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darwinQuaderni

1 NUMERO 1 EURO 6,00


SARDEGNA

ARCHEOLOGIA
IN SARDEGNA
L’Isola è un crocevia culturale unico nel cuore del Mediterraneo
da esplorare alla scoperta di civiltà antichissime e ancora misteriose
sospese tra Oriente e Occidente, Roma e Cartagine, terra e mare
SPED. ABB. POST. 45%, ART. 2, C. 20/B, L. 662/96 FILIALE DI VERONA - SUPPLEMENTO A DARWIN N. 14
60001
darwin bimestrale di scienze

771824 244017

www.darwinweb.it
9
E D I T O R I A L E

Una storia millenaria segnata


da piccoli capolavori d’arte

R E N AT O S O R U

S
UL TEMA DEI BENI CULTURALI oggi viviamo, ancora una volta, un disagio
importante nelle diverse competenze della Regione, degli assesso-
rati regionali. Le sovrintendenze spesso, ancora oggi, hanno un at-
teggiamento, ormai superato dai tempi, da “prefetture dei beni cultura-
li”, totalmente separate dai processi e dalle esigenze della nostra regione.
A me non sembra che si possa dire che anche negli ultimi anni lo Stato,
che pure ne ha competenza, si sia preso particolarmente a cuore i nostri
beni culturali, li abbia tutelati e li abbia valorizzati nel migliore dei modi
possibili. Spesso ci sono delle norme, anche nazionali, del tutto incom-
prensibili. Noi dobbiamo persino pagare allo Stato il diritto di pubblica-
re una foto, la foto di un bene culturale, di un monumento, del nuraghe
di Barumini, sulle nostre brochure divulgative. E mi pare che da solo que-
sto fatto racconti l’arretratezza della legislazione in materia.
Noi vogliamo prenderci a cuore e prenderci cura, fortemente, dei
nostri beni culturali. Vogliamo tutelarli, vo-
Vogliamo prenderci cura gliamo valorizzarli, vogliamo renderli im-
portanti per la cultura mondiale, nel modo
dei nostri beni culturali in cui meritano. Si tratta dello sviluppo
economico di questo territorio: di questo
e valorizzarli come meritano abbiamo parlato fin dall’inizio, dalla cam-
pagna elettorale del 2004. Le nostre idee
sono state scritte: ruotano attorno all’identità e alla valorizzazione di
tutto quello che attiene alle diversità e alle specificità, ai valori culturali
della nostra regione. Attorno ai vecchi saperi diffusi, alla tradizione. Pro-
prio oggi che in questo modello di turismo globale, dove sembrano con-
tare solo il numero e il prezzo, ci troviamo a competere con paesi dove il
costo del lavoro è molto più basso del nostro, dobbiamo puntare sulla
nostra ricchezza culturale. La stessa che fa trovare al visitatore 3.000 an-
ni di storia, una civiltà nuragica che noi non abbiamo ancora compreso:
non abbiamo ancora capito cosa doveva essere la Sardegna popolata da

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circa 8.000 torri nuragiche, altissime, dappertutto, in un mondo così di-
sabitato com’era quello di allora. Abbiamo la storia millenaria di una re-
gione in cui migliaia di anni fa si facevano piccoli capolavori di arte: bel-
lissimi, modernissimi ancora oggi. Ci sono centinaia di chiese romani-
che in Sardegna, altrettanto belle, che appaiono all’improvviso nella
campagna; c’è un paesaggio antropizzato fatto di muretti a secco edifi-
cati in centinaia di anni; ci sono i piccoli paesi con i loro centri storici; ci
sono le chiese, le statue dentro le chiese, i retabli del Rinascimento; c’è
una lingua, anzi ce ne sono diverse; c’è una musica; c’è una ricchezza di
mille cose che fanno la differenza.
La Regione sta mettendo “a sistema” tutto ciò che riguarda i beni
culturali: lo scorso mese di aprile è uscito SardegnaCultura, il portale dei
beni culturali della Sardegna, che ha visto un grande lavoro di coordina-
mento e di messa a sistema di tutti i monumenti, dei luoghi, delle im-
prese, delle case editrici, delle cooperative
della cultura della Sardegna. Tutto questo per Le nostre idee ruotano attorno
fare in modo che i beni culturali creino lavoro
e che siano un’attrattiva per il turismo. Lo ab- alla diversità e alla specificità
biamo proposto a Bruxelles, di recente, per-
ché è assolutamente in linea con un progetto culturale della nostra Regione
che la Commissione Europea porterà avanti
entro il 2008. Noi lo abbiamo già realizzato in maniera superiore all’o-
biettivo della Commissione Europea fissato per quell’anno. È uno stru-
mento accessibile innanzitutto all’amministrazione regionale, alle pro-
vince, agli enti locali, in maniera che tutti siano consapevoli del grande
patrimonio che c’è nei nostri territori e nei nostri comuni. Ma è uno stru-
mento accessibile anche a tutti quelli che non sono in Sardegna, e che in
questa maniera hanno la possibilità di conoscerla stando a casa.

Renato Soru, presidente della Regione Autonoma della Sardegna

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 5
T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E

Gli altari a terrazza


di Monte d’Accoddi
Il complesso di età prenuragica ospitava un santuario e un villaggio
che non trova riscontri in Europa e nell’intera area del Mediterraneo
A L B E RT O M O R AV E T T I

L
A SCOPERTA DI MONTE D’ACCODDI risa- cuni importanti cantieri archeologici:
le ai primi anni Cinquanta del se- due erano previsti nel meridione dell’iso-
colo scorso e avvenne nell’ambito la e almeno uno nel nord. Per i primi la
di un più ampio programma di interven- scelta era caduta sul complesso nuragico
ti promossi dalla ancor giovane Regione di Barumini, ora patrimonio dell’umani-
Autonoma della Sardegna, mirati sia alla tà nella lista dell’Unesco, e quindi sulla
ripresa delle attività di ricerca interrotte a città punico-romana di Nora, mentre per
L'altare-terrazza causa delle vicende belliche sia per favo- il terzo sito archeologico l’intervento fu
di Monte d'Accoddi nel suo rire l’occupazione in quei giorni difficili voluto dal “palazzo” e in particolare dal-
primo impianto: ricostruzione del dopoguerra che nell’isola tardava a l’allora ministro della Pubblica Istruzio-
ideale da Santo Tinè concludersi. ne, un sardo che sarebbe divenuto poi
(dis. Francesco Carta). Il progetto prevedeva l’apertura di al- presidente della Repubblica. Infatti, il
professor Antonio Segni, insigne studioso
di diritto ma anche appassionato di ar-
cheologia, si era persuaso che una miste-
riosa collinetta che sorgeva in un terreno
adiacente a una sua proprietà, a una de-
cina di chilometri da Sassari, altro non
fosse che un tumulo etrusco o qualcosa di
simile, e per questo ne aveva caldeggiato
lo scavo e facilitato il finanziamento.
Per realizzare questa impresa occor-
TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

reva tuttavia un archeologo, cosa non


semplice in quegli anni in quanto per la
tutela di un territorio vastissimo la Sarde-
gna poteva contare su un’unica Soprin-
tendenza alle Antichità, con sede a Ca-
gliari, e su due funzionari archeologi. Fu
pertanto necessario richiamare dalla So-
printendenza di Bologna, ove prestava

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servizio, un giovane archeologo sardo –
Ercole Contu – destinato a diventare so-
printendente alle Antichità per le provin-
ce di Sassari e Nuoro e ora professore
emerito di Antichità Sarde all’Università
di Sassari. Contu racconta di essere rien-
trato nell’isola malvolentieri: infatti era
convinto che il cosiddetto “tumulo” altro
non fosse che la rovina di uno dei tanti
nuraghi, circa settemila, che caratteriz-
zano il paesaggio isolano e che sono nu-
merosi nella Nurra, la regione storica ove
sorgeva la collina di Monte d’Accoddi. minante in un territorio per lo più pia- L'altare-terrazza
neggiante, l’altura venne prescelta du- di Monte d'Accoddi
Posizione dominante rante l’ultima guerra per impiantare agli nel suo primo impianto
Ma gli scavi rivelarono che tutti, archeo- angoli delle batterie contraeree, raccor- (dis. Francesco Carta).
logi e no, si erano sbagliati. Infatti le in- date da una trincea circolare: interventi Sotto, Santuario preistorico
dagini dimostrarono che la collina non che hanno gravemente danneggiato gli di Monte d'Accoddi: la rampa
solo non nascondeva alcun nuraghe ma strati superiori del monumento. per la sommità del tempio,
era stata prodotta dalle rovine di un ecce- L’esplorazione di Monte d’Accoddi è l'omphalòs, e la lastra
zionale e finora unico monumento prei- avvenuta in due periodi distinti, con un con fori. (foto Moravetti)
storico, molto più antico dei primi nura- intervallo di circa vent’anni; tuttavia l’in-
ghi. Purtroppo, per la sua posizione do- dagine è ben lontana dal considerarsi
L O Z I G G U R A T D I M O N T E D ’ A R C O D D I

conclusa. Agli inizi, come si è detto, l’in- tuario. In questi stessi anni vennero poi
dagine era volta a definire la natura e il si- individuate le numerose e importanti ne-
gnificato di una modesta collinetta, chia- cropoli a grotticelle artificiali – ipogei che
ramente artificiale, denominata Monte nella tradizione popolare sono noti come
d’Accoddi che, unica e isolata, si elevava domus de janas (casa delle fate) – che
ancora per circa 6-7 metri rispetto al pia- quasi a ventaglio si dispongono con i re-
no di campagna su un’ampia piana calca- lativi villaggi intorno al santuario preisto-
rea. I primi scavi, diretti dal Ercole Contu, rico a indicare un territorio fittamente
ebbero inizio nel 1952 e proseguirono si- abitato. Dopo circa vent’anni, dal 1979 al
no al 1958. In questi anni vennero alla lu- 1989, i lavori furono ripresi ed estesi da
ce una costruzione tronco-piramidale Santo Tinè, dell’Università di Genova, al
La "collina" preceduta da una lunga rampa, un men- quale si devono nuove significative sco-
di Monte d'Accoddi hir, due tavole d’offerta, un settore del vil- perte che hanno meglio chiarito la fun-
in fase di scavo, 1952 laggio e altri importanti elementi cultura- zione della struttura riportata alla luce
(Archivio Ercole Contu). li dispersi per largo tratto intorno al san- dagli scavi precedenti, ribadendo con

Il mistero del nome


Il nome Monte d’Accoddi risultava, al pari della collinetta, piutto- colta» (accoddi) o da corno (la corra). Solo di recente si è potuto
sto misterioso. E di esso si avevano anche altre versioni, come accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali
Monti d’Agodi o Monti d’Agoddi o Monte d’Acode o Monte La è «Monte de Code», che significava «Monte, collina delle pietre».
Corra (sulle carte dell’I.G.M.). Intanto, non stupiva la denomina- Il riferimento alla pietra si ritrova anche nella traduzione spagno-
zione di “monte” a un modesto rilievo dal momento che in Sar- la, risalente al ‘600, del condaghe medievale di San Michele di Sal-
degna viene data anche alle colline. Meno agevole, invece, appa- vennor, nel quale la collina viene chiamata «Monton de la Piedra».
riva l’interpretazione della seconda parte del nome, che venne fat- E infatti, prima degli scavi, le poche pietre ancora affioranti dava-
ta derivare da un’erba (kòdoro, cioè terebinto) o da «luogo di rac- no proprio questo aspetto alla “misteriosa” collinetta.

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nuovi dati l’interpretazione di luogo di
culto già proposta da Contu. Inoltre, nel
corso di questi ultimi interventi sono sta-
te individuate fasi edilizie distinte e si è
realizzato il restauro e una parziale e con-
troversa restituzione del monumento.

Prime ipotesi
Nell’affrontare lo scavo del “tumulo”, la
convinzione che si trattasse di un nura-
ghe o qualcosa di simile aveva spinto
Contu a ricercare l’ingresso alla torre op-
pure la camera a tholos che caratterizza
l’interno delle torri nuragiche. Solo dopo taforma tronco-piramidale a base trape- Sopra, l'altare di Monte
avere definito l’intero profilo perimetrale zia, preceduta, nel lato sud, da una lunga d'Accoddi durante gli scavi
del monumento, poté constatare che rampa d’accesso ascendente: cioè era Contu, 1952-58
non vi erano ingressi o vani, ma che il tu- qualcosa di simile a quello che in ambito (Archivio Ercole Contu).
mulo altro non era che una singolare e mesopotamico viene definito “altare a Sotto, veduta aerea
del tutto sconosciuta struttura delimitata terrazza” o ziggurat. dell’altare-terrazza
da un semplice muro a secco. Questo Alla ripresa degli scavi Santo Tinè di Monte d'Accoddi prima
muro, piuttosto rozzo nella fattura, aveva ipotizzò a sua volta che il tumulo potesse degli interventi di Santo Tinè.
la funzione di foderare una sorta di piat- nascondere una tomba megalitica o ipo-

Non si trovano né l’ingresso né i vani e tramonta


l’ipotesi che il tumulo nascondesse una struttura nuragica

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L O Z I G G U R A T D I M O N T E D ’ A R C O D D I

In primo piano la tavola geica destinata a ospitare la sepoltura di tura ad alveare aveva ammorsato in qual-
per offerte con fori (a destra, un personaggio distinto, e per questo de- che modo il riempimento e impedito che
un particolare) e sullo sfondo cise di affrontare lo scavo del riempimen- vi fosse una spinta verso l’esterno, evi-
l'altare a terrazza dopo to della terrazza fino a raggiungere la ba- tando in tal modo lesioni irreparabili alle
il restauro. Nella pagina se della costruzione, a una profondità di pareti di contenimento del monumento.
seguente, pianta e sezioni circa 8 metri. Va detto che anche Contu Ma soprattutto si scoprì che l’altare mes-
della stessa tavola. aveva tentato l’esplorazione del cuore del so in luce da Ercole Contu era stato pre-
monumento, ma si era dovuto arrestare a ceduto da un altro edificio – del tutto si-
circa tre metri di profondità per mancan- mile nella forma ma di minori dimensio-
za di mezzi tecnici adeguati e sicuri. L’in- ni – e successivamente inglobato in quel-
dagine, condotta stavolta con larghezza lo che ora possiamo ammirare. Inoltre,
di risorse, non sortì i risultati sperati: l’al- sul piano di svettamento di questo edifi-
tare non custodiva alcuna tomba, ma cio più antico – Tempio A – vennero alla
l’intervento rivelò nuovi e interessanti luce i resti di una struttura rettangolare,
elementi architettonici e culturali. punto di arrivo della rampa e sacello del
Intanto si mise in luce un particolare tempio. Pertanto, il monumento attual-
tecnico-costruttivo assai sofisticato che mente visibile (Tempio B) include una
aveva consentito di contenere quella ziggurat di minori dimensioni (Tempio
massa enorme di terra e di pietrame, de- A) o meglio ancora si può dire che l’alta-
limitato in apparenza da un esile para- re a terrazza più antico è stato rifasciato e
mento murario. Infatti era stato creato ingrandito nelle forme attuali.
una sorta di reticolato a “cassoni” forma- L’altare a terrazza più recente pre-
to da un solo filare di pietre: questa strut- senta una base di 37,50 x 30,50 metri, ri-

Gli scavi mettono in luce un sofisticato sistema


di contenimento che sostiene l’enorme massa di pietre

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spettivamente nel lato nord e in quello
est, mentre la rampa ha una lunghezza di
41,50 metri ed è larga da un minimo di 7
metri nella parte iniziale sino a un massi-
mo di 13,50 nel punto di raccordo con il
lato meridionale della terrazza: la lun-
ghezza dell’insieme misura 75 metri. Le
murature del monumento, che si conser-
vano ancora a sud-est per un’altezza di
5,4 metri, sono costituite da grossi bloc-
chi poliedrici di calcare, appena sbozzati
e disposti con scarsa cura in filari irrego-
lari. Queste murature, fortemente incli-
nate per ragioni di statica, erano costitui-
te dalle sole pietre a vista e avevano, co-
me si è detto, la funzione principale di so-
stenere un ammasso stratificato di terra e
pietrame. La rampa, costruita con la stes-
sa tecnica, fu aggiunta alla struttura tron-
co-piramidale poco dopo il primo filare e
per questo motivo aveva anche esercita-
to funzione di piano inclinato per edifi- L’ingresso al vano era segnato ai lati da Qui in basso la faccia
care il resto dell’edificio principale. La due buche di palo riferibili a un piccolo anteriore e nella pagina
costruzione occupa una superficie di portico: altre buche per contenere i por- precedente quella posteriore
2.513 metri quadri, mentre il suo volume tanti del tetto a doppio spiovente erano di una stele trovata
risulta di 7.590 metri cubi. forse presenti nel piano pavimentale del- nei pressi della parete nord
lo stesso sacello. A differenza del resto de- della terrazza.
Pareti intonacate gli scavi, totalmente a cielo aperto, que-
La ziggurat più antica (A), scoperta da sta cella è ora protetta da una struttura
Santo Tinè all’interno della costruzione metallica.
portata alla luce da Ercole Contu, era a La superficie occupata da questo pri-
sua volta costituita da una piattaforma mo monumento è di 1.491 metri quadri,
quadrangolare sulla quale era stata co- mentre il volume complessivo è stato sti-
struita una struttura rettangolare, rag- mato in 4.133 metri cubi. La differenza
giungibile grazie a una rampa ascenden- fra i volumi dei due edifici, di 3.457 metri
te. Il paramento murario di questa terraz- cubi, costituisce la dimensione di cuba-
za si distingueva per una particolare cura tura necessaria per rifasciare il primo al-
e raffinatezza: infatti, le pareti erano sta- tare andato distrutto.
te intonacate e dipinte di rosso. Le pareti Restano delle perplessità sulla forma
del sacello, ove si ipotizza venisse officia- originaria dell’altare a terrazza più recen-
to il culto, erano anch’esse intonacate e te. Infatti, il restauro di Tinè è stato realiz-
affrescate con colore rosso ocra, da qui la zato ritenendo che ci fossero elementi
denominazione di tempio rosso, così co- sufficienti per credere che la costruzione
me il pavimento. Della struttura rimane il fosse a gradoni, mentre Contu ritiene, in-
muro perimetrale, alto ora circa 70 cm. vece, che le pareti esterne avessero solo

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due inclinazioni diverse e due diverse stra, disseminata di coppelle e interpre-


murature: pietre più grosse e meno incli- tata come tavola per offerte, è ritenuta
nate nella parte inferiore, pietrame mol- contemporanea all’altare a terrazza più
to più piccolo e profilo più inclinato nei recente. Una seconda tavola per offerte
filari superiori. in trachite (ignimbrite presente in affio-
L’interesse del sito di Monte d’Ac- ramenti distanti almeno 6 km dal santua-
coddi, già eccezionale per la singolarità rio), di minori dimensioni e più semplice
del monumento sopra descritto, non si nella sua forma irregolare fu trovata sullo
esaurisce con l’edificio a ziggurat, ma è stesso lato, quasi a ridosso della rampa.
Un menhir in calcare micritico, diffe-
rente dai litotipi affioranti sul posto, gia-
ceva rovesciato sul lato opposto della
rampa: si tratta di lunga pietra calcarea
squadrata. Sia la lastra di trachite che il
menhir sembrano appartenere a un mo-
mento antecedente rispetto al lastrone
calcareo, e sono la conferma che il luogo
era considerato sacro forse ancor prima
della costruzione del primo altare. Vicino
al grande lastrone, ma del tutto fuori po-
sto perché proveniente da oltre il muro
orientale di recinzione della zona ar-
cheologica, si trova una pietra sferoidale,
in arenaria grigiastra, rifinita accurata-
mente e con la superficie punteggiata di
piccole coppelle. È verosimile che abbia
avuto valenza sacra, forse con lo stesso
significato dell’omphalòs di Delfi ritenu-
Veduta dell’omphalòs, accresciuto dal villaggio-santuario e dai to l’ombelico del mondo; non è tuttavia
della rampa e della terrazza copiosi ritrovamenti di cultura materiale. da escludere, come qualcuno ha prospet-
dopo i lavori di restauro In prossimità della rampa, a est e a circa tato, l’ipotesi di una simbologia astrale.
e restituzione. 5 m di distanza dalla stessa, è visibile un Un’altra pietra sferoide in quarzite, di mi-
lastrone trapezoidale in calcare che pog- nori dimensioni, rinvenuta nella stessa
gia su tre supporti piuttosto irregolari. I zona da cui proviene il cosiddetto om-
bordi presentano sette fori passanti, si- phalòs, è stata sistemata accanto allo
mili a buche di biliardo, forse creati per stesso.
legarvi degli animali per sacrifici. Al di Fra gli elementi di sicura valenza cul-
sotto della lastra vi è un inghiottitoio na- tuale, a parte numerosi idoletti femmini-
turale d’incerto significato, forse legato a li, frammentari, di tipo cicladico, forse in-
culti del mondo sotterraneo. Questa la- dicativi di un culto della Dea-Madre, so-

Il luogo era forse considerato sacro


ancor prima della costruzione del primo altare

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no da segnalare almeno due stele: la pri-
ma, in pietra calcarea e frammentaria,
presenta un disegno con losanga e spira-
li e fu recuperata entro la grande rampa;
la seconda, in granito e di forma rettan-
golare, è decorata in entrambe le facce e
presenta una figura femminile filiforme
stilizzata in rilievo: fu trovata nei pressi
della parete settentrionale della terrazza
più antica. Da ricordare, infine, una pie-
tra di forma piatta ellittica, segnata da
tredici scanalature parallele di incerto si-
gnificato e attraversate da almeno altre
due perpendicolari: proviene dall’angolo iniziale, 3500-3300 a.C. – che ha precedu- L'omphalòs e la pietra
sud-est della seconda terrazza e forse, a to la costruzione del monumento e forse sferoide in quarzite.
parere del Contu, era in relazione con anche quella dell’area sacra con il men- Sotto, la superficie
una sepoltura di cui si dirà più avanti. hir. Si è stimato che l’area abitativa si dell’omphalòs disseminata
Sia negli scavi Contu che in quelli estendesse per circa 22.000 metri quadri, di piccole coppelle.
successivi si rinvennero fondi di capanna ma in realtà la parte indagata è ancora
e materiali riferibili a un momento, detto molto modesta per poter trarre conclu-
facies di S. Ciriaco – Neolitico Recente sioni sulla densità dei nuclei abitativi che
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Due immagini del menhir si sono succeduti nel tempo. Per la fase Monte d’Accoddi era fatto con brecciame
riferibile a una fase relativa alla cultura di Ozieri, ad esempio, fino di calcare. Nella Capanna dd, posta
precedente la costruzione Tinè ha ipotizzato un villaggio di 150 ca- tra le due tavole di offerta, era ancora
dell'altare a terrazza. panne, abitate ciascuna da 5 unità, se- conservato il focolare rettangolare in ar-
condo una stima convenzionalmente ap- gilla con bordo in rilievo. Situata vicino
plicata agli ambiti neolitici. In realtà sono all’angolo nord-est dell’altare si trova la
ancora estremamente scarsi i resti delle Capanna p-s, indubbiamente quella più
strutture che hanno preceduto la costru- interessante e più ricca di reperti: è detta
zione dell’altare più antico, mentre si anche Capanna dello Stregone per il fat-
conservano con sufficiente nitidezza i to che entro una brocca capovolta sono
profili murari di alcune capanne costrui- state rinvenute una punta di corno bovi-
te intorno all’altare e alla rampa, ricon- no e alcune conchiglie marine bivalve. Si
ducibili a una fase tarda dell’abitato. tratta di un struttura pluricellulare, di for-
Questi resti murari sono ridotti a un solo ma trapezoidale e con l’interno suddivi-
filare di pietre, rozze e di media grandez- so in cinque ambienti di varia forma: il
za, che doveva costituire la base della ca- tetto doveva avere un unico spiovente,
panna. Si è ipotizzato l’utilizzo di matto- dato che un muro perimetrale risulta più
ni crudi o di canne o frasche con intona- robusto degli altri. Questa capanna, ab-
co di fango, e si sono trovate varie im- bandonata in seguito a un incendio, con-
pronte su argilla bruciata. Anche i tetti, a servava ancora in situ tutto il suo antico
uno o due spioventi, dovevano avere un deposito, costituito soprattutto da reper-
telaio realizzato con legni e copertura ti fittili: un centinaio circa fra vasi grandi
straminea. e piccoli – persino un tripode ancora in
Il pavimento di queste capanne di piedi sul focolare – un idoletto femmini-

Una capanna rimasta abbandonata dopo un’incendio


aveva un tripode ancora in piedi sul focolare

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le, un peso da telaio decorato da dischi vicino all’altare, come statuette in pietra L’altare visto dallla rampa.
pendenti, numerose macine litiche e al- femminili, di tipo cicladico, e forse anche
tre cose ancora. In tutta l’area intorno al il frammento di un ciotolone emisferico
grande altare, a indicare l’intensa fre- con incisa una scena di danza. Intorno
quentazione del santuario, sono stati rin- all’altare, per largo tratto, ad accrescere la
venuti mucchi di conchiglie, forse resti di straordinaria importanza del complesso
pasti sacri, accanto a ceneri e carboni; cultuale, sono presenti tracce copiose di
ma erano abbondanti anche i resti di pa- vita che documentano i numerosi nuclei
sto di altro tipo, comprendenti più o me- abitativi che gravitavano sul santuario. A
no gli stessi mammiferi attuali, domesti- un centinaio di metri dal lato orientale
ci e selvatici, lumache, ricci di mare, coz- dell’altare a terrazza, oltre un muro re-
ze, orate e persino grandi bocconi conici cente che segna il confine della zona de-
di mare o Charonia, usati anche come gli scavi, non lontano dal luogo di prove-
strumento per suono a fiato, cioè come nienza dell’omphalos, sono stati rinve-
bùccina. nuti due menhir rovesciati sul terreno.
Si è recuperato, inoltre, un numero Uno è di arenaria, mentre l’altro è di cal-
insolito di punte di freccia e lame in selce care: di colore bruno-rossastro il primo e
e ossidiana, e di accette in pietra levigata. bianco il secondo, forse a voler distingue-
All’interno di un vaso si trovarono otto re rispettivamente l’uomo e la donna,
pesi reniformi riferibili a un primitivo te- corrispondenti forse a principi divini o
laio verticale. Strettamente legati alla sfe- antenati «eroizzati» oppure ancora alla
ra del sacro sono altri materiali rinvenuti forza generativa della natura espressa dal

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L O Z I G G U R A T D I M O N T E D ’ A R C O D D I

Ricostruzione ideale
del villaggio di cultura
Ozieri con area sacra
provvista di menhir,
nell’area ove sorgerà
la terrazza-altare
(dis. Francesco Corni).

