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A. Caracciolo, Studi kantiani, a cura di D. Venturelli (La Cultura delle Idee, 24), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995, pp. 272.

I primi anni Cinquanta sono determinanti per la definizione del pensiero filosofico di Alberto Caracciolo: nel 1953 egli pubblica infatti Arte e pensiero nelle loro istanze metafisiche. I problemi della Critica del giudizio, lopera che segna linizio ufficiale del confronto critico con uno dei suoi quattro autori: Immanuel Kant. Il colloquio con il filosofo tedesco rappresenta il miglior banco di prova per una speculazione ormai matura che intende trovare una precisa direzione sia in ambito estetico che teoretico. Il ripensamento della Critica del giudizio consente a Caracciolo di sviluppare i problemi che lo impegnano in questo periodo: la questione dellarte come poiesis e il tema della natura del pensare filosofico. Limportanza di queste acquisizioni e il peso del dialogo con Kant per lintera meditazione caraccioliana sono in primo piano in questi Studi Kantiani. Il volume articolato in due parti: la prima (intitolata I problemi della Critica del giudizio) presenta molte delle pagine di Arte e pensiero, che Caracciolo ha riveduto e corretto fino al 1987; la seconda (dal titolo Momenti di un libero ascolto) offre un insieme di scritti risalenti ad occasioni e tempi diversi, ma come precisa il curatore dellopera ispirati tutti a problemi e motivi legati allapprofondimento della prospettiva metafisica, etica e religiosa di Kant (p. 8). La Presentazione del Venturelli mostra come Arte e pensiero rappresenti il vero e proprio punto di partenza della originale e tormentata filosofia caraccioliana. Venturelli individua nello scritto del 53 i temi pi importanti e suggestivi della speculazione caraccioliana pi matura, colti sul comune sfondo del problema religioso. La cifra etica e religiosa dellautentico filosofare di Caracciolo spiega Venturelli si definisce compiutamente attraverso una lettura jobica di Kant e mediante unattenta rielaborazione della sua potente religiosit. Il nichilismo, la domanda radicale, il problema del male continua il curatore possono essere colti nella loro pienezza solo se collocati sullorizzonte metafisico che domina lintero pensiero dellAutore. E su quellorizzonte si innesta anche la importante questione estetica incentrata sullarte-poiesis. Il pensiero caraccioliano, misurandosi fin dallinizio con la questioGiornale di Metafisica - Nuova Serie - XIX (1997), pp. 183-202.

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ne del senso e della giustificazione dellesistenza umana nel cosmo, fondamentalmente incentrato sul problema metafisico. Tale questione Caracciolo ritrova nelle pagine della Critica del giudizio, l dove Kant affronta il problema dello scopo finale (Endzweck) della vita delluomo. Per il fatto di richiamare con forza la domanda pi profonda del significato, del fine della realt (p. 46), quellopera scrive lAutore nellIntroduzione , nella sua linea fondamentale, metafisica (p. 45). Caracciolo scorge indicazioni importanti nellinsoddisfazione che nasce in Kant dalla spiegazione fenomenica della natura e dalla conseguente esigenza di comprendere finalisticamente lesistente. Il filosofo tedesco nella terza Critica osserva Caracciolo avverte che troppo nella natura si rivela come dominato da un ordine. Simpone un principio di esplicazione non causalistico (p. 118). Unattenta analisi del giudizio teleologico (prima parte, cap. V, Il giudizio teleologico, pp. 107-126) conduce lAutore a rintracciare le prime formulazioni kantiane della domanda teleologica e ad individuare lorigine morale e la natura religiosa del problema metafisico. Il principio di finalit, secondo Kant, si afferma entro lorizzonte morale nel rispetto dellordine meccanico-causale: luomo riconosce cos lo scopo finale della propria esistenza e perviene ad una pi alta visione del mondo. Attraverso lassimilazione della lezione autentica del criticismo Caracciolo allontana lidea che la filosofia di Kant rappresenti un momento decisivo per la dissoluzione della metafisica. Il confronto con il filosofo tedesco gli consente anzi (seconda parte, cap. II: Morte o trasfigurazione della metafisica in Kant, pp. 183-199) di porre laccento su una metafisica nuova, riformata, come dice Venturelli conscia della propria origine esistentiva e della propria impostazione esistenziale, e quindi anche della cosmicit del proprio interrogare (p. 15). Anche in Kant sebbene sotto altra forma compare la domanda che fu di Leibniz, Schelling, Jaspers e Heidegger: perch lessere e non il niente? Kant indica chiaramente a Caracciolo laspirazione conoscitiva pi alta delluomo (p. 46), quella che inevitabilmente richiama il motivo fondamentale del limite umano, il sentimento di ci che ci supera e si impone a noi (ibid.). Nella Critica del giudizio precisa lAutore la visione metafisica si dipana nellorizzonte della Vernunft a partire da quel giudizio che per lintima sua natura, trascende [...] al piano della coscienza e investe il cosmo tutto per tentarne il significato ultimo (p. 132). Ed nella moralit della coscienza, secondo il suggerimento kantiano, che deve essere cercata la risposta alla domanda teleologica. Caracciolo guarda oltre la categoricit dellimperativo morale e conclude che non nellimperativo morale muore, ma da esso nasce la stessa radicale domanda metafisica (p. 197). Anzi lidea ultima da cui nasceva quella domanda proprio la materia, loggetto, il fine dellimperativo categorico (p. 222).

