesso doloso. Ma il problema aveva avuto anche diverse impostazioni nel corso del Duecento. Iacopo dArena, in una sual lectura, fa il caso di uno che colpisca laggressore mentre fugge, e dice che per alcuni giuristi si trattava di omicidio colposo, perch cera lo stato dira, la provocazione; per altri si poteva parlare di omicidio doloso, perch era piuttosto una vendetta. Egli aderiva allopinione pi mite. Franceschino Corti, nel Quattrocento, applica senza esitazioni il principio della diminuzione di pena alleccesso colposo in un caso concreto: l'aggressore ha un gran bastone che per gli cade, laggredito lo prende e lo uccide. Egli nutre invece forti dubbi sulla bont del principio nellipotesi di eccesso doloso e daltra parte riconoscer impossibile non scusare laggredito con qualche attenuante: Credo che sia difficilissimo provare il dolo, perch qualsiasi circostanza fornirebbe una valida scusa (Bene credo quod difficillimum esset probare dolum quare quelibet occasio excusaret a dolo). Nessuno pu essere come Giobbe in quei momenti terribili, dir Egidio Bossi. Bartolomeo Saliceto completer il quadro: nel dubbio, leccesso si deve presumere colposo. La dottrina lombarda, di cui Corti e Bossi sono autorevoli esponenti, registr voci favorevoli, come Giason del Maino. Ma vi sono anche opinioni critiche: quella di Filippo Decio, ad esempio. Nel Seicento, lumanista olandese Anton Matthes, una delle voci pi ascoltate dagli illuministi, ma anche il pratico sassone Benedict Carpzov, che scrive uno dei monumenti della criminalistica moderna, reclamano con forza lapplicazione della pena capitale in caso di eccesso doloso, reputando la communis opinio contraria alle fonti romane. 3) La pena corporale ordinaria non si pu inoltre applicare quando la colpevolezza del reo non pienamente provata. La pena arbitraria una pena non determinata, ma rimessa alla discrezionalit (arbitrium) del giudice. A seconda dei casi, pu essere determinata nella specie oppure no. Se la specie determinata, pu essere mutata solo se concesso larbitrio general e. Se la specie non determinata, si pu arrivare fino alla morte: purch lo statuto non lo proibisca, il reato non sia semplicemente tentato. Quando lo statuto dia larbitrio di modificare la pena ordinaria in pi o in meno (poena limitata cum culpa plus vel minus arbitrio dicte potestatis), il giudice non pu passare da una pena pecuniaria ad una corporale (Angelo Ubaldi: sarebbe non un punire di pi, ma un punire diversamente, con riferimento allo statuto che d larbitrio al podest di punire il ladro in pi o in meno (in plus vel minus) rispetto a quanto dispone lo statuto), n da una pena corporale in una parte del corpo ad una pena pecuniaria o ad una corporale maggiore o alla pena di morte (Baldo: se lo statuto dice di punire con la pena dellamputazione del piede o altra, vel alia, sintende una pena simile, quindi non una pena pecuniaria, n lamputazione della testa). Questa precisazione utile per interpretare gli statuti di Verona, nei quali ricorre spesso il modulo in questione. Unaltra cosa aggiunge il Cipolla: se la pena ordinaria pecuniaria, la pena arbitraria non pu superare il tantundem (Francesco Zabarella; Baldo). Perci quando lo statuto di Verona dice che chi ha dato uno schiaffo devessere punito con 50 L. di denari, et plus vel minus arbitrio dictae potestatis, il podest potr arrivare fino a 100 L. e non oltre. Tutto ci vale, naturalmente, solo per le corti locali.

Diversa la regola per le magistrature centrali. Un solo, significativo esempio: quello del Senato di Milano che, a mente del titolo De senatoribus delle Nuove Costituzioni del 1541, in materia criminale gode di vasti poteri equitativi, cio di arbitrio: omnia in criminalibus faciet, quae pro justitia et aequitate ei videbuntur opportuna. Et quicquid faciet, vel decernet, parem vim habeat, ac si a Principe factum fuisset (faccia nelle cause criminali tutto ci che per la giustizia e lequit gli sembrer opportuno. E tutto ci che far o decreter, abbia la stessa forza, come se fosse fatto dal Principe).

