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Il passato, il presente e l'avvenire della pubblica amministrazione nel regno d'Italia.

De Cesare, Carlo, 1824-1882. Firenze, F. Le Monnier, 1865. http://hdl.handle.net/2027/hvd.hnppfk

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Ap.-. 27, lece.

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PROEMIO

1l progetto del trasferimento della sede del

Governo da Torino a Firenze ormai una legge

dello Stato.

Per quali motivi, da qui a sei mesi, il Re, il

Governo e il Parlamento porranno la loro sede

suU' Arno?

Il Ministero Minghetti-Peruzzi dichiar in

modo solenne che intendeva trasferire la sede del

Governo a Firenze per considerazioni politiche,

amministrative e strategiche.

Gli uomini pi autorevoli che seggono nel-

l' un ramo e nell'altro del Parlamento comentarono

e spiegarono in varie guise i motivi che consiglia-

rono 1' amministrazione Minghetti-Peruzzi a trasfe-

rire la sede del Governo; ma tutti si collocarono

sul terreno della Convenzione del 15 settembre 1864

passata tra la Francia e l'Italia per lo sgombro

delle truppe francesi da Roma.

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La Convenzione del 15 settembre, senza dub-

bio, un grande avvenimento per la politica ita-

liana ; perch con essa l'occupazione francese cessa

in una parte del territorio italiano, la questione

Romana entra in una nuova fase a noi favorevole,

e l' alleanza tra la Francia e l'Italia diventa pi

solida, pi tenace, e pi onorevole per ambe le

parti. Ma ci non basta. Se cotesti vantaggi giusti-

ficano la Convenzione in se stessa, non cos il tra-

sferimento della sede del Governo ch' sempre uno

dei fatti pi rari che posson verificarsi nella storia

delle nazioni.

La politica, generosa magnanima liberale che

sia, non va scompagnata dagl' interessi che su-

scita o crea, anzi la politica stessa non si fonda

che sugl' interessi. Sovente la forma che la riveste

non risponde al concetto, i modi non rivelano la

sua essenza, il successo non giustifica le intenzioni,

ed allora si genera l'errore, il quale pu trascinare

a deplorevoli conseguenze uno Stato. Ma nato l'er-

rore, il talento dell'uomo politico sta nel combat-

terlo, nel correggerlo, nello sbarbicarlo dalle menti

e dalle comuni credenze.

Oltracci, la politica si manifesta nei fatti che

sono, per cos dire, la forma delle sue idee; e

quando i fatti cozzano col suo indirizzo, combat-

tono col suo pensiero, non v'ha ragione di perdu-

rare in un sistema che i fatti stessi rivelano falsato.

L'uomo di mente, il patriota illuminato pu sovente

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scusare i fatti e dar ragione agli uomini che li ope-

rarono; ma il popolo non si ferma, non vede, non

giudica che il fatto, e dai fatti sentenzia degli

uomini e delle cose.

Il nostro indirizzo amministrativo in generale

fu sbagliato, e poich esso veniva da Torino, il

popolo italiano, guardando alla provenienza ed al

fatto, addebit al Piemonte quello che fu imperizia

di uomini e conseguenza della situazione delle cose.

Oggi il popolo italiano applaude alla Conven-

zione, ed al trasferimento della sede del Governo,

perch crede che la Convenzione affretter la solu-

zione della questione Romana, e il trasferimento

della capitale servir a mutare l'indirizzo gover-

nativo ed amministrativo in generale. Abbiamo

anche noi la stessa fede; diversamente a che il

trasferimento della sede del Governo per motivi po-

litici e amministrativi? E questa necessit tanto

pi urgente in quanto sinora abbiamo accusata la

poca efficacia dell' antica amministrazione che pre-

valse in Piemonte e fu estesa poi a tutto il Regno;

ma dal giorno in cui la sede del Governo porr il

piede in Firenze continueremo a mantenere in piedi

lo stesso sistema sperimentato inadatto ai bisogni

del popolo italiano; persisteremo negli antichi er-

rori; accresceremo i bilanci passivi per nuove

spese; seguiteremo in fine a dichiarare erronei

ed inefficaci i regolamenti e gli ordinamenti delle

antiche provincie senza portarvi rimedio? N si dica

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che per circostanze invincibili l' antico sistema con-

tinuer a prevalere; perch allora il trasferimento

della sede del Governo diventerebbe inutile, anzi

dannoso, e l'Italia dovrebbe pur confessare con infi-

nita vergogna di non saper governare s stessa. Allora

il difetto amministrativo si convertirebbe in difetto

politico, e i partiti avversi all'unit della patria direb-

bero che l'unit impossibile; i radicali mostre-

rebbero al popolo che la monarchia fu impotente ad

organizzare un governo libero e innanzi tutto ita-

liano, un governo capace di compiere i destini

della nazione.

Ad evitare cotesti rimproveri, coteste grandi

e possibili sciagure, ora che una capitale provvi-

soria pi centrale e pi consentanea agl'interessi

di tutte ie provincie trovata, volgiamo il nostro

pensiero, le nostre cure, i nostri sforzi assidui e

costanti a creare un' amministrazione veramente

italiana, un'amministrazione intelligente, forte, co-

raggiosa, retta, sollecita, operosissima.

Tutti i buoni italiani, scrittori, politici, ammi-

nistratori che siano, dovrebbero volgere il loro pen-

siero a questo. All' uopo noi ponemmo in servizio

di questo nobile scopo il poco ingegno e la poca

esperienza che abbiamo, e scrivemmo il presente

libro; nel quale con liberissimo animo non esami-

nammo soltanto il passato ed il presente dell' am-

ministrazione italiana, non censurammo solamente

gli errori e i falsi indirizzi, non c'innalzammo a

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critici infine senza uno scopo pratico, ma guar-

dammo anche all' avvenire, proponendo quei modi

e quei mezzi che ci sembrarono pi utili, pi efficaci

e pi opportuni per costituire un'amministrazione

degna della fortuna d'Italia. Forse saremo caduti

in errore anche noi, forse il soverchio amore che

portiamo alla cosa pubblica ci avr ingannati; ma

non per questo l'opera nostra riescir intieramente

inutile alla patria.

Firenze, i gennaio 1865.

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PARTE PRIMA.

IL PASSATO ED IL PRESENTE.

CAPITOLO I.

Il potere politico e l'economico.

Esaminando le presenti condizioni politiche, eco-

nomiche e finanziarie degli stati d'Europa, sotto certi

aspetti ci paiono simili, se non eguali, a quelle del se-

colo XVI, quando gli Spagnuoli, gli Olandesi e gl In-

glesi si disputavano il possesso del nuovo mondo, e

con le gelosie di preminenza nazionale aiutavano po-

tentemente lo sviluppo dell' industria e lo svolgimento

commerciale. Allora il nuovo mondo serv di rigene-

razione all' antico; le immense ricchezze delle Indie, le

vergini miniere delle colonie spagnuole, la spinta data

alla navigazione, i commerci aumentati favorirono in

modo straordinario il progresso materiale dei popoli.

L'eccitamento al lavoro, cre la divisione di questo, ed

accrebbe l'importanza e l' estensione di quello. La ne-

cessit di alimentare il commercio con abbondante pro-

duzione valse a semplicizzare i metodi della stessa

produzione, e questo meraviglioso intreccio di fatti of-

friva gli elementi pi splendidi e sostanziali al potere

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IO

scientifico che se ne impossessava e volgevali a creare

nuovi fattori di ricchezze e di prosperit universale.

Ma a fronte di questo fenomeno prodigioso, ne

sorgeva un altro non men rilevante, e diverso: l'uno

presentava l'ordine e il progresso nel popolo, l'altro

il disordine e l'anarchia nei governi; il primo offriva

produzioni crescenti, il secondo consumazioni impro-

duttive e disastrose. Il ramo pi importante della pub-

blica amministrazione, quello delle finanze, era affidato

a computisti superstiziosi e ignoranti. Io mi credo av-

vilito colf esercitare le funzioni di un semplice commesso

di bur, esclamava con profondo rammarico dell'animo

suo il signor de Thou quando fu nominato presidente

delle finanze in Francia. Ai bisogni del governo si

sovveniva con le frodi nella fabbricazione delle monete,

con l'alterazione dei loro valori, con le ordinanze ar-

bitrarie, con la vendila degli uffizi pubblici, con le tur-

pitudini che esasperavano e corrompevano i popoli,

senza giovare alla pubblica amministrazione, ed allo

Slato.

Cotesto rimescolo di fatti ordinati ed anarchici,

di prosperit e di miserie, di lavoro assiduo e d'ozii

codardi; cotesto aperto contrasto di cose e di fatti,

d'idee e d'azioni, riscosse l'opinione pubblica, e gli

ingegni si volsero ad addentrare le riposte cagioni

delle manifeste contraddizioni tra i fatti sociali e il

pensiero governativo. Da qui origin il primo ragio-

namento economico applicato ai bisogni delle finan-

ze, e fu in Italia che si oper cotesto rivolgimento

del pensiero sociale inteso a scoprire i mali della pub-

blica amministrazione in opposizione del crescente la-

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voro dei popoli e degli sforzi delle societ nell'aumen-

tare le fonti della produzione.

L'Economia politica parve nata per indirizzare

gli atti della pubblica amministrazione, regolare i suoi

bisogni, consigliare le sue vedute, eccitare la sua

azione; ma la politica non l' intese cos, ed attravers

il pensiero economico cbe intendeva promuovere la

ricchezza e portar l'ordine nelle Gnanze. Gli ostacoli

politici per non valsero ad arrestare il progredimento

dell'industria e del commercio: perciocch le leggi del

progresso sono superiori agli ostacoli artificiali della

politica, e la tendenza dell' uomo a migliorare e pro-

gredire invincibile. La politica pu rallentare il pro-

gresso dei popoli, arrestarlo o spegnerlo non mai. Per

la qualcosa attraverso i sistemi proibitivi, le mostruose

tariffe doganali, le intralciate formole delle matricole,

l'inerzia delle corporazioni, le barriere d' ogni sorta

innalzate tra un popolo e l'altro, le stolte gare ristret-

tive, e le imprudenti gelosie governative, l'azione del

progresso materiale divent pi attiva e resistente, e

la prosperit dei popoli and sempre pi crescendo. Ma

l'aumento fu proporzionato all'azione, al lavoro, agli

sforzi delle nazioni? Non mai; perch una gran parte

di quell' attivit, di quelle forze fu impiegata nel vin-

cere gli ostacoli, nel superare le resistenze, e sotto

questo aspetto il potere politico rallent il progresso

economico, scem la prosperit pubblica, oper il male.

In quel tempo furono pi economici i popoli dei gover-

ni, comunque ai primi fossero intieramente ignoti quei

principj salutari di pubblica economia che gi comin-

ciavano a rischiarare il pensiero politico e la forza gc-

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vernativa. Ma l' uno e l' altra resistevano ai consigli

della scienza che andava gi crescendo il suo patri-

monio, non perch disconoscevano i benefizi di essa,

o pensassero che fosse avversa al pubblico bene sotto

l'aspetto materiale; ma perch la reputavano efficace ope-

ratrice di libere forme nei reggimenti politici degli Stati.

Cotesta diffidenza gener lotte ed errori infiniti; i quali

in gran parte perdurano tuttora, non ostante gl'im-

mensi progressi della scienza e le libert che illumi-

nano il mondo civile delle nazioni.

Al termine della guerra del 1698 il capitale del

debito pubblico dell' Inghilterra ascendeva a ventuno

milioni di lire sterline. Al primo febbraio del 1802

montava gi a cinquecento sessantadue milioni, sette-

cento ottantadue mila, dugento sessantanove lire. Il

valore di tutte le propriet fondiarie della Gran Bret-

tagna in quel tempo ascendeva a seicento quaranta

milioni; mentre il debito era di cinquecento sessantadue.

Il reddito delle terre nell' Inghilterra e nella Scozia era

di venticinque milioni, e l'interesse del debito di ven-

tiquattro; il reddito adunque non superava l'interesse

che di un milione, pari a ventiquattro milioni di fran-

chi. Quindici anni dopo, il capitale del debito pubblico

montava gi ad un miliardo e quattrocento milioni,

ovvero a trentaquattro miliardi di franchi fruttanti ai

creditori un interesse di circa sessanta milioni, ovvero

di un miliardo e, quattrocento quaranta milioni di

franchi.

Fin dal tempo di Giorgio l'Inghilterra avea ren-

duto il debito a forma di rendita perpetua; il paga-

mento degli interessi bene assicurato, e la facolt della

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trasmissione delle iscrizioni eran diventate le due basi

del credito pubblico. G' Inglesi furono i primi in Eu-

ropa a riconoscere che il rimborso dei prestiti ad epo-

che fisse sotto qualunque forma, fontine o rendite vi-

talizie che si chiamassero, tosto o tardi condurrebbe

qualunque Stato al fallimento. Ma col fondare il debito

pubblico, secondo la frase de' finanzieri inglesi, sulle

basi della sicurezza degl' interessi e della trasmissione

delle iscrizioni, se reca vantaggi al sistema dei prestiti,

non lascia per di creare dei grandi pericoli. Imperoc-

ch ogni nuovo debito non aumentando i carichi della

nazione che della sola somma necessaria allo sconto de-

gl' interessi, la seducente facilit di una tale operazione

sovente spinge le imprudenti amministrazioni ad abu-

sarne. Questo accadde all' Inghilterra dalla guerra del-

l'indipendenza americana fino al 1816; e poich la

forza produttiva del popolo resisteva al rapido aumento

degl'interessi del debito pubblico, vi fu chi credette

e sostenne che uno dei mezzi pi efficaci e potenti per

arricchire le nazioni sia quello di far molti debiti. Ma

non pass guari, e l'Inghilterra stessa sent il grave

bisogn di porre un limite all' accrescimento del debito

pubblico; ricorse al fondo di ammortizzazione; il mi-

nistro Pitt cav da' nuovi prestiti altri fondi di ammor-

tamento; si scemarono le spese; si ridussero i servizi

pubblici; si accrebbero le imposte, infine il governo

dispos la politica della pace ad ogni costo, e cos le

finanze inglesi in cinquant' anni poterono a grado a

grado elevarsi ad una invidiabile altezza e prosperit.

Ma con la pace ad ogni costo, a quante umiliazioni

non si assoggett la Gran Brettagna; quanti oltraggi

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diplomatici non dov tollerare silenziosamente; quante

ingiurie morali non dov sopportare!

Mentre la Gran Brettagna si gravava di debiti

immensi, il suo governo proclamava che il peso del

suo debito pubblico era proporzionato a quello della

ricchezza nazionale. I fatti per provavano il contrario:

nel corso di un secolo l'entrate delle terre della Gran

Brettagna non si erano accresciute che della met; le

sue esportazioni non erano che triplicate, mentre il ca-

pitale del debito si era fatto tre volte pi considerevole.

Ma donde scaturiva questa divergenza tra il pensiero

governativo e il principio economico?

Lo svolgimento delle idee politiche, il perfeziona-

mento del sistema costituzionale aveva in preferenza

d'ogni altro determinata la formazione della teoria po-

litica; la quale se influ sotto certi aspetti nella suc-

cessiva variet delle fasi industriali sullo studio dei

fattori della ricchezza; se valse a rifermare in Inghil-

terra la formazione della teoria della pubblica ricchezza

stessa; d' altra banda non avendo voluto il pensiero

politico associarsi all' economico, dov naturalmente

errare senza guida sicura, e proclamare quegli errori

che pi tardi la prevalenza dei fatti opposti dovea cor-

reggere con infiniti sforzi.

L'interesse privato, dicevasi allora, non ha biso-

gno di teorie pel suo tornaconto; guardate per poco

ai fatti, e la sentenza parr pi vera. Quale industrio-

so, qual commerciante, quale agricoltore si arrestato

ancora sulla via dell' aumento della produzione, delle

speculazioni, del miglioramento delle sue terre, per di-

fetto di cognizioni economiche? Qual mercatante si

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consigli prima con la Economia politica per vedere

se gli giovava assai pi di far tornare carica di merci

la sua nave dalle Indie, ovvero vuota? Fu il solo buon

senso che guid il mercatante nelle sue intraprese, ed

ei cap da s che inviando una nave in America col

carico di oggetti manifatturati in Europa era meglio

barattarli con le produzioni americane, che tornare col

naviglio vuoto. Imperocch nel primo caso assicurava

il capitale, guadagnava l'interesse su questo durante

il viaggio, e nuovi lucri faceva sul rischio delle merci

esportate dall' America; mentre tornando col naviglio

vuoto e con le lettere di cambio in tasca, ei perdeva

il nolo del viaggio e i guadagni fatti nella vendita del

primo carico. L'interesse privato adunque il miglior

consigliere delle intraprese economiche, il miglior di-

rettore dei fatti individui, la scienza pi efficace del

tornaconto degli industriosi, il rivelatore di tutto ci

che fa bene, e di quello che nuoce ai privati interessi.

Sino a un certo punto questo era un ragionamento

esatto; ma non s'intendeva che il buon senso rivela-

tore del bene agl'ignoranti non risguardava che il van-

taggio individuale; mentre le sole meditazioni dell'Eco-

nomia politica eran capaci di svilupparlo ed estenderlo

a tutta quanta la societ. Ed ci che risguarda il

computo di un governo, il quale nell' interesse univer-

sale chiamato a circoscrivere l'azione dei fini privati

per giovare ad un grande scopo pubblico. Il solo go-

verno sussidiato dalla ragione economica pu rivolgere

con movimento concentrico le sfere dell' azione indivi-

dua al bene pubblico, senza nuocere all'una e all'altra,

senza incepparle. Egli per questo che un governo ha

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bisogno di conoscere fin le estreme conseguenze dei

fatti economici, e i pi estesi risultameuti delle conse-

guenze dell'industria in generale. Il buon senso dei

privati pu influire su gli elementi che servono di fon-

damento alla scienza; ma la scienza quella che for-

mar debbe, diremmo quasi, il senso comune dell pub-

bliche amministrazioni. Senza dubbio, la pratica di una

produzione indefinita era stata introdotta in Inghilterra

dal buon senso inglese, o meglio dal genio della na-

zione, prima ancora che non fosse stata consigliata dalla

scienza; ma la scienza per fatta governo valse a in-

dirizzare il lavoro nelle sue necessarie divisioni, a re-

golarlo nei sensi del suo sviluppo ordinato, a preser-

varlo dalle facili crisi, a sostenerlo nelle sue vaste

intraprese, a liberarlo dagli ostacoli che si frappone-

vano tra il suo svolgimento ampio e generale, e l'inte-

resse privato.

E pur vero che gl'industriosi si ridono della scienza

nell' indirizzo delle loro faccende; essi non conoscono

altro libro migliore che quello dell' esperienza, non al-

tri agenti motori che il lavoro e l'attivit, non altri

consiglieri che il senso comune e l'interesse privato.

Ma gl' industriosi per non si ridono egualmente della

opinione pubblica; di quell' accordo unanime degl' in-

gegni nel propugnare un principio utile; di quella

uniformit di giudizi che si trasforma in un sol pen-

siero; di quel costante e maestoso procedimento go-

vernativo conforme al genio della nazione, ed all' opi-

nione degli scrittori; di quella unanimit di pensare

che converte le volont in principi i d'azione e crea le

pi benefiche influenze che valgono a contenere Tinte-

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resse privato nelle sfere pi ordinate e in perfetta ar-

monia dei pubblici interessi. Di fatto, la libera concor-

renza nella produzione economica accettata dappertutto;

la cessazione dei pi funesti pregiudizi nella classe de-

gl' industriosi e dei popoli commercianti; la libert

commerciale diventata dogma di ricchezza per tutti i

popoli; la pi esatta formazione dei bilanci delle spese

e delle entrate; la miglior ripartizione delle imposte;

l'affrancamento dei livelli, dei canoni e dei censi; lo

svincolamento della propriet territoriale; la soppres-

sione delle mani-morte; la liberazione dei servi della

gleba e degli schiavi; l'ordinamento del debito pubblico

e il relativo sistema di ammortamento , non sono che

conseguenze legittime delle supreme regole della scien-

za economica diventata azione nella pubblica coscienza,

ed imposta all' amministrazione.

Ma la scienza non oper ancora i suoi prodigi

relativamente alla sua onnipotenza, perch fu, ed tut-

tora osteggiata dalla ragion politica. Grandi e inces-

santi furono gli sforzi dei pi nobili ingegni per asso-

ciare alla politica i principii della scienza economica;

cotesti sforzi durano tuttora; ma dappertutto incontrano

una resistenza incredibile. Leggansi le discussioni del

Parlamento britanno, e se ne avr la prova pi convin-

cente. Quando I' opposizione parlamentare ha invocato

i salutari principii della scienza per volerli applicati

all' indirizzo governativo ed allo spirito delle leggi

economiche e finanziere, il governo ha trionfato sempre

dei principii, della scienza, e dell'opposizione. Per lo

contrario, tutte le volte che il governo ha preso l'ini-

ziativa di qualche riforma economica o finanziera, l'op-

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es-

posizione ha riportato delle segnalale vittorie, ed il

ministero caduto. Potremmo citare all' uopo le pro-

poste fatte sotto il ministero del celebre Huskisson, le

discussioni sulle riforme industriali, la legge dei grani

proposta dal ministero di Lord Malbourne, le gloriose

lotte parlamentari del ministero Peel, quando accadde

un nuovo fenomeno nella pubblica opinione della Gran

Brettagna , il quale segnal il trionfo pi completo della

scienza sulla politica, sicch questa per un rivolgi-

mento opposto e dannoso sotto altro aspetto alla gran-

dezza nazionale ed al credito politico del governo, ri-

mase subordinata alla ragione economica.

I miracoli operati in brevissimo tempo dalle ri-

forme economiche e finanziere di Roberto Peel muta-

rono radicalmente il sistema dell' amministrazione po-

litica della Gran Brettagna. La prosperit accresciuta

e diffusa nei tre regni; la pubblica opinione che

incuorava il governo a perseverare nel nuovo siste-

ma, il grido di pace mandato da Riccardo Cobden,

ed accolto e plaudito dai commercianti e industriali

del paese; le discussioni del Parlamento nell' idea

di abbandonare l' antica politica e volgere l'indirizzo

governativo verso le progressive riforme economi-

che; la preponderanza acquistata dalla nuova scuola

economica detta di Manchester; il governo venuto

alle mani dei seguaci della nuova politica inaugu-

rata da Roberto Peel; la Camera dei Comuni rifatta

nella sua maggioranza dagli industriali, dai commer-

cianti, e dai politici convertiti alle novelle idee, tutto

ci valse a far traboccare la bilancia del sistema go-

vernativo a favore della economia, la quale si sovrap-

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pose alla politica, e guid questa per le vie che la

scienza sostenuta dal consenso unanime della nazione

avea tracciate alla pubblica amministrazione. Allora si

disse: le guerre rovinarono la finanza e l'economia

della Gran Brettagna; il sistema degli imprestiti age-

vol le guerre e ci espose a tutti quei pericoli che

colla guerra, si diceva , dovevano cessare. Noi ab-

biamo bisogno di non far pi imprestiti, di non far

pi guerra, di non mescolarci negli affari del conti-

nente europeo se non per impedire i dissidii, le discor-

die, e le suscettibilit che potrebbero menare ad una

guerra generale , alla quale saremmo chiamati a ma-

lincuore, anzi senza volerlo. La nostra antica alleanza

coll'Austria rigida sostenitrice dei trattati del 1815 ci

d la forza per mantenere la pace e l' equilibrio d'Eu-

ropa: noi adunque ci dobbiamo fare gl'iniziatori della

pace ad ogni costo, e concentrare tutta la nostra atti-

vit nelle cose economiche.

Con questo nuovo sistema crebbero senza dubbio

straordinariamente le risorse della Gran Brettagna; ma

la grandezza della nazione sotto l'aspetto politico and

gradatamente scemando, e la prosperit interna fece

un doloroso contrasto con le influenze che prima l'In-

ghilterra esercitava in tutto il mondo. In quest' ultimo

decennio noi la vedemmo precipitare verso quella deca-

denza politica profetata da parecchi storici e statisti

francesi assai tempo innanzi ; noi la vedemmo con in-

finito rammarico dell'animo nostro oltraggiata dal prin-

cipe di Gortschakoff in nome dell' Imperatore di tutte le

Russie per la questione polacca; insultata dal barone

di Beust ministro della Sassonia in nome della Germa-

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nia, sfidata dal ministro Bismark da parie della Prus-

sia, derisa e canzonata dal ministro Rechberg in nome

dell' Austria, abbandonata dalla Francia nella questione

Dano-Germanica, minacciata infine dalla Confederazione

Americana se riconosceva il governo delle repubbli-

che del sud. Oggi l'Inghilterra isolata, e ci accade

per la soverchia preponderanza data all' elemento eco-

nomico sul politico; mentre l' uno e l'altro dovrebbero

procedere di pari passo. A che la ricchezza di un po-

polo, se questa non si fa valere nelle questioni d'onore?

A che i mezzi materiali, se questi sono accumulati a

prezzo dei mezzi morali e politici? E la decadenza

morale e politica di una nazione non influir col tempo

sulla prosperit economica ; non le chiuder le vie pi

ampie del commercio; non le strapper la fiducia e il

buon volere dei popoli stranieri; non le toglier quel

prestigio di grandezza e di potenza ch'ella prima eser-

citava nel vecchio e nuovo mondo? La buona politica

fa le buone finanze, e le buone finanze riescono a fare

la buona politica; sono due elementi che si compene-

trano ed operano insieme : il giorno in cui l'uno pre-

vale sull'altro, la bilancia trabocca, e il disquilibrio nelle

forze maggiori di uno Stato, o lo trascina verso la

miseria, o lo sprofonda nell'umiliazione e nella ver-

gogna.

L'esagerazione negli elementi direttivi dell'ammi-

nistrazione degli Stati cagiona naturalmente il disquili-

brio nelle potenze materiali e morali, promotrici e

conservatrici della prosperit pubblica, e finisce col-

l' alterare le funzioni organiche del corpo sociale. L'In-

ghilterra non avverte ancora mali che saranno per

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iscaturire dalla esagerazione dell' elemento economico

sul politico; ma verr tempo in cui a fronte di una

straordinaria prosperit interna saranno tali e tante le

umiliazioni nazionali all'esterno, che non lasceranno

d'influire rapidamente sulle stesse condizioni inter-

ne, e la prosperit verr con eguale rapidit sce-

mando.

In un eccesso opposto oggi danno le altre nazioni

d'Europa, soprattutto l'Italia, accordando molto all'ele-

mento politico, e poco o nulla all'elemento economico;

mentre mostrano di favorirlo sotto mentiti aspetti. Le

teorie economiche non influiscono affatto sull' azione go-

vernativa, o al pi valgono di pretesto all'opposizione

parlamentare nei reggimenti costituzionali, e di opposi-

zione popolare nei governi assoluti. Difatto, i ministri

che oggi escono dall'amministrazione di uno Stato so-

migliano a quel Conte Chaptal, il quale not tutti i

tristi risultamenti del sistema proibitivo, tutti i mali

che derivavano alle nazioni dal sistema d'isolamento

economico; e quando egli fu ministro sotto il primo

impero, il commercio in Francia vest le forme del pi

rovinoso monopolio.

L' amministrazione oggi rifiuta i consigli della

scienza nella direzione dei fatti, mentre pur noto che

quante volte l' amministrazione adott le massime del-

l'economia, i benefizi degli Stati furon grandi, nume-

rosi , e perenni.

Quali risultamenti deplorevoli derivano dalla pre-

valenza politica nella costituzione degli Stati, noi lo

esamineremo in seguito, applicando siffatte cose al Re-

gno italiano. AH' uopo citammo l'esempio dell' Inghil-

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_ -k>

terra, che iu fatto di libert e d indipendenza,

regime costituzionale e di potenza economica il

Vero stato-modello in Europa.

CAPITOLO IL

Le rivoluzioni e i partiti politici.

Il disquilibrio tra gli elementi politici ed econo-

mici scaturito dalle guerre, dalle rivoluzioni, dai

mutamenti di Stato, dalle trasformazioni della diploma-

zia, dagli effetti delle forze impiegate per redimere

uno Stato e che risultarono vincitrici. La politica di un

fortunato guerriero trov che il pensiero economico

avea molto influito in Francia ad abbattere gli ordina-

menti feudali, a svincolare il lavoro, a liberare la terra

dai vincoli che l'inceppavano, ad aiutare perci indiret-

tamente la rivoluzione dell' 89 in Francia; e la politica

guerresca odi gli economisti, scacciandoli dalle am-

ministrazioni e chiamandoli a strazio ideologi. La poli-

tica, dopo il 1815, osserv che il concetto economico

eccitava quel bene che i governi assoluti osteggiavano,

e combatt gli economisti col nome di utopisti. La po-

litica guardando al movimento popolare che il grido

delle riforme economiche eccitava in Inghilterra, lo

contrast ad oltranza chiamando agitatori coloro che

l'iniziarono la prima volta. Gli sdegni non si chetarono

neanche dopo le riforme; sicch Roberto Peel scen-

dendo dal potere, esclamava: E vero, io lascer un

nome esecrato tra i monopolisti che sotto pretesto del-

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l interesse pubblico non cercano che il loro guadagno

particolare. Ma forse questo nome sar pronunziato

qualche volta con gratitudine nella dimora degli uomi-

ni, il cui destino di guadagnare il loro pane cotidiano

col sudore della fronte. In queste dimore forse si ri-

corderanno di me con benevolenza, quando coloro che

l'abitano ristoreranno le loro forze con un nutrimento

abbondante e libero d'imposte, altrettanto pi dolce

in quanto non avr per lievito il sentimento dell' ingiu-

stizia. Le riforme economiche inglesi sono appro-

vate, il Parlamento le converte in legge ; elle si aprono

il varco anche fuori la grand' Isola , ma neh' ap-

pressarsi agli stati vicini, dal Belgio, dalla Francia, e

quindi dalla Germania e dall' Italia si manda questo

grido d' angoscia e di timore: la libert commerciale

un trovato della perfida Albione per rovinare ed ab-

battere il commercio del continente europeo. All' in-

darno gli economisti pi dotti e sperimentati al grido

insensato dei governi e delle moltitudini risposero con

solidi argomenti in difesa della libert commerciale; la

politica l'osteggiava, e nel vortice delle ostilit anda-

ron confusi uomini e cose ; gli economisti furon chiamati

stolti riformatori in taluni Stati; in altri rivoluzionarti e

demagoghi.

Le ultime guerre e rivoluzioni accadute in Eu-

ropa durante l' ultimo decennio, le quali valsero a mu-

tare i principii fondamentali del diritto pubblico, per

una necessaria riazione fortificarono assai pi il prin-

cipio politico in senso opposto al primo; e il principio

politico ancorch liberissimo non oppugn la manife-

stazione del pensiero economico, non l'osteggi; ma

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gli diede poca o nessuna importanza, c non l'associ

alla sua azione. Le rivoluzioni e guerre di libert e d'in-

dipendenza sono apparecchiate dall'elemento morale,

fortificate dall' opinione pubblica ; ma la forza mate-

riale che le compie, distruggendo il passato. Sulle ro-

vine ammucchiate dalla rivoluzione e dalla guerra

dovrebbe sorgere il pensiero creatore del nuovo; do-

vrebbe ricollocarsi il concetto morale; dovrebbe innal-

zarsi infine la forza ricostruttrice. Ma sventuratamente

non cos; la vittoria reale rimane alla forza mate-

riale , a quella potenza che ha lutti gli elementi in s

per abbattere, nessuno per creare; e da qui gli inu-

tili sforzi per organare le amministrazioni dello Sla-

to; il disagio dei cittadini; il malcontento di certe

classi che hau pi interesse alla pace ed al riposo; la

crescente distruzione dei valori; le consumazioni im-

produttive; l' aumento dell'imposte, e quindi la lenta

formazione dei partiti avversi che accrescono assai pi

la confusione e ritardano lungamente l' organizzazione

amministrativa e l' ordinamento politico.

Dopo il fulmine e la tempesta viene il sereno e

la luce limpidissima; dopo un periodo di agitazione e

confusione governativa prodotta dalla rivoluzione sorge

il pensiero ordinatore; ma i partiti ostili trovansi au-

mentati, la pubblica opinione infiacchita, le forze go-

vernative sono scemate, l'indifferenza invade le co-

scienze, e il pensiero che si sobbarca ad ordinare lo

Slato si vede pressoch isolato. S'ei trovasi incarnato

in un genio, allora seguita la sua via, non si spaventa

della solitudine, non si atterrisce del vuoto, opera e

combatte; progredisce e si eleva ; abbatte e crea, sic-

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che io vista del mirabile edifizio innalzato il rumore

delle lotte parteggiane cessa, gli avversarli si avvici-

nano a lui cheti e dimessi, gli amici crescono, e lo

Stato diventa tranquillo e prosperoso.

Cotesto trionfo del genio governativo pi o men

lontano, a misura che la forza dei partiti avversi

pi o meno intensa; ed perci che la storia ci pre-

senta degli Slati che non trovarono assetto di pace e di

riposo, se non dopo un quarto di secolo, cinquantan-

ni , un secolo, ed anche due. I partiti politici hanno

una forza corroditrice minima alla superficie, ma

grande nell' interno. I governi che sono obbligati a

lottare con essi richiamano tutte le loro forze ad uu

punto solo, sicch le altre parti dell' amministrazione

vengono a mancar di vigore e spesso d'indirizzo, ed

allora o giacciono per inerzia, o precipitano per movi-

menti disordinati. La produzione nazionale si assotti-

glia, i mercati languono, la confidenza sparisce, il

credito viene a mancare, e le risorse di un popolo si

esauriscono. Ecco i mali gravissimi che cagionano i

partiti agli Stati nascenti, soprattutto quando attribui-

scono i fenomeni e le necessit delle situazioni politiche

agli uomini che hanno l'indirizzo della cosa pubblica,

ovvero non si san dare ragione degli avvenimenti.

Roma, scrive Tacito, da principio fu governata dai

re : Bruto stabil la libert e il consolato; le dittature

erano a tempo; la potest decemvirale non resse pi

di due anni; non molto tempo dur quella de' tribuni mi-

litari e dei consoli, n fu lunga la dominazione di Cinna

e di Silla; la potenza di Pompeo e di Crasso tosto cadde

in Cesare, e le armi di Antonio e di Lepido passarono

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in Augusto; il quale, trovati tutti stanciji dalle di-

scordie civili, si fece padrone di tutto col titolo di prin-

cipe.

A grandissima distanza di tempi e di luoghi, per

un fatto simile, Thiers nella storia del Consolato e del-

l'Impero narra, come uscendo la Francia dalle mani

del comitato di salute pubblica e del regime crudele

del 93, non le restava che fare un ultimo esperimento,

quello di una repubblica moderata nella quale i poteri

fossero equilibrati, e la di cui amministrazione fosse

affidata ad uomini nuovi, estranei a tutti gli eccessi

che avevano spaventato il paese: allora s'immagin il

Direttorio. Ma il saggio non riesci; perciocch il go-

verno del Direttorio debole e violento insieme perdeva

le provincie conquistate, non pagava le truppe ch'erano

allora la sola forza e la gloria della Francia; tiranneg-

giava balordamente i cittadini ricchi con l'imprestito

forzato progressivo e la legge degli ostaggi, sconvol-

geva la nazione tutta quanta. Ora forse straordi-

nario , dice lo storico francese, che chi non potea ri-

prendere l antico regime in quell'epoca se non dopo

aver veduto i tristi risultamenti della costituzione di-

rettoriale cominciasse a non credere alla repubblica?

E strano che la Francia si gettasse nelle braccia

di un giovine generale vincitore in Italia e in Egitto,

estraneo a tutti i partiti e che mostrava di sdegnarli

tutti? Dotato di un' energica volont , mostrando per

gli affari militari e civili un' attitudine speciale, e

manifestando un' ambizione che allora lungi di al-

larmare gli spiriti era accolta come una speranza,

al suo primo apparire il Direttorio cadde e tutti i pai-

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titi accorsero a domandargli l'ordine, la vittoria, la

pace.

Queste parole a tanta distanza di tempo si riscon-

trano con quelle degli Annali di Tacito, ed entrambi

gli storici mostrano che non la bassezza dei cittadini,

non l'audacia di un partito, n il capriccio degli eventi

condussero Augusto e Napoleone al supremo potere;

ma cagioni pi altee pi profonde, le sole che posson

rendere durature le istituzioni e gli avvenimenti.

Roma non poteva compiere e sostenere il suo si-

stema d'ingrandimento senza l'unit del potere: la

Francia per altra via non poteva ordinare l'interno e

fare accettare all' Europa le condizioni che avea fatto

a s medesima senza circoscrivere l' azione indivi-

duale , ed allargare la governativa nel senso di racco-

gliere tutte le forze insieme per farle operare ad un

solo scopo. Entrambe le nazioni avevano bisogno di

unit di potere, unit di forze, unit d'indirizzi; e per

ottener questo fine tanto Roma nel primo secolo, quanto

!a Francia nel decimonono dimandarono ad Augusto ed

a Napoleone l'ordine, la vittoria, la pace. ll nuovo or-

dine di cose comp la sua missione? Ai popoli parve

che fosse compiuta quando Augusto chiuse il tempio

di Giano, e Napoleone segn i patti del trattato

d'Amiens; ma ai partiti avversi no f i quali logora-

rono in seguito le forze dei due imperi, finch precipi-

tarono in rovina.

E per vero dire, in tutte le grandi rivoluzioni,

nei radicali mutamenti di Stato, o di semplici forme

governative, havvi sempre un partito, il quale, viste

svanire talune speranze leggermente concepite, comun-

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que il line couiuue sia raggiunto sotto diverso aspetto,

non lascia per di sdegnarsi contro l'opera stessa,

a cui concorse con la sua azione, o col suo consiglio.

Allora grida alla corruzione degli uomini, si scaglia

pazzamente contro le migliori intelligenze, getla ana-

temi sugli uomini del potere, discredita il governo,

insulla ai pacifici cittadini che obbediscono alle leggi,

e superbisce nel suo orgoglio di restare in minorit,

perch crede che questo sia il mezzo di mostrare al

popolo che gli uomini suoi sono i migliori dello Stato.

Cotesto partito non manc in Roma ai tempi di Augu-

sto; non manc in Francia sotto il Consolato e l'Im-

poro, n manca oggid tra noi, ed altrove. Intorno a

simili partiti si raccolgono sempre i malcontenti d'ogni

genere, i fautori degli antichi governi, e li fortificano di

numero, se non di qualit e d'influenze. L'azione del

governo allora trova ostacoli disseminati sulla sua via;

gli uomini del potere sono messi a dure prove; l' au-

torit delle istituzioni in continui cimenti, e sin le

leggi sentono la scossa del discredito che i partiti ostili

van spargendo dinanzi ad esse. La protezione alle let-

tere, l'ossequio agli uomini distinti, le liberalit di Au-

gusto , dal partito oppositore furon giudicati mezzi di

corruzione, e Mecenate si disse l' agente del corrom-

pitore. Ai tempi di Napoleone i partili ostili entrarono

nei corpi deliberanti, e per opposizione, soltanto per

spirito di opposizione al governo, non si vergognarono

di rigettare i primi titoli del codice civile, il vero

monumento di sapienza e grandezza che Napoleone

don alla Francia, il quale non tard ad estendere

la sua provvida azione su tutta la legislazione europea,

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20 -

e dura tuttora. I membri dei corpi deliberanti furon

rinnovati; gli uomini dei partiti ostili non furon pi

rieletti, e cos pass il codice civile.

CAPITOLO HI.

L'ordinamento del Regno Italiano.

Anche V Italia pass attraverso di tutte coteste

fasi che perdurano ancora ; e noi liberamente vogliamo

indagarne le cause, per farne cessare gli effetti, se

mai lo scoprimento del vero vale a qualche cosa.

L' ultima rivoluzione italiana apparecchiala dagli

scrittori, dalla pubblica opinione, e dall'accorgimento

del Conte di Cavour, ad operatori principali la si ebbe

uomini che vagheggiando un solo scopo, pur si avval-

sero di mezzi diversi che per fortuna d'Italia condus-

sero mirabilmente al medesimo fine. In tutte le rivo-

luzioni e guerre la forza materiale l'ultima vincitrice,

ed giusto e necessario che la forza delle armi assuma

nel periodo rivoluzionario la somma delle cose nelle

mani. Ella non guarda a capacit governative, a dottri-

ne, ad attitudini amministrative, a specialit di ammi-

nistrazioni: se anche volesse farlo, non ne ha il tempo;

epper affida il governo della cosa pubblica agli uomini

d' arme, ovvero a coloro che maggiormente influirono

per vie diverse al trionfo della rivoluzione.

I nuovi governanti han bisogno di circondarsi di

braccia di loro fiducia, almeno per una gran parte, e

ricorrono a coloro che soffrirono sotto il caduto gover-

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no; non altro titolo ci occorre che l'aver patito la car-

cere o T esigllo, ovvero d'aver cospirato contro l'antico

governo. Oltracci, la rivoluzione ha bisogno di far

toccare con mano al popolo i beni del mutamento gover-

nativo: non ci tempo da porre in mezzo, non c' da

discutere, mestieri operare in quel senso; e da qui

l'abbassamento o la totale soppressione dei dazii che

pi risguardano da vicino le moltitudini. Coloro che cri-

ticano queste misure disastrose nella sostanza per l'av-

venire, non s'intendono nulla di rivoluzioni, n ci pi-

gliaron mai parte. Sono necessit che crea la situazione

delle cose, e chi non le accetta, precipita.

Per fortuna d'Italia gli uomini che guidarono la

rivoluzione, i patrioti che furon chiamati al governo di

essa in tutti gli ex-Stati della penisola, di qualunque

gradazione politica si fossero, non mancavano n d'inge-

gno, n di cognizioni, n di prudenza. Tutti capirono sin

dal principio che si potevano scegliere braccia migliori

per governare le provincie e le citt, per amministrare

i rami diversi della pubblica cosa; ma non era quello

il tempo di urtare nei pubblici clamori dei soffrenti che

chiedevano cariche quasi per vivere, che dicevano in

brevi termini: la rivoluzione siamo noi. Questo era

computo che spettava al governo nazionale in tempi

calmi e tranquilli. Non si accusino dunque gli uomini

che furono al governo della rivoluzione negli ex-Stati

se operarono cos; l' opportunit la suprema legge

delle nazioni, e l'opportunit richiedeva che non si fa-

cesse altrimenti. Anzi i governanti di quel tempo in

mezzo a grandi difficolt furon cauti, giusti e prudenti;

essi rispettaron molti uomini del vecchio sistema, per-

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ch li credettero onesti e capaci. La rivoluzione non

consum vendette, non traffic odii, non oltraggi nes-

suno; colp i soli nemici operosi e implacabili, e con

gli inerti fu anche generosa.

I mali operati in questo senso dalla rivoluzione,

e in quello dell' abbassamento o soppressione di certe

imposte che le popolazioni pagavano senza querela di

sorta, vero, accrebbero le difficolt del governo na-

zionale, crearono deglimbarazzi seri al Regno italiano,

ma eran mali necessarii, e la rivoluzione non poteva

operare diversamente. Quando si abbatte, non si crea;

T opera della ricostruzione spettava al governo nazio-

nale, e la rivoluzione gliela lasci intiera.

Ademp a questo solenne mandato il governo na-

zionale? In parte s; ma con gravissime spese, per

mancanza di un gran concetto politico amministrativo

capace di abbracciare tutti i rami della pubblica ammi-

nistrazione. Senza dubbio, in quattro anni il governo

italiano sotto certi aspetti fece molto ; cre un esercito

di trecento ottantamila soldati, form una marina mi-

litare soddisfacente; arm un milione di guardie na-

zionali sopra un milione e trecentomila uomini; accrebbe

di centinaia di chilometri le strade ferrate esistenti

nel 1860; stipul trattati di commercio e di navigazione

con tutti gli Stati che riconobbero il Regno italiano, ma

tutto ci cost molto caro, cost miliardi, ed avrebbe

potuto costar meno, se le amministrazioni fossero state

organizzate con un sol concetto, sopra una solida base,

e nell' interesse di tutta quanta l'Italia. Da qui i la-

menti dell' interno usufruitati dai partiti avversi, non

ostante le molte cose operate; da qui la fama non hi-

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singhiera ormai sparsa in tutta Europa, che l'Italia ha

politici, ma non amministratori ; da qui infine quel di-

sagio delle popolazioni che elle non sanno esprimere,

e che i partiti definiscono a modo loro. Eppure, la pub-

blica ricchezza per le cose innanzi dette, resistendo

alla cattiva amministrazione, alle imprudenti spese dello

Stato, ai gravi spostamenti degl'interessi privati, al

cattivo effetto delle leggi di finanza, cresciuta; il

commercio aggrandito; il credito raddoppiato; le

vie di comunicazione sono aumentate, elementi di pro-

sperit appaiono da per tutto. Da che proviene adun-

que il disagio, il mormorio, il malcontento delle po-

polazioni?

Lo diremo in poche parole: dalle amministrazio-

ni ; dall'elemento vecchio che lotta col nuovo; dalla

cattiva destinazione del personale governativo; dalla

mancanza di quel concetto complessivo in tutte le am-

ministrazioni che forma perfetta unit.

Le amministrazioni non rispondono al concetto

unificatore dello Stato, perch regolate da leggi e di-

sposizioni diverse, da codici diversi, da procedimenti

varii ed opposti, i loro risultamenti non possono non

essere eguali alle premesse, e quindi dannosi al go-

verno, ed alle popolazioni.

Le antiche leggi, gli antichi regolamenti sembrano

ai pi migliori assai di quelli che dal Piemonte si ap-

plicarono al rimanente d'Italia, sicch questi incontrano

in ogni parte una opposizione sorda, incessante,

dissolvente. Non c' pi una sola legge che sia appli-

cata rettamente, e le ammonizioni del governo centrale

si rompono in faccia alle cavillazoni degli avvocati

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locali, dei causidici, degl'interpreti del nuovo diritto.

Noi dicemmo che la rivoluzione non guard al

personale dal lato della specialit, della capacit, del-

l'ingegno, delle cognizioni; ma soltanto dal lato poli-

tico, e non poteva fare altrimenti; salvo le debite

eccezioni per pochi uomini di nota fama. Il governo na-

zionale eredit dunque in gran parte un personale

amministrativo incapace; poteva e doveva avere il co-

raggio di rimandarlo a casa; non lo fece per le ragioni

che diremo in seguito, e il nuovo personale governa-

tivo con tutte le buone intenzioni del mondo rec nu-

merosi ostacoli all' applicazione delle nuove leggi. La

rivoluzione, abbiamo detto innanzi, si mostr generosa

verso coloro che avevano servito gli antichi governi;

in talune provincie, come la Toscana, l'antico perso-

nale giudiziario ed amministrativo rimase quasi intatto.

In altre provincie furon risparmiati tutti coloro che fe-

cero pronta adesione al nuovo ordine di cose. La rivo-

luzione non chiese loro: donde venite, che cosa faceste

nel passato; ma disse soltanto: io guarder a quello

che farete nell ' avvenire. E l'avvenire prov che l'an-

tico personale non era pi atto al nuovo ordine di cose,

ad eccezione di pochi onesti uomini che accettarono il

governo nazionale con sincerit d'intendimenti e di

coscienza. Il rimanente agitato dalla possibilit del ri-

torno all'antico, scosso dal grido dei partiti estremi, si

dondola astutamente tra l'elemento riazionario e il ra-

dicale; amoreggia con chi strilla pi contro il governo;

tradisce la fede che i capi dell'amministrazione ripon-

gono in esso; fornisce ai partiti estremi le armi per

discreditare i ministri; diffonde il malcontento contro

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il nuovo ordine di cose; rimpiange il passato col ria-

zionario; desidera la repubblica coi Mazziniani; ap-

prova la riforma dello Statuto coi radicali : per tutte

le vie non fa che porre il bastone tra le gambe del

governo per farlo cascare, mentre fa professione di

unitario e liberale.

Una gran parte del malcontento che oggi sembra

di regnare nelle provincie non prodotto che dai vec-

chi impiegati in generale. Abbiamo detto che sembra

di regnare, perch i partiti estremi l' esagerano, i gior-

nali di opposizione l'accrescono, gli oziosi lo ripetono,

i fannulloni che non ottennero un impiego lo diffondo-

no, e perci assume le sembianze di un lamento pro-

lungato e universale; ma in fondo realmente non cos.

L'incapacit e l'ostilit occulta impera adunque

nel campo di tutte le amministrazioni dello Stato, e

con tali elementi non possibile che le imposte frut-

tino, che i proventi del Tesoro crescano, che le leggi

siano sinceramente applicate e fedelmente eseguite ed

osservate, che il governo centrale sia difeso sostenuto

obbedito da quei medesimi che hanno lo stretto do-

vere di obbedirlo e accreditarlo nell' animo delle popo-

lazioni.

La mancanza infine di un concetto amministrativo

complessivo formante unit, semplicemente ordinato,

libero e spedito in tutti i suoi movimenti, l' ultimo

male che affligge e rende confuse le nostre ammini-

strazioni. In quattro anni il governo e il parlamento

non hanno fatto che rattoppare tanto dal lato legisla-

tivo che esecutivo il sistema amministrativo delle an-

liche provincie. Ogni lamento di provincia, ogni querela

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di comune si creduto chetarla con un provvedimento

legislativo. La legge fu fatta, ma rimase lettera morta,

sia per le gravi difficolt che incontr nell'esecuzione,

sia per la spesa non rispondente alla parte attiva del

bilancio. E i lamenti delle provincie e dei comuni dopo

un anno crebbero a dismisura, e i cittadini si credet-

tero canzonati dal governo, e il credito dell'ammini-

strazione scapit grandemente nella pubblica opinione.

Oltracci, rattoppando, accrescendo o sopprimendo ta-

lune disposizioni di un sistema che ha fatto general-

mente cattiva prova in Italia, lungi dal semplificarlo,

I'han renduto pi difficile nella esecuzione, e imbro-

gliatissimo nei principii che lo informano. Le contrad-

dizioni, le antinomie, le confusioni dei principii e

degl' indirizzi sono visibili in ogni ramo di pubblica

amministrazione, e i regolamenti spesso falsando, od

alterando lo spirito delle leggi, dal campo legislativo

han portata la confusione nell'esecutivo, e le ammini-

strazioni delle provincie e dei comuni hanno avuto,

ciascuna un indirizzo particolare, e tutte l' arbitrio a

guida; sicch la marea della confusione dal basso sa-

lendo all'alto ha ingenerato il caos nell'amministrazione

centrale. Da qui scaturisce quel ristagno nelle opere

pubbliche delle provincie e dei comuni gi approvate;

l'inceppamento nei provvedimenti che pi giovano allo

sviluppo della pubblica ricchezza; il ritardo nel ri-

spondere alle dimande delle amministrazioni locali; le

interpretazioni erronee delle leggi e dei regolamenti;

la sfiducia nel tentare nuove cose; il grido all' inerzia

del governo centrale; le imprecazioni contro la buro-

crazia ; le ingiuste accuse contro i capi delle ammini-

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strazioni, le maligne insinuazioni contro il potere po-

litico, il malcontento. Il quale, in questi ultimi tempi

trov nuove cause per manifestarsi con pi insistenza

in molle provincie del mezzogiorno, dacch vide la

prevalenza del potere militare sul civile, non rispetto

alle sole circostanze eccezionali del brigantaggio, ma

in tutto l'andamento della pubblica amministrazione.

Quello adunque che si disse ordinamento del Re-

gno italiano non fu che confusione di principii ammi-

nistrativi, e le conseguenze ormai ben giustificano i

mezzi impiegati. L Italia non ha un sistema ammini-

strativo; l'Italia manca di facile e produttiva ammini-

strazione , e qual sia la necessit urgentissima di

crearla ben si pu osservare da tutto il contesto del

nostro lavoro attinto dai fatti che abbiamo avuto il

tempo e l'opportunit di bene osservare.

CAPITOLO IV.

Il Governo e 11 Parlamento.

Dal 18 febbraio 1861 sinora, il Regno italiano si

ebbe a ministri uomini di grande autorit, di molta

esperienza, desiderosi di compiere le sorti del paese,

amanti del pubblico bene. Cinque ministeri si succes-

sero presieduti da uomini di gran fama, il Cavour, il

Ricasoli, il Rattazzi, il Minghetti, il Lamarmora; gli

sforzi di costoro furon visibili e grandi per organizzare

il paese; ordinare le amministrazioni; introdurre delle

economie nel bilancio delle spese; ma non ci riesci-

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l'ouo, tranne per la formazione dell' esercito e della

marina. Manc loro forse quel concetto complessivo

delle pubbliche amministrazioni; quella sintesi che

tutte abbraccia le parti diverse dei pubblici servigi;

que.l tatto pratico nella conoscenza delle cose e delle

persone per far servire le une e le altre allo svolgi-

mento del concetto primitivo informatore di tutti i rami

amministrativi? Possibile che fra tanti uomini di nobile

ingegno, .di provato patriottismo, d'autorit incontra-

stata non vi sia stato un solo che abbia fatto a s

stesso la domanda: su quali basi e con quali mezzi

fonderemo noi la pubblica amministrazione italiana in

generale? Non avremo noi un fondamento unico am-

ministrativo da far valere, facendo cospirare e conver-

gendo al suo fine tutti gli elementi delle speciali am-

ministrazioni; le speciali attitudini dei cittadini; le

diverse aspirazioni delle forze sociali, e la stessa unit

politica?