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Ora, mentre Kant sembra concepire la moralit in maniera a s stante o comunque distinta da quelli che sono i diversi modi dellessere umano, Caracciolo ritiene invece che la moralit sia la vita nella sua totalit in quanto vista e indirizzata appunto moralmente (p. 134). Inoltre la vita etica, che dovrebbe rappresentare la risposta alla suprema domanda delluomo, apre in realt ad un ulteriore plesso di interrogativi. Alle difficolt di ascolto e di riconoscimento della legge morale che parla in lui, deve aggiungersi per luomo la drammaticit di una situazione vitale di anormalit. Agire moralmente significa tentare di costruire qualcosa che abbia senso in una vita comunque segnata dalle difficolt, dal dolore, dalla morte. Se vero che tutte le situazioni sono trasformabili in valore (p. 138), altrettanto vero per che ben poca luce di valore ci riesce di scorgere nel volto di un uomo gravemente malato o in quelli del focomelico e dellidiota. E nelle circostanze anormali, nelle quali linfelicit mina lagire morale alla radice e testimonia una non corrispondenza tra moralit e felicit, che Kant ha individuato come ricorda lAutore laspetto che pi grida la insufficienza di questo mondo (p. 141). Se la moralit palesa cos la sua insufficienza, la tensione unitaria in cui, per lAutore, si risolve la vita dello spirito non pu arrestarsi al momento etico, ma rinvia di necessit ad un piano superiore. Kant ha parlato di una legge costitutiva delluomo, la legge del Sollen o dovere, che non da lui ma gli si impone sotto forma di imperativo in ogni dimensione del suo operare: pensiero, poesia etc. per essere morali, debbono avere precisa Caracciolo la loro occulta radice in una disposizione religiosa, che volont della vita come cosa che noi facciamo [...] ma che non pu avere il suo fine in noi [...] (p. 135). Per Caracciolo certo degno di nota il fatto che Kant parli di un mondo che non il nostro nel quale ha luogo la corrispondenza tra moralit e felicit. Lidea che diversa vita sarebbe possibile idea che comunque pu sorgere dalla pi normale delle esistenze testimonia una tensione religiosa nellimpostazione kantiana, per cui ricorda Caracciolo Dio , nella vita morale, anche il termine di un colloquio e di una invocazione (p. 145). Questa religiosit, tuttavia, in Arte e pensiero appare ancora, agli occhi di Caracciolo, come un postulato della moralit: solo pi tardi come testimonia un appunto inedito del 1973 che il Venturelli pone alle pp. 145-146 di questi Studi il respiro religioso della filosofia kantiana viene colto dallAutore in tutta la sua potenza. Ci avviene allorch Caracciolo in particolare in opere come Pensiero contemporaneo e nichilismo (1976) e Nichilismo ed etica (1983) , individuata la coincidenza tra domanda radicale (o teleologica o della metafisica) e domanda del nichilismo, tematizza compiutamente la propria personale visione religiosa. Nella Critica della ragion pura leggiamo nel cap. I della seconda

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parte: Lestetica trascendentale. Problemi e cenni, pp. 177-182 l dove Kant tratta dello spazio e del tempo, Caracciolo individua, sotto aspetto negativo, lidea limite del nulla e, sotto aspetto positivo, lidea della possibilit pura e infinita (p. 181). In quelle pagine lAutore trova spunti significativi per definire lambivalenza del nihil presente nella domanda del nichilismo: il nihil come niente (niente assiologico-ontologico) e il nihil come nulla ( Nulla religioso). Il nichilismo rappresenta un passaggio obbligato dellitinerario speculativo di Caracciolo, ponendosi da un lato come signum temporis ovvero situazione storica delluomo idealmente contemporaneo e dallaltro come termine interpretativo della struttura ontologica delluomo. La filosofia kantiana, penetrata da Caracciolo nella sua sostanza, gioca un ruolo decisivo nellevidenziazione e nel superamento di questo momento. Una corretta comprensione della Vernnftigkeit e soprattutto un accostamento alla vera etica kantiana (non formalistica, unetica che Verantwortungsethik ) consentono allAutore di ritrovare nel filosofo tedesco la domanda che costituisce il Kern del nichilismo, linterrogativo che fu di Giobbe, di Cristo sulla Croce, quello che ogni uomo ricerca nella propria coscienza (cfr. seconda parte, cap. IV, Kant e il nichilismo, pp. 209-227). Guardando allautentico oggetto o fine o materia dellimperativo morale (p. 214), Caracciolo coglie il senso non solo etico ma metafisico del Du sollst: comprende che esso implica les soll sein: comandando il sommo bene, limperativo etico kantiano chiede, sul piano ontologico, ledificazione di un mondo sensato e giustificato, purificato dal male. La filosofia umana di Caracciolo ha il merito di guardare alluomo che sente il comando etico in tutta la sua drammaticit e si sforza di realizzare un valore nelle figure e nelle circostanze che la vita gli concede. Anche e soprattutto nellagire morale luomo viene colto nella sua autenticit e la sua vita viene vista quale quella di un suddito e di un sovrano ad un tempo. A questa visione delletica corrisponde una sempre pi precisa caratterizzazione della prospettiva religiosa: una lettura mitica dellambiguit dei trascendentali kantiani (pp. 217-218-219) a consentire allAutore di individuare quello spazio vuoto, nel quale nessuna figura di Dio compare, quel Nulla (religioso) che per tutto, a partire dal quale Caracciolo costruisce la sua proposta religiosa. Tale proposta si pone al di l di qualsiasi confessione e dogma e viene edificata a partire da un principio trascendentale (per Caracciolo la religione modo e struttura della coscienza umana). A partire da Kant lAutore ha individuato lapriori che domina entro lo spazio del Nulla (p. 231), una dimensione che problematicamente trascendente e trascendentale. In questo orizzonte luomo da sempre, per il fatto di essere in questo spazio si interroga radicalmente ma soprattutto individua il male come

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ci che deve essere eliminato nella sua strutturalit. La questione del male quella in cui generalmente si compendia lintera meditazione caraccioliana. Caracciolo affronta tutti e tre gli aspetti del male che la tradizione ha distinto (male fisico, male morale, male metafisico), ma fuor di dubbio che la sua ricerca si distingue nel momento in cui esamina il malum mundi, ossia il male ontologico, metafisico che essendo la condizione di possibilit dei singoli mali storici (mala in mundo) investe la radice e la struttura dellesistere (seconda parte, cap. III, Il male nellesperienza religiosa, pp. 201-209). Anche per la definizione di queste tematiche stato decisivo linflusso della filosofia kantiana: ne La religione nei limiti della semplice ragione (1793), infatti, il filosofo tedesco parla di un male radicale, di uno Hang (propensio) zum Bsen per cui nessun uomo ricorda Caracciolo mai certo che, anche nella pi conforme alla legge morale delle sue azioni, alla radice non stia qualcosa di ben diverso dalla purezza dellintento morale (p. 222). Caracciolo registra i tentativi kantiani di ridurre quello che appare come un peccatum originarium ad un male morale, ma assolutamente certo dellontologicit e metafisicit del male anche nellorizzonte kantiano. Del resto le considerazioni del filosofo tedesco sullo scandalo che segna il nostro mondo, le antinomie insite nella legge morale, per cui comandando a ciascun uomo [...] [il sommo bene, la corrispondenza di moralit e felicit], comincia col chiedere a lui il massimo rischio di essere infelice (p. 225), rinviano ad una redenzione che non pu essere soltanto morale. Caracciolo trova nella filosofia di Kant una parola di salvezza, un cenno che apre la strada alla redenzione. vero che la moralit ci fa, in questo mondo, sicuri della possibilit della Croce, ma nulla nel mondo assicura che sempre e necessariamente allora nona del venerd santo si congiunga lalba pasquale (p. 225). Ma anche vero che il Du sollst, nonostante tutto, permane nellorizzonte vitale delluomo e al di l delle antinomie che reca con s resta categorico. Anche di fronte alla negativit proprio nellobbedire al Sollen, luomo avverte il valore intrinseco allesistere, esperisce che il mondo che chiede di essere fondamentalmente degno di essere. Lavverte proprio in ci che sembra testimoniare il contrario (p. 226). A partire dallimperativo (categorico) etico insito in ogni individuo, testimonianza di dignit per ogni essere umano, Caracciolo delinea un imperativo ontologico delleterno, un apriori che garantisce la redenzione del malum mundi. Kant ha parlato di un summum bonum e lha qualificato come il fine, loggetto ultimo di tutta la condotta delluomo, perennemente perseguito e mai raggiunto. E il summum bonum altro non se non una figura aeternitatis, di quelleternit postulata dallimperativo (ontologico del bene) che domina nello spazio del religioso. Per tale imperativo, degno di essere soltanto ci che vive di vita eterna (eternit non immortalit, anche se, verosimilmente la implica [...]). Solo un essere (verbale!) che in s esperisca la compiuta giustificazione del