Qui sotto, pesi da telaio


reniformi rinvenuti
nel corso degli scavi Contu.
In basso, frammento di stele
decorata a losanghe e motivi fallo. Nella stessa zona da cui proviene possibili portano verso il Vicino Oriente.
spiraliformi rinvenuta l’omphalòs fu trovato anche un bacile- Si tratta, è bene precisarlo, di raffronti del
durante gli scavi Tinè. frantoio, sporco di ocra rossa, in trachite. tutto generici che non sono indicativi di
I due altari a terrazza sco- contatti diretti di cui, almeno finora,
perti a Monte d’Accoddi, sia mancano le prove. Le piramidi a gradoni
quello più antico sia quello – tipo quella notissima di Sakkara – por-
più tardo che lo ha ingloba- terebbero all’Egitto, anche se l’edificio
to, presentano entrambi una sardo sembra ricordare le mastabe, an-
struttura del tutto scono- ch’esse delle piramidi tronche. Ma le ma-
sciuta nel panorama del me- stabe sono tombe e non presentano alcu-
galitismo occidentale. Ci na rampa esterna a piano inclinato per
troviamo di fronte a un im- raggiungere la spianata superiore, e la sa-
ponente edificio cultuale in- lita doveva rivestire un forte significato
torno al quale si estendeva simbolico quale ascesa verso la divinità.
un vasto villaggio: un santuario al quale i Più suggestivo, invece, il richiamo con il
fedeli dovevano accorrere, data la sua ri- tipo più elementare di torri sacre, provvi-
levanza, da un territorio molto vasto e da ste di rampe e gradoni della Mesopota-
lontano, forse da tutta la Sardegna come mia: le ziqqurat. La più famosa, oltre
ipotizzato da qualcuno. Si è già detto del- quella di Ur, è meglio nota dalla Bibbia co-
l’unicità architettonica di questo monu- me torre di Babele, cioè torre di Babilonia.
mento che non trova finora riscontri sia Sono ziqqurat piuttosto complesse, come
in Europa sia nell’intero bacino del Medi- anche quelle analoghe di Assur e Korsa-
terraneo, e per questo i soli confronti bad, appartenenti al III millennio, mentre

1 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
Restituzione grafica
dell’altare-terrazza
a gradoni di Monte d'Accoddi
successivo al tempio
precedente inglobato
al suo interno
(dis. Francesco Corni).

Sotto, frammento di ciotolone


emisferico con figure
femminili in atto di danza.

quella di Aqar Quf è addirittura del secon- fertilità per uomini e ani-
do. Ma il raffronto che pare più significa- mali e altro ancora.
tivo, almeno per la maggiore semplicità, è Fin dai primi inter-
quello con la ziqqurat di Anu, a Uruk, co- venti era apparso chiaro
struita in tempi non troppo lontani dal- che Monte d’Accoddi era
l’altare di Monte d’Accoddi. un monumento anteriore
all’età dei nuraghi, non
Architettura inedita solo per la sua inedita ar-
La ziggurat di Monte d’Accoddi ricorda chitettura ma per i mate-
inoltre – ma soltanto come puro richia- riali che si andavano ritro-
mo letterario – l’altare che Javeh impone vando, riferibili ai tempi delle culture di
di costruire a Mosé: doveva essere di pie- Ozieri, di Filigosa, di Abealzu, Monte Cla-
tre rozze o terra e accessibile a mezzo di ro e Campaniforme, fra il Neolitico Re-
una rampa senza gradini, e questo affin- cente e l’Età del Rame. A ribadire l’alta
ché, per la corta tunica, non si generasse antichità del complesso archeologico si
scandalo. E siamo intorno al 2200 a.C. dispone di numerose datazioni radiome-
Forse, come avveniva nelle ziggurat me- triche, fra le quali risultano di particolare
sopotamiche, anche la piramide tronca interesse cinque datazioni non calibrate
di Monte d’Accoddi era destinata alle fe- dal Laboratorio di Utrech. In conclusio- Strumenti litici in ossidiana.
ste sacre legate al ciclo agrario, alla fera- ne, sulla base dei dati finora disponibili si
cità dei campi, ai riti propiziatori della possono determinare in qualche misura

Il santuario di Monte D’Accoddi era dedicato


alle feste sacre legate al ciclo agrario e alla fertilità

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 1 7
L O Z I G G U R A T D I M O N T E D ’ A R C O D D I

le fasi costruttive della “ziggurat” e i di-


versi momenti di frequentazione di Mon-
te d’Accoddi. L’area ove ora sorge la “zig-
gurat” e il villaggio-santuario è stata per
la prima volta occupata ai tempi della
cultura di San Ciriaco (3500-3200 a.C.)
agli inizi del Neolitico Recente, come do-
cumentano ceramiche e i resti di capan-
ne circolari seminterrate. Su questo pri-
Ricostruzione grafica mo impianto si sovrappose un nuovo nu-
dei due tempietti riferibili cleo abitativo riferibile alla cultura di
alla due fasi costruttive. Ozieri (3200-2900 a.C.), provvisto di un’a-
rea di culto segnata da un menhir,
dalla lastra con fori passanti. soni radiali, e quindi venne eretto un
Successivamente, nella fase fi- nuovo sacello, rialzato di vari metri, men-
nale della stessa cultura di Ozie- tre anche la piramide e la rampa veniva-
ri – ma per altri nella successiva no ricostruite e ampliate.
cultura eneolitica di Filigosa – La seconda piramide – costruita ai
l’area del menhir venne parzial- tempi di Filigosa ma per altri durante la
mente occupata dalla costru- cultura di Abealzu (2700 a.C.) – rimase in
zione del primo altare a terraz- uso nell’Eneolitico, come attestano i ma-
za, munito di rampa e spianata teriali delle culture di Filigosa, Abealzu,
con sacello intonacato e dipinto Monte Claro e Campaniforme rinvenuti
di rosso. I dati di scavo hanno ri- nelle capanne che sorgono ai piedi della
velato che la prima piramide piramide, ma già ai tempi della cultura di
con il sacello venne distrutta da Bonnanaro, nel I Bronzo (1800-1600
un incendio, dopo il quale fu ri- a.C.), il santuario doveva essere in ab-
coperta da terra e pietrame ben bandono anche se non mancano tracce
assestato con un sistema di cas- di frequentazioni più recenti come quel-

Come arrivare al Santuario


Il santuario preistorico di Monte d’Accoddi è situato a 11 km da Sassari,
all’altezza del km 222,35 della Superstrada 131, Sassari-Portotorres, sul
lato sinistro. Al monumento, a circa 800 metri dalla superstrada, si ac-
cede da una strada lastricata: a metà del percorso, all’interno di una ca-
va abbandonata è stato ricavato un ampio parcheggio. Nell’area ar-
cheologica esiste un piccolo Antiquarium ove sono esposti pannelli di-
dattici che illustrano i risultati degli scavi. Sono invece esposti al Museo
Archeologico Nazionale G. Antonio Sanna di Sassari altri pannelli didattici, un bel plastico di tipo tradizionale, un mo-
derno ologramma e una scelta dei copiosi materiali ritrovati durante gli scavi.

1 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
le molto rare nuragiche, fenicio-puni- volta cranica (platicefalia) – coperto, La “Capanna dello stregone”
che, di età romana e medioevale. A testi- quasi come un elmo, da un vaso a tripo- dopo lo scavo;
moniare che già durante il Bronzo Anti- de di terracotta e con accanto una cioto- nella pagina precedente,
co il santuario aveva perduto la sua fun- la. Le ceramiche di corredo attestano che la sua planimetria,
zione di luogo di culto, va segnalata la se- si tratta di una tomba della cultura di
poltura di un fanciullo di sei anni, rinve- Bonnanaro (1800-1600 a.C.), quando il
nuta all’interno del riempimento del- grande altare era già da tempo abbando-
l’angolo sud-est della “ziggurat”. Si tratta nato e in rovina, luogo di frequentazioni
di un seppellimento di tipo secondario, sporadiche e occasionali.
costituito dal solo cranio – brachicefalo e
affetto da appiattimento congenito della Alberto Moravetti, Università di Sassari

Bibliografia
S. Castia, Il caso studio Monte d’Accoddi (Sassari). Problematiche cro- G. Lilliu, Religione della Sardegna prenuragica, Bollettino di Paletnolo-
nologiche e sociali, in Cronache di Archeologia, Muros 2002, pp. 61-101. gia Italiana, 66°, 1957.
E. Contu, Nuove anticipazioni sui dati stratigrafici dei vecchi scavi di G. Lilliu, La Civiltà dei Sardi dal Paleolitico all’Età Nuragica, Torino 1988.
Monte d’Accoddi, in Monte D’Accoddi. 10 anni di nuovi scavi, Istituto M. G. Melis, L’età del Rame in Sardegna, Villanova Monteleone, 2000.
Italiano Archeologia Sperimentale, Soprintendenza Archeologica di D. Onesti, Il caso studio Monte d’Accoddi (Sassari). Indagine territoria-
Sassari e Nuoro, Genova 1992. le e ipotesi di calcolo della forza-lavoro, in Cronache di Archeologia, Mu-
E. Contu, L’altare preistorico di Monte d’Accoddi, Guide e Itinerari, 29, ros 2002, pp. 11-58.
Carlo Delfino editore, Sassari 2000. S. Tinè, M. d’Accoddi e la cultura di Ozieri, in La cultura di Ozieri. Pro-
E. Contu, Monti d’Accoddi. Una scoperta, un miracolo, un’avventura, in blematiche e nuove acquisizioni, Ozieri, gennaio 1986-aprile 1987, ed.
Almanacco Gallurese, Muros 2000-2001. Ozieri, 1989.

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 1 9
T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E

La montagna
della roccia nera
Da cinque anni un progetto di ricerche archeologiche e archeometriche indaga
sullo sfruttamento e la distribuzione dell’ossidiana del Monte Arci nella preistoria
CARLO LUGLIÈ

A
EST DELL’AMPIO GOLFO di Orista- dato avvio al suo popolamento.
no, nella Sardegna centro-occi- Sa pedra crobina, alla lettera “la roc-
dentale, il complesso vulcanico cia nera come il corvo” è l’espressione
del Monte Arci di 812 metri campeggia più usata in lingua sarda per denominare
col suo compatto rilievo a scudo esteso l’ossidiana. Si tratta di un vetro vulcanico
per circa 150 kmq. Questo massiccio, for- scuro e lucente che si forma sulla super-
matosi essenzialmente tra la fine dell’Era ficie terrestre per il raffreddamento rapi-
terziaria e l’inizio del Quaternario, ha do di lave dalla composizione acida: la
esercitato un forte condizionamento sul caratteristica omogeneità della struttura
primo insediamento umano di questa re- di questa roccia e la sua durezza, consen-
gione ma non solo per la netta impronta tendo un elevato controllo della frattura e
che conferisce al paesaggio. Infatti per i un’ottima lavorabilità all’applicazione di
Ciottolo di ossidiana versanti del monte, sotto i boschi secola- diverse tecniche di scheggiatura, l’hanno
del gruppo SC da deposito ri di lecci, roverelle e corbezzoli o tra la resa una delle materie prime più apprez-
secondario di lunga distanza. densa macchia di lentisco, erica e cisto, si zate fin dall’antica età della pietra per la
disperdono in diverse località come in realizzazione di utensili d’uso quotidiano
una vasta miniera a cielo aperto le ossi- dalle forme e funzioni disparate, quali ar-
diane formatesi da circa 3,25 milioni mature di proiettili, lame, perforatori, ra-
di anni. Esse hanno avuto notevo- schiatoi. Più raramente l’ossidiana veni-
le importanza per le popolazio- va anche levigata per ottenere monili e
ni preistoriche del Mediterra- oggetti di ornamento.
neo occidentale e sono state In alcune aree continentali dell’Afri-
uno dei fattori di attrazione ca e dell’Asia come a Melka Kunture, in
per le prime comunità neo- Etiopia, o a Chikiani, Djraber-Fontan-
litiche: approdati circa set- Kendarasi e Arzni in Georgia e Armenia, è
temila anni fa in un’isola che testimoniata la produzione di manufatti
le attuali evidenze archeolo- in ossidiana da parte di cacciatori del Pa-
giche spingono a ritenere di- leolitico inferiore, in tempi compresi tra
sabitata e coperta di foreste, 1.500.000 e 200.000 anni fa. Tuttavia, oltre
questi coloni-pionieri hanno che alle caratteristiche tecnologiche in-

2 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

dicate e all’efficienza dei margini taglien- considerarla alla stregua di un vero e pro- Veduta occidentale
ti delle sue schegge, si deve a prerogative prio bene esotico, carico di valenze sim- del complesso vulcanico
estetiche come la colorazione scura bril- boliche e indicatore di elevato status so- del Monte Arci.
lante e la traslucenza il fatto che l’uomo ciale per chi lo possedesse.
sia stato affascinato e conquistato dal- Il Mediterraneo occidentale è una re-
l’ossidiana in diverse regioni della terra e gione dove il fenomeno della concentra-
fin dai primordi del suo cammino evolu- zione e marginalizzazione delle fonti di
tivo. Col passaggio alla preistoria recente ossidiana risulta più evidente, perché
e all’epoca neolitica, la progressiva istitu- quelle effettivamente sfruttate a partire
zione di reti di scambio delle materie pri- dal Neolitico antico (VI millennio a.C.),
me ha promosso una più vasta diffusione sono tutte localizzate su isole distanti dal
di questa risorsa, che ha raggiunto anche continente. Oltre che in Sardegna l’ossi-
territori nei quali per la produzione di diana si trova infatti circoscritta all’isola
strumenti erano disponibili e sfruttate di Lipari nell’arcipelago delle Eolie, a
rocce alternative altrettanto efficienti. quella di Palmarola nelle Isole Ponziane e
Questa circolazione per notevoli distan- a Pantelleria, tra la Sicilia e la costa nord-
ze è indizio di un’elevata considerazione africana. Il loro reperimento periodico
dell’ossidiana per l’uomo neolitico, ac- doveva senz’altro implicare il possesso di
cresciuta dal numero limitato delle aree consolidate capacità di navigazione d’al-
sorgenti: tutto questo ha spinto talora a tura e una forte motivazione.

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 2 1
T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E

Area degli affioramenti L’attuale interesse degli archeologi per ed economica delle comunità che ne
ossidianacei occidentali l’ossidiana è incentrato, oltre che sui si- hanno promosso e curato la ricerca, la
sul Monte Arci. stemi di produzione che contraddistin- trasformazione e la diffusione.
guono le diverse comunità preistoriche
che la impiegarono, anche sugli aspetti Le prime analisi
connessi alla circolazione di questa ma- Nella prima metà dell’800 il capitano di
teria prima. Grazie alla “firma composi- fanteria dell’Esercito Sardo, Alberto Fer-
zionale” che ne caratterizza l’origine e rero de La Marmora, con le sue appas-
che si conserva inalterata nel tempo, sionate indagini geologiche, topografi-
questa roccia è studiata da decenni con che e storiche in Sardegna portò all’at-
lo scopo di localizzarne la provenienza e tenzione del mondo scientifico il feno-
di delineare le forme di contatto e intera- meno ossidiana. Egli descrisse estesi de-
zione tra le comunità preistoriche nelle positi sul versante orientale del Monte
più disparate regioni della Terra. Così, a Arci, facendo seguire numerose altre se-
fronte di rocce più diffuse o di più diffici- gnalazioni relative a diverse località del-
le caratterizzazione geochimica, l’ossi- l’isola. Ben più tardi, al principio del
diana è divenuta a partire dagli anni ‘50 la ventesimo secolo, furono pubblicate le
cartina di tornasole privilegiata delle in- prime analisi petrografiche su pochi
terazioni tra popolazioni culturalmente campioni esaminati dal geologo ameri-
distinte, oltre che uno strumento per in- cano H. S. Washington. Ma è solo alla
dagare i livelli di organizzazione sociale metà degli anni ‘50 che prese piede

L’ossidiana serve a mappare gli scambi tra le comunità preistoriche


e a ricostruire le relative strutture sociali ed economiche

2 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
un’indagine specifica sull’ossidiana del gione di studi preistorici che in campo Formazioni ossidianacee del
Monte Arci in quanto risorsa di interesse europeo sperimentavano l’applicazione gruppo SB2 in località Bruncu
archeologico, grazie all’edizione dei ri- su materiali archeologici di diversi me- Perda Crobina (Morgongiori).
sultati delle ricerche condotte sul terre- todi fisico-chimici di caratterizzazione Sotto, le quattro fonti
no dal sardo Cornelio Puxeddu. Le sue delle materie prime: l’obbiettivo era la di ossidiana
prospezioni estensive portarono all’in- formulazione di modelli interpretativi di del Mediterraneo Occidentale
dividuazione di 272 località sul monte in fenomeni sociali generalizzati presso le e le loro aree di diffusione
cui era presente ossidiana: tuttavia, aldi- comunità di interesse paletnologico, (VI-IV millennio a.C.).
là della segnalazione di numerose offici- quali l’organizzazione della produzione,
ne con abbondanti scarti di lavorazione l’interazione, la reciprocità. È proprio in
– la cui interpretazione funzionale è og- questo settore che le indagini sulle pro-
gi soggetta a revisione – questo studio
pionieristico ebbe il merito di identifica-
re tre distinte località, denominate giaci-
menti originari, in cui l’ossidiana appa-
riva nella sua posizione di formazione.
In breve tempo queste scoperte hanno
stimolato l’interesse della ricerca ar-
cheometrica applicata a questa materia
prima e, sulla scia delle prime indagini
su larga scala formulate nel 1953 da J.
Garstang per l’Anatolia meridionale, da
più parti fu compresa a pieno l’impor-
tanza dell’identificazione dell’origine di
una materia prima dalla diffusione ben
circoscrivibile. Si era agli albori della sta-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 2 3
T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E

Origine e diffusione della materia prima: un problema complesso


Trent’anni di studi di caratterizzazione dell’ossidiana so, con tessiture a bande, venature o chiazze più o
del Monte Arci hanno portato all’individua- meno distinte dal colore dominante - la maggiore
zione di quattro gruppi chimici discreti sot- o minore lucentezza, la trasparenza o totale opa-
to l’aspetto composizionale, denominati cità, la presenza di inclusioni più o meno grandi e
SA, SB1, SB2 ed SC e individuati in situ nel- frequenti. Tuttavia, alcuni di questi caratteri si ri-
le loro specifiche località di formazione. presentano associati all’interno di più gruppi com-
Ciascun gruppo può essere in parte ri- posizionali, per cui il riconoscimento visuale, che pure
conosciuto anche in base a prerogative macroscopiche come la necessita di molta esperienza, non può mai sostituire per intero la
variabilità del colore - dal nero cupo omogeneo al grigio e al ros- determinazione strumentale.

Nel riquadro, blocco venienze dell’ossidiana sono diventate ai meccanismi di sfruttamento della ri-
di ossidiana rossa a chiazze una palestra per l’affinamento e l’impie- sorsa, della produzione, della circolazio-
nere da deposito colluviale go sempre più sistematico delle tecniche ne e dell’uso dei prodotti non hanno se-
in territorio di Pau. archeometriche. gnato un progresso corrispondente.
Su queste basi, gli archeologi hanno
volto l’attenzione all’analisi della circola- Il prossimo traguardo
zione della materia prima del Monte Arci Per proiettare una luce sul sistema di pro-
su vasta scala geografica. Come per le al- duzione e consumo dell’ossidiana del
tre sorgenti del Mediterraneo occidentale Monte Arci in epoca preistorica, ricerca-
sono stati dunque costruiti schemi de- tori delle Università di Cagliari, Pavia e
scrittivi delle direttrici e delle reti di scam- Bordeaux e del CNRS, coordinati dalla
bio strutturate a partire dalla Sardegna, professoressa Giuseppa Tanda, hanno
facendo segnare di recente un forte incre- strutturato un progetto di ricerca che in-
mento delle analisi composizionali su os- tegrasse appieno indagini archeometri-
sidiane “archeologiche” rinvenute in Cor- che di determinazione delle provenienze
sica, nell’Italia centrosettentrionale e nel- e analisi tecnologica della manifattura.
la Francia mediterranea. Attualmente so- In primo luogo si è inteso procedere
no oltre mille gli insediamenti dai quali alla definizione degli stadi iniziali del
provengono ossidiane, scaglionati per un processo di acquisizione e prima trasfor-
lungo arco di tempo, tra il VI e il III mil- mazione della materia prima in Sarde-
lennio a.C. Con l’applicazione sistemati- gna, per estendere successivamente l’at-
ca delle analisi di determinazione si è an- tenzione all’analisi di reperti provenienti
data formando una consistente banca da contesti chiave della preistoria del Me-
dati sulla composizione chimica della diterraneo occidentale.
materia prima dei singoli manufatti, ma I risultati preliminari sono incoraggianti:
le conoscenze relative agli aspetti sociali, in relazione al primo obbiettivo, sul Mon-

Sono stati studiati oltre mille insediamenti che coprono un’ampia


regione geografica e un lungo intervallo temporale

2 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
te Arci e nella regione circostante sono
state classificate tre differenti tipologie di
depositi di ossidiana: ai già noti giaci-
menti primari e sub-primari, dove il vetro
vulcanico è inglobato nella matrice di
formazione originaria o si presenta di-
sgregato in contigui accumuli colluviali
lungo i versanti, oggi si possono affianca-
re numerosi e consistenti giacimenti se-
condari, distanti fino a 20 km in linea d’a-
ria dalle corrispondenti formazioni. Que-
sti depositi secondari, con ciottoli fluitati
a superfici esterne fortemente alterate,
sono dislocati nei terrazzi alluvionali e
negli antichi corsi fluviali della pianura
del Campidano, fossa tettonica colmata
da sedimenti quaternari che corre a sud-
ovest del Monte Arci. Delle aree di giaci-
tura secondaria è stata realizzata una pri-
ma mappatura, con definizione della
composizione geochimica e della relativa
sorgente di provenienza.
Cartografare le aree di dispersione
delle ossidiane, classificarne corrispetti-
vamente le morfologie e le caratteristiche
distintive macroscopiche di colore, traslu-
cenza e tessitura delle superfici, è di capi-
tale importanza quando si lavora compa-
rativamente sulle collezioni archeologi-
che al fine di individuare i meccanismi e le
strategie di reperimento della materia pri-
ma da parte dei primi gruppi umani inse- poli organizzati secondo le dimensioni Sopra, affioramento di ossidiane
diati nella regione tra VI e IV millennio a.C. urbana e statale. In particolare, per inter- del gruppo SA in matrice
Si tratta di aprire una finestra su que- pretare la distribuzione insulare ed ex- perlitica da località Conca ‘e
sti comportamenti e di ricostruire i mo- trainsulare dell’ossidiana del Monte Arci Cannas (Masullas); sotto,
delli di organizzazione economica e so- è necessario individuare nell’evidenza affioramento di ossidiane del
ciale di comunità che hanno svolto un archeologica i criteri di selezione prefe- gruppo SB1 in matrice perlitica
ruolo rilevante nell’avviare il processo di renziale della materia prima applicati da località Monte Sparau
circolazione dell’ossidiana nell’isola e al nella preistoria, ora legati alle prerogative (Marrubiu).
di fuori di essa, contribuendo in tal modo tecniche o estetiche di ciascun gruppo
a collocare precocemente la Sardegna al geochimico, ora conseguenti a difficoltà e
centro di una vicenda di contatti e di rela- restrizioni nell’accesso a specifici deposi-
zioni tra culture dal seguito plurimillena- ti della materia prima dovute a fattori na-
rio, fino al suo definitivo ingresso nella turali o umani. Solo sulla base di questi
storia per effetto dell’interazione con po- elementi, infatti, è possibile fare precise

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 2 5
T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E

valutazioni dell’investimento economi- la loro organizzazione sequenziale in


co, corrispondente al tempo e all’energia metodi riconosciuti caratteristici di spe-
di trasporto richiesti per l’acquisizione di cifiche aree regionali e riferibili a epoche
una specifica qualità di ossidiana. circoscritte. Si tratta di uno strumento
euristico indispensabile per riconoscere
Saggi di qualità eventuali limitazioni tecniche insite nel-
A questo punto entra in campo il contri- le qualità di roccia meglio documentate
buto dell’attività sperimentale, cioè del- nei siti archeologici (SA, SB2 ed SC) e per
la pratica di riproduzione dei gesti tecni- contribuire a interpretarne la rappresen-
ci della scheggiatura dell’ossidiana e del- tatività statistica. La pratica di scheggia-

Impronte digitali sulle rocce: le analisi sulla provenienza dell’ossidiana


A metà degli anni ‘60 i ricercatori inglesi J. R. Cann e C. Renfrew zione variabile, quali l’analisi della composizione isotopica dello
presentarono la prima applicazione di metodiche analitiche in gra- stronzio, la Spettroscopia Mössbauer, lo studio delle proprietà
do di distinguere la “firma” di ciascuna tra le varie fonti di ossi- magnetiche e l’analisi delle patine di idratazione dell’ossidiana.
diana nel Mediterraneo: fu impiegato il metodo della spettrosco- Alla metà degli anni ‘80, dimostrata grazie al lavoro di V. Fran-
pia a emissione ottica per l’individuazione di alcuni elementi in caviglia la possibilità di caratterizzare le sub-sorgenti del Monte Ar-
tracce (rilevabili in parti per milione) ritenuti di riferimento, quali ci anche attraverso la distribuzione percentuale degli elementi
bario, zirconio, niobio e ittrio. Il presupposto teorico era fondato maggiori, mediante la tradizionale analisi in Fluorescenza a Raggi
sulla capacità di differenziare le fonti in quanto ritenute sostan- X (XRF), lo sviluppo di applicazioni fisiche a scopi archeometrici per
zialmente omogenee al loro interno ed eterogenee tra loro. In l’attribuzione di provenienza dell’ossidiana si è volto alla messa a
realtà i manufatti analizzati rivelarono per lo stesso Monte Arci la punto di metodi rapidi, economici e poco invasivi o non distruttivi,
presenza di almeno due sub-fonti la cui precisa localizzazione tar- considerata l’esigenza di preservare l’integrità dei manufatti ar-
dò a essere determinata per effetto dell’imprecisione nella loca- cheologici per ulteriori repliche analitiche e per garantirne la mu-
lizzazione delle campionature. Nel successivo decennio si speri- sealizzazione. In questo campo è stata fondamentale la ricerca di
mentarono numerosi metodi di analisi delle composizioni chimi- R. Tykot, grazie all’impiego della microsonda elettronica associata
che sia su manufatti archeologici sia su campioni geologici, come alla Spettrometria di Raggi X a Dispersione di Lunghezza d’Onda
l’Attivazione Neutronica Strumentale (INAA). In alternativa fu im- (WDS = Wavelenght Dispersive x-ray Spectrometry). Precisione e ra-
piegato il parametro discriminante dell’età di formazione geolo- pidità del metodo hanno consentito di implementare in breve tem-
gica di ciascuna fonte, mediante metodi di datazione assoluta po la banca dati sulle ossidiane del Monte Arci. Un procedimento
quali il Potassio-Argon (K/Ar) e le tracce di fissione. Un numero più non distruttivo e in certa misura alternativo è stato messo a punto
consistente di campioni rese possibile individuare tre gruppi dis- in Italia da G. M. Crisci e A. M. De Francesco con l’introduzione di
creti all’interno dell’ossidiana del Monte Arci, tanto che negli an- una tecnica di analisi per Fluorescenza a Raggi X in grado di ovvia-
ni ‘70 la ricerca in Sardegna si presentava più avanzata rispetto ad re alle aberrazioni determinate da campioni non polverizzati e con
altre regioni, nel momento in cui nasceva la necessità di conte- superfici non perfettamente piane come i manufatti archeologici.
stualizzare le fonti e valutarle in termini più problematici che se si Negli ultimi anni, nell’ambito della ricerca in corso sul Mon-
fosse trattato di affioramenti omogenei. te Arci, è stata valutata con successo dall’équipe del Centre de Re-
L’edizione della carta geologica del Monte Arci del 1976 con- cherche Physique Appliqué à l’Archéologie-UMR 5060 del CNRS
tribuì a chiarire il problema dell’esatta mappatura dei diversi di Bordeaux, coordinata da G. Poupeau, un’ampia serie di meto-
gruppi geochimici delle ossidiane sarde, dando impulso alla spe- di analitici non distruttivi tra i quali l’Emissione di Raggi X Indotta
rimentazione di diverse metodiche con potenziali di discrimina- da Particelle (PIXE) e la Spettroscopia MicroRaman.

