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Quale metafisica per, dalla, nella teologia?

Una riflessione teologico-fondamentale a 40 anni dalla Dei Verbum1


Giuseppe Lorizio [in Hermeneutica. Annuario di filosofia e teologia, Quale metafisica?, Morcelliana, Brescia 2005, 191230]

Il secolo che abbiamo alle spalle, forse anche grazie alla sua vera o presunta brevit, non ha certo riservato grande attenzione al pensiero metafisico, se si escludono alcune pregevoli eccezioni. Anzi, la filosofia del Novecento, nelle sue espressioni pi significative e rilevanti, ha coltivato una notevole diffidenza nei confronti della metafisica, motivando il sospetto nei modi pi vari e differenziati, e configurando in forma di volta in volta analitica o continentale una critica spesso ingiusta, talvolta feroce, in ogni caso diffusa, che si avvalsa dei saperi scientifici, dellingresso della storia, della deriva ontoteologica e quantaltro, sempre e comunque nel tentativo di oltrepassare il metafisico e il sapere da esso generato, ritenendolo sostanzialmente inadeguato a pensare luomo, il mondo, Dio: gli elementi della Stella, che esigono un nuovo pensiero2 e sempre nuovi approcci sia filosofici che scientifici. Il Novecento, tuttavia, sembra essersi chiuso con delle aperture, se non del tutto inedite, almeno dai pi e nel corso dei decenni, ritenute improbabili. Sicch la metafisica, per il tramite della ontologia, tornata ad interpellare pensatori sia della tradizione analitica (con una certa apertura anche alla teologia filosofica) che di quella ermeneutica. E, se bisogna certamente salutare con simpatia questo risveglio dellontologia, il pensatore attento non pu esimersi dal rilevare il riduzionismo intrinseco a tale operazione, che, mentre potr risultare proficua e certamente utile al ricupero dellistanza metafisica, daltro canto rischia di veicolare unidea di sapere metafisico in cui questo viene fatto sic et simpliciter coincidere con la dimensione ontologica, certo imprescindibile, ma che rappresenta appunto una sola delle molteplici dimensioni attraverso cui la metafisica chiamata ad esprimersi. Un analogo travaglio ha vissuto e sta vivendo la teologia. Ha seguito la sua ancella finch questa aveva una torcia con cui illuminare il suo cammino, ha continuato a seguirne le orme post o anti metafisiche, ritenendo di doversi liberare dalle strettoie ed angustie di schematismi fissisti ed obsoleti, ha condiviso la sorte nihilistica implicita nel rifiuto dellistanza metafisica, mentre oggi ritiene di non poterne fare a meno, ricuperando, per esempio attraverso lontologia trinitaria ci che aveva, non senza responsabilit, perduto. La vicenda e il rischio del riduzionismo ontologico sembrano riproporsi anche in ambito teologico. Lanalisi e il giudizio, per molti aspetti impietoso, non toccano i grandi maestri del Novecento teologico cattolico (penso a Rahner e von Balthasar, ma anche a Lonergan e de Lubac), ma va riferito alla teologia feriale, cos come nelle scuole cattoliche viene quotidianamente formulata e proposta. Un abisso di distanza sembra separare i corsi di filosofia teoretica (tra cui quello di metafisica, che spesso diventato con operazione riduzionistica nel senso sopra indicato di filosofia dellessere e della conoscenza) dagli
La prospettiva e quindi il metodo in cui muovono queste riflessioni vuol essere quello della teologia fondamentale, ossia del credo ut intellegam ovvero della fides quaerens intellectum, tenendo tuttavia anche conto del carattere di frontiera di questo settore del sapere teologico e del suo naturale rapportarsi alle altre forme del sapere ed in particolare alla filosofia. Per la prospettiva epistemologica in cui muoviamo cf G. LORIZIO, La teologia fondamentale, in ID. - N. GALANTINO (edd.), Metodologia teologica. Avviamento allo studio e alla ricerca pluridisciplinari, San Paolo, Cinisello Balsamo 20043, 376-430. 2 Lallusione ai tre elementi della Stella della redenzione (Dio, mondo e uomo) e alla proposta speculativa di Rosenzweig: cf F. ROSENZWEIG, La Stella della redenzione, a cura di G. BONOLA, Marietti, Casale Monferrato 1985 e ID., Il nuovo pensiero, a cura di G. BONOLA, LArsenale, Venezia 1983.
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insegnamenti di teologia speculativa, schiacciati da un lato dalle discipline positive e dalla dovizia dei loro risultati, dallaltro dal dover procedere a tentoni nella individuazione di infrastrutture filosofiche il meno inadeguate possibile al mistero che intendono pensare ed esprimere, dopo averlo accolto nella fede. La crisi penso sia sotto gli occhi di tutti e non mi sembra richiedere ulteriori analisi. Qui sar sufficiente rilevare (e saranno i punti che scandiranno le nostre riflessioni): a) un elemento di convergenza largamente (anche se ovviamente non unanimemente) acquisito circa la necessit di superare il modello teologico neoscolastico; b) il fatto che ormai sembra anche contestualmente da archiviarsi un atteggiamento decostruttivo nei confronti almeno dellistanza metafisica, che va sempre pi riacquistando credito nel sapere teologico; c) il passaggio da una situazione di rifiuto alla problematizzazione pi autentica del tema: non pi nel quadro dellaffermazione o della negazione (spesso entrambe ideologicamente sostenute) della metafisica, bens nella forma del quesito: quale metafisica per la teologia? La risposta che indicheremo, come una possibile, pertinente pista da seguire sul piano speculativo e che gi abbiamo avuto modo di prospettare in altre occasioni, sar quella della metafisica della carit, evocando a tal proposito la figura di Antonio Rosmini Serbati (di cui celebriamo i 150 anni dalla morte). (a) La critica al modello neo-scolastico come noto si pu gi fruttuosamente rinvenire nellopera di Maurice Blondel e nel suo tentativo di risolvere il problema del soprannaturale attraverso il metodo dellimmanenza proprio de LAction3, tentativo elaborato teologicamente da H. Bouillard4 e rimesso di recente in auge nella teologia fondamentale, non senza un preciso ed opportuno riferimento alla dimensione sacramentale-eucaristica di questo pensiero. In campo teologico proprio a partire dalla necessit di superare lestrinsecismo del modello neo-scolastico che si sono andati elaborando e proponendo di volta in volta il modello antropologico-tascendentale

Cf M. BLONDEL, LAzione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della prassi, ed. it. a cura di S. SORRENTINO, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993. Su questo autore e la possibilit di una lettura e utilizzazione in chiave teologico-fondamentale cf M. ANTONELLI, LEucaristia nellAction (1893) di Blondel. La chiave di volta di unapologetica filosofica, Pubblicazione del Pontificio Seminario Lombardo, Roma 1993; cf anche ID.,Lapologetica integrale e la sua anticipazione ne LAction, in La Scuola cattolica 121 (1993) 833-874 [si tratta del numero monografico che la rivista del Seminario Arcivescovile di Milano ha dedicato a Blondel nel centenario della sua opera principale]. Cf inoltre D. CORNATI, Lontologia implicita ne LAction (1893) di Maurice Blondel, Glossa, Milano 1998. Interessanti per la nostra tematica alcuni giudizi di P. Henrici, uno dei pi grandi specialisti di Blondel, in una intervista a LEspresso il 13 febbraio 2003: D. Tanti intellettuali cattolici del passato hanno osteggiato Blondel. Si possono cogliere anche oggi segni di opposizione al pensiero blondeliano? R. C stata lomissione del nome di Blondel nellenciclica Fides et Ratio che in molti punti vicina al suo pensiero. Tra i filosofi esemplari del pensiero cristiano moderno, lui non stato nominato. Da quanto si pu giudicare dal testo, ci sono allusioni a Blondel. Ma il suo nome manca. D. Ma in una recente intervista il cardinale Camillo Ruini, tra i maestri del pensiero cattolico, consiglia pure la lettura di Blondel. Una apertura? R. Il punto non Blondel. decisiva la tensione tra le diverse tendenze filosofiche e teologiche dei nostri tempi. C una tendenza neoscolastica che ha predominato, che stata preferita. Ma lontana da Blondel. Lui proviene dalla tradizione moderna, senza per questo essere anti-scolastico. A mio parere Blondel il filosofo del Vaticano II, in particolare per la sua convinzione che ci sia vera e propria compenetrazione tra realt terrestre e grazia divina. La modernit non un avversario da combattere, ma un accesso al cristianesimo (corsivo mio). Il timore verso il rischio opposto dellintrinsecismo, accompagnato da una lettura pregiudiziale, che non tiene in nessun conto levoluzione interna del pensiero blondeliano, ha determinato i severi giudizi di E. Gilson, di C. Fabro e di altri rappresentanti della neoscolastica, avversari dichiarati anche della cosiddetta nouvelle thologie: polemiche del passato, ma che rischiano di inquinare il sereno contatto con un pensiero che pu risultare molto fecondo ed certamente stimolante, come mostra il giudizio di P. Henrici sopra riportato. 4 Cf H. BOUILLARD, Logique de la foi. Esquisses. Dialogues avec la pense protestante. Approches philosophiques, Aubier, Paris 1964.

(rahneriano)5, il modello epistemologico (lonerganiano), il modello ermeneutico e la stessa proposta fondativa balthasariana. Non si certo perduta listanza metafisica, ma, a livello manualistico, la si variamente elaborata, col rischio di diluirla e disperderla, attraverso ladozione, da parte della teologia, di filosofie segnate dallo spirito antimetafisico o almeno nate e nutrite in questo orizzonte. Il nucleo portante della critica teologica attuale al modello neo-scolastico verte sul permanere in esso di un estrinsecismo epistemico strutturale, tendente a determinare il rapporto filosofia/teologia nella direzione pressocch esclusiva della razionalit previa (e quindi appunto estranea-estrinseca) rispetto alla fede. Listanza metafisica, pur meritevolmente custodita, e i contenuti del sapere metafisico, in questa prospettiva teoretica, finiscono col restare ai margini dei misteri della fede e della elaborazione speculativa che di essi la teologia chiamata ad offrire. Di qui il disagio per la teologia di doversi servire di uno strumento che le risulta profondamente estraneo e per diversi aspetti alieno. Ma di qui anche una certa disinvoltura nellauspicare e nellattuare da parte dei teologi la pura e semplice evacuazione della tematica dei praeambula fidei nellelaborazione dei motivi di credibilit della Rivelazione e non solo a causa della loro qualit precipuamente filosofica, bens a motivo dellinvocato carattere intrinseco della razionalit che la fede esigerebbe. Di non secondario interesse e quindi meritevole di attenzione ci sembra la constatazione del fatto che la crisi del modello neo-scolastico si genera e si espone allinterno di istituzioni e scuole teologiche, che quel modello, sia in filosofia che in teologia, avevano adottato e propugnato in maniera fortemente convinta, almeno fino al Vaticano II. Oltre la neoscolastica, verso una nuova filosofia. Quale? era linterrogativo posto senza mezzi termini gi nel 1968 in un articolo del gesuita Giovanni Battista Sala6, i cui contenuti sono stati recentemente ripresi dal confratello Saturnino Muratore7. Rimando alle lucide analisi di questultimo per una descrizione dettagliata della crisi e dei suoi elementi, mentre qui mi limito a segnalare come il suo teologo di riferimento, gesuita anchegli, Bernard Lonergan, amava annoverare fra i costitutivi di tale crisi la fine del classicismo8, per il cui superamento ha alacramente lavorato. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che il movimento tomista aveva gi registrato nel Novecento preconciliare sintomi di un radicale processo di revisione. Si tratta in primo luogo dellazione di profondo rinnovamento del pensiero tomistico attuato nellambito del movimento che allAquinate si collega anche per appartenenza religiosa. Il riferimento ad Ambroise Gardeil9 e ai successivi sviluppi del pensiero domenicano allinterno dellesperienza di Le Saulchoir10 sono risultati decisamente fecondi per la teologia, anche se i contenuti di quella riforma richiedono decise e sostanziali integrazioni. La rivendicazione della centralit del dato in teologia si accompagna qui alla profonda convinzione relativa al valore dellintelligenza e della razionalit, che la fides in statu
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Per la critica rahneriana al modello neoscolastico cf K. RAHNER, La fatica di credere, Paoline, Milano 1986, 98-100, dove si legge: La filosofia e la teologia neoscolastica, pur avendo al proprio attivo tante benemerenze, oggi sembra in qualche modo giunta alla fine e, pi avanti si afferma che il Concilio Vaticano II ha posto fine al periodo neoscolastico della teologia. La necessit del superamento del modello neoscolastico stata recentemente ribadita da B. SESBO, Comment sortir de la no-scolastique?, in Gregorianum 86 (2005) 257-275, in un saggio pubblicato in occasione del centenario dei due grandi teologi del Novecento, K. Rahner e H. U von Balthasar, nel quale si descrive la genesi del loro pensiero. 6 Cf G. B. SALA, Oltre la neoscolastica, verso una nuova filosofia. Quale?, in La Scuola Cattolica 96 (1968) 291-333. 7 Cf S. MURATORE, La crisi della neoscolastica, in ID (ed.), Teologia e filosofia. Alla ricerca di un nuovo rapporto, AVE, Roma 1990, 135-167. Sulla necessit di un superamento della teologia neoscolastica si pronunciano anche a pi riprese e con modalit diverse gli esponenti della scuola teologica milanese cf un luogo per tutti: A. BERTULETTI P. SEQUERI, La rivelazione come principio della ragione teologica, in AA. VV., La teologia italiana oggi. Ricerca dedicata a Carlo Colombo nel LXX compleanno a cura della Facolt Teologica dellItalia Settentrionale, Morcelliana, Brescia 1979, 150-151. 8 Cf S. MURATORE, art. cit, 163-164. 9 Di A. GARDEIL ricordiamo in particolare: La crdibilit et lapologtique, Cabala, Paris 1928 (nuova edizione) e Le donn rvl et la thologie, Cerf, Paris 19322. 10 Cf a questo riguardo il Forum ATI, in Rassegna di Teologia 41 (2000) 116-125.