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suo essere [...] incondizionatamente degno di essere (p. 232). Lindagine sulla natura del conoscere filosofico ha condotto Caracciolo ad esaminare il problema metafisico concepito come questione etica e religiosa. Ora, sebbene lAutore prenda atto dellessenziale distacco tra il momento filosofico e il momento estetico, procedendo ad esaminare in Kant il puro giudizio estetico gi staccato dal teleologico (p. 53), nondimeno avviene che la questione dellarte-poiesis sinnesta nella dimensione metafisica. Questo perch come precisa Venturelli il legame fra teleologia e teoria del bello conserva per Caracciolo un valore simbolico che rinvia al tema della profonda e segreta affinit tra larte poietica e il pensiero metafisico (p. 12). Negli Studi kantiani ci visibile soprattutto quando (prima parte, cap. II, Il sublime, pp. 71-76) Caracciolo mira a delineare la realt religiosamente tragica della poiesis attraverso un attento esame del piacere (estetico) che nasce dallesperienza (estetica) del sublime kantiano. Allorch questo peculiare momento estetico viene visto come un processo che, a partire da unimmagine non anatomicamente considerata, rinvia al piano metafisico, allora appare chiaro che quel piacere dipende dalla coscienza della propria partecipazione allidea della totalit e della sostanzialit metafisica (p. 74) e viene visto come la gioia che accompagna lintuizione della grandezza e dellaltezza del destino umano (p. 75). Il capitolo terzo (La teoria dellarte, pp. 77-100), in cui dellarte si dice che suggestiva di idee infinite ed indefinite (p. 30) e apre allorizzonte dellillimitato, e il capitolo quarto (Luniversalit del giudizio estetico, pp. 101-105), nel quale lAutore sottolinea il carattere di fedelt storica tipico del rivivimento artistico, preparano la possibilit dellattingimento del Nulla religioso o spazio delleterno in campo artistico. Caracciolo mostra come larte-poiesis sia uno dei modi o delle figure dellattingimento delleterno. Ma sono, senza alcun dubbio, le pagine dedicate al bello di natura (cap. VII, Il bello di natura, pp. 147-167) a costituire il nucleo centrale dellestetica caraccioliana. A partire dallidea kantiana di Naturschnheit, ossia dalla convinzione che in natura vi siano delle cose universalmente (cio da tutti riconosciute come) belle o, il che lo stesso, che lesperienza estetica nasca necessariamente in relazione a determinati oggetti Caracciolo rivendica la legittimit di una impostazione coscienzialistica anche nella dimensione estetica. In altre parole, occorre dunque ammettere la necessit di un porsi del soggetto in una posizione determinata perch si realizzi in lui lesperienza del bello, cio lesperienza poetica (p. 155). Si chiede infatti lAutore: che cosa diventa il campo di grano, da cui la bionda Cerere emergeva col capo, per il partigiano che vi cerca un nascondiglio di fronte al nemico che linsegue? (p. 155). Attraverso lesperienza estetica conclude Caracciolo luomo approda cos ad un mondo vastissimo e ricco di immagini nel quale si tratta di stabilire la parte giocata dalla realt in quanto tale. Il proble-

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ma cruciale dal momento che larte s liberazione [catarsi], ma reca in s leco del mondo che siamo chiamati ad accettare, prima, e forse pi, che a costruire (p. 161). Alessandro Ulian

A. Rosmini, Aristotele esposto ed esaminato, a cura di G. Messina, Citt Nuova Editrice, Roma 1995, pp. 760.

Antonio Rosmini si dedic alla ricognizione delle opere di Aristotele verso la fine del 1852, durante la stesura dellOntologia , quando cio, meditando sul tema delle Categorie, si ritrov a sentire forte lesigenza di ristudiare il problema fin dalla sua prima formulazione, ossia sul testo di Aristotele (p. 11). Ma quel che Rosmini cercava in quella prima formulazione era la radice ultima di un percorso di pensiero che, sfociando nellaristotelismo e nellaverroismo, costituiva il principale responsabile delle numerose eterodossie del pensiero medievale e, attraverso questo, esercitava ancora una profonda influenza sui sistemi filosofici dei contemporanei (ibidem). Gaetano Messina, curatore di questa nuova edizione dellAristotele, non intende soddisfare solo lesigenza di un testo ineccepibile sotto il profilo filologico e di un commento scientificamente aggiornato (p. 30) ma, attraverso la ridefinizione dei parametri ideali della ricerca rosminiana, aspira a proporre una nuova lettura dellAristotele; e ci al fine di consentire il deciso inserimento del pensiero e della ricerca rosminiana, in termini di verifica e di confronto nel vivo dibattito contemporaneo (ibidem). Che dunque anche il Messina sia in realt alla ricerca di radici ? E ci certamente non nel senso che si voglia ricondurre a Rosmini lorigine del contemporaneo dibattito, quanto piuttosto e pi propriamente nel senso che pu risultare unoperazione feconda quella che, inserendo Rosmini nellattuale scenario di pensiero, fornisse a questultimo unoccasione preziosa per ritrovare spessore e profondit di radicazione speculativa. Per questo il curatore intende affidare alle sue note il compito di chiosare sistematicamente i luoghi nodali dellinterpretazione rosminiana con i testi pi autorevoli e recenti della letteratura critica su Aristotele (ibidem). Daltra parte: che la forza e il vigore propri di un pensiero possano essere anima e motore di ben altri pensamenti, eppure restare relegati nellambito del non consapevole, lo sapeva bene anche Rosmini, il quale, proprio nella prefazione allAristotele, esponendo le motivazioni che lo avevano spinto ad occuparsi dellopera dello Stagirita e le finalit che con questopera intendeva perseguire, scrive che le espressio-

