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La lgitimation des pratiques de vengeance dans lItalie communale La ville communale italienne entre les XIIe et XIIe sicles offre un exemple significatif du caractre central des pratiques du conflit dans la culture et le langage politiques. En particulier, la vengeance y tait labore par les acteurs sociaux dans un contexte culturel dont les valeurs, les normes et les discours exprimaient pleinement les conceptual boundaries sur lesquels Isabel Alfonso a appel lattention dans sa prsentation de ce sminaire. Cette intervention sera centre sur trois aspects lis entre eux: la diffusion sociale des pratiques de vengeance; leur lgitimation culturelle, politique et juridique; et les modles culturels qui se rapportent au thme de la paix. La documentation communale montre comment les pratiques du conflit se diffusrent au sein de divers groupes communaux. Contrairement ce que certaines recherches rcentes continuent de soutenir, la culture de la vengeance ne fut pas un mode de vie typique de la noblesse urbaine, mais elle tait pratique par des individus ou des groupes familiaux qui pouvaient assumer son cot matriel et symbolique, ainsi que ses consquences sociales et politiques. Lanalyse des chroniques citadines qui sont dans une large mesure luvre de notaires et dhommes dglise est particulirement significative parce quelles offrent un reprsentation varie de la ralit sociale : en effet, les milites et les magnates y sont reprsents en termes ngatifs parce quils apparaissent associs un mode de vie violent et responsables des divisions politiques, alors que les vengeances des familles populaires sont peine mentionnes. En effet, le discours public sur la vengeance tait complexe et ambivalent. Malgr llaboration de reprsentations sociales ngatives, le modle culturel de fond tait celui de la lgitimation. Nous pouvons tcher de travailler au moins trois niveaux: sur le plan politique, ceux qui pratiquaient habituellement la vendetta et le conflit taient les membres des organes du gouvernement communal eux-mmes; sur le plan juridique, la vengeance ntait pas interdite de fait (dans de trs nombreuses villes, les statuts communaux ne la rgulaient mme pas, tandis que dans dautres ils se limitaient cette rgulation); sur le plan culturel, et pas seulement dans la littrature morale et potique, la vengeance se construisait en termes positifs, comme le montrent les recueils de conseils et de proverbes, ou encore la pratique dshonorante qui consistait insulter publiquement celui qui avait renonc se venger. La diffusion sociale et la lgitimation de la vengeance invitent reconsidrer le modle historiographique qui, rcemment encore, veut dcrire les communes italiennes comme un laboratoire du rpublicanisme politique occidental. Elles le furent certainement, mais conjointement lunivers des vertus civiques existait aussi un espace non ngligeable dvolu aux valeurs de lhonneur. Dans cette optique, on peut affirmer que le discours politique avait un sens divers lui aussi lorsquil slaborait autour du bien commun, de la concorde ou de la paix, lexique qui ne
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semble pas absolu ni partag, mais qui constitue plutt un enjeu revendiqu par les diverses parties. La recherche de trves et daccords, ltablissement de la paix (qui est aussi rituel) entre les acteurs du conflit faisaient aussi partie intgrante de la faida . La pense thologique et politique sur la paix, les mesures de pacification prises par les autorits communales, les grands accords de paix publique interagirent constamment avec la culture, les langages et les pratiques de la vengeance.
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Mots-cls: vengeance, paix, querelle, conflit, politique, Italie, bas Moyen ge, discours politiques, rpublicanisme, chroniques, statuts Palabras claves: venganza, paz, pelea, conflicto, poltica, Italia, Baja Edad Media, discursos polticos, republicanismo, crnicas, estatutos Parole chiavi: Italia
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La diffusione sociale delle pratiche della vendetta La legittimazione culturale, politica e giuridica della vendetta La pace e il bene comune
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Le citt comunali italiane tra XII e XIV secolo offrono un esempio significativo della centralit delle pratiche del conflitto nella cultura e nel linguaggio politico. In particolare, la vendetta vi era elaborata dagli attori sociali in un contesto culturale di valori, di norme e di discorsi che esprimevano pienamente quei conceptual boundaries richiamati da Isabel Alfonso nel paper di presentazione del seminario. La mia relazione si soffermer su tre aspetti tra loro intrecciati: la diffusione sociale delle pratiche della vendetta; la loro legittimazione culturale, politica e giuridica; la cultura consensuale della pace.