scientiae non pu mai dimettere, con la convinzione che la filosofia una ricerca, una ricerca reale, unindagine personale, drammatica, si direbbe oggi, e non una rete di premesse e di conclusioni logicamente concatenate, costruita in anticipo, secondo una verit da ricevere belle fatta, con una facile docilit11, e ancora: Non si passa dalla metafisica alla teologia [] un grave errore trattare, come una logica successione metafisica, teodicea e teologia12. Dal nostro punto di vista sembra interessante lannotazione di D. Chenu intorno allopera di A. Gardeil: Le donn rvl et la thologie: non il titolo qualunque di unopera di Gardeil: questenunciato definisce per antitesi lasse su cui effettivamente organizzato il lavoro e lungo il quale sono ripartiti e qualificati le materie e i metodi di un insegnamento per lintero suo percorso, dal dato rivelato al dogma, dal dogma al dato teologico, dalla scienza teologica ai sistemi teologici13. Analogamente non si pu non tener conto dellesperienza dei gesuiti francesi e del loro scolasticato di Fourvire, dove linflusso di Blondel certamente si fatto sentire. Una ricostruzione, a mo di bilancio, di queste teologie nellorizzonte del rapporto fra sapere della fede e filosofia stata offerta da X. Tilliette, nella sua relazione per il centenario della facolt teologica di Posillipo, dove rilevava una preziosa interferenza della filosofia (metafisica) e della teologia, che Joseph Marchal non avrebbe sfruttato, ma di cui si sono fatti carico i suoi discepoli, come il P. Malevez. Marchal ricorre al teologumenon della potenza obedienziale per colmare lo scarto che una pura grazia deve colmare. Non aderisce affatto alla concezione restrittiva della filosofia inalberata dai confratelli non gesuiti della Scuola di Lovanio. Marchal era una lettura pregevole nello scolasticato francese fra le due guerre, nel quale ha aiutato a vitalizzare il tomismo. P. de Lubac, nella Connaissance de Dieu e Sur les chemins de Dieu, segue ovviamente le orme di Blondel, ma pure di Marchal e di Rousselot; lagostinismo dello slancio spirituale viene puntellato da una dinamica concettuale, razionale, che si riattacca allimmagine di Dio. Con qualche sfumatura P. Bouillard indirizza la sua lettura di Blondel verso una precomprensione di Dio e addirittura del cristianesimo14. I percorsi sia pur differenziati e fortemente pluralistici di rinnovamento del pensiero teologico faranno s che i tempi siano maturi per un ripensamento del rapporto Rivelazione/metafisica in grado di accompagnare e seguire il Vaticano II e la sua ricezione15.
M. D. CHENU, Le Saulchoir. Una scuola di teologia, Marietti, Casale Monferrato 1982, 66. Ib., 63. 13 Ib, 39. 14 Per questi riferimenti cf X. TILLIETTE, Filosofia e teologia nel Novecento europeo. Lapporto dei gesuiti, in E. SALVATORE (ed.), I gesuiti a Napoli. Lo studio teologico di Posillipo (1898-1999), Collegium Professorum, Napoli 2000, 37-50. Per ulteriori approfondimenti si legga il saggio storico di G. RUGGIERI, Apologia cattolica in epoca moderna, in ID. (ed.), Enciclopedia di teologia fondamentale. Storia - Progetto - Autori - Categorie, Marietti, Genova 1987, 275-348. 15 E che il superamento del modello neoscolastico non si configuri nella forma di una sorta di operazione rivoluzionaria o spregiudicatamente innovativa, lo testimoniano le considerazioni svolte meno di dieci anni fa dal card. Ratzinger, che si interrogava intorno alla situazione del sapere teologico e ai compiti dello stesso: Ritengo che il razionalismo neoscolastico sia fallito nel suo tentativo di voler ricostruire i Praeambula Fidei con una ragione del tutto indipendente dalla fede, con una certezza puramente razionale; tutti gli altri tentativi che procedono su questa medesima strada, otterranno alla fine gli stessi risultati. Su questo punto aveva ragione Karl Barth, nel rifiutare la filosofia come fondamento della fede, indipendentemente da quest'ultima: la nostra fede si fonderebbe allora, in fondo, su mutevoli teorie filosofiche. Ma Barth sbagliava nel definire perci stesso la fede come un semplice paradosso, che pu sussistere solo contro la ragione e in totale indipendenza da essa. Una delle funzioni della fede, e non tra le pi irrilevanti, quella di offrire un risanamento alla ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di ricondurla nuovamente a se stessa. Lo strumento storico della fede pu liberare nuovamente la ragione come tale, in modo che quest'ultima messa sulla buona strada dalla fede possa vedere da s. Dobbiamo sforzarci di ottenere un simile dialogo nuovo tra fede e filosofia perch esse hanno bisogno l'una dell'altra. La ragione non si risana senza la fede, ma la fede senza la ragione non diventa umana (il testo in una conferenza tenuta in Messico dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1996 e pubblicata sia ne LOsservatore romano del 27 ottobre dello stesso anno sia ne La Civilt Cattolica, q. 3515 del vol. IV dello stesso anno: il testo si trova anche in internet: http://www.ratzinger.it/conferenze/crisiteologia.htm). Si tratta, a nostro avviso, di pensare il rapporto fede/ragione nei termini di una alterit non alternativa, come abbiamo mostrato in G. LORIZIO, Fede e ragione, Due ali verso il Vero, Paoline, Milano 2003, nel tentativo di rifiutare sia il falso dilemma fede/ragione, sia laltrettanto ingannevole contrapposizione amore/verit, propugnata in un recente saggio di V. MANCUSO, Per amore. Rifondazione della fede,
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A questo riguardo sarebbe miope non constatare come limpianto strutturale neo-scolastico sia stato profondamente messo in crisi, almeno per quanto riguarda la teologia fondamentale, dalla costituzione dogmatica Dei Verbum. Si tratta ovviamente di una crisi salutare, che, mentre determina di fatto loltrepassamento di tale modello, se correttamente compresa, non perde nulla di quanto elaborato e custodito con tanta fatica in quella sede. Il primo elemento implicante la necessit di un rinnovato rapporto fra Rivelazione e metafisica e quindi fra teologia e filosofia dato dallo schema stesso della costituzione, confrontato con limpianto della Dei Filius. Mi riferisco alla differente sequenza impressa alla successione delle trattazioni sulla Rivelazione e sulla Creazione. Se neoscolasticamente appunto il Vaticano I faceva precedere la trattazione della Creazione a quella sulla Rivelazione, qui non solo invertita la successione delle tematiche, ma il primo termine risulta profondamente incluso nel secondo, sicch per adeguatamente comprenderlo e descriverlo, bisogna attendere il n. 3 della Dei Verbum, dove si adotta la categoria della testimonianza del creato rispetto a Dio. Questo recupero della dimensione rivelativa della creazione (e quindi della dimensione cosmico-antropologica della rivelazione) offre la possibilit di una ripresa teologica dellistanza metafisica, e al suo interno delle tematiche dei praeambula fidei16 e del duplex ordo cognitionis. A proposito di questultimo nodo epistemologico fondamentale, che la Dei Filius17 indica come imprescindibile per un approccio cattolico al rapporto fede/ragione, la Dei Verbum riprende al n. 6 e la Fides et ratio di fatto adotterebbe come schema interpretativo fondamentale del rapporto fede/ragione, mi sembra molto importante rilevare che su questo punto che si gioca la continuit fra la Costituzione dogmatica del Vaticano I, quella del Vaticano II e lenciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio. Accogliere il dettato conciliare relativo al duplex ordo cognitionis non significa infatti ipso facto adottare il modello neoscolastico e la sua struttura. Ponendoci al di fuori della requisizione neoscolastica (denunciata da P. Sequeri a riguardo della Dei Filius18) e cercando di valorizzare la sobriet del dettato conciliare ci sembra di dover svolgere le seguenti considerazioni in ordine alla tematica del duplex ordo. In primo luogo va sottolineato il genitivo che segue: si tratta infatti di un duplex ordo cognitionis: in particolare, si afferma la duplice differenza fra ragione e fede: differenza di principio (quanto allessere, cio, strumenti di conoscenza) e di oggetto (perch i mysteria in Deo abscondita sono del tutto irriducibili ad quae naturalis ratio pertingere potest). Questa distinzione si evidenzia nel fatto che la ragione pu pervenire ad una mysteriorum intelligentiam eamque fructuosissimam, ma non pu penetrare le verit di fede che oltrepassano omnino lintelletto creato. La distinzione non potr mai significare una vera dissensio (divergenza) fra entrambi per la comunanza dellorigine, Dio, appunto, che rivela i misteri e crea la ragione. La distinzione, piuttosto, implica reciproco, necessario aiuto, nel pi generale orizzonte dellaffermata superiorit della fede sulla ragione. In secondo luogo la dottrina del duplex ordo cognitionis ci sembra contribuire a chiarire la specificit (il proprium) del modo cattolico di intendere la Rivelazione e di metterla in circolo con la fede e la ragione (Hoc quocumque perpetuus Ecclesiae catholicae consensus tenuit et tenet, duplex esse ordine cognitionis). Ma ci sar possibile a condizione che tale dottrina non venga interpretata in senso dualistico ed estrinsecistico. Infatti sembra ormai pacificamente acquisito che non si debba parlare di una duplice rivelazione (naturale e soprannaturale) e tuttavia la dottrina cattolica del duplex
Mondadori, Milano 2005, la cui prospettiva teoretica dal nostro punto di vista del tutto inaccettabile. Per il punto di vista di unalterit non alternativa tra fede e ragione, filosofia e teologia cf A. FABRIS, Teologia e filosofia, Morcelliana, Brescia 2004. 16 Non ci soffermiano qui sulla tematica dei praeambula, gi ampiamente trattata in G. LORIZIO, Fede e ragione, cit., 108-118. 17 Per il testo della Dei Filius e le citazioni che seguono cf DS, 3000-3045. 18 P. SEQUERI, Il Dio affidabile. Saggio di Teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1996, 56. Cf anche lequilibrato giudizio espresso da uno specialista del Vaticano I come H. J. POTTMEYER, La costituzione Dei Filius, in R. FISICHELLA (ed.), La teologia fondamentale. Convergenze per il terzo millennio, Piemme, Casale Monferrato 1997, 3738.