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ni aristoteliche ancora al d doggi suonano su tutti i labbri, anche di quelli che nignoran lorigine, e sono confitte, per cos dire, in tutte le scienze, principiando dalle fisiche sino alla teologia, quasi sopravviventi duna vita tenacissima al sistema a cui appartengono ( 8). L Aristotele esposto ed esaminato fu pubblicato per la prima volta a Torino nel 1857; poi, una seconda volta, a cura di E. Turolla a Padova nel 1963-64. Di entrambe le edizioni il Messina d notizie accurate e vaglio puntiglioso nellintroduzione, l dove viene opportunamente sottolineato come la presente edizione sia criticamente fondata sullautografo del Rosmini e sul testo a stampa da lui approvato, nellintento di restituire nella sua integrit la lezione degli originali (p. 30). N manca un excursus accurato e puntuale della approvazioni e delle critiche incontrate dallopera lungo i decenni: dalle reazioni per cos dire a caldo (in realt non-reazioni, nel senso che essa pass quasi inosservata, come appare dallo sparuto drappello di critici e recensori p. 12), fino allo studio di E. Berti del 1978 e quelli ancor pi recenti di G. Vuoso, di D. Galati e di G. Imbraguglia. E, poich chiunque intenda accostarsi allAristotele con corretta metodologia deve avere un termine di riferimento esterno negli studi di filosofia aristotelica pubblicati in Italia nella seconda met dellOttocento, ma anche un termine di riferimento interno nellintero plesso degli aspetti storiografici e speculativi di questopera rosminiana (p. 16), a soddisfare questa esigenza dedicato grande spazio non solo nelle note (in particolare la nota 25 che d conto di tutti gli studi aristotelici del sec. XIX in Italia), ma anche nellIntroduzione stessa. In questa, oltre a mettere in guardia dalle faziosit di estimatori entusiasti, ma in realt incompetenti ( il caso del Tommaseo: cfr. pp. 16-17), nel riconoscimento pieno dei difetti e dei limiti di uninterpretazione (quella rosminiana) in qualche parte viziata da unerrata esegesi del testo o da immotivate conclusioni ermeneutiche, viene guadagnato lo spazio e lopportunit di sottolineare a maggior ragione il valore storiografico di unopera (l Aristotele), il cui contributo al dibattito sulla filosofia aristotelica rimane indubitabile. Sulla base di tutto questo, vengono dunque indicate le linee di una valutazione che guarda al presente lavoro rosminiano non come a unindagine su Aristotele, ma piuttosto come uninchiesta contro Aristotele, in una polemica che rimane tuttavia una decostruzione teoretica indispensabile allo sviluppo del pensiero rosminiano (p. 18). E per questo il giudizio sullopera alla fine almeno in parte positivo (p. 17): la lettura che Rosmini d di Aristotele una lettura personale alla quale bisogna accordare la stessa autonomia che si disposti a concedere ad ogni altra lettura personale (p. 18); inoltre opportuno tener presente il fatto che linterpretazione rosminiana della filosofia di Aristotele non episodica e isolata, ma stata preceduta e seguita da importanti saggi che rispecchiano lo stesso orientamento speculativo del Rosmini (ibidem e nota 30); infine, poich la pi recente let-

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teratura critica ha aperto nuove prospettive sul pensiero di Aristotele (ibidem), il riesame di questopera rosminiana si presenta non solo utile ma anche necessario. Grazia Tagliavia

F. Garritano, Questioni di legge. Valore ed etica in Pierre Klossowski, Jaca Book, Milano 1996, pp. 169.

Che la teorizzazione e listituzione di regimi repubblicani e democratici costituisca una delle conquiste pi significative nella storia delle civilt e che soprattutto in Occidente tale conquista sia addirittura divenuta criterio e anche conditio sine qua non per lammissibilit di uno Stato (e di una Nazione) nei consorzi internazionali, fuor di dubbio. La storia ci attesta che, al di l della teorizzazione e dellistituzione, ladesione dei singoli membri della collettivit allo spirito di tali regimi avvenuta, per lo pi, non in maniera immediata: qui ha necessitato soprattutto di un lento processo di alfabetizzazione, di individuazione e gestione delle risorse, di pianificazione del lavoro; l di forti organizzazioni sindacali, di serrati confronti sociali e politici; altrove addirittura di scontri civili, di martiri. Per molti cittadini di questi Paesi (appartenenti soprattutto alle generazioni successive a quelle che storicamente hanno determinato lavvento dei suddetti regimi) tale conquista appare come un fatto quasi ovvio, gratuito, fortemente radicato nella logica dello sviluppo della civilt, scontato ed ineccepibile quanto a validit. Quando non si arriva a banalizzare tutto questo, e con esso pagine drammatiche del pi recente passato, i segni pi eloquenti e le manifestazioni di sentita appartenenza a tale patrimonio costituzionale sono dati dalloltrepassamento della sfera individuale e del privato e quindi dallassunzione di un impegno in seno al volontariato. Altrimenti nella macchina dello Stato (come ci si esprime talvolta, malcelando un qualche vanto per il suo sofisticato funzionamento), vissuta come apparato fortemente personificato e resa forte e superiore alle individualit in virt dei princpi etico-giuridici cui si conforma, ci si limita ciascuno ad esplicare il proprio diritto-dovere di sudditanza, senza vero interesse n partecipazione, ma solo come dente della ruota di un ingranaggio. Lobiettivo pi ragguardevole (fra gli altri) dellarticolato e, per limpostazione, decisamente originale e sottile saggio di Francesco Garritano intorno ad alcuni aspetti della riflessione di Pierre Klossowski, mi pare proprio quello di voler offrire un contributo alla comprensione dei presupposti e dei processi teoretici, psicologici, mitici, etici e politici che stanno alla base e accompagnano storicamente la formazio-