APPENDICE 1. Le fonti del diritto milanese Liber consuetudinum 1216 Compilazione ordinata dal Consiglio generale nel 1215, su iniziativa del podest Brunasio Porca, e preparata da un collegio di quattordici saggi nominato dal podest Iacopo Malacorrigia. Ha come fonte principale una compilazione del XII secolo, il libello di Pietro giudice. Statuto 1330 (Azzone Visconti) Perduto, ma ricostruibile in base allo Statuto di Monza del 1333-1339, che lo ha preso A modello (ed. Milano 1589) Statuto 1351 (Luchino e Giovanni Visconti) Solo proemio: ed. Ceruti Perduto, ma ricostruibile in base ad altri statuti degli anni 50, che lo hanno preso a modello (ad es. Bergamo 1353). Statuti 1396 (Gian Galeazzo Visconti) libro 1: ed. Ceruti (Statuta iurisdictionum), Torino 1876 libri 2-8: ed. Paolo Suardi, 1480 Statuti 1498 (Ludovico Sforza il Moro) Statuti 1502 (Luigi XII dOrlans) ed. Mediolani 1550 (con le Apostillae di Catelliano Cotta) ed. Mediolani 1583-1585 (con il Commentario di Orazio Carpani) Decreti viscontei-sforzeschi Ce ne sono diverse raccolte inedite. Una scelta di decreti dal 1343 al 1507 pubblicata con il titolo Antiqua Ducum Mediolani Decreta (Mediolani 1654) Constitutiones Dominii Mediolanensis 1541 Le Nuove Costituzioni di Carlo V sono rimaste in vigore in Lombardia fino allet napoleonica. STATUTI TRECENTESCHI DI BERGAMO Bergamo 1331 (Giovanni di Lussemburgo e Boemia, ed. Claudia Storti Storchi 1986) Bergamo 1333 (Azzone Visconti: inedito) Bergamo 1353 (Giovanni Visconti, ed. Giovanna Forgiarini 1996) Bergamo 1374 (Gian Galeazzo Visconti: inedito) Bergamo 1391 (Gian Galeazzo Visconti) APPENDICE 2 I mali della giustizia di Terraferma nelle Suppliche al Collegio veneziano 1. La confessione Gambarare 1569 Serenissimo Principe Fu alli 3 del mese passato di fevraro, in un zorno di zobia a unhora di notte in circa, ritrovato uno, finhora incognito, al pontesello di Lizzafusina, con diverse ferrite sopra la testa et nella vita, per la qual morse doi o vero tre giorni doppoi in Venetia. Et non si sappendo chi fusse stato il delinquente, fu per li officiali del clarissimo provveditore delle Gambarare ritenuto un Lorenzo Riato, putto di 12 anni incirca, il quale, s come in processo appare, si haveva fino a Str accompagnato con questo ferrito. Et condutto esso Lorenzo nelle forze del detto clarissimo proveditore, fu contra di lui formato processo et quantunque constituito due volte, da essi constituti apparesse chiaramente la sua innocenza, fu ancho nondimeno menato alla corda, con tutto che contra ogni legge et ogni raggione sia il torturare un minore. N si spaventando lui punto per esser innocente, stava costantissimo, confirmando quello che era non solo verisimile, ma indubitato anchora.

Onde fu spogliato, ligato alla corda, ellevato et datoli crudelissimamente un squasso, senza haversi compassione allet et rispetto alla legge et alla raggione. Per il che, dal dolore impaurito, esso povero putto, facendosi callar gi, confess esser stato lui che gli havesse dato, adducendo quelle cause che nel processo appareno. Onde fu per allhora quellinfelice ritornato in preggione. Ma non contento esso clarissimo proveditore di quella confessione, due altre, over tre volte, lo constitu. Et vedendolo star sul suo proposito, tent di novo ritornarlo alla corda, dove facendoli interrogationi a suo modo, lui spaventato dal tormento disse come nel processo appare: se volete che io dica haverlo assassinato, lo dir. Et essendoli fatte interrogatione suggestive, confess quanto li era addimandato, ma cose cos inverosimili et lontane dogni verit, che ogni uno di mediocre giudicio, dalla lettura di esso processo et dalle interrogationi fatteli, comprehender quella non esser confessione, ma seddutione. Ma procedendo pi oltra, esso clarissimo proveditore lo fece rathificare, con animo poi di farlo morire, como chiaramente disse a chi and a dimandarli le sue diffese. Et dapp la rathificatione li fu intimado che in termine di 4 giorni dovesse deddure o far dedure quanto intendeva a sua diffesa, altramente etc. Onde esso povero et infelice putto scrisse una polizza a Padoa, ad un suo patrone, narrandoli che la confusione et il tormento in che era stato posto lhavea fatto cos dir, ma non la verit. Il qual, benissimo conoscendolo, parendoli impossibile che havesse