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Un palinsesto foscoliano in Carducci

Prendiamo Il bove di Giosue Carducci1.


Tamo, o pio bove; e mite un sentimento di vigore e di pace al cor minfondi, o che solenne come un monumento tu guardi i campi liberi e fecondi, o che al giogo inchinandoti contento lagil opra de luom grave secondi: ei t'esorta e ti punge, e tu co l lento giro de pazenti occhi rispondi. Da la larga narice umida e nera fuma il tuo spirto, e come un inno lieto il mugghio nel seren ar si perde; e del grave occhio glauco entro laustera dolcezza si rispecchia ampio e queto il divino del pian silenzio verde.

un sonetto indubbiamente celebre, uno dei pi celebri della letteratura italiana in generale, e della produzione letteraria carducciana in particolare. Ha, per cos dire, unaria di famiglia. Ma la sua aria di famiglia non proviene solo dalloggettiva familiarit che abbiamo con esso -risalente per qualcuno ai tempi della scuola (ma da almeno una quindicina danni praticamente nessun insegnante lo propone pi agli studenti), per qualcun altro a un sentito dire o a letture personali-, ma da qualcosa di pi profondo, di meno conscio, tanto poco conscio che, a quanto mi risulta, nessuno lo ha messo in luce, lo ha portato alla coscienza, se non propria personale, almeno della comunit dei lettori. Ma andiamo per gradi. Il sonetto, incluso nelle Rime nuove, stato composto il 23 novembre 1872, e perci si inscrive allinizio della stagione matura del poeta toscano, che iniziava ad allontanarsi dalle giovanili accensioni che ad esempio lo portarono a comporre l Inno a Satana, e, segnato da lutti personali e delusioni storiche, procedeva, non senza ripensamenti e oscillazioni, verso la sua futura vocazione di poeta-vate della nuova Italia. Non assolutamente mia intenzione addentrarmi nellinterpretazione contenutistica che ha dato adito a disparate letture (per Luigi Russo documenta il gusto borghese della vita georgica, direi quasi p a d r o n a l e 2; Giovanni Getto, in polemica con Russo, ci legge un sentimento universale, parlando di una umanit di sempre, una georgica che pu essere fatta risalire tranquillamente a Virgilio, e il bove il simbolo di una vita al poeta negata, di una vita forte e serena, di unesistenza condotta in sanit e in pace3; Benedetto Croce elogia il sonetto -a parte linfelice, a suo dire, silenzio verde- in quanto vi sente lamore per lopera umana e per la natura che le collaboratrice con la sua terra feconda, col suo aere sereno, con le forze e le disciplinate attitudini dei suoi animali, e il benessere che da questa collaborazione si diffonde di vigore, di pace, di fiducia, di letizia 4 armonicamente compattati in un sonetto), e nemmeno esprimere un giudizio sulleventuale bellezza di questo sonetto (ad esempio, Natalino Sapegno lo annovera nelle pagine pi grige e fredde del Carducci letterato 5; invece Giuseppe
1 Cito da: Giosue Carducci, Opere scelte, vol. I Poesie, a cura di Mario Saccenti, UTET, Torino 1993, pp. 423-424. 2 Carducci senza retorica, Laterza, Bari 1957 (cito dalla ristampa 1999), p. 245 (lo spazieggiato del Russo). Larticolo da cui traggo la citazione del 1954, e condensa la stroncatura del Russo verso questo sonetto gi espressa lanno prima nellarticolo Di alcuni sonetti celebri del Carducci , apparso su Belfagor (VIII, 4) e ristampato nel succitato volume alle pp. 289-295. 3 Giovanni Getto, Carducci e Pascoli, Zanichelli, Bologna 1957, pp. 39-40 (lesame del presente sonetto contenuto nelle pp. 37-40). 4 Il sonetto Il bove (1941), in Benedetto Croce, Giosue Carducci. Studio critico, Laterza, Bari 19616, pp. 151-153, citazione da p. 151 (la prima edizione del 1920; le pagine su Il bove sono state incluse a partire dalla quarta edizione, del 1946). 5 Natalino Sapegno, Storia di Carducci (1949), ora in Ritratto di Manzoni e altri saggi , Laterza, Bari 1961 (cito dalla ristampa 1992), pp. 205-225; la citazione da p. 219.