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ne dei regimi politici; e, in particolar modo, di voler mostrare come tali presupposti e processi abbiano determinato anche presso i regimi indubitabilmente democratici (ma forse, bisognerebbe rettificare: soprattutto presso questi, purtroppo) una forte ed esuberante concezione dello Stato come fondazione, giustificazione e gestione del potere, al di sopra, sempre e comunque, delle individualit. Si tratta di una concezione dello Stato (divenuto esso stesso suprema individualit) in cui normalizzazione e codificazione dei princpi etici hanno determinato una sorta di alienazione del singolo (responsabile della irresponsabilit comune) e in cui pi o meno celatamente opera come massimo princpio quello mai sufficientemente nitido e persuadente della ragion di Stato. Per il suo lavoro Garritano ha individuato un approccio molto particolare e suggestivo al pensiero di Klossowski che consiste nella ricostruzione delle influenze da esso subte e dei suoi sviluppi, attingendo alle fonti direttamente impiegate o tradotte dal filosofo francese (autori gnostici, Tertulliano, Agostino, Sade, Kierkegaard, Nietzsche, Freud, Heidegger). Questa operazione ha consentito allautore, tra laltro, di interloquire con Klossowski e di illustrarne considerazioni etiche e politiche a partire per cos dire dallinterno del suo pensiero e non soltanto dalla fruizione delle opere. La prima parte del saggio presenta lo scenario da cui Klossowski prende le mosse. Si tratta anzitutto delleredit heideggeriana circa la parzialit e i limiti di un pensiero calcolante (costretto dalla mediazione della parola) e circa lindividuazione di un pensiero immediato e apofantico (dispiegato dalla poesia e dallimmagine): eredit che se da una parte stata pienamente assorbita da Klossowski (il quale dal 1975 in poi ha optato per il disegno e la pittura rinunciando alla scrittura), dallaltra ha mostrato, proprio col ricorso ad altre forme di linguaggio e dunque di codificazione, la necessit di una rappresentazione mediata. Ma allimporsi, istituzionalizzandosi, del linguaggio e della rappresentazione si storicamente accompagnata la nascita di forme di societ basate sullinibizione e il controllo delle pulsioni e quindi sulla comparsa di valori e di norme oltrepassanti e comprimenti la sfera dellindividuo. Klossowski, facendo propria la tesi freudiana relativa alla formazione del Super-Io, scorge nellistituzione della legge, nella riduzione del sacro e del religioso (originariamente ambiti di liberazione, di manifestazione e sfogo degli impulsi) a norme di divieto e nella connotazione della giustizia quale sacralit del potere, unistanza totalizzante, e tuttavia accolta, condivisa e reiterata in nome della morale. Su questo troncone si facilmente innestato il cristianesimo, recepito come fenomeno religioso e culturale pi che come annuncio di fede e di salvezza. Ragione per cui Klossowski trova plausibile tanto la concezione kierkegaardiana della fede, quale superamento della morale e dunque di ogni senso di colpa, tanto la denuncia nietzschiana di una soppressione del naturale istinto a volere, lio voglio, in nome del dove-

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re sacro e istituzionalizzato, il tu devi. Tuttavia il suo assenso va soprattutto al pensatore tedesco da cui mutua: il mito delleterno ritorno; lannuncio della morte di Dio quale atto che scalza qualsiasi fondamento di onniscienza e onnipotenza divina o adagiamento su norme etiche massificanti e deresponsabilizzanti; la priorit della volont, quale energia e forza originarie dellindividuo, antecedente la coscienza. Da queste premesse si profila lesigenza di una nuova forma di pensiero e di relazione fra gli individui; e cio, rispettivamente: del pensiero corporante, cos detto perch fondantesi non tanto sulla sicurezza e la continuit istituzionali, quanto sulla fluttuazione dellenergia che anima luomo e il cosmo, quindi sulla discontinuit, e dell impolitico, criterio su cui si erge la nuova citt. Alla illustrazione dei caratteri di tale citt e soprattutto ai tratti che la distinguono da quella attuale, interamente dedicata la seconda parte del lavoro di Garritano. La nuova citt definita sadiano-nietscheano-klossowskiana non quella edificata sulla base degli ideali della Rivoluzione francese, la quale si limitata a sostituire il re con il popolo, e a legittimare cos sia la funzione sia lordinamento giuridico da quegli istituito; n quella in cui le dimensioni mitica e sacrale dellistinto naturale delluomo vengono rilevate da pratiche istituzionali, da dogmi e dottrine, da formule etiche pi o meno rigide. La nuova, la citt dellateismo integrale, ovvero delluomo immerso nella natura, naturalmente libertino e depravato, che vive al di l di ogni limite normativo etico o giuridico, e dunque al di l di ogni teleologia o teologia politica. Oltre a Sade, lo gnostico Carpocrate viene addotto ad esempio di cittadino ideale, zelante nellosservanza delle leggi divine e disprezzante di quelle umane. Lateismo integrale determina la fine della ragione antropomorfa cio di ogni ragione normativa prestabilita e salva la fede dallinaridimento che segue al suo codificarsi in norme, dottrine, istituzioni, forma mentis. In tale contesto non c pi spazio per il valore, per nessuna violenza esercitata in nome di un princpio, di una norma o di una istituzione; non c pi spazio per un Dio (comunque lo si concepisca), per amore del quale si possa divenire giustificatamente irresponsabili. In tale contesto c invece luomo finito, per nulla capace n desideroso di sondare lirrappresentabile e per il quale ciononostante ha senso una sovranatura, cio uno spazio mitico ignoto che lo eccede: solo questo tipo di uomo pu assumere veramente e pienamente su di s delle responsabilit. Si tratta, come evidente, di una riflessione inquietante che trova dei punti di pertinenza con la realt del nostro tempo: soprattutto allorch si allude ad una grave difficolt di discernimento per cui individualit e collettivit si confondono e si perdono nella cieca sottomissione al potere e alle istituzioni; ma anche allorch si comprende quale retroterra nascondono certe strategie e atteggiamenti politici. Si tratta di una lettura critica di ci che comunemente viene definito progres-

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so civile. Si tratta, inoltre, di una sollecitazione a ricondurre la politica alle sue radici filosofiche e la filosofia su terreni diversi dalle tradizionali ontologie. Di tutte queste istanze, Garritano si fa portavoce, contrappuntando con puntualit e chiarezza il discorso klossowskiano. Tuttavia, di fronte allinoppugnabilit di certe premesse, si pu ravvisare la discutibilit delle conclusioni da quelle tratte. Infatti, a differenza delle riflessioni dellultimo quarantennio che per impostazione e orientamento possono essere accostate a quella di Klossowski e che pur nella limitatezza di vedute circa la speranza e le effettive possibilit di attuazione si curarono comunque di indicare delle prospettive ben precise, il pensiero corporante klossowskiano si allontana decisamente da una prospettiva fenomenologica dellessere umano giustappunto dopo aver espresso il faticoso tentativo di recuperarne lessenza pi propria. Alla fin fine, la responsabilit di cui egli auspica lavvento, in effetti priva delle sue condizioni di possibilit, dei contesti storici in cui attuarsi (si pensi, per converso, allanalisi dellEsserci e al senso della responsabilit auspicato da Hans Jonas). Ancor pi che nellavveramento di unutopia, la speranza klossowskiana finisce per fondarsi sullavvento di un nuovo big bang che porti automaticamente con s un accadimento diverso dellEssere e della storia. Romolo Perrotta