commesso simil delitto, mosso a compassione si deliber volerlo diffendere. Onde, mandando un commesso alle Gambarare, acci fusse cavato copia degli inditii per poterlo diffender, li fu da esso clarissimo proveditore risposto che non solo non voleva darli copia alcuna, ma che era superfluo il diffenderlo, perci che se fussero ben venuti quanti dottori sono in Padova et in Venetia, sapeva quanto doveva fare, dando ad intender chiaramente, senza sentir diffese, la sua oppinione. Il che vedendo esso commesso, ricorse allagiuto del clarissimo Avogador, il qual giustamente et cortesemente prorog quel termine con una lettera, commettendo che li fusse dato copia del processo. Alla qual, essendo sforzato obedire, ordin che li fussero cavati li inditii, ma non volse per che esso commesso parlasse (con tutto che gli havesse intimato che deducesse quello voleva) con il povero putto di Lorenzo. Ultimamente, essendoli dato la copia, li stata data con s mal ordine che a pena si pu conoscere quai siano gli inditii che fanno contra di lui. Anzi essendo il solito, nel fine degli inditii, darsi li nomi delli testimoni confusi, non vi sono stati messi altramente. Et ci in vero era pur necessario, perci che, pretendendo gli officiali che lo presentorono haver quei beneffici che si danno ad un assassino, anci addimandando (come nella sua denontia appare) confiscation dei beni di esso Lorenzo, pur giusta cosa vedere, se essendo accusatori, sono ancho come testimoni admessi. Per, humilmente et reverentemente. si supplica per parte del detto misero et infelice putto Lorenzo Riato che, considerate le predette cose da Vostra Serenit, et havuta quella informatione dal clarissimo podest di Padova che li parer necessario, della pocha et, della confessione violenta et suggesta di Lorenzo, dellhaver detto il clarissimo proveditor la sua opinione, dellhaver negato il darli le copie, onde potesse diffendersi, dil non haverli voluto lassarli parlare, con tutto che lhavesse per espedito; et finalmente dellhaverli dato sforzatamente, con s mal ordine la copia degli inditii senza nome dei testimoni, si supplica, humilmente dico, Vostra Sublimit che voglia esser contenta di delegar per giustitia questo caso da esser giudicato dal clarissimo podest di Padova et dalla sua eccelentissima corte, dove ognuno sa con laude et gloria di questo Serenissimo Dominio che, nellassolvere gli innocenti et nel punir i malfattori, mai non si mancato, al presente non si manca, n mai si mancar di giustitia.

Non essendo honesto, n conveniente, che dove si tratti, non dir della vita di un huomo, nel qual si potria presumer forsi qualche malitia, ma dun povero putto innocente, cosa cos preciosa et inestimabile, il clarissimo proveditore debba giudicar. Il qual, non solo nel formar processo et nel dar le diffese e, forse per colpa daltri, trascorso in qualche errore, ma ancho ha gi detto la sua opinione quello che s rissoluto di fare, quando ben si facessero ogni sorte di diffese. 1569 7 marzo Che alla oltrascritta supplicatione respondi il potest di Padoa... (filza 323) 2. La presentazione Este 1577 Serenissimo Prencipe, Illustrissima Signoria Seguitta la morte del quondam Zuanne da Montagnana, qual fu da incogniti ammazzato in Este, in tempo di notte lanno 1571, formato il tal qual processo, pieno di contrariet et in molte sue parti falso, ottenuta prima ampla authorit da Vostra Serenit di poter bandir da terre e luochi, con confiscatione de beni et taglie li delinquenti, parve a quel magnifico podest, mosso dalcune suspittioni (come egli attesta), far proclamar alle pregioni me povero et infelice Peregrino Musocho, imputandomi insieme con messer Piero Zanne che, mediante lopra et consiglio mio, habbi con altri incogniti, la notte de d 15 febraro, levato di vita esso Zuanne, seben innocentissimi, Nellhora che linfelice fu ammazzato sattrovavamo lontani dal loco dellhomicidio per pi de miglia dieci. Per essendo io dogni imputatione lontano, per dir se non quanto aspetta a me, niente dubitando dellhorribil proclama in questa mia etade senile, di forze deboli et impotente dalla povert ancho oppresso, mi son volontariamente posto nelle forze del reggimento dEste, sperando con prestezza liberarmene per giustitia. Nondimeno, dimorato per molti mesi dove sogliono star li presentati, se ben cosa