Citanna lo mette fra le liriche perfette 6; e ancora Giovanni Getto lo definisce entusiasticamente un magnifico quadro che rimane, indimenticabile, fra i pi suggestivi del volume poetico carducciano 7) perch non questo che interessa, rientrando nel campo del soggettivo e dellopinabile (ad ogni modo, personalmente, a me questo sonetto piace). Occorre invece analizzarlo con un minimo di obiettivit, nella sua struttura testuale: e allora proviamo a descriverlo. Esso si apre con unaffermazione perentoria, tamo, seguita da uninvocazione al placido animale (e placido era infatti definito nella composizione iniziale, aggettivo subito sostituito dal polisemico, connotativo pio). Subito dopo il poeta (vv. 1-2) descrive gli effetti che la visione del bue produce nella sua anima, mite un sentimento di vigore e di pace, espressione in cui lanastrofe mette in evidenza la qualit del sentimento (come sottolinea anche laccento di sesta su una vocale acuta e perci risaltante come la i), e la dittologia fra due termini grosso modo antitetici, vigore e pace, anticipa quella che sar la doppia immagine, dinamica e statica, della figura del bue. Dopodich la figura del poeta, lio lirico, sparisce, o meglio si occulta, non si palesa pi esplicitamente, per lasciar spazio a varie scene o sequenze: il bue che contempla statico i campi, il bue che si sottomette docile e paziente al giogo impostogli dalluomo che lo sprona e lo punge (e queste prime due sequenze completano quanto affermato nellincipit: il sentimento di vigore e di pace infuso nel cuore del poeta da qualsiasi immagine, statica o dinamica, dellanimale, sia quando contempla, sia quando ara), il bue che respira e muggisce, loccho del bue che riflette il divino del pian silenzio verde. Non c realismo in queste sequenze, in quanto al bue sono ripetutamente attribuite connotazioni umane o riferibili alla sfera delle attivit umane (solenne, v. 3; contento, v. 5; pazenti occhi, v. 8; spirto8, v. 10; austera dolcezza, vv. 12-13), e in quanto tutto visto attraverso il punto di vista del poeta, che, se come si detto, smette di palesarsi al v. 2, informa di s e del proprio sentimento tutto il sonetto, comparendo in absentia ad esempio nella similitudine come un inno lieto (v. 10), o nellapparente apoditticit del verbo si rispecchia (v. 14), la cui soggettivit, a mio modo di vedere, denunciata in modo dissimulato attraverso il forte iperbato del v. 14, che mescola sinestesia (figura retorica per definizione soggettiva) e ipallage in quel silenzio verde che tanto fece storcere il naso a Benedetto Croce. Laggettivazione, poi, molto ricca, e laggettivo usato in tutte le sue possibilit sintattiche e stilistiche: dalla funzione predicativa (contento, v. 5), alla dittologia attributiva; dalluso (evocativamente?9) sinestetico (silenzio verde) a quello ossimorico sottolineato dallenjambement (vv. 12-13). La musicalit del sonetto si esplicita nel massiccio impiego di fonemi nasali 10 (particolarmente importante la presenza di un fonema nasale nelle rime delle quartine, -ento e -ondi, che crea un effetto di richiamo che va al di l della semplice consonanza, conferendo al dettato una cadenza fonosimbolicamente molle e dolce), nel sapiente uso degli accenti ribattuti di 6 e 7 (vv. 6, 8, 9, 11, 13; al v. 12 abbiamo accenti ribattuti di 3 e 4, e 6 e 7, con effetto di grande e solenne lentezza, consono allimpiego dellaggettivo grave, peraltro gi presente al v. 6, e anche l colpito da un accento primario, sulla settima sillaba, e perci ribattuto), nellassonanza tonica che lega ben quattro rime su cinque ( -ento, -era, -eto, -erde), nella presenza di rime ricche (sentimento - monumento, vv. 1 e 3; fecondi secondi, vv. 4 e 6; lieto - quieto, vv. 10 e 13), e nellassenza di asprezze allinterno dei versi (fonemi aspri e chiocci, per dirla con Dante, ce ne sono, ma sono armoniosamente uniti con la dominante dolcezza fonica). Variano questa per cos dire uniformit tonale i due enjambements ai vv. 78 (lento / giro) e 12-13 (austera / dolcezza), entrambi molto rilevanti per motivi differenti, il secondo perch una callida iunctura per giunta ossimorica, come si gi notato, il primo per una ragione che mi riservo di chiarire in seguito. Torniamo dunque al discorso iniziale: il sonetto celebre, famoso, ma c dellaltro. Il bove, a una lettura non voglio dire attenta, ma quanto meno non distratta n superficiale, rivela qualcosa, fa scattare una molla inconscia che spinge a chiedersi Dov che ho gi sentito questa poesia?. La molla inconscia
6 Giuseppe Citanna, Giosu Carducci, in AA.VV. Letteratura italiana. I maggiori, vol. II, Marzorati, Milano 1956, pp. 1161-1201 (citazione tratta da p. 1181). 7 Giovanni Getto, ivi, p. 37. 8 Di cui gi lo stesso Carducci ammetteva lambiguit semantica, potendosi interpretare come fiato e come anima (cfr. il passo della lettera ad Adolphine Gosme citato in nota in Opere scelte, vol. I Poesie, cit., a p. 424). 9 Nel senso che potrebbe trattarsi, come gi si visto, anche di ipallage. 10 Come fa notare Cosetta Seno Reed, Lettura de Il Bove di Carducci, Italica, 85, 1 (2008), pp. 76-87.