A. Poma, Impossibilit e necessit della teodicea. Gli Essais di Leibniz, Mursia, Milano 1995, pp. 264.

La teodicea si pu definire come la difesa e giustificazione di Dio contro le accuse mossegli per lesistenza del male. In questo senso, essa una sorta di pratica alla quale i credenti non possono sottrarsi, a causa dellineludibile e sempre ricorrente dubbio scettico insito nella domanda Si Deus est, unde mala?, oppure di quello gnostico che potrebbe essere cos formulato: nisi a Deo, unde mala? Ora, la teodicea ha il carattere della modernit, secondo la tesi di Odo Marquard, nel senso che una vera teodicea concepibile solo nel mondo moderno nel quadro di riferimento della modernit, dove male e morte sono diventati viepi inconcepibili e ingiustificabili, e nel senso che la difesa di Dio ha portato persino alla sua negazione (se Dio non c, non colpevole per il male nel mondo). Il punto, secondo Poma, autore di questo saggio che affronta senza tergiversazioni e in modo preciso e assai documentato il tema in questione, che Marquard sottovaluta il tema del mistero, il cui senso stato annullato nelle filosofie moderne. E per Ricoeur, altro autore che costituisce un punto di riferimento costante del libro, il tema assente nella teodicea leibniziana. Poma ritiene invece

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che la teodicea di Leibniz offra unimpostazione del problema e uno sviluppo del discorso assai pi interessante di quanto spesso non risulti dal giudizio consolidato e diffuso su di essa, e pu presentare aspetti sorprendentemente diversi da quelli rispecchiati dai luoghi comuni, purch si legga senza precomprensioni e senza pregiudizi (p. 15). proprio questo senso del mistero che Poma vuole recuperare nella lettura di Leibniz: Non si dovr mai dimenticare limpostazione di fondo del discorso, per la quale leminente bont di questo mondo non la tesi da dimostrare, ma lassioma da cui si parte, e le argomentazioni svolte non mirano a dimostrare ci che, essendo un mistero, non pu essere compreso, ma solo spiegato in parte (p. 165). Cos Leibniz fonderebbe la sua tesi pi celebre, quella del migliore dei mondi possibili, partendo, a priori, dalla bont di Dio: il mondo migliore deve essere possibile, perch Dio lha creato; se non fosse possibile, Dio non avrebbe creato nulla (p. 173). Poma mette per in guardia dalle facili (e tradizionali) interpretazioni della famosa asserzione filosofica di Leibniz, intendendo il migliore come un superlativo assoluto (= ottimo) e non relativo. In questo mondo, il male metafisico non di per s un vero e proprio male, n il male morale e quello fisico possono essere ridotti ad esso, ma piuttosto il limite originario della creatura contingente; ma anche in questo caso, per Poma, il mistero impedisce di comprendere come il male sia parte integrante del mondo migliore possibile; mistero che per, con felice espressione, non costituito dal fatto che lapparenza contraddice la verit ma, al contrario, dal fatto che la verit contraddice lapparenza (p. 198); questo misura tutta la distanza che passa dal mistero allenigma: il mistero viene riscoperto come fecondo fondamento di giudizio critico sulla realt apparente, esatta antitesi della visione scettica della verit basata sul giudizio delle apparenze. Sulla scorta delle riflessioni sul pensiero leibniziano, la teodicea filosofica dunque impossibile, perch il male effettivamente ingiustificabile e privo di senso; ma anche necessaria allorch si riconosca, come mette in evidenza anche Ricoeur, che saggezza accettare il carattere appunto aporetico del pensiero sul male (cfr. p. 256); accogliere razionalmente il senso del mistero non equivale dunque a rifugiarsi in un piano irrazionale, ma significa cogliere una reale possibilit di giudizio critico della verit sullapparenza. questa una delle lezioni che il testo di Leibniz offre a chi, come Poma, lo legge con scrupolosa attenzione, libero dalle pastoie delle immagini tradizionali sul grande pensatore tedesco. Giuseppe Allegro

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U. Perone, Nonostante il soggetto, Rosemberg & Sellier, Torino 1995, pp. 194. un inequivocabile anelito dinfinit. O, per meglio dire, sono quelle domande, che la ragione non pu fare a meno di porsi, a resistere ancora, nonostante il percorso del pensare nella modernit, e quindi, nonostante il soggetto. Ugo Perone non scorge alternative. Lo scenario desolato nel quale il pensare ha consumato il proprio dramma lascia intravedere una via duscita. Quella del ritorno. Nellorizzonte ermeneutico, depurato dalle tentazioni nichiliste, bisogna recuperare la modernit che, come compimento del moderno anche un nuovo inizio. Tornare al cogito significa tentare di recuperare la potenza incoativa del soggetto prima del suo farsi atto, non per annullarne gli esiti, e neppure nel vano tentativo di un oblio impossibile, quanto, piuttosto, per restituire il soggetto a se stesso. Lipertrofia del soggetto, attribuita alla scomparsa delloggetto, secondo Perone di fatto, lultimo atto di una foga onnincludente. Il soggetto onnivoro ha finito con il divorar se stesso. il senso nel quale, in questo studio, si pu sostenere che filosofia contemporanea custodisca ancora la ricchezza pi preziosa nella duplice natura del soggetto. Nelle domande che il soggetto costretto a porsi sulla propria identit. Affermare che al cogito razionalistico di Cartesio debba sostituirsi lincompiuta poietica della volont di Ricoeur, significa, quindi, guardare al soggetto come allopaco e insuperabile tentativo di un volere che tenta di cogliere la propria essenza. Si snoda, cos, tra lillusione e lambiguit, litinerario tra identit e differenza del soggetto con se medesimo. Linsufficienza dell io, apre il varco al continuo rimando tra idem e ipse, per guadagnare, nello spazio della differenza, i diversi livelli di ipseit, cos come avviene in Ricoeur. Perone, in questo suo tentativo di rendere fruttuose le aporie del pensare, attraverso la strategia ermeneutica, si appropria delle tracce che ancora, in qualche modo, appartengono al cogito cartesiano. Le tappe fondamentali sono Levinas, mediato da Ricoeur, e, soprattutto, lineludibile passaggio dalla vicenda fenomenologica. Il motto fenomenologico di ritornare alle cose stesse viene letto come loriginaria riproposizione del tema della soggettivit, attraverso il riconoscimento di un mondo anteriore alla conoscenza. Filtrata dalla filosofia di Merlau-Ponty, la posizione fenomenologica viene a coincidere, anche se stentatamente, con la ridefinizione dellio. Lesito la coincidenza tra il recupero di tracce e assenze dellio, messo in atto dallermeneutica, e la restituzione del dimenticato allo stesso oblio, che di fatto compie la fenomenologia. Il rinnovamento della differenza da s, che il soggetto costretto a compiere, il fulcro dello studio di Ugo Perone. Dal rapporto del soggetto con se stesso, al rapporto del soggetto con il mondo. Il ritornare del soggetto a se stesso lo pone, infatti, dinnanzi al mondo, in un sentiero che non si interrompe. Larchitettura di questo nuovo impianto lontana dai momenti