ordo pu contribuire a una elucidazione pi adeguata dellunica Rivelazione del Dio unitrino in Ges Cristo, interpretata ed esposta secondo una duplice dimensione: quella cosmico-antropologica e quella storico-escatologica. Qui appunto la bidimensionalit non va intesa come separazione, ma neppure come confusione degli ambiti, bens come opportuna distinzione degli stessi. Questo ci sembra sostanzialmente il modo in cui Fides et ratio fa propria la dottrina della Dei Filius, senza adottare il modello in cui tale dottrina si in maniera privilegiata storicamente espresso. A suffragare tale interpretazione dellenciclica ci sembra possa essere sufficiente il richiamo della formulazione intorno alla creazione come tappa o stadio (stadium) della Rivelazione presente al n. 19. Il richiamo a questo luogo del documento consente a nostro avviso un triplice guadagno teoretico-epistemologico: a) contribuisce a giustificare ed eventualmente suggerire linteresse della teologia per il tema della creazione e il dialogo con le scienze della natura19; b) sostiene lautonomia della ragione, da interpretarsi nei termini dellautonomia creaturale (un legame non soggiogante); c) rende plausibile linteresse della filosofia per la tematica della Rivelazione, in quanto non si tratta soltanto di poter scegliere autonomamente il proprio oggetto dindagine, bens di muoversi in un orizzonte di forte sinergia con qualcosa che le in un certo senso connaturale. Inoltre, se si pensa allimportante riferimento di Dei Filius al fine soprannaturale delluomo, atto a motivare la necessit della Rivelazione (quia Deus ex infinita bonitate sua ordinavit hominem ad finem supernaturalem), si pu facilmente cogliere la plausibilit della nostra interpretazione che declina il duplex ordo cognitionis nella linea della duplice dimensione dellunica Rivelazione. peraltro questa lunica possibilit che ci sembra di intravedere, onde fugare il timore, pi o meno giustificato, dei critici del duplex ordo, che attraverso tale dottrina ritorni in teologia fondamentale lestrinsecismo proprio del modello teologico neo-scolastico e della sua manualistica. La dottrina, infatti, pu essere ulteriormente sviluppata nella direzione del rapporto necessariamente asimmetrico fra la dimensione cosmico-antropologica e la dimensione storico-escatologica della Rivelazione. In ogni caso il duplex ordo cognitionis, neppure nella peggiore neoscolastica, stato e pu essere interpretato come duplex ordo veritatis. La Fides et ratio, peraltro insiste sul tema dellunit della verit, da cogliersi nellorizzonte sapienziale che la stessa Rivelazione ebraico-cristiana fa proprio. Pensare teologicamente lautonomia della ragione significa quindi in primo luogo rapportare lesercizio della conoscenza razionale allambito creaturale, laddove da un lato dato cogliere la profonda alterit del mondo e delluomo rispetto a Dio (che nella creazione appunto con atto intelligente e libero pone laltro da s e quindi fonda lautonomia del mondo e delluomo), dallaltro il legame del finito con lInfinito e dunque la possibilit di cogliere nel contingente le tracce dellEterno. La figura della ragione creata fa riferimento anche al limite che lo stato creaturale comporta ed esprime. Un limite ulteriormente approfondito dal peccato, che rende inferma la creatura umana e quindi anche la sua razionalit20. La redenzione portata e realizzata da Cristo non pu non riguardare anche lattivit conoscitiva delluomo, sicch alle figure della ragione creata e della ragione inferma, si accompagna quella della ragione redenta, che si esercita storicamente e teoreticamente nel sapere teologico e nella filosofia cristiana. A questa figura risulta ispirata la suggestiva espressione di Blondel secondo il quale la filosofia autentica la santit della ragione21.
Cf le incursioni di Wolfhart Pannenberg su queste tematiche: W. PANNENBERG, Dio come Spirito e le scienze naturali, in Lateranum 68 (2002) 9-21, il lavoro dellarea di ricerca SEFIR, a partire da P. CODA R. PRESILLA (edd.), Interpretazioni del reale. Teologia, filosofia e scienze in dialogo, PUL - Mursia, Roma 2000, e le riflessioni di J. MOLTMANN, Scienza e sapienza. Scienza e Teologia in dialogo, Queriniana, Brescia 2003. 20 Fides et ratio rammenta questa realt, anche in rapporto allesercizio della filosofia: I filosofi per primi, d'altronde, comprendono l'esigenza dell'autocritica, della correzione di eventuali errori e la necessit di oltrepassare i limiti troppo ristretti in cui la loro riflessione concepita. Si deve considerare, in modo particolare, che una la verit, bench le sue espressioni portino l'impronta della storia e, per di pi, siano opera di una ragione umana ferita e indebolita dal peccato (FeR, 51) 21 M. BLONDEL, LAzione, cit., 552.
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Mi sembra importante a questo punto ribadire il carattere teologico-fondamentale di questa ripresa, che non pu non sottolineare il punto di vista della fede e del suo primato rispetto alla pura ragione e al suo esercizio, il che consente il superamento di ogni prospettiva razionalistica (anche di razionalismo teologico) e fideistica, in quanto, se correttamente inteso, il rapporto con la fede teologale non mortifica o indebolisce la ragione, ma vale a redimerla e potenziarla. La fede intesa come fondamento delle cose sperate (Eb 11,1) va cos pensata anche in rapporto al pensiero, n tale fondazione della fede da intendersi in senso assoluto (in quanto la fede si fonda sulla Rivelazione), bens a) in rapporto alla pura ragione, in quanto latto del credere non nasce come conseguenza logica di un ragionamento o di una serie di ragionamenti, implicando lobbedienza non solo della dimensione conoscitiva, ma anche di quella volitiva e di quella affettiva (ossia di tutta la persona), b) in rapporto al carattere soprannaturale (grazia) della fede stessa, che, prima di costituirsi come risposta delluomo a Dio che si rivela, dono di Dio. Naturalmente qui vale la tesi tommasiana secondo cui la grazia non distrugge, ma perfeziona la natura, ma questo perfezionamento o compimento non si genera nei termini di unautotrascendenza, ma del dono gratuito, ovvero della irruzione del soprannaturale nella natura e nella storia. Una seconda serie di considerazioni, a partire dalla Dei Verbum, in rapporto alla Dei Filius, riguarda la trasposizione dei termini bont e sapienza in rapporto allagire rivelativo di Dio. Si tratta di sottolineare il primato dellorizzonte agapico, entro il quale va incluso e quindi assolutamente non escluso, lorizzonte sapienziale del rapporto fede/ragione e questo ancora una volta costituisce un elemento non marginale di differenziazione dal modello neoscolastico, che tendeva a privilegiare la dimensione intellettualistica della ricerca del Vero e della credibilit della Rivelazione cristiana. proprio dalla coerenza con questa scelta conciliare che prende le mosse il nostro tentativo di riproposta della metafisica della carit. Una terza annotazione a proposito del magistero conciliare, viene a sottolineare il passaggio da una concezione della rivelazione come locutio Dei attestans (secondo la manualistica neoscolastica) ad una concezione profondamente sacramentale dellautomanifestazione di Dio nella storia, la cui struttura viene indicata da Dei Verbum nella formula gestis verbisque. Il nesso evento-parola, nel testo esplicitato e indicato come elemento costitutivo della rivelazione stessa, in cui si intravede la problematica sottesa al termine ebraico dabar e la stessa logica neotestamentaria del lgoj srx, decisamente complesso e per nulla facile districare. In primo luogo va notato che qui confluiscono due tendenze molto vive del pensiero filosofico del Novecento, che ha offerto contributi di notevole spessore intorno allanalisi del linguaggio umano, riguardo al tema della storicit dellessere e intorno al rapporto fra queste due dimensioni fondamentali non solo e in primo luogo antropologiche, ma propriamente ontologiche. Raccogliendo i risultati di tale riflessione e confrontandoli con la teologia della rivelazione dobbiamo osservare come risulti decisamente fuorviante separare o contrapporre laspetto storico-eventuale della manifestazione di Dio dallaspetto intelligibile-dicibile della stessa, giacch, in una prospettiva unificante e di intreccio reciproco, levento di fatto gi parla e inversamente e reciprocamente la parola accade, per cui isolare queste due dimensioni portanti la manifestazione divina comporta unanalisi che non riesce a tener conto fino in fondo della complessit del rapporto. Ed in questo orizzonte teoretico che vanno pensate e interpretate le diverse prospettive teologiche che il sapere della fede ha proposto in questo secolo ora facendo leva sulla dimensione verbale (es. K. Barth, R. Bultmann, il G. von Rad di certe interpretazioni ed altri) ora sulla dimensione storico-effettuale (es. W. Pannenberg e il circolo di Heidelberg, H. Schlette ed altri), ora tentando una visione complessiva ed integrale delle due dimensioni (es. O. Cullmann e il concetto di Heilsgeschichte = historia salutis, come verr accolto ed espresso nel Vaticano II). Sta di fatto che la comprensione pi profonda della rivelazione cristianamente intesa esige da un lato che la storia non venga considerata soltanto alla stregua di uno scenario della rivelazione o un repertorio di paradigmi pi o meno edificanti, ma 7

come luogo e struttura portante fondamentale della manifestazione di Dio in Cristo, dallaltro che lintelligibilit espressa nella parola non venga interpretata soprattutto in senso intellettualistico e dottrinale come lasciava intendere lespressione locutio Dei attestans, che i trattati neoscolastici avevano assunto per definire la rivelazione, bens come parola capace di interpellare e muovere e addirittura di trasformare la storia stessa. Tenendo conto che lo stesso testo della Dei Verbum pur adottando la prospettiva storico-salvifica e dialogico-personale non intende certo sottrarle listanza veritativa e sapienziale che gi nella conclusione del n. 2 si intravede: La profonda verit, poi, che questa rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale insieme i1 mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione. Coscienza storica e istanza veritativa non potranno dunque risultare contrapposte, e il loro reciproco rapportarsi nella luce del Verbo incarnato e del Verbo preesistente, ossia nella prospettiva cristocentrica e logologica, mentre consente di riaffermare con forza lunicit della salvezza cristologica, impedisce al tempo stesso ogni deriva fondamentalista, col conseguente carattere violento di un razionalismo teologico neognostico tanto deprecabile quanto deleterio non solo per il sapere, ma per il vissuto del nostro tempo. Lontologia che la rivelazione richiede dovrebbe quindi configurarsi nella forma di una ontologia dellessere storico, ovvero dellevento metastorico (corrispondente di metafisico) con valenza storica che in essa accade22. Unultima e rapida, ma necessaria sottolineatura, riguarda il fatto che il superamento di quello che fin qui abbiamo denominato il modello neoscolastico in teologia non implica il rifiuto del pensiero di Tommaso, al contrario conduce a un peculiare rapporto con la lezione tommasiana, tendente a rivalutarla nella sua integralit. Particolarmente interessante a questo riguardo la sottolineatura della Fides et ratio, che quando introduce la necessit del ricorso allAquinate, sottolinea innanzitutto il metodo dialogico del suo filosofare e teologare in rapporto alla cultura araba ed ebraica del suo tempo, nonch alle grandi acquisizioni del pensiero greco, in primo luogo aristotelico23. Compito decisivo anche perch il taglio essenzialista e concettualista della Metaphysica generalis ha condizionato non poco gli esiti stessi della filosofia neoscolastica e ha, per di pi, contribuito ad accreditare una lettura riduttiva della filosofia dellessere di Tommaso. Il fraintendimento del pensiero di Tommaso, del resto, era gi insito nelloperazione stessa che ha dato origine alla configurazione neoscolastica: era insito, infatti, in una lettura teoretica dei testi, poco supportata da unanalisi storico-critica volta a determinare leffettivo pensiero dellAquinate24. Non solo dunque il dettato del Vaticano II, bens lo stesso autentico pensiero tommasiano esigono il superamento del modello teologico neoscolastico. (b) Attualmente per i teologi, come per i filosofi listanza metafisica sembrerebbe assumere la forma della ricerca di una scienza sempre cercata e sempre mancante, come ebbe a dire J. L. Marion nelle celebrazioni del centenario della nascita di Antonio Rosmini25. Ci limiteremo qui a segnalare alcuni sintomi del ritorno alla metafisica in ambito teologico, tali, per la loro consistenza e per linteresse che suscitano, da farci ritenere ormai di gran lunga superato il pregiudizio antimetafisico anche in teologia26.

Un interessante tentativo in questa prospettiva ci sembra quello svolto da B. CASPER, Per una fondazione della teologia filosofica nellevento (Ereignis), in Humanitas 59 (2004) 434-450. 23 Cf FeR, 43. 24 Cf S. MURATORE, op. cit., 155. 25 Cf J. L. MARION, La scienza sempre cercata e sempre mancante, in F. MERCADANTE V. LATTANZI, Elogio della filosofia, Fondazione Nazionale Giuseppe Capograssi Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Roma Stresa 2000, 350-379. 26 Un ulteriore esempio del ritorno della metafisica in teologia potrebbe risultare dallanalisi dellopera pi importante di H. VERWEYEN, La parola definitiva di Dio. Compendio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2001, dove il rapporto fra comprensione ermeneutica e filosofia prima viene a costituirsi come compito della teologia fondamentale (ib., 64-82). E tuttavia questo tentativo non sembra sufficientemente immunizzabile dalla critica di estrinsecismo (per

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Un segnale di sorprendente rilevanza proviene dallambito luterano: il teologo Wolfhart Pannenberg, nelle sue lezioni napoletane del 1986 (dietro le quali ci sono i seminari monachesi tenuti in collaborazione con Dieter Henrich su teologia e metafisica), ha sostenuto con vigore la necessit di tale nesso e nel contempo lurgenza di porre mano a un radicale e serio rinnovamento del pensiero metafisico: Se questo non avviene, allora lautointerpretazione teologica della fede si limita ad esprimere un impegno soggettivo del teologo. Soprattutto il discorso teologico intorno a Dio richiede, per la sua pretesa di avere valore di verit, il riferimento a un pensiero metafisico, poich il discorso su Dio rimandato a un concetto di mondo che pu essere assicurato solo mediante una riflessione metafisica. La teologia cristiana perci deve augurarsi ed accogliere con favore il fatto che la filosofia prenda di nuovo sul serio, come un compito del pensiero contemporaneo, la sua grande tradizione metafisica. Certo un simile rimando alla metafisica oggi viene ammesso solo raramente dai teologi. Tuttavia esso risulta gi dal fatto che la dottrina teologica su Dio, senza il riferimento di una metafisica, cade in mano a un soggettivismo kerygmatico o alla demitizzazione, e spesso a tutte due27. E che non si tratti di una serie di affermazioni occasionali, lo mostrano abbondantemente gli sviluppi di queste idee allinterno del percorso di questo importante teologo, fino agli scritti pi recenti intorno alla teologia filosofica. Nello stesso ambito confessionale possiamo rilevare la tendenza ad una teologia fortemente ontologica in pensatori certamente non inclini ai compromessi e ai facili irenismi, quali E. Herms, W. Hrle, Ch. Schwbel. Baster qui segnalare linsistenza intorno al concetto dellautopresentazione della Verit (Offenbarung als Selbstvergegenwrtigung der Wahrheit) in un ambito che ha molto a cuore un approccio fenomenologico, nel quale listanza ontologica e metafisica risulta fortemente presente28. Un ulteriore segnale della ripresa dellistanza metafisica in teologia riguarda il dibattito teologico intorno all'analogia, sul quale a lungo ha pesato la famosa stroncatura barthiana, relativa allanalogia entis, che sarebbe una invenzione dell'Anticristo, nella misura in cui coltivasse la pretesa di conoscere Dio al di fuori della Rivelazione. Ora la discussione sembra potersi sviluppare in forma pi pacata ed in questo senso pi produttiva in ordine ai possibili esiti teoretici della questione stessa. Da un lato naturalmente va considerato il contesto in cui si esprime il rifiuto barthiano, che intende prendere posizione intorno al dilemma la Parola o l'esistenza cui poteva pervenire il lettore della prima edizione della Kirchliche Dogmatik, rifiutando l'antinomia ed optando decisamente per il primo termine. All'unico possibile centro della fede che Cristo Signore non si pu opporre l'esperienza umana, n intesa in senso metafisico, n interpretata in forma esistenziale; in entrambi i casi essa diviene il luogo in cui si esprime l'Anticristo, ma lo stesso tentativo di rappresentare la Rivelazione tramite unellisse a due fuochi correlati e contrapposti (Parola ed esperienza umana) finirebbe col portare acqua al mulino dell'Anticristo. La teologia cattolica rivendicherebbe [...] il possesso di un principio sistematico, che non Cristo Signore, ma un principio astratto - appunto lanalogia entis - in base al quale, gi nella precomprensione filosofica (della teologia naturale) pu essere conosciuto il rapporto fra Dio e creatura, di modo che, in ultima analisi, la rivelazione di Dio in Ges Cristo si presenta come il compimento di un senso e
questa problematica cf K. H. MENKE, Lunicit di Ges Cristo nellorizzonte della domanda sul senso, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 91-100). 27 W. PANNENBERG, Lidea di Dio e il rinnovamento della metafisica, trad. it. di M. PAGANO, Bibliopolis, Napoli 1991, 14 (ed. orig. Metaphysik und Gottesgedanke, Vandenhoeck & Ruprecht, Gttingen 1988); cf inoltre W. PANNENBERG, Teologia e filosofia. Il loro rapporto alla luce della storia comune, Queriniana, Brescia 1999, 321-326; ID., Fine della metafisica?, in Humanitas 59 (2004) 425-433. 28 Mi limiter a citare la relazione di E. Herms, al convegno internazionale celebrato a cinque anni dalla Fides et Ratio, presso la Pontificia Universit Lateranense [E. HERMS, Una lettura luterana di Fides et ratio, in A. LIVI . G. LORIZIO (edd.), Il desiderio di conoscere la verit. Teologia e filosofia a cinque anni da Fides et ratio, Lateran University Press, Roma 2005, 237-258] e il testo E. HERMS, Objektive Wahrheit. Beobachtungen und Fragen zum Verhltnis von Wahreit und Offenbarung in der Enzyklika Fides et ratio, in: ID., Von der Glaubenseinheit zur Kirchengemeinschaft, II, Elwert, Marburg 2003, 585-613.