2 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
tura sperimentale sull’ossidiana del
Monte Arci ha rivelato che tutte le quali-
tà sono ugualmente adatte all’applica-
zione delle tecniche e delle sequenze
operative che si riscontrano archeologi-
camente nell’area medio-tirrenica e, più
in generale, nel Mediterraneo occidenta-
le durante il Neolitico.
Pertanto la selezione nell’approvvi-
gionamento della materia prima si deli-
nea in relazione ad altri fattori e secondo
sistemi più complessi, variabili su scala
diacronica. Nel corso del VI millennio,
infatti, all’incremento progressivo di os-
sidiana nei siti della Sardegna e della
Corsica non sembra corrispondere una
precisa selezione delle varietà di ossidia-
na. Queste, facilmente disponibili intor-
no agli accampamenti dislocati nella
pianura ai piedi del Monte Arci, appaio- Oggi lo studio della produzione litica nei Distribuzione dei gruppi
no sfruttate secondo comportamenti numerosi siti del Neolitico antico di-slo- geochimici di ossidiana
fortemente opportunistici, senza rivela- cati intorno al Monte Arci, in quella che è del Monte Arci.
re strategie di acquisizione-trasforma- definibile come la zona di approvvigio-
zione fortemente strutturate sul piano namento diretto, rivela un sistema di rac-
organizzativo e su scala cospicua. Inol- colta della materia prima in apparenza
tre, sulla base della banca dati disponibi- asistematico e non selettivo, con un ruo-
le per i siti di questa fase antica della Cor- lo chiave giocato soprattutto dai depositi
sica e dell’area tirrenica, non sembrano secondari di ossidiana.
operare funzioni di filtro nella circola- Tale schema sembra estensibile an-
zione delle diverse qualità, come sembra che a insediamenti ben più distanti dalle
avvenire successivamente nel corso del fonti, nei quali, pur in una tendenziale
Neolitico medio (V millennio a.C.). In prevalenza della qualità SA, le collezioni
questa fase le reti di approvvigionamen- di manufatti rivelano una buona rappre-
to sono sicuramente rafforzate, come at- sentatività dei tipi SB2 ed SC e un ricorso
testa l’incremento quantitativo dell’ossi- talvolta maggioritario a rocce locali diffe-
diana in Corsica e, soprattutto, nella Pro- renti come la selce. Per questa fase anti-
venza e nel Mezzogiorno della Francia, ca, e successivamente nel V millennio
laddove il materiale sembra essere di a.C., non sono stati documentati centri di
provenienza quasi esclusivamente sarda lavorazione specializzati sul Monte Arci,
e prevalentemente della qualità SA. finalizzati a sfruttare su scala maggiore i

I vari tipi di ossidiana sono ugualmente adatti alla scheggiatura


perciò la scelta della materia prima rispondeva a criteri diversi

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 2 7
T E C N O L O G I E N E O L I T I C H E

Coltri di scarti di lavorazione cospicui depositi primari e sub-primari. laminare, in quest’epoca maggiormente
nell’officina di scheggiatura Le attività di scheggiatura per l’uso im- orientati verso la produzione di pezzi re-
di Sennixeddu (Pau). mediato e per lo scambio sembrano ri- golari e allungati.
Sotto, schegge laminari solversi perlopiù nei siti d’abitato. Anco-
in ossidiana del gruppo SA ra nel Neolitico medio per la regione di I primi atelier
da officina di lavorazione. approvvigionamento diretto non si ri- Allo stato attuale delle indagini si deve
scontrano variazioni evidenti nella scelta collocare alla fine del Neolitico (IV mil-
delle località di raccolta e delle qualità di lennio a.C.) l’impianto di veri e propri
ossidiana: appare diversa peraltro la di- centri di lavorazione sul Monte Arci, op-
stribuzione dell’ossidiana in direzione portunamente posizionati presso i depo-
della Corsica e ancor più della Provenza, siti primari, di cui sono sfruttati i mate-
per le quali sembrano operare forme di riali in affioramento senza realizzare atti-
filtro a favore di alcune qualità, ancora da vità di cava. Non sembra casuale che i più
definire nei contorni e nel significato. Ciò estesi e consistenti tra questi centri di la-
si verifica anche in concomitanza di un vorazione sfruttino i gruppi geochimici
progressivo affinamento delle capacità SC ed SA, per i quali nella fase matura e
tecniche e di una maggiore standardizza- conclusiva del Neolitico si registra il pri-
zione dei procedimenti di scheggiatura mato quantitativo della distribuzione in-

2 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
terna ed esterna all’isola. La più grande apparentemente assenti, è
concentrazione di questi atelier, talora di possibile identificare l’o-
notevole estensione, si registra nel terri- biettivo della produzione di
torio del comune di Pau lungo il versante queste officine in supporti
orientale del Monte Arci, in corrispon- sbozzati e semilavorati, da
denza degli affioramenti della qualità SC. immettere nelle reti di distribu-
Qui sono state localizzate e delimitate ol- zione interregionale. A questa fase
tre venti officine di scheggiatura, la più conclusiva del Neolitico può infatti essere
estesa delle quali, in regione Sennixeddu, riferita con sicurezza l’installazione di Strumento foliato (metà IV
ricopre una superficie di oltre venti ettari. un’attività di riduzione più sistematizzata millennio) e blocco naturale
Dagli studi in corso su centinaia di mi- e di scala, indizio di una mutata funzione del gruppo SB2 con medesimi
gliaia di scarti di lavorazione pertinenti e organizzazione della produzione e del- caratteri macroscopici.
verosimilmente a lunghi e ripetuti perio- l’instaurarsi di un principio di specializza-
di di attività delle officine, ci si attende di zione per alcune attività artigianali. L’in-
poter definire i criteri di organizzazione e cremento esponenziale della stessa scala
il livello di specializzazione della produ- di produzione segna un forte mutamento
zione; i risultati preliminari costituiscono nella valutazione del bene e nella sua fun-
un indizio di una generale tendenza alla zione sociale: questo è il momento in cui
standardizzazione dei metodi e dei pro- nella richiesta della materia prima sembra
dotti della scheggiatura, seppur di grado prevalere un’esigenza pratica e l’ossidiana
variabile. La presenza di errori tecnici fre- risulta presente in quantità dominanti nei
quenti e ricorrenti indica un basso investi- villaggi di un territorio regionale di più
mento tecnico, una competenza non stretta affinità culturale rappresentato dal
sempre elevata e la presenza di apprendi- blocco insulare sardo-corso.
sti in seno ai gruppi di lavoro. In assenza di
dati complementari sugli stadi avanzati e Carlo Lugliè, Università di Cagliari, Dipartimento
conclusivi della sequenza di riduzione, di Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche

Bibliografia ce of Italian Archaeology III, 1: 1-18. London, Accordia Research Centre.


Puxeddu, C. 1958: Giacimenti di ossidiana del Monte Arci in Sardegna e Tykot, R. H. 1992: The Sources and Distribution of Sardinian Obsidian,
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42: 85-110. Tanda, G. - Lugliè, C. - Meloni, S. - Oddone, M. - Poupeau, G. - Le Bour-
Francaviglia, V. 1984: Characterization of Mediterranean obsidian sour- donnec, F.-X. 2006: L’ossidiana del Monte Arci: nuove acquisizioni sul-
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A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 2 9
P R E I S T O R I A

I primi abitanti
della Sardegna
Il fossile umano più antico risale a 22.000 anni fa,
ma l’evoluzione della fauna e i reperti litici
indicano che la prima colonizzazione
è avvenuta 500.000 anni prima
MARIO SANGES

Panorama
della Valle di Lanaittu,
Oliena (Nuoro).
P R E I S T O R I A

U
NA SERIE DI STRAORDINARIE SCOPERTE attuali con quelle sottomarine ed esten-
riguardanti la geomorfologia, la dere, fino al limite inferiore delle regres-
paleontologia, la paleobotanica, sioni dei periodi glaciali, il quadro dei
la paleoantropologia e l’archeologia prei- paesaggi che sono andati evolvendosi
Il bandito storica hanno rivoluzionato, nel corso nelle varie condizioni climatiche. Di tali
Giovanni Corbeddu dell’ultimo quarto di secolo, il quadro co- evoluzioni sono più significative quelle
di Oliena, vissuto noscitivo della Sardegna nel Quaternario. lungo le coste, in cui, alla fine del Pleisto-
a fine ‘800, Sono stati acquisiti nuovi dati riguardan- cene medio, tra 160 e 150 mila anni fa
che elesse a suo rifugio ti la morfogenesi della piattaforma conti- (tardo glaciale di Riss) e nel Pleistocene
la grotta che porta nentale e del massiccio Sardo-Corso ed è superiore, tra i 70 e i 50 mila e intorno ai
il suo nome. quindi possibile correlare le linee di riva 20 mila anni fa, si sono avuti momenti di
massima regressione marina, con un ab-
bassamento del livello del mare di circa
130 metri rispetto a quello attuale. Tali re-
gressioni sono avvenute ovviamente an-
che nel corso delle precedenti glaciazio-
ni, durante il Pleistocene inferiore e me-
dio. In questi momenti regressivi quindi
il Tirreno ha subito importanti modifica-
zioni. La Sardegna e la Corsica sono uni-
te e fronteggiano l’arcipelago toscano, a
sua volta diventato un’articolata peniso-
la. Fra le due terre si è creato un canale
largo mediamente una ventina di miglia,
che, ridossato dai venti dominanti di po-
nente, diventa un vero e proprio mare in-
terno, godendo di lunghi periodi di cal-
ma dal moto ondoso.
A Nord, fra Capo Corso e Capraia, la
distanza fra le due terre si riduce a circa 5
miglia, determinando un contatto “a vi-
sta” tra le due sponde opposte. Tali condi-
zioni paleogeografiche hanno favorito il
verificarsi di una particolarissima evolu-
zione delle faune insulari, che sarà deter-
minante per la colonizzazione umana
delle isole nel Pleistocene medio e supe-
TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

riore. In situazioni geografiche così favo-


revoli, con brevissimi bracci di mare con
SALVO DIVERSA INDICAZIONE

sponde a vista, si verificano migrazioni di


faune dalla terraferma verso le isole. La
maggior parte delle specie, come ad
esempio i grandi carnivori predatori, non
sono adatte a tali migrazioni: solo i bravi
nuotatori, a condizione che siano anima-

3 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
L’ingresso
della grotta Corbeddu.

li da branco, e fra questi solo gli individui piccolo canide (Cynotherium sardous).
più dotati, raggiungono la meta. Quando Della vecchia fauna sopravvive solo il
queste specie giungono in un’isola, a cau- Prolagus sardus, che svolgerà un ruolo
sa del territorio limitato e quindi della fondamentale nella dieta dell’uomo plei-
scarsità di cibo a disposizione, e soprat- stocenico isolano.
tutto in assenza di predatori naturali, si La repentina estinzione della fauna
verificano profonde e rapide modificazio- nana Nesogorale dell’isola e la mancata
ni nel loro organismo: la taglia si riduce evoluzione della nuova fauna Tyrrenicola
notevolmente e le zampe diventano più verso forme endemiche nane insulari pre-
corte e più robuste, al fine di accedere an- suppongono il contemporaneo arrivo di
che ai pascoli più interni e accidentati. un grande predatore, il quale, per il solo
In Sardegna, nella prima metà del fatto di cacciare e nutrirsi delle due faune
Pleistocene è ben documentata una fau- insulari, ha determinato l’estinzione della
na nana, denominata “Nesogorale”, in cui prima e impedito alla seconda di evolver-
sono presenti una piccola antilope (Neso- si verso le forme nane già note. Tale pre-
goral melonii), una piccola scimmia (Ma- datore secondo le evidenze paleontologi-
caca maiori), un piccolo maiale (Sus son- che può essere stato soltanto un uomo
daari) e un roditore della famiglia dei la- pleistocenico, giunto nell’isola appunto Planimetria generale
gomorfi (Prolagus sardus). Nella seconda intorno alla seconda metà del Pleistocene. della Grotta Corbeddu.
metà del Pleistocene, in un momento di
massima regressione marina, questa fau-
na si estingue rapidamente e viene sosti-
tuita da un’altra, denominata “Tyrrenico-
la”, la quale conserva inalterati i N

caratteri che l’hanno distinta


Stanza 1 Stanza 2 Stanza
nell’area continentale. Fanno Entrata 4

parte di essa un piccolo topo 5 metri


(Tyrrenicola henseli), un cer-
vo (Megaceros cazioti) e un

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 3 3
P R E I S T O R I A

L’uomo pleistocenico sardo


Negli ultimi anni le teorie che vedevano
la Sardegna colonizzata dall’uomo sol-
tanto a partire dal Neolitico Antico sono
profondamente mutate. Al momento, in-
fatti, le fasi più antiche di frequentazione
umana sono state accertate nel nord del-
Sotto, osso temporale umano, l’isola, in Anglona, in cui ricerche siste-
dalla sala 2 della Grotta matiche che durano da oltre un venten-
Corbeddu. A destra, la sezione nio hanno consentito di mettere in luce
stratigrafica della stessa sala, una notevole quantità di manufatti litici
con resti di fauna preistorica su selce locale riferibili al Paleolitico Infe-
in primo piano. riore. Lungo il corso del Rio Al-
tana (a Perfugas, in provin-
cia di Sassari) è documenta-
to un complesso di industrie
litiche su scheggia, in
giacitura secon-
daria, attribui-
bile al cosiddet-
to Clactoniano arcai-
co con elementi Protole-
valloisiani. Il quadro tipologico
dei manufatti ha permesso un confronto ferirsi gli altri strumenti litici scoperti
con i complessi protolevalloisiani garga- nella stessa regione, che si ricollegano al
nici in particolare, ma anche con altri in tipo di industrie su scheggia, privo di bi-
diverse aree peninsulari. Recentemente facciali, detto genericamente “clacto-ta-
analoghe industrie sono state rinvenute yaziano”. Essi sono stati rinvenuti in stra-
in giacitura primaria in località “Sa Coa to su un terrazzo fluviale la cui genesi è ri-
de Sa Multa” (Laerru-Sassari). La crono- ferita alla glaciazione rissiana, con pedo-
logia di questa particolare facies è da far genesi e alterazione durante l’ultimo in-
risalire a un momento antico del Pleisto- terglaciale, in località “Sa Pedrosa-Pan-
cene medio (fasi finali del Mindel, data- tallinu”, sempre nei pressi di Perfugas.
bili intorno a 500.000 anni da oggi), in ac- Uno studio analitico preliminare ha
cordo con l’ipotesi, già avanzata su basi permesso di correlare tipologicamente
paleontologiche, dell’arrivo dell’uomo in questo complesso con altre industrie pe-
Sardegna al momento della sostituzione ninsulari, soprattutto con l’aspetto
faunistica “Nesogoral-Tyrrenicola”, data- abruzzese di Madonna del Freddo e con
ta alla prima parte del Pleistocene medio. alcuni complessi “tayaziani” della Fran-
A un momento più avanzato sono da ri- cia meridionale. Resta, al momento, inso-

Al momento le evidenze più antiche di presenza umana sono state trovate


nel nord dell’Isola, in Anglona, dove le ricerche durano da oltre vent’anni

3 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
luto il problema di questa differenziazio- cesso di riduzione della taglia anche nel- Grotta Corbeddu, sala 2, veduta
ne di fasi clactoniane arcaiche ed evolute la fauna Tyrrenicola, che invece resta generale dello scavo.
presenti nel Paleolitico Inferiore sardo. La inalterata fino alla sua estinzione, alla fi- Sotto, la relativa tabella
si potrebbe spiegare con una derivazione ne del Pleistocene. Si può dedurre quindi cronologica dei vari livelli con le
filetica tra le due o con l’arrivo di nuovi che forse si tratta più di una lacuna nella datazioni al Carbonio 14.
gruppi umani dal continente. La ricerca è ricerca che di effettiva assenza di popola-
ancora in corso e, se opportunamente al- mento umano. Al Paleolitico Superiore
largata ad altre aree dell’isola, potrà in fu- sono invece da riferire le tracce di inse-
turo fornire risposte esaurienti anche su
altre problematiche che emergono da livelli litostratigrafia fauna datazione C14
questo nuovo straordinario capitolo della Animali
Neolitico

argilla addomesticati
preistoria sarda. Al momento non si ha in livello 1 marrone
6.490 ± 90
P. sardus 8.040 ± 180
Sardegna alcuna testimonianza riferibile 1,50
7.860 ± 130
argilla
al Paleolitico Medio, e non poche decine rossa P. sardus
8.160 ± 130
con
8.750 ± 140
di migliaia di anni intercorrono tra le in- livello 2 angulare M. cazioti
limestone
Pre - Neolitico

9.820 ± 140
dustrie più recenti del Nord dell’Isola e i pebbles Homo 11.040 ± 130
2,00
livelli riferibili al Paleolitico Superiore, ve-
nuti alla luce nella Grotta Corbeddu di argilla C. sardous 11.980 ± 140
Oliena, nella valle di Lanaiddu. Secondo rossa
M. cazioti 13.530 ± 170
le evidenze paleontologiche, l’assenza livello 3 P. sardus
14.370 ± 190
2,50 13.510 ± 180
argilla
dell’uomo come predatore, per un tempo nera 13.620 ± 180

così lungo, avrebbe fatto scattare il pro-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 3 5
P R E I S T O R I A

degna. Inoltre per la prima volta l’uomo


compare in associazione alla fauna ende-
mica insulare preneolitica. Per certi carat-
teri la morfologia di questi fossili umani,
in particolare del mascellare, sembra es-
sere estranea alla variabilità dell’Homo
sapiens in generale e dell’Homo sapiens
sapiens europeo in particolare. Questa
morfologia anomala può essere segno di
endemismo, il risultato cioè dell’isola-
mento in Sardegna di un gruppo umano.
Un sondaggio stratigrafico della po-
tenza di sei metri è stato successivamen-
te effettuato nella sala 2 della grotta Cor-
beddu nel corso di una delle ultime cam-
pagne di scavo, e ha consentito, attraver-
so una meticolosa successione stratigra-
Sopra, industria litica diamenti umani “in situ” venuti alla luce fica sostenuta da seriazioni radiometri-
su supporti naturali di calcare nella Grotta Corbeddu di Oliena (Nuoro) che ed esami pollinici per ciascun livello,
locale proveniente dalla grotta nella Sardegna centro-orientale, oggetto di ricostruire tutte le variazioni climati-
Corbeddu (Paleolitico superiore). di scavi sistematici dal 1982 al 2000. Par- che degli ultimi 40.000 anni, e quindi le
ticolarmente significativa appare la situa- modificazioni del paesaggio con le diver-
zione della sala 2 della grotta, in cui, in se specie vegetali. In un livello datato in-
netta successione stratigrafica, sono pre- torno ai 22.000 anni fa è presente un
senti uno strato con fauna olocenica e frammento di falange umana: il più anti-
con livelli riferibili al Neolitico Medio e co fossile umano dell’isola e dell’ambien-
Antico, uno strato di breccia con abbon- te insulare mediterraneo.
danti resti di Prolagus sardus e un terzo
strato di argilla con migliaia di resti di fau- Un clima alpino
na Tyrrenicola, per la maggior parte di La presenza di pollini di Pinus silvestris e
Megaceros cazioti. Anche la microfauna di mirtillo (Vaccinum sp.), oggi non più
presente negli strati 2 e 3 è rappresentata presenti in Sardegna e relegati nelle zone
da specie pleistoceniche. alpine, attesta che, quando l’uomo plei-
Dallo strato 2 della sala 2, in asso- stocenico era presente nell’isola, il clima
ciazione stratigrafica con era particolarmente freddo, dato
fauna Tyrrenicola, pro- Veneretta in basalto che queste specie ora presenti in
vengono un temporale e proveniente dal riparo alta quota potevano vegetare an-
un mascellare superiore sottoroccia di S’Adde che a quote molto basse. Partico-
umani. La datazione ra- (Paleolitico superiore). larmente interessante è la situa-
diometrica ottenuta su zione osservata nella grotta. Le
ossa di Prolagus raccolte nello stesso ossa di cervo appaiono in giacitura non
livello dei fossili craniali umani, è di naturale ed è evidente una loro selezione
8.750 ± 140 da oggi. intenzionale; alcune presentano tracce di
Questi reperti sono quindi fra i più usura per una possibile utilizzazione co-
antichi resti fossili umani rinvenuti in Sar- me strumenti e sono osservabili sulle su-

3 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
I Sardi del Pleistocene avevano caratteristiche fisiche particolari, vivevano
di raccolta e di caccia, disponevano di tecnologie poco specializzate

perfici i cosiddetti “cut-mark” e “tool- drabile tra 14.600 e 12.500 anni fa circa.
mark” (segni di taglio e di strumenti) do- Al momento, quindi, in accordo con i
vuti ai processi di scarnificazione e disar- dati antropologici, paleontologici e palet-
ticolazione. nologici, l’ipotesi più attendibile è quella
Alla grande quantità di resti faunisti- che vede in Sardegna in questo periodo, e
ci fa riscontro un’industria litica poco co- fino all’avvento dei neolitici, un uomo
piosa che utilizza supporti naturali di cal- con caratteristiche fisiche particolari, con
care marnoso locale e fa scarsissimo uso un regime alimentare basato sulla raccol-
della tecnica detta del “debitage” (la pro- ta e sulla caccia a una fauna insulare en- Cranio fossile
duzione di schegge dalla pietra). Si tratta demica, che ha prodotto probabili stru- di Macaca majori
essenzialmente di raschiatoi e bulini, con menti su osso poco specializzati, per ora proveniente dal Monte
scarso ritocco marginale, che al momen- non segnalati nelle coeve fasi continenta- Tuttavista (Pleistocene
SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI SS E NU

to sembrano avere un aspetto indifferen- li, e un’industria litica al momento non inferiore e medio).
ziato, privo di elementi tipologici ca-
ratterizzanti, confrontabili con le
coeve industrie peninsulari.
Sulla base delle datazio-
ni radiometriche dei livelli
di provenienza, tutta
l’industria litica nel
suo insieme è inqua-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 3 7
P R E I S T O R I A
SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI SS E NU

SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA DI SS E NU
1 2

3 4

1. Mascellare inferiore di Sus raffrontabile con i contemporanei com- la presenza tra le pochissime specie di
sonaari, Monte Tuttavista plessi della terraferma. Resta aperto il mammiferi di un roditore di media taglia,
(Pleistocene inferiore e medio). problema della denominazione di questi quale il Prolagus sardus, estremamente
2. Cranio di Nesogoral melonii, complessi industriali, paleolitici e meso- prolifico e facilmente cacciabile, che ha
Monte Tuttavista (Pleistocene litici per età, ma, almeno fino a ora, non consentito alle popolazioni della Sarde-
inferiore e medio). per i caratteri tecno-tipologici, mentre i gna, e forse della Corsica (in quest’isola le
3-4. Scheletro e ricostruzione regimi economici richiedono ulteriori ricerche sono ancora in corso), una so-
di Prolagus sardus, Grotta studi e approfondimenti. stanziale integrazione della dieta, in ter-
Corbeddu (Pleistocene inferiore, Il termine “preneolitico” adottato per mini di proteine necessarie alla sopravvi-
medio e superiore). le industrie coeve corse sembra per ora la venza, a differenza delle altre isole del
migliore definizione provvisoria. È co- Mediterraneo, ma in accordo e analogia
munque fondamentale, ai fini della conti- con modelli similari in altri ambienti qua-
nuità di presenza di nuclei umani in un li gli arcipelaghi indonesiani e australiani.
ambiente insulare per tutto il Paleolitico, Alla luce di queste nuove emergenze ar-

3 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
5 6

7 8

cheologiche trova ora un corretto inqua- cato nell’ambito della grande corrente 5-6. Scheletro e ricostruzione
dramento cronologico e culturale il pic- delle rappresentazioni plastiche femmi- di Megaceros cazioti, sala 2,
colo idoletto femminile in basalto, ritro- nili che nel Paleolitico Superiore ha inte- Grotta Corbeddu (Pleistocene
vato nei primi anni ‘50 del ‘900 nel riparo ressato l’intero continente europeo. medio e superiore).
sotto roccia di “S’Adde” presso Macomer, 7-8. Ricostruzione e scheletro
erroneamente considerato neolitico e Mario Sanges, Soprintendenza per i Beni Archeo- di Cynotherium sardous, sala 2,
che ora può essere definitivamente collo- logici per le province di Sassari e Nuoro Grotta Corbeddu (Pleistocene
medio e superiore).
Bibliografia
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A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 3 9
L E S C U L T U R E D I M O N T I P R A M A

Le tombe degli eroi


nella necropoli di Monti Prama
Le statue sembrano ribadire che l’identità culturale dei nuragici non era stata
intaccata dal profondo mutamento che si verifica nella prima Età del Ferro
R O B E RT O S I R I G U

N
EL DIBATTITO CULTURALE contem- verso tali tematiche è certamente possi-
poraneo, la riflessione sulla me- bile annoverare il moltiplicarsi delle oc-
moria e sul ricordo intesi come casioni di contatto tra esponenti di diffe-
temi culturali ha assunto un posto di pri- renti culture, determinato dalla globaliz-
mo piano. Tra le varie ragioni che posso- zazione, e la conseguente preoccupazio-
no spiegare questo rinnovato interesse ne che il contatto si trasformi in contami-
nazione. Ora, nei casi in cui questo feno-
meno venga percepito come un pericolo
per la salvaguardia della propria cultura e
quindi per la propria identità, non è in-
frequente che a esso ci si opponga ricer-
cando in un passato più o meno remoto
le ragioni culturali della propria fisiono-
mia identitaria. Il passato, rivissuto attra-
verso il filtro selettivo della memoria – in-
dividuale o collettiva che sia, la memoria
è infatti sempre, per definizione, selettiva
– in questi casi viene ad assumere la fun-
zione di argine da contrapporre a ogni
Testa di “arciere”. potenziale pericolo di cambiamento.