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della dialettica hegeliana. La ridefinizione del soggetto e il suo rapportarsi allaltro da s lo inducono a spostare la barriera che lo separa dal mondo del quale vuole appropriarsi, ma non fino al punto di farne un limite o, addirittura, la propria destinazione. Il soggetto non ingloba pi laltro da se, e, colpevole della propria finitezza, si trova a fare i conti con un anelito, quasi romantico, di infinit. Lo scontro con laltro e il riconoscimento della meta sono gi ontologia. In questo senso il sentiero conduce fino al cuore del bosco, attraverso un desiderio che si fa bisogno e che trova nel bisogno il polo dialettico della propria natura. Alla filosofia Perone restituisce la necessit dellattesa, e le strategie per dilatare la pienezza del proprio presente, che sempre connotata da violenza. Si tratta del movimento del soggetto che radicalizza la propria finitezza, mentre sposta i limiti che lo circoscrivono. Lultimo capitolo: Testimonianza e verit, che ridiscute anche il rapporto tra la verit dello spirito e quella di natura, recupera il rapporto tra lio e laltro. La verit ermeneutica, si determina come una scelta di libert, che presuppone la rinuncia di ogni certezza. Il testimone della verit sempre portatore di una verit assoluta, mentre testimonia contro di s, perch il soggetto per essere deve radicarsi in un altro fino allinfinito. Valentina Errante

G. Raio, Simbolismo tedesco, Bibliopolis, Napoli 1995, pp. 148.

Riflettendo principalmente sul pensiero di tre filosofi gravitanti in area tedesca: Kant, Cassirer, Szondi, lautore offre unanalisi trasversale delle problematiche legate al simbolismo, che restituisce puntualmente la complessit del tema trattato. Il libro infatti costituito da una raccolta di saggi scritti tra l89 e il 95 che, affrontando direttamente e talvolta indirettamente il tema del simbolo da pi punti di vista, da un lato ricostruisce una mappa ideale dei pensatori legati anche inconsapevolmente al simbolo, i quali, pur essendo pensatori antichi e moderni vengono chiamati in questione come in un ideale simposio in cui ognuno dice la sua, e il cui contributo conduce ad avere una pi completa e quindi complessa visione del tutto, da un altro lato testimonia una presenza costante e maturata nel tempo dallautore rispetto alle problematiche in questione. Egli rintracciando, nellambito della cultura tedesca moderna e contemporanea di cui peraltro d esaurientemente conto due modi di intendere il simbolo, luno che ne privilegia laspetto morfologico-ermeneutico, laltro laspetto figuralistico-estetico, colloca idealmente Kant e Cassirer nella prima linea di pensiero, ossia in quella in base alla quale si

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considera la conoscenza come conoscenza simbolica e le forme dello spirito come forme simboliche [p. 9]. Gi in Kant infatti e ci trover conferma nella filosofia di Cassirer il simbolismo, essendo considerato come lanlogon dello schematismo, e talvolta come suo superamento [p. 10], assume uno statuto gnoseologico. Ma, secondo Raio, soltanto con Cassirer, che guarda al simbolismo kantiano attraverso la metamorfologia goethiana, e la fenomenologia hegeliana e husserliana in base alla quale la relazione soggetto-oggetto viene trasformata da schema a simbolo si passer dal simbolismo analogico come modalit rappresentativa al simbolismo morfologico come modalit produttiva e interpretativa [p. 11]. Per quanto riguarda la seconda linea di pensiero quella per cui il simbolo una figura se ne rintraccia una possibile origine nellEstetica di Hegel, e ne sono esponenti autorevoli anche Schopenhauer, e Creuzer, mentre in Cassirer lelemento figuralistico destinato a perdersi; in tale prospettiva il problema principale linterpretazione del simbolo, ossia la capacit di andare al di l delle figure. La possibilit di una lettura unificata di questi due modi di leggere il simbolo rintracciabile nella complementarit di pregnanza simbolica [p. 12] concetto-cardine della teoria morfologica ermeneutica di Cassirer, che costituisce la problematizzazione del passaggio da una forma simbolica allaltra ed interpretazione problematica centrale alla seconda prospettiva se si guarda allambiguit del simbolo : in questo senso linfinita trasformazione delle forme, linfinito trapassare da una forma allaltra della simbolizzazione, corrisponde allinfinita interpretazione delle figure, allinfinita interpretabilit del mondo secondo lespressione di Nietzsche [cfr. p. 12]. Ma se largomento principe di tutti i saggi pi o meno dichiaratamente il simbolismo, e in particolare quello tedesco degli ultimi due secoli, sicuramente il filo rosso che lega sotterraneamente tra loro i vari saggi il pensiero di Cassirer, di cui lo scrittore mostra essere attento conoscitore. Per quanto riguarda larticolazione dellopera, a saggi di notevole contenuto teoretico si alternano saggi che, chiarendo i rapporti tra i differenti filosofi, e offrendo pi che altro una nuova collocazione mentale per i pensatori in questione, sembrerebbero meramente descrittivi, ma in realt si rivelano essere anchessi funzionali allindagine in corso [Mi riferisco in particolare al II saggio e in parte al IV e al VI]. In Simbolismo e ontoteologia, lautore si propone di dimostrare come il principio analogico del simbolismo nella filosofia kantiana della religione sia riconducibile ad alcune modalit interpretative del significato quali il compromesso (Troeltsch), [e] la mediazione e il circolo (Cassirer) [p. 15]. Egli compie tale dimostrazione attraverso lanalisi della critica che Troeltsch e Cassirer fanno della filosofia della religione di Kant.