di una scienza gi esistenti prima, anche se forse non nel senso di una metafisica librantesi sopra la fede e la coscienza. Ma il posto che Cristo assumer nella sua funzione di compimento visto gi prima: in un'ontologia che antecede l'ordine della rivelazione e non pu essere infranta da essa. L'immagine cattolica del mondo quindi presenta per principio due vertici: la rivelazione e la sua pretesa sono in essa relative29. Ma - sempre a proposito del pensiero barthiano - non si pu dimenticare la sua interna evoluzione30, che suggerisce a von Balthasar un passaggio decisivo della sua opera su Barth, in cui esprime tale cambiamento di prospettiva a proposito dell'analogia in termini di conversione. Paradossalmente, mentre il padre della teologia dialettica sembrerebbe potersi in certo modo accordare con le posizioni di Gustav Shngen31 e dello stesso von Balthasar32, l'altro teologo protestante cui la riflessione sull'analogia deve molto Eberhard Jngel33, che pure assume come interlocutore il pensiero del cattolico Erich Przywara34, continuerebbe a sostenere una radicale incompatibilit fra analogia entis e analogia fidei, in analogia con la contrapposizione paolina fra giustizia della legge e giustizia della fede, e ci in nome di un'assoluta fedelt alle originarie intenzioni di Barth sopra espresse. La profonda diffidenza espressa in ambito teologico protestante nei confronti dellanalogia entis, ma in generale della stessa metafisica cristiana, rappresenta in qualche modo, sul versante teologico, quello che la critica all'ontoteologia sostiene a livello filosofico, tant' vero che di questa critica spesso si nutre e su di essa talvolta si appoggia. In campo cattolico si tratta invece di riferirsi ad unanalogia fidei che non intende contrapporsi allanalogia entis, la quale, a sua volta, lungi dal volersi costituire come forma di conoscenza autonoma e separata dalla Rivelazione, chiama in causa proprio la dimensione cosmicoantropologica dell'automanifestazione di Dio e quindi poggia sulla creazione e si esprime nella forma dell'esercizio della ragione creata. Se, in conclusione, richiamando la realt della Rivelazione come automanifestazione di Dio in Cristo, cerchiamo di riflettere sul rapporto fra Creazione e Redenzione, che nella historia salutis si realizza e si compie nel mistero dellIncarnazione e della Pasqua, pu venirci incontro una pi pregnante figura dellanalogia suggerita peraltro dal riferimento al Dio Unitrino, ossia lanalogia charitatis, anchessa analogia entis e analogia fidei35 nello stesso tempo, in quanto non solo esige di essere pensata nel duplice orizzonte della dimensione cosmico-antropologica e storicoescatologica della Rivelazione, ma reclama dietro le spinte sia della critica filosofica all'ontoteologia, sia della rivendicazione teologica della prospettiva credente, lelaborazione di una

H. U. VON BALTHASAR, La teologia di Karl Barth, Jaca Book, Milano 1985, 53. Tra lanalogia fidei e lanalogia entis viene a situarsi lanalogia relationis: cf a questo proposito W. HRLE, Sein und Gnade. Die Ontologie in Karl Barths Kirchlicher Dogmatik, Gruyter, Berlin - New York 1975. 31 Cf. G. SHNGEN, Analogia fidei: Gotthnlichkeit allein aus den Glauben?, in Catholica 3 (1934) 113-136 e ID., Analogia fidei: Die Einheit in der Glaubenwissenschaft, in Catholica 4 (1934) 176-208. 32 Per un primo approccio al tema nel pensiero balthasariano rimando allultima sezione del vol V di Gloria. Nello spazio della metafisica. Let moderna, Jaca Book, Milano 1978 e in particolare ai capitoli: Il miracolo dellessere e la quadruplice differenza, 547-560 e Lapporto cristiano alla metafisica, 579-588. Sul tema dellanalogia catalogica nel pensiero di von Balthasar cf. M. SAINT-PIERRE, Lanalogie catalogique. Lintgration christologique des trascendentaux, in ID., Beaut, bont, vrit chez Hans Urs von Balthasar, Cerf, Paris, 1998, 322-330. 33 Cf. E. JNGEL, Gott als Geheimnis der Welt. Zur Begrndung der Theologie des Gekreuzigten im Streit zwischen Theismus uns Atheismus, Mohr, Tbingen 19783 (trad. it. di F. CAMERA, Queriniana, Brescia 1982). Sul tema della metafora cf. ID., Verit metaforica. Riflessioni sulla rilevanza teologica della metafora come contributo allermeneutica di una teologia narrativa, in P. RICOEUR E. JNGEL, Dire Dio. Per unermeneutica del linguaggio religioso, Queriniana, Brescia 1978, 109-180. Sul tema dellanalogia nel pensiero di Jngel cf. la tesi di P. GAMBERINI, Nei legami del Vangelo. Lanalogia nel pensiero di Eberhard Jngel, Gregoriana Morcelliana, Roma Brescia 1994. 34 Cf. E. PRZYWARA, Analogia entis. Metaphisik. Ur-struktur und All-rhitmus, Johannes, Einsiedeln 1962 (trad. it. di P. VOLONT, Vita e Pensiero, Milano 1995). 35 Lespressione di un interprete di von Balthasar: M. LOCHBRUNNER, Analogia Charitatis. Darstellung und Deutung der Theologie H. U. von Balthasar, Herder, Freiburg - Basel - Wien 1981; sul tema si veda anche G. DE SCHRIJVER, Le merveilleux accord de lhomme et de Dieu. tude de lanalogie de ltre chez H. U. von Balthasar, Peteers, Leuven 1983. Cf inoltre H. U. VON BALTHASAR, Solo lamore credibile, Borla, Roma 1977.
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metafisica della carit capace di indicarne lorizzonte di senso e di sconfiggere ogni idolatria concettuale. (c) La distanza critica dal modello neoscolastico e i consistenti segnali di ripresa dellistanza metafisica in teologia non sembrano sufficienti ad offrire una risposta pertinente e propositiva, anche se ipotetica e semplicemente programmatica alla domanda quale metafisica per la teologia? Domanda che non pu accontentarsi di generici riferimenti a prospettive formali, senza consistenti indicazioni contenutistiche. stato scritto che la metafisica sarebbe necessaria per la scienza e dannosa per la fede36, ma bisogna tuttavia aggiungere e precisare che essa risulta invece e in ultima analisi necessaria alla teologia compresa ed attuata, vuoi nella sua dimensione scientifica, vuoi nel suo orizzonte sapienziale, ed in tal senso (certamente in linea subordinata) finisce col mostrarsi anche utile alla fede e alla comunit credente. Il modello che ci accingiamo a proporre tende a declinare (secondo il messaggio pi autentico della tradizione cattolica) il rapporto metafisica/teologia nel senso di una riflessione di filosofia prima che precede (per - in funzione pedagogica e dialogica), accompagna (nella) e segue (dalla) la fede e la teologia, senza tuttavia presumere di poter assumere una funzione fondazionale nei loro confronti37. Se, ad esempio, quella di Tommaso una concezione metafisica originale ed a tale originalit contribuisce in maniera non irrilevante la fede cristiana, sul piano storico e teoretico mi sembra di dover sostenere, con sempre maggior convinzione, la valenza ontologica e metafisica della Rivelazione biblica, che solo in quanto tale pu costituire una vera e propria stella di orientamento per luomo. Ma dove si mostra tale capacit della Rivelazione di fecondare lontologia? Le risposte a tale interrogativo potrebbero essere molte e differenti, nella prospettiva della metafisica della carit, da me indicata, il punto di svolta costituito dal fatto che il dinamismo dellessere aristotelico ha bisogno di essere profondamente ripensato alla luce della Rivelazione biblica, onde evitare la deriva averroista38 o la ripresa hegeliana del nous noets nella prospettiva dellidealismo assoluto. Tale ripensamento impone almeno un capovolgimento di prospettiva, se, come autorevolmente stato notato, il Dio aristotelico oggetto damore, amato e non amante (lamante il cosmo), e perci non ama (o, al pi, ama solo se medesimo). Gli individui in quanto tali non sono affatto oggetto dellamore divino: Dio non si piega verso gli uomini e meno che mai verso il singolo uomo39. La Rivelazione dellamore di Dio (genitivo soggettivo prima che oggettivo) non pu non ripercuotersi sulla concezione dellessere ed in genere