Derive identitarie
Accanto a quest’uso del passato e del ri-
cordo come strumenti di difesa dai peri-
coli di derive identitarie, però, si assiste
all’affermarsi anche di un altro atteggia-
mento, che appare in qualche misura
speculare al primo. Si tratta di un atteg-
giamento che affiora tra i membri di
gruppi o comunità che per varie ragioni

4 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
aspirano ad acquisire una propria auto- vendicazioni indipendentiste un nucleo Ricostruzione grafica
nomia rispetto a una qualche macroco- progettuale finalizzato a creare intorno a delle figure intere
munità dalla quale ci si vuole affrancare. sé aggregazione identitaria, ricorre all’ar- di un “pugilatore”
In questi casi, la memoria culturale, se- cheologia nel tentativo di trovare nei dati e di un “arciere”.
condo la definizione elaborata dall’egit- archeologici un sostengno scientifico per
tologo tedesco Jan Assmann, la “storia la legittimità delle proprie rivendicazioni.
delle origini mitiche e degli eventi posti in
un passato assoluto” a cui i membri di
una determinata comunità attribuiscono
un valore fondante nel processo culturale
che ha portato alla formazione della pro-
pria identità culturale, diventa lo stru-
mento attraverso cui determinare il cam-
biamento che si intende perseguire: la le-
gittimazione delle proprie rivendicazioni
identitarie e la separazione dal gruppo o
dalla comunità di appartenenza originari
di cui non ci si sente parte integrante. Al-
l’interno di queste dinamiche il “discorso
archeologico”, per usare un termine del fi- Testa di “pugilatore”.
losofo Michel Foucault, viene non di rado
impiegato come strumento di persuasio-
ne retorica. In realtà la lettura interpreta-
tiva dei dati archeologici viene richiama-
ta a fondamento giustificativo di scelte o
situazioni del presente.
Atteggiamenti e volontà di questo ti-
po si manifestano anche in Sardegna, in-
fatti una parte non secondaria del mondo
culturale dell’isola, che ha fatto delle ri-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 4 1
L E S C U L T U R E D I M O N T I P R A M A

CORTESIA ANN ARBOR: UNIVERSITY OF MICHIGAN


per una nuova verifica , che porta al
rinvenimento di altri frammenti
di statue e di altri elementi litici.
L’intervento di scavo sistemati-
co del sito di rinvenimento del-
le statue ha luogo nel corso del
1979, per conto della Soprin-
tendenza Archeologica per le
province di Cagliari e Oristano,
Planimetria Ora, appare legittimo chiedersi, si- sotto la guida dell’archeologo
della necropoli no a che punto può essere considerato Carlo Tronchetti.
di tombe a pozzetto corretto un simile uso dell’archeologia?
al di sopra delle quali Riflettere sulla riscoperta delle sculture di La necropoli
vennero rinvenuti Monti Prama da parte della comunità ci Dopo il rinvenimento, le statue vengono
i frammenti di statue. può aiutare a dare una risposta a questo portate nei magazzini del Museo Archeo-
interrogativo: il rinnovato interesse per logico Nazionale di Cagliari e successiva-
questi reperti appare infatti collocarsi mente alcuni frammenti vengono espo-
esplicitamente nel filone del dibattito sti in una sala dello stesso Museo. Recen-
identitario isolano, come è facile verifica- temente, infine, i frammenti scultorei so-
re attraverso una semplice ricognizione no stati affidati al laboratorio di restauro
tra i vari blog dedicati al tema di queste di Li Punti della Soprintendenza per i Be-
sculture. Partiamo allora da un breve rias- ni Archeologici delle Province di Sassari e
sunto delle tappe principali che hanno Nuoro, che ne sta seguendo il restauro in
segnato la storia recente di queste opere. collaborazione con la Soprintendenza
Nel marzo del 1974, nella località di per i Beni Archeologici delle Province di
Monti Prama, nel Comume di Cabras in Cagliari e Oristano. Come ribadisce lo
provincia di Oristano, un contadino rin- stesso Tronchetti in una recentissima
viene, nel corso di lavori di aratura, una pubblicazione sull’argomento 1, lo scavo
testa di scultura in pietra e altri elementi riporta alla luce una necropoli composta
scultorei di considerevoli dimensioni. La da 33 tombe a pozzetto irregolare, cia-
segnalazione del ritrovamento desta l’im- scuna delle quali sigillata da un lastrone
mediato interesse della stampa e infatti in arenaria gessosa di circa 1 metro di
La Nuova Sardegna ne riferisce il 31 mar- diametro per 14 cm di spessore. Queste
zo del 1974. La segnalazione determina ultime risultano del tutto prive di corre-
un primo intervento di scavo da parte do, a eccezione della tomba n. 25, al cui
della Soprintendenza alle Antichità, con- interno viene rinvenuto uno “scaraboide
dotto tra il 1974 e il 1975 dagli archeologi egitizzante tipo Hyksos” databile non
Alessandro Bedini e Giovanni Ugas. Nel prima della fine del VII sec. a.C., e delle
gennaio del 1977 gli archeologi Giovanni tombe 24, 27 e 29 che restituiscono fram-
Lilliu ed Enrico Atzeni si recano sul posto menti di vaghi di collana in pasta vitrea.

La necropoli è stata scoperta nel ‘74 nel comune di Cabras


e forse ospitava i corpi di una famiglia di ordine militare

4 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
In base a questi elementi, Tronchetti da- tre gruppi: il primo rappresenta figure
ta la realizzazione della necropoli – che a umane, il secondo modelli di nuraghe e il
suo avviso sarebbe stata utilizzata da più terzo betili. Le figure umane sono rappre-
generazioni – nel corso del VII secolo a.C. sentazioni di arcieri e di “pugilatori”, ov-
A nord della necropoli costituita dal- vero figure di guerrieri che si proteggono
le tombe a pozzetto era dislocata un’altra il capo con lo scudo. Dal punto di vista
area funeraria di tombe a cista litica rea- dello stile iconografico queste figure ap-
lizzate con pietra differente dall’arenaria paiono pienamente coerenti con la picco-
impiegata nelle tombe a pozzetto. A circa la statuaria in bronzo, i famosi bronzetti
20 metri a sud-ovest della necropoli si per intenderci. Di grande interesse ap-
legge ancora la presenza di una capanna paiono poi anche i modelli di nuraghe,
nuragica e altre strutture sono visibili nei raffiguranti sia il tipo di nuraghe mono-
dintorni. torre che il tipo complesso e i betili.
Le sculture vengono ritrovate esatta- Ma a quale periodo deve essere ri-
mente al di sopra della necropoli: più di condotto questo insieme di opere sculto-
2.000 frammenti di statue scolpite nell’a- ree? Tendenzialmente gli studiosi sem-
renaria gessosa, riconducibili a circa 25 brano orientati a collocarle cronologica-
esemplari. La disposizione dei frammen- mente nelle fasi intorno all’VIII-VII sec.
ti al di sopra delle tombe consente di af- a.C., basandosi soprattutto sulla datazio-
fermare che essi erano stati gettati già in ne della necropoli proposta da Tronchet-
frammenti a formare un cumulo informe ti e sull’ipotesi che tra le sculture e la ne-
di materiali. A dimostrare questa tesi sa- cropoli esistesse una stretta correlazione.
rebbe in particolare il rinvenimento tra i L’importanza archeologica di queste
frammenti di un torso di arciere rotto in opere sarebbe dunque notevolissima: Busto di “arciere”
tre pezzi rinvenuti in situ. basti pensare che queste opere sarebbe- (a sinistra)
Le statue si possono suddividere in ro da collocarsi in un contesto mediterra- e frammento di un
neo che le vedrebbe cronologicamente braccio di “arciere”
coeve con le produzioni della statuaria che impugna l'arco
arcaica greca. (a destra).
DA ACTAS DEL III SIMPOSIO INTERNACIONAL
DE ARQUEOLOGIA DE MÉRIDA

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 4 3
L E S C U L T U R E D I M O N T I P R A M A

Il problema ovviamente non è solo crono- ci, di Fenici e di Greci Euboici. Il dato pe-
logico: a seconda della fase di attribuzione rò più significativo consiste nel fatto che
varia notevolmente la funzione simbolica la convivenza tra gli esponenti di questi
che appare possibile attribuire alle scultu- differenti mondi culturali sembra essere
re. Connessa alla datazione all’VIII-VII stata pacifica e proficua sia sul piano
sec. a.C. è l’interpretazione delle sculture e commerciale che, più in generale, sul pia-
della necropoli come una sorta di heroon, no culturale. Da queste ricerche emerge
termine greco che designa un sepolcro in un quadro storico d’insieme decisamen-
cui si ritiene sia stato deposto il corpo di te differente da quello ritenuto attendibi-
un personaggio eroico. È questa l’ipotesi le anche solo qualche anno fa. La Sarde-
formulata da Giovanni Lilliu, che immagi- gna della prima Età del Ferro appare es-
na la necropoli come luogo di sepoltura di sere un’isola intensamente frequentata
una sorta di gens, una famiglia di ordine da genti e culture differenti, capaci di in-
militare distintasi per particolari motivi e contrarsi attraverso forme di contatto
quindi degna di ricevere sepoltura in tom- tanto intenso quanto pacifico.
be singole, non più nelle tradizionali e col-
lettive tombe dei giganti. In accordo con Il mito delle origini
questa interpretazione appare anche la Il rinvenimento archeologico di Monti
proposta di lettura avanzata da Carlo Prama sembra inserirsi dal punto di vista
Tronchetti, che interpreta la necropoli e le cronologico-culturale proprio in questo
statue come un organico testo simbolico: articolato e movimentato quadro d’insie-
“una necropoli-santuario in cui viene glo- me, offrendoci un’immagine efficace di
rificata una famiglia, o una famiglia allar- come i processi culturali in atto in Sarde-
gata o un clan”, attraverso una eclatante gna in quel periodo dovevano essere vis-
manifestazione di simboli culturali – l’im- suti dai sardi nuragici. Se infatti i contatti
magine degli eroi, del monumento-sim- e gli inevitabili scambi tra culture diffe-
bolo e del segno della sacralità – da pro- renti si svolsero in un clima sostanzial-
porre come propria immagine identitaria mente pacifico, ciò non significa che un
alle nuove entità culturali, Fenici e Greci, simile processo non abbia in qualche mi-
che si affacciano in questo periodo sul sura determinato paure e tensioni sul pia-
suolo sardo. no più squisitamente identitario. Anzi, le
È questo un momento cronologico statue di Monti Prama starebbero a dimo-
sul quale le ricerche archeologiche si so- strare il contrario. Sarebbero infatti il se-
no ultimamente intensificate, producen- gno tangibile del fatto che i sardi nuragici
do risultati di grande interesse. Vari siti avvertissero la necessità di mostrare – e
nuragici – ricordiamo quello certamente quindi al tempo stesso di ribadire – che la
più noto: il nuraghe di Sant’Imbenia, nel propria identità culturale non era stata
territorio di Alghero – stanno restituendo intaccata dall’insieme di fenomeni di ine-
attestazioni archeologiche della presen- vitabile mutamento che erano in atto in
za, oltre che ovviamente dei sardi nuragi- Sardegna in quel periodo. Se queste ipo-

La convivenza tra gli esponenti di differenti mondi culturali sembra


essere stata pacifica e proficua sul piano commerciale e culturale

4 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
tesi risultassero fondate, il sistema scultu-
re-necropoli sarebbe dunque da interpre-
tarsi come una esplicita manifestazione
della memoria culturale, un insieme di
segni culturali attinti da un passato in cui
la cultura nuragica collocava la propria
origine mitica e che, nel presente caratte-
rizzato da profondi mutamenti culturali,
doveva esercitare la funzione di argine
contro il pericolo di derive identitarie che
appaiono analoghe, per certi versi, a quel-
le a cui abbiamo fatto cenno all’inizio.
Alternativa a questa ipotesi è invece
quella che vede nelle sculture rappre-
sentazioni non legate al passato, anche
se più o meno prossimo, ma immagini
tratte dal presente a cui appartenevano i
committenti di queste opere. Questa
ipotesi si lega a cronologie più vicine al
IX, se non addirittura al X sec. a.C. Co-
munque sia, il dibattito appare quanto
mai aperto su queste e su altre questioni
interpretative connesse con lo studio
della civiltà nuragica.
Da questo insieme di fattori, e da altri trasformasse, prima o poi, in qualcosa Ricostruzione plastica
elementi, nasce il notevole valore scienti- d’altro. È una riprova del fatto che nessun delle figure intere
fico di queste opere. Le sculture di Monti simbolo identitario, nemmeno se tratto di un “pugilatore”
Prama, lo abbiamo appena ricordato, dal passato, può arginare con efficacia i e di un “arciere”.
sembrano aver svolto già in antico la fun- mutamenti che inevitabilmente investo-
zione di segni della memoria culturale, no qualunque sistema culturale. L’ar-
quindi identitaria, dei sardi nuragici. Ma cheologia, come del resto la storia, non
questo è sufficiente per fondare su quei può fornire alcun aiuto scientifico in tal
simboli, e quindi su quel passato, le scel- senso: nessuna scoperta archeologica po-
te olitico-culturali del presente? Si sente trà mai né legittimare né delegittimare le
spesso parlare di queste opere come di nostre scelte identitarie di oggi. Perché l’i-
manifestazioni di una presunta superio- dentità non è un dato naturale, ma sem-
rità della cultura nuragica rispetto a quel- mai una scelta culturale.
le coeve, una superiorità che viene altret-
tanto spesso evocata per riscattare i sardi Roberto Sirigu, Università di Cagliari
da secoli di dominazioni e di subalternità.
Ma può mai un breve scorcio del passato 1
C. Tronchetti, “Le tombe e gli eroi. Conside-
riscattarci dalle insoddisfazioni che susci- razioni sulla statuaria di Monti Prama”, in P.
ta il nostro stesso presente? In ogni caso Bernardini, R. Zucca (a cura di), Il Mediterra-
l’elezione di quei simboli identitari non neo di Herakles. Studi e ricerche, Roma, 2005,
riuscì a impedire che la civiltà nuragica si pp. 145-167.

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 4 5
A R T E N U R A G I C A

Il mondo in miniatura
dei bronzetti votivi
Una straordinaria varietà di soggetti anima oltre 600 sculture, che testimoniano
grande maestria nella tecnica della cera persa e appaiono legate alla sfera del sacro
A N N A D E PA L M A S

U
NO DEI TRATTI PIÙ CARATTERISTICI e si- perti, infatti, presso luoghi di culto, nei
gnificativi delle manifestazioni ar- templi «a megaron», nelle fonti e pozzi
tigianali e artistiche della civiltà sacri; altri ritrovati in nuraghi e villaggi
nuragica è, senza alcun dubbio, costituito nuragici, mentre sono rari i bronzetti ve-
dai bronzetti, miniature di persone, ani- nuti in luce nelle sepolture del tipo «tom-
mali, edifici e oggetti d’uso quotidiano. be di giganti». Infine, numerosi pezzi
La loro produzione si colloca in parallelo provengono da ripostigli e fonderie, que-
a quella altrettanto ricca di armi, utensi- ste ultime non di rado realizzate nell’am-
li, oggetti d’uso comune (brocche, reci- bito di complessi cultuali.
pienti, specchi), ed elementi decorativi La produzione dei bronzetti testimo-
quali braccialetti, spilloni e bottoni. nia una grande maestria nella tecnica
Sono noti più di 600 bronzetti, ma della cera persa che consiste nel realizza-
questa cifra è in costante aumento, non re un oggetto in cera che viene avvolto da
solo grazie alle scoperte che avven- una guaina di argilla, che costituisce un
gono nell’ambito di regolari atti- guscio o matrice. L’insieme viene quindi
vità di ricerca ma anche per le sottoposto all’azione del calore finché la
frequenti «riscoperte» in rac- cera, resa liquida, defluisce grazie a dei
colte private, a causa del piccoli canali predisposti nell’argilla e
grande interesse che funzionali anche all’eliminazione dell’a-
queste piccole scultu- ria e dei gas, nonché al troppo pieno del
re suscitano nei nu- metallo fuso. Dopo la colata del metallo
SALVO PAGINA 47 : GIANNI DAGLI ORTI / CORBIS

merosi collezionisti fuso e il raffreddamento, sarà sufficiente


TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

che le commercializza- rompere la matrice per recuperare l’og-


no, e che incrementano il getto ultimato, che riproduce fedelmente
grave e deprecabile feno- il modello di cera iniziale.
meno della decontestualizza- Tra i soggetti più frequentemente ri-
zione di questi straordinari documenti. prodotti vi sono i guerrieri, rappresentati
Tali oggetti appaiono strettamente con le loro armi da cui è facile distinguere
correlati alla sfera del sacro: numerosi ruoli specializzati quali arcieri, lancieri,
bronzi figurati sono stati sco- frombolieri. Molti indossano delle coraz-

4 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
Guerrieri con stocco
da Abini, Teti (NU);
nella pagina precedente,
essere fantastico con quattro
occhi e quattro braccia
da Abini, Teti (NU).
Museo Archeologico Nazionale
di Cagliari.
A R T E N U R A G I C A

A fianco, ze che sembrano ricoperte di borchie, e


la “madre dell'ucciso” sotto le quali si intravedono tuniche piut-
da Sa Domu ’e S’Orku, tosto corte; le gambe sono nude, protette
Urzulei (NU). da gambali. Alcuni individui possiedono
Museo Archeologico una sorta di giubba a placche o a borchie;
Nazionale di Cagliari. altri hanno delle corazze decorate sul pet-
to o sull’addome da fasce, probabilmente
metalliche. Alcuni sono equipaggiati con
una daga, molti hanno un pugnale a lama
triangolare e ad elsa «gammata» sospe-
so sul petto tramite una tracolla; gli
arcieri mostrano sulle spalle la fare-
tra. Tutti portano un elmo, in forma
di calotta semplice o ornato da cor-
na spesso di grandi dimensioni. Le
armi più rappresentate, oltre ai pu-
gnali, sono le spade, le lance e
gli archi. Certi guerrieri
impugnano una sorta

di stendardo piumato, fissato su delle lun-


ghe lance. Alcuni «fanti» portano sulle
spalle, o tengono in mano, uno scudo di
forma circolare con un elemento appunti-
to al centro, talvolta decorato da motivi li-
neari.
Le figurine di guerrieri rappresenta-
no più frequentemente persone singole,
in posizione statica e solo raramente sce-
ne di lotta con un guerriero che domina il
suo avversario disteso sul dorso, evocan-
do l’azione e il movimento. Infine, vi so-
no anche raffigurazioni di guerrieri che
Guerriero con spada e arco riportano a un ambito mitico o fantasti-
da Monte Arcosu, Uta (CA). co, come il noto guerriero a quattro brac-
Museo Archeologico cia e quattro occhi, o un altro, il cui corpo
Nazionale di Cagliari. richiama la figura del Minotauro.

Il saluto dei capotribù


Se i guerrieri costituiscono la maggior
parte delle raffigurazioni umane, nume-
rosi soggetti, comprese le figure femmi-

4 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
I soggetti raffigurati senza attributi militari corrispondono a
mestieri e stati sociali diversi, dai sacerdoti agli artigiani

nili, sono rappresentati senza attributi sociale importante, capi, sacerdoti o co-
militari e sembrano corrispondere a dif- munque raffigurazioni di un élite.
ferenti mestieri o stati sociali. Tra questi Molto ben documentata è la catego-
si distinguono personaggi maschili, in- ria degli offerenti, figure femminili e ma-
terpretati come capi tribù o individui im- schili variamente vestite che protendono
portanti, che indossano un lungo e am- con la mano un recipiente o una focac-
pio mantello, impugnano un lungo ba- cia; ad essi sono accostabili le figure che
stone nodoso e sono spesso raffigurati impugnano un bastone forcuto o porta-
con una mano alzata, a palmo aperto, in no un ovino sulle spalle.
atteggiamento di saluto. Lo stesso gesto Tra gli altri soggetti vi sono artigiani
si ravvisa in altre figurine che indossano assisi su uno sgabello intenti a lavorare su
lunghe vesti e copricapi di varia foggia un manufatto, probabilmente di cuoio; Volpe da Santa Vittoria,
quali calotte emisferiche, cappelli conici suonatori di corno e di flauto a tre canne; Serri (NU) e cervo
o a larghe falde, caschi o acconciature a donne, con i capelli sciolti sulle spalle o da Iglesias (CA).
trecce. È probabile che si tratti anche in raccolti, che portano dei recipienti sulla Museo Archeologico
questo caso di personaggi con un ruolo testa o tra le mani. Nazionale di Cagliari.

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 4 9
A RT E N U R A G I C A

mufloni e volpi. Anche alcuni oggetti del-


la vita quotidiana sono ugualmente ri-
prodotti in miniatura; si tratta di pugnali,
anfore, cestini con coperchio, sgabelli,
contenitori rettangolari, lampade, fiac-
cole e carri. Tra i soggetti raffigurati rive-
stono un grande interesse le rappresen-
tazioni miniaturistiche dei nuraghi e del-
le imbarcazioni.
Le prime illustrano gli edifici nella
loro interezza, fornendo una precisa in-
formazione sull’aspetto della parte supe-
riore, mai conservata nella realtà odier-
na. Le seconde costituiscono i soli ele-
menti di cui noi disponiamo per cono-
scere il tipo di imbarcazione utilizzato
dalle popolazioni protostoriche della
Sardegna. Si conoscono circa centocin-
quanta navicelle di bronzo che riprodu-
cono imbarcazioni prodotte dalle offici-
ne sarde che appaiono caratterizzate da
un corpo realizzato in forma di scafo di
nave terminante, in corrispondenza del-
l’estremità anteriore, con una protome
animale.

Una flotta di bronzo


Nell’ambito di questa «flotta» si ricono-
scono essenzialmente due fogge, una a
scafo largo, tendente al circolare ma con
Offerente con gruccia Tutte queste raffigurazioni umane mo- l’estremità posteriore ogivale, che si può
da Santa Vittoria, Serri (NU). strano l’esistenza di almeno due correnti definire «cuoriforme», l’altra a scafo più
Museo Archeologico stilistiche, una caratterizzata da un’illu- stretto, con simmetria antero-posteriore,
Nazionale di Cagliari. strazione rigorosa e vicina alla realtà, l’al- o «fusiforme».
tra da una riproduzione più schematica, Le navicelle a scafo fusiforme sono le
talvolta quasi caricaturale. più numerose e all’interno di questa clas-
Gli animali non sono trascurati e so- se è possibile individuare almeno quattro
no note numerose riproduzioni di specie raggruppamenti tipologici, definiti sulla
domestiche, come bovini, ovini, maiali, base dei criteri distintivi dei margini del-
cani, o selvatiche quali cinghiali, cervidi, lo scafo, del sistema di sospensione e del-

Si distinguono almeno due correnti stilistiche, una riproduce


fedelmente la realtà e l’altra ne fa una sorta di caricatura

5 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
A fianco, capotribù da Monte
Arcosu, Uta (CA);
sotto, offerente con focaccia
da Abini, Teti (NU).
Museo Archeologico
Nazionale di Cagliari.

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 5 1
A R T E N U R A G I C A

le modalità di unione della protome allo gavoni, alberi, coffe, chenischi, elementi
scafo. Lo studio delle navicelle nuragiche che ci riportano a un’attenta osservazio-
permette di riconoscere insieme a ele- ne e riproduzione delle imbarcazioni
menti funzionali all’utilizzo dell’oggetto reali e che fanno emergere un’evidente
miniaturistico (peducci, anello per ap- familiarità dei sardi nuragici con il mezzo
Navicella rinvenuta pendere) e a motivi decorativi e fantasti- di trasporto marino.
in una località sconosciuta ci, particolari rispondenti a elementi fun- È possibile che le navicelle a scafo
del Sinis (OR). zionali a un mezzo di navigazione. Si trat- cuoriforme siano riconducibili a un tipo
Collezione privata. ta di scalmi, sartie, legature, battagliole, di chiatta a scafo largo con fondo piatto a
basso pescaggio, probabilmente realiz-
zata con giunchi, canne o ferula adatta a
una navigazione nelle acque poco pro-
fonde dei fiumi o degli stagni.
Per i tipi a scafo fusiforme è ipotizza-
bile, invece, l’esistenza di almeno due
differenti modelli di riferimento idonei
alla navigazione marina, entrambi con
prua e poppa a spigolo acuto e a scafo più
o meno slanciato, allargato al centro, ca-
ratterizzati da strutture costituite dall’in-
castro di tavole. Un modello sembrereb-
be riconducibile a imbarcazioni senza
chiglia e a carena piatta, con rinforzi di
cordame esterno, teso sui fianchi per rin-
forzare e sostenere il corpo dello scafo.