Noi non vogliamo diffidare della potenza dell' in-

gegno italiano, e diciamo che tra i rettori del nostro

governo non uno, ma parecchi dovettero fare cotesta

dimanda a se stessi. Ma perch non tentarono la glo-

riosa impresa; perch non chiarirono dinanzi al Par-

lamento il loro concetto ; perch non spiegarono tutto

il loro pensiero?

A queste giuste domande, crediamo di non errare,

se rispondiamo con una sola frase: ci accadde per

la prevalenza grandissima dell' elemento politico sul-

l ' economico, sul finanziario, sull'amministrativo in

generale. E qui sentiamo il debito di chiarire la nostra

sentenza, perch non paia oscura alla mente dei pi.

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Le prime elezioni politiche fatte q Italia, accad-

dero nei maggiori bollori della rivoluzione; quando

il suono delle miracolose vittorie riportate dovunque

riempiva l' animo dei cittadini di nobile entusiasmo;

quando non si pensava che a Roma e Venezia, e tutti

credevano fermamente che queste si sarebbero ricu-

perate al pi presto con quei mezzi stessi che ci die-

dero la vittoria a san Martino, a Castelfidardo, a Cala-

tafimi, al Volturno. Il conte di Cavour da un lato,

Garibaldi dall'altro; la diplomazia e la rivoluzione, si

diceva, ci daranno presto Roma e Venezia. Bisogna

dunque fortificar cotesti uomini insigni, fornir loro i

mezzi opportuni e sufficienti per compir. l' ardua im-

presa. Ecco il linguaggio dei due partiti che impera-

vano allora, eguali nelle aspirazioni, nell'idea dell'unit,

nel desiderio della piena indipendenza d'Italia; ma di-

scordanti nei mezzi atti a pervenirci nel miglior modo.

In quasi tutta Italia le elezioni furon fatte sotto

l'ispirazione di un solo concetto, Roma e Venezia, ma

con mezzi diversi. All'indarno gli uomini seri gridaron

su pei giornali che non si trattava soltanto di ricuperar

Roma e Venezia ; ma eziandio di organizzare le ammi-

nistrazioni, rifare i codici, discutere le leggi, gettare

le basi di un solido edifizio governativo in Italia, e per

conseguir questo scopo si richiedevano uomini dotti a

deputati, amministratori provati, intelligenze chiare,

ingegni nobilissimi. I radicali risposero che di ci do-

veva trattarsi a Roma, e non a Torino ; che allora non

era questione d'assetto governativo; ma di compiere

la rivoluzione.

I liberali moderati (parliamo degli elettori) dissero

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alla loro volta: c' uhi pensa a lutto questo, ed il

Conte di Cavour; ora non si tratta che di mandare alla

Camera i pi decisi e noti estimatori dell'illustre uomo

di Stato; dotti, o no che siano, capaci od incapaci;

basta che votino con lui e per lui, e non chiediamo

altro da' nostri deputati.

E poich l'Italia nella gran maggioranza delle sue

popolazioni monarchica e moderata, i Cavouriani cos

detti risultarono in maggioranza eziandio. La mino-

ranza si disse Garibaldina. Gli elettori non guar-

darono a programmi amministrativi, non ad inge-

gno, non a dottrina, non a capacit; vollero mandare

alla Camera uomini politici esclusivamente atti a so-

stenere il Conte di Cavour da un lato, il generale

Garibaldi dall'altro. E se nella gran maggioranza par-

lamentare figurarono e figurano tuttora le pi belle

intelligenze, gl'ingegni pi chiari, gli uomini di mag-

giore autorit che si abbia il paese, e le pi illibate

riputazioni, ci accadde perch dividevano le stesse

opinioni del Conte di Cavour in ordine alla politica, e

non perch gli elettori guardarono e seppero valutare

il merito intrinseco del candidato. Ci debbe dirsi pure

dei pochi eletti uomini che figurarono e figurano nella

minoranza.

L'elemento politico soverchi in breve nel parla-

mento, nel governo, e persino nelle amministrazioni.

Le questioni puramente politiche assorbirono il mi-

glior tempo del parlamento e del governo che poteva

essere impiegato neh' ordinamento interno. Coi strepi-

tosi dibattimenti intorno a questioni di politica interna

si obbligarono i ministri a seguire pi questa, che

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quella via; si trasandarouo le discussioni e le leggi eco-

nomiche pi vantaggiose alla propriet e all'industria,

per tornare anche una volta alle interpellanze politiche,

ovvero ai microscopici interessi parziali di un comune,

o di un mandamento; si grid alla burocrazia senza

intendere che cosa fosse e in che consistesse; si di-

scusse lungamente di decentramento senza distinguere

la questione dei poteri amministrativi dai politici; ai

parl di regolamenti organici, ma senza rimontare alla

questione principale dell'unit del concetto amministra-

tivo; ogni cosa si guard sempre dal lato politico, e

da ci i mali che ora lamentiamo.

In quanto al personale amministrativo, si disse,

che non bisognava reagire contro tutto ci che.avea

fatto la rivoluzione tanto nel creare il nuovo, che nel

mantenere il vecchio. Si proclam la massima che nella

parte puramente politica non si ricorresse all' antico

personale; ma negli altri uffizi si poteva e doveva far

uso delle persone che avevano opinioni politiche di-

verse da quelle del governo. Si sostenne che gli am-

ministratori, i capi delle amministrazioni speciali non

si dovessero pigliar mai dalla Camera Elettiva per non

dar luogo a preventiva dipendenza di voto, senza in-

tendere che il semenzaio dei ministri, degli ambascia-

tori, dei capi di amministrazione propriamente il

Parlamento, ove si affacciano tutte le idee governative,

ove si rivelano gli amministratori, ove si distinguono

le specialit, ove si giudica spassionatamente la capa-

cit d'ogni singolo deputato al cospetto della nazione.

Quasi tutti gli amministratori che regolarono il Pie-

monte sino al 1859 erano usciti dal Parlamento, e tutti

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fecero buona prova; poich non v'ha palestra migliore

ove l' uomo abile pu mostrare quello che vale e cosa

sappia fare, che il Parlamento.

L'elemento politico consigli che in tutte le prin-

cipali citt italiane si collocassero dei Conti, dei Baro-

ni, dei Marchesi a capo dell'amministrazione, perch

valessero a mantenere una certa rappresentanza, un

fasto esteriore da confinare quasi con le antiche Corti

ivi residenti; senza intendere che uguagliate tutte le

citt e provincie italiane, ridotte le grandi citt un d

capitali di Slati a capi di provincia, il fasto esteriore

dell' autorit amministrativa non serve ad altro che a

dare occasione ai partiti estremi ed alla stampa nemica

del Regno italiano per gridare allo sciupo, ed alle di-

lapidazioni della pubblica pecunia. Grandi o piccoli che

siano i comuni, vaste o piccole che siano le provincie,

esse non chiedono altro che solleciti, operosi, energici

e giusti amministratori; uomini che sappiano con le

influenze personali e la retta amministrazione affezio-

nare tutti i cittadini al nuovo ordine di cose, contenere

i partiti nei confini della legalit, eccitare l'amore del

pubblico bene, interessare tutti i cittadini alla prospe-

rit della cosa pubblica.

Per una strana contraddizione a s stesso poi,

T elemento politico propugn la stabilit delle funzioni

dell' amministratore, inceppando cos l' azione del go-

verno responsabile neh' adoperar braccia fedeli e ca-

paci. Noi non parliamo dello sciame dei piccoli impie-

gati , ma dei capi delle amministrazioni pi importanti

dello Stato; e costoro non hanno diritto di rimanere

eternamente in ufficio sol perch furono chiamati una

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volta a servire. Se i prefetti, i sotto-prefetti, i capi

delle amministrazioni centrali e provinciali non influis-

sero su tutta un' amministrazione speciale; se col far

andare bene o male l' amministrazione ad essi affidata

nou implicassero la responsabilit del governo politico,

noi diremmo che la massima che si vuol far prevalere

non incontrerebbe difficolt sino a un certo punto. Ma

egli che cotesti uffzi influiscono indirettamente sulla

politica; ed ove pur cos non fosse, qual ministro re-

sponsabile potrebbe conservare un capo di ammini-

strazione che ha dato segni visibili d'incapacit, che

ha condotto il caos nell'amministrazione a lui affidata,

che ha generato il malcontento nell'animo dei suoi su-

bordinati e in quello dei cittadini? Qual ministro, senza

mancare al debito suo, potr mantenere in uffzio un

capo di amministrazione che parla del governo a stra-

zio, che ragiona con fiero cipiglio della poca stabilit

del nuovo ordine di cose, che spaccia sentenze poli-

tiche, che mostra poca o niuna fiducia nel ministero

da cui dipende? E nel Regno, oggi, sventuratamente

ve n ha molti di questi nelle prefetture, nelle sotto-

prefetture, a capo delle amministrazioni finanziere, nella

magistratura, ed alla testa degli uffzi sottoposti ai mi-

nisteri dei Lavori Pubblici, della Marina, dell'Agricol-

tura e Commercio, dei Culti, e delllstruzione pubblica.

La responsabilit sar sempre una parola vana nel go-

verno costituzionale quante volte il ministro sar legato

di braccia nella scelta del personale pi alto delle am-

ministrazioni speciali. I grandi successi degli uomini

di Stato, come quelli dei pi valorosi capitani, non son

dovuti in gran parte che alla buona scelta del personale

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di cui si servirono per T esecuzione dei loro disegni.

Fra gli altri meriti, il Conte di Cavour possedeva anche

questo in sommo grado; nessuno pi di lui sapea ma-

neggiare il personale, cos pei fini politici che ammi-

nistrativi; e senza dubbio la riescita dei suoi disegni,

se non altro dalla parte della fedele esecuzione, and

dovuta a questa sua qualit.

Da ci si ricava che i mali lamentati non possono

attribuirsi a questo od al quel ministero, a questo od

a quell'uomo politico, a questo od a quel partito; ma

sono stati e sono una conseguenza legittima della

prevalenza politica; la quale non permise la pi schietta

e ferma composizione dei partiti sul terreno puramente

costituzionale; non diede posto conveniente agli uo-

mini speciali per ciascun ramo di amministrazione; non

mise in evidenza Y ingegno; ma procedette invece per

disegni prestabiliti, per convinzioni personali, per tran-

sazioni imprudenti; e l' ultima cosa fu quella di pen-

sare seriamente alla qualit e capacit delle persone

che dovevano organizzare ed amministrare lo Stato.

Per la qual cosa, non di rado vedemmo venir su lo

stesso uomo e nel medesimo ramo di pubblica ammi-

nistrazione, nel quale aveva dato manifesti segni d in-

capacit e inattitudine; vedemmo tornar ministri uo-

mini che sin dai tempi del piccolo Regno Sardo non si

erano mostrati all' altezza di un libero governo. Ma le

convenienze politiche cos volevano, e ad esse bisogn

sagrificare le necessit amministrative, il rinnovamento

delle leggi ordinatrici dello Stato, e il disciplinato e

sollecito andamento della pubblica cosa.

L'elemento politico imped eziandio, che dopo le

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durate prove, si proclamassero inefficaci gli ordina-

menti del Piemonte applicaci a tutto il Regno italiano;

e non atti al governo molti uomini che dalle antiche

Provincie furon mandati ad amministrare le nuove.

L' elemento politico infine valse a discreditare ingiusta-

mente i migliori ordinamenti interni delle nuove Provin-

cie, e con ci si misero queste nella dura condizione

di dover subire le amministrazioni e i regolamenti

piemontesi che non erano certamente i migliori d'Italia.

Nel crear cotesti mali influirono gli elettori col mandare

alla Camera quasi con programma esclusivamente po-

litico i deputati; influirono i deputati col preoccuparsi

assai pi della politica che delle leggi economiche ed

amministrative; influirono i ministri, percl\ non sep-

pero creare un sistema di governo adattato ai bisogni

della nazione; influirono i partiti che non seppero sti-

marsi a vicenda; influirono infine gli avvenimenti di

Europa che ci obbligarono ad arrestarci nel glorioso

cammino della impresa nazionale. La colpa dunque

di tutti, o di nessuno; e noi non sappiamo far rimpro-

vero a chicchessia del passato. Ma se il passato la

scuola dell'avvenire; avvertiti i mali, indagate le cause

da cui originarono, sviscerata l'essenza loro, non pos-

siamo pi, per fermo, seguitare negli antichi involon-

larii errori. Ad eccezione del Piemonte, l'Italia era

nuova alle forme parlamentai1*, ed al regime costitu-

zionale; ella non aveva dinanzi che la sola questione

politica al tempo delle prime elezioni, e non doveva,

n poteva pensare che a questa sotto l'aspetto in cui

se le presentava pi agevole, dopo le miracolose vit-

torie del generale Garibaldi nelle provincie meridionali.

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Ora l'esperienza ci ha mostrato che non bastano le

vittorie guerresche a fondare uno Stato; ma vi abbiso-

gnano le savie leggi e l'organamento amministrativo;

e per ottenere un s nobile scopo nei reggimenti costi-

tuzionali ci occorrono deputati che siano veri legisla-

tori, e ministri che abbiano ingegno, dottrina, inizia-

tiva e coraggio. Noi non diremo che tutti i deputati

siano altrettante arche di scienza; in questo caso in-

correremmo in un altro inconveniente pur verificatosi ai

tempi nostri. La Germania nel 1848 credette di eleg-

gere a deputati lutti gli insigni professori delle univer-

sit, tutti i maestri di scuola, gli scrittori pi noti, e

la Chiesa di S. Paolo a Francoforte in luogo di un Par-

lamento che dovea decidere delle sorti politiche della

Germania, present una grande Accademia scolastica,

un consesso di dotti, in cui si facevano dei stupendi

discorsi, e si conchiudeva poco o nulla. Le armi liber-

ticide si appressarono minacciose, i chiarissimi maestri

di scuola fuggirono, e le speranze germaniche anda-

rono in fumo. No, noi non vogliamo un simile Parlamen-

to; ma non pretendiamo molto, se diciamo agli elettori

italiani: tra un romanziere che la fa da tribuno, e un

proprietario che amministr bene le sue cose, scegliete

questo e non quello; tra un giornalista che calunnia

il mondo intiero ed un commerciante onesto che guid

bene gli affari del suo banco, appigliatevi al secon-

do, e non al primo; e poi non mancate mai di dare

il vostro voto all'uomo dotato d'ingegno pratico e frut-

tuoso, al giureconsulto, all'economico, allo statistico,

al dotto militare, al capace marino, all'abile giusperita,

al vecchio amministratore, allo statista, all'antico di-

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plomalico, infine a colui che amministr bene un' offi-

cina, uno stabilimento manifatturiero, una banca, un

opificio, una impresa industriale.

L'Italia ricca d ingegni, e da tutte coteste spe-

cialit potranno uscire ministri capaci, prudenti e ardi-

mentosi ad un tempo, riformatori e coraggiosi; ministri

che ammaestrati dei passati errori, potranno percor-

rere una via pi sicura ed agevole.

CAPITOLO V.

L' uomo di Stato.

Le cose pi difficili a svellere dalla mente dei po-

poli sono le tradizioni politiche. Da secoli in Europa

suol chiamarsi uomo di Stato quel ministro che ha ri-

volto le sue cure pi all'ingrandimento della nazione, che

all'interno suo ordinamento. L'origine di questo modo

di vedere deriv dalla caduta della feudalit come po-

tere politico, e risale sino al tempo del sistema d'equi-

librio creato dagl Italiani, esteso poi in Europa, ed ec-

clissato dopo la prima divisione della Polonia nel 1773.

Allora l azione governativa non si occupava che del-

I ingrandimento e della preponderanza politica, e pro-

fondo uomo di Stato era colui che accresceva cotesta

preponderanza alla sua nazione. L'ordinamento interno,

I amministrazione finanziera, il modo di accrescere la

forza e la ricchezza dello Stato, eran considerate come

cose di meschino dettaglio a fronte della potenza e

sagacia di colui che anche con mezzi turpi era giunto

a penetrare il segreto di un gabinetto, le intenzioni di

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mi principe straniero, gli occulti propositi di una Corte.

Il sistema era cos spiccato e prevalente, che quando

per ragioni interne dovettero cercarsi i mezzi oppor-

tuni pel mantenimento dello Stato medesimo, si ricorse

ad un sistema peggiore, il coloniale, che preoccup la

mente dei governanti. Tutto ci, adunque, che valeva

ad accrescere la forza interna dello Stato consideravasi

esistere al di fuori e non al di dentro. Il vero uomo

di Stato per questo era il ministro degli affari esteri;

gli altri non figuravano che da semplici amministra-

tori. Di fatto, la creazione di un ministero dell'interno

di un' epoca troppo recente. Da qui scaturiva che gli

ambasciatori e gli addetti alla carriera diplomatica

ignoravano completamente le cose interne dello Stato

che rappresentavano, e la potenza vera del loro paese;

e gli uomini che si occupavano dell interno andamento

degli affari ignoravano alla lor volta le relazioni del

loro Stato con gli altri.

I grandi errori che scaturirono dalla falsa valuta-

zione di coteste cose, le lotte sanguinose tra la Francia

e la Spagna, la pace di Westfalia, e il sistema coloniale,

fecero avvertire che la politica non consisteva soltanto

nelle relazioni internazionali, ma che bisognava ordi-

nare l'interno per poter resistere all' esterno e domi-

nare sulla situazione; per questo, vero uomo di Stato

era colqi che sapeva organizzare internamente lo Stato.

V impero francese mise in luce assai pi cotesti con-

cetti, ed allora si dissero eziandio uomini di Stato gli

abili ministri delle finanze e dell' interno.

Ma qui sorge da s un' altra questione che pur

vogliamo sciogliere; V uomo di Stato, il grande ammi-

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lustratore, l'ordinatore di tutta quanta un'amministra-

zione, nasce, o si forma; arriva al suo scopo per qua-

lit proprie, od acquistate?

I Latini dicevano poeta nascitur, orator fil; e la

massima per analogia pu complessivamente applicarsi

eziandio all' uomo di Stato, al grande amministratore.

Noi crediamo che per essere uomo di Stato ci vogliono

qualit proprie che d la natura da un lato, e perfe-

ziona la scienza dall' altro. Vi sono degli uomini, dicea

Napoleone I, che per la loro costituzione fisica e morale non

si fanno di ogni cosa che un quadro: per quanto sapere,

per quanta intelligenza e per quanto coraggio posseggano,

la natura ha loro negato di aspirare al comando degli

eserciti, e alla direzione delle grandi operazioni. La mas-

sima vera, e pu bene applicarsi al caso nostro. Non

diviene uomo di Stato chi vuole, quand' anche faccia

sforzi inauditi per diventarlo: l'umana volont, i mezzi

artificiali dell'educazione, il tirocinio non possono mu-

tare il negativo in positivo. Ci occorrono invece certe

condizioni indispensabili che scaturiscono dalla natura,

le quali costituiscono l'attitudine a divenire uomo di

Stato. Senza un carattere forte, una intelligenza chiara,

una grande e sollecita penetrazione, una tenacit di

propositi, e un gran patrimonio di coraggio e di pru-

denza, senza queste doti naturali, gli sforzi per diven-

tare amministratore od uomo di Stato riescono a nulla.

Coteste doti per non bastano: con esse si ha la po-

tenza a divenire ; ma non si ancora uomo di Stato.

Prendete un carattere dotato di forte volont, che abbia

pure una chiara intelligenza, ma poco coltivata, e voi

vedrete ch'ei guarder le cose sempre sotto un solo

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aspetto, o da un sol lato; non vi saranno ragionamenti

in contrario a fargli mutar parere, a fargli considerare

le cose sotto un altro aspetto. Se collocate costui a

capo di un ministero, o di una grande amministrazione

speciale, ei diventer pericoloso; perch vedr e

risolver tutti gli affari da un solo punto di vista, e

la ferrea ostinazione della sua opinione accrescer l'er-

rore nelle sue conseguenze. Mentre, se la sua mente

fosse fortificata da positive conoscenze, il suo spirito

pi coltivato ; per fermo la sua vista si estenderebbe,

guarderebbe le cose sotto moltiplici aspetti, le giudi-

cherebbe dal lato favorevole e dal contrario, e questo

stato della sua intelligenza modificherebbe opportuna-

mente l'inflessibilit della sua volont.

Oltre alle doti naturali l'uomo di Stato ha bi-

sogno di acquistarne altre per sviluppare e com-

piere le prime, e queste consistono nelle dottrine; in

quel patrimonio di conoscenze positive che servono ad

allargare il suo punto di vista, a fargli meglio cono-

scere ed apprezzare l' uomo individuo e l' uomo col-

lettivo, il cittadino e la societ. Da ci risulta che

l' uomo di Stato deve conoscere la storia civile e lette-

raria, il diritto pubblico e privato, l'economia politica

e la statistica, e sopra ogni cosa le parti essenziali e

relative delle dottrine che riguardano il ramo speciale

di quella amministrazione di cui si occupa.

Coteste cognizioni sono indispensabili nell'indivi-

duo che aspira a diventare uomo di Stato, ed accoppiate

alle doti naturali reputate pur necessarie, lo pongono

in grado di conoscere per cos dire la materia sulla

quale e conla quale deve operare, cio l'uomo come

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individuo e come membro di una grande associazione.

E poich la societ dividesi in classi diverse per la

necessit di soddisfare ai singoli e universali bisogni

sociali, dal qual principio scaturisce la divisione del

lavoro, egli perci che l'uomo di Stato dee guardare

non solo ai bisogni presenti di coteste classificazioni

sociali, ma antivedere o scoprire nei loro germi i mu-

tamenti ai quali andranno soggette col tempo, e gli

eventi possibili che potran modificare le condizioni so-

ciali in certe proporzioni pi o meno larghe relativa-

mente alle forze di tutta quanta una nazione. Questa

costante sollecitudine e antiveggenza dell'uomo di Stato

nel seguire l' andamento sociale e prevenire i muta-

menti possibili atti a mutare o modificare le forze in-

terne dello Stato, non pu derivare da altro, che da

quello spirito filosofico di cui parlava il Portalis, con-

sistente in quel colpo d' occhio di una ragione esercitala

chi per l' intendimento, ci che la coscienza pel cuore;

che nelle sue investigazioni valuta ogni cosa secondo i

suoi propri principii indipendentemente dalle opinioni e

dalle costumanze; e che non s arresta agli effetti, ma

rimonta ulte cause: e lo spirito filosofico superiore alla

filosofia come lo spirito geometrico lo alla geometria, e

la cognizione dello spirilo delle leggi a quello delle leggi.

Possedendo cotesto spirito filosofico l' uomo di

Stato non si fa sorprendere dagli avvenimenti, ma li

previene, e con ci assicura alla societ la tranquillit

e l'ordine che sono i due elementi fattori del progresso

civile nei liberi reggimenti, come sono segni di vita-

lit spenta, od oppressa nei governi dispotici, in cui si

scambia l'ordine per l'assoluta mancanza di moto, di

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operosit, di lavoro, di progresso. Il complesso di tutte

siffatte doti e qualit d poi all' uomo di Stato la

giusta misura dei mezzi efficaci ch'egli deve impiegare

per raggiungere lo scopo a cui sono dirette le sue cure.

L' economia dei mezzi cosa importantissima per uno

Stato; perciocch tutto quello che si ottiene con prodi-

galit diventa elemento di debolezza ed impotenza; il

che equivale ad una morte per sfinimento, simile a

quella di coloro che con la rendita spendono eziandio

annualmente una parte del capitale.

Taluni hanno voluto ammettere una gran diffe-

renza tra il governare e l' amministrare, e stabiliti i

principii ne han cavata la conseguenza che si pu es-

sere uomo di Stato senza sapere amministrare; e per

lo contrario si pu essere grande amministratore senza

saper nulla di politica e delle altre cose che risguardano

la costituzione interna dello Stato. Questo un gravis-

simo errore, e risale al tempo del trattato di Westfalia,

alle antiche tradizioni politiche e diplomatiche, cio

quando per uomo di Stato considera vasi soltanto il

ministro degli affari esteri, il quale nulla sapeva del-

f interno dello Stato, e tutte le sue cure erano dirette

ad ingrandirlo sia per conquista, sia per trattati inter-

nazionali poggiati sopra ragioni di successione, di re-

ditaggio, ovvero di antichi diritti. Sotto questo aspetto

sono tutti uomini di Stato i presenti ministri degli affari

esteri dei grandi e piccoli Stati della Confederazione

Germanica, i quali propugnano alla lor volta l'ingran-

dimento della Prussia e dell' Austria, ovvero le ragioni

di successione dei principi di Augustemburgo e di

Oldenburgo. L'uomo che ha missione di governare nou

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solo deve comprendere gli uomini coi quali in diretta

relazione, ma deve comprendere eziandio le loro ten-

denze e soddisfare i loro legittimi bisogni. Egli, dopo

aver esaminato e decomposto gli elementi su i quali e

coi quali deve operare, dee saper cavar da essi quella

sintesi che tutte abbraccia le parti interne dello Stato

messe in relazione delle esterne. Non basta aver dei

principii generali, ma bisogna conoscere gli uomini e

le cose su cui i principii debbono operare ed applicarsi.

Dare le leggi ad un popolo, modificarle, farle conver-

gere verso uno scopo, non opera di semplice mecca-

nismo materiale, ma il risultato invece di una co-

stante equazione tra la bont assoluta e la relativa,

tra lo scopo delle sociali istituzioni e il fine che si vuol

raggiungere, tra la potenza dello Stato e quella dei

mezzi che s' impiegano per migliorare e trasformare

tutta quanta una societ. Accanto al concepimento di

una legge deve sorgere in egual tempo il metodo con

cui ella deve applicarsi ; accanto alla regola la facilit

della esecuzione, e per far questo occorre che il mi-

nistro, od il capo dell'amministrazione sappia discer-

nere, se gli ostacoli che incontra una legge dipendano

dalla regola, o dalla sua esecuzione; dal principio, o

dall'applicazione; dalla cosa, ovvero dagli uomini pre-

posti alla sua direzione.

Da qui scaturisce che il ministro dev'essere abile

amministratore, e l'amministratore uomo di Stato, cio

uomo capace di considerare le istituzioni nel loro prin-

cipio e nei loro effetti, tanto rispetto all'interno che

all' esterno. Si comprende assai bene che noi parliamo

sempre di capi delle amministrazioni, e non dei sem-

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plici impiegati, graduati che siano; noi intendiamo

alludere ai Segretarii generali dei ministeri, ai Diret-

tori generali delle speciali amministrazioni, ai Prefetti,

ai Comandanti dei Dipartimenti navali e militari, a tutti

coloro che sono chiamati a reggere e indirizzare una

grande amministrazione speciale per numero di braccia

e di affari importantissima. Ma noi anche su questo

capovolgemmo i pi sani principii; noi non guardammo

e non guardiamo pi alle specialit, alle particolari

attitudini della persona che si pone ad amministrare,

ai suoi studi, alla sua capacit pratica; e quindi am-

mettiamo che si possa benissimo collocare a capo del

ministero dei Lavori pubblici, chi jeri stette al Dica-

stero della Guerra; alla Finanza chi jeri stette all'In-

terno, od alla Istruzione pubblica; alla Marina chi jeri

amministr la Giustizia e i Culti. Noi con una grande

facilit mandiamo a governare una provincia chi fece

il militare per venti o trentanni, o chi stette lunga-

mente nella carriera dei Consolati all'estero, entrambi

ignari delle leggi e decreti di amministrazione civile;

noi collochiamo un medico ad un ramo finanziero, e

il flnanziero nell' amministrazione della Marina o della

Guerra. Da un ramo speciale della stessa amministra-

zione noi mandiamo l'impiegato che stette in quella

per trent anni, ad un altro ramo nuovo per lui, e quindi

riesce inutile per l'uno e per l'altro, soprattutto se si

pon mente ai lunghi e intralciati regolamenti che spesso

mutano la sostanza stessa delle leggi, ovvero dnno

luogo ad interpetrazioni arbitrarie, le quali partori-

scono una diversa applicazione delle leggi medesime e

dei regolamenti.

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Questo sistema partorisce un triplice male, e cou-

vien che cessi. Il primo male consiste nella necessit

di usare il doppio delle braccia reputate necessarie al

pubblico servizio: il secondo nel malcontento che ge-

nera una legge non bene ed egualmente applicata, e

nei ritardi che pone l'amministrazione al disbrigo delle

pubbliche faccende: il terzo male finalmente consiste

nel triste esempio che suol darsi ai cittadini, e soprat-

tutto alla giovent studiosa, nella quale si acchiudono

le speranze future della patria, coll'ingenerare in quelli

e in questa la certezza che sapendo poco o nulla, non

facendo alcuno studio speciale, non coltivando alcuna

dottrina, si possa' diventare amministratore di qualun-

que ramo della pubblica cosa indistintamente. In tal

guisa noi non avremo mai uomini distinti e speciali

per questo o quel ramo della pubblica amministrazio-

ne, e l' avvenire sar pi doloroso del presente.

In tutta Europa oggi si lamenta la decadenza della

diplomazia, e niuno sa darsi conto donde procede co-

testo decadimento che i molti attribuiscono alla inca-

pacit personale degli agenti diplomatici. Invece quella

che si dice decadenza non che trasformazione dei

principii politici e governativi dell'interno degli Stati,

e procede da elementi svariati e moltiplic Oggi la di-

plomazia diventata negativa; imperocch se prima

fomentava i dissidii tra le potenze per mettere a pro-

fitto del proprio Stato gl' incidenti e le guerre che po-

tevan nascere; oggi al contrario ella deputata ad

evitare ogni cosa che possa turbare la pace, e in caso

di guerra a localizzarne l'azione e restringerne gli

effetti. Cotesto mutamento radicale nella diplomazia ha

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il suo fondamento in molteplici cause, le quali derivano

dall'interno degli Stati, dalle condizioni economiche

della societ, dai rapidi effetti e decisivi delle opera-

zioni guerresche, le quali per la facilit dei mezzi of-

fensivi e difensivi, e pei progressi dell'arte della guerra

non limitano pi la guerra stessa alle circonferenze

degli Stati, ma la portano rapidamente al centro. Ma

pi d'ogni altra cosa ha influito sul mutamento della

diplomazia la condizione economica degli Stati, la quale

non viva e intensa egualmente per tutti, n prevale

come in Inghilterra su tutti, ma esercita una certa in-

fluenza che appoggiata dal bisogno di pace, rende timida

l'azione diplomatica e i governi irresoluti nelle intra-

prese esterne. Oltracci, prevalente il sentimento ge-

nerale cavato dagli ammaestramenti della storia, cio

che una buona amministrazione all'interno pu fruttare

assai pi dell'acquisto di una provincia estranea ; e che

la guerra sia necessaria soltanto per ragion di difesa,

ovvero per recuperare una parte del territorio nazio-

nale occupato, od usurpato da una potenza straniera.

L' assetto interno dello Stato, la finanza bene

ordinata, l' amministrazione ben diretta, non sono pi gli

elementi che valevano a dar credito pell' interno sol-

tanto; oggi invece pesano moltissimo all'esterno nella

bilancia delle potenze, in quella dei banchieri e dei ca-

pitalisti, e nell'altra dei diritti internazionali. Ben si

comprende da tutti che una eccellente amministrazione

interna influisce grandemente sull' aumento della pub-

blica ricchezza e della popolazione; che la popola-

zione produttrice concorre al credito dello Stato ed al-

l' accrescimento delle risorse finanziere, e tutte siffatte

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cose hanno un gran peso nelle decisioni politiche delle

potenze alleate, amiche o nemiche che siano.

A scanso di equivoco, giova per chiarire il no-

stro concetto cavato dai fatti e dalla esperienza. Noi

intendiamo parlare della buona amministrazione, e non

della prevalenza assoluta degl' interessi materiali sui

morali e politici come in Inghilterra; la quale per la

grande influenza che esercita nel continente europeo

in forza della sua potenza e civilt, trascina le altre

potenze sullo stesso pendo con maggiore o minor forza

secondo la resistenza che incontra, e con ci rende

la politica incerta, e la diplomazia vacillante e con-

forme al cattivo indirizzo, o meglio al nessuno in-

dirizzo delle cose politiche. Da qui scaturisce l'im-

potenza della diplomazia diventata ai giorni nostri

elemento di osservazione e non d' azione, onde accade

che le pi vitali questioni che un tempo avrebbero con-

dotto alla guerra rompono in faccia ad una serie infinita

di protocolli che non le terminano definitivamente, ma

le aggiornano soltanto, aspettando che il tempo e nuovi

accadimenti modifichino la situazione delle cose, o dei

contraenti. questa la vera ragione perch la politica

ha assunto le forme del pi. schietto empirismo; per-

ch cerca un espediente istantaneo per ogni caso, ri-

getta in lontano la decisione definitiva degli affari,

ammassa questioni su questioni, incidenti sopra inci-

denti, e quando la matassa arruffata in tal guisa,

manca l'uomo capace di dipanarla, perch nessun uomo

di Slato sente in s la forza e il coraggio di assumere

la responsabilit di avvenimenti, che niuno pu preve-

dere a quali risultati possano condurre, quando po-

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Irauuo aver fine, e se vi sar modo di poterli arrestare

quando si vuole. Ma se questo empirismo in politica

mulo le condizioni diplomatiche d'Europa; se la di-

plomazia non opera, ma osserva; per diventare anche

abile osservatore havvi bisogno di una vista pi lunga

e quasi lincea; d'ingegno sodo e profondo per pene-

trare nei problemi sociali; di conoscenze positive e com-

parate tra Stato e Stato. Se l'importanza e la potenza

di una nazione si misura dalle opere interne e dalle

forze che concorrono col governo ad accrescere la pro-

sperit pubblica, non possibile che il diplomatico oggi

ignori tutti gli elementi che concorrono ad accrescere

o scemare la potenza interna dello Slato, dalla quale

si argomenta il grado di forza che pu impiegare al-

l' esterno. E poich le amicizie, le alleanze, e l'accordo

fra le potenze si fondano su cotesti elementi, anche il

diplomatico pu influire a migliorarli coll' additare al

proprio governo i mezzi efficaci pei quali la tale o tale

altra potenza giunta ad accrescere le sue forze so-

ciali, ad armonizzarle, a farle valere tanto all'interno

che all' esterno. Un grande esempio di simili osserva-

zioni sapienti e vantaggiose abbiamo noi nelle lega-

zioni di Nicol Macchiavelli e nei dispacci degli amba-

sciatori Veneti, i quali dovrebbero oggid formare lo

studio principale dei diplomatici. Ma sventuratamente

anche su questa linea camminiamo male, e la sagacit

di qualche individuo capace d'influire su questo o

quell ' uomo politico, le amabili forme che vanno a ge-

nio di questa o quella dama di Corte, sono titoli sufficienti

perch quell'individuo o quel bellimbusto diventi am-

basciatore, legato d'ambasciata, od incaricato di affari.

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CAPITOLO VI.

Le Riforme economiche.

Nella seduta del 2 Agosto 1862 della Camera dei

Deputati, discorrendo su i bilanci e la situazione gene-

rale delle finanze del Regno , tra le altre cose noi ac-

cennavamo al grande bisoguo di sviluppare i nostri ele-

menti economici con ampie riforme. All' uopo dicevamo

al Governo e ai rappresentanti del popolo : badate bene

che noi usciamo da una grande rivoluzione, da una rivo-

luzione che non guard al solo concetto costituzionale, al

concetto di pi o meno larga libert; ma bens al gran

concetto nazionale; e siccome nell' interesse della nazione

si acchiudono gli interessi di tutte le popolazioni che con-

corsero a formarla, naturalmente scaturisce che la nostra

rivoluzione non fu solamente nazionale, ma sociale ezian-

dio. Questo carattere nessuno pu toglierlo alla rivolu-

zione italiana. Il popolo disse: nostro primo interesse

di essere una nazione libera e potente ; fatta la nazione,

ottenutala libert e r indipendenza, i nostri interessi

economici saranno ampiamente sviluppati e meglio tute-

lati; quindi noi avremo un ampia rete di strade ferrate;

avremo molti e sicuri porti, una potente marina, un gran-

de commercio; e poi la propriet territoriale svincolata,

gl'inslituli di credito, le banche, e tutti i mezzi pi effi-

caci per accrescere la produzione e diffondere la ricchezza.

Sovente queste speranze e desiderii riescono a sogni do-

rati, ma nella coscienza dei popoli sono un fatto inoppu-

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ynabile. E in fondo, per vero dire, questo fatto ha la sua

ragione di essere, ha il suo saldo fondamento.

Prescindendo dal gran concetto di ricuperare la pro-

pria nazionalit ; prescindendo dall' ideale di una patria

libera grande e potente, dall'amore ardente della libert,

noi pensiamo che tutte le rivoluzioni non possono discom-

pignarsi dall' avere a base un bisogno economico. Noti

c illudiamo: chi si trova male sotto un governo, cerca di

abbatterlo e crearne un altro sotto il quale confida di

star meglio. La questione economica per questo pure un

elemento atto ad eccitare maturare e compiere le pi

grandi rivoluzioni, soprattutto nei tempi moderni.

Da qui scaturiva che bisognava formarsi un cri-

terio esatto delle condizioni naturali ed economiche

dei varii Stati d'Italia fusi in una grande monarchia;

mettere queste condizioni in relazione delle leggi ci-

vili e commerciali esistenti; e quindi del grado di at-

tivit, d'istruzione e civilt delle popolazioni. Un giusto

concetto sopra siffatte condizioni avrebbe offerto al go-

verno un terreno sodo per operare conforme agli im-

mutabili principii della natura umana, ed alle opinioni

prevalenti nell' universale.

Le condizioni geografiche erano state sempre le

cause permanenti e propugnate dai nemici d'Italia per

non ammettere la sua unit. Cotesto condizioni natu-

rali oggi non sono vinte che dalle sole strade ferrate.

Bisognava sin da principio rivolgere tutte le forze

dello Stato a superare le maggiori difficolt oppo-

ste dalle condizioni geograGche, le quali risultavano

e tuttora risultano pi difficili nella parte del mezzo-

giorno d'Italia. Il Governo e il Parlamento rivolsero a

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questo il loro pensiero; ma non ebbero la forza di con-

centrarlo ad un punto per venir poi man mano ad al-

tri punti di minor considerazione. Furon chieste le

ferrovie per le provincie napoletane siccome quelle che

presentavano le maggiori difficolt di distanza dal capo

e dal centro dello Stato, e i pi forti ostacoli nelle spe-

ciali condizioni geografiche ed economiche ; e tosto i de-

putati delle altre provincie d'Italia reclamarono per esse

nuove strade ferrate, nuove strade nazionali, ed altre

opere pubbliche di non minor considerazione. Il governo

per mancanza di un concetto amministrativo ben ma-

turato, di un disegno prestabilito ed ordinato, non tenne

forte innanzi alle parziali richieste, le accolse tutte ad

una ad una, e cos vedemmo in un anno decretate le strade

ferrate Meridionali; le strade ferrate Calabro-Sicule; le

strade ferrate Sarde; la strada ferrata Ligure; la strada

ferrata di Cava d'Alzo; ed altri piccoli tronchi di ferro-

vie nelle antiche provincie. E come se non bastassero

gli oneri addossati alla Finanza per le rispettive garan-

zie di tante ferrovie ad un tempo, oltre a quelle che

gi si costruivano nell' Italia centrale, sul Ticino per Pa-

via, e pel traforo del Moncenisio; si decretarono pure

nello stesso periodo di tempo venti milioni di strade na-

zionali nella Sardegna, venti milioni per la Sicilia, e venti

milioni per le provincie napoletane. Il governo non pens

che in breve spazio di tempo sarebbero piombati ad-

dosso alla Finanza, e tutto ad un tratto, degli oneri

gravissimi, i quali uniti alle spese necessarie per la

formazione dell' esercito e della marina, per I' organiz-

zazione dei servizi pubblici, per l'attuazione delle nuove

leggi finanziere, per l' aumento del fondo delle pen-

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Gi-

gioni e dei materiali da guerra, avrebbero io breve

portate le cifre dei nostri bilanci passivi ad una somma

spaventevole in riscontro di quella delle pubbliche

entrate.

L'Italia politica serv d'esempio per l'Italia eco-

nomica, e come quella fu fatta in soli due anni, cos

governo e Parlamento nell'entusiasmo nazionale cre-

dettero che si potesse far questa egualmente in qua-

ranta o cinquanta mesi, senza badare a costituir prima

una Italia finanziera sopra solidissime basi, e regolare

le opere future nella cerchia dei bisogni urgenti, e

quindi degli altri di minor necessit. Una rivoluzione,

una battaglia vinta, un trattato politico possono anche

in ventiquattr' ore creare uno Stato libero e indipen-

dente; ma per formare uno Stato economico e finan-

ziere prospero ci occorrono anni ed anni, fatiche e

studi, operosit e coraggio, ed anche la buona fortuna.

A tutto questo sinora non ci si pensato, n si avuta

la preveggenza di guardare al futuro, ponendo a fronte

del rapido accrescimento delle spese la lenta trasfor-

mazione economica capace di riempire i vuoti del pub-

blico Tesoro.

I vuoti invece di anno in anno noi li abbiamo col-

mati coi debiti contratti, col far ricorso al credito pub-

blico, e ci apparecchiamo a ricorrerci anche una volta

in vista dei nuovi disavanzi che si van formando.

Senza dubbio il sistema dei prestiti ha un vantaggio

incontestato, riconosciuto dalla scienza e dalla pratica,

quando si tratta di migliorare lo Stato economico di

una nazione; quando si vuol solcare un paese di vie

ordinarie e strade feri ate; provvederlo di scuole, d'in-

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stituti scientifici, di scuole tecniche, agrarie, e com-

merciali; di eccellenti servizi marittimi, di linee tele-

grafiche, d'opere di bonificamenti, di costruzioni utili

atte a spandere la civilt da per tutto, e ad eccitare

od accrescere la produzione, il lavoro, il traffico, l'at-

tivit del popolo. In questo caso le consumazioni

diventano produttive, il prestito si trasforma in capi-

tale fruttifero per la nazione, e nel giro di un periodo

pi o men lungo di anni la pone in condizione di sod-

disfare ai suoi impegni verso i creditori dello Stato, a1

carichi pubblici, ed alle necessit del governo. Ma an-

che sotto questo aspetto utilissimo la fortuna delle

pubbliche finanze non dee poggiare esclusivamente sul

sistema dei prestiti; perciocch ad ogni prestito no-

vello risponde una somma d'interessi, e agli interessi

una doppia somma di tributi, ponendo a calcolo le

spese di riscossione di questi, ed anche le difficolt

di riscuoterli. E siccome i prestiti partoriscono istanta-

neamente una somma d'interessi, e i capitali impiegati

nei miglioramenti economici fruttano dopo il giro di

parecchi anni, le imposte corrispondenti al cumolo de-

gli interessi dei prestiti soffocheranno in germe i pro-

messi e sperati miglioramenti economici, e il bene

agognato si trasformer in pubblica ruina. Che dir poi

se le somme pigliate a prestito sono in gran parte con-

sumate improduttivamente, siccome oggi accade nel

Regno italiano ed in altre nazioni per la formazione

e permanenza degli eserciti, per le guerre, le rivolu-

zioni, e gli armamenti superiori alle forze stesse degli

Stati? Gli elementi di prossima ruina crescerebbero

a dismisura, ove il sistema dei prestiti non fosse in-

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63

frenato e guidato dalle regole economiche che diven-

tano in questo caso le vere salvatrici dei popoli.

I prestiti hanno il loro fondamento nel credito

pubblico, e questo nel sistema delle imposizioni. Le

imposte hanno i loro limiti, oltre i quali non si pu

andare che per via di spogliazioni a mano armata; e

se hanno limiti le imposte, debbe per conseguenza

averli anche il credito pubblico. I debiti adunque deb-

bono stare in proporzione della intiera rendita dello

Stato, e per ragione economica non possono i frutti

di quelli oltrepassare il quarto della rendita di questo.

Se l'oltrepassano, le conseguenze di questo disquili-

brio diventano disastrose per la pubblica e privata ric-

chezza. Imperocch, allora si forza il corso delle mo-

nete, si turba il regolare andamento dei prezzi e dei

valori di tutte le cose, si creano valori fittizi, s' im-

provvisano fortune chimeriche che ad un soffio spari-

scono, si scalza tutto quanto il buono andamento della

privata e pubblica economia. Il credito pubblico senza

dubbio un gran bene per uno Stato, ed oggi quella

nazione vale assai pi, la quale gode pi credito ; ma

di questo non bisogna abusarne, e T abuso accade

quando l interesse della somma presa a prestito sor-

passa il quarto della rendita dello Stato; quando il

^capitale del debito tale da aggravare enormemente

ja fortuna pubblica e privata, e far quasi dipendere dai

suoi possessori per vie oblique e indirette il governo

e l'amministrazione, gl'interessi economici e politici

della nazione.

Un versatile ingegno che amministr la finanza

italiana per un certo tempo, ed ora per imprevedufi

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04

eventi tornato ad amministrarla ancb una volta,

afferm che il servizio della rendita pubblica in In-

ghilterra di circa lire 21 per testa; in Francia di

lire 13, e da noi non giunge a lire 7, 50; argo-

mentando da ci la possibilit di ricorrere anche una

volta al credito pubblico.1 Infatti, ci si ricorse, ed

accrescemmo di un altro miliardo il nostro debito

pubblico ; sicch oggi il servizio della nostra rendita

ascende a circa lire 10 per testa. Ma un abile finan-

ziere non deve guardare alla comparazione tra il ser-

vizio della rendita pubblica in uno Stato con l'altro, ed

alle proporzioni di entrambi i servizi; in quella vece

esaminar debbe la quantit delle imposte di ciascuno

Stato di fronte agl' interessi che paga annualmente sul

debito pubblico, e quindi fare il paragone: 1 tra la

propriet, l'industria, il commercio e i capitali di

varie specie di uno Stato con l' altro: 2 tra la quan-

tit delle imposte che pagansi nell' uno e nell' altro

Stato: 3 tra la somma dei dazi e quella degl' inte-

ressi del debito pubblico. Dopo questa esatta compa-

razione, allora soltanto si pu vedere se il servizio

della rendita pubblica in Italia proporzionato alle sue

risorse e minore di quello della Francia e dell' Inghil-

terra, se sia suscettibile di maggiore aumento senza

accrescere i tributi, e se la proporzione di lire 21 nella^

Gran Brettagna, di lire 13 in Francia, sia realmente su-

periore a quella di lire 10 che pagansi per testa nel

Regno italiano.

tota alla Camera dei Deputati nella tornala del 1 Dicembre 1863,

pag, 117.

1 Relazione del ministro delle Fini

Quintino Sella presen-

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Noi sappiamo che il capitale del debito pubblico

degli Stati d'Europa ascende a sessantacinque migliaia

di milioni di lire, oltre all' ammontare delle carte-mo-

nete ; noi sappiamo che vi sono Stati, come T Inghil-

terra e la Francia che in questo calcolo figurano per

somme enormi ; 1 noi sappiamo infine che l' edillzio so-

ciale dei popoli moderni poggia sul credito, e che tutti

sono interessati a conservarlo e mantenerlo florido; ma

se ci da una parte pu risguardare il tutto, in quanto

ai singoli Stati non possibile di poggiare un sistema

finanziero esclusivamente sul credito, senza aver pri-

ma misurata la potenza rispettiva della propriet, del-

l'industria, del commercio e dei capitali nazionali. Per

mantenere il credito mestieri crescere le imposte, e

queste non possono assolutamente sorpassare la po-

tenza della propriet e dell' industria nazionale. Se ci

accade, il credito allora diventa una pubblica calamit;

perciocch le naturali sue conseguenze non possono

essere altre che queste: aumento di pubbliche spese,

consumazioni improduttive delle somme prese a pre-

stito, accrescimento di bisogni fittizi nei cittadini sino

a sorpassare la forza dei loro averi, disquilibrio nella

economia pubblica e privata. Ammesso questo stato di

cose, basta una guerra, un rivolgimento politico, un

incaglio commerciale, per rovesciare mille e mille for-

tune private, e interrompere le maggiori risorse del

"Governo, creando crisi disastrose e terribili per un

popolo. N giova citare il fatto dell' Inghilterra da noi

stessi ricordato per lo innanzi; imperocch le arditissime

1 La sola Inghilterra figura per venti migliaia di milioni di lire.

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06 -

operazioni di Piti nel 1797 non si ripetono una seconda

volla, quando si debba confidar molto nella cieca

fortuna , e negli eventi impreveduti. Il fortunato suc-

cesso diede fama di gran finanziere al Pitt; ma in fondo

la sua operazione di dar corso forzato all'enorme

quantit dei viglietti di banca, eseguita in altro tempo,

avrebbe rovinato il credito del Governo e della Banca,

e dato al ministro il nome di violatore della fede pub-

blica. }l patriottismo britanno assicur il successo al-

l' opera ardimentosa del Governo ; ma bisognava stare

in guerra colja Francia per spingere l'Inglese a cos

grandi sagrifizi; altrimenti il ministro pitt sarebbe

stato per lo meno lapidato innanzi a Westminster. Gli

abusi del credito invece partorirono effetti diversi in

Francia, in Austria, in Russia, in Germania, e persino

in America sotto Jackson e Van Buren.

Il credito del Governo non consiste che nella fi-

ducia riposta in esso dai privati; la qual fiducia riposa

sulla sicurezza dell' adempimento degli obblighi con-

tratti. L'arte poi di' siffatto credito si restringe a

saper ispirare e mantenere la pubblica fiducia, la quale

sorge, si mantiene e cresce a misura che crescono nel

Governo i mezzi necessari per adempiere ai suoi ob-

blighi. I mezzi crescono con l'aumento delle imposte,

e le imposte non si possono accrescere che in ragione

e proporzione della ricchezza pubblica. Sviluppare

adunque questa, accrescerla, estenderla a tutte quante

le classi sociali equivale a mantenere e ad aumentare

il credito dello Stato.

Ora, innanzi tutto, noi avremmo dovuto rivolgere

la nostra attenzione, i nostri studi, le nostre vedute, i

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r>7

noslri sforzi alle riforme economiche, le sole che pos-

sono accrescere la ricchezza pubblica e quindi la ra-

gione dei tributi, per modo da pareggiare in brevissimi

anni le spese con l'entrate. Intorno a questo bisognava

avere anche un criterio certo e un metodo efficace,

per aggruppare tutte le riforme economiche ad un con-

cetto unico, il quale mirasse alle parti e al tutto, ai

mezzi ed allo scopo ad un tempo. Lo scopo dovea con-

sistere neh' aumento della pubblica ricchezza per po-

tere aumentare proporzionatamente ad essa le imposte.

I mezzi che a questo scopo dovevano condurre erano:

1 Lo svincolamento della propriet territoriale

gi gravata di circa novecento milioni di capitale in

canoni, censi e prestazioni perpetue.

La conversione dei Beni Ecclesiastici.

3 La vendita dei Beni Demaniali.

4 Le banche di Credito Fondiario ed Agrario.

5Q Un efficace sistema di Bonificamento.

6 La cessione all' industria privata degli Opifici

Nazionali e di tutte le imprese industriali per conto

dello Stato.

79 La concessione delle ferrovie col sistema di de-

terminate sovvenzioni speciali per ciascuna linea q tron-

co, e non con quello delle garanzie di un minimo di

prodotto, o d'interesse, cos rovinoso per tutti gli Stati

che l'adottano, e soprattutto per le nazioni che si sve-

gliano appena al movimento commerciale e alla vita

industriale.

8 Le strade ordinarie infine, ed altre opere di uti-

lit pubblica per quelle localit, ove il bisogno era pi

urgente sotto l'aspetto politico ed economico.

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- 68

Nel far concorrere gradatamente tutti cotesti mezzi

allo scopo che si voleva raggiungere, bisognava su-

bordinarli al gran principio economico dell'unit dello

scopo e della divisione del lavoro rispondente al princi-

pio politico-amministrativo dell' unit direttiva nel tutto,

e della libert operativa nelle parti.

Coteste idee, per studi anteriori, bisognava averle

nitide e lucide nella mente; formolarle poi in un com-

piuto sistema, e presentarlo alle deliberazioni del Par-

lamento. Il sistema si accettava ; ed il Governo si po-

neva all' opera per attuarlo: la proposta, o meglio il

programma si rigettava, e i ministri proponenti senza

odio e senza rancori cedevano ad altri ii carico addos-

sato loro dalla fiducia sovrana. Le idee, per fermo, ci

erano nella mente dei ministri, e furono anche tradotte

in atto in parecchie riforme gi votate dal Parlamento;

ma furono idee e pensamenti slaccati che diedero luogo

a provvedimenti speciali; ma non valsero a formare

un sistema compiuto di riforme bene ordinate e rispon-

denti ad un-salutare concetto di amministrazione ge-

nerale ed uniforme per lutto quanto lo Stato. E ci

accadde, lo ripetiamo anche una volta, per l'elemento

politico soverchiante ogni altra cosa; il quale non volle

riconoscere che Y unit politica non si oppone allo svol-

gimento delle forze economiche ne' diversi centri so-

ciali, che anzi questo un gran bene relativamente

alla divisione del lavoro, alla moltiplicit delle faccen-

de, alla variet delle produzioni, all' attivit delle brac-

cia, alla libera concorrenza. La libert politica, per un

altro verso, non pu n dee far guerra alla libert

economica: perch l'una non pu sussistere lunga-

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cu

mente senza dell' altra; e noi sventuratamente in pa-

recchie leggi, senza alcuna necessit, ma per semplice

lirismo patriottico, abbiamo sagrificato alla libert poli-

tica, Dea innocente , la libert economica.