Cf D. ANTISERI, Perch la metafisica necessaria per la scienza e dannosa per la fede, Queriniana, Brescia 1980. Sembra infatti decisamente utile far precedere allo studio della teologia un itinerario filosofico nel quale svolga un ruolo preminente una metafisica creazionista, quale ad esempio stata proposta da G. Bontadini e dalla sua scuola (anche se in questo caso bisogna tener presente il dibattito critico con E. Severino e il fatto che le tesi di entrambi, che pur hanno lottato acerbamente fra di loro, muovendo dallo stesso orizzonte neo-parmenideo potrebbero risultare solo in apparenza contrastanti: cf a proposito di questo dibattito critico il bel libro di G. GOGGI, Dal diveniente allimmutabile. Studi sul pensiero di Gustavo Bontadini, Cafoscarina, Venezia 2003). Nellorizzonte di un pensiero metafisico previo rispetto alla teologia sembra oggi di notevole interesse la proposta di una metafisica umile in pi sedi avanzata da E. BERTI, Quale metafisica per il terzo millennio?, in D. G. MURRAY (ed.), La metafisica del terzo millennio, Armando, Roma 2001, 17-34. 38 Di grande rilievo la risposta dellAquinate alla tendenza avverroista, cos come viene esposta in TOMMASO DAQUINO, Unit dellintelletto contro gli averroisti, Bompiani, Milano 2000, anche se tale posizione non ha impedito allaverroismo di riemergere storicamente, a conferma della complessit della questione, recentemente esposta nellimportante saggio di A. PETAGINE, Aristotelismo difficile. Lintelletto umano nella prospettiva di Alberto Magno, Tommaso dAquino e Sigieri di Brabante, Vita e Pensiero, Milano 2004. 39 ARISTOTELE, Metafisica. Saggio introduttivo, testo greco con traduzione a fronte e commentario, a cura di G. REALE, edizione maggiore rinnovata, Vita e Pensiero, Milano 1993, 152.
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sulla metafisica stessa, se non vuol risultare relegata nellambito di un sapere teologico avulso e separato dal sapere filosofico (in tal caso saremmo in pieno fideismo)40. Si tratta in primo luogo di riprendere e ripensare la tematica del de divinis nominibus, con riferimento al rapporto essere/bene, in forma inclusiva e non esclusiva (ovvero alternativa). In secondo luogo di superare il falso dilemma fra una ontologia della sostanza e una ontologia della relazione . Lidentificazione dellAssoluto con luna o laltra di queste categorie presterebbe ampiamente il fianco alla critica allontoteologia presente nel pensiero contemporaneo, che lo abbiamo pi volte detto e scritto non coglie il bersaglio se indirizzata alle grandi figure del pensiero credente. Basterebbe ricordare a tale proposito la posizione tommasiana, secondo la quale Deus non est in genere substantiae41. Laffermazione secondo cui il Dio cristiano va pensato non senza, ma oltre lessere sta ad indicare la necessit di una filosofia dinamica dellessere per una metafisica che intenda essere profondamente cristiana e compatibile con la Rivelazione. Questa tesi si pu sviluppare in senso tommasiano, secondo la direzione dellactus essendi (un luogo particolarmente significativo in S. Th. I, 3, 4, ad 2um), oppure in senso bonaventuriano, dove lulteriorit di Dio rispetto allessere viene espressa nei termini del rapporto fra lessere (nome di Dio dellAntico Testamento secondo Es 3,14) il bene o amore (prospettiva agapica - nome di Dio nel Nuovo Testamento secondo 1Gv 4,8). Quanto agli sviluppi di unontologia dinamica nellorizzonte tommasiano con riferimento alla teologia del Novecento si possono utilmente evocare le figure di K. Rahner42 e B. Lonergan43. Quanto a San Bonaventura ricordiamo che egli ricorre allimmagine dei due cherubini: Il primo fissa lo sguardo, innanzi tutto e principalmente sullEssere stesso, affermando che il primo nome di Dio Colui che . Il secondo fissa lo sguardo sul Bene stesso, affermando che questo il
La Fides et ratio sembra confermare questa ipotesi di lavoro allorch scrive: La Sacra Scrittura contiene, in maniera sia esplicita che implicita, una serie di elementi che consentono di raggiungere una visione dell'uomo e del mondo di notevole spessore filosofico. I cristiani hanno preso progressivamente coscienza della ricchezza racchiusa in quelle pagine sacre []. La convinzione fondamentale di questa filosofia racchiusa nella Bibbia che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il loro compimento, che si attua in Ges Cristo. Il mistero dell'Incarnazione rester sempre il centro a cui riferirsi per poter comprendere l'enigma dell'esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso. In questo mistero le sfide per la filosofia si fanno estreme, perch la ragione chiamata a far sua una logica che abbatte le barriere in cui essa stessa rischia di rinchiudersi. Solo qui, per, il senso dell'esistenza raggiunge il suo culmine. Si rende intelligibile, infatti, l'intima essenza di Dio e dell'uomo: nel mistero del Verbo incarnato, natura divina e natura umana, con la rispettiva autonomia, vengono salvaguardate e insieme si manifesta il vincolo unico che le pone in reciproco rapporto senza confusione (FeR, 80). Viene in mente a proposito di questa filosofia racchiusa nella Bibbia lindicazione rosminiana, secondo cui: In pi luoghi de santi libri havvi descritta la fede siccome generatrice dinteligenza; siccome quella, che ravvigorisce lumana ragione e la scorge alla verit; siccome una maestra, che le dispiega innanzi, e le consegna i segreti della sapienza (A. ROSMINI, Teodicea, a cura di U. MURATORE, Citt Nuova CISR, Roma Stresa 1977, 60). Interessante anche notare come la sequenza del secondo e terzo capitolo dellenciclica Fides et ratio venga non casualmente a far precedere la riflessione sul Credo ut intellegam a quella sullIntellego ut credam ed appunto a partire da questa impostazione che si sviluppa la nostra prospettiva teoretica. 41 Cf il testo di Summa Theologiae I, 3, 5, ad I. Una lettura istruttiva, oltre la meditazione dei testi degli Autori, a riguardo e a conferma di questa interpretazione, il saggio di M. SNCHEZ SORONDO, Aristotele e san Tommaso. Un confronto nelle nozioni di assoluto e di materia prima, PUL Citt Nuova, Roma 1981. Per tutta questa questione rimando al mio Logica della fede, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, 31-34. Altro problema quello concernente lidentificazione di Dio (intendo del Dio di Ges Cristo) con lessere. Resta aperto e da ulteriormente riflettere e confrontare il tema dellessenza divina in rapporto allontologia trinitaria (cf a questo proposito il saggio di E. SALMANN, La natura scordata. Un futile elogio dellablativo, in P. CODA L. K [edd.], Abitando la Trinit. Per un rinnovamento dellontologia, Citt Nuova, Roma 1998, 27-43). 42 Si veda la sezione ontologica in K. RAHNER, Uditori della Parola, Borla, Torino 1967, 59-145. 43 Si veda soprattutto B. LONERGAN, Insight: A Study of Human Understanding, Longmans, Green and Co London. and New Philosophical Library, New York 1957 [second (revised with pagination unchanged) edition for students, London, 1958. third, fourth, fifth, sixth and seventh printings (unchanged): 1961, 1963, 1964, 1965, 1967]; ID., Conoscenza e Interiorit. Il Verbum nel pensiero di S. Tommaso, EDB, Bologna 1984; ID., Ragione e fede di fronte a Dio, Queriniana, Brescia 1977.
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primo nome di Dio. Il primo modo riguarda in particolare il Vecchio Testamento, il quale proclama soprattutto lunit dellessenza divina, per cui fu detto a Mos: Io sono Colui che sono. Il secondo riguarda il Nuovo Testamento, il quale determina la pluralit delle Persone divine, battezzando nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Itinerarium, V, 2). A proposito della correlazione tra amore e verit, bonaventurianamente intesa, nella definizione dei compiti della teologia J. Ratzinger, propone la riflessione sullamore, come nucleo di quanto cristiano, lamore dal quale dipendono la Legge e i Profeti, ad un tempo eros che tende alla verit. Soltanto in questo modo esso si mantiene autentico come agape verso Dio e verso luomo44. In ogni caso, come a chiare lettere sempre abbiamo affermato, la prospettiva agapica (metafisica della carit) non esclude, ma include quella ontologica. Si tratta di prendere in seria considerazione lindicazione contenuta nel documento della Commissione Teologica Internazionale del 1982, Teologia, Cristologia, Antropologia: In questi tre aspetti che la cristologia ci offre delluomo, il mistero di Dio e delluomo si manifesta al mondo come mistero di carit. Alla luce della fede cristiana, possibile dedurne una nuova visione globale delluniverso. Sebbene tale visione sottometta a esame critico il desiderio delluomo doggi, tuttavia ne afferma limportanza, lo purifica e lo supera. Al centro di una tale metafisica della carit non si colloca pi la sostanza in genere come nella filosofia antica, ma la persona, di cui la carit latto pi perfetto e pi idoneo a condurla alla perfezione45. La metafisica della carit consente da un lato un pieno recupero dellistanza metafisica anche in teologia e al tempo stesso di offrire una visione non riduttiva, ma pluridimensionale della metafisica. A mo di esemplificazione paradigmatica, riprendendo e riformulando una preziosa indicazione di G. Reale46, possiamo cos declinare le dimensioni (aitiologica, aleteiologica, ontologica e teologica) della metafisica aristotelica in chiave agapica. Rispetto alla prospettiva aitiologica ossia alla metafisica pensata come scienza del principio di causalit (rapporto fra le cause e la causa prima), lorizzonte agapico consente di pensare la causa prima non in termini deterministici, ma secondo la dimensione della gratuit che fonda e al tempo stesso consente di relativizzare ogni determinismo. In tal senso la creazione va pensata come un atto di amore del Dio Unitrino e cos pu essere descritta nellambito della riflessione sulla dimensione cosmico-antropologica della rivelazione. In quanto rivelazione del Dio Unitrino la creazione non opera di un Dio che agisca secondo lunit indistinta della propria divinit: essa dipende dal Padre che agisce nel proprio Figlio, suppone il mistero trinitario47. Come sostiene giustamente Wolfhart Pannenberg la ragione ontologica della distinzione fra Assoluto trascendente e mondo creato va trinitariamente intravista nella autodistinzione del Figlio eterno dal Padre; infatti se fin dalleternit, quindi anche alla creazione del mondo, il Padre non mai senza il Figlio, allora il Figlio eterno non soltanto la ragione ontologica dellesistenza di Ges nella sua autodistinzione dal Padre quale unico Dio, ma anche la ragione della diversit e dellesistenza autonoma di ogni realt creaturale48. La metafisica agapica ha storicamente svolto e per il nostro tempo ha ancora da svolgere proprio nellambito cosmologico il difficile compito di raccordare le tesi della dogmatica trinitaria con quelle della metafisica cristiana, attraverso litinerario accennato da
J. RATZINGER, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa contemporanea. Storia e dogma, Jaca Book, Milano 1993, 29-30. Quanto alla matrice agostiniana della metafisica agapica cf AGOSTINO, Amore assoluto e terza navigazione, Bompiani, Milano 2000. 45 EV, VIII, 433. 46 Dobbiamo pertanto concludere che il senso pi profondo della metafisica aristotelica resta consegnato alla componente teologica e che lorizzonte della metafisica aristotelica dato dallunit dinamica e dialettica delle prospettive ontologica, aitiologica e usiologica, incentrantisi nella istanza teologica (G. REALE, Saggio introduttivo, in Metafisica I, 65). Come abbiamo gi visto lo stesso San Tommaso ad escludere la prospettiva sostanzialistica in riferimento a Dio. 47 X. DURWELL, Il Padre. Dio nel suo mistero, Citt Nuova, Roma 1995, 102. 48 W. PANNENBERG, La creazione del mondo, in ID., Teologia sistematica, II, Queriniana, Brescia 1994, 34.
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Giovanni Paolo II, allorch nella sua penultima enciclica afferma che: Se l'intellectus fidei vuole integrare tutta la ricchezza della tradizione teologica, deve ricorrere alla filosofia dell'essere. Questa dovr essere in grado di riproporre il problema dell'essere secondo le esigenze e gli apporti di tutta la tradizione filosofica, anche quella pi recente, evitando di cadere in sterili ripetizioni di schemi antiquati. La filosofia dell'essere, nel quadro della tradizione metafisica cristiana, una filosofia dinamica che vede la realt nelle sue strutture ontologiche, causali e comunicative. Essa trova la sua forza e perennit nel fatto di fondarsi sull'atto stesso dell'essere, che permette l'apertura piena e globale verso tutta la realt, oltrepassando ogni limite fino a raggiungere Colui che a tutto dona compimento. Nella teologia, che riceve i suoi principi dalla rivelazione quale nuova fonte di conoscenza, questa prospettiva trova conferma secondo l'intimo rapporto tra fede e razionalit metafisica49. Recentemente Alexandre Ganocky, sulla scia di alcune preziose indicazioni di Wolfhart Pannenberg ed in dialogo con le scienze e la filosofia (in particolare lontologia della struttura di Heinrich Rombach) ha elaborato una teologia della creazione in chiave trinitaria, dalla quale possiamo trarre alcuni elementi di riflessione. In primo luogo riprendendo Rombach il teologo qui si esprime nei termini di una ontologia strutturale dellamore, a partire dalla nozione di idemit, intesa nel senso dellidem esse, come ad esempio nellespressione del IV vangelo Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30): si tratta della comparsa di uno stretto rapporto fra lio e una dimensione illimitata della vita che autorizza ad esprimere questo giudizio idem sunt. Come esempio egli [= Rombach] adduce, accanto alle parole ora citate di Ges, la confessione del musicista, del poeta e del pensatore, secondo la quale essi e la loro opera sono una cosa sola50. Naturalmente si tratta di una analogia (tematica chiave nel lavoro di Ganocky). Sulla base della idemit possibile pensare la tematica della creazione nei termini della concreativit trinitaria, intravedendo in essa la partecipazione di ciascuna delle persone divine sia allatto creativo originario sia a quella che precedentemente abbiamo chiamato la creazione continua. A tal proposito sembra interessante rilevare come secondo questo teologo nellespressione creazione continua i contenuti dei concetti di creatio e conservatio si avvicinano addirittura nella misura pi alta possibile, dal momento che i due processi qui intesi avevano per soggetto un unico e medesimo creatore e costituivano ununica realt storica51. La sinergia divina ha comunque un struttura agapica fondamentale, che da un lato conferisce unit allagire delle persone in questo caso ad extra e dallaltro consente di leggere ed interpretare ogni loro agire come atto damore. La filosofia (anche quella qui adottata come infrastruttura concettuale, ossia la teoria della concreativit di Rombach) ha in ogni caso bisogno di un ripensamento e di profonde integrazioni. In tal senso, il teologo cos conclude: Ho dovuto arricchire intratrinitariamente la teoria della concreativit di Rombach per renderla teologicamente utilizzabile e per rendere pienamente giustizia al Cusano, nostro comune garante52. Affinch ci non dia luogo a fraintendimenti occorre salvaguardare la differenza fra concreativit divina e concreativit umana: quella eterna, motivata dallagp, creante di per se stessa e infinitamente libera; questa pu essere solo temporale, avere solo delle motivazioni miste, creare utilizzando cose gi esistenti e procedere in maniera in parte libera e in parte determinata. Losservanza di questa condizione non diminuisce, bens aumenta la possibilit di inserire anche sinergie fisiche, biologiche e sociologiche in una analogia multilaterale53. Quanto alla prospettiva aleteiologica, si tratta di pensare la verit in stretta connessione con la carit e la libert. Verit e Carit risultano inseparabili nella divina sapienza, che ci fa discepoli di Dio stesso. Se il primo termine esprime Dio nella persona del Verbo, la nuova parola Carit
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FeR, 97. A. GANOCKY, Il creatore trinitario, cit., 228. 51 Ib., 246. 52 Si tratta qui di riscattare il pensiero cusaniano da ogni possibile venatura panteistica. 53 Ib., 296.