Rfrenc par
2 Il registro conservato nel fondo dellArchivio di Stato di Firenze, Bale , 1: [], hic est li (...) 3 Cfr. Jean-Claude MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e societ nellItalia com (...)
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La legittimazione delle pratiche della vendetta nellItalia comunale nelleconomia del nostro discorso. In primo luogo che le relazioni di inimicizia nelle citt italiane erano ancora diffusissime alla met del secoloXIV : in definitiva, che esse costituivano delle relazioni sociali di tipo ordinario. In secondo luogo, che i conflitti che innervavano queste relazioni di inimicizia attraversavano tutto il corpo sociale, dai lignaggi eminenti agli individui di pi modesta condizione: in altri termini, che la vendetta non era attributo di un solo gruppo sociale. Infine, che le autorit di governo erano ancora attive nelladottare misure di contenimento e di pacificazione: in sostanza, che riconoscevano lesistenza dei conflitti nella societ e cercavano di porvi rimedio senza reprimerli o sanzionarli. 5 Davanti ai notai per stipulare un atto di pace potevano andare coloro che rinunciavano a vendicarsi o a procedere per via processuale (e quasi sempre ottenendo in cambio una compensazione economica), coloro che accettavano di comporre il conflitto dopo che una vendetta aveva bilanciato le offese, e coloro infine che erano divisi da tempo da uninimicizia capitale, che alternava atti di violenza a momenti di sedazione del conflitto. 6 Gestire una faida o ricorrere alla vendetta non erano pratiche alla portata di ogni individuo o famiglia, perch comportavano dei pericoli, potevano avere pesanti conseguenze economiche e politiche, causare lisolamento sociale, etc. La scelta di vendicarsi di offese ricevute e, soprattutto, di condurre nel tempo un conflitto erano opzioni che gli individui e i gruppi parentali ponderavano sulla base della disponibilit di risorse adeguate. Si trattava di strategie: tutto il contrario, cio, di atti impulsivi. 7 Ci spiega perch vi ricorressero con maggiore facilit i lignaggi pi potenti in termini di strutture demografiche, di relazioni sociali, di peso politico e di risorse economiche e simboliche. Ma ci non significa che la vendetta e la faida fossero appannaggio esclusivo di un gruppo sociale determinato. La vendetta e la faida erano pratiche alla portata di chi poteva permetterselo, indipendentemente dalle origini, dai profili e dai gruppi sociali di appartenenza. 8 Lo dimostrano le evidenze sul lungo periodo, tra la seconda met del secoloXII e la prima del XIV. Contrariamente a quanto ritengano anche ricerche recenti, infatti, la cultura della vendetta non fu uno stile di vita tipico della nobilt urbana. Non v dubbio che la militia una militia, si noti, aperta a tutti coloro che potevano permettersi un cavallo, non una cavalleria di rito (fatta di cavaliers, cio, e non di chevaliers , per usare il linguaggio storiografico francese) fu protagonista di conflitti di faida tra gli ultimi decenni del secoloXII e i primi del successivo. Opinabile invece a mio avviso ricondurre la cultura del conflitto a mera espressione della militia urbana, a modello culturale poi ripreso imitativamente dagli altri gruppi sociali emergenti sul piano politico, come ha fatto, per esempio, Jean-Claude Maire Vigueur, in uno studio fondamentale sulla nobilt urbana italiana, che ha rintracciato nella cultura del conflitto il carattere peculiare della mentalit cavalleresca, che sarebbe poi stato fatto proprio, nel corso del Duecento, anche dalla parte pi agiata del popolo 4 . 9 Vi da chiedersi, in primo luogo, quanto non concorra la documentazione a condizionare tale interpretazione: lanalisi di Maire Vigueur, per esempio, ha necessariamente dovuto fare ricorso a cronache duecentesche per fare luce su realt dellepoca precedente. Il rischio per quello di rilevare delle pratiche da quelli che sono in realt dei racconti delle fonti. Se si analizzano le cronache cittadine italiane che sono in larga misura opera di notai, mercanti e uomini di chiesa si pu rilevare come esse elaborino una rappresentazione orientata della realt sociale: i milites e poi i magnates sono infatti rappresentati in termini negativi come portatori di uno stile di vita violento e responsabili delle divisioni politiche, mentre le vendette ad opera delle famiglie popolari sono quasi sempre taciute. Pi che uno stile di vita, la vendetta appare un attributo della reputazione sociale. Una serie di conflitti, per esempio, che opposero a Mantova allinizio del Duecento la famiglia dei Poltroni ad altre, come appare da documenti giudiziari e dalle cronache coeve 5 , fu poi rappresentata dalla tradizione memoriale e storiografica successiva come una werra che oppose i Poltroni alla famiglia dei Calorosi e che diede vita alla nascita delle fazioni guelfe e ghibelline cittadine. Proprio lesempio mantovano consente di sfumare ulteriormente il quadro interpretativo. Le due famiglie principali, Poltroni e Calorosi, erano domus di secondo piano nella vita politica locale: non appartenevano all lite consolare, occuparono solo alcuni uffici amministravi del comune, e, soprattutto, non attestata alcuna loro qualifica sociale di tipo cavalleresco. Si trattava cio di lignaggi che, pur non appartenendo alla militia, erano dotati di possessi fondiari, case e complessi urbani fortificati, legati in vario modo ai
5 Cfr. Giuseppe GARDONI, Conflitti, vendette e aggregazioni familiari a Mantova allinizio del sec (...) 6 Giovanni VILLANI, Nuova cronica, a cura di Giuseppe Porta, Parma, 1990, VI, 9, vol. I, p. 239: (...) 4 J.C. MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini , p. 359 e 399.