Oltracci, in quattro anni di vita legislativa e di

ordinamento amministrativo noi dimenticammo, ovvero

non studiammo abbastanza le condizioni speciali del-

l' Italia sotto l' aspetto economico, e da qui il falso in-

dirizzo dato sin dal principio alle desiderate riforme.

Noi dimenticammo che il fondamento principale della

ricchezza italiana l'agricoltura, la quale d vita al

nostro commercio, ed a tutte le intraprese che ora fac-

ciamo nel breve campo industriale che ci si aperto

dinanzi. Le riforme per questo dovevano tutte inspi-

rarsi al principio di favorire l' agricoltura; invece noi

non sapemmo sinora neanche organizzare una banca

di credito agrario, una banca di credito fondiario, un

sistema di boni6camento, n ordinare un piano di in-

segnamento agricolo, ed economico-pratico. Fummo

larghi nell' istallare cattedre di lingua e letteratura

araba, di lingua e letteratura sanscrita che giacciono

polverose e deserte; dividemmo Io studio della zoolo-

gia in due cattedre, una pei vertebrali, e l'altra per

gV invertebrali; lussureggiammo negli studi teologici;

ma per l' agricoltura e l'economia non facemmo che

poco o nulla. La maggior parte delle cattedre di coteste

scienze nelle Universit mancano di professori, e negli

Istituti tecnici non si sono organizzate ancora.

Di tutte coteste cose non ne facciamo colpa a nes-

suno, o se c' fallo, convien confessare che peccammo

tutti. Abbiamo detto e dimostrato per lo innanzi che

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la maggior parte dei mali scaturita dall elemento

politico che ha voluto subordinare a s ogni cosa; che

la soverchianza del principio politico non era artifi-

ciale, ma scaturiva dalla immutabile situazione delle

cose; che gli errori in6ne sono stati generati dal grande

amore patriottico e dal vivissimo desiderio di integrare

tutto quanto il territorio nazionale e recuperare la ca-

pitale vera d Italia. Ma se gli errori del passato non

sono da addebitarsi pi a questo, od a quelr uomo

politico, non lasciano per d essere errori, n mutano

natura ; convien dunque fare ogni cosa perch non si

rinnovino nell'avvenire. All'uopo noi scriviamo il pre-

sente libro, notando apertamente gli errori in cui il

Governo e il Parlamento sono incorsi, non per volont,

ma per mancanza d'indirizzo amministrativo nel pri-

mo, di soverchia condiscendenza nell'altro. ll governo

non seppe creare un'amministrazione efficace, solida,

fruttuosa, semplice e rapida in tutti i suoi movimenti:

il parlamento per non scemare credito ed autorit al

governo lo seguilo negli errori, mostrando fiducia nel-

l'attitudine di certi uomini che pur si erano chiariti

incapaci alla difficile impresa di creare un'amministra-

zione puramente italiana e conveniente alle sorti ed

alla grandezza del nuovo Stato. E perch non si dica

che concediamo molto alla parte astratta, alla critica

senza fondamento e sostanza, oltre a quello che ab-

biamo palesato per lo innanzi, aggiungeremo in seguito

dei capitoli sopra materie speciali, dai quali appariranno

tutti i gravi errori del presente indirizzo governativo

che vuol essere ormai eliminato.

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CAPITOLO VI.

Sistema finanziera.

Il sistema finanziere sotto certi aspetti pure que-

stione di amministrazione, e noi invece ne facemmo

una leva politica per rovesciar ministeri. L'amministra-

zione finanziera clJe prevalse su tutte le altre degli an-

tichi Stati italiani chiamati a formare il Iegno d'Italia

fu quella delle antiche provincie, la quale per fermo non

ora la migliore. Ella fu divisa in sette grandi classi:

1 Corte dei Conti.

2 Debito pubblico.

3 Contenzioso finanziero.

4 Tesoro.

So Gabelle.

6 Demanio e Tasse.

7 Contribuzioni dirette e Catasto.

Innanzi tutto si avrebbe dovuto esaminare e di-

scutere se questa ripartizione di uffizi rispondeva ai

bisogni del servizio pubblico, e come rispondeva. Noi

non mancammo di farlo in tempo debito, cio quando

si riorganizzavano appunto le classi dell' amministra-

zione finanziera; e additammo anche il modo come

avrebbero dovuto ordinarsi. Eravamo avversarii del

ministero che allora governava, e non fummo ascol-

tati. La Camera ci bad poco.

Il secondo esame dovea risguardare come funzio-

navano tutte le speciali amministrazioni equivalenti ad

altrettanti ministeri di finanza. Neanche questo fu fatto.

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-n-

La Commissione del Bilancio accenn pi volte alla

questione; ma l'assemblea dei Deputati e il Governo

non ci si arrestaron mai.

Il terzo esame infine consisteva nei mezzi che

T amministrazione finanziera presentava per sopperire

ai bisogni dello Stato, e colmare il disavanzo tra la

spesa e F entrata.

Il Parlamento si occup poco dell' organico finan-

ziere, e il maggior difetto amministrativo sta l; cri-

tic il cattivo servizio che dipende appunto dal cattivo

ordinamento delle amministrazioni; e non si occup

dei veri mezzi finanzieri come pareggiare le spese al-

l' entrate, non discusse i programmi e le promesse dei

ministri, ma trasform ogni cosa in questione politica.

Eppure, la questione finanziaria di cui oggi parlano

tutti in Italia, di cui si preoccupano i politici e gli uo-

mini della scienza, i giornali e le effemeridi, non che

questione di senno pratico ed amministrativo.

Noi non vogliamo per ora che notare i soli errori

e le contraddizioni del nostro sistema finanziero; riser-

bandoci di sviluppare il pensiero delle utili riforme

nella seconda parte di questa scrittura. Per non pos-

siamo trasandare sin da questo istante di affermare

che nel Regno italiano vi sono le risorse bastevoli per

fronteggiare la situazione, e dar tempo alle riforme

economiche che sviluppino la loro azione per F incre-

mento della pubblica ricchezza. Tutta la questione sta

nel trovare i modi come raggiungere lo scopo, e co-

testi modi sono quelli che formano gli elementi sostan-

ziali del pensiero dell'alta amministrazione, del con-

cetto governativo rispetto alla finanza. Quando vediamo

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che Tizio propone di restaurare le finauze col ristabi-

lire i dazii protettori; Cajo propugna l'aumento dei

dazii di consumo; Sempronio domanda la riduzione

dell'esercito; ed altri l'aumento delle Tasse di registro

e bollo; noi dobbiamo conchiudere che Tizio crede

eccellente il sistema della protezione; Cajo quello dei

monopolii e dei balzelli odiosi; Sempronio il sistema

della pace ad ogni costo e della imprevidenza ; e gli

altri quello delle Tasse. Per conseguenza ciascuno go-

vernerebbe col suo sistema, ed perci che noi diciamo

come pur la questione finanziera questione di ammi-

nistrazione, e vuol esser discussa e dibattuta coi prin-

cipii che reggono le buone amministrazioni finanziere

e coi metodi sperimentati eccellenti. Ma sventurata-

mente in Italia e nella Assemblea che rappresenta

l'Italia si crede che il ministro della finanza debba

essere un mago, un alchimista, un uomo capace di far

miracoli, senza intendere che la finanza non n opera

di maghi, n alchimia, n cosa miracolosa. I suoi fon-

damentali principii sono cos chiari, le sue regole cos

sicure, da non permettere a chicchessia di fare il ciar-

latano per diventar ministro, o travolgere in errori

quelli che del ministro e della sua amministrazione

debbon giudicare.

Ma se i principii cardinali d'ogni pubblica finanza

sono chiarissimi ed immutabili; se possono appli-

carsi isolatamente ed in modo simultaneo; per a

quanti diversi sistemi di amministrazione non danno

luogo; in quante diverse operazioni non metton capo;

a quante diverse combinazioni di credito, di banca, di

alienazioni, d'istituti di credito non prestano appoggio?

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74

In ci sta l'abilit personale del ministro, per cui le

nazioni pi civili di Europa si onorarono del nome di

Pitt, di Roberto Peel, del Barone Louis; ed ora ap-

plaudono a Gladstone, a Frere-Orban, a Barzanellana.

Cristiano Malesherbes scriveva : Turgot ed io eramo

galantuomini, informatissimi, appassionati pel bene

Chi non avrebbe detto he la miglior cosa fosse

l'eleggere noi? Eppure, non conoscendo gli uomini

che nei libri, mancando di abilit per gli affari, ab-

biamo amministrato male. 1 Memorabili parole che

gli uomini politici dovrebbero scolpire nella mente e

ricordare tutte le volte che sono preposti ad un pub-

blico uffizio. Noi le abbiamo citate non per riferirle ai

principii, ma sibbene alla capacit degli uomini prepo-

sti alla scelta dei mezzi per attuare ed applicar quelli.

Su i mezzi proposti non si volle discutere mai, e

tutte le volte che s'intavol formalmente la questione

finanziera nella Camera dei deputati, la politica la de-

vi, la snatur, o la soffog. La prevalenza dell ele-

mento politico adunque oper male anche sotto questo

aspetto, e la questione finanziera, lo diciamo franca-

mente, fu meglio discussa e dibattuta fuori da pochi

scrittori della materia, che dentro la Camera dai molti

legislatori. Il Parlamento non confid che nei soli mi-

racoli dei ministri di finanza, e gli uomini oggi mira-

coli non ne fanno. I prodigi non si verificarono; si

cangiarono i ministri, si ascoltarono nuovi programmi

non discussi mai, ma la situazione finanziaria non mut

aspetto. Il ministro che venne seguit le orme dell'al-

tro, adott intieramente il sistema del predecessore, e

1 Cautti, Storia di cento anni, voi. I, pg. 210.

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tutti finirono coll'abbracciarsi esclusivamente al credito

pubblico. Ogni nuovo ministero valse un grosso debito;

se non fosse altro per questo non vorremmo pi mini-

steri nuovi ; ove per il vecchio ci faccia promessa di

non farne. Eppure, la questione finanziera non cosa

da pigliare a gabbo; bisogna guardarla in faccia una

volta per sempre, discuterla ampiamente e sul solo

terreno finanziero, col solo intendimento di fare opera

utile alla patria, e non per rovesciar gabinetti, non

per fatti personali, non per astio di partiti, non per

sdegni municipali. Ove ci si facesse, noi senza lam-

biccarci il cervello, potremmo trovare in noi stessi la

soluzione dell'arduo problema, la quale approvata dal

Parlamento, nou solo darebbe tempo ed agio al mini-

stro di attuare il suo sistema, ma risparmierebbe alle

due Camere un tempo prezioso che oggi sprecasi in

vane interpellanze e questioncelle di partito, ed allora

s'impiegherebbe invece con somma utilit di tutti nel

far buone e savie leggi.

L' Europa civile ormai sa che il sistema finanziero

dell'Inghilterra, del Belgio, dell'Olanda e della Prussia

poggia sulle dottrine del libero-cambio: l'Europa sa

che il sistema finanziero della Francia, della Svezia,

della Danimarca, della Sassonia e dei piccoli Stati della

Germania fondato sulla protezione ; la quale va gra-

datamente trasformandosi per le fruttuose vie della

libert commerciale: l' Europa infine sa che il sistema

finanziero della Russia, dell'Austria, della Spagna, del

Portogallo, della Porta Ottomana, dei Principati Danu-

biani, della Grecia, e del mostruoso governo del Papa

si fonda sulla proibizione pi o meno stretta; ma qual

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il sistema finanziere del Regno italiano? Noi stessi

non sappiamo, in buona coscienza, affermarlo. Il Conte

di Cavour a grado a grado giunse ad inaugurare il

sistema del libero cambio nel Piemonte, e fu sistema

che frutt grandemente all'economia delle antiche Pro-

vincie, alla finanza dello Stato, ed alla fama della

pubblica amministrazione nei sensi pi larghi dello

svolgimento della libert. Il Governo italiano avrebbe

dovuto , sin da principio creare un sistema finanziario

conforme ai principii di libert e di eguaglianza pro-

clamati dallo Statuto; avrebbe dovuto con le nuove

tasse non offendere la forza economica del paese, non

inceppare lo svolgimento della potenza industriale, non

infrenare i movimenti del commercio, non aggravare

l'azione dei consumi oltre la loro forza imponibile, non

opprimere con intralciate e numerose formalit i modi

di levar le imposte; e con ci non solo avrebbe reso

un grande omaggio al principio liberale, alle migliori

dottrine economiche e finanziere; ma avrebbe eziandio

cavato maggiori frutti dalle imposte, rendendo queste

sopportabili e giuste nell' interesse dei contribuenti e

della ricchezza del paese. In quella vece, i ministri

delle finanze che si successero dal Conte di Cavour

sino al presente si mostraron devoti ed ossequiosi

verso i principii liberali, proclamarono dinanzi alla

rappresentanza del paese ch' essi amavano un sistema

d'imposte che non offendesse la ricchezza-capitale, si

chiariron seguaci delle teorie e delle pratiche britanne

nel levare i tributi; e nello slesso tempo presentaron

proposte di leggi attinte ai pi falsi principii economici,

alle pi vecchie pratiche finanziere, e tutte in mani-

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festa contraddizione dei principii invocati a tutela del

loro operato. In tal guisa si stipularono trattati con la

Francia, con l'Inghilterra, col Belgio, con la Russia,

con la Danimarca, con la Porta Ottomana, e con altri

Stati con le intenzioni di rendere un solenne omaggio

alla libert commerciale; si offrirono favori dalla parte

nostra col solo intento d'inoculare la libert degli

scambii in quelle nazioni che pi avverse si mostra-

vano ai fruttuosi principii della libert; ma nello stesso

tempo si stipulava nel contratto delle ferrovie meri-

dionali l'esclusione degli stranieri dai servizi delle

stesse strade ferrate; si decretavano lavori assicurati

agli opifici metallurgici dello Stato a titolo di protezione;

s'imponevano maggiori dazi su gli articoli che non en-

trarono nelle convenzioni internazionali; si colpiva di

tassa persino l'introduzione delle granaglie e farine

estere!

Il governo fece appello sotto tutte le forme ai ca-

pitali stranieri; sollecit con ragione Y ammissione

dei valori italiani su i mercati stranieri; apr le nostre

piazze e mercati ai prodotti ed ai valori stranieri; di-

chiar e decret pi volte che i titoli di coloro che ci

prestaron danaro non sarebbero stati tassati, e dopo

il ministro Sella afferm in Parlamento che anche i

titoli del debito pubblico andranno soggetti alla tassa

mobiliare.

Il principio di un' imposta sulla ricchezza mobile

giustissimo, e in mano ad abili finanzieri divent

sorgente feconda di facili proventi alla finanza; ma appo

noi col cieco mezzo dei contingenti ha assunto le forme

della capitazione in quel modo che oggi in vigore

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nell'impero russo. Il governo Moscovita accolla a cia-

scuna provincia un contingente d'imposta; la provincia

10 ripartisce per Comuni, e il Comune lo suddivide per

famiglie. II governo russiaco favorisce questo modo

d'imporre, perch lo trova facile e sbrigativo, ed aiuta

col suo braccio di ferro le Comuni a riscuotere l'odiosa

imposta. La parte che al finir dell' anno rimane inesi-

gibile si aggiunge al contingente dell' anno vegnente.

In lutti i paesi pervenuti a civilt, oye i buoni me-

lodi finanzieri furono applicati con prudenza e perizia

somma, la capitazione fu abolita ; noi la risuscitammo

sotto altra forma e con certi critcrii impossibili ad ap-

plicarsi.

Lo Stato si appropri il dazio di consumo ch' di

sua natura comunale, e con ci tolse ai Comuni l'unica

e feconda sorgente di proventi certi e necessarii a fron-

teggiare gli oneri gravissimi che oggi pesano sulle Co-

munit. Come succursale risorsa della imposizione di-

letta sulla rendita, il governo avrebbe potuto ricorrere

ad una tassa sulle bevande, iqvece si appigli a quella

su i consumi, ma con quali regole economiche? L'unica

regola fu quella della necessit, dei bisogni del pub-

blico erario. In tal guisa non si tenne conto dei bisogni

urgenti dei Comuni; non si bad a colpire presuntiva-

mente e indirettamente la rendita netta; non si volse

1l pensiero a salvare le spese necessarie al manteni-

mento della vita degli industriosi; non si tenne pre-

sente che una tassa su i consumi dee mirare a colpire

la soddisfazione di quei bisogni di cui pu farsi a me-

no, senza per contrastarla ed impedirla. In ultimo si

volle rendere pi odiosa la tassa col darla ad appalto,

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e cos noi ritornammo tre secoli indietro, quando i

Vicer di Spagna nella Lombardia e nelle Due Sicilie

affittavano le gabelle e lasciavano ai privati l'arbitrio

esorbitante di vessare ed opprimere i contribuenti a

modo loro.

Con la legge del registro fu colpita nelle sue tran-

sizioni la fortuna ereditaria, la fortuna capitale nei

prestiti e nelle vendite, e tutti gli altri cespiti della

pubblica ricchezza; ma con quali norme, con quali

elementi di estimazione presuntiva, con quali criterii

economici? Con (' enorme tassa sulla successione di-

retta non si bad che si colpiva la ricchezza-capitale

del paese; con l'altra sulle vendite e su i prestiti senza

debita proporzione e misura si grav la persona che

trovasi nel bisogno di vendere o di togliere a pre-

stanza; con la grave tassa infine sulle somme capitali

s'incepparono le transazioni della vita civile; s'imped

il passaggio della terra nelle mani di coloro che sanno

meglio farla valere; si ostacol la transizione delle

somme accumulate in mano a colui che pu farle di-

venir capitali. Noi fummo propugnatori della tassa del

registro, ma con imposizioni gradate e minime che

avrebbero per fermo impinguato il pubblico erario, e

non con le gravi tasse che gi fruttarono la met della

somma presunta; e dopo l'esperienza fatta combattemmo

anche una volta per la diminuzione della tassa, e in

parte ci riescimmo, perch le reclamate modificazioni

furon gi presentate alle deliberazioni del Parlamento

dal ministro Minghetti.

Ma tutte coteste leggi d'imposte sarebbero parute

meno gravose e vessatorie, se non fossero state se-

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80

guite da regolamenti arbitrarii che spesso ne mutaron

l'indole e la sostanza; se ai regolamenti non si fossero

aggiunte le istruzioni che resero pi intralciati i rego-

lamenti e difficile il senso e l'applicazione delle leggi

medesime; se l'amministrazione infine confusa e messa

in contraddizione di se stessa non avesse dato pi

ascolto al regolamento che alla legge. 1

Il Regolamento doganale in vigore e le tariffe sono

ispirate dai principii della libert commerciale, la quale

non ammette privilegio di sorta, ed fondata rispetto

ai regnicoli sulle massime della giustizia e dell'egua-

glianza. Ci nullameno noi manteniamo ancora in piedi

i porti-franchi e le scale-franche a favore di parecchie

citt; e simili privilegi odiosi, ove pur non offendes-

sero i pi sani principii di pubblica economia, offen-

dono per fermo l'eguaglianza dei cittadini in faccia

1 A provar meglio il nostro assunto citeremo all' uopo nn ul-

timo esempio sulle manifeste contraddizioni dei regolamenti con le

leggi. -

Nella lfgge dell' imposta sulla ricchezza mobile scritto all'ar-

ticolo 8 che dall' imposta su i redditi della ricchezza mobile sono ec-

cettuati: 10 i redditi procedenti dai beni stabili ohe si trovano soggetti

alla contribuzione fondiaria o prediale Ma il potere esecutivo nel

redigere il Regolamento per l'esecuzione della citata legge falsando il

pensiero del legislatore assoggett al minimum dell' imposta sulla ric-

chezza mobile anche quelli che vivono esclusivamente di rendita im-

mobiliare. Di fatto, nell'articolo 4,0 dell'anzidetto Regolamento si

leggono queste parole : t proprietari de'fondi che non hanno redditi

imponibili provenienti da ricchezza mobile, o gli hanno inferiori a

lire 250, io dichiareranno nella soheda alla colonna intitolata: osserva-

zioni. In ogni caso essi saranno soggetti al minimum della tassa di cui

all' articolo 28 della legge.

Come conciliare questa disposizione regolamentare con la pa-

rola e lo spirito della legge? Intanto gl'impiegati obbediscono al Re-

golamento, e non alla legge!

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alla legge, e scemano le risorse del pubblico erario.

Perch i cittadini di Genova, Livorno e Messina deb-

bono godere una esenzione di dazi su i generi di con-

sumo importati dallo straniero? Con ci non si offende

l'eguaglianza delle imposizioni? In che guisa si pu

mutare un vantaggio speciale per singole citt in danno

del pubblico tesoro e in guasto della moralit del paese?

Chi non sa che intorno ai porti-franchi suol nascere,

organizzarsi e crescere il contrabbando ch' la rovina

del commercio onesto? Non sono tristi forse le conse-

guenze della frode pel governo e pel paese? E noi man-

teniamo tuttora in piedi coteste fucine di delitti, di cor-

ruzione, e di danni pel pubblico erario; cotesti semenzai

di contrabbandieri che si chiamano porti-franchi!

Il Regolamento e le tariffe doganali furon mutate

in leggi dal Parlamento; ma le disposizioni ministe-

riali, i decreti, le circolari del potere esecutivo spesso

le violano, le mutano, le modificano, le guastano con

infinito danno della cosa pubblica e delle risorse finan-

ziere. 1 Qual dunque il sistema finanziario del Regno

1 Nel 6 Maggio 1863 una lettera circolaro del Direttore Gene-

rale delle Gabelle distinguendo a suo libito gli zuccheri raffinali dai

non raffinati, estendendo la qualificazione di non raffinati a tutti gli

zuccheri che quantunque depurati non lasciassero la soluzione acquosa

affatto limpida e contenessero tracce di glucosa, o di materie eteroge-

nee, abbass il dazio su questi da 25 lire il quintale a 18. Per lunghi

anni il dazio riscosso per ogni quintale di zucchero raffinato anche im-

perfettamente era stato di lire 25; Y amministratore generale delle

Gabelle, senza intesa del Parlamento, abbass cotesto dazio a 18 lire,

conservando quello di 25 ai soli zuccheri la cui raffinazione fosse giunta

ali' ultimo e supremo grado di chimica perfezione. G' impiegati non

seppero pi distinguere gli zuccheri raffinati dai non raffinati ; la frode

sicura di s gett un pugno di materie eterogenee, o di zucchero rosso

in un sacco di zucchero il pi raffinato, e cosi gli zuccheri pi bian-

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- 82

italiano, su quali principii di politica Economia fon-

dato, con quale indirizzo regola la rispettiva ammini-

strazione? Noi non sapremmo dirlo, e con noi tutti

coloro che vplsero uno sguardo alle pi elementari

dottrine economiche e di finanza. Quali danni scaturi-

scono dalla mancanza di un sistema finanziario allo

Stato, lo proveremo in seguito con l'indeclinabile lin-

guaggio delle cifre. Per ora diciamo soltanto che le

due Deit che imperarono sinora sulla nostra finanza

furono T incapacit e l'imprevidenza; e ci dimostre-

remo con fatti inoppugnabili pari a quejli sinora alle-

gati- Ma nel Parlamento non vi fu pesunq che seppe

mostrare gli errori dell' empirismo finanziero a cui si

andava incontro senza disamina e senza forza di mo-

dificarlo, o rovesciarlo? Il .Parlamento stette fiso alla

sola idea politica, non guard che alla sola questione

politica, e per questa non diede ascolto alla Commis-

sione del Bilancio che avvert gli errori, ed a parecchi

uomini competenti phe mostrarono la rovina in cuj si

precipitavano le finanze italiane. Noi stessi non fian-

cammo al nostro compito, e comunque avvezzi a non

essere ascoltati dal potere esecutivo, nondimeno sin

dal 2 agosto del 1862 nella Camera dei Deputati ma-

chi e migliori passarono per zuccheri non raffinati, e pagarono 18 lire

di dazio in luogo di 25. E poich non tutti i doganieri seppero innal-

zarsi a chimici rigorosi, accadde che a Genova gli zuccheri pili raffi-

nali pagarono il dazio di 18 lire; a Napoli gli zuccheri non raffinati

25 lire, e cosi altrove. La lettera circolare adunque del Direttore Ge-

nerale delle Gabelle cost all' erario nazionale per la durata di un anno

e sette mesi tre milioni e dugento settantamila lire, ed al pubblico lo

scandalo di veder violale le tariffe doganali, il Regolamento delle Do-

gane, e le prerogative del Parlamento.

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nifeslammo al ministro Sella, ed alla rappresentanza

nazionale le seguenti cose phe vogliamo ricordare a

noi medesimi.

a Entrando io a parlare della materia difficilissima

dei bilanci, dichiaro anzitutto che non un' arma di

partito quella che oggid mi sprona a tenerne discorso.

Il mio intendimento si quello che l'onorevole

ministro delle finanze, raccolti i lumi dei diversi par-

titi della Camera, possa trovarsi in grado nella futura

Sessione di presentarci un bilancio meglio ordinato,

giudiziosamente compilato e con chiarezza redatto, in

modo da tracciare alla Camera la via pi agevole per

sopperire al nostro disavanzo e facilitare il difficile

compito del Parlamento.

questo il mo solo ed unico desiderio, e credo

di compiere opera degna delle maggiori nostre solleci-

tudini col discutere francamente il fondamento dei

nostri bilanci, sentenziare sulle singole parti che lo

compongono, giudicare del|e amministrazioni finanziere,

e presentare gli ultimi risultamenti del mio giudizio.

Dopo il discorso dell'onorevole Pasini, discorso

sodo, ingegnoso e di larghe vedute; dopo quello del-

l'onorevole Minghetti, il quale contemplava assai pi

da vicino l'amministrazione, anzich un piano finan-

ziario messo a riscontro del sistema presente, ove q

dovessi seguitare le loro luminose vie, poco, pochis-

simo mi resterebbe a, dire, in quanto che le vedute

pratjche dell'uno e le splendide teoriche dell' altro sono

tali che possono fornire alla Camera cognizioni suffi-

cienti da ojoyermi dispensare da ulteriori parole.

Ma io ho un altro compito, o Signori, quello di

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analizzare le parti del nostro edillzio finanziero per

cavarne quella sintesi che former il risultamento finale

del mio discorso. Quindi io sento la necessit di en-

trare per poco nel congegno delle presenti amministra-

zioni interne della finanza, le quali sotto altro aspetto

ci potranno dare quei tali risultati che oggi le leggi

d'imposte e la istituzione stessa finanziaria non offrono.

Secondo la situazione che all' onorevole ministro

delle finanze piacque chiamare del tesoro, e non un

piano finanziario, le condizioni delle nostre finanze

sono le seguenti:

Sull' esercizio del 1860 vi fu un disavanzo di 24

milioni e 500 mila lire; sull'esercizio del 1861 ve ne

fu un altro di 504 milioni e 500 mila lire.

Questi due disavanzi furono colmati col prestito

di 500 mijioni e coli' alienazione di rendite delle Pro-

vincie meridionali per lire 47,500,000.

L'esercizio del 1862 presenta un'entrata presunta

di lire 531,300,000 lire, e una spesa di 840 milioni;

quindi un disavanzo presunto di 308,700,000 lire.

A questo stato presunto il ministro fa le seguenti

modificazioni per tutti i Ministeri. Presenta uno stato

di economie per 19,700,000 lire, e poi uno stato di

spese maggiori per lire 145,400,000, dalle quali, sot-

tratte le economie, risulta una cifra di 127 milioni

per maggiori spese. Questa cifra aggiunta al disa-

vanzo presunto di lire, 308,700,000 d un totale di

lire 435,700,000, che forma il disavanzo del 1862. Se

a questo disavanzo si vorr aggiungere la spesa di

60 milioni per le ferrovie meridionali, ove debbano farsi

a spesa dello Stato, il disavanzo ascende a 500,000,000.

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Si contrappongono a questa cifra le seguenti ri-

duzioni presuntive:

Aumento del decimo sulle ferrovie L. 2,300,000

Aumento di entrata per leggi di

registro e bollo 29,000,000

Alienazione di rendita siciliana . . 16,500,000

Alienazioni della Banca toscana . . 2,200,000

Totale L. 50,000,000

A questa cifra devesi aggiungere quella che de-

riva dai canali demaniali e dalla diminuzione di spese

nelle ferrovie liguri in 40 milioni.

Pi, per diminuzione di spese sul bilancio del 1861

per le ferrovie napoletane, lire 20,000,000.

Pi, per aumento di emissione dei boni del te-

soro, lire 100,000,000.

Abbiamo un totale di 210,000,000.

Rimangono ancora 290 milioni a colmare. Dai

quali tolti i 60,000,000 pei lavori delle ferrovie napo-

litano , rimane un disavanzo di 225,000,000.

Questo disavanzo il ministro delle finanze cerca

colmarlo:

1 o Con la vendita dei beni demaniali;

2 Con l'affrancamento dei canoni enBteutici;

3 Con l' ulteriore emissione di altri I00 milioni

di boni.

La situazione finanziera adunque esposta dal mi-

nistro presenta per le spese:

Del primitivo bilancio L. 840,000,000

Dell'appendice 127,000,000

Totale L. 967,000,000

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Quindi abbiamo un bilancio por la

spesa di

E per l'ntrala uno di

L. 967,000,000

531,000,000

Disavanzo L. 436,000,000

Le leggi votate per registro e bollo, quella del

decimo sulle ferrovie e le altre leggi d'imposte recen-

temente messe in attuazione, siccome leggi nuove di

tasse, presuntivamente non potranno fruttare pi di

30,000,000. Cosicch, sottratti dai 336,000,000 di di-

savanzo i 30,000,000 di nuove entrate, rimangono di

disavanzo certo nel bilancio del 1863: 406,000,000 di

lire. In che guisa sar colmato questo deficit?

ll ministro cerca di colmare quello dei 225,000,000

colla vendita dei beni demaniali. E per la Commis-

sione, prendendo in considerazione le strettezze del

nostro tesoro, originate da varie cagioni, ha pensato

che nella legge della vendita dei beni demaniali i bi-

sogni finanzieri siano coordinati coi bisogni economici

della nazione; quindi ella, ponendo da banda il pro-

getto ministeriale, ispirato esclusivamente dai bisogni

della finanza, ne ha redatto uno che riescir oltremodo

vantaggioso alla pubblica economia italiana.

La Commissione innanzi lutto ha tenuto presente

i' importanza de' vantaggi economici, politici e sociali

derivanti da una libera circolazione di una gran massa

di beni ridonati all' attivit ed all' industria nazionale;

per siffatti elementi di pubblica prosperit non ha vo-

luto separare dai vantaggi eziandio della finanza.

Di talch coordinando la questione economica con

la finanziaria ha saputo formare un sistema, il quale

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mentre da un lato creer nuovi interssi, nuovi ele-

menti di prosperit e novelle fonti di ricchezza per

tatto quanto lo Stato, dall' altro satisfar i desiderii

di Govrno nel voler fornir di mzzi sufficienti le

casse del pubblico rario non per un solo anno, ma per

pi anni consecutivi. Per la qual cosa, se il progetto

del ministro restrihgevasi ad un semplice espediente

finanziario, quello della Commissione per lo contrario

mira ad Un concetto pi alto, senza punto menomare

F importanza della questione finanziera.

Oltracci, (a Commissione ha volto lo sguardo

eziandio a quelle istituzioni di credito che pi favori-

scono la costituzione della propriet fondiale e la sua

libert ; e per questo ha messo di fronte al Governo ed

ai compratori de' beni demaniali gl' instituti del credito

fondiario, i quali potranno riescire di grande aiuto ai

piccoli proprietari ed acquirenti direttamente, e indi-

rettamente allo Stato.

Sotto tutti gli aspetti io stimo che la Commissio-

ne, alla quale mi onoro appartenere, abbia l'atto opera

degna dei tempi liberi che ci arridono nel creare nuovi

interessi e collegarli al giovine regno italiano.

Ma dopo che il ministro avr colmato il deficit

de'225 milioni con la vendita dei beni demaniali, non

rimane forse pel 1 863 un altro disavanzo di 406 mi-

lioni?

Venderemo il rimanente dei beni demaniali, ci si

risponder. E sia, se pur questi raggiungeranno la cifra

di 500 milioni, come si afferma. Ma dopo che avremo

esaurita quest' altra risorsa ( e forse la sola che ci

rimane), non terremo sempre dinanzi la tenibile cifra

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di 967 milioni di spese, e 531 milioni di entrate ? Per

conseguenza avremo uno sbilancio di 436 milioni in

ogni anno. Bisogna adunque assolutamente uscire da

questa condizione che accenna ad un fosco e terribile

avvenire. Ma in che modo potremo uscirne?

Signori, io non credo che nelle presenti condi-

zioni si debba ricorrere a forti ed ulteriori imposte.

Abbiamo visto che non in tutti i luoghi la legge del

registro ha fatto buona prova; quella legge non ci dar

tutti gl' introiti che supponevamo. All' annunzio di al-

tre gravi imposte, io non so se il Parlamento stesso

possa sobbarcarsi a votarle.

L' onorevole Pasini diceva che il dazio di con-

sumo ci potr dare un gran frutto, perch esso ha fatto

buonissima prova negli Stati pi civili d' Europa.

Mi duole di non poter accettare l'opinione del-

l' onorevole Pasini, anche pel modo con cui F ha for-

mulata, e ne dir le ragioni.

Innanzi tutto egli ha detto che non bisogna guar-

dare ai Comuni, ma allo Stato. Io credo che questa

proposizione faccia lo Stato simile a quel selvaggio

della Nuova Guiana, il quale per raccogliere il frutto

taglia I' albero.

Il fondamento dello Stato il Comune; se il Co-

mune star male, star pur male lo Stato. Il dazio-

consumo di sua natura comunale, e per questo

bisogna lasciarlo al Comune, soprattutto nelle presenti

condizioni politiche ed economiche d'Italia.

Di fatto noi usciamo da sei Stati, i quali avevano

sei sistemi diversi di amministrazione e di economia.

Alcuni di quei sistemi inceppavano, altri tenevano li-

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bora la propriet. Alcuni dei sei sistemi armonizzavano

col libero cambio, come in Piemonte; altri mantene-

vano la pi insensata protezione, come a Napoli, negli

Stati del papa, ed altrove. Per conseguenza la ric-

chezza non ha potuto avere tutto quello sviluppo re-

golare come lo ha nelle condizioni di una nazione gi

formata, per esempio, in Francia, nell'Inghilterra, nel-

T Olanda, nel Belgio. Noi invece abbiamo avute diverse

economie, quindi diversi svolgimenti di operosit, d'in-

dustrie, di commercio, di produzioni.

Ora io domando: una tariffa di dazio-consumo,

e sia pur minima, in che guisa sar applicata con equit

ed eguaglianza ad una s grande diversit di condi-

zioni economiche e sociali ? Ponendo anche da banda

le teorie che risguardano cotesta materia del dazio di

consumo, non si pu d'altronde non dire che gli og-

getti su cui cade il dazio sono naturalmente di diversa

qualit e valore; in che guisa proporzionarvi la tassa?

Lasceremo all'agente fiscale di fissarla. E a quale arbi-

trio non apriremo noi le porte? Fisseremo un dazio me-

dio, facendo pagare agli uni quello che risparmieranno

gli altri. E qual giustizia mai questa? Condanneremo

il povero a pagare pi del ricco? Dico questo, perch

in tal caso pagherebbe pi colui il prodotto del quale

val meno, o per diversa via il consumatore meno ricco

che deve comprarlo.

10 stimo che questa imposta sar vessatoria pei

contribuenti, e dar poco frutto al pubblico Tesoro.

All' uopo prego l'onorevole ministro delle finanze

di non affidarsi ad essa.

Il dazio di consumo tollerabile soltanto come

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gabella comunale e con tariffe minime per evitare la

frode e il contrabbando; bisogna restituirlo ai Comuni.

Quello che potr fare il ministro delle finanze,

glielo manifester nel seguito del mio discorso.

Ripiglio la materia dei bilanci.

L'Italia ormai ha un bilancio uguale a quello della

Francia ; della Francia nazine potente di 39 milioni;

mentr la nostra appena di 22, escluse le provincie

schiave dell' Austria del Papa.

Il bilancio passivo francese approvato ltimamente

dal corpo legislativo presenta le seguenti cifre:

Per la giustizia L. 32,871,610

quello d'Italia ,.... 30,428,747

Il bilancio della finanza francese, escluso I' inte-

resse del debito pubblico che tre volte pi del nostro,

presenta eziandio una cifra quasi eguale a quella del-

l' italiano che ascnde a lire 355,595,660:

Per l'interno il bilancio francese

ammonta a L. 50,518,484

l'italiano 53,891,710

Per I' agricoltura, commercio e lavri pubblici il

bilancio francese segna la cifra di ... L. 71,386,400

l'italiano :; 4 73,262,523

E cos per gli altri Ministeri, fatte le debite diffe-

renze tra l' esercito francese di 500,000 soldati cl n-

stro che di 300,000, della marina e del numero dei

navigli.

Il bilancio passivo ordinario d'Italia adunqtfe in

talune categorie supera il bilancio passivo ordinario

della Francia.

Or mestieri trovare i mezzi acconci ed ppor-

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tuni perch questo bilancio ordinario' si possa livellare

tra l'introito e la spesa.

lo pigli a base la stssa situazione del tesoro

dall' onorevole ministro, e efedo che anche nello stato

di formazione dell' Italia si possa fare in modo che que-

sto bilancio rimanga come attualmente, senza dar

luogo ad Ulteriori aumenti di spese.

Per conseguenza bisogna indagare se invece di

ricorrere a nuove imposte, invece di rivolgerci al cre-

dito e a nuovi prestiti rovinosi noi possiamo uscire da

questa situazione con le nostre proprie forze.

Signori, imposte in Italia ve ne sono molte e gravi.

La sventura che le imposte non fruttano; e sapete

perch non fruttano? Perch il congegno delle ammi-

nistrazioni , non dir cattivo, ma pessimo.

I ministri (e li compatisco), dopo gli studii da me

fatti, non sono che dei Laocoonti avvolti nelle spire

della burocrazia. Per essa F uomo che meno conosce e

sa gli affari del suo ministero il ministro, parlo dei

ministri iri genere, non se ne offenda alcuno.

Domani ci accaderebbe a qualunque onorvole

deputato che fosse chiamato a ministro.

Quando I' organizzazione dei Ministeri come al

presente, impossibile che un ministro possa salvarsi

dalle strette della burocrazia.

Questo gran male scaturisce dal non aver il mi-

nistro sotto i suoi sguardi tutti i rami della ammini-

strazione sinteticamente rappresentati da appositi e

speciali uffici, dai quali debbono dipendere le ammi-

nistrazioni diverse.

In quella vece i Ministeri presenti si compongono

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di tante amministrazioni distaccate, e l una indipen-

dente dall' altra.

Quindi voi vedete il ministro isolato nel Ministero

col suo segretario generale e con pochi impiegati di

sua fiducia, i quali si possono dire altrettanti ministri;

in quella guisa che quasi da ministri indipendenti

figurano i capi delle speciali amministrazioni.

Quando si ha dunque un congegno di simili ruote

burocratiche impossibile che la verit giunga sino al

ministro. Ella non vi arriva, o vi giunge tardi e inop-

portunamente.

La prima cosa che bisogna fare di organizzare

il personale dell'amministrazione in generale, incomin-

ciando prima dagli uffizi e dal personale del Ministero,

e poi da quello delle speciali amministrazioni che deb-

bono dipendere da ciascun Ministero, senza creare enti

isolati e indipendenti.

Un Ministero pu essere organizzato in diversi

ripartimene con un numero adatto di impiegati, e cia-

scun ripartimento in relazione delle diverse e speciali

amministrazioni che ne dipenderanno.

La disorganizzazione delle amministrazioni par-

torisce una diminuzione enorme di entrate in faccia

al bilancio presuntivo.

Comincer dalle dogane. Le dogane nel mese di

aprile del 1862, messe in confronto col mese di aprile

del 186l, fruttarono in meno nelle antiche provincie,

in Lombardia, nell' Emilia e nella Toscana lire 380,152.

In Sicilia e in Napoli ebbero un aumento di lire 841,154,

senza parlare dei generi di privativa, i quali frutta-

rono di pi nell'aprile 1862 una somma di lire 3l6,017.

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Cosicch Napoli sola tra diritti di dogane e privative

fruttava nell'aprile del 1862 in pi dell' aprile del 1861

la somma complessiva di 1,027,640 02, con la qual

somma si colmava il di meno delle altre provincie.

Pel maggio 1862, il prospetto dei prodotti delle

dogane presenta i seguenti risultati:

Il Piemonte ha dato in meno lire 485,392; l'Emi-

lia 83,764; la Toscana 83,8l5: cosicch havvi una

diminuzione di 652,972. La Lombardia ha dato un

aumento di 83,000; la Sicilia di 256,177; Napoli di

674,116.: Napoli e Sicilia adunque hanno fruttato un

totale di 930,788 lire.

Nel mese di giugno 1862 per le dogane vi fu nelle

antiche provincie, in Lombardia, nell'Emilia e nella To-

scana una diminuzione di proventi di 146,821 lire; a

Napoli per lo stesso mese vi fu un aumento di lire

286,282; in Sicilia di 58,985. Napoli e Sicilia anche

nel mese di giugno coprirono il deficit delle altre pro-

vincie, e presentarono pure un avanzo su quello che

fu preveduto nel bilancio. Pei sali e tabacchi Napoli

sola diede nel giugno 1862 un di pi sopra il 1861

di lire 329,870. Donde dipende questo divario tra Na-

poli e le altre provincie? Ve lo dir francamente.

Napoli, di cui si sono dette tante e tante cose re-

lativamente agli impiegati ed alla cattiva amministra-

zione, Napoli deve una certa organizzazione delle ga-

belle al sapiente, onesto, ed illustre uomo Giovanni

Manna, cos poco degnamente retribuito dal Ministero!

Manna diede un migliore ordinamento alle doga-

ne, e frutto del buon sistema il presente risultato

delle Dogane napoletane.

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Ma come volete che le amministrazioni finanziarie

vadano innanzi, quando elleno mancano persino d in-

dirizzo stabile e permanente, quando non hanno capi

ed impiegati sicuri del presente e non timidi dell' av-

venire; infine, quando da due anni ogni cosa versa

nel provvisorio?

Al presente vi sono, o almeno figurano come di-

rettori generali delle gabelle, il commendatore Manna

che non piglia stipendio e non siede al suo posto, ed

il signor Caccia, magistrato di Corte suprema,, diret-

Iqre vero e in ufficio, ma provvisorio.

Alla direzione delle lasse havyi un direttore che

in congedo limitato od illimitato che sia, j| quale

piglia il soldo intiero ; ed havyene un altro provvisorio

che piglia lo stesso soldo. Or come si vuole che cotesto

amministrazioni fruttino al Tesoro, se mancano d'or-

ganico, se non sono bene ordinate e gl' impiegati te-

rgono del loro avvenire?

La rivoluzione poteva giustificare un provvisorio

rovinoso, ma la stabilit e 1' apdamento regolare del

governo a| 1862 non giustificano nqlla a questo ri-

guardo. La disorganizzazione delle principali ammini-

strazioni finanziarie dello Stato ci fannp perdere una

met dei proventi che attualmente entranp nel pubblico

Tesoro.

Or veniamo ad un altro ramo importantissimo, a

quello dei risparmi.

L onorevole Vfinghetti, ricordando forse le parole

del ministro delle finanze nella esposizione finanziaria,

e le altre pronunciate ajla Camera, affermava che ora

impossibile di fare qualunque risparmio sulle spese.

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Io credo invece, che il secondo obbietto di una

saggia ed accurata amministrazione consista appunto

in questo, nel trovare i me?zj opportuni come ridurre

le spese non necessarie e fare dei progressivi risparmi.

Questo secondo obbietto comune a tutti i rami d'am-

ministrazione, a tutti i Ministeri, e non al solo Mini-

stero delle finanze.

Abbiamo, o signori, un'altra armata ch'io chia-

mer civile, la quale non comparisce, ma esiste : non

pare che faccia male al tesoro, ma costa quanto 30

jnila soldati di fanteria. Cotesta armata quella degli

impiega,ti in aspettativa, e si compone di 7904 uomini.

Pavvi pure uno stato maggiore, e si compone degli

impiegati con maggiori assegni, i quali ascendono a 605;

in breve una cifra di 8509 impiegati che cavano dal

pubblico erario una somma di 11,370,345 lire annue.

V'hanno pure di quelli che riscuotono l'intiero sti-

pendio e stanno a casa. Ve ne sono altri di cui si fece

cattiva prova, ma indubitato che dopo due o tre

mesi d'impiego andarono via coll' intero soldo. Vi sono

altri impiegati infine, i quali appartengono ad antichi

impieghi, e costoro vivono in ozio e pigliano la paga.

Intanto nelje direzioni parziali del tesoro e del

debito pubblico di Firenze, di Napoli, di Palermo, di

Milano, e di Torino vi sono 600 impiegati straodinari,

i quaH pigliano da 60 a 100 lire al mese per cia-

scuno.

Ma io domando ai ministri: se avete un' armata

d'impiegati in aspettativa ed in disponibilit, perch

non li destinate a lavorare nelle diverse direzioni, al-

meno quelli che hanno gradi inferiori? Cos risparmie-

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reste da 600 a 700 mila lire annue per gV impiegati

straordinari, e il servizio sarebbe assai meglio fatto.

Abbiamo un altro capitolo sui bilanci che porta

la denominazione di assegnamenti. Questi assegnamenti

rispondono alle maggiori paghe. Che cosa sono queste

maggiori paghe che si trovano sopra tutto nel bilancio

dei Lavori pubblici? Sono quasi un doppio stipendio

che si accorda a taluni degli ufficiali del genio civile,

* senza giustificazione, spesso sotto l'aspetto di transa-

zione d'indennit e di spese di traslocamento.

L'organico per accorda le indennit sulla base di

un' equa tariffa quando spettano realmente, cio quando

risultano dal servizio prestato, e non da transazioni

arbitrarie e ingiuste. Quindi noi troviamo impiegati

che hanno 7000 lire di stipendio e 6000 d'indennit:

impiegati che riscuotono 3000 lire di stipendio e 4000

d'indennit. Troviamo assegnamenti poi per le spese

da 22 a 28 mila lire. Io stimo che su questo si possa

e debba fare un serio risparmio. Saranno delle piccole

economie, ma la Camera osserver dopo a quali im-

portanti risultati potr condurci in seguito lo spirito

delle piccole economie.

Il ministro delle finanze non che un controlloro

generale di tutti i Ministeri, e in Francia sin dal tempo

di Sully era appunto cos chiamato. Il ministro delle

finanze ha assolutamente bisogno di rivedere tutti i

bilanci dei Ministeri.

Il bilancio della guerra, per esempio, figura per

172 milioni 307 mila lire di spese ordinarie; (io parlo

adesso di bilancio ordinario, allo straordinario verr

poi.) Il ministro delle finanze ha l'obbligo di dire al

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suo collega il ministro della guerra: a quanto volete

che ascenda l'esercito ? A 300 mila uomini? Benis-

simo; ma questi 300 mila uomini bisogna che figurino

nel bilancio ordinario e nello straordinario. In ogni

anno quali categorie di soldati volete mandare a casa?

Quali leve si debbono fare? L'esercito sul piede di

guerra o di pace? Se egli sul piede di pace, bisogna

che abbiate oltre a 100 mila uomini di riserva che

potete mandare a casa, e cos sgraverete il vostro

bilancio ordinario di molti milioni; se poi volete porlo

sul piede di guerra, richiamate gradatamente le riserve,

perche cos farete un risparmio significante sul bilan-

cio straordinario.

Fissate queste idee, bisogna che il ministro della

guerra non se ne allontani. In tal guisa potr cessare

il continuo aumento di spese enormi presentate sempre

sotto l'aspetto di aumento di forza. Ma a qual cifra

vorremo portare l'esercito italiano? Bisogna dirlo una

volta per sempre; diversamente impossibile di poter

compilare un bilancio regolare della guerra, impos-

sibile che il ministro delle finanze possa preventiva-

mente conoscere tutte le spese che lo Stato deve sop-

portare. E forse da questa mancanza di previdenza

dipende che in ogni Sessione della Camera vengono poi

aggiunte al bilancio passivo le gravi spese di 100,140

e sino a 147 milioni, come nel caso presente, ap-

punto perch il ministro delle finanze non sa nulla

degli altri Ministeri. Egli riceve il bilancio che ogni

ministro gli manda , lo vede e dice naturalmente: que-

sto sar quello che abbisogna al mio collega ; ci mette

la sua firma, lo ratifica, ed presentato alla Camera.

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l0 son di credere che il ministro delle finanze non

debba far cos; in quella vece debba entrare in seria

discussione coi ministri suoi colleghi e dire a ciascuno:

occorre che ella nel bilancio ordinario mi presenti cifre

stabili, invariabili, come invariabile il bilancio ordi-

nario dello Stato.

Quello che ho detto per la guerra potr il ministro

farlo per tutti gli altri Ministeri. Vi sono delle spese

che possono ridursi, ed il ministro delle finanze che

deve affrontare P impopolarit di questi fatti.

Ci che pi preme oggi allo Stato la via dei

prudenti e sennati risparmi, e si possono fare in varie

e molteplici maniere.

E qui non posso non ricordare il modo facile con

cui si accordano le pensioni, cio con un semplice de-

creto ministeriale.

11 bilancio per questa categoria ha gi iscritta

una cifra di 29,996,899. Fra il bilancio del 1861 e

quello del 1862 si trova un aumento di 2,989,365.

Nel solo corso del passato semestre il debito vitalizio

si accresciuto di un milione.

Il ministro delle finanze ha P obbligo di operare

nelle varie categorie dei bilanci tutti questi risparmi.

Ma sono possibili i risparmi? Tre volte possibili, o

signori, ed agevole il farli. Innanzi tutto, collocando

nelle amministrazioni una parte degli impiegati messi

in aspettativa e disponibilit, licenziando tutti gli im-

piegati straordinari che sono temporanei, sopprimendo

i maggiori assegni e le spese inutili, il governo potr

fare un risparmio certo di 6 milioni.

Le indennit ai prefetti non le stimo necessarie.

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Non so quali spese di rappresentanza abbiansi a fare

dai prefetti a Sondrio, a Cuneo, a Potenza, a Cosenza,

a Girgenti, ecc. Per questo articolo si potrebbero ri-

sparmiare 860,000 lire.

In quanto alle pensioni, se vi si portasse un se-

rio ed attento esame, soprattutto su quelle accordate

dagli antichi Governi alla vigilia della loro caduta, si

potrebbe ottenere* un risparmio di 3 milioni.

Gl'ispettorati e provveditorati dell' istruzione pub-

blica sono assolutamente inutili, e sopprimendoli, si

potrebbero risparmiare 487,000 lire.

Si potrebbe eziandio fare una riduzione di con-

solati. Abbiamo consoli salariati in tutti gli angoli del

mondo, mentre l'Inghilterra e la Francia che sono le

prime nazioni d'Europa, ne hanno pochissimi salariati.

Nei porti di secondo ordine, come Bari, Barletta,

Manfredonia, ecc., la Francia incarica un commerciante

a far le veci di console, mentre noi abbiamo dei con-

soli salariati in tutti quasi i piccoli porti stranieri, il

che ci cagiona una gravissima spesa.

Abbiamo delegati provinciali, delegati circonda-

riali, ed una quantit immensa di altri delegati che non

fanno niente, non giovano a nulla, ed assorbono una

bellissima somma; io proporrei di sopprimerli tutti, e

con ci si avrebbe una riduzione al di l di un milione.

Cosicch, per questi soli risparmi si otterrebbe una ri-

duzione al bilancio passivo di 12,802,000 lire.

Il Ministero d'agricoltura e commercio porta una

spesa abbastanza grave per le bonificazioni ; io consi-

glio al ministro di dare in dono piuttosto le terre che

vogliono essere sanificate, anzich fare senza sistema

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-ino _

le bonificazioni a spese dello Stato. altrimenti si consu-

meranno somme enormi, e non si verr forse a capo

di nulla.

Dovrebbe lo stesso ministro sopprimere i premi a

titolo d'incoraggiamento stabiliti a favore dell'agricol-

tura e delle industrie gregarie.

L'onorevole Minghetti ha detto che l'agricoltura

Don ha bisogno d'altro che di libert, ed io aggiungo

ch' ella abborre dal sistema protettore. Dietro queste ri-

duzioni, noi avremo forse un risparmio al di l ancora

di un milione.

Queste, ed altre pi rilevanti riduzioni io farei

progressivamente su tutti i bilanci, e le farei con l'au-

torit del controllo dell' entrate.

Dopo ci ritorno per poco alle imposte; non fosse

altro che per cavare dai presenti bilanci stessi le ri-

sorse sufficienti per fronteggiare le spese, senza ricor-

rere a nuovi prestiti, ne a novelle e forti imposizioni.

Le nostre dogane messe in comparazione di quelle

del Belgio, della Francia e dell'Inghilterra, comparati

alle popolazioni i prodotti, le dogane danno almeno 20

milioni di meno di quello che potrebbero produrre;

cosicch, se nel presuntivo vi sono 64 milioni di en-

trata, per me sta che organizzando l'amministrazione

questa cifra potrebbe ascendere a 84 milioni.

La perequazione delle imposte un tema diffici-

lissimo per la diversit dei catasti. In Italia vi sono

trenta catasti, oltre i registri, e da qui scaturisce la

difficolt di una vera ed esalta perequazione. Non ap-

provo poi l'opinione dell'onorevole Pasini, il quale

vorrebbe fare della perequazione una questione arami-

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ni stia ti va, cio quasi una questione di capitazione.