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esprime il medesimo Dio nella persona dello Spirito. I testi giovannei offrono abbondante materia di riflessione a riguardo e Rosmini vi si appoggia costantemente. "Sono dunque due le parole in cui si compendia la scuola di Dio, reso maestro degli uomini, VERIT e CARIT; e queste due parole significano cose diverse, ma ciascuna comprende l'altra: in ciascuna il tutto; ma nella verit la carit come un'altra, e nella carit la verit come un'altra: se ciascuna non avesse seco l'altra non sarebbe pi dessa54. Questo momento della nostra riflessione pu incrociare (procedendo a ritroso) un famoso frammento 582 di Pascal: Ci facciamo un idolo della stessa verit; perch la verit senza la carit non Dio, la sua immagine e un idolo che non bisogna amare n adorare; e meno ancora bisogna amare o adorare il suo contrario che la menzogna55. Qui si tratta di pensare Dio secondo il suo nome proprio dato nel Nuovo Testamento nella parola che pi di ogni altra esprime la sua natura e quindi di uscire da una visione della carit prettamente prassistica e velleitaria o addirittura sentimentale e banalmente affettiva, per attingere alla feconda identificazione dellessere con lagp. Un secondo passo, questa volta in avanti, ci pu portare allincontro con lultima sezione de LAction di Blondel: Lessere amore; quindi se non si ama, non si conosce niente. E per questo la carit lorgano della conoscenza perfetta. Essa depone in noi quello che nellaltro. E rovesciando, per cos dire, lillusione dellegoismo, ci inizia al segreto di qualsiasi egoismo diretto contro di noi. Nella misura in cui le cose esistono, agiscono e ci fanno patire. Accettare questa passione, recepirla attivamente, significa essere in noi quello che esse sono in loro. Dunque escludersi da s, mediante labnegazione, significa generare in s la vita universale []. Ci che si impone necessariamente alla conoscenza non altro che lapparenza. E ciascuno conserva nel fondo lintima verit del proprio essere singolare. In me c qualcosa che sfugge agli altri, e che mi innalza al di sopra di tutto lordine dei fenomeni. E anche negli altri, se sono come me, c qualcosa che mi sfugge, e che sussiste solo se mi inaccessibile. Io non sono per loro come sono per me, ed essi non sono per me come sono per loro. Legoismo sconvolto dalla sola idea di tanti egoismi antagonistici. E, nonostante tutta la luce della nostra scienza, rimaniamo avvolti nella solitudine e nelloscurit. Soltanto la carit, collocandosi nel cuore di tutti, vive al di sopra delle apparenze, si comunica fino all'intimit delle sostanze, e risolve completamente il problema della conoscenza dell'essere56. Tornando al Roveretano, lalterit reciproca di Verit e Carit dice lalterit delle divine persone e il loro relazionarsi, tuttavia non bisogna dimenticare che la nozione di persona, rosminianamente intesa, fa comunque riferimento ad un elemento irriducibile ed inalienabile, si tratta infatti di un individuo intelligente e libero, che contiene un principio attivo, supremo ed incomunicabile. La carit come gratuit assoluta possibile solo a partire da questa profonda ed insondabile incomunicabilit o solitudine, originaria rispetto ad ogni reciprocit relazionale. solo nel Dio unitrino e nellessere uno e trino, che ne limmagine (lessere immagine di Dio e non viceversa) che si compone mirabilmente ogni tensione fra la solitudine originaria della persona e la relazione con lalterit dellaltro. Le tre forme dellessere (immagine delle tre persone della trinit), che il Roveretano nella Teosofia denomina in un primo momento coi termini: subiettivit -

A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, a cura di P. P. OTTONELLO, Citt Nuova CISR, Roma - Stresa 1979, 181. Ho proposto una lettura in prospettiva agapica del pensiero rosminiano gi nel saggio G. LORIZIO, Ricerca della Verit e metafisica della Carit nel pensiero di Antonio Rosmini, in K. H. MENKE A. STAGLIAN (edd.), Credere pensando. Domande della teologia contemporanea nellorizzonte del pensiero di Antonio Rosmini, Morcelliana, Brescia 1997, 461-486. Tale prospettiva stata approfondita ed ampliata nellimportante lavoro di M. KRIENKE, Wahrheit und Liebe bei Antonio Rosmini, Kohlhammer, Stuttgart 2004. Sono tornato sullargomento in G. LORIZIO, Theologie und Metaphysik der Agape im Denken Antonio Rosminis, in Mnchener Theologische Zeitschrift 56 (2005) 63-76. 55 B. PASCAL, Pensieri, Opuscoli e Lettere, a cura di A. BAUSOLA, Rusconi, Milano 1978, 661 (fr. 582 Brunschvicg = 597 Chevalier). 56 M. BLONDEL, LAzione, cit., 553.

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obiettivit - santit e in seconda istanza: realit - idealit - moralit57, hanno ugual dignit e pienezza. Il senso delle cose, della natura e della storia, pu essere indagato solo a partire dalla domanda sull'uomo e sul suo destino. nella persona umana, infatti, che le tre forme dell'essere convivono e celebrano il loro incontro. Qui non sempre tale convivenza pacifica ed armonica: la realt storica comporta la legge dell'antagonismo, che trova interessanti riscontri anche a livello cosmologico. Il fondamento di ogni realt, che Rosmini chiama misterioso, il dogma trinitario con tutta la sua pregnanza teologica e filosofica. Dopo aver chiarito il rapporto analogico (quindi non di identit) caratterizzante le tre forme dell'essere in relazione al mistero trinitario, il Roveretano non si fa scrupolo di affermare che tale mistero non solo pu, ma deve essere ricevuto, ossia riconosciuto ed accolto dalla filosofia. La rivelazione dell'essenza di Dio come uno e trino ha dunque una ricaduta filosofica di enorme portata. Rosmini ad esempio accenna alla mirabile soluzione del problema dell'uno e del molteplice, che il Cristianesimo propone: Escluso dunque il sistema degli unitar, come impossibile, rimane che ci sia qualche molteplicit coeterna all'essere. Ma questa non deve togliere la perfetta unit e semplicit dell'essere; e quindi la difficolt di quell'antinomia, che ha fatto delirare, se mi si permette di cos esprimermi, la filosofia di tutti i secoli, a cui Cristo ha soddisfatto, ma rivelando il mistero. Dal qual mistero per venne un rinforzo di luce alla stessa intelligenza umana, che si mise all'opera di rispondere in qualche modo a quel problema pi istruita e cautelata contro gli errori58. Nella metafisica che si genera dalla Rivelazione, listanza veritativa non pu mai disgiungersi da quella etica, sicch fra ladesione della verit e lesercizio della volont libera si d un nesso profondo ed imprescindibile. Il pensatore russo Pavel Florenskij59 molto chiaro e determinato a
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A. ROSMINI, Teosofia, Soc. ed. libri di filosofia, Torino 1859-1874, I, 154-155 (190). Per quanto riguarda questa fondamentale opera rosminiana, la situazione dei manoscritti non consente l'elaborazione di uno schema chiaro e definitivo di questo immenso materiale, anche perch l'Autore elabora e rivede lo schema in corso d'opera. Comunque la prima edizione della Teosofia del 1859-1874, organizza cos i materiali: vol. I (a cura di F. PAOLI, Societ editrice libri di Filosofia, Torino 1859): Prefazione - Libro unico: Il problema dell'Ontologia - Libro I: Le Categorie - Libro II: L'Essere Uno; vol. II (a cura di P. PEREZ, tip. S. Franco e figli, Torino 1863): Libro III: L'Essere Trino; vol. III (a cura di P. PEREZ, tip. S. Franco e figli, Torino 1864): Libro III: l'Essere Trino (continuazione); vol. IV (a cura di P. PEREZ, tip. Bertolotti, Intra 1869): Parte seconda: Teologia razionale, comprendente: Del divino nella natura - L'Idea; vol. V (a cura di P. PEREZ, tip. Bertolotti, Intra 1874): Parte terza: Il Reale. Qui seguiamo questa edizione: la catena ontologica si trova nel vol. III, 316-319. Il curatore dell'edizione nazionale C. GRAY [EN, 7-14] esclude il libro Del divino nella natura, fa seguire al libro IV: L'Idea, il libro V: La Dialettica e il libro VI: Il Reale. Per le diverse edizioni e le diverse scelte antologiche pubblicate cf CBR, vol. I, 212-218 (1175-1188) e CBR, vol. III, 46 (1771-1773). Abbiamo in edizione critica due scritti connessi con la Teosofia: A. ROSMINI, Del divino nella natura (a cura di P. P. OTTONELLO), Citt Nuova - CISR, Roma - Stresa 1991 [EC, 20 - CBR, vol. I, 224-225 (1223bis-1223tris e CBR, vol. III, 72-73 (1863)] e A. ROSMINI, Aristotele esposto ed esaminato (a cura di G. MESSINA), Citt Nuova - CISR, Roma - Stresa 1995 [EC, 18 - CBR, vol. I, 202 (1118-1120), 204206 (1130-1132) e CBR, vol. III, 44 (1762), 45 (1766)]. Abbiamo ora ledizione critica anche della Teosofia: si tratta dei volumi 12-17, Citt Nuova - CISR, Roma - Stresa 1998-2000. 58 Ib., I, 131 (166). 59 Tra le opere di P. A. FLORENSKIJ tradotte in italiano ricordiamo: La colonna e il fondamento della Verit, trad. it. di P. MODESTO, Rusconi, Milano 1974; Le porte regali. Saggio sullicona, a cura di E. ZOLLA, Adelphi, Milano 1977; Attualit della parola. La lingua tra scienza e mito, trad. it. di E. TREU, Guerini e Associati, Milano 1989; La prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di N. MISLER, trad. it. di C. MUSCHIO e N. MISLER, Gangemi Editore, Roma 1990; Il sale dela terra. Vita dello starec Isidoro, a cura di N. KAUCHTSCHISCHWILI, trad. it. di E. TREU, Qiqajon, Magnano 1992; Lo spazio e il tempo nellarte, a cura e trad. it. di N. MISLER, Adelphi, Milano 1995; Il significato dellidealismo, a cura di N. VALENTINI, trad. it. di R. ZUGAN, Rusconi, Milano 1999; Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, a cura di N. VALENTINI e L. K, trad. it. di R. ZUGAN, Piemme, Casale Monferrato 1999; Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, a cura di N. VALENTINI e L. K, trad. it. di G. GUAITA e L. CHARITONOV, Arnoldo Mondadori, Milano 2000; La struttura della parola, La natura magica della parola, tr. it. di E. TREU, in D. FERRARI - BRAVO, Slovo. Geometrie della parola nel pensiero russo tra 800 e 900, ETS, Pisa 2000, 129-211; La venerazione del nome come presupposto filosofico, Il valore magico della parola, Sul nome di Dio, trad. di. G. LINGUA, in P. A. FLORENSKIJ, Il valore magico della parola, Medusa, Milano 2001. Tra le opere dedicate alla figura e al pensiero di Florenskij segnaliamo: N.

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questo riguardo, nella lettera VI, sullantinomia, scrive: Del resto non deve nemmeno essere diversa, perch si pu affermare in anticipo che la conoscenza della verit esige una vita spirituale e quindi un atto eroico, e latto eroico del raziocinio la fede, cio lautonegazione. Latto di autonegazione del raziocinio precisamente unespressione dellantinomia. Infatti si pu credere solo allantinomia, perch ogni giudizio non antinomico viene semplicemente accettato o respinto dal raziocinio, visto che non trascende i confini del suo isolamento egoistico. Se la verit fosse non antinomica, il raziocinio, muovendosi in cerchio nel proprio campo, non avrebbe un punto dappoggio, non vedrebbe loggetto extrarazionale, e quindi non avrebbe lo stimolo ad abbracciare leroismo della fede. Questo punto dappoggio il dogma. Proprio con il dogma incomincia la nostra salvezza, perch il dogma, essendo antinomico non costringe la nostra libert e dischiude tutta lestensione della fede volontaria o della maligna incredulit. Infatti non si pu obbligare nessuno a credere o a non credere, nemo credit nisi volens, dice santAgostino60. Interessante notare come il velle credendi venga interpretato come fondamento della meta-storicit dellatto di fede, dove naturalmente non si tratta di una fede velleitaria e cieca, in quanto non esclude la ragione, bens la accompagna con lesercizio della volont libera. Interessanti le annotazioni secondo cui il tema della libert, in Florenskij, viene trattato in connessione con quello del peccato, in particolare nella lettera VII della Stolp61. Lo statuto ontologico-veritativo della libert, pensato in rapporto alluomo fa s che la volont libera venga percepita e teorizzata nel quadro della stessa struttura metafisica dellessere umano e strettamente connessa allimmagine di Dio che luomo porta in s come nucleo santo del suo esistere. Luomo, quindi, non in grado di esercitare la libert rispetto a questo suo nucleo costitutivo originario, mentre pu esercitarla e di fatto la esercita nella possibilit di accogliere o rifiutare la realizzazione della somiglianza divina62. La teodicea incrocia cos lantropodicea: Dio attorno a noi, presso di noi, ci circonda: in Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, immersi in un inesplorabile abisso delle azioni Divine, grazie alle quali e attraverso le quali possiamo esistere. Queste energie Divine, che sono la Divinit stessa, ci guidano e operano su di noi, anche se noi spesso non lo sappiamo. Ma al di l di tutto ci, c la sfera della nostra libert che con le sue radici, attinge dalle stesse energie Divine fondandosi del tutto su di esse, ma che, allo stesso tempo, alle sue vette possiede il dono dellautodefinizione, il dono di compiacersi o no della vita con Dio, possiede il potere di venire da Lui o di allontanarsi da Lui. Questo il potere della nostra soggettivit, di quel qualcosa di ontologico che del soggetto e che, contrariamente al soggettivismo privo di forza ed energia, di carattere cosmico. in nostro potere spalancare i nostri cuori alla Sorgente dellessere ricevendo da Esso i flussi di vita, oppure, al contrario, di chiuderci nella soggettivit, rifugiarci sotto terra, fuggire dallessere. Ma in quel caso iniziano a seccarsi i nostri legami con il mondo e tutto il nostro essere sta per morire63. La divinizzazione delluomo dunque esige il suo assenso libero e si espone allo scacco del peccato con la conseguenza della geenna64, intesa non tanto come castigo ulteriore, ma come orizzonte metafisico del negativo e della morte, e ci sempre nel quadro del carattere antiteticoparadossale della realt che la fede esprime: Se la libert delluomo una vera libert di decisione, il perdono della cattiva volont impossibile, essendo essa il prodotto creativo della libert. Non ritenere cattiva la cattiva volont significherebbe non riconoscere la realt della libert; se la libert
VALENTINI, Pavel Florenskij: la sapienza dellamore. Teologia della bellezza e linguaggio della verit, EDB, Bologna s.d.; L. K, Verit come ethos. La teodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Citt Nuova, Roma 1998. 60 P. A. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verit, cit., 195. Vedi anche la nota corrispondente, ib., 716-718. 61 Cf ib., 215-255. 62 Cf a questo proposito L. K, Verit come ethos, cit., 377-378. 63 Testo citato in ib., 378-379. 64 Al tema della geenna dedicata la lettera VIII della Stolp, cf P. A. FLORENSKIJ, La colonna e il fondamento della verit, cit., 258-315.