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La legittimazione delle pratiche della vendetta nellItalia comunale principali enti ecclesiastici, e attivi nel prestito del denaro. Nelle loro guerre urbane utilizzarono anchessi alcune torri. Con uninterpretazione estensiva, forse queste famiglie potrebbero essere assimilate alla militia urbana. Ma sembrano mancare loro proprio alcuni attributi che sono ritenuti peculiari della nobilt urbana: non solo assente ogni menzione esplicita di appartenenza alla cavalleria, ma anche il vocabolario con cui descritto il loro conflitto non comprende il termine hodium, che pure Maire Vigueur ritiene peculiare della cultura nobiliare. Lo stesso uso delle torri non necessariamente connotativo dellidentit militare: torri da guerra urbana furono costruite, per esempio, a Firenze, durante i conflitti della fine degli anni 1170, anche dalle vicinie, cio dalle comunit rionali 6 . 11 I Poltroni e i Calorosi, cio, usavano le torri perch se le potevano permettere, non perch sentivano di appartenere alla militia. La vendetta era praticata dagli individui e dai gruppi familiari che potevano permettersi di sostenerne i costi materiali e simbolici e le conseguenze sociali e politiche. Personalmente ho condotto un censimento relativo alle notizie di faide e vendette tra i gruppi familiari di Firenze, in un arco di tempo che va grosso modo dal 1260 al 1340: su circa 100 conflitti di cui ho raccolto notizia, in quasi la met dei casi (47 su 98 = 47,96%) appaiono coinvolte famiglie di condizione popolare (lignaggi cio senza milites), e ben in un caso su quattro (25 su 98) la faida si svolse tra sole casate non nobiliari. 12 Questi dati sono confermati da notizie che si hanno per altre citt. Mi limiter a citare il caso di Parma, dove nei decenni a cavallo tra Due e Trecento protagonisti della cultura della vendetta furono gruppi sociali di popolo, e in primo luogo la corporazione dei notai 7 . Luccisione, nel 1294, in un villaggio del contado, Olmo, di un notaio, Giacomo Canonica, fu gestita direttamente dal collegio dei notai, che condusse linchiesta in loco, consegn al podest i responsabili e si vendic sui beni dei colpevoli devastandone case e propriet: il Chronicon parmense (di cui fu autore un notaio rimasto anonimo) riassume lepisodio nei termini espliciti di un vendetta, illustrandone anche risvolti simbolici come la chiusura del palazzo del comune, luogo della quotidiana attivit dei notai, donec dicta vindicta per omnia facta fuit 8 . 13 Nella seconda met del Duecento la vendetta non appare pi un attributo prevalente della militia cittadina, bens una pratica delle relazioni sociali e politiche consapevolmente perseguita e rappresentata, nellimmaginario e nella memoria, anche dagli altri gruppi sociali. Che questo fosse leffetto delladozione da parte degli altri gruppi sociali di uno stile di vita e di un sistema di valori elaborato inizialmente dalla nobilt cittadina, resta da dimostrare. Le pratiche della vendetta non ebbero connotazioni sociologicamente di classe, ma rappresentarono una risorsa diffusa dellagire sociale (indipendentemente dallo status), un campo culturale elaborato da soggetti sociali molteplici, una legittima pratica dellazione politica.