innescata dal fatto che Il bove in realt un palinsesto, nel senso genettiano 11 del termine. Una riscrittura, in pratica. Il testo che c sotto la superficie bovino-carducciana un testo che pi antitetico non potrebbe essere: il sonetto alla sera di Ugo Foscolo, Forse perch della fatal quiete. Leggiamolo12.
Forse perch della fatal quete Tu sei limmago a me s cara vieni O Sera! E quando ti corteggian liete Le nubi estive e i zeffiri sereni, E quando dal nevoso aere inquete Tenebre e lunghe alluniverso meni Sempre scendi invocata, e le secrete Vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co miei pensier su l'orme Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge Questo reo tempo, e van con lui le torme Delle cure onde meco egli si strugge; E mentre io guardo la tua pace, dorme Quello spirto guerrier chentro mi rugge.

Molto pi dei settantanni (il sonetto foscoliano si pu approssimativamente datare 1802-03) che effettivamente intercorsero fra le due composizioni, separano questi due testi, espressione di due stati danimo che non si potrebbero immaginare pi opposti: da una parte il temperamento romantico, estroversamente inquieto e irrequieto del poeta veneziano, dallaltra il mite sentimento di vigore e di pace che troviamo presso il (comunque inquieto, forse anche pi di Foscolo) poeta toscano. Eppure nel comporre questinno alla serenit Carducci aveva in mente proprio Foscolo. Si tratta di un procedimento usuale in Carducci 13, anche se non so in quanta parte conscio e in quanta parte inconscio, e daltra parte non nemmeno possibile stabilirlo, data la mancanza di prove documentarie inoppugnabili, che peraltro non sono nemmeno indispensabili, dato che la geniale noticina di Dante Isella su San Martino14 dimostra inconfutabilmente un richiamo di Nievo in Carducci senza bisogno di alcuna pezza dappoggio esterna al testo. In ogni caso, Carducci ovviamente conosceva bene il testo foscoliano (e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di uno dei componimenti poetici pi celebri della letteratura italiana), e per giunta lo aveva anche commentato, insieme agli altri componenti degli Amici pedanti, Ottaviano Targioni Tozzetti e Giuseppe Torquato Gargani, nel fascicolo numero 11, datato maggio 1856, del volume secondo dell Appendice alle Letture di Famiglia, periodico fondato e diretto da Pietro Thouar. 15 Veniamo al dunque. Le quartine dei due sonetti sono strutturate in modo simile: a parte la presenza del vocativo (al v. 3 in Foscolo; al v. 1 in Carducci), notiamo analogie ben pi evidenti e probanti. In entrambi i sonetti, infatti, ai vv. 3 e 5 ci sono particelle correlative (Foscolo: e quando... e quando; Carducci: o che... o che); ai versi pari dellottetto corrispondono parole-rima appartenenti alla stessa categoria grammaticale, sia in Foscolo che in Carducci: verbo alla 2 persona singolare aggettivo maschile plurale verbo alla 2 persona singolare verbo alla 2 persona singolare (vieni-sereni-menitieni; infondi-fecondi-secondi-rispondi). In entrambi i sonetti il verbo finale del v. 2 preceduto da un pronome personale in dativo, che in Carducci si unisce con al cor recuperando la preposizione a; in entrambi i sonetti c un enjambement fra nome e genitivo ai vv. 1-2, ma a parti invertite (e molto meno
11 Ovviamente mi riferisco al saggio di Grard Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Einaudi, Torino 1997 (ed. originale Palimpsestes. La littrature au second degr, ditions du Seuil, Paris 1982). 12 Cito da: Ugo Foscolo, Opere, vol. I, Poesie e tragedie, a cura di Franco Gavazzeni, Maria Maddalena Lombardi, Franco Longoni, Einaudi Biblioteca de la Pliade, Torino 1994, p. 13. 13 Ad esempio lo nota di sfuggita Walter Binni, in Carducci e altri saggi, Einaudi, Torino 1972, a p. 50 nota 4, quando parla di memoria poetica del Carducci in cui il poeta pesca echi leopardiani pi o meno chiari. 14 Due lucciole per San Martino, Strumenti critici I, 2 (1967), pp. 187-189. 15 Traggo la notizia dal saggio di Roberto Tissoni, Carducci umanista: larte del commento, contenuto alle pp. 47-113 del volume Carducci e la letteratura italiana. Studi per il centocinquantenario della nasita di Giosue Carducci. Atti del convegno di Bologna, 11-12-13 ottobre 1985, Antenore, Padova 1988 (si parla dei commenti a Foscolo alle pp. 58-59 e nella nota 32).