Prendete gli estimi attuali, egli ha detto, servitevi dei

presenti catasti, adattate ad essi quell ' imposta diretta

maggiore che volete, e procedete innanzi. Ma con ci

noi accresceremo le disuguaglianze enormi che gi vi

sono; poich havvi la Lombardia che paga il 32, vi

Napoli che paga il 28, vi la Toscana che paga il IO,

vi il Piemonte che paga il 7, vi Parma e Modena

che pagano il 16; ora se voi avete bisogno di collocare

una somma di 20 a 30 milioni su queste basi disu-

guali, non farete altro che portare la Lombardia a 40,

Napoli a 38, e cos via via discorrendo, con misura ar-

bitraria ed ingiusta.

Senza venir prima ad un accertamento approssi-

mativo della rendila netta non possibile di tentare

una simile operazione. Gli studi della Commissione

per la perequazione sono inoltrati, ed io spero che,

merc le profonde lucubrazioni di vari nostri colleghi,

si potr nella futura Sessione presentare dal Governo

un progetto che, se non sar perfetto, avr se non

altro il gran vantaggio di fondarsi sopra l ' appuramento

pi approssimativo della rendita certa, e quindi non

sar cos disuguale ed arbitrario come succederebbe

se si dovesse seguitare il sistema proposto dall' ono-

revole Pasini.

La perequazione delle imposte dirette fatta in modo

economico potrebbe dare anche 30 a 40 milioni di pi

all' anno.

Gli stipendi in due terze parti d'Italia per lutti

gl' impiegati si sono raddoppiati. Anche i militari di

tutte le provincie, della Toscana, di Parma, di Modena,

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Oi -

di Napoli, delle provincie una volta soggette al Papa,

hanno tutti raddoppiato i loro soldi; perch il pi alto

era quello del Piemonte, e questo si estese a tutto il

rimanente d Italia, sicch la cifra degli stipendi di-

ventata grave.

10 stimo che il ministro delle finanze farebbe

opera lodevolissima di accettare una legge gi vigente

nel Napolitano e di estenderla al rimanente d'Italia,

cio quella del decimo sui soldi degl' impiegati civili e

militari, cio di tutti coloro che hanno diritto alla pen-

sione. Cotesta imposta potrebbe dare sino a 10 milioni.1

1l Ministero potrebbe ricorrere anche ad un' altra

sorgente; e questa, che una delle pi belle, risguarda

la divisione dei dazi di consumo. Una parte di essi si

dia ai Comuni che sono i soli giudici competenti Del-

l'imporre simili dazi su quei prodotti che pi abbon-

dano , e ove abbondano, possono leggermente essere

tollerati.

Restituito in parte il dazio di consumo ai Comuni,

il Ministero allora trover la via spianata ed agevole

per T imposta sulle bevande.

In quanto a questa imposta il Ministero far opera

eccellente se, come mi auguro, merc i dati statistici

bene accertati sulla quantit delle bevande che si con-

sumano in tutte le provincie italiane, far una legge

puramente economica e di facile esecuzione. Io tengo

per fermo che questa legge potr fruttare dopo due o

tre anni circa 40 milioni.

1 II ministro Sella ultimamente si avvalse di questa nostra pro-

posta ; ma la fond sopra un principio pericolosissimo qual il dazio

progressivo cotanto propugnato dai socialisti francesi nel 1848 e 4849.

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Organizzata l'amministrazione delle privative, que-

ste potrebbero dare un aumento di dieci milioni, poi-

ch vedo che l aumento degli introiti nelle provincia

meridionali incessante e progressivo. Se le altre

Provincie, cio le antiche, la Lombardia, la Toscana ,

le Romagne, l' Umbria e le Marche dessero proventi

uguali in proporzione degli abitanti, le privative po-

trebbero dare, non dieci, ma venti milioni di aumento.

Cosicch noi avremmo, per ragion d'imposte nelle va-

rie categorie del bilancio, una somma di aumento per

HO milioni.

In questo modo le entrate ordinarie da lire

319,147,773, secondo la situazione del Ministero, sa-

lirebbero a lire 629,147,773. Parlo dei soli bilanci or-

dinari. Se al bilancio delle entrate ordinarie volete ag-

giungere le straordinarie in lire 104,263,369, avrete

una cifra totale delle entrate complessive in }ire

733,411,142. Cosicch, ridotte le spese ordinarie a

lire 724,795,371; e le entrate ordinarie a 629,147,773,

il disavanzo non sarebbe che di sole lire 95,647,598,

facilissimo a colmare sia coll' allargare l'imposta sulle

bevande, sia con gli aumenti del decimo sulle ferrovie

che si estenderanno tra breve sino al Capo di Leuca;

sia infine con una imposizione sulla ricchezza mobile.

Rispetto poi al bilancio della spesa totale, secondo

la situazione presentata dal ministro ascendente a 967

milioni, messa a riscontro la somma totale delle en-

trate ordinarie e straordinarie secondo le mie deduzioni,

la qual somma ascende a 733 milioni, si avrebbe un

disavanzo non pi di 406 milioni, ma uno appena di 234.

Ma il bilancio ordinario non deve pareggiarsi allo

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Idi

straordinario ; questo dipende da spese che si possono

o non si possono fare; dipende da spese che, se en-

treremo in un vero sistema di economie, bisogna farle

s, ma gradatamente, e senza scosse.

Signori, io rammento che Napoleone I antivedendo

l'avvenire d'Italia a Sant'Elena, prorompeva in queste

profetiche parole : S'egli avverr che la Penisola

italiana un giorno pi o meno lontano sia una na-

zione, la prima sua condizione sar quella di diven-

tare una grande potenza marittima ; poich Y Ita-

Ha ha 173 leghe di costa pi della Spagna e della

Francia, e signoreggia tre mari.

Il vaticinio di Napoleone si avverato, perch noi

gi siamo una nazione: non ci rimane che a diven-

tare una potenza navale. Ma il diventare potenza ma-

rittima non affare di un giorno o di un anno; ci si

richiede invece un tempo proporzionato alla vasta im-

presa. mai giusto e conveniente aggravare di straor-

dinarie imposizioni i contribuenti nelle presenti condi-

zioni politiche ed economiche della nazione per fare iu

brevissimo tempo una potente marina? mai ben

pensato di collocare sul bilancio della marina 48 mi-

lioni in una volta per costruzioni di navigli ? Le stesse

osservazioni potrebbero farsi sul materiale da guerra

dell'esercito di terra.

Noi abbiamo il primo polverificio che vi sia in

Europa in quello di Scafati presso Napoli, il quale dava

un prodotto di 24 quintali di polvere al giorno.

Ebbene, cotesto stabilimento si messo da banda,

ovvero si tiene aperto a pompa con pochi operai che

producono da quattro a cinque quintali di polvere al

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iOo

giorno. E sul bilancio della guerra trovo segnata per

le spese del polverificio di Scafati una somma di

1,274,300: e per lo stabilimento metallurgico di Mon-

giana 382,34l lire, mentre si spendono nelle antiche

Provincie per fonderie, polverificii e raffinerie di nitri

e zolfo 4,427,974 lire!

Come conseguenza di questo falso sistema accade,

evale il pregio di palesarlo, che mentre nelle provincie

meridionali vi sono cos importanti stabilimenti metal-

lurgici, raffinerie e polverificio, si pigliano i cannoni

guasti, si caricano sui vapori, e si mandano a Torino

per fonderli, ovvero per fare ad essi gli accomodi ne-

cessari.

In tal guisa giustificansi in parte le grandi spese

dei trasporti segnati nei bilanci della guerra e della

marina. E queste non sono che spese appartenenti al

bilancio straordinario, spese che possono evitarsi in

buona parte, o sopprimersi.

Ove si vorr portare una ponderata disamina an-

che su queste spese, tengo per fermo che il nostro

bilancio passivo delle spese straordinarie potr grande-

mente avvicinarsi al livello delle entrate straordinarie.

Le nostre condizioni finanziarie non sono dunque

allarmanti nella loro sostanza, ma potranno diventar

tali ove al presente sistema di amministrazione non se

ne sostituisca un altro capace di condurci per mezzo

di economie, di risparmi, e d'ingegnose combinazioni

di credito al livello delle spese con l' entrate.

Elementi di una buona amministrazione finanzia-

ria sono: l'unit e semplicit dell'amministrazione

intiera; una giusta ed equa ripartizione dei pesi pub-

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lOb

blici; un metodo di percezione facile e poco costoso;

una conoscenza profonda e chiara di lulta l' ammini-

strazione finanziaria, specialmente per quanto riguarda

le entrate e le spese. Senza questi dati impossibile

che un amministrazione possa adempiere al suo man-

dato e fruttare.

Oltracci, bisogna sapere usare del credito, a tem-

po, e con opportunit di mezzi e di vedute. Il credito

per dev' essere compagno inseparabile del risparmio;

perch dove non vanno uniti, il credito diventa un

facile mezzo di rovina pel Governo e per la nazione.

Io dunque credo che non vi sia necessit di nuove

imposte per ora, tanto pi che abbiamo una gran massa

di beni demaniali da vendere, i quali possono recare

immensi vantaggi all'economia del paese ed alla Gnanza.

Non sono col Minghetti nell ' invitare il Ministero

a contrarre un nuovo prestito, perch 500 milioni di

beni demaniali da vendere, e le affrancazioni dei ca-

noni potranno offrire al ministro cento combinazioni

felici per non picchiare alle porte del credito pubblico.

Non sono col Pasini, infine, quando afferma che

meglio una cattiva imposta che niuna imposta; io dico

invece, meglio una buona imposta e ben collocata, che

una cattiva. Imposte ne abbiamo, e molte; bisogna

farle fruttare, ed a ci provvede una eccellente ammi-

nistrazione finanziera. Una gran parte delle nostre ri-

sorse sta nei bilanci stessi, e la Camera nel disaminarli

vedr se mal mi appongo. 1

1 Discorso del Deputato De Cesare pronunziato nella tornata del

2 agosto 1862 della Camera dei Deputati su i bilanci e la situazione

generale dello finanze del Regno.

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Le ragioni politiche, i pericoli delle crisi ministe-

riali, il dubbio di non trovare uomini pi capaci pel

maneggio della cosa pubblica, la tenacit dei partiti, e

la speranza che quelli che non sapevan fare, avreb-

bero fatto meglio in seguito, paralizzarono sempre

gl'intendimenti pi saggi del Parlamento, e si fin col

dar ragione alle infondate e ingiustificate promesse dei

ministri delle finanze, plaudendo per ad un tempo ai

savi ammonimenti della Commissione del Bilancio, e

agl'indirizzi amministrativi proposti dagli uomini che

pi intendevano la materia. Da una Camera politica

animata lodevolmente dagli spiriti unificatori e since-

ramente italiani; da una Camera che non vedeva in-

nanzi a s che il solo edifizio dell' Unit da compiere a

qualunque costo, non potevano aspettarsi che nobili

sagrifizi, e primi furon quelli di tollerare al governo

delle finanze uomini senza iniziativa, leggieri, impre-

videnti, od incapaci, e tollerarli anche dopo che ave-

van fallito alle loro promesse, ai programmi di grandi

economie, alle pi ovvie massime di politica finan-

ziaria. Il Parlamento sapeva eh' eran tali; il Parla-

mento non s'ingann mai nel definirli e pesarli, ma

li accett, e seguit i loro errori pel timore del peggio

nell'indirizzo politico; e per questo non ributt mai

una legge d imposta gravosa e mal congegnata che

fosse ; non tolse fiducia all' azione complessiva del go-

verno; non si oppose a qualunque sagrifizio che in

nome d'Italia si dimand alla nazione, e per essa ai

suoi rappresentanti. Ma di tolleranza in tolleranza si

riesci a tale che in un giorno si annunzi alla nazione

la vicina bancarotta, e si disse di non potersi compiere

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il servizio di cassa per Tanno l864 senza grandi sa-

grifizi. Il triste annunzio in sostanza non era vero;

perch la situazione finanziera del Regno non molava

per la mancanza di dugento milioni al servizio di cassa.

Un ministro abile avrebbe trovata la somma, e senza

discreditare il Governo, senza allarmare il paese e fe-

rire il credito pubblico italiano, avrebbe in seguito

fatto palese al Parlamento il suo operato per colmare

il vuoto del Tesoro, e quindi proposti mezzi e leggi

opportune ed efficaci per provvedere all' avvenire. In-

vece con imprudenti e non esatte affermazioni si volle

scemare la fortuna d'Italia col discredito delle proprie

finanze; i fondi pubblici nel giro di trenta giorni ribas-

sarono di tre punti; gli affari commerciali ristagnarono;

le imprese industriali si arrestarono, e solo rimase

saldo e fermo nelle sue convinzioni, nei suoi generosi

propositi, nelle sue patriottiche credenze il paese, il

quale non si scuor, non prest fede al ministro, ed

agl' istantanei bisogni di cassa venne animoso e con-

fidente incontro al governo, e si offr ad anticipare

un' annata d'imposta prediale.

Ma se questi fatti sono veri e consolanti, non si

pu d' altronde tacere che la imprevidenza e la inca-

pacit dei ministri da un lato, e la soverchia condiscen-

denza e prudenza del Parlamento dall'altro condussero

l'amministrazione finanziera del libero Regno d'Italia

a dover governare con gli stessi mezzi degli antichi

governi assoluti della penisola. Comunque geloso delle

sue prerogative, fiero dei principii largamente liberali

che presiedettero a tutte le sue deliberazioni, fermo

nelle sue convinzioni di libert ed indipendenza, non-

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dimeno il Parlamento dovette approvare leggi impru-

denti e stolte, convenzioni rovinose, espedienti puerili

e dannosi sotto l'aspetto economico e politico.

La forma del monopolio, noi dicevamo in altra

occasione, la pi irrazionale per levare le imposte.

Imperocch le tasse per i generi di privativa non sono

altro che dazi indiretti mascherati e della peggior na-

tura di quelli che metton capo nel falso sistema delle

proibizioni. La privativa non ha altro scopo che di far

pagare troppo caro il prezzo di taluni generi di uso

universale, acci la finanza abbia una parte dell' ecce-

denza di tali prezzi, onde il tutto si riduce a gravare

enormemente il consumo. Ma certi principii han biso-

gno di ritemperarsi in quelle supreme necessit d'or-

dine superiore che il Vico chiam prime necessit della

vita delle nazioni, e per questo voglionsi considerare

le privative come semplici soccorsali delle imposte di-

rette, e ritenerle nei limiti del minor prezzo possi-

bile. 1 La Camera voleva all' uopo la soppressione

delle privative; ma in vista di coteste ragioni si con-

tent di una semplice promessa per l' avvenire, ed ap-

prov la legge del monopolio dei sali e tabacchi con

prezzi tollerabili.

Non meno viva fu la discussione nel 1862 sul-

l ' aumento della tassa delle lettere. Il ministro Sella

chiedeva allora la tassa di 20 centesimi per ogni let-

tera semplice; la Camera dei Deputati con ragioni eco-

nomiche e statistiche vi si oppose, e il ministro pro-

pose a titolo di transazione la tariffa di 15 centesimi.

1 Relazione del Deputato Carlo De Cesare sulla legge delle pri-

vative dei sali e tabacchi.

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Noi ricordiamo queste cose per mostrare sempre

pi il gran sagrifizio fatto dalla rappresentanza nazio-

nale nell'approvare i cos detti provvedimenti finanzieri

del Sella tornato ministro delle finanze. Il quale dispo-

sando e facendo suo il programma finanziero esposto

dal deputato Lanza nel luglio del 1864 propose di ac-

crescere di un terzo il prezzo dei sali e tabacchi, il

dazio sulle derrate coloniali, la tassa delle lettere, ed

imporre l'introduzione dei grani e delle farine estere.

Oltracci, volle con tassa progressiva colpire gli sti-

pendii degl' impiegati civili e militari, e da tutti cotesti

provvedimenti si augur i seguenti accrescimenti di

pubblica entrata:

Sul tabacco L. 26,924,000

Sul sale. 12,664,000

Sui coloniali 1,325,000

Sulle granaglie e farine 1,850,000

Sulle lettere 2,000,000

Sulle ritenute agli stipendi 5,000,000

Totale L. 49,763,000

Per provvedere poi alla situazione delle pubbliche

casse domand ai proprietarii l'anticipazione dell' im-

posta prediale per l'anno 1865, ed affid ad una so-

ciet anonima l'operazione della vendita dei beni

demaniali merc l'anticipazione fatta da questa di cin-

quanta milioni pagabili a rate di dieci milioni ciascuna,

ed a determinate scadenze.

Non ostante il progressivo consumo dei generi di

privativa, noi abbiamo buono in mano per non credere

che la somma preveduta dal ministro entrer intiera-

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mente nelle pubbliche casse, ad eccezione della rite-

nuta su gli stipendi. Le pi elementari massime eco

nomiche sussidiate dalle statistiche degli Stati pi

inciviliti e' insegnano che soprattutto in fatto di priva-

tive nulla di pi vero del principio regolatore dei prezzi

e dei consumi, cio che a misura si diminuisce il

prezzo degli oggetti se ne accresce il consumo, e quindi

il benefizio; per la ragione troppo evidente che molti

piccoli guadagni rendono un fruito maggiore dei pochi

lucri vistosi. E per le privative v'ha un motivo di pi

per scemare i prezzi anzich elevarli gradatamente,

ed la certezza che a misura si accresce il prezzo di

una libbra di tabacco e di sale, il contrabbando si

moltiplica a dismisura. Le alte tariffe sono le madri

naturali del contrabbando, come i ministri delle finanze

che furon protettori e proibitori furon sempre i crea-

tori o gli esacerbatori delle carestie e dei flagelli chia-

mati crisi commerciali ed economiche. Di fatto, i mo-

nopolii, le protezioni e le proibizioni non si reggono

che a forza d'ingiustizie, di violazioni di leggi e canoni

economici, ed un esempio recente l' abbiamo nelle

stesse disposizioni esecutive della legge del 24 novem-

bre 1864 emanate dal ministro Sella. Con la precitata

legge la nuova tariffa dei sali e tabacchi doveva andare

in vigore al 1 gennajo del 1865; ma il ministro con

semplice decreto del 4 dicembre ordin che la tariffa

andasse in vigore invece dal 12 dello stesso mese. Quali

motivi lo spinsero a violare la legge votata dieci giorni

innanzi dal Parlamento, e violarla sotto gli sguardi del

Parlamento stesso? La legge, scrisse il ministro, del

24 novembre indusse parecchi consumatori a fare

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fin d'ora tali incette di sale, che le provviste di

molti spacci delle derrate di privativa si trovano sin

> d ora completamente esaurite, e sebbene sieno stati

* impartiti gli ordini opportuni perch codesti spacci

sieno riforniti di nuovo sale dai magazzini, v'ha a

temere che anche questi siano in pochi giorni vuo-

tati. 1 Ma non erano prevedibili cotesti effetti dei

famosi provvedimenti proposti dal Ministro? E non

ostante il divieto di non dispensare a ciascuno spaccio

pi di dieci libbre di sigari al giorno e cinquanta libbre

di sale dal 10 dicembre \ 864 insino ali0 gennaio 1865;

non ostante il violento inceppamento al consumo di der-

rate necessarie, il ministro fu costretto di violazione in

violazione a sottoporre alla firma del Re un decreto in

aperta opposizione della legge del 24 novembre. Sotto

gli antichi governi violatori di tutte le leggi non ac-

cadde mai alcun che di simile; e le violazioni presenti

sono tanto pi dolorose, in quanto non recano alcun

giovamento al pubblico erario., e servono a discredi-

tare il governo nazionale.

Il ministro delle finanze dell'amministrazione La-

marmora non comprese che i suoi provvedimenti finan-

zieri avrebbero avuto per conseguenza rispetto all'au-

mento del prezzo dei sali e tabacchi un rapido aumento

nei proventi del mese di dicembre 1864, e poscia un

decrescimento gradato nel 1865, sia per opera dello

scemamento dei consumi, sia per l'accrescimento del

contrabbando. I supremi canoni di economia non si

violano impunemente, non ostante che il ministro Sella

nella patria di Genovesi e di Bandini, di Broggia e Bec-

1 Relazione a S, M. falla in udienza del i dicembre 1864.

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caria abbia detto che comincia a fallire in pratica il ge-

nerale principio, che ogni diminuzione di prezzo causa

determinata di un cresciuto consumo. 1

Molti Comuni al solo annunzio delle necessit del

pubblico Tesoro, prima che il provvedimento dell'an-

ticipazione di un anno d'imposta prediale fosse votato

dal Parlamento, andarono incontro al Governo, ed of-

frirono la chiesta anticipazione. Ma innanzi di ricorrere

a simili misure, il ministro delle finanze avrebbe do-

vuto volgere uno sguardo alle condizioni economiche

del Regno, e antivedere le conseguenze del suo prov-

vedimento.

Chiedere alla propriet fondiale un' anticipazione

di 124 milioni da sborsarsi in una volta nel d 15 di-

cembre 1864, nello stesso tempo che in virt della

legge di perequazione l'imposta fondiaria veniva ac-

cresciuta di venti milioni, non era un provvedimento,

ma un turbamento profondo che il Governo recava alla

economia agricola del Regno. I proprietarii per fermo

non si sarebbero negati nel loro patriottismo di venire

in soccorso del pubblico tesoro; ma il Governo non

doveva porre a calcolo, innanzi di presentare la legge,

gli aumenti non lievi dell'imposta pel 1865; i danni

gravissimi arrecati alla propriet dal brigantaggio,

dalle inondazioni, dai mancati raccolti dei bozzoli, dalle

epizoozie, dalle mortalit delle industrie gregarie, dal

ristagno del commercio delle produzioni agricole, e

quindi dall'avvilimento del prezzo delle derrate, per

esaminare con piena cognizione di causa se la pro-

priet fondiale era, o pur no nelle condizioni di poter

1 Relazione sulla legge proposta nel i novembre 1864.

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adempiere agli obblighi forzosi che le si volevano im-

porre? Non era forse della competenza del ministero

delle finanze l' esaminare, se togliere in un sol giorno

124 milioni alla circolazione dei mezzi necessarii al-

l' agricoltura in uno Stato quasi esclusivamente agri-

cola; se gettare i proprietarii in preda all' usura nel

momento meno propizio per essi; se obbligarli infine

a restringere Y impiego dei capitali circolanti in desti-

nazioni fisse a benefizio della terra, erano o pur no

misure tali da influire sinistramente su i futuri pro-

dotti, sulle coltivazioni successive, sul salario dei colti-

vatori, sul capitale complessivo stesso che oggi dispone

la regina delle industrie italiane, l'agricoltura?

A coteste misure che aggraveranno assai pi le

nostre condizioni finanziere negli anni successivi si

univa il baratto dei beni demaniali giustamente repu-

tato sconveniente e indecoroso pel Governo, dannoso

per la finanza e per la nazione;1 cosicch noi vedemmo

1 Con rara sconvenienza il Governo affidava ad una societ ano-

nima la vendita dei beni demaniali, sostituendola a s medesimo. Con

ci il Governo confessava che la societ anonima sarebbe stata pi

abile del Governo stesso nelle operazioni della vendita.

Oltracci, la convenzione torner pregiudiziale all' incremento

dell' agricoltura, ove esistono propriet territoriali soverchiamente

estese, perch la Societ potr vendere quando e come vorr i beni

demaniali. dannosa per le finanze, perch guardando alle vendite

anteriori fatte in Toscana e nelle provincie meridionali, ove i beni si

alienarono col 53, 60, 80, e 93 per 100 al di l delle stime, la Societ

sulla cifra di 125 milioni di beni demaniali, prestando essa 50 milio-

ni, e tenuto conto di un minimo aumento del 50 per 100, avr un be-

nefizio netto di dodici milioni e messo pel quinto che le spetta, vale a

dire il 25 per 100 netto sopra 50 milioni prestati oltre ai diritti di

commissione e al rimborso delle spese che non saranno minori del

5 per 100. E qual sar il prezzo delle obbligazioni da emettersi dal

Governo? Figuriamo che il saggio delle obbligazioni sia dell'80 per 100:

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in un sol giorno mutata in peggio la politica finanziaria

dello Stato, e sostituite* alle regole meno giudiziose

dell'amministrazione quelle del governo Ottomano, ov-

vero del Tunisino.

E dopo tanti e s gravi errori ; dopo i pi perico-

losi principii del socialismo introdotti in qualche legge

di finanza, come la tassa progressiva su gli stipendii

degli impiegati sotto l'aspetto di ritenuta; dopo la

confusione onerosa degli uffizi e delle amministrazioni

finanziere; dopo le violazioni delle leggi per via di

semplici decreti, di regolamenti, di lettere circolari ed

ordinanze ministeriali, non inutile aggiungere infine

che oggi il Parlamento costretto ad approvare le leggi

pi importanti senza discussione, soprattutto quelle che

si riferiscono ai bilanci del 1865, ed all'ordinamento

interno. . .

Noi ci siamo lungamente fermati sul caos che si

creato nelle leggi e nell amministrazione finanziera

del Regno; perch la questione delle finanze per

I' Italia oggid la pi vitale. Senza accennare agli er-

rori del passato, ed ai mali del presente, non potevamo

avvisare ad un sistema finanziero per I' avvenire, ca-

messo il 25 per 100 di utile pel quinto, il 5 per 100 per diritti di com-

missione e spese, il rimborso delle obbligazioni in 15 anni, ovvero in

media in anni 7 '/s circa, coli' interesse del 5 per 100, tutto ci riduce

la emissione delle stesse obbligazioni al saggio del 50 per 100, e po-

nete che sono garantite da un eccellente ipoteca. Or qual differenza

tra questa operazione e l'emissione di boni da parte del Governo? In

qual modo garantisco la Societ il prezzo dei beni demaniali? Ella li

garantisce col credito che le d il Governo, coli' ipoteca su i beni

dello stesso Governo, con lo sfruttare infine il credito del Governo.

Voglia il cielo che nella necessit di un prestito, cotesto farisaiche

condizioni non dovessero formare un tristissimo precedente!

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HO -

pace di condurci gradatamente e con certezza al pa-

reggio dell' entrate e delle spese; sistema che espor-

remo nella seconda parte di questo libro.

CAPITOLO Vlli.

La Codificazione e l'Amministrazione della Giustizia.

Non basta I' unit politica per uno Stato nuovo, ci

abbisogna eziandio l'unit de'codici e dell'amministra-

zione giudiziaria. Se la mancanza di una legislazione

uniforme apr il varco alla perdita delle nazionalit,

con miglior ragione non si pu dire unita una nazione

senza l' uniformit delle leggi assicuratrici della stabi-

lit e pubblicit dei diritti del popolo.

Il Regno italiano sent sin dal principio la neces-

sit di leggi uniformi; ma l'opera era difficile sotto

l'aspetto politico, trattandosi di sostituire un sol codice

a quelli che imperavano negli antichi Stati d'Italia, ove

le tradizioni, gli usi, le costumanze, l'assuetudine, te-

nevan strette con tenacit le popolazioni alle antiche leg-

gi, agli antichi tribunali, agli antichi magistrati. Nobili

e patriottiche memorie si attaccavano a quelle leggi, ed

a quegli ordini di magistrature, intorno alle quali

avevano lavorato i migliori ingegni italiani e qualche

principe di bella fama, come Leopoldo che diede il

nome alle pi utili e civili riforme che mai si videro

in Italia nel secolo passato. Ma siccome le leggi non

sono il frutto di un sol popolo e di una sola et; n

I' opera esclusiva dell' ingegno umano che vi lavora in-

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l17

torno, poich sono gradatamente preparate e suggerite

dal tempo e dai nuovi bisogni delle nazioni, cos le

varie legislazioni degli antichi Stati d Italia rendevano

scientificamente pi facile il computo della codificazione

nel Regno italiano, ove una mente illuminata, un uomo

di forti studi avesse apparecchiata la necessaria riforma

con un sistema complessivo e sintetico, facendo dal-

l'antico rampollare il nuovo conforme ai bisogni del po-

polo , ed ai grandi principii della libert e dell' egua-

glianza di tutti in faccia alla legge. Non fu diversa la

grand'opera di Napoleone I, dopo i disordini della ri-

voluzione. Ei non invent il codice civile; perch chi

credesse inventare in questo genere, dovrebbe dimo-

strare d'avere inventata prima l'umana societ, la quale

non l'opera di jeri, od il frutto di questo o quelr in-

gegno; ma la grand' opera del tempo, ed tanto an-

tica quanto l' apparizione dell' uomo sulla terra. Napo-

leone I non invent i codici, ma rifece tutta quanta la

legislazione francese conforme ai costumi, alle ten-

denze, ai bisogni della Francia. Il popolo francese non

mancava di leggi civili, ma il suo diritto oscillava tra

il diritto romano e le ordinanze, tra gli statuti provin-

ciali e le consuetudini, la qualcosa cagionava confusione

ed instabilit di diritti, disuguaglianze e privilegi. Na-

poleone tenne a guida il diritto romano, soprattutto

nella materia de' contratti ; e il diritto romano modific

in relazione de' costumi nazionali, delle dottrine del

tempo, de' bisogni francesi rispetto all' argomento

della famiglia, alle condizioni del matrimonio, alle suc-

cessioni , all' adozione. Tutto il contesto poi delle leggi

fond sul gran principio dell'eguaglianza, consistente

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ll8

nel volere che tutti gli uomini siano soggetti alle me-

desime leggi, agli stessi tribunali, astretti agli stessi

doveri, puniti con le medesime pene, ricompensati nello

stesso modo. Pi volte erasi tentata in Francia la gran-

ri opera della Codificazione; ma tutte le volte si era

riesciti ad esagerazioni, a vergognose transazioni,

a passionate discussioni, e quindi l opera erasi ab-

bandonata. Ma Napoleone sussidiato dalle dottrine,

dall esperienza e dal consiglio di Portalis, di Camba-

crs, e precipuamente di Tronchet, giunse a stabilire

esattamente il punto nel quale dovevasi fermare tra

l' ordine antico ed il nuovo, e con la possente sua vo-

lont diede non solo alla Francia, ma al mondo incivi-

lito l'opera pi bella e pi stupenda intorno all'ordina-

mento delle societ moderne.

Il codice Napoleone da gran tempo governava una

gran parte d'Italia; ma con quelle modificazioni che

furono introdotte dagli interessi speciali degli Stati che

l'adottarono, e segnatamente dalle influenze che vi

esercitarono il governo assoluto e la Curia Romana.

I mutamenti accaduti nelle relazioni sociali; le mo-

dificazioni e gli svincolamenti della propriet; le tran-

sazioni della vita civile accresciute merc il grande

sviluppo delle facili vie di comunicazione ; i privilegi

delle famiglie aristocratiche abbattuti dalla rivoluzio-

ne; la libert dei culti ammessa e garentila dalle leggi

politiche; il principio d'associazione diffuso e protetto:

il bisogno della pi ampia pubblicit dei diritti ipote-

carii universalmente inteso; la necessit di rendere

pi facile e men costosa l' espropriazione forzata, tutto

ci, salvo i principii, reclamavano un'ampia riforma

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ll'J -

alle migliori leggi civili inperanti in Italia quali sono

quelle che Napoleone I dava al mondo incivilito.

In quanto alle leggi punitive il codice penale sardo

e quello di procedura erano stati estesi a tutto il Regno

italiano, ad eccezione della Toscana. Il codice (libertino

surto sulla soppressione delle barbare costituzioni del

1770, le quali circondavano la morte di accessorii spa-

ventevoli e tenevano in piedi la ruota e le tanaglie in-

focate pei rei di grassazione con omicidio; pene e leggi

immanissime, abolite per altro non prima del 1831 ; il

codice (libertino segn in Piemonte la fine di una legi-

slazione penale improntata di crudelt e di barbarie.

E senza dubbio quel nuovo codice che tenne ad esem-

plare T antico codice del Regno italiano mise in accordo

la legge penale colle nuove leggi civili, si fond

sull'eguaglianza e in certe regole, le quali lasciano

un equa latitudine al prudente arbitrio dei giudici;

proporzion le pene e volle farle servire al pubblico

esempio ed alla emendazione dei rei; ma certe dispo-

sizioni fondate sugli avanzi delle dottrine canoniche

come son quelle che risguardano l'emenda aggiunta

alla condanna ; il sequestro dei beni che accompagna

l'imputazione del crimenlese; la scala delle pene cos

bene ordinata nell ' antico codice penale napolitano, ab-

bandonata nel sardo all' arbitrio del magistrato; le di-

sposizioni intorno al tentativo, alla complicit, alla coo-

perazione nei reati, alla reiterazione, al mandato, alla

prescrizione, ed altre non giustificate eredit di dottrine

Romane non trovano pi riscontro nelle miti dottrine

penali dei tempi nostri ; le quali ispirandosi nella puli-

tezza degli usi, nella bont dei costumi, nelle migliori

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tendenze alla socialit, nei lumi del vero progresso

morale mirano con la temperanza e con la mitezza a

chiarire il trionfo dell' umanit.

I seri inconvenienti delle varie legislazioni im-

peranti in un solo Stato erano avvertiti ogni giorno

dal Parlamento, a misura che si verificavano dei casi

speciali pei quali dovevasi provvedere,1 e tutti invo-

I All'uopo possiamo ricordare le gravi difficolt incontrate dalla

Commissione parlamentare di cui facevamo parte per V abolizione del-

l'arresto personale in materia civile, difficolt che non si poterono

superare nel Parlamento stesso se non col mezzo di una transazione

tra g' interessi delle varie legislazioni che allora sorgevano in aperto

conflitto. La Commissione e la Camera dei Deputati trovavansi a fronte

del Codice delle due Sicilie, del Codice toscano, del Codice estense,

del Codice lombardo, del Codice sardo, del Codice parmense, e

tutti in manifesta contraddizione l' uno dell' altro.

II Codice napoletano ammetteva la facolt dell'arresto perso-

nale per forza di patto raffigurante il nexum della legislazione romana.

Stabiliva poi la perpetuit dell' arresto limitato soltanto dalla grave

et di 70 anni del debitore.

La materia dell'arresto personale nella legislazione Toscana

era quasi intieramente affidata alle mutabili regole della giurispruden-

za. Nel regolamento giudiziario non vi era che la sola prescrizione ri-

guardante la detenzione preventiva come mezzo di sicurt rispetto al

debitore forestiere. La durata dell' arresto era breve s, non oltrepas-

sando un anno come limite estremo, ma l'odioso diritto di albinaggio

serpeggiava quasi in tale disposizione. Non era riconosciuta altra forma

d'arresto personale, tranne la facoltativa abbandonata al giudizio pru-

dente del magistrato. La fidejussione e il pegno per avevano l'effica-

cia di togliere forza alla stessa sentenza del giudice che ordinava

1' arresto.

La legislazione degli ex-Stati Estensi restringeva a pochi casi

l' arresto personale, e ne limitava la durala a sei mesi. Se vi erano

per altre istanze di creditori, la durata poteva estendersi ad un anno.

L'arresto non poteva aver luogo, se non quando la garanzia dei beni

del debitore era insufficiente a pagare il debito, ovvero quando il de-

bitore avea sottratto frodolentemente una parte , o tutti i beni.

La legislazione lombarda provvedeva a pochi casi, ed involgeva

nella barbara prescrizione dell' arresto personale in materia civile non

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\->i

cavano la compilazione di un codice unico per tutto il

Regno; il quale ponesse fine a quel perturbamento dei

rapporti sociali e delle transazioni tra una provincia

e l'altra dello stesso Stato con infinito danno dello svol-

gimento e dell' incremento della pubblica ricchezza.

Il Cassinis e il Miglietti avevano tentato la diffi-

cile impresa di un solo ed unico codice cos per la

solo il debitore principale, ma il fideiussore eziandio e gli eredi. Era

temperata per nella sola durata del carcere che non oltrepassava

V anno.

Il Codice sardo si giov delle riforme francesi del 1832, e sta-

biliva che l'arresto personale non poteva aver luogo che in casi spe-

ciali, oltre quelli notati dalla legge. Ma la legge sarda lasci all'arbi-

trio dei giudici (art. 2108) altri casi possibili, comunque la prescrizione

fosse stata mitigata colla condizione indispensabile di una sentenza di

tribunale.

La miglior legislazione su questa materia era la parmense, la

quale racchiudeva tutti gli elementi di civile progresso a cui sono in-

formati i migliori codici d'Europa. L'arresto personale nel codice

parmense non era imperativo, ma accadeva per ordine di legge e per

sentenza di magistrato. L'arresto personale per convenzione era vie-

tato; vietata l'esecuzione di esso per somma minore di 300 lire; li-

mitata la durata del carcere ad un anno, salvo il caso del debito do-

loso che estendeva la durata della detenzione a cinque anni.

Non era dunque il solo codice napolitano che avea delle pre-

scrizioni non giustificate dal progresso delle scienze giuridiche, dalla

libert personale, e dai bisogni delle transazioni della vita civile; ce

n'erano parecchi altri che volevano esser corretti, modificati, unificati

sopra un solo principio, ed eguali forme e prescrizioni speciali. Oltrac-

ci, tutte le accennate legislazioni ammettevano eccezioni per somme

diverse, per et e per sesso del debitore, ed anche per qualit di per-

sone; eccezioni che ripugnavano all' ugualianza di tutti i cittadini di-

nanzi alla legge. Lo stesso fatto che dava origine all' obbligazione in

Modena e in Lombardia andava soggetto a sei mesi, od al pi un anno

di carcere a danno del debitore. In Piemonte e nelle Romagne a cin-

que anni. In Toscana all' arresto preventivo se il debitore era stranie-

ro; e ad un anno di detenzione dopo la sentenza del magistrato. A

Napoli e Palermo lo stesso fatto dava luogo alla carcere di venti, trenta

o quarant' anni.

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parie penale, che civile ; ma non avevan saputo dipar-

tirsi dai codici sardi, o per soverchia affezione alle loro

cose, ovvero per mancanza di un criterio esalto sulle

condizioni giuridiche delle altre provincie italiane che

gi vantavano codici migliori.

L' uomo che guard in complesso le varie e di-

verse legislazioni italiane , che seppe farsi un concetto

esatto dei bisogni della nazione , ch' ebbe un sistema

completo nel capo prima di metter mano alla riforma

- dei codici italiani fu il Pisanelli. Egli rifece da capo la

legislazione italiana, e present al Parlamento un in-

tiero sistema di codificazione. Riform il codice civile

e la procedura civile; lavor molto intorno alle riforme

del codice penale e della procedura penale; e poi com-

pil una legge sul Notariato, un'altra sull'esercizio

dell'avvocatura, ed una terza legge sulla espropria-

zione per causa di pubblica utilit cotanto reclamata

nel Regno. Apparecchi pure tutti gli elementi neces-

sarii per la formazione di un codice commerciale, e

qual ministro dei Culti, unific tutta la legislazione del

Kegno, potendolo fare per decreti reali in quanto al-

l' exequatur ed al placet. Egli rese possibile il matrimo-

nio agli acattolici nelle provincie meridionali, e facile

la esecuzione della legge di censuazione dei beni eccle-

siastici in Sicilia merc un semplice e chiaro Regola-

mento e col mezzo delle commissioni locali; infine

present alle deliberazioni del Parlamento la legge sul-

l'Asse ecclesiastico fondata su tre grandi principi, po-

litico, giuridico ed economico. Col primo dichiar sop-

presse le corporazioni religiose e i membri che le

appartengono liberi cittadini: col secondo convert

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in -

tulio l'asse ecclesiastico: nel terzo assegn gli avanzi

delle rendite ecclesiastiche alla beneficenza locale.

Nell ' entrare al Ministero il Pisanelli aveva in modo

pi razionale ordinata l' amministrazione della giusti-

zia; ma non pot procedere pi oltre, perch trov

innanzi l'ostacolo della Toscana. All'uopo ci present

una legge al Parlamento per estendere l' organico giu-

diziario alle provincie Toscane, ed un'altra per intro-

durvi il codice penale e la procedura penale.

Dopo la discussione e votazione di tutte siffatte

leggi, il Pisanelli si proponeva di rivedere, modificare

e migliorare lutto l' organico giudiziario nell' interesse

tanto dell'amministrazione della Giustizia, che della Fi-

nanza. All' uopo ei cominci ad allargare la competenza

dei giudici di mandamento, per mettersi nel caso di

abolire i tribunali circondariali, e restringere le Corti di

Appello, e le Corti Supreme. Ma la prima legge da lui

presentata alle deliberazioni del Senato con questo di-

visamente incontr una fiera opposizione nei Senatori

delle antiche provincie ossequiosissimi verso il codice

albertino e l' organico giudiziario del Piemonte. Non

dimeno riform le Corti d'Assisie, e con ci rese pos-

sibile l' amministrazione della giustizia penale in molte

nuove provincie. E questo egli oper senza aggra-

vare la Finanza, anzi vi fece circa tre milioni di ri-

sparmio.

Nella riforma legislativa il Guardasigilli Pisanelli

tenne presente la massima d'Isocrate, cio che deve un

buon principe levare ed annullare gV instituti e le leggi

viziose che sono nei suo Sialo, ed inventarne di buone;

e se non pu ritrovarle da se, imiti quelle che vedr es-

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l24

ser lodate negli altri imperi. ' Ei si giov non solamente

di tutto quello che v' era di buono nelle legislazioni

preesistenti; ma ricorse eziandio alle legislazioni stra-

niere pi lodate; e compilati i nuovi codici, li sotto-

pose alla disamina ed al giudizio di quanti esimii giu-

reconsulti vi sono in Italia, di quanti dotti magistrati

vauta il Regno, e non manc di far tesoro eziandio di

quei lumi che dalle varie provincie italiane converge-

vano al migliore ordinamento, alla miglior ripartizione

delle materie, alle migliori disposizioni speciali dei codici

stessi. N pago si stelte dei soli giudizi dei pi illustri

giureconsulti nazionali; tenne fisso lo sguardo alle disa-

mine e discettazioni eziandio della stampa straniera, dei

pi eminenti professori e scrittori stranieri che parlarono

della nuova codiBcazione italiana. Dopo tutti cotesti espe-

rimenti e giudizi, ei present alle deliberazioni del Par-

lamento i nuovi codici.

Per la parte civile si potr discutere sopra taluni

grandi principii in ordine alla civilt dei tempi, ed alle

tendenze e costumi nazionali ; si potr discettare se vi

debb'essere o no il matrimonio civile; se sia necessa-

ria l'adozione; se la costituzione della famiglia ai tempi

nostri richiede o pur no che la donna sia intieramente

sottoposta all' autorit del marito; se possa o pur no

alienarsi la dote per semplice volont del dotante e

della dotata; se sia utile nel presente svolgimento eco-

nomico l'enfiteusi, ed altre simili questioni; ma in

quanto al contesto di tutto il codice, all'ordine delle

materie, alla bont dei principii, alla chiarezza delle

singole disposizioni scevre delle ambiguit che danno

1 Graz. dell'Ammiri, del Reg., n M.

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occasioni alle liti, le leggi civili compilate dal Pisanelli,

senza tema di errare, oggi quanto di meglio siasi

prodotto in questi ultimi trent'anni in Europa.

Le tradizioni nobilissime delle riforme e del di-

ritto patrio non furon disconosciute nella parte penale.

Le leggi leopoldine e quella del 1838 per la Toscana,

la quale fu quasi intieramente tolta di peso dalle leggi

napolitane; quelle di Napoli, di Parma, di Malta, e le

migliori leggi straniere, non escluso il Codice austriaco

eh' di penalit e procedimento ad un tempo, non fu-

rono disconosciute nella disamina della riformazione

del codice penale e della procedura penale che dalle

antiche provincie estendevansi alle altre del Regno.

Nei nuovi progetti del codice e' della procedura

penale erano notevoli queste due cose: l'abolizione

della pena di morte, e il concetto del sistema peniten-

ziale incarnato nella legge. II Pisanelli giunse a compi-

lare il solo primo libro di entrambi i codici, i quali

furono inviati a tutti i magistrati del Regno per farli

esaminare e giudicare in quella guisa che si era fatto

pei codici civili.

Ma tutte coteste sostanziali riforme di leggi, di

regolamenti, di parziali ordinamenti facevan parte di

un piano generale di pubblica amministrazione discusso

ed approvato in consiglio di ministri e rispondente ai

bisogni dello Stato e della Finanza? Noi possiamo dir

francamente no. Ciascun ministro pi o meno sollecito

faceva da s, e la mala pratica dura tuttora; ciascun

ministro si chiamava responsabile del fatto suo, dei

progetti di legge da lui presentati, delle riforme da lui

pensate ed attuate, e da qui la confusione degl'indi-

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rizzi, la contraddizione delle proposte, la stessa cattiva

scelta del personale superiore delle amministrazioni.

Per la qualcosa in quanto alla parte dell'ammini-

strazione in generale della giustizia poco o nulla si

fatto sinora per renderla veramente meno onerosa al

pubblico Tesoro. Per come speciali miglioramenti di

pura amministrazione non possiamo dimenticare il si-

stema delle statistiche penali e civili introdotte dal Pi-

sanelli, il ristoro della guasta giustizia merc la certezza

e celerit del giudizi, la scelta di un miglior personale

a capo delle Corti d' Appello. Ma ci poco; percioc-

ch niuno pu sdimenticare che durante la rivoluzione,

ed anche dopo, i magistrati non furono scelti, ma re-

clutati; non furono le qualit personali, le doti della

mente, la dottrina, l'attitudine al maestrato che pre-

siedettero alla scelta del personale della magistratura

in talune provincie del Regno, ma le sole qualit poli-

tiche, le sofferenze patite per causa politica, l' esiglio,

la carcere. In altre provincie il personale giudiziario

il medesimo che serv lungamente i caduti governi ; e

nel Piemonte, salvo i magistrati d'ordine superiore,

quelli dei tribunali circondariali e dei mandamenti val-

gono poco o nulla, secondo affermarono gli stessi Se-

natori piemontesi nella discussione della legge per

I' aumento della competenza dei giudici di mandamento.

Una radicale riforma necessaria anche nel personale

giudiziario, e colla pubblicazione dei codici, colla ri-

forma dell organico giudiziario potr compiersi anche

quella dei giudici.

Noi non mancheremo di avvisare in seguito anche al

modo come debba ordinarsi e compiersi cotesta riforma.

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- 127

CAPITOLO IX.

L'ordinamento dell'Amministrazione civile.

Dopo i profondi disordini della rivoluzione del 93;

dopo il fallimento, le imposte forzate, le confische,

gl'imprigionamenti, gli esigli, il patibolo, la Francia

non chiese pi una politica liberale, ma quella della

riparazione. Quindi desider Y ordino nelle Finanze, il

rispetto per le persone e la propriet ; un esercito forte

ed agguerrito, ma non costretto a saccheggiare i paesi

per vivere, infine chiese la sicurezza ed il riposo.

L' amministrazione civile doveva satisfare a tanti pub-

blici bisogni, mentre si trovava collocata tra le tradi-

zioni del passato, l'esagerazioni del presente, e le ne-

cessit dell' avvenire conforme allo spirito della societ

francese. Il passato offriva alla Francia gli Stati pro-

vinciali che si amministravano da s, e godevano piena

libert consentita dal potere regio in quanto agl' inte-

ressi locali. Il presente offriva uno stato di cose che

chiamavasi indipendenza delle provincie e libert dei

Comuni, ma non era in fondo che anarchia dissolvilrice.

L'avvenire si delineava con principii pi sodi, pi ra-

zionali e pi sicuri. La Francia non voleva che la re-

gia autorit pesasse troppo su i destini del paese ; che

le provincie influissero troppo sugl' interessi locali;

ma desiderava invece che i destini della nazione fos-

sero ricondotti alla volont della nazione medesima, e

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gl' interessi della provincia ad una specie di soprain-

tendenza dei Comuni.

Istruiti della rovina che le Comunit avevano ap-

parecchiate a s medesime nella rivoluzione con lo

sperpero delle loro sostanze, gl'ingegni pi eminenti,

gli uomini pi versati nella pubblica amministrazione,

i pi chiari scrittori sostenevano che le ricchezze di

cui le provincie dispongono con l' ordinare le loro spese

non sono altro che una parte della pubblica ricchezza,

e la ricchezza di un paese non deve essere dissipata

abusivamente, n sperperata con grandi spese impro-

duttive. Oltracci, i regolamenti locali che i Comuni

stabiliscono in casa loro risguardanti l'industria, i mer-

cati, le fiere, i balzelli comunali fanno parte integrante

dell'ordinamento sociale, della legislazione generale

del paese, e non debbono esser messi in pieno arbi-

trio dei municipj.

Napoleone I si colloc in mezzo a tutte siffatte

esigenze di un ordine superiore ; consigli il passato e

il presente della Francia, fece tesoro dei consigli dei

dotti per l'avvenire, e con la sua mano sollecita e la

mente creatrice in brevissimo tempo gett le basi di

un'amministrazione civile che in quel tempo appag

tutti i desiderii della nazione.

Ei fece consistere il gran fenomeno dell' unit mo-

derna in questo, cio che l'autorit reale rinunziasse

a fare tutto da s nelle cose di spettanza generale; che

le provincie rinunziassero a fare da s sole in quanto

risguardava gl'interessi locali; che provincie e comuni

invece si compenetrassero a vicenda nei modi pi

vantaggiosi per tutti, e quindi si confondessero in

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429

una potente unit governata dalla comune intelligenza

di tutta quanta la nazione. In forza di questi principii

stabil nel centro dello Stato un capo del potere ese-

cutivo circondato dal consiglio dei pi eminenti cit-

tadini della Francia per i negozi generali: in ogni

spartimento o provincia un capo di amministrazione cir-

condato dal consiglio dei pi notevoli cittadini per le

faccende provinciali; quindi il Prefetto ed il Consiglio

di spartimento : in ogni Comune un Sindaco circondato

dal consiglio comunale. Tutti cotesti consigli per rispon-

dere ai principii fondamentali dell' amministrazione

avrebbero dovuto essere di loro natura elettivi; ma il

giorno seguente alla rivoluzione non era possibile di

ricorrere all' elemento elettivo, quando la Francia aveva

gi un Dittatore e lo plaudiva come ristoratore degli

altari, e riparatore dei mali che la rivoluzione stessa

avea cagionati.

La vigilanza dello Stato sulla estensione delle

spese, dei balzelli, e sulla natura dei regolamenti im-

portava esercitarla, n potevasi delegare senza malle-

veria al potere esecutivo che rappresentava lo Stato.

Napoleone cre il Consiglio di Stato depositario del-

l' esercizio di cotesto potere di vigilanza. In tal guisa

il preventivo dei Comuni e delle provincie, i loro re-

golamenti, i confiilti che insorgevano tra il Comune e

la Provincia, ed ogni altra questione che risguardava

l'industria, i mercati, il commercio locale furon sotto-

posti alla giurisdizione del Consiglio di Stato. Il quale

innalzandosi a consigliatore di prudenza, se trattavasi

di spese comunali, a moderatore nei litigi dei Comuni,

a legislatore infine, se trattavasi di regolamenti muni-

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43

cipali, divent il vero arbitro illuminato, fermo e in-

dipendente della pubblica amministrazione, quantunque

nominato dal potere esecutivo.

Si dir che il sistema amministrativo dato da Na-

poleone I alla Francia fu una dittatura che lo Stato ri-

srv a s in tutti gli affari; si quistioner sulla mag-

giore o minor libert del Comune, sulla maggiore o

minor potest della Provincia, sulla maggiore o minor

dipendenza del Consiglio di Stato ; ma niuno potr dire

che Napoleone non ebbe idee chiare, precise, e frut-

tuose nello stabilire un sistema amministrativo sem-

plice, ordinato e rapido in tutti i suoi movimenti; un

sistema che rispondeva nettamente alla volont, ai bi-

sogni, ai desiderii, ai voti della maggioranza del po-

polo francese.

Neil' ordinamento dell' amministrazione civile del

Regno d'Italia le abbiamo avute noi coteste idee lim-

pide, serene e fruttuose in un ordine diverso di con-

cetti conformi al regime costituzionale, alla libert, al

desiderio del paese? Noi osiamo dubitarne.

Dopo i plebisciti vi furono provincie cbe adotta-

rono la legge provinciale e comunale del 23 ottobre 1859

che il Governo di Torino diede all' antico Regno Sardo,,

ed alla Lombardia; ma nell' adottarla vi recarono pa-

recchie modificazioni nell interesse di speciali Comuni,

ovvero di provincie intiere. Altre provincie, come

quelle di Toscana rimasero con gli antichi ordinamenti

d' amministrazione civile, sicch il potere centrale si

trov in una confusione diffcile ad esprimersi. Era la

federazione amministrativa nell' unit dello Stato; e

F unit politica centrale risultava insufficiente a gui-

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dare le provincia diversamente regolate ed animine

strate.

Bisognava innanzi tutto modificare talune parti

della legge del 1859, ed estenderla a tutte le Provin-

cie dello Stato, riserbando all'avvenire la compilazione

di una legge nuova, discussa dal Pai lamento, e pi

consentanea ai bisogni del paese. Con ci si sarebbe

dato un solo indirizzo all ' amministrazione generale del

Regno; si sarebbero costituite le amministrazioni co-

munali e provinciali sul fondamento di una sola legge;

si sarebbero ordinati gli uffizi del governo centrale con

maggiore prontezza e semplicit; si avrebbe avuto il

tempo a riformarli e migliorarli gradatamente pigliando

consigli dalT esperienza. Se non si poteva fare una

legge nuova; se non era facile ottenere le modifica-

zioni pi radicali alla legge preesistente, era miglior

consiglio estendere quella del 1859 a tulle le provin-

oie, la quale pu dirsi eccellente per la parte spettante

all'amministrazione dei Comuni, e tollerabile rispetto

alla costituzione della provincia.