7 Cfr. Gabriele GUARISCO, Come uno sciame dapi. Il popolo e le pratiche della vendetta a Parma (...) 8 Chronicon Parmense ab anno 1038 usque ad annum 1479 , in : Rerurm Italicarum Scriptores, IX, 9, a cu (...)
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La legittimazione delle pratiche della vendetta nellItalia comunale scontri che potevano andare dalla semplice vendetta a conflitti pi strutturati e continui nel tempo, che le fonti dellepoca indicavano come bellum, werra, rixa e briga 9 . 17 Se ci spostiamo a Firenze alla fine del Duecento, molte cose appaiono mutate, ovviamente, tranne labitudine dei gruppi dirigenti urbani a ricorrere personalmente alla vendetta. Il contesto politico era completamente diverso: al governo della citt concorrevano adesso una pluralit di famiglie, non pi solo quelle di milites, ma anche di mercanti, banchieri, imprenditori, e anche molti membri delle corporazioni dei mestieri. Regimi cosiddetti di popolo si erano ormai sostituiti alle forme pi ristrette dei periodi precedenti. Furono proprio alcuni membri del governo dei priori delle arti, appartenenti alla famiglia popolana dei Velluti, a compiere una clamorosa vendetta nel giorno di pasqua del 1295, nel pieno centro della citt, contro un membro della famiglia di milites dei Mannelli. Le cronache coeve, di cui erano autori notai e mercanti, anche in questo caso tacciono lepisodio. Da documenti giudiziari e dalle memorie familiari dei Velluti possiamo invece ricostruire la loro strategia vendicatrice, che super anche il vaglio delle autorit giudiziarie, risultando pienamente legittima 10 . 18 Sul lungo periodo, dunque, labitudine dei gruppi dirigenti a considerare il ricorso alla vendetta come una pratica ordinaria delle relazioni civiche fu patrimonio di ogni generazione. Potevano cambiare gli attori sociali i milites nellet consolare o i popolani nellet dei regimi di popolo ma rimaneva costante la cultura. Lo testimonia lanalisi della letteratura pedagogica che serviva leducazione del cittadino comunale, che tratta in pi luoghi il tema del conflitto e della vendetta proponendo soluzioni in termini di legittimazione. 19 Dei decenni centrali del XIII secolo addirittura un trattato dedicato per intero alla cultura del conflitto, il noto Liber consolationis et consilii di Albertano da Brescia, giudice bresciano al seguito di podest itineranti nel secondo quarto del secoloXIII 11 . Il Liberconsolationis fa parte di una trilogia di trattati morali intesa a fornire al civis gli strumenti per bene operare nelle diverse situazioni sociali: le relazioni familiari e la scelta degli amici (il De amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae , scritto nel 1238), luso sociale della parola, nellequivalenza tra bene parlare e bene vivere (lArs loquendi et tacendi, scritto nel 1245), e appunto la gestione del conflitto (il Liber consolationis et consilii , del 1246). Il Liber consolationis stato a lungo considerato come unapologia della giustizia pubblica nei confronti della faida 12 . In realt, si tratta di una pi complessa e raffinata riflessione di Albertano sullordinariet del conflitto e sui modi di sua conduzione e risoluzione, che non propone affatto la prevalenza della giustizia pubblica, della pena irrogata, cio, dal giudice di tribunale, bens la soluzione della pacificazione extra processuale tra le parti. Ci perch il trattato e tanto pi significativamente proprio in quanto il suo autore era un giudice di tribunale origina, si dipana e si risolve tutto allinterno della cultura del conflitto e delle sue logiche 13 . 20 Significativa testimonianza sono anche i manuali che insegnavano a tenere discorsi in pubblico, e in particolare alcuni testi, in lingua volgare (e dunque intesi a una larga diffusione), di raccolte di discorsi di cui furono autori alcuni notai: le Arringhe , composte da Matteo de Libri nel 1275 circa, il Flore de parlare, o somma darengare di Giovanni da Vignano del 1290, e le Dicerie da imparare a dire a huomini giovani et rozzi raccolte dal fiorentino Filippo Ceffi nel 1330 circa. In ciascuna di queste raccolte non mancano esempio di discorsi su Come si dee adomandare consiglio e aiuto agli amici per fare sua vendetta, Come si dee dire e confortare gli amici a fare vendetta, Come si dee dire a consorti per lamico offeso, e cos via 14 . Leducazione del cittadino comunale passava dunque anche attraverso leducazione alla vendetta. 21 Alla legittimazione sociale e politica corrispondeva la liceit giuridica della vendetta. Negli statuti e nella normativa dei comuni italiani non si riscontra infatti un testo che vieti la vendetta. Nella maggior parte delle citt gli statuti non fanno cenno alcuno a proibizioni e delimitazioni, proprio perch la sua pratica ordinaria era considerata pienamente legittima. Largomentazione ex silentio pu prestarsi a discussione, ma lanalisi dei pochi testi che trattano la materia conferma lorientamento del diritto comunale: sia in statuti della fine del secoloXII, come quello di Pistoia del 1180, sia in statuti della met del secoloXIII, come quelli di Bologna del 1252 o di Parma del 1255, sia in statuti della met del secoloXIV, come quelli di Perugia del 1342 e di Spoleto del 1347, la linea di fondo della ratio normativa infatti quella di considerare lecite le pratiche di ritorsione. Le norme si limitavano a regolamentare il diritto alla vendetta, definendone la congruit in relazione alle persone che potevano