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Nel saggio dal titolo Funzione significativa e funzione simbolica, si evidenzia come il valore preformativo della teoria delle tre funzioni (espressiva, rappresentativa e significativa) introduca elementi di problematicit nella configurazione strutturale della teoria di Cassirer. Dopo aver riportato la disamina del concetto di simbolo compiuta in vari ambiti da Cassirer, Raio commenta: I riferimenti al concetto di simbolo in ambito estetico, religioso e matematico hanno un chiaro significato teorico: evidenziare il nucleo problematico della teoria delle forme simboliche, il problema del passaggio da un ambito allaltro, da una sfera spirituale allaltra, dalla filosofia della religione alla filosofia dellarte, dalla filosofia dellarte alla logica e alla teoria della scienza; mostrare il carattere trasformativo, metaforico-figurativo del passaggio da una forma simbolica ad unaltra: ogni passaggio in un nuovo ambito problematico comporta un nuovo spostamento del problema, [...] un continuo mutamento di significato, una sorta di processo dalle figure elementari alle figure complesse [p. 45]. sicuramente in questo saggio che viene sviscerata la problematica del segno, ed qui che con le parole di Cassirer si evidenzia come il segno non esprime e non rappresenta nulla, ma segno nel senso di una coordinazione puramente astratta [p. 50]. Infine mi pare opportuno evidenziare uno degli ultimi saggi dal titolo Il concetto di mito politico in cui viene sottoposta allattenzione del lettore una delle pi acute teorie dellultimo Cassirer, mi riferisco allintronizzazione del mito. Essa definita come il carattere peculiare del pensiero politico del 900: Il mito del XX secolo non pi unattivit inconscia come per i romantici, ma il centro stesso dellarte tattica e strategia politica, una combinazione artificiale fabbricata nel grande laboratorio della politica. Il mito ha subito una razionalizzazione: rimane irrazionale nel suo contenuto, ma razionale nei suoi scopi [p. 130]. Elisabetta Lo Bue

R. Nebuloni, Ontologia e morale in Antonio Rosmini, Vita e Pensiero Pubblicazioni dellUniversit Cattolica del Sacro Cuore, Milano 1994, pp. 288.

Chi ha dimestichezza con le pagine rosminiane sa bene quanto arduo possa presentarsi il tentativo di ricostruire lintero percorso speculativo di un pensatore quale Rosmini, nel quale vigore e ardimento speculativo si coniugano con una espressione che spesso, nellintento di guadagnare ricchezza di esposizione ad ogni questione, si muove sul filo delleccesso delle prospettive, della ridondanza delle precisazioni;

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il che rischia di diluire e talvolta di disperdere lo stesso nucleo aporetico. Roberto Nebuloni, ponendo specifica attenzione [...] ai temi ontologico-metafisici e di fondazione delletica, in questo volume riconsidera lintera produzione rosminiana, ed in particolare la Teosofia (Premessa, p. 3), riuscendo brillantemente non solo a ridare con fedelt le linee portanti dellintero discorso ontologico ed etico rosminiano, ma anche a richiamare e a problematizzare alcuni tra gli elementi pi significativi della sua impostazione e teorizzazione (p. 187). Viene cos fornito al lettore un approccio quanto pi possibile puntuale con le maggiori tesi del Roveretano, perch non c dubbio che solo avendo presente nella sua interezza, per lo meno nelle linee portanti, lintero cammino teorico proposto da Rosmini si pu ammirare la fatica di una cos alta navigazione intellettuale (ibidem). Nellidea dellessere, luce e forma di ogni conoscere, va ritrovata la legge madre delletica (p. 7). Per questo lessenza dellessere va indagata a fondo svelandone cio loriginaria dimensione morale, e la sua partecipabilit da parte dellente finito (p. 8). E, daltra parte, solo evidenziando il ruolo svolto nellambito speculativo rosminiano dalla forma morale, possibile conferire il giusto rilievo a quelle che possono considerarsi le conquiste pi alte della stessa ontologia del Roveretano. Ma il cammino indubbiamente molto lungo e richiede una lucidit di percorso, di analisi e di sintesi, non indifferente. Compito, questultimo, assolto in modo eccellente da questo volume, il quale rimane uno strumento davvero prezioso per chi, pur trovando dolce il mare rosminiano, tuttavia non intende naufragarvi. Ma c di pi: lattenzione allo snodo fra ontologia ed etica permette allautore non solo di riattraversare, pur nella necessit di inevitabili tagli e selezioni, i momenti pi significativi della proposta filosofica e sapienziale del Roveretano (p. 9), ma anche di evidenziare nella forma morale il ruolo di vertice dellessere soggettivo, sia di quello proprio dellEnte assolutamente essente, sia di quello costitutivo di ogni ente finito (p. 245). E questo, lungi dallesser letto come il necessario scotto pagato da un filosofo credente, quale fu il Rosmini (cos infatti potrebbe certamente apparire ad una lettura che rimanesse superficiale), viene invece sapientemente riconosciuto come il sintomo di una lettura estremamente attenta dellesperienza umana, colta nella sua interezza (Premessa, p. 3); e perci come segno di una metafisica e di una ontologia, capaci di riflettere e di portare a manifestazione lintero orizzonte dellessere, proprio attraverso lelaborazione della teoria delle tre forme, lideale, la reale, la morale. Scaturisce da tutto questo una lettura dellopera filosofica rosminiana viva e stimolante, capace di evidenziare una circolarit dialettica che nulla ha da invidiare ai grandi sistemi dialettici della storia della filosofia e, per di pi, ricca dellonest filosofica di chi non intende sottrarsi al compito gravoso di una indagine della relazione soggetto-oggetto,

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che sappia tenere insieme lEssere assoluto come fondamento e la sua ricomprensione nella nozione generale dellessere, nonch dei suoi rapporti con il finito. Una lettura, quella del Nebuloni, che, scorgendo allopera sullo sfondo della dottrina rosminiana delle forme dellessere [...] una riflessione teologica sullessenza dellEnte assoluto (pp. 244245), si spinge fino a dare a questa uni-trinit dellessere il nome di spiritualit: lEnte cui lessere compete per essenza necessariamente non cosa n, tanto meno, entit puramente mentale, bens Spirito, Spirito vivente, cosciente, amante (ibidem). Chiude il volume unappendice dedicata alla teoria rosminiana del bello e dellarte: pagine rilevanti anche queste per imparare a non sottovalutare una dottrina della bellezza, intesa quale luogo di privilegiato incontro delle forme dellessere e dunque di pi splendente manifestazione della verit, della pienezza, della ricchezza dellessere stesso (p. 267), in una prospettiva in cui il sentimento reale, la conoscenza oggettiva, lamore morale appaiono [...] le forme e i gradi di una vita vera e piena, la vita eterna, dalla cui nostalgia segnato il cuore delluomo (p. 285). Grazia Tagliavia

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