marcato in Carducci); entrambi i v. 8 contengono, prima del verbo finale, un complemento di specificazione formato da aggerrivo e nome, (in Foscolo c per anche un avverbio, soavemente, fra il complemento di specificazione e il verbo). E soprattutto, in entrambi i sonetti il v. 7 ha una forte cesura dopo la settima sillaba, in sinalefe con la congiunzione e (sempre scendi invocata | e le secrete; ei tesorta e ti punge, | e tu co l lento) 16, e i vv. 7-8 sono legati da enjambement aggettivonome (secrete / vie; lento / giro). Le terzine non sono cos simili strutturalmente, a cominciare dallo schema rimico, che in Foscolo si avvale di due rime e in Carducci di tre; tuttavia possibile evidenziare talune analogie (anastrofe in Foscolo al v. 9, vagar mi fai, e in Carducci al v. 10, fuma il tuo spirto, ambedue a inizio verso; enjambements marcati ai vv. 11-12 in Foscolo e ai vv. 12-13 in Carducci; in entrambi al v. 12 ci sono due sinalefi, in quarta e settima sede, e sulle stesse vocali, e-o in quarta sede, o-e in settima, oltretutto precedute dal fonema /k/ in un latinismo, meco e glauco). Ma le analogie non si fermano qui. Metricamente notiamo minor presenza di accenti ribattuti in Foscolo (v. 5, v. 12, v. 14); ma vediamo che al v. 14 in entrambi i sonetti laccento di sesta cade su parola troncata; inoltre da rimarcare che i vv. 4 e 7 hanno la stessa struttura metrica (con accenti di 2, 4, 6 e ovviamente 10 al v. 4; di 1, 3, 6, 8 e naturalmente 10 al v. 7); il v. 12 in entrambi i sonetti ha un accento ribattuto di 6 e 7 (e in Carducci anche di 3 e 4). E sempre a proposito di accenti ribattuti, troviamo due sintagmi simili con accenti ribattuti al v. 5 del sonetto foscoliano e al v. 11 di quello carducciano, nevoso aere - sereno aer (entrambi i sintagmi sono da computarsi come quadrisillabi, in quanto in Foscolo la parola aere unita in sinalefe con la parola successiva, inquete). Abbiamo dunque il pretesto per poter passare ad analizzare il livello lessicale e semantico dei due componimenti. Anche qui il gioco delle corrispondenze impressionante. A fronte di pochi lessemi uguali (ma quanto significativi!), troviamo una fitta serie di termini affini, di sinonimi, di espressioni antitetiche ecc. Vediamo le parole uguali17: quete (F1) queto (C13); liete (F3) lieto (C10) 18; pace (F13 e C2); cor (F8 e C2); guardo (F13) guardi (C4); spirto (F14 e C9); sereni (F4) sereno (C11); entro (avverbio in F14; preposizione in C12). Le parole ed espressioni simili, affini o sinonimiche: a me s cara vieni (F2) tamo (C1); pensier (F9) sentimento (C1); immago (F2) monumento (C3)19; invocata (F7) esorta, punge (C7) nevoso, inquete, lunghe (F5-6) larga, umida, nera (C9) 20 spirto guerrier (F14) sentimento di vigore (C1-2) dorme (F13) silenzio (C14) fatal quete, nulla eterno (F1-10) divino silenzio (C14) rugge (F14) fuma, mugghio (C10-11)