15 14 Cfr.A. ZORZI, La cultura della vendetta , p. 158-161. 11 Albertani Brixiensis Liber consolationis et consilii ex quo hausta est fabula gallica de Melibeo et (...) 12 Cfr., per esempio, Aldo CHECCHINI, Un giudice nel secolo decimoterzo: Albertano da Brescia, i (...) 13 Per unanalisi del testo in questa chiave interpretativa, cfr. Andrea ZORZI, La cultura della ve (...) 10 Ho ricostruito il contesto della vendetta in Andrea ZORZI, Politica e giustizia a Firenze al tempo (...)
15 Cfr. lanalisi del caso di Firenze in Andrea ZORZI, Pluralismo giudiziario e documentazione. Il (...)
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La legittimazione delle pratiche della vendetta nellItalia comunale compierla e subirla, alla sua entit, ai luoghi, etc. . Lintento era quello di contenere le pratiche di ritorsione trasversale e di evitare il coinvolgimento di schieramenti conflittuali pi ampi. Soprattutto, la normativa integrava nel campo giuridico la logica di sistema orientato alla limitazione della violenza e allequilibrio tra le offese che era propria della vendetta. Lintervento normativo consentiva anche di ufficializzare la mediazione che poteva essere svolta dalle istituzioni per favorire quei momenti - tregue, cauzioni, arbitrati, concordie - che potessero bloccare il conflitto e condurlo a una soluzione pacifica. In definitiva, in alcune citt si punt a legittimare esplicitamente le pratiche della vendetta per contenerne gli effetti. 22 La vendetta era dunque un diritto tutelato. Quando esso veniva esercitato metteva in gioco per la vita e le emozioni degli individui e delle famiglie coinvolte e turbava la comunit cittadina. Si comprende pertanto perch latteggiamento morale nei confronti di questa pratica fosse complesso e ambivalente legittimante, appunto, ma anche disciplinante , e perch il contesto culturale di valori, di norme e di discorsi che la elaborarono nel tempo bene si presti a essere interpretato nei termini di limiti concettuali, piuttosto che attraverso le categorie dicotomiche di teoria/pratica, ideali/realt. 23 Non vi infatti scrittore, poeta e trattatista dellepoca comunale che valuti positivamente la vendetta che non manchi di sottolinearne gli aspetti negativi e di preferirle la pace e il perdono. Gli esempi potrebbero essere molti: mi limito a ricordare come un modesto mercante fiorentino, Paolo da Certaldo, nel suo Libro di buoni costumi annoverasse ancora alla met del Trecento la vendetta tra i piaceri maggiori delluomo la prima allegrezza si fare sua vendetta: il dolore si essere offeso da uno suo nimico, ma ammonisse delle sue conseguenze per che le vendette disertano lanima, l corpo e lavere , e ne le vendette acquisti il contrario: cio, verso Iddio peccato, dagli uomini biasimo (cio da savi) e dal nimico tuo pi odio 16 . 24 La reputazione sociale considerava disonorante sottrarsi agli obblighi della ritorsione. Particolarmente interessante, e suscettibile di essere indagata pi a fondo, appare la pratica disonorante di insultare pubblicamente chi avesse rinunciato a esercitare la vendetta. Fonti privilegiate sono gli atti giudiziari, dove la registrazione delle testimonianze conserva memoria delle ingiurie e lascia trasparire il tessuto di emozioni, di rancori e di passioni che divideva gli individui, anche di condizione sociale modesta. Qualche studio stato condotto per larea rurale tra Lucca e Pistoia nei decenni centrali del secoloXIV, e mette in evidenza le forme in cui erano elaborate tali offese 17 . Espressioni forti quali Va va non i tue vecongnia? Va vendica la morte del figliuolo tuo che fue ucciso, Menti per la gola che sai che tuo padre fue uciso. Fanne la vendecta, che bene ti di vergongnare ad apparire tra lle genti..., Troia merdosa che tu se, va fa la vendecta de nipoti tuoi che ti furon morti e gittati in sul sollio, [...] Et se tu se cossy ghaglardo come tu ti fai, va fa le vendette tue! Va, fa quella del figluolo di Puccino Vannucci!, palesano quanto fosse vivo nel sentire comune lidea secondo cui rinunziare o comunque non essere in grado di farsi vendetta fosse un comportamento disonorevole, unoffesa ai familiari colpiti, quasi un venir meno a un dovere sociale.