5 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
In assenza di una documentazione navale diretta, è difficile
ricostruire tutti i dettagli strutturali delle piccole imbarcazioni

L’assenza, inoltre di qualsiasi elemento notare alcuna distinzione di forma tra


accessorio e quindi del timone porta a ri- poppa e prua, ma quest’ultima si ricono-
tenere che la funzione direzionale fosse sce per la presenza della protome. La
svolta dal remo. poppa non mostra mai un’alta ruota né
La presenza nell’estremità anteriore una deriva, la prua non ha un’appendice
di una protome animale (o chinisco) col- a sperone o l’estremità rivoluta e non vi
legata allo scafo mediante un filo metal- sono sporgenze su entrambe le estremità
lico avvolto a spirale attorno al collo e come di frequente si osserva in molte
presso l’orlo della prua è senz’altro ricon- rappresentazioni di imbarcazioni villa-
ducibile all’esistenza di una protome fis- noviane o egee. Le murate di queste navi-
sata sulla prua, presumibilmente me- celle sono, in genere, piuttosto basse an-
diante cordame. Differenti potrebbero che se sono documentati esemplari con
essere le imbarcazioni rappresentate da alti fianchi o con fianchi di altezza media
un altro gruppo di navicelle con fiancate su cui si imposta una sorta di impavesata
semplici, prive di nervature esterne, con- a muro semplice o traforato che poteva
traddistinte da un margine a listello spor- avere una funzione protettiva e, al tempo
gente che orla tutto lo scafo. Ricollegabi- stesso, costituire una sorta di murata fe-
le alla presenza del margine è anche la
base triangolare del collo della protome
che determina una piccola nicchia inter-
pretabile, dal punto di vista funzionale, Navicella dal nuraghe
come un gavone di prua più o meno svi- Badde Rupida, Padria (SS).
luppato. All’interno di questo raggruppa- Museo Nazionale
mento si individuano soprattutto navi- G.A. Sanna di Sassari.
celle con scafo a sezione trapezoidale e
fondo piatto anche se ve ne sono altre,
più rare, con sezione curvilinea e fondo
convesso. Lo scafo di queste navicelle è
regolare e simmetrico e non è possibile

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 5 3
A R T E N U R A G I C A

gurazioni di ambito egeo. Molti degli albe-


ri delle navicelle terminano con una sorta
di capitello a «gola» che rientra tra i motivi
decorativi propri di una produzione tipica
sarda ma che, al tempo stesso, in alcuni
esemplari sembra ricordare una coffa.
Questo elemento accessorio all’albe-
ro oltre alla funzione principale di con-
trollo e di avvistamento poteva anche es-
sere utilizzato per aiutare dall’alto le ma-
novre dell’issare e ammainare una vela-
tura di grandi dimensioni e di notevole
peso giacché la vela, realizzata in fibra di
lino o di canapa, a contatto con l’umidità
marina doveva risultare ancora più pe-
sante e di difficile manovrabilità. Niente
ci è dato sapere di preciso sul tipo di vela
utilizzata nelle navi nuragiche, anche se
si può ragionevolmente ipotizzare un
elemento di forma quadrangolare che,
Navicella da Monte nestrata per il controllo della visibilità e orientato trasversalmente allo scafo o lie-
Lecchesinus, Mores (SS). per l’alloggiamento dei remi. vemente obliquo, consentiva un tipo di
Museo Nazionale La presenza in alcune navicelle di un navigazione con andatura di poppa o, al
G.A. Sanna di Sassari. albero al centro dello scafo appare un massimo, di gran lasco.
chiaro riferimento all’uso, in queste im- Il problema della ricostruzione dei
barcazioni, di un mezzo propulsivo alter- dettagli strutturali di queste imbarcazio-
nativo ai remi, strumenti questi comun- ni è per ora irrisolto, considerata anche la
que indispensabili data l’incapacità degli mancanza di una qualsiasi diretta docu-
antichi naviganti di virare di bordo e di ri- mentazione navale. Potremmo ipotizza-
salire il vento. L’albero è sempre coronato re che il prototipo di riferimento fosse co-
da un anello di sospensione che, aldilà del- struito mediante l’incastro di tavole di di-
la funzione di appiccagnolo, potrebbe ri- mensioni più o meno piccole, come le
collegarsi anche a un karkesion di bronzo, naves sutiles della tradizione classica
un dispositivo adottato per incapellare gli (Plinio, Naturalis Historiae, XXIV, 65) ca-
Disegni di alcune navicelle stragli e per far scorrere le drizze del pen- ratterizzate da una struttura tenuta insie-
conservate in diversi musei. none della vela, ricorrente in molte raffi- me grazie a cuciture e tenoni lignei e

5 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
comprovata oltre che dalle fonti anche da lanoviane, come quelle di Cavalupo di
numerosi relitti. Vulci (VT) (inizio IX sec. a.C.) o della ne-
cropoli di Pontecagnano (SA), datate dal-
Problemi di datazione la seconda metà del IX sec. a.C., o ancora
L’impiego funzionale dell’oggetto come di tombe etrusche come quella del Duce
lucerna votiva è ipotizzabile sulla base o del circolo delle tre navicelle a Vetulonia
del confronto con l’analoga classe di ma- (GR), inquadrabili tra la metà dell’VIII se-
nufatti realizzati in ceramica, per la quale colo e l’inizio del VII sec. a.C. Tuttavia, se
è ampiamente documentato un uso co- queste datazioni più tarde possono indi-
me lampade all’interno di vani utilizzati care l’epoca nella quale le popolazioni
per scopi cultuali. Il valore religioso del- continentali hanno importato questo ti-
l’oggetto, oltre che dalla collocazione nei po di oggetti, certamente i ritrovamenti
luoghi sacri, era poi accentuato dal valo- della prima età del Ferro (IX sec. a.C.) cor-
re di ex-voto di particolare prestigio e im- rispondono ancora al loro periodo di pro-
portanza e dall’utilizzazione della navi- duzione, che verosimilmente origina nel
cella come lucerna votiva per l’illumina- periodo del Bronzo finale (XII-XI sec. a.C.)
zione degli ambienti interni dei santuari nell’ambito delle espressioni artigianali e
e dei sacelli, poggiata su un piano o so- artistiche che caratterizzano e rappresen-
spesa per mezzo dell’appiccagnolo. tano l’aspetto culturale nuragico.
Anche gli altri oggetti miniaturistici
di bronzo dovevano avere valenza di ex- Anna Depalmas,
voto, come sembra confermato dagli am- Università di Sassari Modellino di nuraghe
biti di rinvenimento, prevalentemente di complesso quadrilobato
carattere cultuale. Bibliografia da Olmedo (SS).
La datazione dei bronzetti è stata ed è A. Depalmas, «Les nacelles en bronze de la Sar- Museo Nazionale
oggetto di grande dibattito, in particolare daigne: problems de reconstruction des archeti- G.A. Sanna di Sassari.
perché gran parte delle scoperte risalgo- pes», Préhistoire Anthropologie Méditerranéen-
no ai primordi della ricerca archeologica, nes, Tome 5, 1996, pp. 39-55.
molte provengono da collezioni private, A. Depalmas, «Imbarcazioni, rotte e traffici nella
quindi senza alcun dato di origine, o da Sardegna di età nuragica», Atti del quarto incon-
contesti difficilmente databili. Infatti le tro di studi Preistoria e Protostoria in Etruria, Mi-
indicazioni cronologiche più sicure pro- lano 2000, pp. 201-213.
vengono dalla penisola italiana dove al- A. Depalmas, Le navicelle di bronzo della Sarde-
cuni bronzetti sardi, presenti come mate- gna nuragica, Cagliari 2005.
riale d’importazione, sono stati scoperti G. Lilliu, Sculture della Sardegna nuragica, Torino
all’interno di tombe. Si tratta di tombe vil- 1966.

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 5 5
A R C H I T E T T U R A N U R A G I C A

La bella età
dei giganti di pietra
Viaggio tra i monumenti simbolo dell’Isola, per sfatare leggende e luoghi comuni
sulle colossali torri del II millennio e aprire uno scorcio sulla vita dei loro artefici
ALFONSO STIGLITZ

A
LL’ESTREMO MARGINE settentriona- una visione inaspettata ma non colpisce
le della più ampia pianura della per la sua imponenza a dispetto delle di-
Sardegna, il Campidano, una mensioni. La vicinanza a un centro abita-
decina di chilometri più a nord di Orista- to e a una strada già nota in età romana
no, sorge il nuraghe s’Urachi che con le ne ha fatto l’ideale cava per materiale da
sue 15-16 torri è uno dei più grandi in as- costruzione, le pietre per le chiese e per lo
Sotto, una veduta dall’alto soluto. Per chi percorre la provinciale nu- zoccolo delle case, la terra per realizzare i
del nuraghe S’Urachi (San Vero mero 10 che porta i turisti da San Vero Mi- ladirii, i mattoni crudi per i muri, con i
Milis). Nella pagina seguente, lis alle sue splendide spiagge del Sinis, quali sono realizzati tutti i paesi del Cam-
il nuraghe Òrolo (Bortigali). proprio alle porte del paese il nuraghe è pidano. E proprio all’interno del nuraghe
è la prova dello spoglio, una cava ben vi-
sibile nello spazio di quello che doveva
essere il cortile e una discarica di terra,
pietrame minuto e reperti archeologici –
nuragici, fenici e romani – che copre per
uno spessore di circa due metri le mura-
ture del monumento. L’assenza di un no-
me specifico, si chiama infatti semplice-
mente s’Urachi, il nuraghe, ci dice che fi-
no agli anni trenta del secolo scorso era
invisibile, una collina dalla quale affiora-
vano pochi e sparsi massi, esattamente
TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

come nel più famoso monumento di Ba-


rumini che non a caso si chiama Su Nu-
SALVO DIVERSA INDICAZIONE

raxi, il nuraghe, appunto. La mancanza


di imponenza significa, anche, che in
buona parte è ancora sepolto, da scavare,
e noi piano piano – i fondi sono scarsi – lo
stiamo riportando alla luce, sfogliando
gli strati della sua lunghissima storia.

5 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
RAINER HACKENBERG /ZEFA / CORBIS
A R C H I T E T T U R A N U R A G I C A

da uno spesso strato di sabbie e limi tra-


sportati dal vento, e così è avvenuto per
tutti i nuraghi della sua regione, il Sinis.
Sugli altopiani e sui monti, invece, lo
spessore del terreno agricolo è ridotto e
quindi manca la materia prima per arri-
vare a ricoprirli, mentre nelle valli monta-
ne una maggiore presenza di terreno ri-
produce il fenomeno della pianura. L’e-
sempio più noto è quello del nuraghe
Nolza, di Meana Sardo, nella Barbagia di
Belvì, totalmente coperto, pur trovandosi
a 739 metri di quota. Ma per i nuraghi di
pianura e di costa è stato determinante
un altro fattore, l’intenso popolamento.
In montagna, poco popolata già nell’an-
tichità, i nuraghi sono stati riutilizzati, nei
secoli successivi fino a oggi, quasi esclu-
sivamente per attività pastorali, con po-
che modifiche alle strutture; in pianura il
Nuraghe S’Urachi. È curioso come l’attuale percezione dei costante riutilizzo, già a partire dalla tar-
nuraghi soffra di una distorsione di pro- da età nuragica, ha portato a continue ri-
spettiva; se chiedete di quale parte della strutturazioni e riempimenti che hanno
Sardegna siano caratteristici, nella mag- causato il sollevamento progressivo dei
gior parte dei casi vi verrà risposto: dei piani di calpestio. A s’Urachi, ad esempio,
monti. Perché in effetti nelle aree di alto- una stratigrafia di circa tredici strati di fre-
piano e montane sono visibili numerosi quentazione diversi, ha portato, da età
nuraghi mentre nella pianura, nel Cam- tardopunica a età romano repubblicana,
pidano, sembra quasi che non ve ne sia- a rialzare il terreno di circa due metri.
no. In realtà i nuraghi sono dappertutto, Il nostro nuraghe ci guida in un viag-
solo che nelle aree elevate non sono stati gio alla scoperta di queste costruzioni. Lo
coperti e resi invisibili. Perché? La rispo- faremo alla moda dei giornalisti ponen-
sta è semplice e si rifà a due fattori, il pri- doci le cinque fatidiche domande che
mo dei quali è la terra: nella pianura lo guidano ogni archeologo: chi, dove,
spessore del terreno è importante e l’agri- quando, come e perché?
coltura lo smuove e lo rende mobile, il
vento fa il resto. Lo scavo del villaggio nu- La struttura base
ragico ritrovato sotto il tophet fenicio del- I nuraghi sono delle torri a forma di tron-
la vicina Tharros ci dice che dopo l’ab- co di cono, realizzate con pietre lavorate di
bandono le capanne sono state ricoperte medie e grandi dimensioni. Le pietre, più

In realtà i nuraghi sono dappertutto, solo che nelle aree elevate


non sono stati coperti e resi invisibili come nella pianura

5 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
grandi e sommariamente sbozzate quelle di Abbasanta, Tiloriga di Bultei; i casi più Nuraghe Nuraxeddu (Seulo).
della base, più piccole e spesso lavorate in straordinari sono quello del nuraghe Alvo
modo più raffinato quelle più in alto, sono di Baunei, con dodici mensole ancora in
messe in opera a secco in filari circolari a opera e Su Nuraxi di Barumini, nel quale
doppio paramento, che vanno riducendo- gravi problemi strutturali portarono i nu-
si di diametro in altezza sino a chiudere al- ragici a rifasciare l’intera struttura verso la
l’interno con una falsa cupola, la tholos. fine della sua vita; il rifascio, fortunata-
La parte terminale esterna della torre mente per noi, ha inglobato parte degli
era costituita da un terrazzo sostenuto da spalti permettendoci di vedere diretta-
grandi mensoloni, anch’essi di pietra. mente la loro messa in opera.
Questi terrazzi, che sporgevano sul filo I nuraghi possono essere costituiti da
della torre, erano la parte strutturalmente una sola torre (nuraghi monotorri), come
più debole per cui nessuno di essi ci è per- il Succoronis di Macomer o da più torri
venuto intatto e li conosciamo attraverso (nuraghi complessi), articolate in modo
modellini di nuraghe realizzati, in pietra o diverso, dalle due del nuraghe Santa Bar-
in bronzo, dagli stessi nuragici in epoche bara di Villanovatruschedu alle sei del nu-
più recenti. In rari casi è possibile vedere raghe Genna Corte di Laconi. Nei casi mol-
qualche mensolone ancora in opera co- to complessi il nuraghe vero e proprio può
me nei nuraghi Albucciu di Arzachena, essere pentalobato – torre centrale più
Corte di Nuoro, Orgono di Ghilarza, Losa cinque torri laterali – come l’Orrubiu di

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 5 9
A R C H I T E T T U R A N U R A G I C A

Orroli e, forse, s’Urachi di San Vero Milis, o ra nel corridoio di accesso e sale fino al
quadrilobato – torre centrale più quattro terrazzo sovrastante, ormai non più con-
torri laterali – come Su Nuraxi di Barumi- servato. In altri casi, generalmente più
ni. In questi casi recinge il nuraghe una antichi, la scala elicoidale manca e la ca-
grande muraglia con dodici torri a Orroli, mera di base è più alta con i piani realiz-
dieci a San Vero Milis, sette a Barumini, zati in legno, oggi scomparsi. Il caso più
creando quindi una complessa struttura bello è quello della tholos del nuraghe Is
turrita rispettivamente di 18, 16 e 12 torri. Paras di Isili, dove la parte alta era rag-
giungibile con scale in legno che portava-
no a una porta aperta a 4 metri di altezza,
che immette nella scala per il terrazzo.
Risulta ancora da definire nei parti-
colari il metodo di costruzione. L’ipotesi
tradizionale è quella dell’utilizzo dei pia-
ni di terra inclinati per favorire il traspor-
to e sollevamento delle pietre per realiz-
zare gli anelli concentrici che si restrin-
gono man mano che la costruzione sale;
il lavoro è facilitato dalle dimensioni
sempre più piccole dei blocchi in funzio-
ne dell’altezza. La presenza in alcuni nu-
raghi, Corbos di Silanus e Succoronis di
Macomer, di incavi nella muratura ester-
na ha portato a ipotizzare l’esistenza di
ponteggi lignei.

Dettaglio costruttivo I nuraghi possono raggiungere altezze Origini megalitiche


della torre centrale del nuraghe considerevoli, come ad esempio la torre L’origine architettonica dell’edificio nu-
Santu Antine (Torralba). centrale del Santu Antine di Torralba (SS), raghe, che caratterizza il secondo millen-
uno dei più raffinati in assoluto, che svet- nio sardo, affonda le sue radici nelle
ta ancora oggi a 17,55 metri, ma che do- esperienze megalitiche di quello prece-
veva arrivare almeno a 20: un edificio più dente – testimoniate dalle grandi mura-
alto di un palazzo di sette piani, con un glie della Cultura di Monte Claro che ca-
diametro alla base di 10,75 metri. In que- ratterizza l’età del Rame (seconda metà
sto caso la torre era articolata in tre piani del terzo millennio a.C.), poste a fortifi-
sovrapposti, ognuno costituito da una care colline, tra le quali la più nota è quel-
stanza, di dimensioni minori man mano la di Monte Baranta di Olmedo – e nelle
che si sale; i vari piani sono raggiunti tra- capanne-torre con funzione di vigilanza
mite una scala elicoidale ricavata nello sul territorio, come quella di Sa Corona di
spessore murario, che inizia al piano ter- Villagreca, visibile a poca distanza dalla

Possono avere una complessa struttura turrita e raggiungere


altezze considerevoli sviluppandosi in piani sovrapposti

6 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
superstrada che unisce Cagliari con Sas- tipo difensivo e di avvistamento, lo svi- Nuraghe Su Nuraxi (Barumini).
sari. Si tratta di esperienze architettoni- luppo sempre più ampio della metallur-
che locali, ma in sintonia con fenomeni gia e il parallelo emergere del ceto milita-
simili in tutto il Mediterraneo, legate ai re come dominante; la tomba collettiva
processi di cambiamento che vedono il di S. Iroxi di Decimoputzu, databile al
concludersi delle società neolitiche, ba- Bronzo Antico 2 (1700-1600 a.C. [Cal.
sate su estesi villaggi di piccole capanne. 2000-1700 a.C.], caratterizzata dalla pre-
Al loro posto sorge una nuova organizza- senza di 13 spade e vari pugnali in rame
zione nella quale si fanno sempre più arsenicato, può essere un indizio di que-
evidenti le distinzioni sociali e le gerar- sta evoluzione. Un processo durato seco-
chie di status, e i mezzi di produzione, in li e certamente non lineare ma che vedrà
particolare terra e bestiame, non sono un deciso salto di qualità agli inizi del
più collettivi ma vengono progressiva- Bronzo Medio (1600-1300 a.C. [Cal. 1700-
mente accentrati. Ciò produce tensioni 1375 a.C.]) 1 con il sorgere dei nuraghi.
sociali all’interno delle comunità tra ceti In questa fase coesistono due tipolo-
emergenti e massa produttiva, e tensioni gie di costruzioni, quella classica a tronco
territoriali per la necessità dei vari grup- di cono con volta a tholos, in circa 7-8.000
pi di acquisire spazio per la crescita eco- esemplari, e quella a corridoio, talvolta
nomica. Da qui il sorgere di strutture di definita come protonuraghe o pseudo-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 6 1
A R C H I T E T T U R A N U R A G I C A

Le tombe dei giganti


Si tratta di strutture megalitiche di forma allungata e absidata con to è indubbiamente insidioso data la maggiore facilità di distruzio-
all’interno un lungo (fino a 30 m) vano rettangolare pavimenta- ne e scomparsa delle tombe rispetto ai nuraghi, ma la sproporzio-
to destinato a sepoltura collettiva di numerosi defunti. La fronte ne numerica è indubbiamente elevata. D’altra parte l’assenza, in-
si presenta a forma di esedra realizzata in modi differenti: con la- spiegabile rispetto alle contemporanee società orientali, di tombe
stre a coltello e con al centro un’alta stele centinata, preferen- «principesche» ha portato a ipotizzare che le tombe dei giganti,
zialmente nel centro-nord Sardegna ma con qualche sporadica appunto, fossero riservate ai gruppi dominanti.
presenza nel sud, e di cui l’esempio più noto è quella di Li Longhi La storia delle tombe dei giganti, così chiamate per le loro di-
di Arzachena, con una stele alta 3,75 m; mentre nel centro-sud mensioni imponenti, inizia agli albori della civiltà nuragica, in con-
dell’isola la fronte è costituita da un’esedra a filari sovrapposti con nessione con i nuraghi a corridoio, e accompagna i nuraghi a tho-
al centro un ingresso architravato privo di stele, come nel caso los in tutta la loro vicenda. Con il Bronzo finale e la fine dei nura-
della tomba di Is concias di Quartucciu. Il primo tipo pare legger- ghi anche le tombe dei giganti esauriscono la loro storia lasciando
mente più antico del secondo. il posto a tombe a corridoio di minore dimensione e prive di ese-
Desta qualche meraviglia che una società che mostra chiari in- dra e poi a tombe individuali a fossa rivestite di lastre litiche, come
dici di gerarchizzazione sociale e territoriale avanzata utilizzi forme negli esempi di Sa Costa di Sardara, di Antas di Fluminimaggiore
funerarie collettive e che il numero sostanzialmente ridotto di que- e soprattutto della necropoli con 33 tombe individuali di Monte
ste strutture – ne sono note circa 500 – non sia sufficiente a co- Prama di Cabras, dai pressi della quale provengono le note statue
prire per secoli le esigenze dei numerosi insediamenti. L’argomen- nuragiche.

ROBERT HARDING / WORLD IMAGERY / CORBIS

6 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
nuraghe, di forma ovale o rettangolare,
attraversata da uno o più corridoi e co-
perta a piattabanda, di cui si conservano
poco meno di 400 esemplari. Si discute su
una maggior antichità del tipo a corridoio
e su una possibile filiazione di quello a
tholos da questo. Si ipotizzata una filia-
zione con il comparire di vani circolari e
copertura tronco-ogivale come nel Fria-
rosu di Mogorella, Sa Fogaia di Siddi e Sa
Jacca di Busachi. Una sequenza di crono-
logia relativa è data dal caso del nuraghe
a corridoio di Su Mulinu di Villanovafran-
ca, che nel Bronzo recente (1300-1150
a.C. [Cal. 1365-1200 a.C.]) viene circonda-
to da una struttura complessa a tholos
con antemurale turrito, o da quello del
Cuccurada di Mogoro dove un nuraghe
complesso a tholos ingloba uno a corri-
doio. Allo stato attuale delle conoscenze spetto ai dati restituiti dallo scavo e dallo Parco Sette Fratelli (Sinnai),
le due tipologie paiono essere contempo- studio del materiale e delle strutture. nuraghe.
ranee con una certa anteriorità di quella
a corridoio. Montagne e pianure
Alcune datazioni come quella al Per buona parte dell’età dei nuraghi le
Bronzo medio 1 (1600-1500 a.C. [Cal. due tipologie convivono probabilmente
1700-1600 a.C.]) del nuraghe a corridoio all’interno di un’organizzazione territo-
Talei di Sorgono, e al Bronzo medio 2 riale articolata, nella quale è indubbio il
(1500-1400 a.C. [Cal. 1600-1500 a.C.]) dei maggior successo della forma a tholos,
nuraghi a tholos Santu Antine di Torralba più funzionale dal punto di vista architet-
e Nolza di Meana sardo, possono darci tonico e del controllo del territorio. I nu-
un’idea della differenza cronologica. raghi a corridoio, infatti, sembrano pre-
Alcune datazioni più alte, come quel- diligere le zone subpianeggianti mentre
le dei nuraghi a corridoio Brunku Madu- quelli classici non hanno limiti di collo-
gui di Gesturi (2125-1625 a.c. [cal. 2770- cazione. Come detto uno dei luoghi co-
1745 a.c.]), del monotorre Noeddos di Ma- muni più diffusi vuole i nuraghi relegati
ra (cal. 1750-1500 a.C.) e della Torre A del nel nucleo interno della Sardegna, con
nuraghe Duos Nuraghes (cal. 2000-1800 una visione distorta dall’attuale stato di
a.c.) destano generali perplessità per gli conservazione delle torri. In realtà i nura-
ampi margini di errore e, soprattutto nel ghi erano presenti ovunque, dalle alte
primo caso, per la totale difformità ri- montagne, dove sono meno numerosi,

Per buona parte dell’età dei nuraghi convivono due tipologie


ma quella classica a tholos si è dimostrata più funzionale

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 6 3
A R C H I T E T T U R A N U R A G I C A

come il nuraghe Ruinas di Arzana a 1.200 Che cos’erano i nuraghi? Abbandonate


m s.l.m., alle coste; qui le regioni del Sinis già da molto tempo le fantasiose inter-
(Oristanese) e della Nurra (Alghero-Sas- pretazioni di chi li vedeva come tombe o
sari) presentano, assieme agli altopiani templi, in questo caso scambiando gli usi
centrali, le più alte densità di nuraghi (nel successivi delle torri con quelli originari,
Sinis sono visibili nuraghi complessi di- e rivista quella militarista dei nuraghi-
stanti 150 metri l’uno dall’altro); torri so- fortezza o castello, essi oggi sono inter-
no presenti anche nelle isole come a San- pretati come strutture complesse di uso
t’Antioco, a San Pietro e nell’isola graniti- pubblico; cosa significa?
ca di Mal di ventre al largo del golfo di Sebbene molto resti ancora da inda-
Oristano, a controllo di uno dei canali più gare si può affermare che il nuraghe sia
pericolosi per la navigazione. Fantasiosa una struttura con una pluralità di funzio-
è l’affermata presenza di nuraghi fuori ni, da quella abitativa, anche se non pri-
dalla Sardegna; si può parlare, invece, di maria, a quella, più significativa, di luogo
influenze, in particolare dei nuraghi a di espressione dei rapporti sociali e delle
corridoio, sulle strutture architettoniche strutture di potere, in particolare quelle
della Corsica, le Torri, e delle Baleari, i Ta- legate all’accumulazione di beni come
laiots, ma si tratta di costruzioni diverse alimenti e materie prime e alla loro redi-
da quelle sarde. Molto dubbia, invece, l’i- stribuzione sociale. Resta ovviamente
potizzata derivazione dei sesi di Pantelle- anche una funzione militare da non in-
ria dalle costruzioni sarde. terpretare come risposta a uno stato di

I pozzi e le fonti sacre


A partire dal Bronzo medio iniziano a essere noti culti legati al- nario è quello del pozzo di Cuccuru Nuraxi di Settimo San Pietro,
l’acqua come attestato dalla fonte di Sos Malavidos di Orani, ma realizzato in cima a una collina ristrutturando un precedente nu-
è solo con i periodi successivi e in particolar modo nel Bronzo fi- raghe, composto da un piccolo atrio dal quale parte una ripida
nale che si diffondono monumenti di alta complessità architetto- scalinata che porta a una camera a tholos di circa sei metri di al-
nica, di cui si conoscono oltre 150 esempi. Si tratta in generale di tezza, sul cui fondo lastricato si apre, al centro, un pozzo profon-
edifici composti da un atrio quadrangolare, che introduce a una do oltre 20 metri con un diametro di circa m 1,50, tutto rivestito
scalinata più o meno profonda alla fine della quale si apre la poz- in tecnica microlitica. In altre parole gli artefici dovettero scende-
za d’acqua; nel caso delle fonti la scalinata è assente. La pozza re quasi trenta metri per trovare l’acqua.
d’acqua è coperta da una camera con volta a tholos simile a quel- In altri casi sono realizzate fini strutture idrauliche connesse
la dei nuraghi ma ipogea. con esigenze di culto come nel caso di Su Romanzesu di Orune e
Gli edifici si distinguono sostanzialmente per la tipologia del di Gremanu di Fonni.
paramento murario, in alcuni casi, come quello di Funtana Co- I pozzi e le fonti sacre hanno svolto un ruolo di edifici pub-
berta di Ballao, con filari a blocchi sbozzati come nei nuraghi, in blici legati al culto ma anche all’accumulazione e redistribuzione
altri con blocchi squadrati finemente lavorati, in opera isodoma, di beni di prestigio, soprattutto con il venir meno del nuraghe; la
come nel noto pozzo di S. Cristina di Paulilatino. Esternamente loro vita infatti giunge sino all’età del Ferro (I millennio). Sono que-
dovevano essere coperti con strutture a tetto a doppia falda; la ste strutture, assieme ad altre forme templari, come i templi a me-
prova ci viene dallo stupendo pozzo di Su Tempiesu di Orune che garon e le rotonde, che hanno restituito la maggior parte dei
conserva ancora una parte della copertura. Un esempio straordi- bronzetti, delle navicelle e degli altri manufatti metallici.

6 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
guerra continua, ma come strutture volte
al controllo del territorio, delle sue risor-
se e a definire le gerarchie di potere tra i
vari gruppi. Non va infine dimenticato il
grande valore ideologico di queste strut-
ture, che sopravviverà alle stesse, come
dimostrano i modellini in scala, realizza-
ti in pietra o in bronzo, che li riproduco-
no anche in tempi ormai lontani dalla
grande stagione delle torri.