16 Inoltre la sinalefe in settima sede in entrambi i sonetti preceduta da unaltra sinalefe, in quarta sede (scendi invocata; esorta e). 17 Per comodit user le sigle F per Foscolo e C per Carducci seguite dal numero del verso. 18 Tutte e quattro parole-rima, disposte chiasticamente nella mappatura dei due sonetti: in altre parole, Carducci ne ha invertito lordine quale si trova in Foscolo; la stessa cosa, anche se non concerne pi solo parole-rima, accadr con il termine pace, in disposizione chiastica sia rispetto a queto/e che rispetto a lieto/e. 19 Entrambi hanno come comune denominatore il termine latino simulacrum. 20 Si possono raggruppare a coppie per attinenza: lunghe larga; nevoso umida; inquete nera. Faccio altres notare che lattacco del v. 9 del sonetto carducciano, con quella monotonia in a, pu richiamare alla mente il Foscolo dei Sepolcri , v. 163 (onde allAnglo che tanta ala vi stese).

fugge, si strugge (F 10-12) si perde (C11) zeffiri sereni, nevoso aere (F4-5) sereno aer (C11) soavemente (F8) dolcezza (C13)

E le antitetiche: inquete e lunghe (F5-6) ampio e queto (C13) rugge (F14) silenzio (C14) spirto guerrier (F14) mite un sentimento di pace (C1-2) torme delle cure (F11-12) austera dolcezza (C12-13) 21 Una tale mole di analogie strutturali, echi, richiami, presenze foscoliane non pu essere affatto casuale. Altro discorso cercare di sondare linsondabile, vale a dire azzardarsi ad asserire che questi richiami siano voluti oppure no. E non serve a dirimere la questione notare che sono due componimenti contenutisticamente separati da un abisso, abisso che formalmente si traduce, ad esempio, nellabbondanza di verbi di movimento in Foscolo di contro a verbi di stasi in Carducci, o in una forte presenza della funzione emotiva nel preromantico Foscolo (il sonetto pieno di pronomi e aggettivi di prima persona singolare), quasi assente nellimpressionista (e dunque non realista) Carducci. E altro ancora si potrebbe dire sulle differenze, ma sarebbe volersi affannare a portare vasi a Samo. Basti invece aver richiamato alla coscienza ci che potremmo intuire a livello inconscio e mnemonico, la presenza di un sonetto celebre in uno altrettanto celebre. Potere magico della poesia: riuscire a esprimere con mezzi simili e talora uguali, stati danimo diversi e talora opposti! Francesco De Martino

Questo saggio dedicato al mio insegnante di greco del Liceo, Gabriele Loguercio, scomparso di recente.

21 Come gi notato, entrambi i sintagmi sono in enjambement.

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