17 Cfr. Alberto M. ONORI, Va fa le vendette tue!. Qualche esempio della documentazione sulla p (...) 16 Paolo DA CERTALDO, Libro di buoni costumi, in : Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra (...)
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La legittimazione delle pratiche della vendetta nellItalia comunale politica, e questo spiega la tenuta sul lungo periodo delle istituzioni comunali. 27 Il vero pericolo per lordinamento comunale era rappresentato dai conflitti asimmetrici che non rendevano soddisfazione alle parti, che non generavano consenso, che vedevano la sopraffazione di una parte sullaltra. Da qui lossessione, nel discorso politico, per le colligationes , per le partes che puntavano a creare supremazia e dunque squilibrio, per le fazioni che si affrontavano per il predominio, escludendone, con il bando e con la magnatizzazione, i nemici politici. La legittimazione normativa, la predisposizione delle occasioni di mediazione e soddisfazione del conflitto puntavano invece a non superare la soglia dello squilibrio tra le parti : predisponevano delle regole equilibrate del gioco politico. 28 In questottica pu assumere un significato diverso anche lelaborazione del discorso politico di una politics centrato sul bene comune, sulla concordia e sulla pace, il cui lessico appare espressione non di valori civici assoluti e condivisi, bens di rivendicazioni ideologiche di parte 19 . Furono soprattutto, i nuovi regimi di popolo a fare della politica di pacificazione lemblema di una rinnovata ideologia di governo che cominciava anche a identificare i responsabili della violenza urbana nel gruppo sociale dei milites. Se scorriamo gli statuti comunali del periodo di popolo sono infatti ricorrenti i richiami ai doveri di pacificazione dei conflitti. Le leggi speciali del popolo di Perugia, gli Ordinamenta populi del 1260, per esempio, obbligavano i rettori a se intromittere de concordiis et pacibus fieri faciendis, al fine quod dicte paces et concordie fiant et penitus compleantur et, remotis seditionibus et discordiis extirpatis, pax perpetuo vigeat et civitas sine fine perseveret in statu pacificu et tranquillo. Gli statuti di Verona del 1276 regolavano lattivit di una commissione di boni homines incaricata di fare cessare discordias et malivoles quos sciverint. Il breve del popolo di Pisa del 1287 imponeva al capitano del popolo lobbligo di scoprire i conflitti e di imporre la concordia tra i membri del popolo 20 . 29 Le grandi paci pubbliche, le misure di sedazione disposte dalle autorit comunali, il pensiero teologico e politico sulla pace interagirono costantemente con la cultura, i linguaggi e le pratiche della vendetta 21 . Un contributo decisivo allelaborazione del discorso politico fu dato come noto dai domenicani, nella predicazione e nella sistemazione teorica. In molte citt essi erano strettamente legati ai gruppi dirigenti locali, e in particolare alla sua componente mercantile, e la loro posizione fu spesso organicamente partecipe delle sue sorti. Soprattutto come noto essi fecero rifluire nella cultura comunale il pensiero politico aristotelico. Artefice ne fu, in primo luogo, il napoletano Tommaso dAquino, ai vertici dellordine e docente di teologia a Parigi. Linfluenza che ebbero la sua Summa theologiae , iniziata negli anni sessanta, e il trattato De regimine principum, incominciato nel 1272 e rimasto incompiuto, fu enorme e duratura. 