nova, quel magnifico podest non ha veduto contra di me essasperato, mi fece serrar in una stretta pregione, dove son stato per pi de mesi quattro in gran calamit. Ma infine sua magnificenza, inspirato da Dio, senza esser da alcuno ricercato, mi licenzi dalle pregioni et mi mand a casa mia, dove la mia famigliola periva dalla fame. Hora m, ha parso a questo magnifico podest farmi da novo alle carcere apresentar et quantunque shabbi dimostrato a sua magnificenza non vesser inditio alcuno et men suspitione contra di me, anzi esser impossibile che questo delitto mi habbi pensato di farlo commetter, sua magnificenza con tutto ci ha statuito, lasciando tutto il resto da canto, farmi poner alla corda, bench, et per lett che oltra li anni 60 et per lindispositione del corpo, ci per le leggi non convenghi, oltra che apparendo nel processo originale alcune vitiature, i suoi ministri che lhanno scritto et offitiali che sono stati essaminati et tra loro son molto diversi et contrari non mancano di qualche sospitione di falsit. Per tutte queste cagioni ho havuto ricorso alli clarissimi signori Avogadori di commun et fatto venir gi la copia del processo, pretendendo dimandar intromissione dellatto seguito et ho dal clarissimo avogador Michiel ottenuto intromissione ad reaudiendum, il quale scrisse anche che, stante la sudetta intromissione, il tutto dovesse star in sospeso. Ma perch il processo lunghissimo et quando paresse al sudetto clarissimo avogador di confermar et placitar la sua intromissione nelleccelentissimo Consiglio di Quaranta, questo non si potrebbe fare se non con molto tempo; et intanto, spirata la sospensione del mese, quel clarissimo rettor vorrebbe al tutto in esso caso far quello li paresse. Et perch alteratissimo contra di me et delli miei diffensori et mi ha in diversi modi minacciato di mandarmi in rovina, comparendo con questa mia riverentemente ai suoi piedi la supplico che, havuta informatione che si deve dalli clarissimi signori Avogadori, nelle mani dei quali anchor la copia del preditto processo, si degni rimetter il detto caso al magnifico successore che doverebbe entrar in ditto regimento alli 20 di luglio prossimo. Il qual, libero dogni affetto, conforme alla pia

mente di Vostra Serenit, eserciter quella giustitia che si deve a salute dei buoni et castigo degli scelerati. Devotamente in sua buona gratia raccomandandomi. 1577 17 maggio Che alla sopradetta supplicatione rispondino li Avogadori di comunet listesso faci il podest di Padova (filza 331) 3. Lo stile delle corti dItalia Verona 1584 Serenissimo Principe, Questo carnevale passato nella citt sua di Verona fu pensatamente et appostatamente trucidato linfelice Pompeo, figliuolo di me povero Antonio Maria Uguzzoni beccaro, dal signor Anzolo Ronco, cittadino potente et da alcuni altri suoi parenti et seguaci. Et perch io sapeva le parentele et li favori grandi che havea questo Ronco, cos con li principali del consiglio et della consolaria di quella magnifica citt, come con li nodari deputadi al malefitio, parte dei quali sono cugnati et parenti di esso Ronco, et perch, per la povert mia et per la mia impotentia io non podeva securamente caminare per quella citt, n comparere alla giustitia a trattar le cose mie, supplicai la Sublimit Vostra che, tolta informatione delle cose da me narrate nella supplicatione che io presentai ai piedi suoi, ella si degnasse di delegar per giustitia questo atrocissimo caso allofficio clarissimo dellAvogaria. Et perch da diversi principalissimi gentilhuomini di quella citt io poi fui con vari modi astretto a rimuovermi dalla detta supplicatione, promettendomi questi che dalla giustitia di Verona li rei sarebbono stati giustamente puniti, non fu proceduto pi oltre sopra la detta supplicatione. Ma dopoi, essendosi Anzolo et un altro correo spontaneamente presentati, havendo il salvo condutto dal puro per difendersi solamente dalla qualit del pensamento, occorso che, essendo secondo lordinario stato portato di ordine di quel clarissimo et giustissimo signor podest il processo in consolaria, per espedir gli altri rei absenti giusta il tenor delle lettere del clarisismo Avogador da me impetrate sotto li 21 di maggio, li favori che Anzolo predetto ha in quella citt hanno potuto tanto che essi rei absenti non sono stati espediti, anzi