Il Barone Ricasoli sin dal 22 dicembre del 1861

present al Parlamento talune riforme alla legge del

1859, con le quali propose di togliere alle Deputazioni

provinciali la tutela de Comuni, ed affidarla ai prefetti,

e chiese di porre a carico delle provincie, dichiaran-

dole obbligatorie, le spese delle strode provinciali,

delle scuole d istruzione secondaria, dei locali delle

prefetture, sotto-prefetture, tribunali collegiali di prima

istanza, e del mantenimento dei poveri divenuti folli.

Lunghe e intrigate questioni si levarono negli uf-

fici e poi nella Giunta della Camera dei Deputati sulla

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102

tutela dei Comuni, cio se questa era meglio affidarla

alle Deputazioni provinciali, secondo il disposto della

legge del 1859, ovvero ai prefetti. Non meno animate

furono le discussioni sulle spese obbligatorie della pro-

vincia; ma dopo lungo contendere tra i partegiani del-

l'un sistema e dell'altro, la maggioranza della Giunta

fin coll' approvare in gran parte le proposte del mi-

nistro, e il relatore Boncompagni present il rapporto

nell' 8 marzo del 1862.

Sotto il Ministero Radazzi non si parl pi di legge

comunale e provinciale, n delle proposte del Ricasoli,

n del rapporto del Boncompagni, e l'amministrazione

provinciale e comunale seguit nell' antica confusione

tanto rispetto al governo centrale, che alle attinenze

tra questo e le provincie e i comuni del Regno.

Il ministro Peruzzi ebbe un concetto pi chiaro

della pubblica amministrazione conforme ai desiderii

del paese. Ei port pi radicali riforme alla legge pro-

vinciale e comunale del 1859; propugn la soppres-

sione del contenzioso amministrativo, formul un nuovo

progetto per un Consiglio di Stato italiano, ed accenn

se non altro ad un sistema di pubblica amministrazione

civile, il quale se non era compiuto in tutte le sue

parti facea presentire per il suo compimento nelle

ulteriori riforme che si sarebbero aggruppate intorno

alle prime ch' erano il fondamento del nuovo sistema.

Nel progetto del Peruzzi, i rapporti del Comune

con la provincia erano in tal modo ordinati, che lo

Stato senza nulla detrarre alla sua unit, ed allo scopo

dei fini sociali, poteva liberamente affidare al Comune,

ed alla provincia stessa il maneggio dei proprii affari.

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- !;,;< -

La diminuzione del censo rendeva pi larga la base

elettorale, la quale comprendeva persino i corpi mo-

rali e le donne per via di delegazione di diritti nella

rappresentanza del Comune e della provincia. La ele-

zione del presidente rimessa ai Consigli comunali ed

alle Deputazioni provinciali rendeva pi uniforme e

spedita la loro amministrazione. Le competenze erano

meglio regolate che per l' addietro nel Comune, e in-

tieramente ricostituite ed ampliate nella provincia. Il

Comune diventava autonomo, salvo F ingerenza della

Deputazione provinciale per casi speciali, cio quando

la minoranza del Consiglio comunale e dei contribuenti

rappresentanti il decimo delle contribuzioni dirette pa-

gate al Comune ricorrevano per una migliore riparti-

zione d'oneri, o per altre cause. L'approvazione degli

atti che risguardavano i rapporti degl'interessi tra il

Comune e la Provincia dovevano approvarsi dalla De-

putazione provinciale.

Affidavansi alla provincia le spese e l'amministra-

zione delle scuole secondarie e tecniche, delle strade

provinciali, delle opere necessarie ad arginare i fiumi

e i torrenti, dei regolamenti per la tutela e il taglio

dei boschi, per la conservazione dei monumenti e degli

archivi; infine la nomina e la revoca degl' impiegati

degli uffizi e stabilimenti provinciali. La provincia

aveva intieramente a s il maneggio dei proprii negozi,

salvo i casi di ricorso e certe speciali approvazioni

riservate al Re. L'approvazione degli atti relativi al

patrimonio del Comune era delegata ai prefetti, e cos

pure la tutela della provincia oggi esercitata dal mini-

stro dell' interno. L' azione adunque del Governo non

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si limitava che ad esigere soltanto la pronta e genuina

esecuzione della legge.

Si poteva discutere se le spese dichiarate ob-

bligatorie dovevano accollarsi alle provincie, od allo

Stato, in vista della ineguaglianza delle opere pub-

bliche, delle strade e della istruzione secondaria e

tecnica nelle varie provincie; si poteva discettare se

l'ingerenza della Deputazione provinciale era pi van-

taggiosa di quella del Governo per taluni casi spe-

ciali nei negozi del Comune, soprattutto in affari

risguardanti imposte e contribuenti; ma in quanto alla

costituzione del Comune e della Provincia, al discen-

tramento, alle giurisdizioni dei centri comunitativi la

riforma era ampia e soddisfacente.

Ma anche questa riforma non fu discussa e votata

dal Parlamento, e il sistema amministrativo giacque

qual era disforme e contraddittorio, pieno di difficolt,

ed irto di scogli. Quindi l'ordinamento dei servizi pub-

blici, nella mancanza di una legge uniforme per tutte

le provincie partecip alle ineguaglianze, alle contrad-

dizioni, ai diversi indirizzi delle singole amministra-

zioni provinciali.

Il ministro Ricasoli unificatore deciso e coraggioso

si trov in contraddizione di s stesso, quando tolse

un centro unico e forte, ed un solo indirizzo al mini-

stero dell'interno colla creazione di quattro Direzioni

generali equivalenti a quattro diversi ministeri, e l'uno

indipendente dall' altro per cos dire. N alla mancanza

dell' unit suppliva il consiglio periodico de' Direttori

generali intorno al ministro; perch il consiglio non

discuteva tutti gli affari, ma serviva soltanto ad illu-

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minare il ministro sopra negozi speciali. La mancanza

d'unit cagion naturalmente la cattiva ripartizione

degli affari, e cos fu vista l attribuzione pi delicata

e difficile qual quella dell'alta e segreta polizia divisa

tra il Ministro, il Direttore centrale e il Direttore ge-

nerale di sicurezza pubblica. Lo stesso accadde per

tutte le altre attribuzioni non ben determinate, ed ogni

cosa precipit nella confusione e nel ristagno. E le Pro-

vincie gridavano, senza trovare chi le ascoltasse, co-

munque tutte avvertissero la mano ferma e unificatrice

del ministro.

Il ministro Rattazzi rovesci da cima a fondo l'or-

dinamento del Ricasoli; abol la Direzione generale di

amministrazione, abbatt la Direzione centrale, e rico-

stitu il segretariato generale. La Direzione generale

di sicurezza pubblica e la Direzione generale delle

carceri rimasero in piedi, ma distaccate da tutta quanta

l'amministrazione, interamente isolate. Il Segretario

generale non aveva attinenze coi Direttori generali; i

Direttori generali operavano da se, per modo che la

confusione crebbe a dismisura, e le provincie in un

istante rimasero quasi distaccate dall' azione del go-

verno centrale.

Il ministro Peruzzi distrusse la Direzione generale

di Pubblica Sicurezza; defin i rapporti della Direzione

generale delle carceri col segretariato generale; ordin

con semplicit le attribuzioni delle Direzioni, e schier

sotto lo sguardo del ministro e del segretario generale

tutta quanta l'amministrazione. Ma le soverchie ruote

burocratiche rimasero in piedi ; le inutili complicazioni

ili uffici pei registri e protocolli del ministero, pei regi-

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130 -

stri e protocolli delle Direzioni; per la conservazione

delle lettere anche le pi futili, e per altri servizi non

necessari si accrebbero, e bastarono ad intralciare il

disbrigo degli affari, non ostante la semplicit dell' or-

dinamento superiore nell' amministrazione.

I1 ministro Lanza rovesci tutto il bene che aveva

operato il Peruzzi in cima all' ordine amministrativo;

ritenne il segretariato generale pel solo disbrigo delle

carte ordinarie, e ne cre un altro nel gabinetto suo

particolare per tutte le attribuzioni pi importanti del

ministero. Ordin in modo diverso le Direzioni, e i

mutamenti non sono ancor terminati.

Questo rimescolo continuo, questo mutamento di

segretariati generali, di Direzioni generali, di Divisioni,

di uffizi e di attribuzioni; questa incessante distruzione

e creazione di ordinamenti non solo cost molti milioni

allo Stato, gett la confusione nelle amministrazioni

provinciali, rivel nel governo la mancanza di un

concetto fermo e complessivo di tutta quanta l'ammini-

strazione pubblica; ma ingener il malcontento persino

nelle classi e nelle persone pi atlaccate al presente

ordine di cose.

Possiamo pi seguitare quest' opera ingrata di Pe-

nelope, quest'altalena di vedute incerte e di effimeri

propositi; cotesta imitazione degli ordinamenti stranieri

senza discernimento e senza disanima, questo cieco

empirismo di amministrazioni, questo innalzamento e

disfacimento di edifizi improvvisati senza la certezza

di appagare un solo desiderio del paese, una sola giu-

sta dimanda, un solo interesse? Possiamo mettere a

pi dure prove il gran patriottismo degli Italiani che

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437

aspettarono finora un assetto amministrativo stabile,

economico, giudizioso e conforme ai salutari principii

proclamati dallo statuto fondamentale del Regno, cio

dell'eguaglianza e della libert?

Che ci pensino seriamente Governo e Parlamento.

In quanto a noi crediamo di adempiere al nostro obbligo

di cittadino e di rappresentante del popolo col rivolgere

le nostre cure incessanti, i nostri pensieri, le nostre fa-

tiche a questo arduo e difficile compito di creare

un' amministrazione semplice, rapida e fruttuosa in

Italia, ed all' uopo sottoponiamo alla considerazione dei

sapienti, degli abili amministratori, ed al giudizio di tutti

i nostri concittadini il frutto delle nostre pazienti lucu-

brazioni intorno all'avvenire della pubblica amministra-

zione italiana, dopo una rapida disamina del passato

e del presente indirizzo governativo.

Possa il giorno che va, insegnare a tutti quello

che necessario a farsi nel giorno avvenire in benefi-

zio della patria!

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PARTE SECONDA.

L' AVVENIRE.

CAPITOLO I.

Principi! fondamentali della pubblica Amministrazione.

L' Amministrazione in generale non che il ma-

neggio dei pubblici affari tendenti alla formazione ed

all' impiego dei mezzi governativi diretti a mantenere

I ordine pubblico, ad accrescere le fonti della pubblica

prosperit, a ripartire con eguaglianza le imposte, a

rimuovere gli ostacoli che si oppongono al consegui-

mento dei fini sociali. Per la qualcosa, qualunque ramo

della pubblica amministrazione fondar si debbe sopra

i seguenti elementi:

1 Sul personale, che amministra:

2 Sulla cosa, che si amministra:

3 Su i metodi, coi quali si amministra:

4 Sulla garanzia dello impiego della cosa ammi-

strata.

Sono questi i principii fondamentali d'ogni ammi-

nistrazione, giudiziaria, o civile che sia: finanziera, o

militare: navale, od istruttiva : agricola, o commer-

ciale: di opere pubbliche, o di ordine politico.

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- \m

1 Le qualit necessarie al personale amministra-

tivo riguardano prima l'ingegno e il patrimonio di quelle

cognizioni speciali al ramo dell' amministrazione a cui

si addetto; e poi la probit e la delicatezza che for-

mano l' ornamento e il carattere essenziale dell abile

amministratore. Vi sono rami della pubblica ammini-

strazione che hanno principii e non leggi, saggi e non

ripetizioni di giudizi ; ed perci che si rendono in-

dispensabili all' amministratore le due grandi qualit

della intelligenza e della cognizione delle scienze che

pi risguardano da vicino il benessere sociale.

L'amministrazione ha bisogno eziandio della uni-

formit delle opinioni degli amministratori coi principii

regolatori del governo. Abbiamo detto che v i sono rami

importantissimi della pubblica amministrazione in cui

imperano assai pi i principii che le leggi; e sotto

questo aspetto impossibile di poter governar bene

con principii diversi, e di assettare l'amministrazione

sull' elemento della unit. Il governo non consiste che

nel complesso di quei mezzi morali e materiali che

l'ormano la sua sostanza e la sua forza, la quale non

deriva che dall'unione. Epper, i mezzi governativi

riescono languidi, snervati, impotenti, inefficaci, lad-

dove havvi discrepanza di pensare e contrariet di

opinioni che la generalit dei principii sovente pu

giustificare.

In questi casi l'unit governativa, ed anche l'unit

politica incontra un diverso operare nella persona dei

suoi agenti subalterni, e la diversit delle operazioni

e dei provvedimenti genera sfiducia, dispetto, e mal-

contento nella persona degli amministrati.

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lk)

2 Gli elementi che servono a l'ormare i mezzi

governativi si costituiscono: 1 dell' impiego delle cose

che non appartengono, e non possono appartenere a

nessun privato: 2 delle imposte che pagansi al Go-

verno pel conseguimento dei fini sociali: 3 dei ser-

vigi personali di ciascun membro dell' associazione.

Perch l ' amministratore comprenda, si avvalga,

e faccia servire cotesti mezzi allo scopo che I' ammini-

strazione si propone, ha bisogno di conoscere a parte

a parte le teorie che li risguardano, e le cognizioni che

lo pongono nella felice condizione di saperli usare a

proposito, con opportunit, e con saviezza. S'egli manca

di cotesto conoscenze, i mezzi governativi diventeranno

mezzi distruttori, falliranno al loro scopo principale,

non raggiungeranno la mta che l'amministrazione

sostanzialmente si prefigge.

E per maggior chiarezza del nostro concetto di-

ciamo che le teorie e le cognizioni di cui parliamo ri-

flettono la conoscenza positiva delle leggi imperanti,

del diritto pubblico, del diritto internazionale, della

economia politica, della statistica, dei trattati di com-

mercio e navigazione stipulati con le estere nazioni,

e della storia civile e politica d'Italia. Senza queste

conoscenze, l' amministratore non sar che un semplice

commesso di bur pari a quello di cui parlava il cele-

bre presidente de Thou.

3 I metodi amministrativi qualunque siauo, deb-

bono fondarsi su i seguenti elementi:

1 Sull' equilibrio fra i entrate e le spese pub-

bliche:

2 Sulla ricerca dei mezzi conducenti a questo

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141 -r

scopo , non gi col solo mezzo delle pubbliche gra-

vezze , ma eziandio col migliore e pi economico im-

piego delle pubbliche entrate:

3 Sulla incessante cura di aumentare le spese

produttive, e diminuire le improduttive:

4 Sulla diligenza del riscuotere prontamente e

nel miglior modo possibile le imposte, ed impiegarle

nel miglior modo economico ai pubblici bisogni.

Cotesti vantaggi non si possono conseguire che

colla formazione a tempo utile di un giudizioso bilancio,

e colla sua pi stretta e rigorosa esecuzione. Non al-

trimenti gli uomini di Stato e i grandi amministratori

considerano il bilancio ben formato e meglio eseguito

come la pietra fondamentale di un buon sistema am-

ministrativo.

La necessit dell' equilibrio tra le entrate e le spese

giustificata dalle tristi conseguenze che soglion de-

rivare alle pubbliche amministrazioni, ed allo Stato

dal disquilibrio del bilancio attivo col passivo. Sovente

i servizi pubblici sono arrestati, od incagliati da questo

disquilibrio; lo Stato si aggrava di debiti per supplire

alle deficienze del Tesoro; le imposte crescono a misura

che i debiti aumentano con forti interessi; l'andamento

del pubblico servizio guasto dalle dannose inversioni

dei fondi stabiliti; le opere pubbliche incominciate

rimangono a met di via per mancanza di mezzi op-

portuni, ovvero per violazione d'impegni contralti; le

amministrazioni s'immergono in ruinosi litigi; la buona

fede riceve delle larghe ferite, e la moralit del governo

viene alterata dal discredito che si procura in faccia

alle popolazioni.

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Un abile amministratore deve non solo 6aper va-

lutare con giusti dati il valor presuntivo di ciascun

cespite di rendita pubblica, procurarle il maggior pro-

dotto delle imposte; ma deve saper valutare eziandio

al giusto l ' utilit relativa delle diverse spese. In tal

guisa, egli potr conservare ed accrescere quelle che

recano un vantaggio non equivoco allo Stato, e ridurre

o sopprimere le altre che poco o niun vantaggio pro-

curano alla societ.

Equilibrato il bilancio dell' entrate e delle spese,

rimane l' esecuzione della parte che riflette la riscos-

sione delle imposte, la quale dev'essere fatta con

prontezza e regolarit ai termini fissati dalla legge.

Uno dei pi chiari segni della bont dell' amministra-

zione consiste nella prontezza e regolarit delle riscos-

sioni, e nella sollecitudine dell impiego delle pubbliche

entrate allo scopo a cui furon destinate dalla legge.

4 La principale, migliore e pi solida garanzia

della pubblica amministrazione infine consiste in un

buon sistema di contabilit, il quale poggiar dee su i

seguenti dati:

1 Sul principio di un conto esatto:

2 Sul conto corrente:

3 Sul conto definitivo:

Il conto esatto dee cavarsi dal bilancio dell' entrate

e delle spese, dai verbali di chiusura e di passaggio

di cassa, dai vari registri di somme aggregate e di esiti

aggiunti nel corso dell'esercizio. Senza questi elementi

la liquidazione esatta dei conti si rende impossibile. E

per vero dire, consistendo un conto nel discarico delle

somme che si sono date a riscuotere e pagare tanto

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143 -

moralmente che materialmente ai contabili, ed agli

amministratori, non si pu tale operazione umanamente

eseguire senza i principii e le norme di sopra stabilite.

La contabilit non costituisce una operazione superiore

alle forze umane; bastano il buon senso, il retto me-

todo, la costanza al lavoro, e le conoscenze numeri-

che per venirne a capo.

Son questi i principii regolatori che possono gui-

dare ai pi felici risultamenti nella pratica della pub-

blica amministrazione, allorch sono con fermezza e

disciplina applicati a tutti i pubblici servizi dello Stato.

Fermate le basi dell' edifizio novello che vogliamo

innalzare, ora andremo patitamente discorrendo degli

elementi che reputiamo necessarii all'ordinamento am-

ministrativo italiano che vorremmo fondato sopra unit

di concetto informatore, e con mezzi semplici ed effi-

caci per farlo riescire di pubblica utilit, e per guidarlo

verso la sua suprema mta.

CAPITOLO IL

Ordinamento dell' Amministrazione civile.

Nella civile Europa il pensiero politico e l'ammi-

nistrativo, l'uomo di Stato e il pubblicista si preoccu-

pano altamente della costituzione del Comune e della

provincia, e le teorie si cozzano tra loro in un ordine

superiore, il quale si ramifica in altri concetti che pr-

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144

sentano sotto diverse forme un dualismo di sistemi e

di poteri pei quali non v' ha speranza di concordia e

di pace. La lotta dura da un pezzo, e durer ancora

lungamente; perciocch tra i due termini posti in modo

assoluto si acchiudono dei contrarii che si escludono a

vicenda. L'autonomia assoluta della provincia esclude

l0 Stato: lo Stato assorbente, rende un ente artificiale

la provincia. La federazione amministrativa tra le Pro-

vincie abbatte l' unit dello Stato : l' unit accentratrice

dello Stato annulla la vita della provincia. II municipio

e la provincia diventano i creatori dello Stato, e il go-

verno si muta in repubblica: il governo crea e disf

1l Comune e la provincia, e la repubblica si cangia in

monarchia assoluta. L unico ligame che pu ricongiun-

gere i due termini opposti nelle presenti condizioni

dell'incivilimento la libert onesta e temperata, lon-

tana cos dal precipitare nel!' anarchia, come dal diven-

tar vittima del dispotismo.

Nessun paese del mondo si trova in pi felici

condizioni dell Italia per formare il vero tipo dello

Stato-modello nell'avvenire. Imperciocch alle tradizioni

del municipio libero ed autonomo che lotta colla bar-

barie e colla tirannide paesana e straniera; alla confi-

gurazione geografica ed alla esistenza storica della

provincia, ella accoppia gli elementi pi vivi ed operosi

della libert, la quale permette al primo di svolgersi

liberamente nella sfera dei proprii negozi senza rallen-

tare i ligami che lo stringono alla provincia ed allo

Stato; all' altra di amministrar s stessa e sviluppare

i germi della sua prosperit interna dando una mano

al Comune, e l'altra allo Stato che raffigura l' alta

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145

tutela del potere politico che veglia sulla esecuzione

della legge comune e generale.

Laonde errano di gran lunga coloro che credono di

potere il Comune italiano prosperare con poca o nessuna

libert: errano egualmente quelli che stimano di po-

tersi la provincia restringere od allargare ad arbitrio

del legislatore senza infiniti danni dei cittadini e degli

elementi economici della provincia stessa.

Tra i Comuni che oggi compongono la provincia

italiana vi passano tali vincoli morali ed economici che

non si possono n sciogliere, n allacciare con altri. Se li

tagliate bruscamente, se li spezzate con violenza, create

ad un tempo il malcontento politico e Y anarchia am-

ministrativa. Interrogate le provincie di Avellino, di

Terra di Lavoro, di Molise e di Salerno nel Napolitano

per i Comuni che le furon divelti, onde formare la

provincia di Benevento: interrogate le due provincie di

Ascoli e di Fermo unite a forza nel 1860, e vi risponde-

ranno parole d'angoscia e di sdegno. I Comuni e le pro-

vincie non sonoenti artificiali che la leggepumutare, od

annullare a suo piacimento ; la legge non pu che ordi-

narli e disciplinarli; ma frazionarli, restringerli, od al-

largarli oltre i loro confini geografici e storici sarebbe

opera improvvida e dannosa.

In due soli modi pu ordinarsi l'Italia, o sotto

l'aspetto provinciale, ed allora bisogna conservare le

provincie quali sono, tranne poche e necessarie corre-

zioni di circoscrizione territoriale ;1 o sotto l'aspetto

1 La citt di Livorno, per esempio, Comune e provincia ad un

tempo. impossibile eh' ella possa sopportare tutti gli oneri di una

provincia senza avere una provincia.Bisogna dunque creare una provin-

10

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146

regionale, e gi le circoscrizioni sono fatte dalla natura,

dalla geografia e dalla storia. Il Piemonte, la Liguria,

la Lombardia, la Venezia, l'Emilia, la Toscana, il

Lazio, l'Umbria, il Sannio, la Campania, la Puglia, la

Calabria, la Sicilia e la Sardegna, ecco le regioni, e

come tali nessun legislatore pu mutarle senza offen-

derle. Ma poich il sistema regionale, sebbene pi facile,

fu messo da banda per giusti motivi politici, non si

pu ordinare diversamente l' amministrazione del Re-

gno che col sistema provinciale.

Le modificazioni presentate dal ministro Peruzzi

alla legge provinciale e comunale del 1859 costituendo

il Comune arbitro di s nella cerchia delle sue compe-

tenze, e la provincia amministratrice dei suoi negozi,

possono rendere la legge accettabile nelle presenti

condizioni politiche economiche e civili delle provincie

italiane. I perfezionamenti ulteriori li additer l' espe-

rienza, ed facile il modificare una legge in singole

disposizioni speciali dopo gl'insegnamenti della pratica

applicazione di essa. Quello a cui oggi dee guardarsi

sono i principii fondamentali; e la legge del 1859 con

le modificazioni del Peruzzi che allargano ampiamente

la sfera delle competenze alla provincia, e regolano in

miglior guisa quelle del Comune, a parer nostro, pu

ben rispondere ai bisogni presenti delle provincie ita-

liane.

Havvi la questione delle spese obbligatorie che

per talune provincie torna molto onerosa, siccome

eia livornese col distaccare taluni Comuni e territorii dalle provincie

limitrofe; diversamente bisogna sopprimer Livorno come provincia,

poich ella non affatto una provincia.

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147

quelle che non trovansi a paro delle altre in quanto ad

istruzione secondaria e tecnica , a strade provinciali,

a mezzi industriali ed economici; ma vi supplir il

fondo dei sussidj, i quali dispensati con giustizia e

prudenza potranno venire in aiuto di quelle provincie

che ne avran pi di bisogno. E malagevole di fare

altrimenti, tranne che non si vogliano abbattere i mi-

gliori principii di decentramento amministrativo e fi-

nanziario.

Coloro che ammettono di dover lo Stato fornire i

mezzi materiali a tutte le sfere dell' attivit sociale, e

quindi a tutte le istituzioni che esistono, o che na-

sceranno nell' avvenire nello scopo di raggiungere i fini

razionali dell'umanit, senza avvedersene partecipano

alla scuola dei moderni socialisti, i quali vogliono

concentrata nello Stato l'azione suprema di tutti gl'in-

dirizzi della vita sociale, la cooperazione in tutte le di-

verse funzioni dell'organismo della societ, la potenza

ili fare e disfare gli ordinamenti dello Stato stesso. In

forza di questo strano e retrogrado principio, il quale

ricondurrebbe la societ ai tempi primitivi del suo ordi-

namento , i socialisti moderni vorrebbero fare dello

Stato il finanziere, il contabile e il pagatore generale

della societ; senza intendere che con ci distruggereb-

bero la divisione del lavoro, eh' il dogma della ci-

vilt presente; la divisione dei poteri, ch' il fonda-

mento della libert; la distribuzione della ricchezza

nel suo svolgimento naturale, ch' uno dei cardini prin-

cipali della pubblica economia.

Le istituzioni di qualunque natura allora fioriscono

quando operano, si mantengono, e si amministrano

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- 148

coi proprii mezzi e secondo l'indole loro. Lo Stato non

ha altro diritto rispetto ad esse, che di vegliarle e

coordinarle all' alto scopo che lo Stato medesimo si

propone per conseguire i fini sociali. Quindi lo Stato

rispetto a s stesso non pu avere altra facolt, se non

quella di tassare e riscuotere per la sua esistenza,

per quanto necessario al suo mantenimento, all'alto

esercizio delle sue funzioni, lasciando a ciascuna

sfera di attivit la cura e il pensiero di procurarsi i

mezzi materiali indispensabili alla propria esistenza, al

conseguimento dello scopo per cui esiste, ed allo svol-

gimento delle sue funzioni nell' avvenire.

Applicando cotesti principii al corso pratico degli

affari, indubitato che le spese necessarie si debbono

fare, sia che passino per le mani dello Stato, o della

provincia. In quanto alla persona del contribuente, o

che egli paghi le dieci lire d'imposta alla cassa dello

Stato, od alla cassa provinciale, nell'un caso e nell'al-

tro le dieci lire rimangono sempre le stesse; con que-

sto divario per notevolissimo che nel primo caso le

spese cresceranno, nel secondo scemeranno ed avranno

una maggiore utilit comune pei cittadini. Imperocch

le spese fatte da coloro che sono pi interessati a farle

fruttare, a scemarle, e su i luoghi stessi ove il danaro

si paga e si spende, sono sempre minori e pi profi-

cue di quelle che impiega lo Stato per conseguire lo

stesso scopo che si propone l'amministratore locale. Ma

si dir che la spesa pagata dai cento contribuenti ri-

sulta sempre minore di quella che pagano i dieci, e

sotto l'aspetto dell' associazione delle forze ha conse-

guenze incalcolabili. Il principio esatto, noi non pos-

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l49

siamo sconoscerlo; ma non da un sol lato che biso-

gna guardarlo, soprattutto nella sua applicazione.

L'associazione delle forze raddoppia l'utilit dell' im-

piego delle forze stesse, questo vero; ma non

men vero che raddoppia i desiderii, gl' interessi e le

necessit reali o fittizie che siano nei consociati. E

questo noi lo vediamo verificato in tutti i giorni anche

nelle spese che sono di esclusiva spettanza dello Stato.

Si propone una ferrovia per una provincia; e tosto

sorge il desiderio neh' altra di averne una pi lunga e

pi importante; si decretano le strade nazionali nelle

Provincie napolilane per venti milioni, e tosto sorge la

Sardegna a chiedere lo stesso beneficio, e quindi la

Sicilia, e cos di mano in mano le altre provincie si

fanno a domandare altri benefizi. Per principio di giu-

stizia e di eguaglianza Governo e Parlamento accordano

quello che si chiede, e poscia alla lor volta dimandano

ai contribuenti le spese occorrenti per adempiere agli

obblighi contratti, ed allora si grida alle molte tasse,

alla gravezza delle imposte, al mal governo. Se adun-

que gli affari provinciali hanno principio e fine nella

provincia, se l'azione del governo non si limita che

alla pi scrupolosa esecuzione della legge, sono le Pro-

vincie che debbono curare, imporre, amministrare e pa-

gare le spese della istruzione secondaria e tecnica, delle

strade provinciali, delle opere d' arte per arginare i

fiumi e i torrenti, del taglio dei boschi e della loro tu-

tela, degl'impiegati di tutti gli stabilimenti provinciali,

delle amministrazioni di qualsivoglia ramo che ri-

sguarda i negozi esclusivi della provincia.

Votata la legge provinciale e comunale del 1859

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l50

con le modificazioni del Peruzzi; votata la legge del

Consiglio di Stato, e quella della soppressione del con-

tenzioso amministrativo, il governo ha gi spianata la

via per ordinare nel modo pi facile ed economico T am-

ministrazione civile di tutto quanto il Regno.

Riservata a s lo Stato l'alta sorveglianza sull' ese-

cuzione della legge, e l' alta tutela su i rapporti degli

interessi locali e provinciali coi generali di tutta quanta

la societ ; costituito il Comune e la provincia sul prin-

cipio elettivo, dal quale emanano i poteri deliberativi

ed esecutivi; restituite tutte le proprie giurisdizioni

al Comune ed alla provincia; delegata l'autorit gover-

nativa agli agenti che sono sul luogo, attribuite ai giu-

dici ordinarii le competenze dei giudizi amministrativi,

non hanno pi ragione di esistere i consigli di prefet-

tura e le sotto-prefetture.

Il capo politico ed amministratore della provincia

debb'essere il Prefetto aiutato da un segretario ge-

nerale che in caso d'impedimento o di assenza del

primo ne far le veci, ed ordinariamente soprainten-

der a tutti gli uffizi della prefettura, facendo eziandio

da consultore legale al Prefetto. Le rappresentanze dei

Comuni per quanto risguarda i semplici interessi am-

ministrativi entreranno in relazione immediata colla

prefettura.

Pel servizio di polizia in ogni capo di provincia

vi sar- un Ispettore provinciale ; e in ogni mandamento

un sotto-Ispettore mandamentale, il quale dipender

dall'Ispettore; in quella guisa che lo stesso Ispettore sar

subordinato al Prefetto che il vero capo politico della

provincia. In tal guisa il potere amministrativo e quello

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di polizia avrebbero giurisdizioni separate e indipen-

denti, ma coordinate insieme e subordinate alla suprema

autorit della provincia; la quale non si troverebbe

pi, come al presente, inceppata e spesso non libera

dai suoi stessi dipendenti.

L' arma dei Carabinieri dovrebbe dipendere ezian-

dio dall'autorit politica, al cui scopo principale ella

destinata. Al presente ella procede quasi da s, non

rende conto che dopo l'operato, e, benemerita che sia,

spesso si trova in contraddizione od in opposizione

delle autorit politiche della provincia.

Il ministero dell' interno, da cui tutte le autorit

amministrative e di polizia dipendono, dovrebbe rispon-

dere alla semplicit dell' organismo dei poteri provin-

ciali. L' organamento di tutti i servizi pubblici adunque

potrebbe comporsi cos: il ministro con un gabinetto

particolare, da cui partirebbero tutte le disposizioni

ministeriali: il segretario generale a capo del perso-

nale e colloboratore del ministro in tutti i rami del-

l'amministrazione interna: quattro capi di divisione

con altrettante divisioni nelle quali andrebbero divisi

i servizi pubblici. La prima divisione comprende-

rebbe gli affari dei Comuni, delle provincie, delle

opere pie e della sanit, e si chiamerebbe Divisione

amministrativa. La seconda divisione comprenderebbe

il servizio della polizia, e si chiamerebbe Divisione

della Sicurezza pubblica. La terza divisione comprende-

rebbe il servizio delle carceri, e porterebbe il nome di

Divisione delle carceri. La quarta Divisione si direbbe

degli affari diversi, e comprenderebbe i servizi risguar-

danti gli archivi, la stampa, la pubblicit e le informa-

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152

zioni, il registro e protocollo generale, la biblioteca,

la revisione delle opere sceniche, la contabilit, il ser-

vizio di cassa.

Ogni Divisione si comporrebbe di quattro Sezioni,

secondo l'indole e le qualit pi speciali degli affari,

ed ogni sezione non dovrebbe avere pi di dieci im-

piegati. ConlGO impiegati intelligenti, disciplinati, onesti,

operosi e ben pagati in relazione dei gradi che occu-

pano, si possono sbrigare pi di centomila affari e scri-

vere al di l di trentamila ministeriali e lettere officiali

in un anno.

Il regolamento cos delle prefetture, degli Ispet-

torati e sotto-Ispettorati di Pubblica Sicurezza e dei

Carabinieri, come quello del ministero dovrebbero con

chiarezza e precisione specificare le singole attribuzioni

d' ogni ramo di servizio, di ciascun capo del ramo, dei

capi di divisione, dei capi di sezione, ed anche dei

minori impiegati graduati ; senza di che qualunque or-

ganico romper in faccia agli scogli della confusione

dei poteri e dei servizi pubblici come oggi accade in

tutti i rami.

Per la qualcosa tutte le diverse amministrazioni

che risguardano l'unico obbietto della sanit, ora divise

tra il ministero dell'Interno, quello della Marina e l'al-

tro di Agricoltura e Commercio dovrebbero far parte

di un solo ramo sottoposto all' amministrazione interna.

I carabinieri non lasceranno di far parte dell'eser-

cito; ma appena saranno distaccati e addetti al servi-

zio interno dovranno dipendere dall' autorit politica, e

non pi dall' autorit militare. I carabinieri distaccati

saranno pagati dal bilancio dell' interno. Quando il loro

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servizio non soddisfacente, il Prefetto avr la facolt di

rinviare al corpo quei Carabinieri che non adempiranno

al loro uffzio.

L'intiero ramo delle carceri deve dipendere dal

ministro dell' Interno; per conseguenza l'amministra-

zione dei bagni ora dipendenti dal ministro della Marina

deve fondersi nell' altra sottoposta al ramo interno.

L'ufficio della stampa comprender non solo la

compilazione del Giornale ufficiale, del calendario ge-

nerale, ma eziandio la pubblicazione delle leggi e de-

creti ora aggregata al ministero di Grazia e Giustizia ; e

cos pure tutti gli altri affari che hanno diretta atti-

nenza coll' ufficio della stampa al presente divisi tra

parecchi ministeri.

A compimento del nuovo sistema d'amministra-

zione civile sorger il Consiglio di Stato, il quale non

avr pi giurisdizione contenziosa, ma sar un corpo

consultivo di grande autorit per ilpotereesecutivo.ll

governo non solo trarr validi soccorsi dai lumi del

Consiglio di Stato per la compilazione dei progetti di

legge e dei regolamenti, ma eziandio nella risoluzione

dei pi gravi negozi. Oltracci, abolito il contenzioso

amministrativo, al potere centrale faranno capo tutti i

ricorsi delle autorit subalterne, ed il Consiglio di Stato

potr dare le norme pi rette nella decisione di tali

ricorsi, procurando di conservare quelle pratiche

amministrative che valgono a mantenere fermi i mi-

gliori principii di pubblica economia e di diritto pub-

blico interno.

Con la costituzione del Consiglio di Stato italiano

cesserebbero l'attuale Consiglio di Stato piemontese,

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il Consiglio amministrativo di Napoli, il Consiglio di

Stato della Toscana, la commissione dei presidenti di

Palermo, il tribunale del contenzioso amministrativo di

Parma, parecchie commissioni temporanee pel disbrigo

d'affari arretrati, e con essi la spesa di 800,000 lire

annue. Dovrebbero cessare pure il Consiglio del con-

tenzioso diplomatico, il Consiglio superiore di sanit, il

Consiglio delle carceri, la giunta consultiva di statistica,

la giunta direttrice dell' insegnamento tecnico seconda-

rio, il Consiglio superiore di pubblica istruzione, il

Consiglio superiore dei lavori pubblici, il Consiglio delle

miniere.

Cotesti uffici consultivi potrebbero far parte del

Consiglio di Stato diviso in sette sezioni, cio dell'In-

terno della Finanza di Grazia Giustizia e dei

Culti de Lavori pubblici dell' Istruzione Pubblica

degli Affari esteri. Se gli attuali Consigli Giunte

consultive collocate a fianco di ciascun ministro non

cessano, il Consiglio di Stato diventa ben poca cosa, e

diremmo quasi una spesa soverchia. O giunte con-

sultive speciali, o Consiglio di Stato; da qui non si

esce, se si vuole un tutto omogeneo rispondente ad

un' amministrazione pi razionale e pi fruttuosa.

Noi formoliamo principii, semplici indirizzi di am-

ministrazione sollecita, operosa ed economica, e per

non ci arrestiamo a far piante organiche e regolamenti.

Questi non sono che conseguenze dei principii stabiliti,

e ci vuol poco a distenderli quando si sono accettati i

principii. Quello che vogliamo constatare soltanto si

questo, che col nostro sistema l' amministrazione ci-

vile diventa semplice, facile ed economica; le ruote

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-l55

della Diacchina governativa si rendono pi spedite ;1

la divisione dei poteri rimane distinta e circoscritta nei

suoi limiti naturali ; il decentramento amministrativo

scaturisce da s come legittima conseguenza delle pre-

messe. Col nostro sistema spariscono i Questori,

gl'Ispettori di questura e di sezione, i Delegati di go-

verno, i Delegati centrali, circondariali, mandamentali:

i consiglieri di Prefettura, i consiglieri aggiunti, i

sotto-prefetti, gl' impiegati delle sotto-prefetture, le

guardie di pubblica sicurezza. Col nostro sistema spa-

riscono le numerose giunte e consigli consultivi ora

vigenti, si fondano i diversi servizi di una stessa na-

tura in un sol ramo di pubblico servizio, e si rispar-

miano alla Finanza pel solo ramo dell' amministrazione

civile interna circa venti milioni sul bilancio ordinario,8

oltre a talune spese di non minor considerazione di cui

si sgravano i bilanci passivi degli altri ministeri per la

sola organizzazione dell' amministrazione del ramo in-

terno.

1 Chi voglia osservare la complicazione della presente ammini-

strazione per la sola corrispondenza ufficiale, le infinite ruote che arre-

stano il corso degli affari anche contro la pi energica volont dei

Prefetti, del Segretario generale, del Ministero dell' Interno e del Mini-

stro, legga l' eccellente scritto di Biagio Miraglia capo di Divisione al

Ministero degli Affari Interni, intitolato c Sull'ordinamento dell'Am-

ministrazione Civile, Torino, 1863. Gli ottimi impiegati come il Mira-

glia, non possono non lamentare i mali della presente amministrazione

desiderosi come sono del bene pubblico, e il Miraglia tanto pi am-

mirevole in quanto parla con la franchezza del libero scrittore, con la

prudenza del pubblico funzionario, con l' affetto di onesto patriota.

8 II bilancio dell' Interno per l'anno 1863 fu approvato nella

somma di lire 71,555,519; e quello del 1864 per 64,014,963; cio

48,629,538 per spese ordinarie; e 15,385,425 per spese straordinarie.

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150

CAPITOLO li.

Ordinamento dell' Amministrazione giudiziaria.

Non havvi istituzione che sia pi necessaria, pi

utile e fruttuosa nelle societ civili che V ordine giudi-

ziario. L'amministrazione della giustizia s'identifica

con lo scopo supremo per cui un governo esiste, ed

per questo che tra le spese pubbliche essenziali la pi

essenziale quella che risguarda l' ordine giudiziario.

In Germania, in Francia, ed anche in Italia si di-

scusse assai tempo fa dai pubblicisti, se non era pi

utile sgravare l' erario nazionale della spesa della ma-

gistratura, ordinando questa in modo da farla cadere

a peso esclusivo dei litiganti e dei rei. Allora il ma-

gistrato non avrebbe pi assegnamento fisso sulla cassa

del Tesoro pubblico, ma sarebbe pagato per vie di pro-

pine o di provvisioni cavate dalle multe inflitte ai rei,

e dalle spese giudiziarie. La progettata riforma urtava

in cento ostacoli di natura diversa; e per i pi chiari

e sperimentati uomini, i pi dotti pubblicisti conchiu-

sero che per avere una magistratura indipendente im-

parziale capace e vantaggiosa all' interesse pubblico

mestieri che sia pagata col pubblico danaro. All' uopo

venne in soccorso della massima stabilita la dottrina

economica, e trov i modi convenienti come obbligare

indirettamente i cittadini a pagare i servizi che loro

rende l' ordine giudiziario; e sotto questo aspetto fu-

ron create e regolate le tasse del registro, del bollo, i

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- 157 -

diritti fiscali, le ammende e le pene pecunarie. Ma se

l'alto principio della giustizia che costituisce la base

della funzione governativa nell'interesse sociale giustifica

le tasse; d'altra banda queste non debbono oltrepas-

sare l'intensit dei servizi che l' ordine de' magistrati

reode alla societ, n il numero dei servizi e la qualit

loro debb' esser soverchiata dalla intensit delle spese

destinate a questo scopo.

La civilt presente che si fonda sopra un cambio di

servizi reciprocamente resi ammette che la giustizia sia a

buon mercato nell' interesse pubblico; ma disdegna

di pagare servizi non prestati, ed anche questo un

gran principio di giustizia. Dal Regno italiano questo

alto principio di giustizia e di economia stato intie-

ramente disconosciuto nel cambio dei servizi, e ci per

correr dietro a precedenti non giustificati n accetti, a

falsi interessi municipali, a cattive regole di ammini-

strazione. Oggi noi abbiamo pi magistrati che affari,

pi stipendii che servizi, pi uomini in toga che magi-

strati, e con ci si procede a ritroso dei pi sani prin-

cipii economici ed amministrativi.

Unificati i codici, unificate le leggi e i regolamenti

disciplinari, unificata la magistratura, ora dobbiamo

pensare ad ordinare il servizio che i magistrati debbono

rendere allo Stato in proporzione degli affari, dei pub-

blici bisogni, dell'interesse stesso della giustizia.

Abbiamo presentemente nel Regno 4 Corti Supre-

me, ed un Tribunale di terza istanza con 78 magistrati:

18 Corti d' appello, oltre le sezioni di Macerata, Perugia,

Modena, e Potenza con 645 magistrati: 142 Tribunali

con 1 455 magistrati: 25 Tribunali di Commercio con

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158

223 magistrati: 1677 giudicature di mandamento con

1677 giudici. Nel totale abbiamo 4078 magistrati, oltre

i segretari, i cancellieri, i cancellieri sostituti, i com-

messi, gli impiegati di cancelleria, i diurnisti. Tutto que-

sto personale, incluso quello del ministero e le spese di

ufficio, costa allo Stato al di l di 21 milioni annui.

Cotesto esercito di magistrati risponde ai veri bi-

sogni della giustizia, al numero degli affari, agli inte-

ressi dei contribuenti, e, statisticamente parlando, alla

popolazione del Regno? Rispondiamo francamente che

il personale giudiziario supera gli affari, incaglia in

luogo di sollecitare il corso della giustizia, intralcia le

competenze, accresce gli oneri dei contribuenti, e pone

sul territorio dello Stato un magistrato per ogni 5000

abitanti.

Dalla statistica giudiziaria appare che vi sono tri-

bunali i quali in un anno non hanno trattato pi di 10

a 20 affari civili, e 15 a 25 cause correzionali; havvi

tribunali che si lamentano di non essersi sviluppato il

movimento degli affari civili, 1 come se il magistrato

fosse un elemento industriale da eccitare la produzione

delle liti; havvi tribunali infine che si consolano degli

ozii beati in cui li colloc l'organico giudiziario. La

penuria degli affari non dipende al certo dalla negli-

genza dei magistrati; ma dalle condizioni economiche

dei luoghi in cui furono istallati i numerosi tribunali, e

dal difetto del numero proporzionato degli abitanti sot-

1 Cosi scrivevano officialmente taluni presidenti di tribunali cir-

condariali delle nuove provincie ai loro rispettivi procuratori generali,

ed anche al Ministero di grazia e giustizia.

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-159 -

toposti alla giurisdizione di ciascun tribunale. Nel Pie-

monte e in Lombardia havvi un tribunale per ogni 124

mila abitanti : nell ' Emilia nelle Marche e nell' Umbria

uno per ogni 170 mila: nella Toscana uno per ogni

139 mila: in Sicilia uno per ogni 138 mila, e cos di

seguito. La statistica non dovrebbe essere un libro

ignoto anche pei ministri di Grazia e Giustizia!

A tutto questo si aggiunge la falsa scala degli sti-

pendii , il grave imbroglio delle categorie, delle classi

per cui la magistratura sembra modellata sul sistema

militare. Se le categorie e le classi giovassero al servi-

zio pubblico, noi le accetteremmo ben volentieri; ma

non cos: le presenti divisioni dell' organico giudi-

ziario offendono la giustizia, generano gelosie e dispetti

nell'ordine giudiziario, ricompensano male i servizi

pubblici, aggravano gli oneri della Finanza. Per quali

ragioni plausibili due magistrati sedenti nella stessa

corte di appello, incaricati dello stesso servizio, e forse

l ' uno pi diligente dell' altro debbono esser retribuiti

diversamente, perch il primo appartiene ad una cate-

goria, e l'altro ad una diversa? Perch il consigliere

di Cassazione deve avere 9000 lire, e il vice-presidente

di corte d'appello 10,000? Perch i consiglieri d' ap-

pello debbono percepire, servendo in egual modo, 7,

6, e 5000 lire secondo le categorie? Perch i presi-

denti e procuratori del Re avendo Io stesso grado e

funzioni debbono percepire 6, 5 e 4000 lire. Perch i

segretarii e cancellieri delle corti di grado inferiore al

consigliere debbono precepire uno stipendio quasi eguale

agli stessi consiglieri di appello, e maggiore del giudice

di Tribunale? Perch il cancelliere di Mandamento

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160 -

pagato meglio del giudice di terza classe? Perch in-

fine il giudice mandamentale di prima categoria deve

percepire uno stipendio maggiore dell' ultimo giudice

di Tribunale?

Non havvi organico giudiziario nel mondo civile

che acchiuda pi strani principii, pi irrazionali grada-

zioni, pi irriverenze verso la dignit del magistrato,

e maggiori oneri a carico della Finanza, del nostro.

Eliminiamo dunque siffatte stranezze, cos grandi

sconvenienze che fanno tanto male al corso della giu-

stizia, alla dignit del magistrato, ed ai contribuenti,

e fermiamo le cose sopra una base stabile, razionale

ed economica.

Cominciamo dal primo fondamento dell' ordine

giudiziario, e cos di mano in mano verremo sino

alla cima della piramide dell' amministrazione della

giustizia.

Giova accrescere la competenza dei giudici di Man-

damento, affidando ad essi per la parte penale il giudizio

di tutti i delitti che non attaccano l'ordine e la morale

pubblica, e degli altri che hanno lievi conseguenze giu-

ridiche. Per la parte civile, oltre alle presenti compe-

tenze, i giudici di Mandamento dovrebbero giudicare

eziandio tutte le cause di divisione ed espropriazione

forzata, il di cui valore sia minore di lire 1500. Chi

sa che la popolazione italiana per otto decimi agricola

comprender tutta l'importanza di queste attribuzioni

concedute ai giudici di Mandamento.

E poich vogliamo tutto concordare ad un fine

unico, ogni cosa rannodare ad un principio direttivo

di amministrazione uniforme nel Regno d'Italia, avendo

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noi soppresso il circondario e con esso le sotto-prefet-

ture; cos vogliamo dal Iato giudiziario soppressi ezian-

dio i Tribunali circondariali. Allargata la competenza

dei giudici di Mandamento facile procedere coraggio-

samente a questa riforma, perciocch disgravati i tri-

bunali della maggior somma degli affari, pu assai

bene farsi da un sol tribunale, quello che al presente

suol farsi da due e da tre. Per la qualcosa in lugo dei

presenti 1 42 tribunali, vogliamo istituirne soli 59, uno

per ogni provincia, dando facolt alla legge organica

di accrescere una o pi camere di collegi giudiziari

in quelle poche provincie, ove il numero degli abitanti

oltrepassa le seicentomila anime. Con ci nel maximum

verrebbero soppressi 83 Tribunali ; nel minimum 70. Il

numero dei magistrati di Tribunale da 1455 sarebbe

ridotto nel maximum a 350.

Stabilendo meglio le circoscrizioni delle Corti d'ap-

pello, noi vogliamo ritenerne soltanto 18, e dividerle in

59 sezioni, collocandone ciascuna in ogni capo di pro-

vincia. Ogni sezione sarebbe composta di 9 magistrati;

cosicch nel totale si avrebbero 531 magistrati d' ap-

pello in luogo di 645 quanti sono al- presente. Ed ove

pur si voglia accrescere qualche sezione di pi in quelle

circoscrizioni che presenteranno un maggior numero

di affari, si avr sempre il guadagno di cento stipendii

di meno di quelli che si pagano al presente con circo-

scrizioni erronee, e con centralit giudiziarie avverse

alla maggiore sollecitudine degli affari, ed alle pi sane

idee di economia.

La corte di Cassazione debb' essere una sola con

due camere per il ramo civile, e due per il ramo pe-

li

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Date. Con soli 32 magistrati si pu fare l'intiero ser-

vizio degli affari giudiziari del Regno. La Corte di

Cassazione debbe istallarsi nella capitale dello Stato. Ove

non si vogliano sopprimere le altre tre Corti di Cassa-

zione , allora bisogna ricorrere ai Tribunali di terza

istanza. Per l una o per l'altra cosa bisogna decidersi,

anzich jnantenere l'assurdo e intralciato sistema pre-

sente di quattro Corti di Cassazione, ed un Tribunale

di terza istanza in un solo Regno. Nell' un modo e nel-

l'altro le competenze saranno assodate, l'unificazione

giudiziaria sar perfetta, le ruote dell'amministrazione

correranno pi spedite, e la Finanza ci guadagner non

poco. Imperocchquattroo cinque tribunali di terza istanza

non avranno bisogno pi di quaranta magistrati, e le

spese occorrenti per essi non eccederebbero le 380,000

lire annue, quanto oggi si spende per una sola Corte di

Cassazione. Adunque, o cinque tribunali di terza istan-

za , od una sola Corte di Cassazione, da qui non si esce,

se si vuole veramente unificare ed organizzare la ma-

gistratura del Regno, e darle ordinamento salutare.

Una volta le leggi commerciali chiamavansi leggi

eccezionali, ed a leggi eccezionali convenivano tri-

bunali eccezionali. Oggi invece la scienza giuridica

e la economica hanno chiarito che la legislazione

commerciale fa parte integrante della Codificazione

di un paese, e per questo i tribunali di Commercio

non hanno pi ragione di esistere. Il diritto comune, i

Tribunali ordinari sono la vera espressione della egua-

glianza dei diritti e dei doveri dei cittadini in faccia

alla legge; e i commercianti non sono, e non possono

stare fuori del diritto comune. Oggid non la legge,

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non la parte giuridica, non l'elemento legale che im-

perano nei Tribunali di Commercio; ma le usanze, le

consuetudini commerciali, e sovente anche l' arbitrio.

Gli affari commerciali perci debbono cadere nel diritto

comune, esser giudicati dai giudici del diritto comune,

e del diritto comune oggi fanno parte i codici di com-

mercio. I Tribunali ordinari avranno per questo anche

la giurisdizione degli affari commerciali.

ll Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti infine

dovrebbe avere cinque divisioni e non pi, oltre al ga-

binetto del ministro. La prima divisione avrebbe il ca-

rico degli Affari civili: la seconda degli Affari penali:

la terza del Personale: la quarta degli Affari diversi,

come archivi, statistiche, contabilit ec. ec: la quinta

dei Culti. Ogni divisione non dovrebbe avere pi di

venti impiegati; sicch con 100 ufficiali di diverso

grado, con dieci altri del gabinetto inclusi il ministro

e il segretario generale, il servizio pubblico dovrebbe

compiersi intieramente rispetto all' amministrazione

centrale.

I vantaggi di questo sistema non pigliato a pre-

stito n dalla Francia o dal Belgio, n dall'Inghilterra

o dalla Germania, ma cavato dai nostri bisogni e dalle

nostre tradizioni italiane sono i seguenti:

1 La giustizia sar resa prontamente, e non pi

si vedr frustrato l' alto scopo della legge nel volere che

al crimine segua il giudizio, ed al giudizio la ripara-

zione del danno, o la riconoscenza del diritto. II lungo

intervallo che passa, soprattutto in affari penali, dalla

consumazione del crimine al giudizio sempre a danno

della giustizia.

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2 La corte di appello potr facilmente avocare a

s la istruzione di un processo, se lo creder giusto,

senza delegare alcun magistrato, ovvero chiamare da

lontani paesi, cio da una provincia all'altra, i testi-

moni , la qual cosa crea un onere per la Finanza, e

rende inutile la sentenza con la quale la Corte avocava

a s la istruzione del processo. I due inconvenienti

saranno evitati eziandio nei casi frequentissimi del pro-

cedimento nei quali la sezione di accusa ordina sul

processo compilato una pi ampia istruzione.

3 La salutare massima della divisione del lavoro

torna utilissima anche all' ordine dei magistrati. Accen-

trare i giudici in un sol luogo non il miglior servizio

che oggi si rende all' amministrazione della giustizia.