30 Tra i suoi allievi diretti che operarono nelle citt italiane ricorder qui solo il fiorentino Remigio de Girolami, a lungo lettore del convento di S. Maria Novella a Firenze e membro influente dellordine a livello italiano e internazionale 22 . Remigio intervenne frequentemente nella vita politica di Firenze tra la fine del XIII e linizio del XIV secolo, come oratore pubblico davanti alle autorit cittadine e agli ospiti in visita, e ne comment i principali momenti di svolta in trattati monografici. La sua trattazione dei valori civici fu pragmatica, partecipe degli eventi, dei quali egli non fu solo testimone. A guidarne il pensiero fu sempre la ferma convinzione, di matrice artistotelica, che ogni azione delluomo dovesse essere subordinata al bonum commune della pace 23 . Remigio sottolinea il valore positivo dellopera di pacificazione delle discordie consortili e di fazione: omnis discordia potest concordari et omnis inimicitia pacificari, quamcunque sit ex parte unius excellens potentia vel gravis offensa vel diuturna inimicitia 24 . La pace consisteva in una concordia ordinata dei cittadini pro bono communi e coincideva con lazione pro bono era communis 25 : summum bonum multitudinis et finis eius est pax infatti il concetto di avvio del trattato De bono pacis del 1304. Se la giustizia e la pace dovevano essere poste alla base della vita comunale, il bene comune diventava il bene del comune, con uno slittamento di senso di straordinaria pregnanza. La consapevolezza del nesso inscindibile tra loperare per la pace e per la giustizia espressa nel recupero di un passo scritturale, Erit opus iustitie pax derivavano a Remigio da una consapevole valutazione delle divisioni che minavano la concordia civica a Firenze, come appare in uno dei suoi
22 Per un profilo biografico di Remigio, cfr. Sonia GENTILI, Girolami, Remigio de, in : Dizionar (...) 23 Cfr. Emilio PANELLA, Per lo studio di fra Remigio dei Girolami (|1319), Memorie domenicane , n. (...) 21 Sulla pace, oltre ai saggi raccolti in : Prcher la paix et discipliner la socit , op.cit. , cfr. (...) 19 Per approfondimenti, su questo punto, rinvio ad Andrea ZORZI, Bien Commun et conflits politi (...) 20 Cfr. Massimo VALLERANI, Mouvements de paix dans une commune du Popolo: les Flagellanti Perous (...)
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24 Remigio DE GIROLAMI, Sermo I , in : Maria CONSIGLIA DE MATTEIS, La teologia politica comunale (...) 25 Remigio DE GIROLAMI, De bono pacis , in : DE MATTEIS, La teologia , op. cit., p. 55. (...) 26 Citato in PANELLA, Dal bene comune al bene del comune , op. cit., p. 116-117.
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La legittimazione delle pratiche della vendetta nellItalia comunale sermoni pubblici della fine del Duecento: Fracta est civitas magna in tres partes. Una fractio est quia Guelfi dicunt male de Ghibellinis quod non cedunt, et Ghibellini de Guelfis quod expellere eos volunt. Alia fractio est quia artifices dicunt male de magnis quod devorantur ab eis, quod proditiones commictunt, quod bona inimicorum defendunt, et huiusmodi, et a contrario magni de artificibus quod dominari volunt et nesciunt quod terram vituperant et huiusmodi. Tertia fractio est inter clericos et religiosos et laycos, quia de laycis dicunt quod sunt proditores, quod usurarii, quod periuri, quod adulteri, quod raptores, et verum est demultis. et a contrario layci dicunt quod clerici sunt fornicarii, glutones, otiosi, quod religiosi raptores, vanagloriosi, et de aliquibus verum est 26 . 33 Alla diffusione alla cittadinanza dal pensiero dei teologi domenicani
27 Per un profilo biografico di Giordano, cfr. Carlo DELCOMO, Giordano da Pisa (Giordano da Rivalto (...) 28 Prediche del Beato F. Giordano da Rivalto dellOrdine de Predicatori , a cura di Domenico Maria MAN (...)