Una società complessa


La realizzazione di strutture colossali e in nel XII sec. a.C, lo straordinario sviluppo Nuraghe Òrolo (Bortigali),
gran numero presuppone una società dei secoli successivi e la posizione al cen- ingresso.
nella quale i singoli gruppi siano organiz- tro delle rotte mediterranee garantiscono
zati in ampi territori, con pluralità e ab- ai nuragici un ruolo primario nei traffici
bondanza di risorse integrate e in grado mediterranei, come punto obbligato dei
di garantire il necessario surplus di pro- rapporti tra le società orientali e i ricchis-
duzione che permetta di distogliere simi giacimenti minerari iberici. I rappor-
un’ampia forza lavoro dalle attività pri- ti con il resto del Mediterraneo, in parti-
marie. Si discute se questa forza lavoro colare con l’Egeo e con il mondo mice-
sia di tipo servile o di liberi soggetti a cor- neo, già attivi nel Bronzo Medio, come
vée, da qui l’immagine dei nuraghi come mostra l’alabastron miceneo del nuraghe
centri politici legati al controllo e alla Orrubiu di Orroli, si intensificano nei se-
centralizzazione delle risorse e del pote- coli successivi. L’esempio del Nuraghe
re. Non trova invece conferma, sinora, l’i- Antigori di Sarroch presso Cagliari e gli al-
potizzata struttura di tipo monarchico: i tri ritrovamenti micenei nell’arco del gol-
nuraghi, ritenuti da alcuni autori – come fo omonimo indicano la grande impor-
Lilliu e Ugas – vere e proprie regge o abi- tanza della Sardegna meridionale e di
tazioni del monarca, non hanno, infatti, questo spazio di mare, vera e propria au-
ancora restituito tracce tangibili di que- tostrada dell’antichità. Non pare, quindi,
st’uso, e l’assenza di sepolture regali, un caso che l’Antigori ci attesti l’esistenza
nonché la mancanza di palazzi di potere di uno scalo di livello internazionale, di
del tipo di quelli micenei o vicino-orien- incontro tra il mondo orientale e quello
tali, sembra escludere questa forma poli- sardo. Contemporaneamente il ritrova-
tica. mento, fuori Sardegna, nel grande porto
La presenza di una società comples- di Kommos, sulla costa meridionale di
sa, di ampi giacimenti di materie prime Creta, di un lotto di ceramiche nuragiche
(rame, piombo, stagno), lo sviluppo della del XIII sec. a.C., confrontabili con i ma-
metallurgia con un deciso salto di qualità teriali del nuraghe Antigori e degli altri in-

La Sardegna è al centro dei traffici mediterranei e diventa


un ponte verso i ricchissimi giacimenti minerari iberici

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sediamenti della Sardegna meridionale, quali non vi è più posto per strutture ar-
da dove proviene l’argilla con la quale so- chitettonicamente così complesse che
no stati prodotte, forniscono un prezioso immobilizzano e consumano una quan-
indizio su una rotta da ovest a est e vice- tità colossale di risorse per la loro costru-
versa, con tramite la Sicilia da dove pro- zione e mantenimento in efficienza. Una
vengono altre ceramiche sarde, e nella società più articolata socialmente ed eco-
quale è sempre maggiore l’importanza di nomicamente più dinamica ha necessità
Cipro. La presenza di materiale nuragico muovere uomini e beni; in questo perio-
all’esterno dell’isola va estendendosi nel do avviene la maggior diffusione di villag-
tempo e ne sono prova le ceramiche di gi privi di nuraghe, già presenti nelle pre-
Lipari (metà XI-metà X sec. a.C.) e le cera- cedenti epoche, e il fiorire della più gran-
miche e i bronzi nuragici della costa tirre- de stagione metallurgica dell’isola, che la
nica italiana e della penisola iberica. vede protagonista nel Mediterraneo. In
questo quadro emerge il ruolo dei pozzi e
La fine inesorabile delle fonti sacre che vanno sostituendo i
Parlando del quando e del perché biso- nuraghi come punti di aggregazione, tal-
gna cercare di individuare anche il mo- volta anche fisicamente: come nei casi di
mento della fine dei nuraghi che, si badi Nurdole di Orani (NU) e di Cuccuru Nura-
bene, non significa la fine della civiltà nu- xi di Settimo San Pietro (CA) dove all’in-
ragica, che continuerà ancora per secoli terno di nuraghi vengono realizzati dei
con altre e strabilianti forme. Perché fini- pozzi sacri riutilizzando o in parte sman-
scono i nuraghi? Per una immane cata- tellando le vecchie torri. In altri casi parti
strofe naturale? Per una improvvisa inva- del nuraghe vengono riutilizzate come
sione distruttiva? Per una devastante luoghi di culto; il caso più impressionan-
guerra fratricida? Niente di tutto questo, te è Su Mulinu di Villanovafranca dove
ma a causa di una forza più potente di una delle torri viene utilizzata a partire
tutte le altre: l’inesorabile evoluzione del- dalla fine del X sec. a.C come luogo di cul-
la società; semplicemente – si fa per dire to, all’interno del quale successivamente
– a un certo punto i nuraghi non sono più viene posto un altare in pietra che ripro-
al passo con i tempi. duce in scala il nuraghe. I famosi bron-
La «bella età dei nuraghi» (Lilliu) è zetti nuragici e la statuaria appartengono
tutta compresa nel II millennio, nelle età a un momento avanzato di questa fase,
che noi archeologi chiamiamo del Bron- quando i nuraghi sono ormai un ricordo
zo medio (1600-1300 a.C. [Cal. 1700-1365 degno di venerazione.
a.C.]) e del Bronzo recente (1300-1150 È ovvio che questi grandi fenomeni
a.C. [Cal. 1365-1200 a.C.]). La successiva di cambiamento, sempre più rapidi alla
età del Bronzo finale (1150-900 a.C. [Cal. fine del II millennio e ancor di più nel
1200-1020 a.C.]) vede la fine di questi gi- successivo, noti anche nel resto del Medi-
ganti, la società nuragica cambia e si terraneo, non avvengono in blocco in tut-
evolve verso le forme più articolate nelle ta l’isola: ci saranno zone precoci, in ge-

La società evolve verso forme più dinamiche dove non c’è


più posto per costruzioni tanto complesse e costose

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nerale le aree costiere, e altre più conser-
vative. Non è un caso se proprio dal Bron-
zo finale le distinzioni regionali nella cul-
tura materiale nuragica si fanno più mar-
cate. Tra la fine del II e gli inizi del I mil-
lennio a.C. il nuraghe non è più l’elemen-
to caratteristico della società nuragica.
Questa si evolve verso le forme, che sa-
ranno tipiche dell’età del Ferro (primo
millennio), delle aristocrazie che l’acco-
munano con gli ambiti più avanzati del
Mediterraneo, dall’Etruria alla Grecia. È l’arrivo e la fondazione di città fenicie nei Nuraghe Losa (Abbasanta).
un mondo di intensi contatti economici punti privilegiati dei contatti transmarini
ma anche culturali e sociali, nei quali le (Cagliari, Nora, Sant’Antioco, il Golfo di
varie parti di questo piccolo mare condi- Oristano per tutti) chiuderanno la pro-
vidono molti elementi e dal quale nasce- spettiva urbana nuragica; ma questa è
rà il fenomeno urbano che, però, resterà un’altra storia.
estraneo alla civiltà nuragica. Nessun in-
sediamento, infatti, presenta le caratteri- Alfonso Stiglitz, docente di archeologia
stiche morfologiche, economiche e so- greca e romana presso l’Università di Cagliari
ciali delle strutture urbane. Nell’VIII sec. alfonsostiglitz@libero.it

Per saperne di più


La bibliografia di riferimento è ovviamente molto ampia, mi limito a indicare alcuni titoli a partire dal testo base di G. Lilliu, La civiltà
nuragica, Sassari, Delfino, 1992, scaricabile on line in formato pdf dal sito ufficiale della Regione Sardegna, all’indirizzo http://www.sar
degnacultura.it/periodistorici/nuragico/, alla voce monografie. Dallo stesso sito sono scaricabili le guide archeologiche di numerosi siti
nuragici, alcuni dei quali citati nel nostro testo; altri sono descritti nel testo di A. Moravetti, Ricerche archeologiche nel Marghine-Pla-
nargia, Sassari, Delfino, 2000, anch’esso scaricabile dal sito della Regione Sardegna.
Sempre on line, nel sito http://luna.cas.usf.edu/~rtykot/index.html alla voce publications, è scaricabile il testo di R. Tycot, Radio-
carbon dating and absolute chronology in Sardinia and Corsica, in R. Skeates - R. Whitehouse (eds.), Radiocarbon Dating and Italian
Prehistory, Rome, British School, 1994, pp. 115-145.
Gli scavi del nuraghe S’Urachi (San Vero Milis) sono visibili nel sito del Comune di San Vero Milis, http://www.comune.sanveromi
lis.or.it, alla voce Museo, dove sono leggibili le pubblicazioni scientifiche sinora edite.
Ottime sintesi purtroppo solo in formato cartaceo ma esemplificative delle varie opinioni presenti e dell’ampia bibliografia posso-
no trovarsi in:
M. Perra, From Desert Ruins: an Interpretation of Nuragic Sardinia, EUROPAEA 3.2 (1997), pp. 49-76.
V. Santoni, Sardinia in the Mediterranean from the Middle until the Late Bronze age, in Stampolidis N.C. (ed.), Sea Route...From
Sidon to Huelva. Interconnections in the Mediterranean 16th-6th c. BC, Athens, 2003, pp. 140-151.
G. Ugas, L’alba dei nuraghi, Cagliari, Fabula, 2005.
A. Usai, Note sulla società della Sardegna nuragica e sulla funzione dei nuraghi, in N. Christie (ed.), Settlement and Economy in
Italy 1500 BC to 1500, Papers of the Fifth Conference of Italian Archaeology, Oxford, Oxbow Monograph, 1995, pp. 253-259.

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I L T O F E T

Un pietoso rito funebre


offuscato da troppi miti
Grazie ad alcune opere letterarie le pratiche religiose per onorare i fanciulli morti
sono state per lungo tempo interpretate come sacrifici umani di primogeniti
P I E R O B A RT O L O N I

IL
SACRIFICIO DEI FANCIULLI purtroppo cheologia, e per di più la religione punica
ha reso famosa Cartagine quasi rimane meno conosciuta di quanto si
quanto lo hanno fatto le figure di possa ritenere.
Didone e di Annibale. Gustave Flaubert, Diodoro Siculo è uno storico che scri-
scrittore francese della metà dell’800, au- ve la sua opera attorno al 50 a.C. Narra le
tore del celebre romanzo Salammbô, e gli vicende della Sicilia antica e, per suscitare
storici moderni si sono ispirati a un testo lo stupore dei lettori, talvolta inserisce fat-
di Diodoro Siculo che evoca il terribile ri- ti memorabili non sempre fondati sulla
tuale del presunto sacrificio dei primoge- realtà. Tra l’altro si dilunga sulle vicende di
niti che si svolgeva nel tofet. Eppure que- Cartagine, durante l’incursione che Aga-
Il tofet di Sulky, sta realtà non è stata confermata dalle tocle, tiranno di Siracusa, fece in terra afri-
l’odierna Sant’Antioco. scoperte effettuate nel campo dell’ar- cana nel 310 a.C. Secondo Diodoro la po-

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polazione della metropoli punica era op- doro ha anche attinto al racconto del toro Urne votive del tofet di Sulky.
pressa dalla guerra e dalla pestilenza e i di Falaride, tiranno agrigentino, che era
cittadini di Cartagine attribuirono i loro solito liberarsi dei suoi nemici infilandoli
guai agli scarsi onori tributati nel passato in un toro bronzeo reso incandescente.
agli dei protettori della città. Scrive dun- Ad avvalorare la tesi del sacrificio
que Diodoro Siculo che i Cartaginesi, vo- umano contribuì nel 1862 lo scrittore Gu-
lendo rimediare alle manchevolezze per- stave Flaubert con una delle sue opere più
petrate verso gli dei e in particolare verso famose. Nel libro si narrano, con ricchez-
Cronos: «decretarono il sacrificio di due- za di particolari romantici e conturbanti,
cento fanciulli scelti nelle migliori fami- le avventurose e tristi vicende della figlia
glie. I cittadini, facendo a gara nell’offerta, di Amilcare Barka, Salammbô, grande sa-
raggiunsero il numero di trecento… Si cerdotessa della dea Tinnit. Annibale, fi-
trovava infatti presso (i Cartaginesi) una glio di Amilcare e fratello di Salammbô, è
statua di Cronos in bronzo, che protende- destinato al sacrificio del tofet assieme a
va le mani aperte così inclinate verso il molti altri giovani e viene salvato in modo
basso che il fanciullo là posto rotolava e fortunoso. Invece dell’impresa di Agatocle
precipitava in una voragine di fuoco…» fa da sfondo alla vicenda la guerra dei
(Diodoro Siculo, XX, 14, 4-5). Questo il mercenari contro Cartagine, avvenuta nel
racconto dello storico che dunque assi- 241 a.C., alla fine della prima guerra con-
mila il dio punico Baal Hammon al dio tro Roma. «I sacerdoti si protesero dall’al-
TUTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

greco Cronos. to della grande pietra circolare e un nuovo


Come è intuibile a Cartagine non è canto sorse a celebrare le gioie della mor-
mai esistito un tale mostro, mentre è pale- te e della rinascita nell’eternità. I fanciulli
se come lo storico si sia ispirato al mito di salivano lentamente e, poiché il fumo che
Thalos di Creta, statua di bronzo arroven- s’innalzava dal rogo formava alti vortici …
tata che abbracciava i naviganti appena parevano svanire entro una nube … Nes-
sbarcati e li uccideva. È evidente che Dio- suno di essi si muoveva, poiché erano le-

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I L T O F E T

gati ai polsi e alle caviglie, e il velo nero che derata una delle più antiche del luogo sa-
li avvolgeva impediva loro di vedere e alla cro: «Stele di una (bambina) offerta a
folla di riconoscerli. Amilcare, vestito d’un Baal». Il tofet era per l’appunto il luogo ove
manto rosso come i sacerdoti di Moloch, erano deposte tali offerte.
se ne stava ritto accanto al Baal, presso Anche nella Bibbia appare menziona-
l’alluce del suo piede destro…» (Gustave to più volte il termine MLK: nel Levitico,
Flaubert, Salammbô). Peggiore di un in- 18,21 si può leggere: «Nessuno della tua
cubo, fatta realtà sulla base dei timori nei discendenza lascerai passare a Molok, né
confronti del diverso, dello straniero, la profanerai il nome del tuo Dio: sono io il
statua dell’inesistente dio Molok troneg- Signore». Ancora nello stesso Levitico,
20,2-5: «Chiunque degli Israeliti, o degli
stranieri che dimorano tra quelli, darà al-
cuno di sua prole a Molok, deve essere uc-
ciso». Il termine MLK viene indicato con la
iniziale maiuscola perché è ritenuto il no-
me di una divinità. Dunque sembra chia-
ro che non si tratti di una divinità, bensì di
un rituale. Sempre nella Bibbia, accanto al
termine MLK compare il toponimo tofet:
nel Libro II Re, 23,10 si legge: «Dissacrò To-
fet che è nella valle di Ben-Ennom, accioc-
ché nessuno facesse più passare per il fuo-
co il proprio figlio o la propria figlia in ono-
re di Molok». Inoltre, in Geremia, 7,31-32 si
legge: «Costruiscono l’altare di Tofet nella
valle di Ben-Ennom per bruciarvi i figli e le
figlie loro nel fuoco». Si tratta dunque di
Urne votive del tofet di Sulky. gia in una Cartagine gotica in una imma- una località ben precisa e non di un luogo
gine che accompagnava la prima edizione di culto. In ogni caso, come si può ben ve-
di Salammbô, di Gustave Flaubert. L’anti- dere, in connessione con la parola tofet, la
semitismo neanche tanto latente che ap- Bibbia non fa mai cenno a uccisioni, ma
parentava i Cartaginesi agli Ebrei, entram- solo a passaggio per il fuoco o a combu-
bi Semiti, traspare dai lampioni a sei pun- stione.
te che appaiono nella illustrazione truce e Per avvalorare la tesi del sacrificio
crepuscolare. umano, nel tofet fu evocata l’offerta a Yah-
Infatti, il termine MLK che compare wé delle primizie, figli primogeniti com-
talvolta sulle stele del tofet di Cartagine e presi. Usanza questa tradizionalmente in
di altri santuari simili e che viene anche voga nella prima Israele, come illustrato
menzionato nella Bibbia, è stato interpre- dal tentato sacrificio di Isacco da parte di
tato come nome di una divinità, il dio Mo- Abramo. Tale consuetudine fu poi proibi-
lok. In realtà, si tratta di un termine il cui ta da Dio, ma secondo la Bibbia fu conser-
significato fondamentale è quello di «of- vata presso i popoli confinanti, Fenicia
frire». Sulla base di un cippo proveniente compresa. Tuttavia, nella Bibbia questa
dal tofet di Cartagine e databile nel VI se- pratica sacrificale non risulta mai in con-
colo a.C., appare infatti l’iscrizione, consi- nessione con i riti officiati nel tofet.

7 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
Le iscrizioni poiché, secondo gli assertori di tale teoria, Panoramica da sud-est
A rendere ancor più complicato il proble- costituiva la palese sostituzione di un del tofet di Sant’Antioco.
ma hanno contribuito non poco anche al- agnello a un uomo. Se invece, come è più
cune stele rinvenute in alcuni santuari probabile, il significato del termine MLK è
nordafricani di età tardo-punica oppure quello di «dono, offerta, dedica», il senso
ormai di piena età romana repubblicana, della frase muta radicalmente.
quale ad esempio quello di Costantina, in Attualmente, con il toponimo tofet,
Algeria. Infatti, nelle iscrizioni si può leg- divenuto ormai nome comune, si è soliti
gere: «Al Signore Baal Hammon e alla Si- indicare l’area sacra nella quale venivano
gnora Tinnit faccia di Baal MLK, DM ». In- effettuate le pratiche religiose connesse
terpretando il termine MLK non come «of- con i fanciulli morti.
ferta» ma come «sacrificio», per di più as- Nel 1921, la scoperta del santuario di
sociato al termine DM, il cui significato è Cartagine con le stele e le urne contenen-
«uomo», era spontaneo ritenere che l’iscri- ti le ossa bruciate di bambini fece gridare
zione facesse riferimento a un sacrificio il mondo scientifico alla scoperta del tofet.
umano. Il problema era reso ancor più In particolare il ritrovamento di una stele
complesso dalla presenza di una ulteriore raffigurante un personaggio incedente,
formula dedicatoria MLK, MR, nella quale verosimilmente un sacerdote che reca in
il termine MR ha il significato di «agnello». braccio un bambino, sembrò essere riso-
Il concetto espresso dalla formula poteva lutiva dell’annoso problema. Si sussegui-
ben essere «sacrificio di agnello», in con- rono gli studi, ma nessun ricercatore pose
trapposizione con il MLK, DM «sacrificio mai in discussione la veridicità del sacrifi-
di uomo». Quindi tale formula era stata in- co umano dei bambini tramandato da
terpretata a favore del sacrificio umano Diodoro Siculo e forse suggerito o lasciato

Nel 1921 la scoperta a Cartagine di ossa bruciate di bambini


fece gridare il mondo scientifico alla scoperta del tofet

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I L T O F E T

intuire dalla Bibbia. Negli anni ‘60 il semi- mento di una congerie di elementi biblici,
tista James Février, peraltro eccellente stu- classici e archeologici accostati tra di loro
dioso di linguistica semitica, si spinse ad- in modo assai discutibile e non del tutto ri-
dirittura a delineare il seguente quadro: «È goroso, logico e consequenziale. Comun-
notte! La scena sembra essere illuminata que il quadro offerto, pur truculento op-
solo dal fuoco acceso nella fossa sacra, il pure forse anche perché tale, ha certa-
tofet: più che la luce se ne vedono i rifles- mente solleticato la curiosità del grande
si. Ma la grande statua bronzea di Baal pubblico e ha ricevuto il consenso di buo-
Hammon, innalzata sul limitare del fosso na parte del mondo scientifico, in alcuni
casi ancora palese. È solo verso la prima
metà degli anni’80 che nascono i primi
dubbi sul quadro proposto. È in questo
periodo che si dà inizio alle prime analisi
osteologiche dei resti dei bambini rinve-
nuti a Cartagine e negli altri santuari. Que-
sti esami hanno portato alla scoperta che
in buona parte si trattava di ossa di feti,
dunque di bambini non nati. Inoltre nella
maggioranza dei casi gli altri resti ossei ri-
guardavano bambini deceduti entro i due
anni. In un solo caso si trattava di un fan-
sacro cui tende le mani, è illuminata dal ciullo di circa otto anni.
rosso delle fiamme. Di fronte alla statua… Quanto al supposto sacrificio non si
alcuni suonatori di flauto e di tamburo comprende bene perché i Fenici, pur con
fanno un frastuono assordante. Il padre e una mortalità infantile con percentuali
la madre sono presenti … consegnano il dell’ordine del 70% nel primo anno di vita,
figlio al sacerdote che cammina lungo la dovessero sacrificare alle divinità i loro pri-
fossa, sgozza il bambino in modo miste- mogeniti. Una tale pratica avrebbe porta-
rioso… poi depone la piccola vittima sulle to in breve tempo all’estinzione dell’intero
mani protese della statua divina dalle qua- popolo dei Fenici. Inoltre le scoperte ar-
li essa rotola nel rogo» (James B. Février, cheologiche, peraltro mai effettuate nel
Journal Asiatique, 1960). Non si tratta territorio della madrepatria e nella peniso-
dunque di un antico testo, ma in questo la iberica, non hanno avallato in alcun
modo lo studioso, per altro autore di studi modo quanto suggerito dalle antiche fon-
assai rigorosi, ricostruiva il rituale del tofet ti letterarie. Le antiche fonti classiche, pe-
dando per assodato che tale rito implicas- raltro, si sono rivelate ampiamente di par-
se l’uccisione di un bimbo. te e palesemente anti-cartaginesi. Infine le
Sulla base degli studi attuali, appare analisi chimiche e fisiche effettuate sulle
chiaro che le affermazioni di James B. Fé- ossa dei bambini non hanno fornito prove
vrier sono il frutto di un palese fraintendi- né favorevoli né contrarie all’esistenza del

Non è dato capire perché i Fenici con una mortalità infantile


del 70% dovessero sacrificare alle divinità i loro primogeniti

7 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
rito cruento. Comunque ancora oggi il mi- Secondo la versione più attendibile si trat-
to del sacrificio sanguinario resiste salda- tava di un santuario a cielo aperto dedica-
mente presso alcuni ambienti scientifici, to al dio Baal Hammon e alla dea Tinnit,
in alcuni casi per convinzione, in altri per racchiuso in un recinto in muratura, nel
motivi ideologici. Il grande pubblico inve- quale erano posti sul rogo e sepolti con ri-
ce sembra avere pochi dubbi al riguardo: il ti particolari i bambini nati morti o dece-
sacrificio umano esisteva ed era praticato duti prima del compimento dei due anni
solo dai Fenici e dai Cartaginesi. Inoltre, di età. Mentre i bambini deceduti per cau-
secondo costoro, il sacrificio umano era se naturali o per malattia erano rinviati al-
proprio come quello descritto da James B. le divinità che li avevano concessi, tutte le
Février. Tutto questo secondo il principio pratiche svolte da parte dei loro genitori
sempre valido che ogni nefandezza può nell’area del tofet erano tese alla conces-
essere stata commessa, purché a perpe- sione da parte degli dei di una nuova na-
trarla non siano stati i nostri amici o cono- scita. Il rogo avveniva all’interno dell’area
scenti, ma gli «altri». sacra, ma non sembra vi fossero luoghi
privilegiati o bracieri specificamente de-
Le fonti classiche stinati allo scopo: sul terreno veniva siste-
In realtà nessuno può negare che i Fenici mata una catasta di legna e su di questa
talvolta e in particolari situazioni di crisi veniva deposto il corpo del bambino. Una
abbiano praticato il sacrificio umano. Era volta acceso il fuoco si attendeva che le os-
un fatto considerato normale tra tutti i po- sa principali fossero calcinate e quindi si
poli dell’antichità, Romani compresi, i estinguevano le fiamme con acqua, per In queste pagine, amuleti
quali, ad esempio, ancora nella media età evitare che i resti venissero totalmente di- dal tofet di Sulky.
repubblicana seppellirono vive due cop- strutti. Si raccoglievano i poveri resti che si
pie di persone, una di Greci e una di Celti. deponevano all’interno di un recipiente
Ma senza supporti scientificamente validi fittile, in genere una pentola da cucina
è impossibile ritenere che questi eventi, nuova. Se la richiesta veniva esaudita, se
da considerare del tutto straordinari, fos- cioè un nuovo bambino veniva ad allieta-
sero consueti e reiterati nel tempo. Nessu- re la famiglia, i genitori erigevano nel luo-
no nega che anche a Cartagine avvenisse- go sacro una stele in pietra a ricordo della
ro sacrifici umani, ma questi non accade- grazia ricevuta.
vano secondo i tempi, i modi e le quantità Nello strato più profondo e dunque
suggeriti dalle antiche fonti classiche. Ad più antico dei tofet di Cartagine e di Sulky
esempio, si apprende dalle antiche figura- solitamente le urne contenenti le ossa
zioni che presso i popoli vicino-orientali combuste dei bambini erano deposte sul
era consuetudine che durante gli assedi, al fondo di fosse, talvolta foderate di ciottoli
fine di allontanare la minaccia, gli abitan- di spiaggia e ricoperte da una o più lastre
ti delle città aggredite usassero gettare dal- di pietra. Questa sistemazione delle urne
le mura un fanciullo, forse di stirpe regale. ricorda senza dubbio quella utilizzata in
Ciò era sufficiente per far allontanare gli alcuni casi per le tombe a incinerazione di
assalitori e distoglierli dai loro propositi, età fenicia, riservate agli adulti, note anche
poiché dimostrava loro che i difensori era- come «tombe a cista litica», in uso in alcu-
no pronti a tutto pur di allontanare il peri- ne necropoli fenicie di Occidente, ad
colo e di salvare le loro vite. esempio quelle di San Giorgio di Portoscu-
Ma, in definitiva, che cosa era il tofet? so e di Bitia, presso Domusdemaria in Sar-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 7 3
I L T O F E T

degna, e quella di Mozia nei pressi di Mar- ti. Si tratta di quelle forme, tra le quali gli
sala, in Sicilia. attingitoi, i piatti, le coppe, le lucerne, le
Per quel che riguarda le urne uti- brocche con orlo espanso, le anfore
lizzate come ossuari, si tratta e le pentole, che fanno parte del
molto spesso di pentole da cu- repertorio tipologico in uso
cina nuove. In epoca arcaica nelle necropoli di età fenicia e
erano usati anche contenito- punica. Non molto numero-
ri diversi, tra i quali i crateri, se né molto frequenti, nei
le pissidi o le brocche, che tofet compaiono anche le
nella vita quotidiana aveva- maschere. Oltre a queste vi
no anche altre funzioni. A sono anche protomi depo-
partire dal VI secolo a.C., a se- ste accanto alle urne, pro-
conda del santuario, vennero babilmente con funzione
impiegate sempre le stesse votiva e apotropaica.
forme: a Sulky e a Monte Sirai Le stele votive, che ve-
le pentole da cucina, a Thar- nivano deposte nei tofet
ros e a Mozia le brocche con col- per grazia ricevuta, compaio-
lo cordonato per l’acqua, a Cartagine le no a Cartagine dopo la fine del VII secolo
anfore senza collo, a Karal forme diverse a.C. I primi segnacoli per grazia ricevuta
tra di loro. All’interno delle urne spesso nel tofet di Cartagine sono rappresentati
vengono rinvenuti alcuni amuleti che nel- da pietre brute, mentre sono rari negli al-
le intenzioni dei loro genitori avrebbero tri santuari. Si tratta pertanto di una tipo-
dovuto proteggere i bambini dalle malat- logia di oggetti tipicamente cartaginese,
tie più diverse, dai guai o dal malocchio. giunta in Sardegna e in Sicilia al seguito
Gli amuleti venivano indossati e general- degli eserciti della metropoli africana, al-
mente appesi al collo dei bambini. Si trat- l’indomani della loro conquista e dunque
Urne votive dal sito ta tra l’altro di maschere sileniche, divini- non prima della seconda metà del VI seco-
archeologico di Sant’Antioco. tà barbute del pantheon fenicio, che non lo a.C. Con ogni probabilità si tratta dun-
compaiono nelle tombe degli individui que di un vero e proprio rito funebre nel
adulti. Non mancano le maschere apotro- quale sono inserite particolari valenze re-
paiche miniaturistiche e gli amuleti di al- ligiose, appunto perché rivolte verso bim-
tre tipologie, soprattutto egittizzanti. In bi mai nati o defunti poco dopo la nascita.
ogni caso ogni tipo di amuleto proteggeva Non è dunque un feroce e sanguinario ri-
da un male differente. Talvolta attorno al- to di olocausto, ma solo una pietosa prati-
le urne, e comunque sempre all’esterno ca rivolta verso i più deboli. I tofet sono da
del vaso contenitore delle ossa combuste, considerare delle particolari necropoli,
sono stati rinvenuti piccoli recipienti che delle quali hanno i caratteri, nettamente
riproducono in modo miniaturistico le separate da quelle degli adulti e nelle qua-
forme rituali e di accompagnamento che li la presenza del divino era costante e fon-
in genere erano associate ai defunti adul- damentale. Le motivazioni di questa sepa-

Le stele votive deposte nei tofet per grazia ricevuta compaiono


a Cartagine dopo la fine del VII secolo avanti Cristo

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razione sono da attribuire allo status dei
piccoli defunti. Questi infatti non apparte-
nevano ancora alla comunità, perché era-
no deceduti prima dell’iniziazione, cioè
prima di essere chiamati a partecipare al
rito d’ingresso nel consesso degli adulti,
equivalente al nostro battesimo o alla cir-
concisione presso il mondo ebraico e isla-
mico. Tale rito era probabilmente il «pas-
saggio per il fuoco» di biblica memoria,
ancora oggi praticato in alcuni luoghi del-
la Sardegna nella notte di San Giovanni.
Quindi le fiamme del rogo erano in ogni
caso la soglia attraverso cui i fanciulli feni-
ci dovevano passare, da vivi o da morti.