Laonde finch in ogni provincia non ci sar una se-

zione di accusa, le Corti d'Assisie non giungeranno

mai a vuotare i carceri del Regno. Moltiplicate pure i

circoli delle Corti d' Assisie, il benefizio sar sempre

lieve, finch in ogni provincia non ci sar una sezione

di accusa ch' quella che esaurisce realmente le pro-

cessure. Col nostro sistema cotesto benefizio intiera-

mente conseguito.

4 Il magistrato delle Corti d'Assisie acquisterebbe

pi dignit, pi tempo per studiare le cose del suo

uffizio rimanendo fermo in una stabile residenza, e

tranne per casi gravi ed eccezionali, non andrebbe pi

di locanda in locanda con certo danno eziandio del

pubblico Erario dal quale gli son pagate le indennit di

viaggio e di permanenza, e non son poche.

5 Al presente le Corti d' appello del Regno sono

suddivise in quarantasei sezioni; ma lungi dal rispon^

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- 165 -

dere al fine che si propone la legge; lungi dall' age-

volare il corso della giustizia, l'intralciano coll'agglo-

merazione dei magistrati e delle sezioni in singole

localit. In Napoli, per citare un solo esmpio, vi sono

76 magistrati di Appello. Col nostro sistema invece la

giustizia sarebbe resa l, dove preme alla legge ed al

popolo che sia fatta, e coll'aggiungere altre tredici od al

pi quindici sezioni si raggiungerebbe il fine principale

della giustizia senza accrescere spese al bilancio.

6 Creando una nuova legge su gli stipendii dei

magistrati, sopprimendo le odiose categorie della legge

del 20 novembre 1859, regolando la paga col grado

del magistrato, stabilendo un identico stipendio pei giu-

dici di Tribunale, pei consiglieri d'Appello, pei consi-

glieri della Corte di Cassazione, pei presidenti, vice-pre-

sidenti, procuratori regii e sostituti dei Tribunali e

delle Corti,1 si render un solenne omaggio al princi-

pio di eguaglianza ed alla giustizia. Dei giudici di Man-

damento se ne formeranno tre classi, secondo l'impor-

tanza delle giudicature e il numero degli affari, e cos

si creer eziandio un largo campo pei' le promozioni,

1 La gradazione degli stipendii dovrebbe esser questa: Presidente

e Procuralor Generale di Cassazione, lire 12,000 per ciascuno: Vice-

presidenti e sostituti Procuratori di Cassazione, 10,000: Consigliere,

9,000. Presidente e Procurator Generale di Corte di Appello, 10,000

per ciascuno: Vice-presidente e sostituto Procurator Generale, 8,000:

Consigliere di Appello, 7,000: Presidente e Procuratore di tribunale

civile, 6,000: Vice-presidente e sostituto Procuratore, 5,000: Giudice,

4,000. Secondo la tabella presente degli stipendii tutto il personale della

Cassazione, di 18 Corti di Appello e 41 sezioni di Corti d'Appello, e

di 59 tribunali composto ciascuno di cinque magistrati, oltre un nu-

mero discreto di consiglieri supplenti per le Corti d'Appello e per i

tribunali civili non costerebbe pi di sei milioni e cinquecento mila lire

annue, q i magistrati sarebbero ben pagati.

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lbO

ed una scala ascendentale per le ricompense, n pi

vedrassi lo scandaloso spettacolo di collocarsi a pre-

sidente o procuratore di un Tribunale chi jeri era

semplice giudice di Mandamento. Le promozioni deb-

bono esser gradate, se vogliono farsi giuste.' In tal

guisa l'ordine gerarchico, le competenze, le giurisdi-

zioni gradate, gli stipendii in ordine alla dignit e al

grado dei magistrati saranno assicurati, e con essi sar

agevolata eziandio la spedita ed esatta amministrazione

della Giustizia ; la qualcosa non certamente un piccolo

benefizio.

7 L'ultimo e pi importante vantaggio che noi scor-

giamo infine nel nostro sistema la seria diminuzione

degli oneri della Finanza; perciocch col nostro si-

stema il bilancio ordinario passivo del ministero di

1 I Giudici di mandamento sarebbero divisi io tre classi: i Giu-

dici di prima classe avrebbero lire 3,000: quelli di seconda, 2,400:

gli altri di terza, 2,000. Creando 300 Giudici di mandamento di prima

classe; 600 di seconda classe; e 777 di terza classe con la tabella de-

gli stipendi da noi stabilita, tutto il personale delle giudicature di man-

damento non verrebbe a costare che 4,894,000 lire. Regolando infine

gli stipendii de'segretarii di Cassazione con 6,000 lire al titolare e

5,000 al sostituto; quelli di Corte d'Appello con 4,000; di tribunale

con 3,000; e dividendo gli altri di mandamento in tre classi, assegnando

al Segretario di prima classe 1,800 lire; a quello di seconda 1,600, e

all'altro di terza 1,300, la spesa dei Segretarii in generale non oltre-

passerebbe la somma di 2,600,000. Il personale adunque dell'ordine

giudiziario dall'ultimo segretario di mandamento sino al Presidente

della Cassazione non verrebbe a costare che soli tredici milioni: vi sa-

rebbe un risparmio di circa sette milioni sul solo personale giudiziario,

e coordinato al risparmio del personale del Ministero, delle spese di

uffizio, delle spese di giustizia criminale, delle indennit e spese di

viaggio dei membri delle Corti di Assisie, della stampa della Raccolta

delle Leggi passata al Ministero dell'Interno, delle spese diverse e co-

muni, il bilancio ordinario passivo del Ministero di Grazia e Giustizia

e dei Culli da 29,4713,504 potr agevolmente ridursi a 20 milioni.

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Grazia e Giustizia e de' Culti da 29 milioni e mezzo

circa ridotto a soli 20; e diminuiti i maggiori as-

segnamenti sotto qualsiasi denominazione nel bilancio

straordinario; scemati gli assegnamenti provvisori e di

aspettativa, l'intiero bilancio di circa 31 milioni potr

ridursi agevolmente a 21 con infinita utilit dell' am-

ministrazione della giustizia e dei contribuenti.

CAPITOLO IV.

Ordinamento dell' amministrazione dell'Istruzione Pubblica.

In fatto di ordinamento della pubblica istruzione,

il Regno italiano ha camminato finora sopra una via

falsa. I ministri di questo ramo non hanno fatto che

modificare e mutare, sfasciare e rattoppare, e cotesti

mutamenti e modificazioni, sfasciamenti e rattoppamenti

sono costati milioni e milioni alla Finanza, senza al-

cuna utilit della pubblica istruzione in s stessa e

della diffusione dei lumi. Tutto ci ha svelato la man-

canza nei ministri di un piano innanzi tempo apparec-

chiato con maturit di giudizio, di un piano attinto

dalle condizioni della istruzione in Italia e dai bisogni

delle popolazioni.

Lo Stato interessato a curare e far progredire

l'istruzione?

S; e per un doppio scopo. Prima per assicurare

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108

pienamente l'attuazione del diritto eh' la sua princi-

pale missione: in secondo luogo per ottenere le menti

e le braccia necessarie al conseguimento del primo

scopo. Al governo dello Stato incombe il dovere di pro-

curare alla societ il maggior bene possibile, e perch

questo dipende in massima parte dalla istruzione ge-

neralmente diffusa , ne segue ch' egli tenuto a

promovere e vegliare la istruzione pubblica. Ma deve

egli farne le spese? Se al governo tocca il pagare,

nessuno avr il diritto di togliere ad esso la facolt

di dirigere, ordinare, indirizzare, disciplinare l'istru-

zione pubblica. Da qui scaturisce l'istruzione uffi-

ciale che inceppa la libert dell'insegnamento, annulla

la libera concorrenza, agguaglia forzatamente le qualit

dell'ingegno che sono di loro natura ineguali, vincola

il maggiore sviluppo delle facolt intellettuali.

Due sono gli alti fini dell' istruzione pubblica: il

primo risguarda la necessit di fare acquistare al po-

polo le attitudini efficaci e i mezzi opportuni per il

lavoro manuale: il secondo per fargli acquistare le atti-

tudini necessarie al lavoro intellettuale, ovvero all'eserci-

zio delle professioni. Da qui le naturali gradazioni della

istruzione in preparatoria, e di perfezionamento. Nell'una

si acchiude la istruzione elementare e la tecnica: nel-

l' altra la letteraria e scientifica. Le prime servono

all'acquisto delle attitudini speciali per l'esercizio delle

arti, de' mestieri e delle industrie diverse: le seconde

per apparecchiarsi allo studio delle scienze , ed alle

professioni speciali. Per l' acquisto di siffatte cognizioni,

chi non vede che ci occorre la pi ampia libert nel-

l' uomo che ha pur bisogno di seguire le proprie indi-

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nazioni, le tendenze del proprio animo, sia nella scelta

dei mestieri e delle professioni, sia in quella degli in-

segnanti? Per la qual cosa, l'istruzione non pu non

esser libera di sua natura, e come tale deve godere

della libera concorrenza e fare le spese a s stessa.

Napoleone I disse un grande errore quando afferm

che non havvi Stato politico stabile senza un corpo in-

segnante con principii fissi. Ed aggiunse: finche non

s'impara dall' infanzia, se si dev' essere repubblicano o

monarchico, religioso od irreligioso, lo Stalo non sar

mai una nazione; ei riposer sopra basi incerte, sar

costantemente esposto ai disordini ed ai mutamenti. Dal

lato scientifico la massima di Napoleone I falsa,

perch la scienza come la fede, ella non s'impone,

ma si inspira con delle buone ragioni. Dal Iato politico

doppiamente falsa, perch l'istruzione con principii

fissi non preserv la Francia dall' avere scrittori ed

uomini che professarono le pi strane dottrine, le pi

grandi utopie, le massime pi sovversive. Dallato eco-

nomico tre volte falsa, perch i vincoli regolamentari

nella pubblica istruzione sono il pi grande inceppa-

mento al lavoro intellettuale, al progresso sociale, al-

l'industria libraria. Dal lato amministrativo accentrai

lumi in singole localit, e rimangono al buio tutte le al-

tre parti dello Stato. Dal lato pratico infine il principio

Napoleonico sulla istruzione pubblica non present mai

un corpo insegnante tutelatore della concordia, della sta-

bilit, della pace pubblica ; perciocch nessuna nazione

in Europa fu esposta a tante rivoluzioni, a tanti muta-

menti dinastici e governativi quanto la Francia. Invece

T Inghilterra che lasci ogni istituzione in bala del suo

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naturale svolgimento, pu vantare uno stato di conti-

nuo progresso, di stabilit, di pace. La Germania per la

libert dell' insegnamento presenta eziandio condizioni

progressive, stabili, pacifiche, e di ampio svolgimento

nelle scienze, nelle lettere, nelle arti e nei mestieri; e cos

tutte le altre nazioni cbe adottarono gli stessi principii

nell' ordinamento libero ed economico delle loro cose.

Ma cotesti principii, cotesti esempi sono applicabili

al Regno italiano? Qui sta la questione.

In Italia vi sono sette decimi della popolazione

che non sanno leggere e scrivere; che non sanno scegliere

l ' esercente che meglio convenga ai loro interessi ; che

non distinguono il ciarlatano dall' uomo pensante; cbe

nqn hanno mezzi come rimunerare convenientemente

esercenti migliori in ogni professione; epper scel-

gono i mediocri in luogo dei buoni appunto perch

non hanno mezzi sufficienti per retribuirli; in Italia infine

lo stato d ignoranza in cui giace la maggioranza del

popolo non permette che sia assolutamente libero l'in-

segnamento, e per questo il governo non pu esentarsi

dal prendervi ingerenza, dal provvedere in parte alle

spese della pubblica istruzione. Quando col progredire

dei lumi e della civilt il popolo italiano sar in grado

di distinguere il ciarlatano dall' uomo pensante, il vero

merito dalle imposture dell'insipiente, ed avr mezzi

come fornire a s slesso la istruzione: quando la morale

pubblica sar affermata in guisa da non permettere che

sia tradita l altrui confidenza e la pubblica buona fede,

allora l'insegnamento libero sar una necessit, dalla

quale non potranno dispensarsi gli stessi accentratori

delle funzioni, delle facolt, delle prerogative e dei di-

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ritti dello Stato. Nelle presenti condizioni per non bi-

sogna obbliare la tendenza progressiva della pubblica

istruzione, e il ministro del ramo dovrebbe tener

sempre dinanzi agli occhi che la missione governativa

in fatto d'istruzione transitoria. Ora necessaria la

tutela dello Stato in quanto ad iniziativa, ad ordina-

mento, a provvedimento di mezzi, a sorveglianza; ma

tutto ci dev'essere coordinato in modo, come se di-

mani il governo dovesse lasciare ai Comuni ed alle Pro-

vincie le cure e la responsabilit dell' inseguamento,

onde non contraddire al suo scopo.

Nessuno avr dimenticato che un tempo le Uni-

versit italiane erano autonome, ciascuna viveva con

ordinamenti particolari, con discipline speciali , ed

a proprie spese. L' autorit politica non aveva alcuna

ingerenza in esse, e gli studi prosperavano, progredi-

vano di giorno in giorno. Dal 1200 al 1500 fu questa

la condizione felicissima delle Universit italiane, e giova

non obliarlo. Dal secolo XV in poi l' autorit politica

volle abusivamente metter le mani nelle Universit ,

1' autorit accademica divenne politica, l'insegnamento

divent governativo, e gli studi andarono gradatamente

declinando, finch le Universit ai tempi nostri di-

ventarono deserte, e quasi inutile ingombro e fonte di

spese per lo Stato.

Non disconosciamo le tradizioni italiane, non ci fac-

ciamo servili imitatori degli ordinamenti stranieri, e dei

peggiori che vi siano; restituiamo alle Universit del

Regno la loro autonomia; lasciamo che si svolgano libera-

mente da s, ed in s stesse. Il governo non pu abolire

Universit celebri e di grandissimo merito storico senza

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pubblica iattura, e senza ingenerare un profondo mal-

contento; e per questo due sono le vie che rimangono

aperte per farle prosperare senza aggravio delle Finanze.

Sia lasciato a s stesse il governo delle Universit ,

siano ad esse restituiti i beni che possedevano gi in-

camerati al Demanio, sian vigilate dal governo, ma non

disciplinate, n regolamentate. Quelle che mancano di

mezzi sufficienti per vivere sian sussidiate con pruden-

za, e i pubblici studi prospereranno in tutta Italia. Ove

ci non si voglia fare, si dichiarino Universit gover-

native parificate quelle di Torino, di Pavia, di Pisa,

di Cagliari, di Palermo, di Bologna, di Napoli, e le al-

tre sian lasciate libere a s stesse, integrandole nei

beni di cui furono private.

Il secondo sistema ci sembra pi consentaneo alle

presenti condizioni degli studi nel Regno, e per questo

ci tenghiam fermi ad esso, siccome quello che promette

maggiori vantaggi. In tal guisa il governo sussidier, vi-

giler, manterr l'ordine nelle altre Universit; ma non ne

avr n la direzione, n l'amministrazione, n l'ob-

bligo delle spese. Il Governo neh' interesse universale

stabilir soltanto le tasse universitarie eguali per tutte,

sia per l'assistenza al corso degli studi, sia pel confe-

rimento dei gradi dottorali. E poich ad esso appartiene

la vigilanza sulle Universit, cos per mezzo del prefetto

della provincia nel cui mbito trovasi la Universit ve-

rificher in ogni anno tutte le pratiche che si terranno

nel conferire i gradi dottorali e il modo col quale la

legge applicata.

Per la qualcosa ponendosi il Governo nella felice

condizione di rendere autonome tutte le Universit del

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Regno in seguito, al presente riterr come governative

lesole Universit di Bologna, Cagliari, Napoli, Palermo,

Pavia, Pisa e Torino. L'istruzione secondaria classica

andr a carico delle provincie ; quindi ristretto il lavoro

e le ingerenze, il ministero della Istruzione pubblica po-

tr ordinarsi nel modo seguente: il ministro; il segre-

tario generale; un ispettore generale; un consultore

legale; un ispettore ; un Direttore Capo di Divisione di

prima classe, uno di seconda; un Capo di Sezione di

prima classe, uno di seconda ; quattro segretari di prima

classe, quattro di seconda; quattro applicati di prima

classe, tre di seconda, tre di terza, tre di quarta, e tre

uscieri.1

I consigli superiori di pubblica Istruzione saranno

lutti aboliti; perciocch saravvi nel Consiglio di Stato una

sezione che assumer il carico di fare tutto quello che

oggi fanno gli stessi consigli. In quanto agli esami per

coloro che aspirano alle cattedre, giudicher una com-

missione eletta in ogni anno dal Corpo insegnante della

Universit per la quale il candidato concorre.

Le Delegazioni straordinarie per l' ordinamento de-

gli studi, i Regi provveditorati, gl'Ispettorati provinciali e

di Circondario per l'istruzione primaria saranno sop-

pressi. I consigli provinciali delegheranno in ogni anno

1 Ministro, lire 20,000 Segretario Generale, 8,000 Ispettore

Generale, 6,000 Consultore legale, 3,000 Ispettore, 4,000 Un

capo di Divisione di prima classe, 6,000 Uno di seconda, 5,000

Un capo di Sezione di prima classe, 4,500 Uno di seconda classe,

4,000 Quattro Segretarii di prima classe, 14,000 Quattro di se-

conda, 12,000 Quattro Applicati di prima classe, 8,800 Tre di

seconda, 5,400 Tre di terza, 4,500 Tre di quarta, 3,600 Tre

Uscieri, 3,600. Totale lire 114,400,

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174

unoopi consiglieri nel perimetro della propria provin-

cia per ispezionare le scuole primarie, i ginnasi, e le

scuole tecniche.

In tal guisa ridotta la spesa dell' amministrazione

centrale a sole lire 1l4,400 ; ridotta quella delle Uni-

versit a 2,238,095 per le sette Universit governative;

messa a carico delle provincie la spesa delle scuole prima-

rie dei Ginnasi e delle scuole tecniche, il bilancio ordinario

passivo del Ministero della Pubblica Istruzione da quin-

dici milioni circa potr ridursi ad ot to. Ed ove i Licei del

Regno saranno unificati al pi presto, e le tasse univer-

sitarie saranno eguagliate, il ministro dell' Istruzione

pubblica potr cavare da questi due soli articoli del bi-

lancio la somma da destinarsi per sussidio delle altre

universit ed instituti di perfezionamento dichiarati non

governativi.

Il fondo del sussidio non dovrebbe eccedere un mi-

lione di lire, e dovrebbe allogarsi nel bilancio straordi-

nario, sostituendosi in parte alle spese degli assegna-

menti di aspettativa, ai maggiori assegnamenti sotto

qualsiasi denominazione, e ad altre spese che possono

facilmente ridursi o sopprimersi. 1

Riformata ed ordinata cos l'amministrazione della

Pubblica Istruzione potr agevolmente e con grande

vantaggio accordarsi alle altre province del Regno quella

libert d' insegnamento di cui oggi sono in possesso

le provincie napoletane. La libera concorrenza tra le

private istituzioni e l'insegnamento governativo se

1 II bilancio ordinario delle spese dell' Istruzione pubblica attual-

mente di U,730,167: lo straordinario di 806,187 lire.

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175

fece la fortuna degli stadi nel Belgio, nella Svizzera,

nella Germania, ed altrove, potr farla eziandio (ra noi.

Giova insistere su questo; perch tale riforma porr il

Governo nel giro di pochi anni nella felice posizione di

abolire il ministero dell' Istruzion Pubblica e con esso

quasi intera la spesa che oggi sopporta pei Licei, per

le Universit, e per ogni altro istituto. La libert

per tutti il migliore elemento economico che vi sia.

CAPITOLO V.

Ordinamento dell' amministrazione de' Lavori Pubblici.

Tulte le opere di costruzione che si fanno per uso

e vantaggio del pubblico, sia con danaro del Comune,

della Provincia, o dello Stato vanno comprese sotto la

denominazione di Lavori Pubblici.

Sono connaturate al fine principale che si propone

lo Stato le opere pubbliche, in guisa da considerarle

come essenziali alla sua costituzione?

In modo assoluto no; ma relativamente vi sono

lavori pubblici che si riattaccano alle primarie funzioni

dello Slato, ed altri che si rannodano alla principale

delle sue missioni consistente nel procurare la maggior

somma possibile di prosperit ai cittadini. E impossi-

bile di concepire una societ civile senza commercio,

senza industria, senza vie di comunicazioni interne,

senza strade ferrate, senza ponti, fari, porti, canali, ed

altre opere di pubblica utilit. Con ci si giustificano le

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176

spese che si fanno a quest' oggetto, e quindi le corri-

spondenti imposte a carico di tutti i cittadini. giusto,

diceva Adamo Smith, che le spese di costruzione e di man-

tenimento di tali opere sian pagate da coloro che ne fanno

uso; come pagano le spese di monetazione coloro che si

servono della moneta. N vale l' obbiettare con Giambat-

tista Say che allora non dovrebbero pagare quelli che

non ne fanno uso; perciocch la massima dello Smith

applicabile all'interno di una nazione, e nella nazione

tutti si giovano delle opere pubbliche, sia che le faccia

lo Stato, la Provincia, od il Comune. La nazione in-

divisibile rispetto al diritto nazionale, al diritto politico,

al diritto comune, agli interessi economici. Di fatto, il

valor di costo delle produzioni si compone di due ele-

menti, cio delle spese di produzione, e delle altre di

trasmissione. Dal produttore al consumatore si forma

una catena di tanti anelli intermedii che servono asso-

lutamente di mezzi necessari per fare che la produzione

arrivi alla sua ultima destinazione, cio al consumo.

In questo caso le spese di trasporto costituiscono la

parte pi importante delle spese di trasmissione, le

quali crescono a misura che mancano le facili vie di

comunicazione, e crescono sino a far diventare non-va-

lori le stesse produzioni; in quella guisa che diminui-

scono a misura che pi rapide ed agevoli sono le vie di

comunicazione, e con ci influiscono sul ribasso dei prez-

zi, sul buon mercato, e vi guadagna ad un tempo il

produttore e il consumatore.

La utilit delle strade per e di altre opere pub-

bliche che facilitano i commerci relativa, avvantag-

giandosi del lor uso assai pi le popolazioni vicine

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-l77

delle lontane, assai pi quelle che le usano immedia-

tamente e continuamente delle altre che ne partecipano

indirettamente; e per sotto questo aspetto non pos-

sono non ripartirsi gli oneri delle spese oltre i vantaggi

speciali per lo Stato tuttoquanto, per la Provincia, e

pel Comune. Per la qualcosa, le opere pubbliche di

vero interesse generale debbono esser tutte a spese

del pubblico Tesoro; quelle d'interesse provinciale a

spese della Provincia ; le altre infine d'interesse comu-

nale a spese del Comune.

Da queste regole immutabili scatur la ripartizione

delle strade rotabili in tre classi, cio in regie o conso-

lari, in provinciali, e in comunali o vicinali; classificando

tra le prime quelle che attraversano il paese da un

punto alr altro col disegno di mettere le provincie in

relazione diretta della capitale e dello straniero: tra

le seconde quelle che traversano la provincia e ne

ricongiungono i punti pi importanti: tra le ultime

quelle che servono a mettere in contatto i Comuni tra

loro, rannodandoli alla provincia, ed alla capitale dello

Stato. Cos, e non altrimenti un sistema compiuto di

strade rotabili suole abbracciare tutti gl' interessi del

paese e tutta quanta l'attivit dei suoi abitatori.

Da qui scaturisce la giustizia del principio con-

servato dalla legge provinciale e comunale riformata

dal Peruzzi, nel porre a carico delle Provincie le spese

delle strade provinciali, e dei Comuni quelle che diconsi

comunali. Ma se le provincie hanno l'onere di costruire

e mantenere le loro strade, necessario che ne abbiano

pure l'indirizzo e 1' amministrazione; quindi l' ufficio

del Genio civile attender al servizio delle strade na-

ia

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ziohali, ma non avr alcuna ingerenza nel servizio delle

strade provinciali.

Oggi l'ufficio del Genio civile un impaccio al-

l' azione amministratrice delle provincie, e spesso diviso

tra gl'interessi provinciali e quelli dello Stato, o tra-

scura gli uni per favorire gli altri, ovvero trasanda i

lavori governativi per andare a genio delle deputazioni

provinciali. Chi vuole un sistema di vero decentramento

non pu non approvare il nostro divisamento.

Il Genio civile ristretto in debite proporzioni avr

il carico d'impiegare l'opera sua nelle strade nazionali,

nei lavori idraulici spettanti allo Stato, nel servizio dei

prti spiagge e fari, e in ogni altra opera pubblica,

la di cui spesa forma un onere del bilancio passivo

nazionale.

Il servizio e la spesa per le arginature dei fiumi

andranno a carico delle provincie, secondo le disposi-

zioni della legge provinciale e comunale.

Il reddito netto delle ferrovie della Gran Brettagna

ascende in media a lire 20,000 per ogni chilometro.

Il capitale impiegato per la costruzione dello stesso

chilometro di ferrovia fu di 417,000 lire ; sicch l' annuo

interesse sul capitale impiegato in strade ferrate frut-

ta 4, 80 0/.

Il reddito netto in media delle ferrovie della Fran-

cia ascende a lire 29,000 per chilometro. Il capitale

impiegato per la costruzione dello stesso chilometro

fu di lire 426,272; onde l' annuo interesse sul capitale

impiegato in strade ferrale frutta 6, 80 /0.

Il reddito netto in media delle ferrovie del Regno

italiano ascende a lire 12,250 per chilometro, poich

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le spese di esercizio assorbono pi del 50 /0. In breve

le nostre ferrovie danno un prodotto netto ch' la met

del prodotto medio delle ferrovie francesi ed inglesi

prese insieme. E se il prodotto delle ferrovie italiane

tale, il valore di esse non pu rappresentare che la

met del valore delle strade ferrate francesi e inglesi,

cio una somma di lire 210,000 per chilometro I no-

stri 900 chilometri adunque di strade ferrate non val-

gono pi di 189,000,000 ; e se il ministro Minghetti le

vend per 200,000,000 ei fece un eccellente affare nel-

1 interesse nazionale. Ed ove il progetto di legge per la

vendita delle stesse ferrovie non fosse approvato dalla

Camera presente, noi propugneremmo sempre per la

vendita di esse, non essendovi peggiore industriale

dello Stato.

In quanto alle ferrovie appartenenti a societ in-

dustriali per le quali il Governo assicurava per 99 anni

un prodotto netto chilometrico rispondente al conve-

nuto interesse, ovvero un massimo prodotto lordo, oltre

il quale non havvi pi dubbio che l'impresa frutti dei

larghi benefizi, noi non possiamo fare altro che racco-

mandare all' amministrazione dei Lavori pubblici la pi

stretta sorveglianza sulle costruzioni e sull' esercizio

di coteste ferrovie, sulla loro contabilit e sulle tariffe dei

trasporti. I presenti commissari regi rispondono male

agl'interessi dello Stato, e per anche questo servizio

anderebbe affidato agl ingegneri del Genio civile, distac-

candone un certo numero dal corpo, e destinandoli al

servizio speciale del regio commissariato per le ferrovie;

Ma in Italia siamo ancora sul bel principio delle

costruzioni ferroviarie, ed all'uopo noi vorremmo che

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-l80

si guardasse seriamente agli oneri crescenti della

finanza in ordine alle garanzie delle strade ferrate,

dalle quali dipende eziandio il cattivo esercizio e il

pessimo servizio commerciale.

La garanzia del prodotto netto dannosa allo Sta-

to; perciocch le societ concessionarie all' ombra di

tale garanzia non hanno alcuno interesse alla riduzione

delle spese di esercizio, ovvero ne esagerano la entit.

Non meno dannosa la garanzia del prodotto lordo;

non ostante che il Governo ponga le mani nella conta-

bilit dei prodotti. Con questo secondo modo di garan-

zia le societ sanno assai bene che sinch non si rag-

giunge il prodotto lordo garentito esse otterranno tanti

maggiori benefizi, per quanto minore sar il prodotto

lordo effettivo. I veri mezzi diretti e indiretti per allon-

tanare o richiamare merci e viaggiatori sulle ferrovie

stanno nelle mani di chi ne fa l'esercizio, ed malage-

vole indurre le societ a fare un servizio esatto quando

questo si oppone ai loro maggiori benefizi. La garanzia

del prodotto lordo si presta a questi inconvenienti, e

ad altri pi seri ancora. Quando la societ non ha in-

teresse di esercitare maggior movimento di quello che

ebbe luogo al principio dell' apertura di una linea, non

ha cura di completare i lavori d'arte, di fornire il ma-

teriale intiero, di provvedere a tutti gli accessori ne-

cessari per un eccellente esercizio stabile. Invece ogni

ritardo nei lavori di compimento, nelle provviste, nei

materiali mobili equivale per essa ad un grosso gua-

dagno in capitale ed interessi, senza rischio di grave

danno, tranne la multa, la quale facilmente con-

donala.

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E noi abbiamo visto non solo rimesse le multe;

ma condonate persino le violazioni di patti importanti,

e ci in vista di politiche considerazioni, di alte con-

venienze, in breve per non far fallire le societ con-

cessionarie, e cagionare crisi industriali, discredito,

e guai economici al paese. Il male sta dunque nei modi

delle garanzie, e noi vogliamo eliminarli per l' avve-

nire. All' uopo il Governo potrebbe sostituire alle ga-

ranzie, speciali e determinate sovvenzioni per tron-

chi e linee e per un numero di anni, senza che queste

scemino per maggiore o minor prodotto lordo, o netto

delle ferrovie. Cos lo Stato saprebbe gli oneri fissi che

si addossa per un dato numero di anni, e non avrebbe

pi bisogno di vegliare sullo stesso esercizio delle fer-

rovie; perciocch sarebbe interesse esclusivo delle so-

ciet di curare il buono andamento dell'esercizio, la

regolarit del servizio e l' aumento del prodotto.

L'ordinamento della telegrafia ben fatto; ma

per renderlo meno oneroso alla Finanza potrebbe sem-

plificarsi assai pi, senza nulla detrarre al pubblico ser-

vizio. Potrebbero agevolmente chiudersi tutti gli uffici

di nessuna importanza politica, i quali fruttano assai

meno della spesa che vi occorre per tenerli in piedi.

Il sistema di scritturazione e di corrispondenza andrebbe

eziandio semplificato, onde ridursi le spese di stampa

e carta. Dovrebbero sopprimersi tutti gli uffici notturni

i quali non spediscono pi di quaranta dispacci in un

anno, oltre la mezzanotte. Da nove bisognerebbe ri-

durre a sei gli uffici compartimentali, allargando il

territorio di questi. La classe dei sorveglianti inutile,

e va abolita.

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- 182

L istituzione delle Poste un bisogno comune e

pubblico. Se la societ consiste in un mutuo scambio

di affetti, di servizi e di cose, egli chiaro che unico

mezzo per recare in atto cotesto scambio sia pei pre-

senti la parola, e pei lontani la scrittura. Sotto l'aspetto

economico poi le relazioni commerciali, le compre, le

vendite, le provvisioni, i cambi, le lettere di cambio,

e quasi tutte le operazioni di commercio non possono

aver luogo che per mezzo di corrispondenze. L'istitu-

zione delle Poste infine diventa un bisogno pubblico

in quanto lo Stato per la sua esistenza e per l'adem-

pimento delle sue funzioni ha un interesse proprio a

mantenere la corrispondenza coi suoi agenti e funzio-

nari.

Rivelata la necessit della istituzione delle Poste

nell'interesse privato e pubblico, ella non pu n dee

considerarsi altrimenti che qual servizio di pubblica

utilit. Invece il Governo italiano sinora ne ha fatto

materia d'imposta, e ben grave, portando la tassa di

una lettera semplice nell interno del Regno sino a venti

centesimi. Non havvi errore pi profondo di questo

sotto l' aspetto teorico e pratico. Imperocch risguar-

dato il servizio di Posta come materia imponibile, con

ci si ha diritto a mutare il pagamento di un servizio

in balzello ingiusto e contrario a tutt' i principii di

finanza e buona economia. Ingiusto, perch manca del

primo requisito di tutte le imposte, cio di una giusta

e regolare ripartizione non potendo proporzionarsi alla

rendita dei contribuenti anche nel modo pi presuntivo

delle imposte indirette. Manca pure del requisito del-

l'eguaglianza, perch obbliga il pi povero a pagare

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- l83

come il pi ricco; n liavvi alcun giusto rapporto tra

l ' uso delle lettere e la rendila dei cittadini ; anzi havvi

una presunzione contraria, cio che il povero sia ob-

bligato a pagare pi del ricco.

La grave tassa delle lettere contraria poi ad

ogni buon principio di pubblica economia; perch se

la prosperit di un paese dipende in gran parte dalia

facilitazione delle comunicazioni, la forte tassa le rende

pi malagevoli e rare. La grave tassa infine non si

accorda neanche colle massime pi ovvie di Finanza,

le quali stabiliscono che i dazi non faccian venir meno

le sorgenti dalle quali pu attingersi una pubblica ren-

dita. L'istituzione delle Poste non pu dunque consi-

derarsi come un mezzo d'imporre tasse ai contribuenti;

ma come un servizio di pubblica utilit. Da ci risulta

che il Governo non pu n dee farvi guadagni; ma

contrabilanciare la spesa con la rendita e pareggiarle.

E poich canone inconcusso della scienza economica

che a misura si diminuisce il prezzo degli oggetti se

ne accresce il consumo e il benefizio ; da qui scaturisce

che la tassa delle lettere quanto pi leggiera tanto

maggiormente accresce l'entrate, dovendosi eziandio

ridurre in ragione dell'aumento delle corrispondenze,

della diffusione della civilt, deH'allargamento dell'in-

dustria del commercio e dell'operosit dei cittadini.

Senza ridurre i prezzi al minimum impossibile che

l'uso del mezzo di trasmissione possa aggrandirsi e

rendersi universale.

La teoria finanziaria splendidamente validata

dalla pratica. Senza andar cercando esempt dai paesi

esteri, ne abbiamo uno bellissimo di una parte

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l84

importatila del Regno. Nell'ex-Reame delle Due Si-

cilie l'entrate effettive delle Poste furono nel 1854

di 856,000 lire nel 1855 di 828,000 nel 1856

di 876,000 nel 1857 di 868,000.

Nel 1858 s'introdussero i francobolli in Napoli, e

si scemarono le tasse delle lettere, ribassando quelle

soltanto dell' interno da venti centesimi a dodici tra una

provincia e l'altra; e ad otto centesimi tra un Comune e

l'altro della stessa provincia, mantenendo ferme le an-

tiche tasse per le lettere e le stampe che venivan dagli

altri Stati italiani e dall' estero. Quali furono i risultati

di cotesto parziale abbassamento di tasse?

Nello stesso anno 1858, data della riforma, i pro-

venti effettivi delle Poste salirono sino a 1,272,000 lire,

quasi il doppio dell' antica entrata. Nel 1859, non

ostante le agitazioni del paese e i rigori del Governo

che violava il segreto delle lettere, le Poste frut-

tarono 1,300,000 lire. L' aumento non solo fu conside-

revole, ma progressivo. Sono false le teorie economi-

che e finanziarie da noi invocate?

Al presente la Finanza sopporta un onere per le

Poste di circa cinque milioni, non raggiungendo F en-

trate la cifra di tredici milioni; mentre le spese ascen-

dono al di l di diciassette. E giusto che la spesa sia

pareggiata all' entrata; ma non coll' aumento della

tassa che si pu raggiungere cotesto scopo, sebbene

colla diminuzione di essa e coi risparmi. In Italia il

movimento delle lettere minimo in comparazione

degli altri Stati, e l'unico mezzo efficace per eccitarlo

promuoverlo ed accrescerlo la tassa non diremo

minima, ma giusta; e tale quella di dieci centesimi

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183

per ogni lettera semplice. In Francia in media si scri-

vono in ogni anno 260 milioni di lettere, in Inghil-

terra 550, mentre nel Regno italiano se ne scrivono

appena 72. In proporzione della Francia se ne dovreb-

bero scrivere almeno 160 milioni, e dell'Inghilterra

350, e per raggiungere questa cifra non havvi altro

mezzo che la tassa lieve.

In quanto all'amministrazione delle Poste poi, bi-

sogna allargare i compartimenti, formandone uno pel

Piemonte e Liguria, uno per la Sardegna, uno per la

Lombardia, uno per l'Emilia, le Marche e l'Umbria, e

cos di seguito per la Toscana, per Napoli, Molise e

Terra di Lavoro, per gli Abruzzi, per le Calabrie,

per le Puglie, per i due Principati e la Basilicata, e

per la Sicilia. I compartimenti non dovrebbero esser

pi di undici. Oltracci dovrebbe ridursi il personale

degli uffici postali nelle citt e Comuni di minore im-

portanza; confidando che le ferrovie meridionali siano

compiute al pi presto per far cessare la spesa gravis-

sima di 7,289,324 che ora si sopporta pel servizio po-

stale e commerciale marittimo.

L'amministrazione centrale dovrebbe comporsi di

tre sole direzioni; la prima dei Lavori Pubblici, com-

prendendo il corpo del Genio civile, i ponti e strade,

le acque : la seconda dei Porli, Spiagge, Fari: la terza

delle Strade Ferrale, dei Telegrafi e delle Poste. Diciamo

delle strade ferrate non come amministrazione di quelle

dello Stato che sono gi vendute; ma come uffizio di

sorveglianza sulle ferrovie di societ private e per in-

carichi di esami di progetti e di concessioni a farsi,

sulle quali dovrebbe chiedersi sempre il parere del

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18C -

consiglio di Stato per la sezione de Lavori Pubblici.

In tal guisa il personale presente potrebbe ridursi a

met, e cos pure le spese.

Con la riduzione del personale dell' amministra-

zione centrale, del Genio civile, dei Telegrafi e delle

Poste; col mettere a carico dei Comuni e delle Pro-

vincie le strade comunali e provinciali, le arginature

dei fiumi, la manutenzione di tutti siffatti lavori e

quella delle fabbriche civili; col semplificare il servi-

zio pubblico in quel modo che da noi si esposto per

lo innanzi, il bilancio ordinario del Ministero dei Lavori

Pubblici da 65 milioni potr ben ridursi a 31.

Il bilancio straordinario allora non si comporr

ohe di tre soli articoli, cio dei lavori pubblici di per-

tinenza dello Stato; dell' onere risultante dalle garan-

zie delle strade ferrate di societ private; e dei sus-

sidii ai comuni ed alle provincie da non oltrepassare

i tre milioni all'anno. In quanto al primo articolo con-

viene fissare anche un limite, oltre il quale il mi-

nistro non potr pi proporre progetti per nuove

spese, e la Camera neppure, sia per iniziativa parla-

mentare, sia per aumento della cifra stabilita nel bilan-

cio, allorch questo verr discusso. Con ci non vogliamo

menomamente scemare od infrenare le alte prerogative

del Parlamento; ma soltanto stabilire certe massime di

ordine, senza le quali non possibile una buona e

regolare amministrazione. Pur troppo si sono verificati

casi in cui la Camera stata pi larga del Governo nel

decretare lavori onerosissimi allo Slato, ed all'uopo

possiamo citare il fatto delle strade nazionali e delle

ferrovie della Sardegna. Per le prime il Ministero chie-

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- 48? -

deva li milioni, e il Parlamento ne accord 24; per

le seconde si approv un progetto che riescir sempre

dannoso all' Erario pubblico sinch la Sardegna non

sar popolata almeno da tre milioni di anime in luogo

di solo mezzo milione.

In quanto alle garanzie delle strade ferrate private,

non bisogna dimenticare che esse accresceranno di anno

in anno gli oneri della Finanza ; e per questo noi vo-

gliamo che sia stabilito di non potersi oltrepassare il

fondo di 10 milioni per lutti i Javori pubblici dello

Stato, e mutare il sistema delle presenti garanzie per

le strade ferrate da concedersi nell avvenire, secondo

avvertimmo innanzi. Prima i lavori necessari indispen-

sabili sotto l'aspetto economico e commerciale, e poi

gli altri di minor considerazione. Senza queste regole

supreme nell'amministrazione dei Lavori Pubblici non

sar possibile ottenere un bilancio slabile in fatto di

spese ordinarie, ed uno di vera utilit pratica per le

spese straordinarie.

CAPITOLO VI.

Ordinamento dell' amministrazione dell' Agricoltura

Industria e Commercio.

Molti han propugnata l'abolizione del Ministero

d' Agricoltura Industria e Commercio, ed a questi voti

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188

ultimamente si associ la maggioranza della Commis-

sione del bilancio. La questione fu pollata dinanzi alla

Camera elettiva, ma non fu n discussa, n sciolta,

rimandando la proposta di abolizione al tempo in cui

si fosse operato un largo decentramento nell'ammini-

strazione generale dello Stato. Ma dalla vetta delle Alpi

volgendo uno sguardo alle terre, alle citt, alle marine

italiane, noi vediamo quasi in tutto il paese l'agricol-

tura in condizioni deplorevoli ; un terzo di tutto quanto

il territorio, incolto e paludoso , non solcato da strade

rotabili, un altro terzo ch' addetto alla produzione

agricola; e poi le propriet vincolate, i possessi non

sicuri, il contadino ignaro dell'arte sua. Vediamo le

industrie gregarie in uno stato selvaggio, il pastore

errante per lande deserte, la produzione delle lane e

dei formaggi scarsa rozza e non chiesta, vinta sempre

dalla concorrenza straniera sullo stesso mercato interno.

Vediamo nelle citt non facili i cambii, non in pregio

l'associazione, non frequenti i mercati, non numerosi

gli affari, i traffichi interni non liberi da ostacoli di di-

versa natura, non sussidiati dai capitali e dal credito.

Vediamo le marine in gran parte deserte di navigli mer-

cantili, i porti non sicuri, le rade melmose, il commercio

d' esportazione ed importazione in minime proporzioni

a fronte non diremo della Francia e dell'Inghilterra,

ma delle potenze secondarie come il Belgio e l' Olanda.

Dinanzi a questo spettacolo affliggente domandiamo

a noi stessi: possibile che un ramo della pubblica

amministrazione esclusivamente addetto a mutare co-

teste dolorose condizioni, ad indirizzare le forze asso-

ciate, ad eccitare l'attivit cittadina con savie leggi

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e con potenti iniziative non valga a nulla, non possa

far nulla, non debba influire a nulla? In uno Stato for-

mato di fresco, composto di provincie in cui per ragioni

naturali, per provvedimenti legislativi e per istituzioni

economiche l'agricoltura l' industria ed il commercio

sono tuttora in condizioni diverse, quanto bene non

pu fare un amministrazione speciale per cotesti rami

che formano le principali sorgenti della pubblica ric-

chezza? Noi non siamo per questo della opinione di

coloro che vogliono abolito il ministero d'Agricoltura

Industria e Commercio, dividendo e incorporando ad altri

ministeri i suoi servizi. Ma d'altronde com' attualmente

costituito il Ministero d' Agricoltura ha poca importan-

za, non ha libert d'azione, e ad ogni passo incontra

ostacoli che vogliono esser rimossi.

I servizi che fanno parte dell' attuale Ministero

d'Agricoltura Industria e Commercio risguardano le

acque, foreste, caccia e pesca: le bonifiche: il riparto

dei beni demaniali: le risaie : la colonizzazione : i pesi

e misure: le zecche: la monetazione: il marchio: le

miniere e cave : l'istruzione agraria e forestale: l'in-

segnamento tecnico: gl' instituti d'incoraggiamento : la

statistica generale: i trattati di commercio e naviga-

zione: i documenti relativi all'Agricoltura, all'Indu-

stria, al Commercio, alla Nautica. Ma questi servizi

non sono ben determinati in s stessi, n compren-

dono gli altri coi quali hanno la pi stretta attinenza,

onde accade che gli affari di una stessa natura incon-

trano ostacoli in ciascun ministero, e per condurli a

porto ci occorrono corrispondenze sopra corrispondenze

tra i vari ministeri, un grande impiego di braccia e

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di tempo, maggiori spese del necessario, l'ammini-

strazione non corre spedita con infinito danno della

cosa pubblica.

Un Ministero d' Agricoltura Industria Commer-

cio, corde lo concepiamo noi, deve comprendere tutti

i servizi che risguardho l'Agricoltura l'Industria e il

Commercio; diversamente meglio sopprimerlo, e la-

sciare l cose nella Confusione delle materie diverse

come accade al presente. D'altra banda il Ministero!

d'Agricoltura deve spogliarsi di quelle attribuzioni che

non sono proprie del suo ramo. Le zecche e la mone-

tazione, per esempio, debbono far parte della finanza,

e giova sperare che siano incorporate ad essa.

In quanto alla parte agricola il Ministero d' Agri-

coltura Industria e Commercio dovrebbe comprendere

le acque, foreste, caccia e pesca : le bonifiche: le ri-

saie: la colonizzazione: la ripartizione dei beni dema-

niali nelle provincie meridionali: le scuole agrarie' e

forestali e quindi tutt i provvedimenti che si riferiscono

alla parte agraria. In quanto all' industria dovrebbe

comprendere le cave e le miniere : la parte statutaria

dlle compagnie e societ industriali: gl' instituti di

credito: le banche: le casse di risparmio e previ-

denza: la cassa dei depositi e prestiti: le societ di

mutuo soccorso: l' insegnamento tecnico superiore:

gl'instituti d'incoraggiamento. In quanto alla parte com-

merciale infine comprender dovrebbe i pesi e misure .

la marina mercantile: i trattati di commercio e navi-

gazione: le camere di commercio: le tariffe doganali:

le tariffe delle ferrovie e dei telegrafi elettrici. L' ufficio

della statistica generale starebbe da s, comunque sot-

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- ito

loposto e incorporato al Ministero. In tal guisa l'am-

ministrazione centrale dell'Agricoltura Industria e Com-

mercio naturalmente si organizzerebbe cos: il Ministro,

il Segretario Generale, una divisione per l'Agricoltura,

una per l'Industria, una pel Commercio, e la direzione

di Statistica generale. Centocinquanta impiegati baste-

rebbero per lutti i servizi, inclusi quelli che verrebbero

dal Ministero della Marina per il ramo marittimo mer-

cantile; dalla Finanza per la cassa di depositi e pre-

stiti; dall' Interno per le casse di risparmio e previ-

denza, e per le societ di mutuo soccorso.

Questo ordinamento di pubblici servizi scaturisce

naturalmente dalle funzioni organiche dell'Agricoltura,

dell Industria e del Commercio; perciocch non si pu

concepire un ministero d'Agricoltura senza avere i

mezzi morali e materiali come eccitare e promuovere

le nuove e pi vantaggiose coltivazioni, il drenaggio,

la irrigazione, la miglior fabbricazione dei vini, l'uso

delle acque che formano una delle grandi sorgenti di

ricchezza dell'Italia: e che pur son tanto trascurate ! Discor-

riamo delle sole cose di cui gi siamo in possesso, senza

tener conto del.' acclimatazione delle piante ed animali

esotici, della coltivazione e del piantamento delle dune,

dell' incanalamento dei grandi fiumi che in ogni anno

inondano le pi fertili campagne del Regno con gra-

vissimo danno dei lavori e delle produzioni agrarie.

Non diciamo che il Governo debba far da s queste

cose, non vogliamo ch'egli abbia alcuna ingerenza in

coteste opere che si debbon lasciare esclusivamente in

potere dell'attivit dei privati ; ma c una parte in cui

il Governo pu e debbe entrare, ed quella dell'ecci-

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lamento per le vie morali, dell'indirizzo per la via dei

lumi in tempo opportuno, della istruzione per mezzo

dell'alto insegnamento tecnico.

Si pu immaginare un ministero che sopraintende

agli affari industriali, senza aver sotto lo sguardo tutti

gl' istituti di credito? E non son tali le banche, le casse

di depositi e prestiti, le casse di risparmio e di previ-

denza? Non potrebbero i fondi di quest' ultime essere

indirizzati a scopi pi fruttuosi nell' interesse della

stessa istituzione benefica, di coloro che se ne avval-

gono col portare i loro risparmi in luogo sicuro e

vantaggioso, e del credito pubblico?

Come si pu concepire infine un ministero del

Commercio senza avere tra le sue attribuzioni quelle

di vegliare e promuovere il commercio di esporta-

zione e l'industria navale; senza poter coordinare i

trattati di commercio con le tariffe doganali; i bisogni

del commercio interno con le tariffe ferroviarie e tele-

grafiche? N vale il dire che in questo caso le con-

cessioni delle ferrovie a societ private e le dogane

dovrebbero appartenere eziandio al ministero d'Agri-

coltura Industria e Commercio; perch i contratti delle

ferrovie sono ben altra cosa delle tariffe pei trasporti

delle merci e dei viaggiatori; e le dogane sono tenute

ad applicare ed eseguire le tariffe, ma non a farle.

Noi vogliamo ordinare i servizi pubblici secondo

le materie speciali, onde evitare la strana confusione

che oggi esiste in tutti i rami dell' amministrazione;

ma non per questo intendiamo accentrarli. Il nostro

sistema invece poggia su la base del pi largo de-

centramento; ed all'uopo stimiamo cosa utile assai

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l'affidare alle camere di commercio gi ordinate in lutto

il Regno la sorveglianza del servizio dei pesi e misure.

Ciascuna Camera assumer il carico e la spesa delle ve-

rifiche in quel modo che creder pi utile, ed in suo be-

nefizio si volgeranno i diritti di verificazione che ora si

riscuotono dal Tesoro pubblico. Gli stessi verificatori no-

minati dalle Camere di commercio sarebbero obbligati a

fare il servizio del marchio degli oggetti di orificeria, e i

diritti spettanti a questo servizio saran devoluti anche

alle Camere di Commercio ed Arti.

La tutela su i boschi e le foreste riservata al Go-

verno non dovrebbe estendersi al di l dei dissodamenti

in luogo a pendo per evitare scoscendimenti e frane,

soprattutto sul corso delle ferrovie e delle strade na-

zionali. In tutt' altro i Comuni potrebbero far da s con

regolamenti di polizia rurale approvati dalle Giunte pro-

vinciali.

La direzione di statistica cosa importantis-

sima per uno Stato che vuol progredire con l' aiuto di

nozioni di fatto, senza le quali non possibile una

buona amministrazione. Assai tempo fa noi indicammo

con quali principii e regole doveva fondarsi un ufficio

centrale di statistica ;1 ora non vogliamo ripetere quello

che dicemmo altrove; ma d'altronde non possiamo

tacere che poco si fatto sinora in questo ramo co-

tanto necessario alla pubblica amministrazione. Vedem-

mo pubblicati grossi volumi e scrittarelli da questo e

quel ministero sul movimento commerciale, sulla pub-

blica istruzione, sulle casse di risparmio, sulla popo-

lazione del Regno; ma di lavori statistici redatti con un

'Dell'ordinamento della Statstica. Napoli, 1857.

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solo intendimento e con ordinamento scientifico non ci

ft dato sinora di vederne affatto. I ministeri non dovreb-

bero che raccogliere le notizie opportune per ciascun

ramo di amministrazione e di affari, e poi inviarle alla

direzione generale di statistica, la qual avrebbe il

computo di correggerle, ordinarle, chiarirle e darle

forma scientifica. Sinora le statistiche governative ci

danno l ' aria d'inventari, e tranne quella del censi-

mento, tutte le altre valgono poco o nulla rispetto al

fine che la statistica si propone. Imperocch colla sem-

plice raccolta delle notizie singolari e sgranate non si

presentano le statistiche inlese e volute dal senso comune,

ma solamente i primi materiali per costruirle; nella

stessa guisa che mostrandomi i mattoni, la calce, la sabbia,

ed i legnami destinati ad una fabbrica, non mi presen-

tate la fabbrica stessa, ma i materiali di lei. 1

Il completo organamento di tutti cotesti servizi

pubblici dev' esser preceduto per da talune riforme

legislative indispensabili tanto all' unificazione delle

leggi, quanto al regolare e spedito andamento della

cosa pubblica. La legge sulla Banca nazionale, per

esempio, e sul regime delle banche in generale; la

legge forestale, e le altre sulle cave e miniere, sulle

societ commerciali, sulla pubblica mediazione, sulla

materia cambiaria, su i noleggi, sull ordinamento de-

gT instituti di credito sono ormai di una grande neces-

sit insieme al codice di commercio. Il Ministro Manna,

da quel chiaro economista e lucido intelletto ch'egli ,

pens a tali riforme, e gradatamente andava apparec-

chiandole; ma fu scoraggiato dalle opposizioni che

'Romagnosi, Ordinamento delta Statistica, quist. l.

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incontr nel Senato per la legge sulla Banca nazionale e

and a rilento nelle altre di non minor considerazione.

Eppure, bisognava bori scoraggiarsi e lottare con pi

pertinacia e sollecitdine, sapendo ognuno che il campo

parlamentare palestra di nobili lotte, d'illustri bat*

taglie, nelle quali spesso avviene che chi cade scon-

fitto il pi valoroso.

Secondo il sistema da noi qui tracciato, aggiun-

gendo al Ministero d'Agricoltura Industria e Commer-

cio la direzione della marina mercantile; concentrando

in un solo ufficio le capitanie di porto e i consolati di

marina; incorporando allo stesso ministero la cassa

di depositi e prestiti, le casse di risparmio e di previ-

denza, il bilancio ordinario dell'amministrazione d'Agri-

coltura Industria e Commercio non potr oltrepassare

i 6,000,000, e lo straordinario 1,000,000 concedendo

per all' industria privata le bonifiche delle provinci

meridionali e toscane, le quali assorbono attualmente

una somma ben rilevante. Per la qualcosa anche coi

nuovi servizi aggiunti il bilancio ordinario e straordi-

nario di questo ministero non sarebbe di gran lunga

superiore a quello approvato per il 1864.