la copia del processo stata data con le difese alli sopradetti rei presentati. Il che quanto sia contra i termini della giustitia et contra il stile osservato cos in questa inclita citt, come in tutte le corti dItalia, Vostra Serenit per sua prudentia lo comprende. Et perch io prevedo la facilit con che questi crudeli huomini intendono di salvarsi da cos grave delitto per loro commesso, et che la vita di me meschino vecchio et di un altro povero figliuolo che mi resta di et de anni 17, saranno soggette in quella citt alla ferit et alla potentia de questi nemici del mio sangue, supplico di nuovo la Sublimit Vostra per le viscere di Christo che, non obstante la sudetta mia violente renontia, voglia commettere alli clarissimi rettori di Verona che, tolte le debite informationi sopra la predetta mia supplicatione et sopra questa presente addition e, dicano lopinion loro con giuramento, secondo la forma delle leggi, acci che la Sublimit Vostra possi poi, se cos le parer per giustitia, delegar questo atrocissimo caso allofficio dellAvogaria. Et alla sua gratia genuflexo mi raccomando, 1584 a 28 luglio Che alla suprascritta supplicatione rispondano li rettori di Verona... (filza 338) 4. I tempi presenti Bassano 1579 Serenissimo Principe et Illustrissima Signoria Miseri et calamitosi sono i tempi presenti, poich il stato della Serenit Vostra cos pieno di sicari perfidi et sceleratissimi huomini che perturbando il pacifico viver delli sudditi suoi reducono le

povere famiglie in ultima disperatione, non vi essendo persona che pi si assicuri, massime nelle parte de Bassan, et da l in suso verso Valstagna, per quieto vivere che faccia, lontano dogni inimicitia, che infine possi fuggir di non esser da questa sorte de sicari et pessimi huomini trucidato et morto, quando che non se li dii della robba quando la domandano, alloggiamento quando lo vogliono. Et infine guai colui che se li rende suspetto per qual si voglia minima causa, perch subito li succiede la morte per mano di questi assassini et carnifici, come avenuto a me povero et infelice Thomaso Di Callegari di Valstagna, poich attrovandomi in questo mondo un solo fratello nominato Zuanne, carico di sette fioli, ai quali con le sue brazze faceva le spese, sotto li 19 mazo prossimo passato, nel tornarsene a casa sua, fo assaltato da tre sicari et assassini circa hore una di notte. Quali, apostatamente et proditoriamente, lo aspettavano nel loco del Carpenedo, territorio de Bassiano, da qualli il meschino fu con sette crudelissime ferite trucidato et morto, lasciando la povera et infelice sua moglie con li preditti sette fioli senza alcuna sustantia, et me infelicissimo et miserissimo suo fratello in tanto affanno et travaglio che ancor io posso temer che non me succeda il medesimo. Poich n il ditto povero quondam mio fratello, n io habbiamo mai fatto offesa ad alcuno, n mai habbiamo portato arme, n mai sapemo haver operato altro, che negato di alloggiar di questa sorte di sicari et tristissimi huomini, che fa reputar il caso nostro da ognuno tanto pi grave et che sii degno che la Serenit Vostra li poni la mano sua. Essendo certo che detto attrocissimo assassinamento rester impunito quando che dalla benignit et iustitia di Vostra Serenit non li sii provisto, perch quelli che hanno veduto o altramente sanno et conoscono detti assassini, non dubio che da loro spaventati non vogliono deponer la verit. Onde noi misero fratello et moglie et figlioli, genibus flexis ai piedi suoi, la supplichiamo con ogni efficatia la sii contenta delegar questo caso al clarissimo officio dellAvogaria, ove secondo lordinario contra questi assassini si habbia a proceder, perch cos et pi facilmente li testimoni, che sano et conoscono li colpevoli, li palleseranno alla giustitia et questi tristi portaranno la pena di tanta loro scelerit, che altramente cosa certa che tal nefandissimo delitto restar occulto, per il timor che hanno gli uomini di deponer il vero, cosa che non die esser tolerata dalla molta piet di questa Serenissima Rpubblica et dalla prudenza di Vostre Signorie, che amano li suoi sudditi. Et alla buona sua gratia humilmente si raccomandiamo. 1577 18 luglio Che alla sopradetta supplicatione rispondi il podest et capitano di Treviso (filza 333)

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