Testimonianze epigrafiche
Che questa ricostruzione sia attendibile Abdmelqart figlio di Annibale perché Sopra e nella pagina
ce lo suggeriscono sia gli aspetti archeo- hanno ascoltato la sua voce e lo hanno precedente, stele di Sulky.
logici che quelli epigrafici. Infatti le urne benedetto».
sono sempre molto più numerose delle Le uniche tracce superstiti di tali tofet,
stele e non sono mai state rinvenute col- poiché le aree sacre di questo tipo sono del
locate in relazione con questi monumen- tutto assenti in area libanese o iberica, so-
ti votivi. D’altra parte la formula pur ste- no situate nel settore del Mediterraneo
reotipa delle iscrizioni votive incise sulle centrale. I motivi di tale situazione non so-
stele si rivolge sempre alle divinità per la no facilmente spiegabili, anche perché si è
grazia ricevuta, circostanza questa che potuto constatare che non tutte queste
suggerisce un rituale svolto in due tempi aree sacre dedicate ai bambini defunti so-
distinti. Infatti tra le testimonianze epi- no state utilizzate all’atto della fondazione
grafiche lasciateci dalla civiltà fenicia e delle città delle quali fanno parte.
punica, quelle relative al tofet possono Il tema esposto è presentato in un vo-
essere considerate decisamente le più lume a cura di Sabatino Moscati, massimo
numerose: su circa 15.000 stele rinvenu- studioso della civiltà fenicia e punica: «Gli
te nei dieci santuari attualmente noti, ol- adoratori di Moloch. Indagine su un cele-
tre 6.000, ubicate soprattutto nel tofet di bre rito cartaginese», Milano 1991. Il libro
Cartagine, recano una iscrizione. Ma co- costituisce la prima e ancora oggi più che
me accennato in precedenza la formula valida indagine sistematica sulla questio-
utilizzata è per lo più stereotipa e ripetiti- ne del tofet dopo le ultime scoperte e si
va e, dunque, non fornisce molte infor- estende dalla storia degli studi alle fonti
mazioni sul rito praticato nei santuari, se orientali e classiche, all’archeologia, alla
non sui nomi dei dedicanti e talvolta sul natura e alle componenti sacre e profane
loro stato sociale. Il testo prevalente reci- del celebre rito.
ta come segue: «Alla Signora Tinnit faccia
di Baal e al Signore Baal Hammon ha de- Piero Bartoloni, Facoltà di Lettere e Filosofia, Uni-
dicato Magon figlio di Baalhannô figlio di versità di Sassari

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 7 5
L ’ E T À F E N I C I A

La terza vita di Tharros


la città depredata
Dopo gli scandalosi saccheggi che hanno distrutto la necropoli nell’800 e gli scavi
della metà del '900, il mitico centro torna a ospitare una costante attività di ricerca
C A R L A D E L VA I S

N
ESSUNA TRA LE CITTÀ FENICIE di Sar- ro della Marmora che, recatosi a Tharros
degna può vantare una così per ragioni di servizio, poté assistere al-
grande notorietà tra il vasto pub- l’apertura di alcune tombe da parte dei
blico come Tharros, grazie soprattutto ai soldati che presidiavano la torre spagno-
ricchi corredi delle sue necropoli oggi la posta a controllo della costa. La fama
esposti in numerosi musei italiani e stra- della città antica era tale che nell’aprile
nieri. Sono stati gli scavi condotti nell’Ot- del 1841 furono addirittura il re di Sarde-
tocento ad alimentare la fama di ricchez- gna Carlo Alberto e suo figlio Vittorio
za della città, quegli stessi scavi che, Emanuele a presenziare e partecipare di-
paradossalmente, hanno determinato il rettamente allo scavo di alcune tombe a
saccheggio delle aree funerarie e la di- camera puniche. I materiali recuperati in
spersione dei materiali. In nessuna delle quell’occasione furono imbarcati sul pi-
colonie fenicie di Sardegna si è svolta una roscafo reale e trasportati a Torino per ar-
stagione di scavi così lunga e tormentata, ricchire la collezione di antichità del so-
Un particolare dell’area che ha visto lo svolgersi di indagini da vrano. Bisogna attendere sino al 1850 per
archeologica di Tharros. parte dell’archeologia ufficiale ma so- assistere al primo scavo scientifico a
prattutto il susseguirsi di scavi clandesti- Tharros, eseguito dal fondatore dell’ar-
ni condotti senza alcuna regola o rispetto cheologia sarda, il canonico Giovanni
per i contesti antichi. Il continuo venire Spano. Lo studioso si trattenne nell’area
in luce di corredi sempre più ricchi, e so- alcuni giorni e poté indagare cinque
prattutto di gioielli in oro di mirabile fat- tombe puniche che vennero poi pubbli-
tura, ha alimentato per decenni, fino alla cate; il suo lavoro rappresenta a tutt’oggi
quasi totale distruzione dell’area, una una delle principali fonti documentarie
forsennata ricerca che ha anche contri- sulla necropoli tharrense. L’intervento ef-
JOHANNA HUBER / SIME / SIE

buito a creare nell’immaginario popolare fettuato nell’anno successivo dall’inglese


il mito di una città ricca e fiorente. Lord Vernon, il quale poté riportare in pa-
Già dagli anni immediatamente suc- tria il prezioso contenuto di oltre quat-
cessivi al 1830 le fonti antiquarie segnala- tordici tombe a camera inviolate, scatenò
no alcuni interventi di scavo, tra cui quel- una vera e propria caccia all’oro che vide
lo del generale piemontese Alberto Ferre- circa cinquecento uomini dei paesi vicini

7 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
L ’ E T À F E N I C I A

operare uno dei più grandi saccheggi mai cropoli, preceduti dalla realizzazione di
conosciuti dalla necropoli: per tre setti- un accurato rilievo topografico della pe-
mane, alla disperata ricerca di gioielli e nisola su cui sorgeva la città. Dalle brevi
suppellettili varie questi uomini, scavan- note pubblicate si coglie l’immagine di
do giorno e notte, depredarono più di una necropoli profondamente compro-
cento tombe, fino a quando non furono messa che ormai poco poteva dare a ul-
fermati da un decreto regio arrivato però teriori ricerche, tanto da sconsigliare la
dopo che lo scempio era stato compiuto. prosecuzione di ogni attività. Nella ne-
Non meno deleteria fu l’opera del- cropoli così cessarono gli interventi uffi-
l’allora direttore del Regio Museo di Ca- ciali, mentre scavi più o meno irregolari
gliari, Gaetano Cara, il quale, autore di continuarono ancora a lungo, sebbene

S. COPPA
L’area degli scavi di Tharros vista scavi nell’area funeraria tra il 1853 e il con risultati sempre meno eclatanti.
dal mare. 1856, curò sotto falso nome la vendita di Grazie a tali indagini pervennero al
una grossa collezione costituita da circa Museo di Cagliari abbondanti e ricchi
tremila manufatti punici e romani, recu- materiali di età punica e romana, ma si
perati nel corso delle sue ricerche rego- vennero a formare anche numerose col-
larmente finanziate dallo Stato. I mate- lezioni private; molte di queste furono
riali pervennero in parte al British Mu- poi acquisite dai musei sardi, sia quello
seum di Londra, dove ancora si trovano, e cagliaritano che il Museo G.A. Sanna di
in parte vennero battuti a un’asta pubbli- Sassari, mentre altri materiali andarono
ca e andarono poi dispersi. Tra il 1885 e il dispersi. Scorrendo la letteratura archeo-
1886 il regio ispettore agli scavi Filippo logica ottocentesca si coglie un fiorire
Nissardi compì due interventi nella ne- senza pari di studi sui materiali tharren-

Molti reperti sono stati venduti al British Museum di Londra,


altri sono stati battuti all’asta e se ne sono perse le tracce

7 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
si, studi che contribuirono non poco allo dell’allora soprintendente Gennaro Pe- L’area archeologica di Tharros,
AMP / E. TRAINITO

sviluppo dell’archeologia fenicio-punica sce. Egli, con fondi della Cassa per il Mez- Penisola del Sinis - Isola di Mal
nell’isola. Erano in particolare i ricchi zogiorno, decise di indagare non più la di Ventre.
gioielli in oro, gli amuleti, i sigilli confor- necropoli ormai irrimediabilmente com-
mati a scarabeo ad attirare l’attenzione promessa, ma l’abitato dove fino ad allo-
degli studiosi, ma anche le ceramiche, le ra erano stati condotti limitatissimi son-
terrecotte, le monete e i vetri. daggi. Con un numero rilevante di operai
tra il 1956 e il 1963, coadiuvato sul campo
Templi e tofet dall’allora ispettore della Soprintenden-
La stagione delle ricerche a Tharros ri- za Ferruccio Barreca, altra figura chiave
prese in grande stile solo alla metà del dell’archeologia sarda, mise in luce gran
Novecento, grazie alla volontà e all’opera parte delle emergenze monumentali og-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 7 9
L ’ E T À F E N I C I A

gi visibili. Indagò prima due edifici ter- ginese. Fu in quegli anni, infatti, che in
mali e il castellum aquae di età romana, il contrapposizione all’ipotesi tradizionale
grande tempio punico detto “delle semi- che postulava la pratica di sacrifici cruen-
colonne doriche”, il tempio cosiddetto a ti di bambini e infanti, fu proposta per il
pianta di tipo semitico, il “tempietto K”, santuario la funzione di area funeraria
un ampio settore dell’abitato, parte delle destinata ai feti e agli individui defunti
fortificazioni. A lui si deve anche la sco- per cause naturali prima della celebrazio-
perta, avvenuta nel 1963, del cosiddetto ne di rituali di passaggio che ne avrebbe-
“santuario dei fanciulli”, noto con il no- ro consentito l’ingresso nella comunità
me semitico di tofet, il tipico santuario degli adulti. Le analisi antropologiche e
cittadino di età fenicio-punica, posto, paleobotaniche condotte sui contenuti
unico caso in assoluto, sulle rovine di un delle urne consentirono di ricostruire al-
villaggio nuragico ormai abbandonato. Si cuni particolari del rito: la sua stagionali-
trattò di un’impresa epocale che è anco- tà, l’utilizzo di roghi all’aria aperta, l’età
ra ben viva nella memoria locale, soprat- prevalente dei cremati, oscillante fra 0/6
tutto grazie alla testimonianza dei nume- mesi e 5 anni, la frequente presenza di
rosi operai che parteciparono agli scavi, piccoli ovicaprini insieme ai resti umani.
alcuni dei quali, ormai anziani, ancora ri- Parte delle urne, datate fra il VII sec. a.C. e
cordano le vicende quotidiane di un’in- gli inizi del II, e delle stele del santuario
dagine che ha profondamente modifica- tharrense oggi si possono ammirare al
to l’assetto della regione. Museo Nazionale Archeologico di Caglia-
Agli inizi degli anni Settanta le ricer- ri e al Museo Civico di Cabras.
che ripresero nel tofet, a opera della mis- Gli scavi della missione congiunta,
sione congiunta dell’Istituto per la Civiltà una volta esaurita l’area del santuario,
fenicia e punica del CNR di Roma e della che vide anche un interessante appro-
Soprintendenza di Cagliari. Venne intera- fondimento dell’indagine nel villaggio
mente indagata l’area sacra e furono re- nuragico datato a fasi del Bronzo Medio
cuperate migliaia di urne cinerarie conte- (1600-1300 a.C.), si spostò nell’adiacente
nenti le ossa combuste di feti, bambini e zona artigianale di età punica (V-IV seco-
piccoli ovicaprini, e varie centinaia di ste- lo a.C.), destinata, in particolare, all’atti-
le votive in arenaria poste a memoria del vità metallurgica. I resti delle fornaci e le
rituale compiuto. Gli studi effettuati sui abbondanti scorie di lavorazione, che so-
resti del santuario hanno consentito di no state opportunamente analizzate con
acquisire dati di estrema rilevanza in rap- sistemi scientifici da studiosi del CNR di
porto all’acceso dibattito, svoltosi a parti- Roma, hanno rivelato la pratica di tecno-
re dagli anni Ottanta, sulla natura del san- logie assai avanzate per l’epoca in rap-
tuario tofet, attestato, come è noto, solo porto alla lavorazione dei minerali di fer-
in Nord Africa, in Sicilia e Sardegna, vale a ro. Il settore artigianale, probabilmente
dire nell’area più direttamente influenza- non più utilizzato dalla fine del IV sec.
ta e poi controllata dalla metropoli carta- a.C., fu intaccato nel III dall’impianto di

Gli studi nella zona artigianale di età punica hanno rivelato


la pratica di tecnologie metallurgiche molto avanzate

8 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
C. DEL VAIS

un muro realizzato con conci di riutiliz- Ottanta dall’Università di Cagliari. Le ri- Tombe puniche della necropoli
zo, in parte rivestiti con raffinati intonaci cerche sono riprese nel 2001 a opera del- di Capo S. Marco.
bianchi che in alcuni casi conservavano la missione congiunta dell’Università di
iscrizioni puniche incise; tra queste se ne Bologna e della Soprintendenza di Ca-
può segnalare una che ricorda un pelle- gliari, in collaborazione con l’Università
grinaggio a Cipro da parte di un perso- di Cagliari, con interventi nella necropo-
naggio di nome Yafi e un’altra che reca la li meridionale che si rinnovano annual-
doppia serie alfabetica. Il particolare mente.
contenuto delle stesse ha suggerito che i
blocchi in origine appartenessero a edi- La geografia del sito
cole o cappelle dell’area del tofet. Le indagini finora condotte hanno dun-
Quanto alla necropoli, nel 1981, qua- que consentito di mettere in luce ampi
si un secolo dopo le ultime indagini uffi- lembi di una città che si sviluppa sulle tre
ciali, sono riprese le ricerche a cura della alture poste all’estrema propaggine della
Soprintendenza Archeologica di Cagliari, Penisola del Sinis vale a dire, da sud a
con lo scavo di alcune tombe nella ne- nord, il Capo San Marco, dove si trova l’a-
cropoli meridionale e nell’altra area fu- rea funeraria meridionale, il colle di San
neraria tharrense sita a nord dell’abitato. Giovanni, sede del nucleo centrale dell’a-
Dell’anno successivo è un intervento ef- bitato punico-romano, e il colle di Murru
fettuato nella necropoli meridionale da Mannu (in lingua sarda “il grande muso”
parte della missione congiunta del CNR e per la sua particolare conformazione) che
della Soprintendenza di Cagliari, mentre ospita invece il villaggio nuragico, il tofet e
altre indagini sono state condotte nell’a- altre importanti strutture puniche e roma-
rea funeraria settentrionale negli anni ne; più a nord, in corrispondenza del mo-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 8 1
L ’ E T À F E N I C I A

L’area era abitata già in età protostorica, mentre i resti


fenici più antichi sono stati datati al VII secolo a.C.

derno villaggio di San Giovanni, si conser- tharrense di elementi materiali ricondu-


va in parte la necropoli settentrionale. cibili a tali contatti, in particolare negli
Benché gli scavi abbiano messo in luce so- importanti siti di Monti Prama, in territo-
lo una parte della città antica, i dati acqui- rio di Cabras, e di Cungiau ‘e Funtà, nei
siti consentono di delineare con una certa pressi dell’abitato di Nuraxinieddu (OR),
approssimazione la storia del sito. con attestazioni di anfore da trasporto fe-
L’antropizzazione dell’area risale al- nicie, suggerisce che questi fossero di na-
meno a età protostorica; i resti del villag- tura pacifica.
Di incerta localizzazione risulta an-
che il primo insediamento fenicio, le cui
strutture sono ipotizzate ora alle pendici
orientali della collina di San Giovanni, ora
sul Capo San Marco, ora a nord di Murru
Mannu, verso lo Stagno di Mistras. Le
tracce risalenti alle prime fasi si colgono
solo nell’ambito del tofet, le cui urne ci-
nerarie più arcaiche sono datate al VII
sec. a.C., e nelle necropoli, con le più an-
tiche deposizioni che si pongono nel-
l’ambito dello stesso secolo. Sia l’area fu-
neraria meridionale, posta sul Capo San
Marco, che quella settentrionale hanno
restituito deposizioni fenicie connotate
dalla pratica dell’incinerazione. Si tratta
per lo più di semplici fosse oblunghe sca-
Tempio punico cosiddetto gio di capanne di Murru Mannu, i nura- vate nel terreno e nel sottostante banco
“delle semicolonne doriche”. ghi Baboe Cabitza e di Sa Naedda, ubica- roccioso che a volte mostrano chiari se-
ti sul Capo San Marco, e i resti di un’altra gni dell’avvenuta incinerazione in sito del
struttura nuragica posta al di sotto della cadavere, mentre altre volte denunciano
torre spagnola eretta sul colle di San Gio- la pratica della deposizione secondaria
vanni documentano una frequentazione, dei resti ossei bruciati altrove e successi-
a partire dall’Età del Bronzo Medio e fino vamente raccolti sul fondo delle stesse in-
al Bronzo Finale-Prima Età del Ferro, che sieme ai materiali d’accompagno.
non può certo dirsi episodica. Le modali-
tà dell’incontro tra l’elemento indigeno e Sotto Cartagine
quello allogeno sono ancora incerte, e Nella seconda metà del VI sec. a.C., mo-
anche se le tracce archeologiche a Thar- mento di grandi cambiamenti non solo
ros non forniscono dati illuminanti in in Sardegna per il prevalere della politica
proposito, la presenza nell’hinterland espansionistica di Cartagine, Tharros

8 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
non sfugge alla conquista da parte della
città africana. A partire da questo mo-
mento si assiste alla monumentalizza-
zione dell’abitato, con la costruzione di
alcuni edifici sacri e dell’imponente cin-
ta fortificata che difende la città da possi-
bili attacchi da terra; il tofet, che viene ora
compreso all’interno dello spazio fortifi-
cato, continua la sua attività; a ovest del-
lo stesso si impianta, alla fine del V sec.
a.C., l’importante quartiere artigianale di
cui si è detto.
Tra gli edifici sacri va ricordato il co-
siddetto “tempio monolitico”, o “delle se-
micolonne doriche”, caratterizzato nella
sua fase più monumentale, fra IV e III sec.
a.C., da una piattaforma gradonata mo-
nolitica risparmiata nel banco di arena-
ria, decorata su tre lati da semicolonne
doriche a rilievo e da pilastri-lesene con
capitelli eolici. Al di sopra del basamento,
accessibile da est, doveva sorgere un’edi-
cola o un altare.
Le fortificazioni, sorte verosimil-
mente non molto tempo dopo la conqui-
sta cartaginese, dovevano essere costitui-
te, nel loro primo impianto, da una cinta
muraria realizzata con grandi conci
squadrati in arenaria. Tracce di tali mura,
che dovevano chiudere interamente la
città, sono state rintracciate sulla collina
di San Giovanni e a Murru Mannu. In
quest’ultima area, in particolare, il rifa-
scio realizzato in conci irregolari in basal-
to, due postierle e il fossato delimitato a
nord da un muro di controscarpa co- polcrale molto semplice, ospitavano degli Disegni del canonico Giovanni
struito con lo stesso materiale sono ri- inumati, deposti in posizione supina Spano relativi alle sue indagini
portati dalla critica alla successiva fase spesso con ricchi corredi. Provengono nella necropoli tharrense.
repubblicana (II sec. a.C.). proprio da queste tombe molti degli in-
Di età punica sono anche le tombe a numerevoli reperti che si trovano esposti
camera scavate nel banco roccioso di Ca- presso i maggiori musei sardi, italiani e
po San Marco e, più a nord, presso il vil- stranieri. Ugualmente numerose sono le
laggio di San Giovanni di Sinis. Costituite semplici fosse parallelepipede, coperte in
da un vano d’accesso generalmente dota- origine con lastroni in arenaria, scavate
to di una scalinata, e da una camera se- nella roccia e destinate probabilmente a

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 8 3
L ’ E T À F E N I C I A

connettere a un punto di attracco, che non


escludeva probabilmente l’uso di installa-
zioni mobili o deperibili.