CAPITOLO VI.

Ordinamento dell' amministrazione della Guerra e Marina.

Noi non abbiamo l'onore di appartenere al glo-

rioso esercito italiano, non siamo militari, e la parte

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tecnica interamente estranea ai nostri studi. Ma in

quanto alla parte amministrativa avendo fatto parte

della commissione generale del Bilancio per quattro

anni, nella quale apprendemmo pur qualche cosa dagli

onorevoli generali che vi partecipano; avendo studiato

le organizzazioni militari della Francia, della Prussia,

dell'Austria, e dell'Inghilterra per metterci in grado

di dare anche noi il nostro avviso nella stessa com-

missione del bilancio; cos lasciando da parte i giu-

dizi sulla composizione delle compagnie, dei battaglioni,

dei reggimenti, delle batterie, dei fortilizi, e di quanto

appartiene all'ordinamento tecnico dell'armata, vogliamo

discorrere esclusivamente dell'amministrazione militare.

Seguitando il nostro piano amministrativo gene-

rale , diciamo innanzi tutto che incorporata la direzione

di marina mercantile, le capitarne di porto, e i consolati

di marina al Ministero d' Agricoltura Industria e Com-

mercio; lasciati gli uffici della sanit marittima e i

bagni al Ministero degli affari Interni, il Ministero di

marina non ha pi ragione di esistere. Tolta la com-

plicazione presente nei servizi e giurisdizioni di rami

estranei all'amministrazione della marina, semplificato

il meccanismo amministrativo, non rimane che il solo

ramo della marina militare, il quale per le strette atti-

nenze che ha coll' amministrazione e colle materie di

guerra pu facilmente e con molto profitto incorporarsi

allo stesso Ministero della Guerra. Non si tratterebbe

che di creare una sola direzione per la marina militare,

la quale insieme all'esercito formeranno le salde difese

nazionali e i mezzi coordinati insieme per le ultime

vittorie che dovranno coronare il sublime edilzio del-

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- do: -

l'unit italiana. Con questo divisamente, che ci pare

utile, opportuno e razionale, noi venghiamo a parlare

dell' amministrazione della Guerra e Marina.

Nelle presenti condizioni degli Stati europei il

mantenere un esercito regolare, una truppa stanziale

e un armamento necessit suprema che si riattacca

al sistema delle alleanze, alle relazioni internazionali,

alla infinit delle questioni nazionali non risolute, e in

quanto a noi particolarmente al nuovo edifizio sociale

e politico che innalzammo a prezzo di sangue e di sa-

crifizi nel bel mezzo dell'Europa civile ed armata. Oggi

l' armamento degli Stati rispetto alle relazioni interna-

zionali pu risguardarsi pari alla sanzione delle leggi;

sotto T aspetto economico e finanziario sar una sven-

tura, un fondo di consumazioni improduttive, un fatale

assorbimento delle maggiori risorse delle nazioni; ma

se tutti gli Stati mantengono eserciti regolari, qual

quel popolo che pu farne di meno, qualunque siano

le sue relazioni amichevoli con le altre potenze?

Ma se questa una necessit di primo ordine,

spetta per alla politica il determinare la quantit delle

forze, il numero dei soldati tanto sul piede di pace che

di guerra, la maggiore o minore importanza dell' arma-

mento ; in quella guisa ch' di pertinenza assoluta del

ramo tecnico la formazione delle compagnie, dei bat-

taglioni, dei reggimenti; le specie degli armamenti;

la disamina dei mezzi impiegati per raggiungere lo

scopo che si propone un esercito. E poich spelta

alla Finanza di apparecchiare i mezzi materiali neces-

sari al mantenimento dell' esercito; poich la spesa

delle forze armate considerata come uno dei principali

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bisogni pubblici, e l'uso dei fondi disponibili a questo

oggetto esercita una grande e diretta influenza su i

metodi e i sistemi dell'armamento, cos non pu la

Finanza stessa dispensarsi dal pigliar conoscenza di

tutto ci che risguarda la formazione di un esercito,

l'ordinamento dell'amministrazione militare, la quan-

tit delle forze disponibili in tempo di pace e di guerra.

Sventuratamente sinora i ministri delle finanze del

Regno italiano si sono considerati estranei all' ammi-

nistrazione della Guerra e Marina, e da qui quel cumulo

di spese inconsiderate e superiori alle nostre risorse,

le quali hanno accresciuto i mali delle nostre condi-

zioni finanziarie, senza punto giovare all'aumento della

forza armata, alla organizzazione dell'esercito, ed al

sistema delle fortificazioni interne ed esterne.

In generale un' amministrazione militare non pu

dispensarsi dalle seguenti spese. 1 Del manteni-

mento di un corpo attivo di forze terrestri e maritti-

me. 2 Del vitto, vestito, alloggio, foraggi, equi-

paggi, ed armamenti. 3 del materiale di guerra e

marina nelle debite proporzioni. 4 Delle opere di

fortificazione. 5 Dei campi di esercizio, dei movi-

menti delle truppe e di tutte le operazioni militari ne-

cessarie per acquistare e conservare le attitudini stra-

tegiche e la disciplina. 6 Delle scuole e collegi

militari. 7 Dei lavori scientifici relativi al Genio,

agli studi e carte topografiche, ed agli inslituti mili-

tari.

In relazione dei servizi e delle spese il Ministro

di Guerra e Marina dovrebbe avere, oltre al Ministro

ed al Segretario generale, una Divisione militare con

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un personale di trenta impiegati per la corrispondenza

amministratila : una Divisione economica con trentacinque

impiegati per provvedere a tutti i bisogni dell'armata:

una, Divisione giudiziaria con venti impiegati intesa

agli affari delle commissioni e corti militari: una Di-

visione sanitaria con venticinque impiegati occupata al ser-

vizio degli ospedali dei medici chirurghi e farmacisti, e

delle provigioni relative agli ospedali ed agli infermi:

una Divisione scientifica con trenta impiegati e com-

prender le accademie, le scuole, il genio, l'artiglie-

ria, i lavori topografici, le costruzioni: una Divisione

navale con quarantacinque impiegati intesa al servizio de-

gli affari della marina militare: una Divisione del personale

e della contabilit con trentacinque impiegati incaricata

del movimento personale nell' esercito di terra e di

mare e dei conti dell' amministrazione: una Divisione

delle Leve di terra e di mare con trenta impiegati

incaricata di tutto il servizio delle reclutazioni. Orga-

nizzati bene i servizi, diviso il lavoro per ragion di

materia, specificate le attribuzioni di ciascun ramo mi-

litare,noi tenghiamo per fermo che con dugento cinquanta

buoni impiegati potr farsi l'intiero servizio dell'ammi-

nistrazione centrale della Guerra e Marina.

Ma ci non basta; il problema amministrativo a

sciogliersi sta in questo, nell'avere un esercito pro-

porzionato il di cui mantenimento debba costar poco

nei tempi di pace, ed essere in tal guisa organizzato

da potersi raddoppiare in tempo di guerra. Il risultato

di questo problema consisterebbe in ci, nel risparr

miare al paese in tempo di pace le forze economiche

e finanziarie, e in tempo di guerra trovarsi in grado

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d'avere un numeroso e fiorito esercito pronto ad en-

trare in campagna.

Noi crediamo che ci possa ottenersi colla orga-

nizzazione e colla buona amministrazione militare, cos

per le forze di terra che di mare.

La forza effettiva di un esercito si distingue in

minima pel tempo di pace, in massima pel tempo di

guerra. La base per dell'ordinamento delle forze mi-

litari in tutti gli eserciti sempre la minima, dalla

quale si risale alla massima quando il bisogno di pros-

sima guerra lo richiede. E perch il rapido passaggio

dal minimo delle forze al massimo pu incontrare osta-

coli nel tempo che si opera l'aggrandimento dell'eser-

cito con tutte le forze di cui pu disporre il paese, a

quest'uopo son create le riserve, le quali compongono

uua forza eguale ed anche superiore a quella effettiva

del tempo di pace; una forza addestrata e disciplinata

per uno o due mesi, e quindi rimandata a casa con

l'obbligo di star pronta per un periodo determinato di

anni ad ogni chiamata del Governo.

L'ordinamento dell'esercito italiano non si allon-

tana da queste basi fondamentali ormai comuni agli

eserciti di quasi tutti gli Stati d'Europa che hanno una

forte e tradizionale organizzazione militare. Secondo la

legge del 24 marzo 1854 sul reclutamento, il Regno

italiano in ogni anno suol dare 45,000 reclute di prima

categoria. Ogni classe soggetta al militare servizio

per undici anni, dei quali i primi cinque sono di ser-

vizio effettivo, e gli ultimi sei si passano in congedo

illimitato. Le cinque classi adunque che ultime furono

assoggettate alla Leva sono quelle che compongono

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l'Esercito in tempo di pace; le altre sei vi si aggiun-

gono in tempo di guerra. Da ci scaturisce che in tempo

di pace l'Esercito di 225,000 soldati ; e in tempo di

guerra di 495,000. Ma la cifra effettiva non arriva mai

al completo secondo i termini della legge di recluta-

zione; perciocch dal numero totale delle reclute biso-

gna toglier sempre i soldati che muoiono nell'anno, gli

altri che diventano inabili, i malati, infine gli ascritti

ai Carabinieri reali, od alla fanteria di marina. La vera

forza effettiva del nostro esercito in tempo ordinario

non pi. di 200,000 soldati, e in tempo di guerra

di 400,000. Il nostro esercito sta in eguali condizioni

del francese in quanto a numero (presa a base la Leva

di due reclute per ogni migliaio di anime); poco infe-

riore all'austriaco in tempo di guerra, di gran lunga

minore poi in tempo di pace. 1

L'illustre generale della Rovere, test rapito al-

l'amore degl'Italiani, affermava dinanzi al Parlamento

che la forza effettiva del nostro esercito era di 382,000

soldati, oltre 50,000 di seconda categoria, cio di ri-

serva. Tre mesi indietro noi avevamo adunque una

forza maggiore di quella che dovremmo avere in tempo

di guerra. Eravamo in guerra? Dovevamo farla? La

politica non glielo disse mai, n lo fece presentire alla

Nazione. Armare s; ma l'armamento non deve sco-

starsi dalla legge di reclutazione, n dalle forze eco-

1 L'impero Austriaco di 35 milioni d'abitanti dispone di un eser-

cito di 701,000 soldati in tempo di guerra, e 500,000 in tempo di pace;

ma chi guarda alla grandezza del territorio, alle molte frontiere, alle

numerose fortezze, alla variet delle razze sottoposte al Governo aulico

j,on trover esorbitante la cifra di 500,000 soldati in tempo di pace.

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202

nomiche del paese. Quando il Regno italiano di 22

milioni d'abitanti pu disporre di 400,000 soldati in

tempo di guerra, oltre di centocinquantamila guardie

nazionali mobilizzate; e 200,000 uomini di truppa re-

golare in tempo di pace, non si pu chieder di pi;

tranne che non si vogliano consumare oziosamente

tutte le risorse del paese, e trovarlo esausto poi nei

tempi delle grandi necessit, delle nazionali battaglie,

ed anche degli obblighi inerenti alle pattuite alleanze.

Con ci non vogliamo dire che i quadri dell' esercito

non sian mantenuti i medesimi tanto in tempo di pace

che di guerra, e ci per circostanze particolari alle no-

stre condizioni politiche. Imperocch noi manchiamo al

presente di naturali confini; abbiamo molte provin.cie

a grande distanza dalla frontiera minacciata; havvi sul

confine un potente nemico afforzato da numerose sol-

datesche e formidabili fortezze, e per coteste ragioni

dobbiamo avere non solo una forza attiva sufficiente;

ma i quadri eziandio di tutto I' esercito pronti, istruiti,

disciplinati, forniti di spirito militare, senza di che nei

giorni delle grandi prove potremmo correre il grave

pericolo di non trovare un esercito forte, animoso e

saldo in faccia all' urto dei battaglioni nemici. Stian

pure al completo i quadri, portiamo a 250,000 soldati

l'esercito fn tempo di pace ; con ci staremo saldamente

armati, e non avremo di che temere, perch potremo

contare non sopra una forza regolare di 250,000 uo-

mini nel caso che l'Austria ci attaccasse, ma di 450,000,

e con le 150,000 guardie nazionali mobilizzate potremmo

disporre di un esercito di 600,000 uomini, quasi eguale a

quello dell'impero francese, e poco meno dell'austriaco.

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203

Nel 1804 Napoleone aveva un esercito di 498,000

uomini, e gli costava 246,000,000 di franchi, cio ogni

mille uomini 500,000 franchi.I viveri crebbero di prezzo,

il soldato fu meglio mantenuto, e le spese aumentaro-

no, ma la spesa per 1000 soldati non oltrepass i 600,000

franchi. Nel 1834 I' esercito francese si componeva

di 322,000. uomini, e cost 227,000,000; ma fu la

guerra dell' Algeria e il profondere della nuova dina-

stia che port al di l di 700,000 franchi la spesa per

ogni 1000 soldati. Al solo pontefice costaron sempre

mille uomini dai 735,000 agli 800,000 franchi; ma chi

non sa che le truppe pontificie furono in ogni tempo

oziose sciupatrici ed infamia delle italiane milizie, se-

condo la bella frase di Francesco Guicciardini?

Dopo la britanna, l'amministrazione militare fran-

cese la meno economica di tutte le altre amministra-

zioni dei grandi Stati militari d'Europa, e nondimeno

ella non eccede la spesa di 700,000 franchi per ogni

1000 soldati. La nostra invece per un esercito di 270,000

uomini nel 1862 consum 289,162,383: nel 1863;

259,508,090:nel 1864 poi, non ostante l'aumento

dell' esercito sino a 382,000 uomini, la spesa fu di

247,267,641/ Senza dubbio nella prima formazione di

un esercito numeroso le spese sono maggiori; si richie-

dono grosse somme per l' acquisto del materiale mili-

tare, per le caserme, e per altre spese straordinarie,

imprevedute; ma pur certo che senza idea di disar-

mare, senza punto scemare le forze Io stesso generale

1 Intendiamo parlare sempre della somma totale delle spese, tanto

per il bilancio ordinario che straordinario.

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della Rovere come ministro della Guerra avea portato

nel 1864 un risparmio al bilancio militare di 7,042,328.

Il ministro Petitti ha soppresso i depositi; ha scemato

l'esercito di circa 90,000 soldati, con questa sola di-

minuzione avrebbe dovuto ottenere ut) risparmio al-

meno di cinquanta milioni; invece ne ha ottenuto uno

di trenta; ci significa che vi dev' essere qualche di-

fetto nell' amministrazione militare che cagiona grandi

e ben rilevanti consumi; ci vuol dire che la spesa

minore il soldato, e che non valeva la pena di man-

dare a casa circa 90,000 soldati per avere un risparmio

di soli trenta milioni. Modificare l'ordinamento orga-

nico dell' Amministrazione centrale sar sempre un van-

taggio nell'interesse dell' andamento spedito della stessa

Amministrazione, ma giover assai poco alla Finanza.

in quella vece le importanti economie capaci di ridurre

le spese da dugentoquaranta milioni ai centocinquanta

si possono e debbono cavare da intelligenti e solleciti

amministratori, dagli articoli delle sussistenze, del ve-

stiario, del casermaggio, degli ospedali, delle ispezio-

ni, dei comandi generali, della giustizia militare, dei

trasporti. Le forniture e gli appalti fatti con giudizio e

in tempo opportuno potranno dare risultamenti assai

considerevoli. E se a tutto questo che risguarda la sem-

plice amministrazione vi si unir la parte tecnica con

eguali intendimenti di risparmio, non dubitiamo che si

possa tenere un esercito anche al di l di 250,000 uo-

mini con un bilancio complessivo di 150 milioni tra spese

ordinarie e straordinarie, cio 140 milioni per l' ordina-

rio e 10 per lo straordinario.

Il ministro della Marina generale Cugia present

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nel bilancio del 1864 una riduzione di spese ordinarie

e straordinarie per 14,285,^79, senza disarmare un sol

naviglio. Incorporato il Ministero di Marina alla Guerra,

ridotte le spese ai soli servizi militari marittimi, al pro-

gressivo miglioramento della flotta, dei cantieri e degli

arsenali, all' istruzione navale ; e insinuato lo spirito di

saggia economia nell'amministrazione, il bilancio spet-

tante alla direzione di Marina cos per le spese ordinarie

che straordinarie in tempo di pace potr ridursi a trenta-

cinque milioni, cio 25 per l'ordinario e 10 per lo

straordinario.

Con ci noi lasciamo da banda la questione poli-

tica che tanto influisce sull' armamento di una nazione;

vale a dire, se sia o no opportuno tenere le forze sul piede

di guerra, e discorriamo soltanto della parte organica

amministrativa in base alle leggi di reclutamento, ed

alla potenza economica e finanziaria del Regno. Non

sono mai le circostanze straordinarie che si pigliano a

fondamento dell' ordinamento dell' amministrazione ge-

nerale di uno Stato, ma sibbene le ordinarie, e queste

noi ponemmo a base del nostro sistema.

CAPITOLO VII.

Ordinamento dell' Amministrazione degli Affari Esteri.

Le repubbliche italiane crearono i consolati, e con

essi i primi elementi della diplomazia. Gli antichi no-

stri padri che pensavano a sviluppare prima le sorgenti

della pubblica ricchezza, e poi ricorrevano alle tasse,

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206

inventarono i consolati col fine di tutelare il commer-

cio e i commercianti nei pi lontani paesi, e la bella

istituzione in processo di tempo si estese a tutti gli

Stati d'Europa. Le legazini permanenti, le ambascia-

te, gli agenti diplomatici non furono introdotti che

dopo la pace di Westfalia, cio dal 1648 in poi, e per

un fine politico al quale si associ poi anche l' econo-

mico e il commerciale con le stipulazioni dei trattati

internazionali per agevolare il commercio e le relazioni

economiche tra Stato e Stato. Il Congresso di Vienna

nel 181 5, e poi la Conferenza di Aix-la Chapelle nel 1818,

vollero regolare anche il personale degli agenti diplo-

matici, ed all'uopo stabilirono tre ordini di rappresen-

tanze all' estero: gli ambasciatori che trattano diretta-

mente col sovrano presso cui sono accreditati : ministri

residenti od inviati che sono accreditati eziandio presso

il Sovrano, ma trattano col ministro degli affari esteri:

gl'incaricati di affari che sono accreditati presso il mi-

nistro degli esteri. La missione di costoro intieramente

diplomatica; e gl ' interessi commerciali e industriali di

cui talvolta si occupano sono una consegunza della

missione politica.

Gli agenti consolari divisi in Consoli e''Vice-Con-

soli sono incaricati di tutelare il commercio, le persone

e le sostanze dei nazionali che l'esercitano. Da ci se-

gue che i Consoli hanno ad un tempo le funzioni di

ufficiali pubblici e di magistrati della nazione cui ap-

partengono, accreditati presso quella ove riseggono.

Queste nozioni non sono inutili a sapersi per po-

tere sciogliere una questione molto dibattuta tra i pub-

blicisti, se cio gli agenti consolari avessero o pur no

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implicitamente la veste di diplomatici. In principio

l' agente consolare incaricato della tutela del commer-

cio e dei commercianti non pu risguardarsi come di-

plomtico; ma vi sono circostanze, (ed oggi spesso

accadono) in cui il Console nella mancanza del ministro

assme eziandio l'ingerenza politica, ed allora che

vien considerato cme agente diplomatico. Da qui sca-

turisce contro la sentenza di parecchi finanzieri che

l' uffizio di Console per risparmio di spese non pu af-

fidarsi ad agenti locali, od onorarii; ma debbe confe-

rirsi a sudditi del Re, i quali saranno inviati ad eser-

citare 1' uffizio di consoli c'ori stipendio pagato dal

pubblico Tesoro. Pu talvolta in piazze secondarie e di

poca importanza affidarsi ad uri commerciante del luogo

l' uffizio di Console, ma per regolarit e interesse na-

zionale meglio preferire il primo sistema al secondo,

almeno nei luoghi di maggior considerazione.

Da queste premesse deriva che le spese per le

relazioni internazionali debbono cadere a carico del pub-

blico Tesoro, siccome quelle che son fatte per bisogni

pbblici e comuni; e le spese debbono esser sempre

proporzionate all' alto fine che la dignit del Governo si

propone di raggiungere.

Il bilancio degli Affari Esteri del Regno non

grave rispetto alle estese relazioni diplomatiche, alle

otto nuove legazioni istituite a Lisbona, ad Atene, a

Stoccolma, a Copenaghen, a New-York, a Rio-Ianei-

ro, a Buenos-AyrS, iil Messico, oltre alle quattordici

esistenti prima. Anche i Consolati furono estesi da 24

a 47, e l'importanza delle relazioni commerciali giu-

stific 1' aurhento delle spese.

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L'amministrazione centrale, oltre al ministro e se-

gretario generale, si compone di quattro divisioni, una

per l'amministrazione generale, due per le Legazioni,

ed una pei Consolati, divise in sette sezioni. L'intiero

personale composto di cinquantuno impiegati.

La spesa totale del bilancio degli Affari Esteri tra

spese ordinane e straordinarie ascende a 3,476,514, e

non grave, ripetiamo, in vista delle aumentate Lega-

zioni e Consolati. I risparmi che si potrebbero fare nel-

l' amministrazione centrale non eccederebbero le dieci

mila lire sopprimendo una delle divisioni delle Lega-

zioni , e con ci forse si ritarderebbe il corso degli af-

fari; non c' dunque da pensare ad economie su que-

sto ministero. Invece noi vogliamo volgere il discorso

sulla parte amministrativa, siccome quella che ha stretta

relazione col nostro sistema che abbiamo l'orgoglio di

chiamare italiano e nazionale.

Noi non possiamo non riconoscere e lodare i grandi

e patriottici servizi che la diplomazia sarda ha reso

all'antico Regno di Sardegna, ed all' Italia in questi ul-

timi tempi. Ella seppe meritarsi la bella fama di pru-

dente e ardimentosa ad un tempo, di accorta e sagace,

ed influ grandemente sotto la guida del Conte di Ca-

vour alla presente fortuna del Regno; ma innanzi al-

l'Europa ed al mondo civile tuttora considerata come

diplomazia sarda e non italiana, e ci dipende perch

tutto il meccanismo tradizionale e il personale diplo-

matico , tranne per gli uffici secondari, intieramente

sardo.

Ora questo politicamente parlando un male, ed

influisce per vie opposte a creare due altri mali di di-

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2nn -

versa natura: il primo consiste nel far credere all'este-

ro, (e i nostri nemici se ne avvalgono'! che vi sia un

grosso Regno Sardo, e non un Regno Italiano: in se-

condo luogo impedisce che si formi una diplomazia ve-

ramente italiana per l'avvenire, una scnola, per cos

dire, tradizionale diplomatica, la quale rappresenti nelle

Corti e nazioni straniere il concetto unitario e il nuovo

diritto pubblico del Regno Italiano. Perch questo ac-

cada necessario che i diplomatici nostri siano scelti

da tutto il personale politico dello Stato, e non esclu-

sivamente da una sola provincia. Dopo quattro anni di

perfetta unit politica, noi abbiamo ancora presso le

Corti e governi stranieri la rappresentanza diplomatica

dell'antico Regno Sardo; tra i nostri ambasciatori, mi-

nistri residenti e incaricati di affari non havvi che un

solo diplomatico appartenente ad altra provincia del

Regno; tutti gli altri appartengono alle antiche Pro-

vincie.

Il Ministro Durando nel 9 novembre 1862 riform

l'antico regolamento Sardo del 28 marzo 1835 sul ser-

vizio diplomatico; ma le pratiche sono tuttora le anti-

che, e la legge su i Consolati del 15 agosto 1858 in-

fluisce pure a mantenere salde le antiche regole. Una

di esse risguarda la diplomazia come carriera ammi-

nistrativa, ed un errore; perciocch tener stretto

conto delle promozioni, dell'anzianit, delle classi ne-

gli uffici subalterni delle Legazioni per poter elevare

un consigliere, od incaricato d'affari, a ministro resi-

dente, e quindi ad ambasciatore, rendere inefficace

il principio politico che presiede all' ordinamento stesso

della diplomazia. La quale non pu esser considerata

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mai come una carriera amministrativa; ma dev' essere

affidata nelle sue missioni ad uomini reputati capaci di

compierle, e che godono piena fiducia del Gabinetto.

Con ci non vogliamo ammettere che si debba creare

un diplomatico per ogni affare; nulla di tutto questo;

ma intendiamo soltanto fermare il principio che la di-

plomazia non pu n debbe considerarsi come carriera

amministrativa.

I Consolati per proprio uffizio hanno una grande

importanza oggid rispetto al commercio internazionale;

e se non fosse l'elemento politico che ha molta parte

nel servizio consolare e l ' altro gerarchico relativamente

alle Legazioni, noi opineremmo d'incorporarli al Mini-

stero di Agricoltura Industria e Commercio. Ma per le

ragioni accennate stiano pure i Consolati alla dipen-

denza degli Affari Esteri ; ma non manchino di riferire

al Governo con apposite statistiche e considerazioni

economiche i movimenti commerciali e di navigazione

del Regno nei paesi ove risiedono, della popolazione

italiana residente io ciascun territorio consolare, delle

risorse della colonia, e degli uffici e lavori a cui i con-

nazionali sono addetti nei paesi esteri.

Cotesti elementi statistici gioveranno non solo al-

l'amministrazione politica, ma soprattutto a quella di

Agricoltura Industria e Commercio.

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CAPITOLO Vlll.

Ordinamento dell' Amministrazione Finanziera.

L' Italia non considerata abbastanza all'estero,

disse il deputato Pepoli nella Camera elettiva parlando

in favore della Convenzione del 15 settembre; I' Italia

non ha molto peso nella bilancia politica degli Stati d'Eu-

ropa, e disse jl vero. Ma il Pepoli tornato di fresco dal-

l' ambasciata di Pietroburgo, sottoscrittore della conven-

zione tra il Regno Italiano e la Francia per lo sgombro

delle truppe francesi da Roma, attribuiva all'occupazione

straniera la poca considerazione in cui tenuta l'Ita-

lia. L' occupazione dal lato politico v' influisce certamen-

te ; ma la vera ragione per cui tutte le potenze straniere,

amiche o nemiche che siano, non ci considerano abba-t

stanza la cattiva finanza che abbiamo. A che illuderci?

A che un esercito di 382,000 soldati, se l' Europa sa

che non possiamo mantenerlo ordinariamente, se non

pu essere la nostra base di armamento in tempo di pace?

A che gli sforzi per creare in quattro anni un potente e

numeroso naviglio, se non possiamo continuare a man-

tenerlo armato e in attivit? A che le vane jattanze

sulle nostre grandi ricchezze presenti, se in realt

siamo poveri? In potenza s siamo i primi ricchi del

mondo; ma nel fatto noi non possiamo accrescere

una sola imposta , senza che costi un grave sacrifi-

zio alla nazione. Ai sacrifizi il popolo italiano ap-

parecchiato, vuol farli, intende compierli; ma con la

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certezza di vedere messo un fine ai mali suoi e conse-

guire l'alto scopo a cui sono indirizzati i sacrifizi.

Senza una buona Finanza impossibile che l'Europa

impari a rispettarci ed averci in seria considera-

zione, a pesare la nostra parola, sia che venga pronun-

ziata nell ' assemblea legislativa, o nei Congressi dei prin-

cipi, o nelle Conferenze diplomatiche. Come si vuole che

l'Europa ci rispetti abbastanza, se il nostro Governo

dimanda in ogni anno al credito pubblico un prestito, e

V ultimo pi grosso dell' antecedente ; se presenta al Par-

lamento non solo, ma ai nostri creditori piani fi-

nanziarii che falliscono sempre; se il pareggio tra le

spese e Y entrate si allontana sempre pi da noi; se le

nostre leggi d' imposte fruttan poco, se non diamo ga-

ranzie sufficienti della nostra capacit amministrativa

alle banche d' Europa? Come si vuole che le grandi po-

tenze diano benevolo ascolto alle nostre rimostranze di-

plomatiche, pieno ascolto alle nostre domande, pronta

soddisfazione ai nostri reclami, ela nostra bandiera sia

temuta e rispettata nei pi lontani mari, se tutto il mondo

sa che noi tiriamo innanzi alla giornata e come Dio vuole

il servizio pubblico interno? Come si pretende che l'Au-

stria ceda la Venezia per patti su i benevoli uffici della

Francia e dell'Inghilterra, s'ella per confessione del no-

stro Governo sa che non abbiamo altro mezzo per fare

economie, se non quello di ridurre la nostra forza armata?

Come si vuole infine che l'Austria tema di noi, e le grandi

potenze si stringano alla nostra alleanza, se non pi che

jeri il nostro ministro delle finanze venne a dire in Par-

lamento che non poteva compiere il servizio di cassa

pel 1864 senza l'anticipazione di un'annata d'imposta

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prediale e senza la vendila a rompicollo dei beni dema-

niali?

Da qui scaturisce la falsa credenza nei nostri nemici

che l'edificio politico italiano non sia solido abbastanza,

e che al primo urto di forza esterna debba dileguarsi

come pule di trebbia al vento; i nostri amici poi non si

stringono con piena confidenza a noi per non compro-

mettersi in qualunque evento che ci possa tornare av-

verso. Cotesta forza di opinioni opera per diverse vie

a nostro danno; ci rende implacabili i nemici, e indiffe-

renti gli amici ; e non ostante i miracolosi sagrifizi della

nazione ; il costante animo generoso ed eroico del Re;

la devozione e la disciplina di un esercito agguer-

rito; il contegno calmo e fiducioso, l'attitudine seria

e dignitosa, la volont ferma e decisa del popolo

nel volere l'unit a qualunque costo, all'estero si crede

poco solido il glorioso e splendido edillzio che gli

Italiani concordi innalzarono in mezzo all'attonita e ci-

vile Europa; e ci perch non abbiamo buone Finanze;

perch in ogni d le peggioriamo, e facciamo presentire

alla poco confidente banca con la cattiva amministra-

zione che un giorno o l' altro falliremo. Eppure, sotto

l' aspetto economico, ed anche finanziario, l'Italia non

ha di che temere ; ella poggiata sopra una base so-

lidissima pari al fondamento politico, e sol che trovi

un governo, (e pu trovarlo) che le assetti bene l'am-

ministrazione, che ecciti la sua smisurata potenza eco-

nomica, l'Italia in pochi anni potr diventare la prima

nazione del mondo.

Su, coraggio, o Italiani; sbugiardiamo i nostri ne-

mici che non ci credono solidi abbastanza, e mostriamo

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214

ai timidi amici che questa non la terra delle sole

arti e delle lettere; ma della scienza degli Stati e delle

armi eziandio. Facciamo palese a tutti poi che come

sapemmo redimerci a libert, cos sappiamo ordinarci

pure a nazione potente e civile. E con queste ferme

intenzioni cooperiamo tutti ad innalzare un edifizio am-

ministrativo degno della civilt presente, degno della

nostra fortuna, del nostro avvenire, dell' Italia. Che cia-

scuno porti la sua pietra, e ' edifizio sorger maestoso

e sublime. Pensiamo soprattutto ad un buon sistema

di Finanza.

Ma nelle presenti condizioni del Regno italiano

possibile ottenere un buon sistema di Finanza?

Le difficolt sono gravi; ma non invincibili; un

uomo, non diremo di genio, ma che abbia cognizione

piena ed intiera di quello che intende fare, e che

Don vada brancolando nelle tenebre; un uomo che

abbia la coscienza di bene intendere i principii direttivi

della Finanza e le pratiche migliori che vi rispondono

pu superare gradatamente tutte le difficolt. E forse

peggiore la nostra condizione finanziaria di quella del-

l'Inghilterra nel J783, quando Guglielmo Pitt all'et

di 24 anni fu nominato primo lord della Tesoreria? Le

nostre condizioni presenti sono forse inferiori a quelle

della Francia sotto Luigi XVIII, quando il barone Louis

trov nella finanza francese un disavanzo al di l

di 800 milioni? No; le nostre condizioni sono di gran

lunga migliori ; quello di cui manchiamo un netto si-

stema di Finanza; e Pitt, e il barone Louis, e tutte le

amministrazioni finanziarie del mondo civile ne hanno

uno. Con una finanza bene assettata e tradizionalmente

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bene amministrata dimandate a Gladston se ha, o pur

no, un piano finanziario suo ; dimandate a Frre-Orban

se ne ha pur uno pel Belgio; dimandate a Plcner infine

se le finanze austriache nel 1849 non avevano un disa-

vanzo di 400 milioni, ed ora uno di 148, non ostante le

gravi spese della guerra del 1859. In cinque anni il

Governo italiano non giunto neanche a poter compi-

lare una statistica pi o meno esatta della ricchezza

immobiliare e mobiliare del Regno, senza la quale non

possibile di assestar bene le imposte ed ordinare

l'amministrazione finanziaria. Si doveva cominciar di

l, e invece non ci si mise neppure un pensiero!

Un buon sistema finanziario dunque possibile in

Italia, e chi nega la sua possibilit mostra che di finanze

e di amministrazione non se ne intende affatto.

Tre sono le basi che posson servire di fondamento

a qualunque governo della pubblica finanza: le impo-

ste: il credito: il risparmio. Il che si traduce:

1 In un sistema di amministrazione che abbia a

paro delle spese le entrate.

2 In un sistema che si poggia principalmente sul

credito e lo sfrutta sino ad esaurirlo.

3 In un sistema infine che si propone la gradata

riduzione delle spese sino a pareggiare il bilancio at-

tivo col passivo. Su queste basi T abile finanziere deve

poggiare il suo piano, servendosi separatamente e si-

mullaneamente de'tre elementi, secondo le necessit

maggiori o minori del bilancio ordinario, o dello stra-

ordinario. Chi su queste basi fabbrica degli espedienti

momentanei e li eleva ad elementi principali di ammi-

nistrazione corre a rovina, ed imita il tisico che ha le

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2lG

guancie rosee e la morte nell' interno della compagine

fisica.

Su le stesse basi s'innalza eziandio il sistema da-

ziario diviso in diretto ed indiretto; ed il servizio pub-

blico, risponder dee ai principii delle imposte. In quanto

alle tasse dirette mestieri avere innanzi allo sguardo

le massime fondamentali della pubblica economia, le

quali vogliono che la tassa sia giusta, che non offenda

la ricchezza capitale, che sia facilmente riscotibile, che

non attacchi le industrie nascenti del paese, che col-

pisca infine egualmente la rendita netta e coloro che

possono e debbono con queste regole pagare la tassa.

Per le tasse indirette bisogna tener presente il gran

principio della libert dei cambii eh' il dogma delle

moderne societ, e per questo appigliarsi ai dazi mi-

nimi per le materie che vanno soggette a dazio, fran-

care le altre che giovano alle industrie del paese, o

che hanno necessit di un grande sviluppo di consu-

mazione all' esterno.

Fermate le massime e l'indirizzo delle imposte

dirette e indirette, mestieri coordinarle ad un fermo

principio di politica finanziaria cos in relazione delle

spese ordinarie, che straordinarie. Il principio pi esatto

questo: uno Stato in tempo di pace dee vivere colle

sue rendite, attingere le sue risorse da s, equilibrare

le spese con l'entrate senza picchiare alle porte del

credito pubblico. Per conseguire cotesto scopo ne-

cessario cavare le maggiori imposte possibili dal paese,

cio quelle che il paese pu pagare senza offendere la

ricchezza-capitale, e nello stesso tempo fare i maggiori

risparmi che non offendono il servizio delle ammini-

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strazioni e gli elementi indispensabili alla esistenza

dello Stato.

Cominciamo dalle tasse dirette.

Noi abbiamo tuttora bisogno di una vera perequa-

zione dell' imposta prediale nell' interesse dei contri-

buenti e del pubblico tesoro. La legge che fu fatta non

risguard che un semplice conguaglio provvisorio per

togliere le enormi sproporzioni tra un contingente cata-

stale e l' altro. Nella lunga ed arruffata discussione che

avvenne in Parlamento, i criterii aggiunti e i subriparti

resero pi difficile l'applicazione della legge alle anti-

che provincie, e noi tenghiamo per fermo che i subri-

parti non saranno possibili in pratica. Ad ovviare tutti

siffatti inconvenienti ed assettare l'imposta prediale

sopra basi solide giuste ed eguali, noi abbiamo studiato

il modo come trovare un sistema plausibile per rag-

giungere lo scopo di una vera perequazione dell' im-

posta fondiale per tutto il Regno; un modo che, senza

offendere i dogmi della scienza economica e finanzia-

ria, potr per le vie pi agevoli condurci a satisfare

gl' interessi della nazione, i bisogni del pubblico era-

rio, e gli alti fini di quella giustizia distributiva che

genera 1' eguaglianza nella ripartizione delle imposte.

Innanzi tutto giova constatare in quale propor-

zione la rendita netta di oggid differisce dalla rendita

del tempo in cui vennero formati i varii e moltiplici

catasti italiani. indubitato che nel giro di soli vent anni

la propriet territoriale d'Italia ha avuto dei numerosi

cambiamenti e d'ogni natura : da una parte le vie di

ferro, i canali d'irrigazione, e le migliori vie di comu-

nicazione; dall' altra, i dissodamenti, le piantagioni utili,

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le fognature, le bonificazioni, i perfezionamenti in certe

speciali coltivazioni, gli sviluppameli e le applicazioni

degli strumenti e delle macchine agrarie, tutti gli sforzi

infine combinati dell' attivit umana che han trasfor-

mato, per cos dire, la natura e il valore del suolo in

talune Provincie.

Cotesti mutamenti del valore e della rendita non

si sono prodotti dappertutto, n in eguale misura e

proporzione, e da qui le ineguaglianze delle ripartizioni

del tributo in quelle stesse Provincie che pi progre-

dirono. Siffatte ineguaglianze giusto di far cessare,

anche quando i lamenti che han provocato presentas-

sero delle esagerazioni.

Il sistema adunque di perequazione che noi pro-

poniamo il seguente:

1 Ritenere la estensione attuale del territorio

quale risulta dai vigenti catasti o allibramenti;

2 Rettificare la classifica in quanto ai mutamenti

di destinazione e coltivazione dei fondi;

3 Procedere all' accertamento della rendita netta

in base all'affitto e col metodo della stima in forma

economica, o abbreviativa, cio coi tipi o modelli di

stima;

4 Applicare questo sistema all' unit censuaria

del Comune.

inutile arrestarci a dimostrare la necessit di

mantenere l'attuale misura dei terreni; se volessimo

entrare nel campo delle rettifiche di misura, l' opera-

zione durerebbe almeno dieci anni.

Rettificare la classifica delle propriet nel perime-

tro di ciascun Comune s; poich la terra che ven-

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219

t anni dietro era di prima classe, oggi per deteriora-

zioni successive, coltivazioni intempestive, allagamenti,

o per altre cause, debbe collocarsi nella terza; in

quella guisa che un bosco, una selva che allora appar-

teneva alla terza classe, essendo stata dissodala e

messa a coltura, pu esser diventata di prima. Nel

procedere alla classifica per non bisogna tener conto

delle differenze leggiere di rendita provenienti, per

esempio, da una coltivazione meglio intesa, o da una

estensione maggiore di fondi coltivati, o da altre cause

locali o accidentali.

La rettifica dei mutamenti di coltura in generale,

e non delle sole colture principali, potr farsi per mezzo

di consegne controllate da una Giunta comunale con

l'intervento di un agente governativo, o di un perito

nominato dal Governo.1

La classifica dei terreni per non potr riescire

mai soddisfacente senza tener presente le regole prin-

cipali che ci addita la scienza economica, ch' il frutto

di lunghe esperienze in siffatte operazioni. E le regole

che equivalgono ad altrettanti principii sono le seguenti.

I terreni differiscono tra loro per due ragioni pri-

marie : o pel diverso metodo di coltivazione da cui in

gran parte dipende il prodotto; o pel diverso grado di

fertilit, comunque coltivati con egual metodo agrario.

Relativamente alla maggiore o minor forza produttiva,

1 Noi intendiamo parlare di consegne sulla sola qualit delle col-

ture, sopra un elemento di fatto estraneo alla classifica ed alla rendita

dei terreni. Per questo solo dato di fatto accettiamo la consegna, e vo-

gliamo eziandio che ella sia controllata dalle Commissioni munici-

pali e dal Governo.

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220

il primo elemento forma la parte estrinseca della pro-

duttivit, l'altra l'intrinseca.

Da qui sorge chiaro che secondo questi due rap-

porti i poderi saran classificati, e i primi poderi cos

classificati serviranno di norma o di modello per le

diverse classi.

In ordine alla parte estrinseca la distinzione dei

fondi scaturisce dalla loro destinazione agronomica,

come per esempio:

1 Le terre sative secondo la rotazione adottata;

2 Le terre irrigue, come le risaie, ed altre spe-

cie di coltivazioni fatte per mezzo d'irrigazioni;

3 Le vigne, gli oliveti, i gelseti e simili pianta-

gioni, con altra o senz' altra coltivazione congiunta;

4 I giardini, gli orti, i pometi;

5 I prati artificiali;

6 Le praterie, le boscaglie, le selve, e lutti i

fondi che dnno una produzione spontanea.

In ordine poi alla parte intrinseca dee conside-

rarsi che ciascuna maniera di coltivazione pu incon-

trare diversi gradi di fertilit e di forza produttiva; la

quale gradazione pu derivare da cause generali o

speciali.

Le prime sogliono essere:

1 La natura del suolo;

2 La situazione del podere, la sua posizione topo-

grafica, la esposizione e l'influenza degli agenti meteorici;

3 Il modo di coltivazione di ciascuna specie;

4 Le relazioni di diritto, cio se sono terreni li-

beri o gravati di servit, di condominio, e di diritti

promiscui.

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- 221

Secondo queste considerazioni generali e speciali

di differenza si far la classifica, ripartendola in tre

classi per ciascuna specie di destinazione agronomica.

E ci pu farsi agevolmente.

Si prender un podere per modello o tipo tra

quelli che per la fertilit del suolo e il metodo di col-

tura offrono il massimo prodotto; se ne piglier uno

poi di quei che per l'una e l'altra ragione stanno al-

l'ultimo grado; infine se ne piglier un altro tra quelli

che stanno nel mezzo tra i primi ed i secondi, e cos

si otterranno i tipi delle tre specie di poderi apparte-

nenti alle tre classi. Queste classi per debbono rife-

rirsi al Comune.

Coteste regole di classifica avranno le seguenti

eccezioni:

1 I luoghi di delizie, in economia detti voluttuosi,

si porranno in una categoria speciale, e non gi nella

prima classe dei terreni sativi, come si pratic in tutti

i catasti esistenti;

2 Certi poderi di natura agronomica speciale, e

pi intesi all' istruzione agraria che a vera produzione,

debbono collocarsi eziandio in una categoria eccezio-

nale;

3 Saranno classificate separatamente le miniere;

4 I fondi sterili saran designati sotto il loro nome

proprio, cio di fondi improduttivi.

Compiuta la classificazione secondo la natura delle

terre, la loro destinazione rurale, e la forza produttiva,

si passer alla determinazione di un prezzo normale

per la rendita imponibile di ciascuna classe.

Per riuscire in questo, si prenderanno i prezzi di

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fitto dei poderi di una stessa classe, e per un decen-

nio; dei prezzi diversi si prender il termine medio,

e cos per ciascuna classe, escluso per il prezzo pi

alto e l'altro pi basso, i quali non rivelano che cause

eccezionali durante un decennio, e non prezzi normali.

Cosicch la media deve cadere su i prezzi che non

alterano lo stato regolare e progressivo delle cose in

senso minimo, e non facciano per lo Contrario che

appaia grandissimo in forza di elementi eccezionali e

transitorii. Tali sarebbero, per esempio, i fitti delle

terre salde messe a coltura nei primi dieci anni.

Lo stesso metodo si seguir per la media dei

prezzi delle derrate risultanti dalle mercuriali di cia-

scun Comune o Mandamento.

Ove mancassero i fitti nelle altre, classi, purch

il prezzo medio di affitto siasi ottenuto da una classe,

le altre saranno regolate sulle stesse basi, diminuendo

od accrescendo, secondo che da una classe superiore

si scender alla minore, o per lo contrario. Ove poi i

contratti di fitto mancassero anche pei poderi di una

sola classe, si ricorrer ai prezzi di affitto dei Comuni

pi vicini; e se pur questi non ci fossero o non sieno

applicabili, allora si ricorrer ai metodi soccursali,

cio ai contratti di compra-vendita, ed alle divisioni

fra coeredi. Se infine mancassero tutti cotesti aiuti, si

passer alla stima diretta di uno o pi poderi di una

delle classi; perciocch ottenuto il prezzo di una classe,

facilmente si potr determinare quello delle altre.

Quest'ultimo metodo di stima potr servire eziandio

pei luoghi di delizie; pei poderi di natura agronomica

speciale, e pei beni censibili e non censiti.

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223 -

Le miniere infine saranno stimate relativamente

alla possibile durata delle loro rendite.

Come ultime precauzioni da usare per questo me-

todo di stima, soprattutto ove mancano gli affitti, si

possono invitare i proprietarii a dare degli opportuni

schiarimenti che saran valutati per quanto meritano

dai periti.

Tutte siffatte operazioni avranno i loro speciali

controlli cos ordinati:

1 In ogni Mandamento vi sar una Commissione

composta di Delegati comunali e con l'intervento del-

l'agente governativo, a cui si presenteranno le que-

stioni e i dubbii che potranno insorgere, e la Commis-

sione li risolver all' istante senza uso di forme;

2 Dopo, i risultati delle classifiche e delle stime

saran pubblicati; ciascun proprietario potr portarvi i

suoi reclami e le sue osservazioni, le quali saranno

discusse e giudicate dalla Deputazione provinciale.

Contro le decisioni della Deputazione provinciale

si potr portar gravame in ultima istanza alla Commis-

sione centrale.

Il Ministro delle Finanze sancir definitivamente

la rendita imponibile di ciascun Comune, sentito il pa-

rere della Commissione centrale.

I falti cos constatati, il prodotto netto cos accer-

tato, le operazioni in tal guisa controllate, non possono

non considerarsi e ritenersi come elementi veri e ca-

paci di dare un fondamento logico giusto ed economico

alla perequazione dell' imposta fondiale.

Guardando poi al valore totale netto dei prodotti

agrarii del Regno, valore che ascende a circa un mi-

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-bi-

llardo e cinquanta milioni, noi possiamo sperare con

fondamento che la perequazione secondo il nostro siste-

ma possa dare agevolmente una somma di 150 milioni

annui, inclusi i fondi urbani, senza punto aggravare i

contribuenti. E perch non si dica che parliamo soltanto

teoricamente, vogliamo formolare eziandio l' analogo

progetto di legge, pel quale non si spenderebbero pi

di 200,000 lire, e sarebbe compiuto in un anno.'

1 PROGETTO DI LEGGE.

Titolo I. Disposizioni generali.

Art. 1. In tutti i Comuni del Regno sar fatta, in base dei vigenti

catasti e allibramenti, definitivi o provvisorii che siano, una generale

rettifica delle classificazioni delle terre, ed una revisione delle valuta-

zioni catastali.

Art. 2. L'estensione delle terre sar quella che risulta dai catasti

e dagli allibramenti comunali.

Art. 3. Le nuove operazioni non avranno altro scopo che consta-

tare i mutamenti di coltura, e valutare la rendita netta derivante dalle

nuove coltivazioni.

Art. i. I mutamenti di coltivazione saranno rivelati dalle dichia-

razioni dirette d'ogni singolo proprietario, debitamente controllate dalle

Giunte comunali e da un agente del Governo.

Art. 5. Le classificazioni e le valutazioni andranno soggette a ret-

tifica, dietro reclamo dei proprietarii interessati.

Art. 6. La rendita complessiva del Comune sar quella che rap-

presenter l'unit censuaria.

I Comuni che hanno una popolazione minore di mille abitanti sa-

ranno uniti ad altri vicini, e insieme formeranno l'unit censuaria.

Titolo II. Classificazione generale delle terre.

Art. 7. Tutti i proprietarii di terre, di qualunque natura siano,

sono obbligati nel termine di quaranta giorni a rivelare la qualit e

P uso a cui sono addetti i loro terreni, e a dichiarare se sono consiti o

non censiti.

Art. 8. Le rivele scritte in carta semplice saranno indirizzate ari

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La tassa su i redditi della ricchezza mobile in-

contr serie difficolt nella valutazione dei redditi stessi

una Commissione eletta in ciascuno o pi Comuni riuniti all'uopo., e

cavata dal numero dei Consiglieri municipali.

La Commissione sar composta del Sindaco, di due Consiglieri

eletti a maggioranza di voti dal Consiglio comunale, dell'agente go-

vernativo, e di un perito locale.

I Comuni riuniti non potranno essere pi di tre. In questo caso

ciascun Comune elegger un membro dal seno dei suoi Consiglieri,

qual componente la Commissione.

Art. 9. La classificazione, dietro lo rivele controllate e in base ai

catasti e allibramenti, sar fatta per classi.

Le classi non saranno maggiori di tre per ciascuna cultura, se-

condo la bont intrinseca del terreno e la quantit del prodotto netto

che si ritrae da una medesima estensione della stessa coltura, e nel

medesimo Comune.

Le colture saranno classificate per specie.

Art. 10.1 cambiamenti di classificazione saranno controllati dal-

l'agente governativo e dal perito, sopra luogo di ciascun fondo parti-

colare. Baster osservare un fondo di una coltura di maggior rendita

per mettere nella prima elasse tutti i rimanenti della stessa coltura,

che gli rassomigliano per le medesime circostanze di sito, di terreno

e miglioramento di coltivazione. Lo stesso procedimento si ripeter per

le altre classi.

Ari. 11.1 luoghi di delizie, e i poderi di natura agronomica spe-

ciale, formeranno due sezioni distinte di una medesima classe.

Art. 12. L'alveo dei fiumi e dei torrenti, le spiaggie, i laghi, le

ghiaie, le sabbie nude e gli altri terreni sterili, siccome quelli che

vanno esenti dall'imposta prediale, saranno classificati sotto la deno-

minazione di terre improduttive.

Art. 13. Le strade nazionali, provinciali e comunali, sottratte alla

produzione e non soggette a veruna imposta, saranno classificato sotto

la denominazione di terre addette al pubblico uso.

Art. 14.1 terreni occupati dalle fortificazioni, o da campi di eser-

cizio per la Truppa saranno classificati sotto il nome di terre addette

ad usi militari.

Art. 15.1 terreni occupati dalle strade ferrate saranno classificati

secondo la denominazione dell'uso a cui servono.

Art. 16. Le miniere infine saranno classificate secondo la loro na-

tura in diverse sezioni, ma tutte formanti una sola classe.

15

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226

per la confusione dei criterii da applicarsi, e pel falso

sistema delle libere consegne. Ci non ostante le con-

Titolo III. Valutazione delle rendite.

Art. 17. La contribuzione fondiaria non potendo cadere che sulla

rendita netta, vale a dire su ci che rimane al proprietario, dedotte le

spese di coltivazione, semenza, raccolta e manutenzione, sar questa

sola parte di prodotto netto che former la materia imponibile.

Art. 18. Il prodotto netto sar il resultato del prodotto medio di

un decennio di rendita depurata delle spese.

Questa rendita sar rappresentata dal prezzo degli affitti dell'ul-

timo decennio, ed ove l'affitto non generalmente in uso, dall'inte-

resse del capitale impiegato nell'acquisto dei fondi nello stesso periodo

d tempo.

Art. 19. I contratti di afftto o di vepdita che faranno presumere

un prezzo di affezione, ovvero una simulazione nei prezzi, non entre-

ranno nella media delle rendite.

I contratti di affitto che per effetto di ragioni speciali e transito-

rie presenteranno un prezzo straordinario, non entreranno nel calcolo

della media decennale.

Quanto ai contratti che comprenderanno clausole di prestazioni in

derrate, queste saranno valutate colle tariffe del prezzo medio.

Quanto ai contratti contenenti clausole di anticipazione in danaro,

sar a queste data una rendita alla ragione del !> per j0 annuo, e tale

rendita si aggiunger al prezzo dell'affitto.

Art. 20. Se in mancanza dei contratti di affitto si far ricorso agli

alti di compra-vendita, allora sar valutato il prodotto netto dei fondi

venduti alla ragione del 5 per /0.

Art. 21. I luoghi di delizie saranno valutati secondo le condizioni

speciali in cui si trovano. Quelli in buono stato saranno valutati se-

condo le migliori colture del Comune, ove sono situati: gli altri in me-

diocre stalo, saranno equiparati alle terre di seconda classe, e quelli

che sono in uno stato scadente e di deteriorazione, ai terreni di terza

classe.

Art. 22.1 poderi di natura agronomica speciale destinati all'istru-

zione agraria, qualunque sia la loro bont intrinseca, saranno valutati

come le terre di seconda classe del Comune, del cui territorio fan parte.

Art. 23. Le miniere saranno valutate secondo il medio risultato

degli affitti dell'ultimo decennio, ove siano tuttora in istato di potersi

coltivare.

Se saranno in parte esaurite, o prossime ad esaurirsi, la valuta-

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227 -

segne rivelarono una massa di ricchezza mobile che

il governo non os sperare. Noi combattemmo alla

zione loro sar fatta sulla media dei risultati degli ultimi tre anni, die-

tro rivela del fittaiuolo.