concorsero per soprattutto le prediche. La nutritissima copia di reportationes dei sermoni tenuti dal pisano Giordano da Rivalto, che fu predicatore generale a Firenze dal 1303 e poi a Pisa dal 1309 27 , offre la possibilit di cogliere come la dottrina aristotelico-tomistica fosse tradotta nelle prediche di contenuto latamente politico. Intorno al bene comune Giordano argomenta invitando a operare per la giustizia e il bene comune, senza lasciarsi indurre dalla superbia a fare prevalere il bene proprio sullinteresse generale : luomo non guata al ben comune, ma pure al ben proprio: tanto il malo amore damarsi troppo, che toglie ogne pace. E perch cos distrutta la pace nel mondo? Se non per lamore del ben proprio? Se luomo amasse il ben comune di tutti, oh quanta pace, e quanto bene sarebbe! Ma del contrario nascono tutti i vizj, tutti i mali, e le guerre, e le divisioni, e le discordie, gli odj, le nvidie, i micidj e tutti i mali, e distruggonsene le cittadi, e le comunanze [i comuni] 28 . 34 In conclusione, si pu evidenziare non solo il dato, tutto sommato scontato, che vi era pur sempre uno scarto tra la produzione dei discorsi morali e la realt delle pratiche un dato di cui erano pienamente consapevoli, per primi, proprio i contemporanei , bens, soprattutto, come le nozioni di interesse collettivo quali, in primo luogo, la pace, la concordia, il bene comune e la giustizia fossero costantemente rielaborate dagli attori politici, spesso plasmate su finalit immediate, e invocate per legittimare i mutamenti negli assetti di potere. E ne rivela la consistenza ideologica, giocata tra ricerca del consenso e delegittimazione dellavversario in altri termini, come essa fosse parte integrante delle strategie di conflitto. In particolare, la vendetta vi era elaborata dagli attori sociali in un contesto culturale di valori, di norme e di discorsi che esprimevano pienamente quei conceptual boundaries richiamati da Isabel Alfonso nel paper di presentazione del seminario.
Notes
* Este artculo fue presentado en el coloquio Cultura, lenguaje y prcticas polticas en las sociedades medievales [Proyecto de Investigacin: BHA2002-03076, IP: Isabel Alfonso], que se celebr en Madrid los das 15 y 16 de febrero de 2007 en el Instituto de Historia del CSIC. This article was presented at the Conference Culture, language and political practices in medieval societies [Research Project: BHA2002-03076, IP: Isabel Alfonso], held in Madrid on feb. 15th-16th 2007 at the Instituto de Historia (CSIC). 1 Cfr . Carl SCHMITT, Le categorie del politico , a cura di Gianfranco Miglio, Pierangelo Schiera, Bologna: Il Mulino, 1972; Pasquale PASQUINO, Considerazioni intorno al criterio del politico in:Carl SCHMITT, Cultura politica e societ borghese in Germania fra Otto e Novecento , a cura di Gustavo Corni, Pierangelo Schiera, Bologna: Il Mulino, 1986, p. 153-172; Julien FREUND, Il terzo, il nemico, il conflitto. Materiali per una teoria del politico , a cura di Alessandro Campi, Milano 1995, in particolare il saggio Lamico e il nemico: un presupposto del politico [1965], ibid., p. 47-154; Amicus (inimicus) hostis. Le radici concettuali della conflittualit privata e della conflittualit politica , ricerca diretta da Gianfranco Miglio, Milano, 1992, in particolare il saggio di Pier Paolo PORTINARO, Materiali per una storicizzazione della coppia amico-nemico, ibid., p. 219-310. 2 Il registro conservato nel fondo dellArchivio di Stato di Firenze, Bale, 1: [], hic est liber sive quaternus continens in se paces et concordias adque remissiones iniuriarum []. Le paci furono stipulate tra il 18 settembre 1342 e il 25 marzo 1343. Una stima esatta del numero degli individui difficile da quantificare perch gli elenchi dei giuranti risultano lacunosi o abbreviati dai notai
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19 Per approfondimenti, su questo punto, rinvio ad Andrea ZORZI, Bien Commun et conflits politiques dans lItalie communale, in: De Bono Communi. The Discourse and Practice of the Common Good in the European City (13th-16th c.), acts of International Colloquium organized by Universiteit Gent (Gent, 15-16 September 2006), in corso di stampa. 20 Cfr . Massimo VALLERANI, Mouvements de paix dans une commune du Popolo: les Flagellanti Perouse en 1260, in: Prcher la paix et discipliner la socit. Italie, France, Angleterre (XIIIe-XVe s.), dir. Rosa Maria DESS, Brepols: Turnhout, 2005, p. 342-343 e 349.
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Auteur
Andrea ZORZI Universit di Firenze
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