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non reale, nemmeno lamore di Dio per la creatura reale; se non c una reale libert della creatura, non c nemmeno una delimitazione reale da parte della Divinit sulla creazione, non c knosis e quindi non c amore. E se non c amore non c nemmeno perdono. Al contrario, se esiste il perdono di Dio, esiste anche lamore di Dio e quindi anche una vera libert della creatura. Se c una vera libert inevitabile anche la conseguenza: la possibilit della cattiva volont e quindi limpossibilit del perdono. Chi nega lantitesi nega la tesi, chi afferma lantitesi afferma anche la tesi, e viceversa. Tesi e antitesi sono inseparabili come loggetto e la sua ombra. Lantinomicit del dogma del destino ultimo logicamente indubbia e psicologicamente evidente65. In questo senso la lezione di Florenskij pu essere assunta come paradigmatica rispetto ad un nucleo teoretico decisivo caratterizzante la teologia fondamentale. Da un altro punto di vista lattenzione di questo geniale e versatile pensatore verso le scienze della natura, risulta ben in linea con laffermazione tipica della teologia fondamentale ortodossa, secondo cui la creazione rivelazione66. La teologia del Novecento ha evitato accuratamente gli esiti radicali in chiave escatologica del pensiero florenskijano, cos come sono espressi nella VIII lettera, e tuttavia a livello fondamentale non ha mancato di marcare con forza il nesso tra verit e libert, ritenendolo di fatto costitutivo dellatto di fede testimoniale67, e del sapere che dalla fede si genera68, oppure sviluppando una fenomenologia dellatto di fede congrua con la dinamica dellazione umana, elaborata da M. Blondel e con la sottolineatura della possibilit della negazione e dellatteggiamento recalcitrante della libert69. Solo un pensiero rivelativo, che mantenga il nesso strutturale fra verit e libert, pu costituire un vero e proprio baluardo nei confronti del fondamentalismo e della violenza che in esso si impone. Rispetto alla prospettiva teologica, Dio viene pensato come essere che ama (non solo oggetto di amore), nel quale lamore trova la sua pienezza e la sua perfezione. Il che consente di declinare la prospettiva ousiologica da un lato in riferimento alla natura divina e dallaltro in riferimento alle tre ipostasi. Abbiamo cos la possibilit di elaborare una teo-ontologia, piuttosto che unonto-teologia, dove il termine qej sta ad indicare il Dio del Nuovo Testamento, ossia il Padre e la prospettiva trinitaria che qui dato intravedere70. Tale prospettiva chiama in causa il

Ib., 263. Mi limito a citare a questo proposito D. STANILOA, Il genio dellortodossia, Jaca Book, Milano 1985, 29: La Chiesa ortodossa non separa la rivelazione naturale da quella soprannaturale. La rivelazione naturale pienamente conosciuta e compresa alla luce della rivelazione soprannaturale; la rivelazione naturale data e permane attraverso lazione soprannaturale di Dio. 67 Cf a questo riguardo P. SEQUERI, Il Dio affidabile, cit., in particolare 429-554, dove si parla della fede come affidamento e si tenta appunto una ontologia dellaffidamento. 68 Cf a questo riguardo il testo programmatico della scuola milanese: G. COLOMBO (ed.), Levidenza e la fede, Glossa, Milano 1988, con particolare riferimento al saggio di A. BERTULETTI, Sapere e libert, ib., 444-465. 69 In questa direzione muove H.VERWEYEN, La parola definitiva di Dio, cit.: cf a questo proposito il cap. VIII: Un senso definitivamente valido, malgrado una libert recalcitrante?, ib., 234-247. A proposito della posizione di Verweyen circa questo argomento, cf quanto scrive un interprete: La riflessione trascendentale sulla fenomenologia del Sollen (ove Verweyen introduce la terminologia della manifestazione) mostra che il principio incondizionato il fondamento ultimo pu essere adeguatamente pensato solo come condizione di possibilit della mia libert (in questo senso ha carattere di promessa), la cui evidenza non anticipabile alla sua istituzione a posteriori (M. EPIS, Ratio fidei. I modelli della giustificazione della fede nella produzione manualistica cattolica della teologia fondamentale tedesca post-conciliare, Glossa, Milano 1995, 265; cf tutto il paragrafo dedicato al teologo tedesco Levidenza dellassoluto nellevidenza della libert: la rifondazione pratica del trascendentale, ib., 264- 267). 70 Cf il famoso saggio di K. RAHNER, Theos im Neuen Testament in ID., Schriften zur Theologie, I, Benziger, Einsiedeln 1954, 9-47 (trad. it. in ID., Saggi teologici, Paoline, Roma 1965, 467-585).
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pensiero metafisico, nel suo configurarsi come teologia filosofica in rapporto al paradosso71 della nostra conoscenza di Dio. A questo livello interessante notare come nel capitolo II dell'Enciclica Fides et ratio, intitolato "Credo ut intellegam", Giovanni Paolo II accenni giustamente alla fatica del credere, motivata dallo scontro tra la fede e i limiti della ragione, e precisi in termini molto appropriati: Tuttavia, malgrado la fatica, il credente non si arrende, poich Dio lo ha creato come un esploratore (Qo 1,13), la cui missione di non lasciare nulla di intentato nonostante il continuo ricatto del dubbio72. Ed in questo contesto tematico che lenciclica richiama in successione73 due importanti testi paolini, in cui lApostolo sembra contraddirsi, poich in uno afferma non solo la capacit metafisica dell'uomo di conoscere Dio ma anche il reale dato di fatto della sua conoscenza (cf Rom 1,19-21), mentre nell'altro sembra invece negare questa capacit col dire che l'uomo di fatto non ha mai conosciuto Dio (cf 1Cor 1,21). I due passi epistolari di S. Paolo danno corpo a una delle questioni pi appassionanti, in cui si misura lo specifico rapporto tra la ragione e la fede e l'apporto di ciascuna di esse. Lesegesi coglie in questi testi una particolare dialettica tra due poli, che in un certo senso si attraggono eppure in un altro senso si respingono (nella linea dellalterit-reciprocit tra fede e ragione che sopra abbiamo richiamato). Peraltro lo stesso Paolo in un altro passo epistolare (cf Gal 4,8-9) sintetizza il suo pensiero, proponendo una prospettiva diversa dalle precedenti74. Il primo testo, quello della lettera ai Romani, gode particolare favore nellambito della riflessioni pi volte ripetute dal Magistero della Chiesa cattolica, a partire dalla Dei Filius, nel tentativo di escludere ogni deriva fideistica nellimpostazione del rapporto fede ragione e nella riflessione teologica relativa alle dimensioni cosmico-antropologica e storico-escatologica della Rivelazione. Ma il ricorso a questo testo nellapologetica cattolica non cos recente, se si pensa che lo stesso Descartes, nella famosa lettera ai decani e dottori di teologia della Sorbona, lo cita per sostenere il proprio lavoro speculativo, cui conferisce una chiara intenzionalit appunto apologetica. La lettera, spesso omessa dai filosofi e poco conosciuta anche dai teologi, a prescindere dalle vere intenzioni dellAutore, affida al pensiero filosofico un ruolo fondamentale di preaeparatio Evangelii, ritenendo la dottrina classica dei praeambula fidei, individuati nellesistenza di Dio e nellaffermazione dellimmortalit dellanima, e perseguiti attraverso la conoscenza filosoficorazionale. Ma accanto a questa finalit, non manca una sorta di connotazione missionaria della filosofia, dove unaffermazione ci sembra particolarmente interessante: [] bench sia assolutamente vero che bisogna credere in Dio perch cos prescritto nelle Scritture e, daltra parte, che bisogna credere nelle Sacre Scritture perch provengono da Dio (e questo perch essendo la Fede un dono di Dio, quello stesso che d la grazia per far credere le altre cose, la pu anche dare per farci credere che esiste), non si potrebbe tuttavia nemmeno proporre ci agli infedeli perch

Pur cogliendone il nucleo veritativo la nostra concezione del paradosso risulta notevolmente differente da quella luterana e barthiana: cf M. LUTHERS, Disputatio Heidelbergae habita. 1518, in Kritische Gesamtausgabe, in Werke, Hermann Bhlaus Nachfolger, Akademische Druck, Graz 1966, 353-355; per una esposizione pi completa G. LORIZIO, La logica del paradosso in teologia fondamentale, PUL, Roma 2001. comunque grazie alla lezione di Italo Mancini, che il tema dellossimoro teologico pu essere appreso e ripreso nellattuale configurazione del discorso su Dio: cf a questo riguardo I. MANCINI, Doppi pensieri, in ID., Frammento su Dio, Morcelliana, Brescia 2000, 279-348. Sul tema cf anche A. FABRIS, I paradossi dellamore fra grecit, ebraismo e cristianesimo, Morcelliana, Brescia 2000 e ID., Paradossi del senso. Questioni di filosofia, Morcelliana, Brescia 2002. 72 FeR, 21. 73 FeR, 22-23. 74 Per queste considerazioni utilizziamo R. PENNA, La dialettica paolina tra possibilit e impossibilit di conoscere Dio, in Rassegna di Teologia 43 (2002) 659-671.