Ove nel periodo dell'ultimo decennio le miniere si fossero colti-

vate in economia, i possessori delle medesime saranno tenuti a dichia-

rare, nel termine di quaranta giorni dalla pubblicazione della presente

legge, la rendita netta cavata dalla media di un decennio della produ-

zione totale delle miniere.

Art. 24. Le fabbriche rustiche destinate all'abitazione dei coltiva-

tori , alla conservazione delle produzioni agrarie e ad ogni altro uffizio

che ha stretta relazione con le opere di campagna, saranno valutate

pel suolo che occupano, assimilando questo alle terre di prima classe.

Titolo IV. Reclami contro le operazioni eseguite.

Art. 25. GH elenchi delle nuove classificazioni e le tariffe delle va-

lutazioni saranno pubblicate in ogni Comune.

Ciascun proprietario potr portarvi i suoi reclami e le sue osser-

vazioni, le quali saranno discusse e giudicate sommariamente dalla Com-

missione comunale, e in linea di revisione dalla Deputazione provinciale.

Art. 26. Contro le decisioni della Deputazione provinciale si potr

portar gravame in ultima istanza alla Commissione centrale, eletta in

forza della presente legge.

Art. 27. Compiute tutte siffatte operazioni, il ministro delle Fi-

nanze sancir definitivamente la rendita imponibile di ciascun Comune,

sentito il parere della Commissione centrale.

Titolo V. Penalit.

Art. 28. Coloro che si rifiuteranno di fare le rivele alla Commis-

sione comunale, ovvero riveleranno falti non veri, andranno soggetti

alla pena di una multa eguale al triplo dell'imposta che saranno tenuti

a pagare.

Art. 29. Le multe saranno intieramente devolute al pubblico Tesoro.

Art. 30. I reclami avversi alle classifiche ed alle valutazioni do-

vranno essere presentati tra un mese dalla pubblicazione ed affissione

degli elenchi nel Comune.

Se i reclami saranno ben fondati, si dar tosto luogo alla rettifi-

cazione e correzione degli errori incorsi.

Ove noi saranno, lo spese delle perizie occorse rimarranno a ca-

rico del reclamante.

Art. 31- Con apposito Regolamento saranno stabilite le regole di

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228 -

Camera per un diverso sistema, ed all'uopo presen-

tammo analogo progetto razionalmente fondato sulla

certezza della rendila mobiliare e sulla relativa tassa

divisa per rendita di capitali, per rendita personale, e

rendita mista partecipante al capitale ed al lavoro. Con

questo metodo semplice e razionale, senza regole mi-

nute e criterii impossibili ad applicarsi, partendo da

una base minima d'imposta in sul principio, la tassa

della ricchezza mobile potrebbe dare 70 milioni nei

primi tre anni, 80 nel secondo triennio, e cos di se-

guito proporzionando sempre la tassa allo sviluppo

crescente della ricchezza. 1

procedimento per le operazioni sancite negli articoli della presente

legge.

1 Ecco il progetto fondato sulla quotit che noi presentammo alla

Camera.dei Deputati in luogo di quello stabilito per contingente.

Capo I. Base dell' imposta sulla ricchezza mobile.

Art. 1. Ordinamento dell' imposta. stabilita una imposta sulla

rendita dei capitali in generale, sulla rendita puramente personale, e

sulla rendita industriale o mista, regolata sulle basi e norme seguenti.

Capo II. Della imposizione sulla rendita dei capitali.

Art. 2. Le rendite dei capitali ipotecari, dei capitali non iscritti

nelle conservazioni delle ipoteche, dei semplici mutui, le rendite vita-

lizie e usufruttuarie che si percepiscono annualmente sia in nome pro-

prio, od in nome dei figli minorenni, o delle mogli per averne l'usu-

frutto o l'amministrazione libera, sono soggette alla tassa del 5 per

ogni 100 lire di rendita annua.

Art. 3. Non sono soggette a tassa le sole rendite dei capitali pre-

stali per meno di sei mesi.

Art. i. In ogni comune o consorzio aperto un uffizio per la di-

chiarazione e iscrizione gratuita dei capitali prestati.

Ogni prestatore nell' obbligo d'iscrivere la quantit e durata del

suo credito.

I crediti non iscritti non sono capaci di effetti giuridici.

Capo III. Della imposizione sulla rendita personale.

Art. 5. I redditi personali certi ed in somma determinata, varia-

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'220

Quando vennero volate le imposte sul trapasso

della propriet e sugli affari, il governo si augur in-

bili ed eventuali, derivanti dall'esercizio di qualsiasi professione, in-

dustria ed occupazione agraria, manifattrice o mercantile; materiale,

intellettuale o morale sono soggetti alla tassa del 10 per ogni 100 lire

di rendita netta.

Art. 6. Coloro che hanno un lordo minore di 500 lire non vanno

soggetti a tassa.

Art. 7. Quelli che hanno un reddito lordo superiore alle lire 20,000

non pagano la tassa che sulla sola rendita netta risultante da questa

somma depurata delle spese di mantenimento.

Art. 8. Il depuramento della rendita lorda seguir le seguenti pro-

porzioni:

1 Dalle lire 500 alle 1000 di rendita lorda, la tassa mobiliare

percepita sopra due terzi della somma totale:

go Dalle lire 1001 alle 5000 sulla met:

3o Dalle lire 3001 alle 10,000 sul terzo:

4 Dalle 10,001 alle 20,000 sul quarto.

Capo IV. Della imposizione sulla rendita mista.

Art. 9. La tassa della rendita mista dell' 8 per ogni 100 lire di

reddito netto.

Art. 10. Il reddito netto quello che risulter , fatte le debite de-

duzioni delle spese inerenti alla produzione, come il consumo di ma-

terie grezze e strumenti, le mercedi degli operaj, il mantenimento del

capo industriale, il ftto dei locali, le commissioni di vendita, e simili.

Non potranno far parte della spesa:

lo L'interesse dei capitali impiegati nell' esercizio della indu-

stria, sieno propri dell'esercente o tolti ad imprestito:

2 Il compenso per l'opera del contribuente nell' esercizio in-

dustriale, di sua moglie, e dei loro figli, al di cui mantenimento ob-

bligato per leggo quando coabitano col padre.

Art. 11. Sono eccettuati dalle tasse sopraddette:

1 I redditi derivanti dai beni stabili che si trovano soggetti

alla contribuzione fondiaria o prediale, e quelli che per disposizione

della presente legge siano gi assoggettati all'imposta in essa stabilita:

2 I redditi delle Societ di mutuo soccorso debitamente auto-

rizzate:

3" La datazione della Corona e gli appannaggi dei membri della

Reale famiglia.

Art. 12. Dichiarazione del redditi personali. I redditi personali

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230

troiti vistosi. Si disse che la sola tassa del registro

avrebbe dato da 40 a 50 milioni; in quella vece le

lasse del registro e del bollo con le loro naturali ap-

pendici delle tasse di manimorte e delle altre sulle so-

ciet commerciali, sugli atti giudiziarii, sulle ipoteche,

e le tasse notarili, di archivio e di successioni non

fruttarono pi di 62 milioni. Il difelto sta nella gravezza

delle imposte e nei difficili e intralciati regolamenti. La

massima economica delle tasse minime in nessuna parte

ha pi ragione di essere applicata quanto in Italia, ove

non si avvezzi a pagar gravi e moltiplici imposte.

Il talento dell'abile finanziere sta nel secondare le in-

clinazioni verso le imposte minime ; e nel colpire tutta

quanta la ricchezza pubblica con ingegnoso sistema

daziario. Noi siamo pienamente convinti che ridotte alla

mel le lasse fisse e graduali del registro; scemate le

tasse di successione e quelle sugli atti giudiziari, i

saranno dichiarati in ordine alle loro qualit e quantit, se fissi e in-

variabili , ovvero incerti e variabili, e nella totalit della somma an-

nuale.

Art. 13. Dichiarazione dei redditi misti. Le dichiarazioni dei

redditi misti saranno fatte, tenendo conto delle spese inerenti alla pro-

duzione, secondo il disposto dell'articolo 13 della presente legge.

Art. 14. Della verificazione delle rendite. In ogni comune o

consorzio vi sar una Giunta verificatrice eletta dal Consiglio Co-

munale, la quale accerter il reddito netto dei contribuenti.

I reclami prodotti contro l'operato delle Giunte saranno discussi

dal Consiglio Comunale, il quale a maggioranza di voti stabilir il

vero reddito netto del contribuente.

Contro il parere del Consiglio Comunale il contribuente potr pro-

durre gravame presso il Consiglio provinciale nel termine di trenta

giorni.

II Consiglio provinciale decider in ultima istanza.

Art. 15. Un apposito regolamento indicher i modi di esecuzione

della presente legge.

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'234 -

proventi raddoppierebbero nel breve giro di due soli

anni. Con questa riforma e con quella dei regolamenti

le imposte sul trapasso delle propriet e sugli affari

darebbero per fermo 100 milioni.1

Abbiamo stipulato trattati di navigazione e com-

mercio quasi con lutti gli Stati d' Europa, ad eccezione

di tre o quattro potenze; ed anche con parecchi Stati

d'America'; ma non abbiamo ancora rivedute le nostre

tariffe, n abbiamo messe queste in relazione dei trat-

tati e del regolamento doganale. Ordinate cos le cose,

non vi sarebbe pi ragione di mutar le tariffe e i ser-

vizi doganali con semplici decreti e circolari, e i dazi

di confine frutterebbero assai pi. Per la qualcosa sop-

pressi i porti-franchi, rivedute le tariffe e il regolamento

in relazione dei trattati di commercio, organizzato un

servizio doganale operoso ed onesto; le Dogane, in-

clusi i dazi marittimi, potrebbero dare un'entrata

di 80 milioni.

Il dazio di consumo non render allo Stato pi

di 28 milioni netti; mentre ha tolto ai Comuni le mag-

giori risorse. Noi sostenemmo sempre che se ci dev'es-

sere un dazio di consumo, questo non pu esser che

comunale; perch i soli Comuni possono innalzarsi a

giudici imparziali delle tariffe, le quali non possono

1 II ministro Minghetti cre nel maggio 64 una Commissione com-

posta dei deputati Mari, Cortese, Beneventani, Zaccaria e De Cesare

per la riforma alle leggi di registro e bollo. Noi avemmo allora l'op-

portunit di mostrare l'efficacia e i vantaggi della diminuzione delle

predette tasse anche per met. I nostri colleghi vi aderirono, e quasi

tutte le tasse furono ridotte; ma il lavoro al ministro non piacque, e

fu mutato.

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- 232 -

avere una eguale misura, soprattutto in Italia. Ma come

soccorsale delle imposte dirette noi vogliamo che nelle

presenti strettezze del pubblico Tesoro, il Governo si

avvalga temporaneamente anche di questa entrata, ed

all' uopo per vie indirette potrebbe lo Stato partecipare

ad essa nel modo seguente.

I 7,739 Comuni del Regno secondo risulta dai

bilanci comunali del 1860 posseggono, tra rendita

di beni immobili, entrate ordinarie, frutti di capitali

e censi, tasse locali e sopraccarico d'imposte erariali,

un reddito effettivo di 222,134,000; al quale unito il

presente dazio di consumo forma una rendita totale

di 252,134,000. Che lo Stato pigli il quinto di coteste

rendite, ed avr 50 milioni netti, oltre al risparmio

non lieve delle spese di riscossione e di appalti.1

1 Anche su questa materia bene presentare V analogo progetto

di legge.

Art. 1. Il dazio sugli oggetti di consumo sar di spettanza esclu-

siva de'Comuni.

Art. 2.1 Comuni, quando le altre rendite siano iusufficienti ai loro

bisogni, potranno imporre un dazio su i seguenti oggetti di con-

sumo:

Sul vino, aceto, acquavite, liquori, birra, acque gazzose, olio e

carni da macello. Potranno pure imporre un dazio su gli altri comme-

stibili, su i foraggi, sui combustibili, su i materiali da costruzione, e

in generale sopra altre materie di immediato consumo.

Non potranno imporre dazio su le farine e il pane, tranne l'ecce-

zione di cui sar fatta parola nell'articolo seguente, su i medicinali e

generi coloniali.

Art. 3. I Comuni murati della Lombardia potranno, ove lo cre-

deranno opportuno e necessario, imporre un dazio sulle farine. Que-

sto dazio per non potr oltrepassare nel massimo 2 centesimi per chi-

logrammo.

vietato d'imporre qualunque dazio sulle farine ne'Comuni Foresi.

Art. i. 1l dazio di consumo sar stabilito per deliberazione del

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233 -

Le privative danno un'entrata presuntivadi 1l \ mi-

lioni; il Governo ha creduto di poterla portare sino

a 136 coll'aumento del prezzo dei tabacchi e del sale.

Noi crediamo che questa cifra non si raggiunger mai

col sistema del massimo prezzo; ma sibbene col prezzo

giusto, anzi col minimo, e col migliorare la produzione.

L' aumento del prezzo dei tabacchi e del sale accre-

scer enormemente il contrabbando e scemer il con-

sumo, soprattutto nei tabacchi. Dopo il primo semestre

Consiglio comunale che ne proporr il regolamento c la tariffa per un

termine non maggiore di un quinquennio.

Le deliberazioni del Consiglio comunale saranno approvate dalla

Deputazione provinciale.

Art. 5. Per Decreto Reale saranno fissati i limiti entro cui dovranno

essere tenute le tariffe dei dazi di cui parola nell'art. 2.

La riscossione de'dazi sar fatta colle tariffe e i regolamenti ora

vigenti', finch i Comuni non abbiano provveduto con nuovo regola-

mento e tariffa.

Art. 6. In vista delle libert concesse ai Comuni nell'imporre i

dazi di consumo, essi non potranno imporre centesimi addizionali al-

l'imposta diretta al di l di 30 centesimi per ogni 100 lire di rendita.

Art. 7. In compenso di tale cessione i Comuni saranno tenuti a

versare nel Tesoro dello Stato un quinto netto di tutte le rendite di

qualunque natura siano da essi percepite, sia che derivino dai dazi di

consumo che si imporranno, sia che scaturiscano dai patrimonii co-

munali.

Art. 8. Il quinto di cui parola nell'articolo precedente sar ver-

sato nelle casse degli Esattori comunali a cura de'Comuni per rato

bimestrali.

Art. 9. Dall'attuazione della presente legge passeranno ai Comuni

i diritti di propriet, gli obblighi, spese e sovvenzioni relative ai teatri

in essi esistenti.

Art. 10. La presente legge avr la durata di un triennio a comin-

ciare dal 1 gennaio 186 ,

Art. 11. Dal giorno dell'attuazione della presente legge cesser

di aver vigore quella che attualmente regola la tassa di consumo in

benefizio dello Stato.

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- 234

del 1865 il Governo avvertir il grande errore in cui

caduto, e forse dovr per forza ribassare il prezzo

degli oggetti di privativa.

Noi crediamo che sia venuto il tempo dell' aboli-

zione della privativa del tabacco; per la quale spendia-

mo 30 milioni per ottenerne 70 di entrata. Laonde

non possiamo non affermare che i principii econo-

mici e finanziari ribadiscono sempre pi la massima

che lo Slato sia il pi cattivo industrioso del mondo.

Imperocch lo Slato non esercita egli stesso I industria;

ma l'affida ad altri; non sorveglia, ma confida; non

si avvale dei benefizi della concorrenza, ma paga pi

dei privati i suoi agenti, e per questo spende moltis-

simo nel valor di costo della merce. Lo Slato con

l' esercitare una industria garentita dal monopolio entra

in contraddizione di s stesso; perciocch mentre do-

vrebbe eccitare la libera concorrenza in tutto per ga-

rentire l'interesse pubblico, invece la reprime, e con

ci danneggia gl' interessi dei privati e della libera in-

dustria. In Inghilterra e nella Spagna non vi son pri-

vative; ma il tabacco colpito da una doppia imposta

sull'importazione e sulla fabbricazione. Nel Belgio, in

gran parte della Germania le privative sono abolite, e

i dazi di fabbricazione ed importazione del tabacco

rendono assai pi della nostra privativa. In Russia e

in Olanda i tabacchi sono colpiti da diversi dazi, ma

non vi sono privative propriamente dette. Lasciando

libero l'esercizio dell'industria del tabacco, la produ-

zione crescerebbe, il valor di costo si ridurrebbe al

minimo, e il prezzo sarebbe minore assai di quello

ch' oggid. Lo Stato imporrebbe una tassa sufi' impor-

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235

fazione e sulla fabbricazione del tabacco, e messo a

calcolo anche il consumo presente percepirebbe un'en-

trata di sessanta milioni, oltre ai trenta che spende

attualmente per la privativa. Ma ove non si abbia il

coraggio di compiere questa salutare riforma, si ritorni

all'antico prezzo dei sali e tabacchi, si migliori la pro-

duzione, si scemino le spese, si organizzi rigidamente

l'amministrazione delle privative, e il fruttato di essa

sar sempre maggiore di quello che si augura il Go-

verno coll'aumento del prezzo del sale e tabacco.1

l1 lotto una di quelle cattive pratiche finanziarie

e industriali sanzionate dal tempo e dai crescenti bisogni

dei governi e delle societ moderne, le quali non sanno

ancora distrigarsi dalle vecchie usanze e dai lacci della

superstizione che accorda molto a quell' ente ideale che

chiamasi fortuna, e poco o nulla all' ingegno, al ta-

lento, alla morale raffinata, al lavoro che il padre vero

di tutte le ricchezze. 2 Per necessit finanziaria e come

imposta che pagasi con molla agevolezza bisogna con-

servare ancora per qualche tempo il lotto.

Dalle rendite patrimoniali dello Stato necessario

togliere l' entrata delle strade ferrate che son vendute,

e la rendita degli stabili appartenenti al demanio, sic-

ch da 45 milioni circa rimangono ridotte a soli W.

Riducendo la tassa della lettera semplice a dieci

centesimi nell'interno dello Stato, organizzando in quel

1 Noi abbiamo motivo di affermar questo, perch nell'anno scorso e

nel 1863 per cattiva foglia non rispondente ai patti del contratto, lo

Stato perdeva pi di un milione sulla sola materia prima del tabacco.

* Del credito fondiario in Italia, per Carlo de Cesare, pag. 26,

Torino, 1863.

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modo che da noi si detto il servizio pubblico delle

Poste e dei Telegrafi, vegliando sull'abuso dei pub-

blici uffizi nel servirsi del telegrafo, i proventi del ca-

pitolo dei servizi pubblici possono salire dai 28 milioni

ai 35.

L'entrate eventuali, incluso il rimborso delle spese,

possono ritenersi nelle cifre segnate dal bilancio pre-

sente, cio per 14 milioni circa. L'entrate ordinarie

adunque secondo il novero delle imposte dirette e in-

dirette da noi presunte ascenderebbero a 690 milioni,

e si porrebbero in via di progressivi aumenti stante la

tenuit delle tasse ch' il principio fondamentale di

tutto quanto il nostro sistema. Le tasse minime danno

proventi massimi e progressivi; le tasse gravi fanno

diminuire gradatamente i proventi, ovvero li rendono

stazionari.1

Di fronte all' entrata ordinaria presunta nel bilan-

cio del 1864 abbiamo un aumento col nostro sistema

non lieve. Imperocch l'entrata presunta pel 1864 fu

di 513 milioni, e secondo il nostro piano risulterebbe

1 II bilancio attivo, secondo il nostro sistema, sarebbe il seguente:

Imposta sui fondi stabili rustici ed urbani. . . L. 150,000,000

Imposta sui redditi della ricchezza non fondiaria. 070,000,000

Imposta sul trapasso di propriet e sugli affari. . 100,000,000

Dazi di confine 080,000,000

Dazio interno di consumo 050,000,000

Privative 140,000,000

Lotto 040,000,000

Rendite del patrimonio dello Stato 011,000,000

Proventi di servizi pubblici 035,000,000

Entrato eventuali e concorso alle spese e rimborsi. 014,000,000

Totale L. 690,000,000

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di G90; sicch vi sarebbe un aumento di 177 milioni,

senza ricorrere a nuove tasse.

Le spese del ministero delle Finanze pel bilancio

ordinario sorpassano i 390 milioni, e sono ben gravi.

Non possibile ridurre la cifra del debito pubblico ch'

inalterabile, tranne che non si voglia fare una conver-

sione di rendita, cosa difficile ad operarsi nelle presenti

condizioni finanziere ed economiche del Regno. Le pen-

sioni vitalizie con l' ultima legge sulle pensioni sono

equiparate al debito dello Stato, e quindi non si pos-

sono pi mettere in questione. Ma vi sono spese che

possono agevolmente ridursi e in misura seria. Le spese

di percezione attualmente ascendono a cento milioni:

le dogane e privative costano pi di cinquanta milioni,

e cinquanta la fondiaria, il registro e le altre tasse.

Escluso l'acquisto dei sali e tabacchi, le nostre perce-

zioni assorbono il 13 per 100, cosa straordinaria a petto

delle spese di percezione degli altri Stati civili di Europa.

Regolando meglio la Direzione delle Gabelle; ponendola

in immediata relazione del Ministero; sopprimendo gli

uffici doganali di nessuna importanza, e ce n' ha molti;

restringendo il personale delle Direzioni provinciali e

della stessa Direzione Generale, il servizio delle Dogane

e privative pu benissimo compiersi con soli 35 milioni

di spesa.

Per le altre percezioni il servizio potrebbe farsi

col mezzo dei percettori comunali, i quali non hanno

diritto n a stipendio, n a pensione. Cotesti percettori,

od Esattori darebbero una cauzione proporzionata alle

riscossioni annuali, e verserebbero in ogni due mesi

i proventi delle tasse nella cassa del ricevitore provin-

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ciale. I percettori avrebbero soltanto un diritto di per-

cezione graduale. Per esempio, ai percettori comunali,

la di cui esazione non oltrepassa 3000 lire il 2% per 100:

per le riscossioni dalle 3000 alle 30,000 il 2 per 4 00:

per le riscossioni da 30,000 a 1 00,000 l' 1 '/, per 100:

per le riscossioni infine dalle 100,000 lire in sopra

1 per 100. In tal modo le spese di percezione da 50

milioni scenderebbero a soli 21 , oltre i vantaggi sul

fondo delle pensioni.

Il passaggio della cassa dei depositi e prestiti al

Ministero d'Agricoltura e Commercio, e quindi la re-

lativa spesa; la diminuzione della lista civile per tre mi-

lioni, la riduzione del personale delle Direzioni generali

e dello stesso ministero delle Finanze darebbero una

diminuzione di spesa per altri sei milioni.

Con l'attuazione del nostro progetto di perequa-

zione dell' imposta fondiale cesserebbero i lavori del

catasto parcellare nelle antiche provincie pel quale si

sono spesi sinora 8 milioni, e se ne richiedono almeno

altri 10. Con j'adozione infine del nostro progetto pel

dazio di consumo si otterrebbero altri 2 milioni e 200

mila lire di riduzione nella spesa, quanto costa il ser-

vizio della tassa presente.

Per tutti cotesti servizi vi sarebbe la diminuzione

totale nel bilancio ordinario passivo del Ministero delle

Finanze di 50 milioni ; il quale si ridurrebbe a 340 mi-

lioni.

La totale spesa ordinaria adunque del bilancio ge-

nerale in 787 milioni verrebbe ridotta secondo il nostro

sistema a 602 milioni; e quello del bilancio straordi-

nario da 140 a 50. Vi sarebbe un avanzo attivo di

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38 milioni, che vogliamo pur sagrificare alla esattezza

pi scrupolosa delle previsioni. Il pareggio per sarebbe

certo.

Non ignoriamo che vi sono 235 milioni di disa-

vanzo a colmare pel 1864, e forse altrettanto sar

quello del 1865; ma a cotesti disavanzi uniti potr prov-

vedersi o con operazioni finanziere, o colla conversione

dei beni ecclesiastici che aprir una larga sorgente di

entrate alla Finanza, tranne che i beni ecclesiastici non

si sciupino come i demaniali facendo la fortuna di po-

chi industriali, e il danno della economia nazionale e

del pubblico Tesoro.

Da ci si rileva che il nostro sistema non si poggia

sopra nuove imposte, sopra gravosi balzelli e di diffi-

cile riscossione; ma invece si fonda sopra i dazi minimi

e fecondi, su i mezzi pi facili e men dispendiosi delle

riscossioni, e sulla riduzione dei lussuosi e intralciati

servizi pubblici. Oltracci, il nostro sistema attua effet-

tivamente il pi largo decentramento, costituisce il Co-

mune e la Provincia, e rende agevole l'amministrazione

al Governo.

Il nostro sistema constadi poche leggi di finanza,

le quali hanno una certa elasticit finora ignorata dai

molti. Con esse si potranno accrescere o scemare le

entrate, a misura che cresce o scema la ricchezza , e

secondo i bisogni dellg Finanza.

Col nostro sistema si sopprime quella farraggine

di leggi contraddittorie ripudiate dalla scienza e dal-

l' arte dei migliori goverpi costituzionali, le quali non

sono neanche giustificate dalle vere e positive condi-

zioni economiche delle varie provincje italiane.

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Col nostro sistema si sa quello che si vuole, e

dove si va; si conosce la base su cui poggia l' ammi-

nistrazione generale dello Stato, e si eliminano gli

equivoci, le menzogne ufficiali, le vane promesse, le

incertezze, l'ignoto. Per esempio, il Ministero Lamar-

mora mena vanto d'aver fatto 60 milioni di risparmio

su i bilanci, ed vero; ma dove cade il risparmio?

Sul bilancio straordinario; mentre si allarga la base

dell'ordinario, il quale da 787 milioni sale sino ad 807.

Chi sa che il bilancio ordinario la vera base dell'am-

ministrazione, intender assai bene che le nostre con-

dizioni amministrative van peggiorando in luogo di

migliorare progressivamente. Con ci si rende assai pi

aperto che l'Italia manca di un sistema amministrativo.

Sar buono il nostro? Non osiamo affermarlo; per

qualunque siano i suoi difetti, sempre un sistema

compiuto nell'interesse del Comune, della Provincia,

e dello Stato: un sistema che attuato sollecitamente

e con fermezza pu condurci in breve tempo al pa-

reggio dell' entrate e delle spese con maggiori pro-

babilit di quelle che si augurarono i passati e i pre-

senti ministri coi loro piani finanzieri improvvisati in

un' ora di sogni beati.

Il nostro sistema richiede soltanto al governo della

cosa pubblica uomini coraggiosi, fermi, non vaghi di

efimera popolarit, n proclivi a continue transazioni.

Si dice che la politica fondata sulle transazioni, e sia;

ma l'amministrazione per lo contrario si fonda sopra

principii immutabili, e guai a coloro che trattano l'am-

ministrazione come la politica. Il nostro sistema dunque

richiede uomini di fede e di giovani spiriti, uomini che

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non scambiano il passato coll'avvenire, senza avve-

dersene. Bisogna esser giovani e fidenti, scrisse test il

pubblicista Bonghi al buon ministro Vacca, per osare e

fare; chi non ha questo coraggio vecchio almeno di

spirito. La frase giusta e vera, e noi la pigliamo a

bandiera del nostro sistema.

CAPITOLO X.

Conclusione.

Noi abbiamo bisogno di equilibrare V elemento po-

litico e l' economico in Italia per metterci in condizione

di fare due cose eccellenti: organizzare internamente

l0 Stato e apparecchiarci ad affrontare tutti gli eventi

possibili nell' avvenire. Dobbiamo organizzare lo Stato

in guisa da non patire scosse pericolose, dissolvitrici,

sia per rivolgimenti interni, sia per mala fortuna di

guerre esterne. La Francia pass attraverso di molte

rivoluzioni nel giro di ottantanni; la Francia com-

batt guerre infinite; conquist una gran parte d' Eu-

ropa; riport segnalate vittorie; pat rovesci dolo-

rosi; mut Jte le forme possibili di governo : abbatt

dinastie ri-ti se e repubbliche sociali e democratiche;

sub l'occupazione straniera, il trionfo degli alleati che

dettaron leggi sin dentro Parigi; ma tutti codesti av-

venimenti non prostrarono le forze della societ france-

se ; non scossero le basi dei suoi ordinamenti interni;

non rovesciarono la sua autonomia; non abbatterono

1l suo coraggio ; la Francia stette salda su i suoi piedi,

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perch saldo era il fondamento dell' assetto amministra-

tivo, della codificazione, del regime finanziere del si-

stema militare. Noi, adunque, abbiamo assoluta neces-

sit di elevare un edilzio amministrativo, legislativo,

finanziera e militare da resistere egualmente a tutti

gli eventi, a tutte le scosse, a tutte le sventure che

potessero piombarci addosso. Forse erriamo, forse non

sappiamo dar conto a noi medesimi di quello che si

fatto sinora nel ramo finanziera ed amministrativo in

generale; forse siamo anche soverchiamente passio-

nati nelle nostre vedute ; ma non possiamo n vogliamo

negare che l' attuale ordinamento di tutte quante le no-

stre amministrazioni dispendiosissimo, non va, non

cammina, non soddisfa, non raccheta la coscienza pub-

blica. In tutto il Regno si avverte, si prova, si sente

un certo disagio, un certo malessere che non si pu,

n si dee nascondere. Noi abbiamo voluto indagarlo,

esaminarlo, approfondirlo, e dobbiamo dire apertamente

che scaturisce dalle amministrazioni cos comunali, che

provinciali; tanto locali, che centrali. I partiti avversi

al presente ordine di cose usufruttano a loro vantaggio

cotesto malessere che si manifesta da per tutto, e

gridano a pi non poterne: si stava meglio prima!

Grido insensato, grido ingiusto; ma che non lascia di

fare una certa impressione sulle moltitudini fatte per

sentire e non per giudicare, soggette alle sinistre in-

fluenze di preti e frati a cui sta tutt'altro a cuore,

fuorch l'altare; collocate tra due opposte correnti,

cio tra chi vorrebbe precipitarle in movimenti incom-

posti ed anarchici con promesse di migliore avvenire,

e chi vorrebbe tirarle indietro con le ricordanze di un

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passato che si dipinge migliore del presente. E vero,

prevale il buon senso delle popolazioni; i partiti av-

versi non sono ascoltati che dai pochi, l'amore alla

monarchia ed alle libere istituzioni sta saldo contro

tutte le seduzioni e le male arti dei nemici della pa-

tria; ma non perci l'accorto politico non deve guar-

dare all' avvenire e preoccuparsi delle possibili trasfor-

mazioni della opinione pubblica, quando i voti dei pi

e i bisogni dell' universale non sono satisfatti. Il males-

sere non deriva che dalla cattiva amministrazione, e

per questo la minor parte di colpa cade sul governo

centrale. I maggiori colpevoli sono i partiti che han

voluto mutare sinanco il pacifico ed operoso campo

delle amministrazioni comunali in arene di bollenti pas-

sioni politiche. Oggi con grave danno della cosa pub-

blica vediamo le elezioni municipali trasformate in ele-

zioni politiche, e la soverchianza dell'elemento politico

sull' amministrativo incaglia le ruote della macchina

governativa dal Comune alla provincia, e dalla provin-

cia allo Slato. In ci il governo centrale, lo ripetiamo

anche una volta, non pu portar rimedio direttamente,

ma pu influire in modo indiretto con la scelta del per-

sonale dei prefetti, e dei sindaci che sono i rettori del

Comune e della provincia. Quanto bene non pu fare un

prefetto illuminato, operoso, instancabile, energico, co-

raggioso! Quanta influenza non pu esercitare su gli

animi dei suoi amministrati con la giustizia, con l'atti-

vit, con l'amore pel pubblico bene! Quanti esempi in-

fine di annegazione, di fermezza, di generosit non pu

offrire agli amministratori dei Comuni, ai funzionari

pubblici, ai semplici cittadini! N ci si dica che sono

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difficili a trovarsi simili prefetti; perch noi dispere-

remmo delle sorti d'Italia, se in ventidue milioni d'Ita-

liani non ci fossero cinquantanove eccellenti prefetti;

se non ci fossero uomini capacissimi per coprire le ca-

riche di procuratori generali, di presidenti e procura-

tori di tribunali, di direttori delle grandi amministra-

zioni centrali e locali. Bisogna guardare alla capacit,

all'attitudine personale, all'ingegno addottrinato, al-

l' uomo operoso franco e leale, e pigliarlo da qualunque

posto, ove si trova; dal Senato, dalla Camera dei De-

putati che sono i due semenzai naturali degli ammini-

stratori, dai banchi, dalle amministrazioni locali, dagli

uffici diversi, ne' quali ha saputo mostrare capacit ed

attitudine a governare. Quello che pi urge all'Italia

libera di avere eccellenti amministratori; quando li

avr, le cagioni del malessere presente cesseranno. Ma

per ottenere cotesto scopo non basta il talento e l'atti-

vit del governo centrale, non bastano i consigli dei

sapienti patrioti, non bastano le stesse deliberazioni del

Parlamento; ci occorre eziandio l'ausilio, il buon vo-

lere, l'operosit dei cittadini. Su questo amiamo spie-

garci meglio, e dire il vero a tutti. Le adulazioni ai

popoli sono peggiori di quelle ai Re ed ai Governi; e

noi non vogliamo adular nessuno.

Un popolo, uno Stato, una Nazione non si forma

senza patir prima molte amarezze, molti disinganni,

molti disordini, infiniti dolori. I trionfi della libert e

dell' indipendenza furon sempre preceduti da una lunga

sequela di mali e di sacrifizi. Una Nazione non prende

il suo solido assetto senza lotte di partiti, senza gare

politiche, senza ardenti ambizioni, senza combattimenti

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nella stampa, nel Parlamento, nelle scuole, dappertut-

to. Una Nazione infine non si consolida che a prezzo di

abnegazioni, di sacrifizi, di operosit, e tutto ci an-

che dopo che avr versato fiumi di sangue ed oro per

riacquistare la perduta indipendenza e la libert. Tutto

questo noi lo comprendiamo e spieghiamo col corso

naturale del periodo di formazione ch' sempre dolo-

roso; lo giustifichiamo coi motivi che la storia stessa

delle nazioni civili ci presenta; lo dichiariamo necessa-

rio, e quindi l'accettiamo. Ma nell'accettarlo, non dob-

biamo porci da banda sia nell' aiutare il governo che ci

abbiamo prescelto, sia nel lavorare ad uno scopo co-

mune. La inerzia se crea miserie nel campo economi-

co, nel politico uccide. E per non osiamo chiamare

onesti e veri patrioti coloro che dopo aver ottenuto un

uffizio lucroso nel governo liberale, non si danno pi

un pensiero della cosa pubblica, neanche quello del-

l' esercizio del diritto elettorale. Non osiamo chiamare

buoni cittadini coloro che dicono di amare e volere il

governo della libert, e poi maledicono il governo come

ente morale. Non osiamo infine stimare come eccellenti

patrioti quelli che farebbero qualunque sacrifizio pecu-

niario per la patria; ma non operano personalmente

nell'interesse della cosa pubblica, si pongono in di-

sparte, dichiarano di voler vivere tranquilli a casa pro-

pria; e poi si dolgono, ed accusano il governo se i partiti

turbano la pace pubblica, se incutono loro spavento, se li

cuoprono di calunnie e contumelie. Il regime della libert

campo di operosit, e chi non opera, chi non lavora

pi colpevole di colui che turba la tranquillit pub-

blica. Il conseguimento dei fini del governo liberale non

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246

dipende che dall'accordo dell'azione privata con la pub-

blica, ed entrambe indirizzate ad un solo ed unico

scopo; ove questo accordo manca non possibile a

niuno di fare il bene nell ' interesse pubblico. In Italia

per antichi malori di pessimi principi e governi vo-

gliamo tutto dall'azione governativa, ma non vogliamo

far nulla pel governo, pronti sempre a maledirlo sia che

faccia bene, o male. Coteste antiche opinioni ormai bi-

sogna bandirle, e pensare che il governo libero siamo

noi, e che il bene e il male dipende da noi medesimi.

Il potere oggi in Italia somiglia al Golgota, sul

quale chi vi sale dev' esser crocefisso. Poniamo pure in

croce gli uomini politici che vi salgono; ma lasciamo

intatta, forte, riverita l'autorit del governo come ente

morale, circondiamola del nostro appoggio, del nostro

concorso, del nostro voto, della nostra forza, e cos

avremo rendute pi accette le leggi e pi rispettata

l'autorit di esse, e di coloro che sono chiamati a farle

eseguire. Restaurala l'autorit della legge, ogni cosa

volger a bene. Il nostro supremo bisogno questo, e

tutti ormai dovrebbero comprenderlo, non fosse altro

che nel proprio interesse di cittadini.

Oltracci, tutti gli amministratori locali e provin-

ciali dovrebbero assiduamente occuparsi dei modi

come accrescere la prosperit pubblica del Comune, e

della Provincia. Chi misura dall'entrate e dalle spese

del pubblico Tesoro, dal lusso delle grandi citt la

prosperit generale del Regno; ovvero chi dall' ac-

cresciuto commercio, dalla creazione di nuove fortune,

dall'introduzione di novelle industrie, dall'aumento

delle ferrovie e delle strade ordinarie argomenta la

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- 247

bont in generale di tutto un sistema economico, s'in-

ganna a partito. L'industria dei popoli cos rigorosa

che giunge a resistere per moltissimi anni a tutte le

spese pi enormi del governo, a tutti gli ostacoli del-

l'amministrazione pubblica, ed ove non ci fossero gli

esemp dell'Inghilterra e della Francia, potrebbero ba-

star quelli dei passati governi degli ex-Stati italiani che

sono pi recenti. Anche un governo prodigo non giun-

gerebbe mai ad esaurire intieramente le sorgenti della

pubblica ricchezza, la quale mantenuta dalla costanza

del lavoro. Noi per questo non ci dobbiamo accontentare

del presente in fatto di mezzi economici ; ma dobbiamo

sforzarci ad aprire nuove fonti di ricchezza al Regno,

e questa opera che dipende in gran parte dalla nostra

attivit; ma dipende pure dall'azione governativa e dal

Parlamento.

Noi non ignoriamo che il miglior sistema eco-

nomico quello in cui i privati hanno il maximum delle

faccende, e il governo il minimum degli affari; ma nelle

cose d'ordine pratico non basta citar massime; non

basta prescrivere i mezzi diretti a produrre un fine

qualunque; in quella vece conviene osservare se la

massima applicabile alle disposizioni sociali, e se i

mezzi si possono eseguire. In ci sta la grand' opera

dell' uomo di Stato.

In talune nazioni i governi a noi paiono piutto-

sto moderatori che iniziatori di civilt, e da ci argo-

mentiamo che in tutti gli altri possa e debba farsi Io

stesso. Questo non saper misurare i diversi gradi di

civilt,,non saper dare il loro giusto valore alle cose.

Ove tutto gran moto nelle transazioni della vita civile,

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- 248 -

ove il commercio e l'industria mettono in contatto uo-

mini e idee, persone ed interessi ; ove le imprese eco-

nomiche si producono, si aggrandiscono, si fecondano

in mille modi; ove l'ingegno in cima a tutte le cose

e si reputa la prima potenza del mondo; ove il lavoro

non depreziato e le invenzioni ricevon tosto applica-

zione e ricompensa; ove l'ozio si guarda come una

colpa, e la pubblica prosperit non l'ultimo pensiero

dell' uomo individuo, quivi i governi non hanno altro

compito se non quello di osservare, vegliare, studiare

e moderare all'uopo il movimento unanime e spontaneo

di tutto un popolo verso le cose utili ed eccellenti, cos

nell' interesse privato che ne! pubblico.

Ma dove, per lo contrario, il moto universale

lento; l' associazione sconosciuta; la diffidenza grande

in tutte le intraprese ; il commercio nascente, od inca-

gliato all' interno per mancanza di facili vie di comuni-

cazione; l' egoismo smisurato; il credito scarso e non

compreso nei suoi risultameli; l'agricoltura male in-

dirizzata e priva di capitali; il contatto degli uomini,

delle idee e degl' interessi sterile e timoroso; il lavoro

non considerato come la pi sacra propriet che vi sia;

l'ignoranza grandissima delle dottrine e faccende eco-

nomiche, non possibile che il politico sapiente, Io

scrittore coscienzioso, l'economico che ama davvero la

prosperit della patria, possa dire all' amministrazione

pubblica : guardate, vegliate, ma non v'ingerite affatto

nelle nostre cose economiche. In quella vece ei deve

spronare il governo in tutt'i modi a farsi iniziatore

delle cose utili ; .poich il popolo non ha fede che nelle

sole intraprese promosse dal governo; non ha fiducia

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- 249

che nella sola promessa dello Stalo; non ha opinione

che per le sole cose fatte e dette dalla pubblica ammi-

nistrazione.

Non ignoriamo noi che questo un male nei

popoli avanzati in civilt; ma diventa un gran bene in

quelli che appena cominciano il faticoso viaggio del

progresso economico e dell' incivilimento; ivi l'inge-

renza governativa diventa tirannia, e guasta tutto; quivi

invece diventa azione benefica e diremmo quasi prov-

videnziale. Lo svolgimento economico ancora ignoto

in Italia, questo un fatto inoppugnabile ; e l'apatia, la

sfiducia, il timore cresce per le imprese private, so-

prattutto negli Stati agricoli. Tale la nostra condizio-

ne, ed perci che l'azione governativa deve farsi

appo noi iniziatrice, consigliatrice, promovitrice di tutto

ci che pu meglio giovare, di tutto ci che abbisogna

alla nostra principale industria, anzi esclusiva, qual

l'agraria. Per noi l'aspettare che altri faccia da s,

senza incitamento, senza esempio, senza la parola on-

nipossente del governo, non il miglior consiglio.

Possiamo ingannarci ; l'amore del pubblico bene

potr farci velo all' intelletto; il desiderio ardenlissimo

di giovare alla patria nostra potr indurci in errore;

n)a non possiamo per non dire con l' antico finanziere

francese Turgot: ci che io lodo assai pi in Cristoforo

Colombo non d'aver egli scoperta V America; ma d'es-

sersi impegnato a scoprirla su la fede d' una idea.

Per buona ventura quello che noi scrivemmo

nel l857 per l'ex-regno delle Due Sicilie applicabile

1 Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole ce. per

Carlo de Cesare, pag. 97, 98, 99, Napoli, 1859.

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al Regno d'Italia, e pu ben ripetersi nel 1864. Ma

nel Parlamento stesso vi sono uomini che non inten-

dono siffatte cose, che ignorano perfettamente le con-

dizioni economiche d Italia e i gradi di civilt in cui

siamo, e credono in buona fede che tra noi il popolo

possa fare tutto ci che si opera in Inghilterra dopo

sette secoli di libert e il pi ampio svolgimento indu-

striale agricolo e commerciale. Essi vogliono che tutto

sia modellato all'inglese, senza guardare allo Statuto,

alle libert, all'economia, ai costumi, all'istruzione, alle

condizioni naturali e geografiche dell' Inghilterra. Altri

si tengono stretti alla pi servile imitazione delle leggi

e dei regolamenti francesi; altri propugnano per le

istituzioni del Belgio e vogliono applicarle a noi; ma

nessuno, per Dio, osa far rampollare dal vecchio tronco

della antica civilt italiana qualche cosa di puramente

italiano; nessuno osa guardare osservare e cernere i

nostri bisogni e cavare da essi leggi e regolamenti,

indirizzo e pratiche economiche, senza sconoscere i be-

nefizi delle nuove dottrine e della nuova civilt.

Eppure, coloro che propugnano coteste idee, e

sono i pochi; coloro che dicono: studiamo le condizioni

reali, effettive, presenti della societ italiana;indaghiamo

i suoi bisogni reali e non fittizi; cerchiamo di misu-

rare i diversi gradi di civilt di cui sono in possesso

le pi popolose contrade del Regno. consideriamo in

s stessa e nella sua potenza espansiva la presente

ricchezza d'Italia; facciamo leggi finanziere che non

urtino nelle abitudini delle popolazioni; occupiamoci a

far fruttare coteste leggi merc un sollecito, onesto ed

operoso servizio pubblico; correggiamo di mano in

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mano gli errori di esse; modifichiamo quello che non

trova modi di facile applicazione; giudichiamo gli uo-

mini e le cose quali sono, e non quali dovrebbero es-

sere, o saranno nell'avvenire ; facciamo una legge pro-

vinciale e comunale ispirata a cotesti principii, all'esame

pratico della condizione morale ed economica del popolo

italiano; creiamo un sistema amministrativo che sia

nostro, fondato su i veri nostri bisogni profondamente

studiati; rifreniamo i voli pindarici della politica, ab-

bandoniamo quei principii vaghi indeterminati ideali che

campano in aria ; avviciniamoci assai pi alla terra sulla

quale fummo collocati e che ci regge in piedi ; cerchiamo

di procedere per gradi e non per salti se non voglia-

mo fiaccarci il collo, e imitare il volo d Icaro; pigliamo

il popolo qual' e indirizziamolo pacatamente per le vie

del progresso, della istruzione soda e fruttuosa, della

conoscenza perfetta dei suoi diritti e doveri, del lavoro

e dell' operosit; facciamogli entrare nel cuore e nella

mente il vero concetto della libert e dell' indipenden-

za , e non il suono soltanto di questi santissimi nomi

nell' orecchio e nella bocca; siamo uomini infine di

senno pratico e non semplici idealisti utopisti o sogna-

tori, tosto da un lato senti risponderti: costui un

uomo governativo, un moderato, un ministeriale,

non sa di che capace il popolo quando opera da s:

dal lato opposto senti gridare: queste sono teorie,

pure teorie che a nulla valgono; sono i regolamenti

invece che fanno i popoli e le amministrazioni. E cos

gli uni e gli altri palliano la propria ignoranza o con

l'ingiuria volgare, o col sarcasmo pettegolo e vanitoso.

E gli uni e gli altri non sanno che l'ingegno la prima

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- 2S2

potenza del mondo, che l ' ingegno il fattore vero della

civilt, quando fortificato dagli studi e dalla virt del

bene intendere e praticare le cose.

Che altro la teoria se non una deduzione lo-

gica di fatti costanti e ripetuti, ordinata formolata ed

annunziata dai grandi ingegni che ne han fatto l'espe-

rienza? Vi sono forse due verit opposte, due contrarie

conseguenze cavate dagl'identici principii? Sar mai

vero che una dottrina eccellente in teoria diverr ro-

vinosa in pratica? Sarebbe bella, diceva Antonio Geno-

vesi, che {problemi meccanici fossero dimostrati veri in

teoria, e poi si trovassero falsi in pratica. Volete sapere

quali sono quelle teorie belle in astratto, e nocevoli in

pratica? Quelle a cui mancano dei dati: e allora sono

dottrine egualmente false in teoria e in pratica.1 L'igno-

rante, colui che nulla sa, ovvero va per le nuvole cer-

cando un bene che agogna e non pu trovare, suole

sempre trincerarsi in una pratica che non possiede e

non pu possedere come senso retto delle cose, per

non riconoscere l'ingegno e la dottrina. Per la qualcosa

la guerra dei sedicenti pratici contro i dotti e gli uo-

mini abili stata, e sar sempre la guerra degl'igno-

ranti contro i sapienti, dei miseri empirici contro gl'in-

gegni sodi e gagliardi.

La scienza la conoscenza delle leggi che le-

gano gli effetti alle cause, cio a dire dei fatti ad altri

fatti. Or chi conosce meglio i fatti quanto il sapiente

che li conosce tutti e sotto diversi aspetti, e sa i rap-

porti che hanno tra loro ? E che cosa la pratica senza

la teoria, cio a dire l'impiego dei mezzi senza sapere

1 Lezioni di economia civile, parte I, cap. XVIII, XXXIII.

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come e perch operano?1 Coloro che fan consistere

tutta la sapienza umana in ci che si vede con gli oc-

chi del corpo, non saranno mai n buoni amministra-

tori, ne sapienti legislatori, n uomini di Stato, n

politici sennati e preveggenti, n valorosi capitani, n

solerti uomini di affari. *

Cotesti giudizi avventati, coteste lotte convien che

cessino, se vogliamo veramente il bene della patria.

Noi abbiamo il dovere di collocare maggior fiducia di

quella che abbiamo nelle forze dell' ingegno; ma per

nostra sventura le pi aspre accuse, gli sdegni pi fe-

roci, le invidie pi astiose sono rivolte contro l'ingegno

e il merito sodo oggi in Italia, e ci anche per ragioni

politiche. Perch l'ingegno e la dottrina trovansi nel

campo del gran partito liberale che forma la maggioranza

nel Parlamento e nella Nazione, i partiti estremi colle-

gati insieme non rompono lancie cavalleresche; ma

lanciano insulti e contumelie contro cotesta maggioran-

za, e credono che l'oltraggio valga per ragione, onde

trasformare i molti in pochi. I tentativi sinora sono

abortiti; la Nazione ha riso delle diffamazioni scagliate

a danno dei pi, e la maldicenza ha avuto un successo

eguale alle scomuniche papali nella pubblica opinione.

A noi non reca punto meraviglia la non invidiabile

condotta dei partiti estremi; ella fu sempre tale e nelle

repubbliche di Sparta e di Atene, e sotto il possente

Stato di Roma antica, e nei Comuni italiani, e sotto

qualunque forma di governo, e in ogni tempo. La Fran-

1 Storch, Cours tfconomie politique, tom. 1, numero 26.

1 Della protezione e del libero cambio, per Carlo de Cesare, 2 edi-

zione.

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cia fa collocata a capo della nuova civilt europea da

Napoleone I, e appunto quando ci accadeva, i partiti

estremi collegati insieme calunniavano, ingiuriavano,

coprivano di fango il grande riformatore e salvatore del

popolo francese. All' udire i partiti avversi al genio ed

alla gloria di Napoleone, era lui che aveva assassinato

Kleber in Egitto; bruciate le cervella a Desaix a Ma-

rengo , strangolato Pichegru nella sua prigione. La morte

di Kleber, diceva intanto Napoleone a Sani' Elena col

linguaggio della pi grande verit, mi fece perdere

l'Egitto, ed io 1' avrei assassitiato! L'arrivo di Desaix

salv la battaglia di Marengo, ed io i'avrei ucciso nel-

l'atto che mi rendeva un servizio di tanti altri promet-

titore ! Pichegru alla testa del suo esercito avea commesso

degli atti di fellonia, per cui Moreau lo denunziava. Lo

sciagurato erasi da se fatto torto abbastanza, per togliermi

la briga d'immischiarmene, e, conoscendolo, avea voluto

uccidersi, spegnendo seco la sua gloria. E intanto si vuole

che io li abbia uccisi tutti e tre! Il carattere principale

della calunnia non soltanto d' essere malvagia, ma anco

assurda. La malvagit una passione s violenta da riu-

scire ben presto alla stupidezza. Quando si giovani,

ardenti ed alteri, all' udire ci eh' essa dice, si prova sde~

gno e si mossi a stomaco; con V andare del tempo vi

si fa l'abitudine, n altro si desidera se non eh' essa tra-

smodi, perch allora ella stessa vi giustifica e vi vendica.1

Tutte le capacit ormai, tutti gl'ingegni, tutte le

probit, tutf i nomi pi illustri e benemeriti sono pas-

sati attraverso le calunnie dei partiti estremi, e perci

1 Thiers, Storia del Consolato e dell'Impero, tom. 24, pag. 114

e H5; Torino, 1862.

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sono apparsi pi belli e pi onorati agli sguardi della

Nazione. Di ci non si pu, n si dee tener conto,

quando si sa la calunnia donde parte; ma quello di cui

assoluta necessit tener conto severo questo, che i

partiti estremi non dicano un giorno: voi liberali mo-

derati aveste i destini della patria nelle mani, e li per-

deste; voi, con tanti ingegni preclari, con tante dottrine,

con tante pratiche governative non sapeste neanche

organizzare un solido sistema di amministrazione nel

Regno; voi, non sapeste essere neanche maggioranza

unita compatta e forte in Parlamento per condurre a

termine la grande impresa legislativa d'Italia. Questo

grido, ove mai si avesse a verificare, suonerebbe ma-

ledizione contro i moderati sino alla pi tarda posteri-

t ; e noi nol vogliamo e nell' interesse della gran patria

italiana e in quello del partito a cui ci chiamiamo ono-

rati di appartenere. A Torino governo e parlamento

unificarono le leggi dello Stato: a Firenze governo e

parlamento debbono pensare seriamente a creare l' am-

ministrazione italiana. Il primo Parlamento fu unifica-

tore: il secondo debb' essere creatore.

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INDICE.

Proemio Pag. 3

parte prima.

Il Passato ed il Presente.

Capitolo I. Il potere politica e V economico 9

II. Le rivoluzioni e i partiti politici 22

' III. L'ordinamento del Regno Italiano 29

IV. Il Governo e il Parlamento 36

V. L'uomo di Stato 46

VI. Le Riforme economiche 58

VII. Sistema finanziero 71

VIII. La Codificazione e l'Amministrazione della Giu-

stizia 116

IX. L'ordinamento dell'Amministrazione civile. . . 127

PARTE SECOMDA.

L' Avvenire.

Capitolo I. Principii fondamentali della pubblica Amministra-

zione 138

II. Ordinamento dell' Amministrazione civile. ... 143

III. Ordinamento dell'Amministrazione giudiziaria. . 156

IV. Ordinamento dell' Amministrazione dell' Istruzione

Pubblica. 167

V. Ordinamento dell'Amministrazione de' Lavori Pub-

blici 175

VI. Ordinamento dell'Amministrazione dell'Agricoltura

Industria e Commercio 187

VII. Ordinamento dell' Amministrazione della Guerra e

Marina * 195

Vili. Ordinamento dell' Amministrazione degli Affari

Esteri 205

IX. Ordinamento dell'Amministrazione Finanziera. . 211

X. Conclusione 241

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