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potrebbero sospettare che si commetta qui lerrore chiamato dai logici circolo vizioso75. E proprio per suffragare questa impostazione apologetica, il filosofo francese, ricorrendo ai testi di Sap 13,1 e a Rm 1,20-21, trova nella Scrittura il fondamento della propria teoria76. A fronte delle pie intenzioni del filosofo gentiluomo, ispirate al primo dei testi paolini sulla conoscenza di Dio, rinveniamo nella modernit nascente le considerazioni di Blaise Pascal, che invece assumono pi che volentieri il dettato del secondo luogo paolino che ci interessa, quello di 1Cor 1,21, per affermare che senza la mediazione di Cristo non si d alcuna autentica conoscenza di Dio. Il frammento noto, lo riportiamo perch si colga il riferimento neotestamentario: Dio per mezzo di Ges Cristo. Noi non conosciamo Dio che per mezzo di Ges Cristo. Senza questo Mediatore interdetta ogni comunicazione con Dio; per mezzo di Ges Cristo, noi conosciamo Dio. Tutti coloro che hanno preteso di conoscere Dio e di provarlo senza Ges Cristo avevano solo prove inefficaci. Ma per provare Ges Cristo, abbiamo le profezie, che sono prove solide e tangibili. Ed essendosi queste profezie avverate, ed essendo state provate come veritiere dal verificarsi dellevento, fondano la certezza di queste verit e, pertanto, la prova della divinit di Ges Cristo. In Lui e per mezzo di Lui conosciamo dunque Dio. Al di fuori di ci e senza la Scrittura, senza il peccato originale, senza il Mediatore necessario promesso e venuto, non si pu provare assolutamente Dio, n insegnare buona dottrina n buona morale. Ma per mezzo di Ges Cristo ed in Ges Cristo si prova Dio, e si insegnano la morale e la dottrina. Ges Cristo dunque il vero Dio degli uomini. Ma noi conosciamo ad un tempo la nostra miseria, perch questo Dio non altro che il Riparatore della nostra miseria. Cos non possiamo conoscere bene Dio se non conoscendo le nostre iniquit. Cos coloro che hanno conosciuto Dio senza conoscere la loro miseria non lhanno glorificato, ma se ne sono glorificati. Quia non cognovit per sapientiam, placuit Deo per stultitiam praedicationis salvos facere 77. La dialettica paolina fra possibilit/impossibilit di una conoscenza razionale di Dio costituisce in un certo senso il punto di riferimento per le due anime della modernit, che qui si fronteggiano e si scontrano: quella cartesiana, particolarmente attenta alla dimensione cosmicoantropologica della Rivelazione, col rischio della deriva razionalistica del credere, e quella pascaliana, fortemente impregnata ed interessata alla dimensione storico-escatologica della Rivelazione, col rischio opposto di una deriva fideistica del credere. Interessante ci sembra la soluzione esegetica e teologica proposta a partire dal terzo luogo paolino evocato: Gal 4,8-9, interpretato come momento sintetico delle precedenti contrapposizioni dialettiche. Qui, come si pu notare, viene richiamato un prima e un poi, dunque viene posta allopera la ragione storica, chiamata a decifrare questo enigma: Ma un tempo, non conoscendo Dio, servivate quelli che per natura non sono di; ora invece conoscendo Dio, anzi essendo conosciuti da Dio, come potete rivolgervi di nuovo agli elementi deboli e poveri?. Il che porta a concludere: La dialettica paolina tra possibilit e impossibilit di conoscere Dio da parte dell'uomo si risolve solo tenendo conto del duplice oggetto della conoscenza. I giudizi rispettivamente positivo e negativo dati dall'Apostolo in questa materia non sono emessi sotto lo stesso aspetto formale. In questo caso si tratterebbe di una contraddizione, mentre egli intende soltanto evidenziare un contrasto. L'esistenza stessa di una dialettica in questo campo indice di una complessit del discorso su Dio, tipica della fede cristiana. Per il pagano, o anche solo per il giudeo, tutto pi semplice. Ci che per cos dire complica le cose la croce di Cristo, dove traspare un Dio non riconducibile agli schemi della precomprensione razionale. Possiamo cos distinguere due momenti diversi nel cammino dell'uomo verso Dio78. Lingresso della storia e del totalmente Altro in essa viene cos a caratterizzare anche
R. DESCARTES, Ai Signori Decani e Dottori della Sacra Facolt di Teologia di Parigi, in ID., Opere filosofiche, a cura di B. WIDMAR, UTET, Torino 1969, 189. 76 Cf ib., 190. 77 B. PASCAL, Pensieri, Opuscoli, Lettere, cit., 709-710 (fr 547 Brunschwicg = 730 Chevalier). 78 R. PENNA, La dialettica paolina tra possibilit e impossibilit di conoscere Dio, art. cit., 670.
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la metafisica come teologia filosofica e non pu non influire con il suo costituirsi ed il suo esprimersi. A questo proposito non sar fuori luogo notare che la paradossalit costitutiva, inerente la conoscenza di Dio e le sue modalit, risulta presente anche nel pensiero di Tommaso dAquino. Come teologo, san Tommaso, si interroga su Dio e soltanto su Dio79. a partire da Lui, infatti, che nella Summa Theologiae vengono considerati il cosmo e l'uomo. Tuttavia secondo san Tommaso vi anche una teologia che fa parte della filosofia (illa theologia quae pars philosophiae ponitur)80. Questa teologia filosofica si distingue dalla teologia propriamente detta (quae ad sacram doctrinam pertinet) sulla base della diversa prospettiva (lumine naturalis rationis) adottata sullo stesso "oggetto": Dio. Dunque avremo qui una speculazione su Dio alla luce della ragione naturale. Se la teologia propriamente detta ha come punto di partenza la Rivelazione divina, nella cui luce pu considerare tutte le cose, la Parola stessa di Dio essendo fonte della sua conoscenza e del suo discorso, la teologia filosofica conosce con la luce della ragione, la quale - non coincidendo immediatamente con l'essere - limitata e non attinge direttamente Dio. La distanza tra Dio e l'umana ragione va attribuita: a) al limite stesso dell'uomo e b) alla situazione di peccato che caratterizza la condizione umana. A questo proposito va ricordato come la redenzione operata da Cristo non potr non incidere sull'esercizio stesso della ragione umana e come la Rivelazione stessa non mancher di offrire preziosi suggerimenti alla filosofia soprattutto in merito al nostro tema. Un interessante sviluppo delle importanti distinzioni tommasiane circa il carattere positivo e negativo insieme della nostra conoscenza di Dio, da cui consegue la valenza veritativa delle ragioni della fede cristiana, lo troviamo nel pensiero rosminiano, in particolare nella tesi secondo cui la nostra conoscenza razionale filosofica del mistero di Dio di tipo ideale-negativo, mentre quella teologica, derivante dalla fede teologale, di tipo reale-positivo. E che non si tratti di un facile apofatismo, lo si pu mostrare dalle considerazioni che il Rosmini svolge nel Nuovo Saggio sullorigine delle idee, dove afferma che la nostra cognizione negativa di Dio dunque tale, che noi sappiamo per essa a chi rivolgerci senza alcun errore prendere in ci, e possiamo senza esitazione adorare la nostra causa, conoscere praticamente il fonte della bont, e terminare lappetito del sapere nella luce delle menti: sicch al tutto scemo e vano lo sforzo di que savi del secolo, che da questa sorgente inesausta di tutti i beni vorrebbero pur rivolgere e arretrare il genere umano, abusando della parola, che egli un essere incomprensibile81. Siamo cos al livello ontologico, ossia alla concezione dinamica dellessere propria della prospettiva agapica: la metafisica della carit include una ontologia della dedizione e una ontologia trinitaria. Nel primo orizzonte si tratta di pensare lessere nella prospettiva del dono e del dono originario. tema fondamentale in alcune pagine particolarmente significative di Pierangelo Sequeri, dedicate alleidetica dellevento fondatore: Dio dedizione. Chi nega la verit della dedizione nega Dio. Anche se ci fosse fatto in nome della vera religione e della imperscrutabile giustizia di Dio. La corrispondenza della rivelazione e della storia, qui, perfetta. [] Il dono incondizionato di s, laccoglienza dellaltro nella sua stessa differenza, la solidariet con il suo illimitato desiderio di vita, la fedelt della libera obbedienza alle esigenze della giustizia, il riscatto dellaltro nel perdono e nella riconciliazione: sono tutte figure di una simbolica della verit del
Cf in particolare il bel saggio di M. D. CHENU, San Tommaso dAquino e la teologia, Gribaudi, Torino 1977. Siamo al primo articolo della prima questione della Summa, dove san Tommaso si interroga circa la necessit della Sacra dottrina oltre le discipline filosofiche, e dove d per scontata la teologia filosofica, citando Aristotele: Sed de omnibus entibus tractatur in philosophicis disciplinis, et etiam de Deo: unde quaedam pars philosophiae dicitur theologia, sive scientia divina, ut patet per Philosophum in VI Metaphys. (esposizione della seconda obiezione). 81 A. ROSMINI, Nuovo Saggio sullorigine delle idee, tip. Bertolotti, Intra 18766, 479 ( 1241). Su questo tema resta fondamentale il volume di F. PERCIVALE, Lascesa naturale a Dio nella filosofia di Rosmini, Citt Nuova, Roma 20002 e il pi recente ID., Da Tommaso a Rosmini. Indagine sullinnatismo con lausilio dellesplorazione elettronica dei testi, Marsilio, Venezia 2003.
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mondo che , nella sua radice, rigorosamente teologica. Esse esprimono la verit di quella relazione originaria che coincide precisamente con la posizione stessa dellente finito []. In tale prospettiva si pu dire che la differenza ontologica la verit intrascendibile della dedizione di Dio: sicch escluso ogni risolutivo assorbimento del finito nelloriginario di un assoluto indifferenziato ed estraneo alla vita storica. E che la dedizione di Dio il senso indefettibile della differenza, sicch esclusa ogni dualistica interpretazione della libert assoluta che d luogo e tempo alla vita storica del mondo [] la questione del senso, insomma, immediatamente connessa alla questione della gratuit dellente e rinvia inevitabilmente allorizzonte della libert82. Lontologia trinitaria ha una lunga storia e pu vantare il riferimento a figure di notevole rilievo dal punto di vista speculativo, anche in ambito mistico83. La costituzione trinitaria propria dellAssoluto trascendente cristianamente creduto e pensato, invoca di essere percepita e riflessa non solo in rapporto appunto al mistero dellUnitrinit o Triunit (P. A. Florenskij) di Dio, lEssere eterno, bens a livello della struttura stessa dellessere finito = uomo e cosmo (E. Stein). Eppure nonostante le non indifferenti fatiche speculative in atto, il compito di una ontologia trinitaria relazionata al sapere della fede, nel nostro tempo resta ancora da svolgere. Siamo nani che poggiano sulle spalle di giganti, ma non possiamo semplicemente ripetere la loro lezione. Limpresa che Rosmini ha egregiamente, anche se incautamente, portato a termine per lOttocento e la Stein e Florenskij per il Novecento, resta una promessa per il terzo millennio. Sviluppando queste preziose indicazioni si possono percorrere sentieri davvero interessanti e pregnanti per una ricerca teoretica che comprenda la ripresa del tema dei praeambula fidei e delle sue motivazioni profondamente teologiche: se lontologia dellessere creato gi unontologia trinitaria in senso aurorale, in quanto unontologia dellessere che viene per amore da Dio (exitus), lontologia dellessere ricreato per Cristo nello Spirito unontologia trinitaria, in senso prolettico, cio per anticipazione reale: gi unontologia dellessere creato inserito per Cristo nello Spirito del dinamismo della vita trinitaria dellAmore (fatta salva la distinzione di creato e Increato); ma non ancora unontologia trinitaria in senso definitivamente compiuto, o escatologico, perch lessere creato e ricreato si compir in quanto perfetta immagine dellAzione trinitaria, nella Trinit, solo nelleschaton84. Viene cos ampiamente ed esaurientemente ricuperato il carattere previo dellistanza metafisica rispetto alla fede e al sapere che essa esprime e al tempo stesso si mostra con chiarezza quellistanza veritativa propria della ragione creata in rapporto alla dimensione cosmico-antropologica della rivelazione ebraico-cristiana, dove listanza dellessere trinitariamente articolato non esclude, ma include ed invera mirabilmente quella dellUno e delle sue esigenze. Una ulteriore articolazione di una ontologia trinitaria, a nostro avviso capace di mostrare la credibilit della rivelazione cristiana, pensiamo possa esprimersi a partire da una rigorizzazione teoretica di un approccio fenomenologico-esistenziale alle figure dellinteriorit, della alterit e della gratuit85, secondo un percorso che mentre utilizza i dati della fenomenologia francese pi
P. SEQUERI, Il Dio affidabile, cit., 229-238. Un interessante sviluppo, parallelo, di questa ontologia della dedizione ha messo in campo una ulteriore suggestione speculativa nella forma della metafisica del perdono, di cui abbiamo una consistente elaborazione nel voluminoso saggio di Alain Gouhier, dedicato a questa tematica: Cf A. GOUHIER, Pour une mtaphysique du pardon, Ed. de lEpi, Paris 1969. 83 Molto opportunamente, ma in termini prettamente programmatici, Klaus Hemmerle ha indicato lontologia trinitaria come un compito imprescindibile per la teologia contemporanea, Cf K. HEMMERLE, Tesi di ontologia trinitaria, Citt Nuova, Roma 19962. 84 P. CODA, Evento pasquale. Trinit e storia. Genesi, significato e interpretazione di una prospettiva emergente nella teologia contemporanea. Verso un progetto di ontologia trinitaria, Citt Nuova, Roma 1984, 176. 85 Rimandiamo a G. LORIZIO, Fede e ragione, cit., 119-142. Che questo percorso (gi disegnato, senza riferimento alle dottrine rosminiane in un lavoro del 1997: Attese di salvezza in alcune figure del pensiero post-moderno, in P. CODA [ed.], L'Unico e i molti. La salvezza in Ges Cristo e la sfida del pluralismo, PUL - Mursia, Roma 1997, 9-34) nei suoi riferimenti fenomenologici contemporanei abbia a che fare con la teologia e con la metafisica lo si pu rilevare dal
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recente e raccoglie leredit levinasiana, individua nel legame agapico lautentica possibilit di incontro fra limmanenza o solitudine radicale della soggettivit e le istanze dellalterit con le sue irruzioni e le sue pretese. In questo percorso, la compagnia di Rosmini pu consentire quel faticoso e ancora lungo cammino dal fenomeno al fondamento86, individuato nella possibilit di pensare trinitariamente lessere e quindi di rifletterne le forme (ideale reale morale, se si vuole della soggettivit - delloggettivit - della santit) sulluomo e sul suo rapporto col mondo e gli altri nelle tre direzioni sopra indicate. In tal senso tuttavia sono ben consapevole che molto lavoro rimane ancora da fare, per esempio per continuare a pensare le tre dimensioni della carit (temporale intellettuale spirituale) nella loro fondazione ontologico-metafisica, prima ancora che nel loro attuarsi etico. Non si tratta ovviamente di una prospettiva del tutto inedita, ma che affonda le sue radici oltre che nella Rivelazione, nella dottrina trinitaria e nella sua ripresa teologica e filosofica. La valenza speculativa dellevento Cristo, che raggiunge nella metafisica della carit il suo culmine speculativo, esige sviluppi ulteriori. Non possiamo riposare sulle spalle dei grandi maestri del pensiero credente: in loro levento cristologico mostra tutta la sua fecondit speculativa, in noi deve continuare a pungolare lintelletto e la ragione e non solo il cuore e la volont perch si possa esprimere in tutto il suo vigore la credibilit della rivelazione che in Cristo, ultima e definitiva parola di Dio, ha raggiunto il suo compimento.

recente saggio di V. PEREGO, La fenomenologia francese tra metafisica e teologia, Vita e Pensiero, Milano 2004. sulla prospettiva agapica in chiave fenomenologica cf il bel libro di G. DE SIMONE, Lamore fa vedere. Rivelazione e conoscenza nella filosofia della religione di Max Scheler, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005. 86 Ovunque l'uomo scopre la presenza di un richiamo all'assoluto e al trascendente, l gli si apre uno spiraglio verso la dimensione metafisica del reale: nella verit, nella bellezza, nei valori morali, nella persona altrui, nell'essere stesso, in Dio. Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l'interiorit dell'uomo e la sua spiritualit, necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge. Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione (FeR, 83).

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