Sotto Roma
A partire dalla conquista romana della
Sardegna (238 a.C.) si avvia quel processo
di profondo cambiamento che avrà com-
pimento solo in età imperiale. Ad età re-
pubblicana (II sec. a.C.) viene attribuita,
come detto, la risistemazione delle forti-
ficazioni di Murru Mannu così come l’e-
dificazione del cosiddetto “tempietto K”,
posto sull’altura di San Giovanni. Si tratta
di una piccola struttura rettangolare in
C. DEL VAIS
blocchi isodomi in arenaria, con una bre-
ve gradinata e due pilastri in facciata; ri-
portata a influenze italiche, essa conserva
tuttavia elementi di tipo punico, in parti-
Tombe puniche deposizioni singole. In antico la necropo- colare l’altare con modanatura del tipo a
della necropoli settentrionale. li doveva avere un aspetto assai diverso da “gola egizia”. Il reimpiego di due conci
quello attuale; ne sono prezioso indizio i con iscrizioni dedicatorie puniche ha
numerosi cippi funerari, oggi custoditi suggerito la fondata possibilità che nel-
presso il Museo Archeologico di Cagliari e l’area, prima dell’edificio tardo-repubbli-
il Museo Civico di Cabras, posti in origine cano, sorgesse un tempio punico.
a segnalare in superficie le sepolture in È però in età imperiale, dal I sec. d.C.,
un’area funeraria oggetto di particolare che la città subisce i maggiori mutamen-
cura e di una precisa organizzazione. ti. Viene effettuata una imponente risiste-
Quanto al porto, le coste della peniso- mazione urbanistica e attorno al II secolo
la sono state, negli anni, oggetto di indagi- d.C. le strade vengono dotate di una pavi-
ni subacquee e terrestri, tese alla sua indi- mentazione in basalto, con un sistema fo-
viduazione. Le prospezioni con il geora- gnario molto articolato che garantiva lo
dar condotte alla fine del secolo scorso e la smaltimento delle acque bianche. Vengo-
restituzione aerofotogrammetrica del no costruiti numerosi edifici pubblici
profilo peninsulare hanno consentito di monumentali, tra cui i tre impianti ter-
escludere la presenza di un porto sia nella mali, realizzati in opera laterizia, solo due
zona prospiciente il centro della città, alla dei quali interamente indagati. Essi erano
base della collina di San Giovanni, sia lun- dotati di spogliatoi, ambienti riscaldati
go il Capo San Marco, tanto a est quanto a artificialmente e altri in cui potevano far-
ovest, dove peraltro la natura scoscesa del si bagni freddi, in vari casi decorati con
litorale, le forti correnti e soprattutto il mosaici policromi. All’incrocio tra le due
vento dominante di maestrale non con- strade principali della città, il cardo maxi-
sentono un sicuro approdo. Al contrario, è mus e il decumanus, si trova una struttu-
nella zona a nord del tofet che si sono ri- ra definita dal suo scopritore castellum
conosciute tracce di strutture, forse da aquae, con pianta quasi quadrata, pilastri

8 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
C. DEL VAIS

delimitanti diverse navate, pareti prive di siva decadenza, dovuta anche alle incur- Il cosiddetto castellum aquae.
aperture verso l’esterno e tracce di malta sioni saracene, e di un lento spopola-
idraulica. Sulla base degli elementi strut- mento, sebbene la sede episcopale sia ri-
turali si è ipotizzato che si tratti di una sor- masta ancora a lungo nella città. È solo
ta di deposito idrico collegato all’acque- nell’XI secolo, precisamente nel 1071,
dotto, anch’esso di età imperiale, i cui ru- che questa viene trasferita a Oristano, de-
deri sono in parte visibili lungo la strada cretando, o meglio prendendo atto, della
moderna che conduce agli scavi. fine del centro antico.
Per quanto riguarda le aree funerarie, Attualmente l’area archeologica di
esse appaiono più estese rispetto al perio- Tharros, ubicata nel territorio comunale
do precedente; le necropoli puniche di Ca- di Cabras, è visitabile tutti i giorni, dalle
po San Marco e di San Giovanni vengono ore 9 alle 20. Il sito, gestito dalla coopera-
ancora frequentate, soprattutto nei primi tiva Penisola del Sinis, è inserito in un
secoli della conquista romana, ma in tutta contesto ambientale di grande sugge-
la fascia costiera orientale compresa tra il stione che fa parte dell’Area Marina Pro-
Capo e il villaggio di San Giovanni sono do- tetta Penisola del Sinis – Isola di Mal di
cumentate deposizioni funerarie. Ventre. I materiali archeologici più signi-
In età paleocristiana e altomedievale ficativi possono essere ammirati, oltre
i principali edifici romani, e in particola- che al Museo Nazionale Archeologico di
re le terme, subiscono importanti ristrut- Cagliari, al Museo G.A. Sanna di Sassari e
turazioni. Il continuo spoglio delle strut- all’Antiquarium Arborense di Oristano,
ture antiche, perpetrato per secoli per l’e- anche al Museo Civico di Cabras, ubicato
dificazione dei centri di Cabras e Orista- alla periferia del paese e aperto tutti i
no, ha notevolmente pregiudicato la ri- giorni dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 20.
costruzione di questa fase tarda della sto-
ria di Tharros. Sappiamo di una progres- Carla Del Vais, Università di Cagliari

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 8 5
L A D O M I N A Z I O N E R O M A N A

Una terra di mezzo


tra Cartagine e Roma
Le tracce dell’influenza latina si trovano ovunque nell’isola, dai raffinati mosaici
delle aree più urbanizzate al culto agrario di Demetra-Cerere nelle campagne
S I M O N E T TA A N G I O L I L L O

C
OSTITUITA IN PROVINCIA ROMANA insie- me e mosaici, ma l’esistenza di rapporti
me con la Corsica nel 227 a.C., la tra Romani e popolazioni indigene anche
Sardegna fu a lungo teatro di di- in queste zone è garantita da indizi pecu-
sordini e ribellioni delle popolazioni loca- liari della Sardegna, come il riuso costan-
li, soprattutto quelle delle zone più inter- te in età romana dei nuraghi con funzio-
ne. Al suo governo si alternarono molti ni cultuali – per lo più in rapporto a un
personaggi, diversi per carattere e dirittu- culto agrario dedicato a Demetra-Cerere
ra morale: accanto a figure come M. Emi- – o abitative o agricole, o il riutilizzo dei
lio Scauro, governatore nel 55 a.C., in se- villaggi nuragici come abitazioni, dei
guito condannato per corruzione, le fonti templi a pozzo con usi cultuali e civili, dei
ricordano personalità di indubbio rigore santuari e delle tombe dei giganti reim-
come Marco Porcio Catone o Caio Gracco. piegate con funzione funeraria. La pre-
Le rovine della città fenicia L’orografia dell’isola, con la pianura senza di manufatti di matrice romana è
di Nora. del Campidano inserita tra altopiani e capillare un po’ ovunque nell’isola; se poi
montagne non elevate ma aspre e impra- la percentuale di iscrizioni provenienti
ticabili, contribuì a dividere il territorio dall’interno è assai più bassa di quella
fra una parte urbanizzata e aperta ai nuo- della Romania e consiste per lo più di do-
vi impulsi culturali, comprendente le cumenti ufficiali, le parlate attuali del
aree pianeggianti, costiere e di facile ac- centro conservano ancora elementi della
cesso, la Romania, e una più interna e re- lingua dell’età di Plauto, a testimonianza
ECCETTO PAGINA 87: JOHANNA HUBER / SIME / SIE

sistente alla romanizzazione nella sua di una precoce diffusione del latino.
duplice accezione culturale e politico- La Sardegna si presenta, non solo nei
TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

amministrativa-militare, che le fonti epi- primi secoli della dominazione romana,


grafiche indicano con il nome di Barba- come una terra di mezzo nella quale con-
ria. Tale duplicità di situazioni è confer- vivono tradizioni secolari nuragiche e pu-
mata dalle carte di densità degli insedia- niche e cultura romana, interagendo e
menti, dalla preistoria fino ai giorni no- conferendo alle espressioni artistiche del-
stri. Nelle aree più interne e montuose so- l’isola una complessità unica nel Mediter-
no al momento quasi del tutto assenti tra- raneo. Pur con qualche semplificazione,
dizionali indicatori di romanità quali ter- gli scrittori antichi sembrano rendersi

8 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
L A D O M I N A Z I O N E R O M A N A

Teatro di Nora, in provincia conto di tale peculiarità e se Cicerone usa che di un tipo che durante la dominazio-
di Cagliari. il termine Afer come equivalente di Sar- ne cartaginese era presente solo nei tofet,
dus e indica l’Africa come ipsa parens illa e infine votivi anatomici, che rimandano
Sardiniae, Pausania attribuisce la prima piuttosto ad ambito centro-italico e dun-
colonizzazione dell’isola all’eroe libico que a rituali importati da Roma. Svariate
Sardus, entrambi evidenziando gli stretti sono le manifestazioni della vita della
rapporti della provincia con la cultura Sardegna nelle quali la matrice culturale
dell’Africa settentrionale nei vari periodi. punica continua ad avere un peso e una
visibilità notevoli, fino al medio impero.
Riti vecchi e nuovi Almeno fino a tutto il II sec. d.C. è usata la
Un altro dei fili che si intrecciano a for- lingua punica ed è attestata la magistra-
mare la cultura della Sardegna è quello tura punica dei sufeti, così come conti-
della più antica tradizione nuragica: ac- nuano culti, tipologie e iconografie carta-
canto alla continuità di vita dei monu- ginesi: nel I d.C. a Cagliari e Sulci, attuale
menti e dei siti, sia pure con destinazione Sant’Antioco, i pavimenti in cocciopesto
diversa da quella originaria, osserviamo sono decorati con simboli di Tanit e du-
talvolta anche continuità di riti. Così, nel rante l’impero modelli di tradizione pu-
tempio a pozzo di Cuccuru is Arrius, nel- nica sono riconoscibili nelle strutture
l’Oristanese, fino al I sec. a.C. fu praticato murarie, e forse anche nella produzione
un culto nel quale si offrivano lucerne, di particolari stele iconiche a carattere
secondo il rito nuragico, incensieri ker- funerario. Il peso di questa tradizione
nophoroi alla moda punica, stele puni- condiziona la ricezione della nuova cul-

8 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
tura dominante da parte delle popolazio- Plotius Silisonis f. Rufus, correttamente Anfiteatro romano a Cagliari.
ni, anche di quelle più urbanizzate: que- espresso nella forma canonica romana
sto fattore per esempio fa sì che la ritrat- dei tria nomina, esibendo orgogliosa-
tistica sia poco attestata in questa pro- mente la propria appartenenza al nuovo
vincia e, nella maggior parte dei casi, si ceto dominante e i suoi rapporti con la
tratta di produzione urbana di ambito uf- gens Plotia, mentre il patronimico Siliso
ficiale. Ma esistono significative eccezio- ne denuncia l’origine punica.
ni, quali la dedica di statue a persone, do- Anche nelle religioni praticate in Sar-
cumentata a Sulci da iscrizioni neo-puni- degna si ravvisa lo stesso carattere di
che del I sec. a.C., e la complessa e strana amalgama culturale che abbiamo fin qui
onomastica che troviamo talvolta nelle più volte individuato. Accanto al caso di
epigrafi, com’è il caso di Pullius Agbor, fi- Cuccuru is Arrius, dove distinguiamo le tre
glio di Mqr’, che nel proprio nome tradi- anime della cultura isolana, nuragica, pu-
sce l’origine punica e l’appartenenza alla nica e romana, possiamo ricordare un
società romana. Ancora a Cagliari il pro- tempio dedicato alla dea punica Elat a Sul-
prietario di una bottega inserisce nel mo- ci e quello al Sardus Pater Babai ad Antas,
saico pavimentale il proprio nome, M. nell’Iglesiente, entrambi sotto Marco Au-

Le religioni praticate confermano l’amalgama culturale dell’Isola


dove convivono tre anime: nuragica, punica e romana

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 8 9
L A D O M I N A Z I O N E R O M A N A

relio o Caracalla. Occupano poi un posto


centrale nella vita religiosa della provincia
quei culti che ne proseguono altri preesi-
stenti, la cui funzione non è venuta meno
pur nella mutata situazione politica. Al-
meno di tradizione punica, se non più an-
tica, e legato allo sfruttamento cerealicolo
dell’isola, è il culto a Demetra, sostituita in
età romana da Cerere; diffusissimo in tut-
to il territorio, trova una sede privilegiata
nei nuraghi disseminati nelle campagne
ed è caratterizzato dalla dedica di thymia-
teria ancora punici, soppiantati
alla fine del I sec. d.C. e per tutto
il II dalle Sardae Cereres, bustini
fittili di produzione locale e di
gusto popolare, che raffigurano
la dea con un polos decorato da
spighe di grano. Grande diffusio-
ne su tutto il territorio hanno i
culti salutiferi, additati da stipi di
età repubblicana che hanno re-
stituito votivi di diversa tipolo-
gia: si riconoscono modelli me-
Mosaico nella Casa dell'atrio dio-italici accanto ad altri di tradizione fe-
tetrastilo a Nora. A destra, nicio-punica, figurine plasmate a mano o
un dettaglio del mosaico. al tornio raffiguranti il malato che indica la
parte dolente del suo corpo. L’intrecciarsi
di tradizioni diverse, culturali artistiche e
religiose, con il conseguente formarsi di
un patrimonio ricco e complesso trova
un’altra significativa espressione nella
iscrizione trilingue, in punico, greco e lati-
no, da S. Nicolò Gerrei datata al II sec. a.C.
con dedica al dio guaritore Esculapio. In
alcuni casi, in età imperiale, il culto saluti-
fero acquista una diversa dimensione: nel
santuario del Sardus Pater ad Antas, tra le

Il culto di Demetra prima e di Cerere poi


è diffusissimo in tutto il territorio e trova
una sede privilegiata nei nuraghi

9 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I
L A D O M I N A Z I O N E R O M A N A

Villa di Tigellio a Cagliari. divinità venerate vi è Iuppiter Dolichenus, mo Ravennate e la Tabula Peutingeriana,
il dio che assicura all’imperatore il trionfo rispettivamente del VII secolo e di età
militare e politico e a tutti gli uomini quel- medievale, ma basate su itinerari di età
lo sul dolore fisico e che qui sostituisce il imperiale, forniscono un quadro genera-
punico Sid. Pur non essendo quella di An- le del reticolo stradale di età romana che
tas l’unica attestazione del culto a Giove, il ritrovamento di numerosi miliari per-
gli dei della triade capitolina sembrano mette di completare nei dettagli. Si può
aver goduto di una venerazione meno dif- ricostruire una rete che attraversava la
fusa rispetto a quelli, come Cerere o Escu- provincia in senso longitudinale, con al-
lapio, più vicini ai bisogni dei fedeli. Do- cuni tratti trasversali, e assicurava il col-
cumentati sono anche culti di origine egi- legamento tra i principali porti e le aree
zia e orientale: accanto al culto di Iside, interne; a essa si aggiungeva la rete flu-
quelli di Osiride-Apis, poco attestato nel viale. Come è naturale i centri abitati, per
resto dell’Italia, e di Sabazio. La Sardegna lo più sorti su precedenti città puniche, si
infine partecipa al culto all’imperatore in- dispongono nelle zone economicamente
sieme alle altre province, come documen- più favorevoli o lungo le grandi arterie di
tano le iscrizioni: a Bosa un cittadino illu- comunicazione. Così il fertile retroterra e
stre dedica a proprie spese quattro sta- la posizione naturale facevano di Karales
tuette in argento per Antonino Pio, Fausti- e di Turris Libisonis ottimi porti per l’im-
na, Marco Aurelio e Lucio Vero. barco di frumento, mentre le miniere del-
l’Iglesiente gravitavano sul porto di Sulci.
Il territorio e le città Olbia doveva costituire l’approdo più fa-
L’Itinerario Antoniniano, forse dell’età di cile lungo l’alta costiera orientale come
Caracalla, la Cosmographia dell’Anoni- dimostrano la probabile presenza di un

9 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
reparto della flotta del Miseno e il recen- to Traiano, un centro economico di scam- Architrave della Grotta
te rinvenimento nel porto di numerose bi. Capitale della provincia e sede del go- della vipera a Cagliari.
navi onerarie, dal I d.C. all’età medievale. vernatore era Karales, anche se non è da
Tutti gli altri centri sono situati sul trac- escludere che in un primo tempo lo fosse
ciato della rete viaria e di quella fluviale: Nora: infatti, la formula attestata dai mi-
Forum Traiani (Fordongianus), luogo liari offre come stazione di partenza della
d’incontro e di scambio tra l’economia strada, e quindi città più importante, No-
pastorale della Barbaria e quella agricola ra e non Karales. In base alla documenta-
dell’Oristanese, si trova proprio sulle rive zione di cui disponiamo, possiamo rico-
del fiume Tirso. struire per somme linee la storia e la fisio-
Com’è ancora adesso, la Sardegna nomia della città, sorta presso lo stagno
era scarsamente urbanizzata: accanto a di Santa Gilla, dove sono state messe in
Karales e Turris Libisonis, i due capolinea luce le tracce di un quartiere abitato dal-
della strada antesignana della attuale l’età fenicia al II sec. a.C., con la necropo-
Carlo Felice, municipio la prima e colonia li sul colle di Tuvixeddu. Tale quartiere fu
la seconda, si possono ricordare le colo- poi in parte abbandonato, in parte usato
nie di Uselis e Tharros e i municipi di No- per sepolture, mentre il centro urbano,
ra, Sulci, Bosa, Olbia, mentre Forum forse per l’impaludamento del porto, si
Traiani era, all’atto della costituzione sot- spostava nell’area intorno all’attuale

Anche allora la Sardegna era scarsamente urbanizzata e i centri


erano distribuiti sul tracciato delle reti viaria e fluviale

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 9 3
L A D O M I N A Z I O N E R O M A N A

piazza del Carmine. Qui era il foro, nelle l’anfiteatro era in parte scavato nella roc-
cui immediate vicinanze si addensavano cia, in parte costruito; numerosi ingressi
gli edifici pubblici, a carattere ammini- collegati da corridoi coperti garantivano
strativo, sacro e funzionale: il tabularium, un facile accesso alla cavea. Un corridoio
con funzioni di archivio e catasto, edifici anulare sotto le gradinate permetteva il
di culto e terme. Di particolare interesse è passaggio dagli ambienti di servizio all’a-
il santuario di via Malta, caratterizzato, rena, dove un sistema di fosse sotterranee
secondo la tradizione centro-italica, da ospitava i macchinari scenici. Una vasta
una cavea teatrale in asse con il tempio area verde, corrispondente all’attuale Or-
dedicato a Venere e Adone, come si evin- to Botanico, ricca di vasche, cisterne, ca-
ce dai numerosi ex voto. Ai bordi di que- nalizzazioni, ma anche sculture e fram-
sto nucleo si addensava una ricca area re- menti musivi, collegava l’anfiteatro ai
sidenziale frequentata almeno sino al IV quartieri di abitazione. All’esterno del
sec., nei quartieri di Stampace, lungo l’as- nucleo centrale si disponevano le necro-
se del corso Vittorio Emanuele, e di Mari- poli: quella occidentale, sul colle di Tuvi-
na. Testimoniano l’alto livello di Stampa- xeddu, conserva monumenti ipogeici
Qui sotto, da sinistra, ce le decorazioni presenti nelle case della con facciate architettoniche e colombari.
busti di Claudio e di Tiberio. cosiddetta Villa di Tigellio, riccamente or- Il più noto è l’ipogeo di Atilia Pomptilla
Nella pagina seguente, in alto, nate con stucchi, pitture e mosaici. Attivi- del II d.C., che si affacciava sulla strada in
ponte romano di Decimomannu, tà artigianali e commerciali sono attesta- uscita dalla città, con una facciata distila
in provincia di Cagliari; in basso, te nella zona orientale della città, non di ordine ionico; costruito come un tem-
statua romana a Cagliari. lontano dal porto. A monte della città, pio, aveva due camere funerarie e un pro-
nao, sulle cui pareti sono incisi dodici
epigrammi in latino e in greco. In essi il
vedovo Cassio Filippo, forse esiliato in
Sardegna per motivi politici, ricorda con
commosse parole il duplice sacrificio
compiuto dalla sposa, quando ella «figlia
dell’Urbe seguì fin qui le dolorose vicen-
de dello sfortunato marito» e quando ba-
rattò la propria vita per quella di Filippo.
Per quanto riguarda le altre necropoli, in
viale Regina Margherita erano le tombe
dei soldati della flotta del Miseno, mentre
in quella orientale, tra San Saturno e il
colle di Bonaria, si trovano anche ipogei
con affreschi a soggetto cristiano. Sicura-
mente extraurbano era il Tempio di Astar-
te Ericina situato sul Capo S. Elia. Notizie
sull’assetto della città sono fornite dagli
scavi della Villa di Tigellio e di Sant’Eula-
lia e permettono di ricostruire un im-
pianto ortogonale che tiene conto, asse-
condandola, della morfologia in declivio
del terreno.

9 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
Nora sorge su una penisola dal profilo ar- co: la prima, lungo la costa me-
ticolato, che offre possibilità di approdo ridionale, abitata dal VI a.C.,
su tutti i lati; la morfologia del terreno ha restò in uso in età repubbli-
impedito che l’impianto urbano assu- cana, ma destinata ai ceti
messe uno schema rigidamente ortogo- più umili della popolazione.
nale. Un primo nucleo è attraversato da Nella seconda, a nord-ovest
vie con andamento irregolare e sinuoso, del teatro, case con numerosi
mentre una seconda zona, più esterna, vani, un peristilio e portici
mostra una rete viaria tendente all’orto- che si affacciano sulla strada
gonalità: del primo fanno parte i quartie- permettono di riconoscere
ri di abitazione più antichi e il centro ci- un quartiere signorile del
vile e religioso, con il foro in una posizio- periodo repubblicano. Con
ne decentrata giustificata dalla vicinanza l’impero la zona più elegante
agli impianti portuali, il teatro, il così det- della città si sposta in un’area
to Tempio romano, e le Terme centrali. più esterna, a ovest: ne è un
Alla seconda appartengono le Terme a bell’esempio la Casa dell’a-
mare, un vasto edificio legato alle attività trio tetrastilo, in funzione
del porto, una basilica cristiana e una do- dalla fine del II al IV d.C.;
mus con terme private. Delle quattro aperta sulla città con un
strutture termali esistenti a Nora le più porticato, è articolata su
imponenti e meglio conservate sono le più livelli e si dispone at-
Terme centrali e le Terme a mare, nelle torno all’atrio dal quale ha
quali accanto agli ambienti tradizionali si preso il nome. Gli ambien-
trovano atri, peristili e vani di soggiorno ti residenziali destinati alla
caratteristici delle terme più complesse. vita privata e sociale del
Le più antiche aree destinate all’edilizia dominus si differen-
privata sono adiacenti al centro pubbli- ziano per una mag-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 9 5
L A D O M I N A Z I O N E R O M A N A

che ne rifornì prima Cartagine e poi Ro-


ma, può spiegare la presenza di ville e
piccoli abitati sparsi nell’entroterra, di
cui spesso rimangono solo ambienti ter-
mali e mosaici. A Villaspeciosa, lungo la
strada tra Karales e Sulci, una stazione di
sosta era associata a un piccolo edificio
termale, a un villaggio e, a partire dal IV
secolo avanzato, a una chiesa cristiana
con un mosaico di fattura africana, men-
tre a Settimo San Pietro, nell’entroterra
cagliaritano, solo un grandioso mosaico
testimonia, per il momento, la presenza
di un centro lungo la via che univa Kara-
les alla costa orientale.

La produzione artistica
È nel mosaico che la Sardegna offre una
maggiore vivacità e originalità. All’inizio
Qui sopra e nella pagina giore ampiezza e per la ricchezza dei mo- le forme più diffuse di pavimentazione
seguente, un ben conservato saici, nei quali si riconosce l’opera di sono costituite da cocciopesto con inser-
mosaico policromo paleocristiano maestranze africane. Nel cubicolo si tro- zione di tessere a formare motivi geome-
di Villaspeciosa, in provincia va anche l’unico mosaico figurato finora trici o simboli religiosi di tradizione pre-
di Cagliari. rinvenuto a Nora, un emblema con Ne- romana. A partire dal II sec. d.C. il patri-
reide su Tritone. monio musivo si presenta ricco e diver-
Sulla Punta de su Coloru, unita alla samente articolato nei vari centri di pro-
città da un ampio cardo, che doveva co- duzione, più precocemente legati alla
stituire una sorta di via sacra sormontata policromia e ai modelli delle province
da un arco, sorgeva un santuario extraur- africane quelli del meridione dell’isola,
bano. Era dedicato a una divinità saluta- più fedeli alla severa norma del mosaico
re, Eshmun/Esculapio, e presenta, come in bianco e nero di Roma quelli del nord.
il Tempio romano presso il teatro, carat- A Nora, accanto all’opera di una bottega
teri non romani: in entrambi i casi il tem- caratterizzata da un repertorio geometri-
pio, articolato su più livelli, si trova entro co in bianco, ocra e nero, si può ricono-
un peribolo che comprende altri vani e scere sia la presenza di maestranze afri-
ha la cella provvista di adyton, secondo cane che quella di un altro atelier locale
modelli africani e orientali. Nonostante formatosi al loro fianco e attivo anche a
la forma attuale del tempio di Esculapio Karales e a Sulci. Molto diversi appaiono
sia databile al IV sec. d.C., il culto risale i mosaici di Porto Torres, per i vincoli più
almeno al II a.C., periodo al quale si pos- stretti che legavano la colonia alla madre
sono datare gli ex-voto raffiguranti devo- patria: ne fanno fede due pavimenti a
ti in attesa della guarigione; in un caso un soggetto marino in bianco e nero, nella
serpente si avvolge strettamente attorno tradizione romano-ostiense, che presen-
al corpo, garanzia di un culto salutifero. tano rarità iconografiche, indizio di una
L’importanza del grano in Sardegna, bottega locale; ma nel corso del III seco-

9 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
lo anche Turris si apre al mosaico poli-
cromo di modello africano. Meno nota è
la produzione di Karales che però conta,
al momento, il maggior numero di mo-
saici figurati rinvenuti nell’isola: dagli
emblemata repubblicani con animali e
nature morte nella Casa degli Stucchi, a
mosaici con scene di caccia, con tiaso
marino, con Orfeo che incanta gli anima-
li al suono della lira, a un esemplare per-
duto con le fatiche di Ercole, tutti nell’a-
rea di Stampace.
Diverso è il quadro che si può trac-
ciare delle altre arti figurative. Molto po-
co si conserva della pittura, della quale
testimonianze ottocentesche e fram-
menti superstiti fanno intravedere l’ori-
ginaria ricchezza. Quanto alla scultura, la
vitalità, in piena età romana, di una tra-
dizione punica nella quale l’autorappre- un’immagine; ennesima rappresentazio-
sentazione non si esprimeva con ritratti ne dell’amalgama culturale che caratte-
fa sì che la Sardegna abbia sentito questa rizza la Sardegna dei primi secoli della
forma artistica come estranea e l’abbia dominazione romana.
accettata prevalentemente come stru-
mento di propaganda politica. Gli esem- Simonetta Angiolillo, Università di Cagliari
plari presenti hanno carattere ufficiale e
sono di importazione: al periodo repub- Bibliografia
blicano risale un bel ritratto di vecchio, S. Angiolillo, Mosaici Antichi in Italia. Sardinia,
forse un magistrato romano, mentre du- Roma 1981
rante l’impero i personaggi raffigurati so- S. Angiolillo, L’arte della Sardegna romana, Mila-
no per lo più della famiglia imperiale. no 1987
Nella restante scultura di uso cultuale, fu- S. Angiolillo, Sardinia, in E.C. Portale - S. Angiolil-
nerario e ornamentale, in marmo o in lo - C. Vismara, Le grandi isole del Mediterraneo
bronzo, si individuano, accanto a opere occidentale. Sicilia, Sardinia, Corsica, Roma 2005
sicuramente importate, altre di produ- A. Mastino, Le relazioni tra Africa e Sardegna in
zione locale. Tra queste gran parte della età romana: inventario preliminare, in L’Africa
scultura ornamentale e un numeroso Romana 2, 1984, pp.17-81
gruppo di stele funerarie in pietra locale A. Mastino, Storia della Sardegna antica, Nuoro
decorate da una raffigurazione molto 2005
sommaria del defunto, le così dette stele P. Meloni, La Sardegna romana, Sassari 19902
a specchio, nelle quali a una schematici- R.J. Rowland Jr., I ritrovamenti romani in Sarde-
tà e, spesso, rozzezza dell’esecuzione di gna, Roma 1981
tradizione non romana, si uniscono l’uso R. Zucca, I rapporti tra l’Africa e la Sardinia alla lu-
del latino per le iscrizioni e l’esigenza tut- ce dei documenti archeologici. Nota preliminare,
ta romana di ricordare il defunto con in L’Africa Romana 2, 1984, pp.93-104.

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 9 7
A R C H E O L O G I A N A V A L E

I favolosi relitti
di Olbia la cosmopolita
Dopo tre fortunate campagne di scavo proseguono i lavori di restauro sui reperti
di grande interesse storico e forte impatto visivo rinvenuti nel sottosuolo del porto
RUBENS D’ORIANO

IL
RINVENIMENTO DI 24 RELITTI di navi zione strategica affacciata sulle rotte del
antiche nel porto di Olbia è sen- Tirreno centrale, di fronte a Roma stessa,
z’altro uno dei più eclatanti ritro- Olbia è da sempre uno dei principali ap-
vamenti archeologici degli ultimi decenni prodi sardi, come ben sanno i milioni di
in Sardegna, che ha avuto infatti vasta eco turisti che negli ultimi trenta anni sono
anche ben al di là dei confini dell’isola, e transitati di qui per le loro vacanze estive.
uno dei principali nell’ambito dell’ar- Si tratta di un approdo di merci e perciò in
cheologia navale mediterranea assieme a primo luogo di uomini e delle loro culture
quelli della Borsa di Marsiglia e di Pisa-San nel loro millenario stratificarsi e confron-
Rossore. Prima di entrare in argomento è tarsi. Infatti l’area dell’abitato e il porto vi-
però necessario tracciare un breve excur- dero dapprima lo stanziarsi dei Fenici nel-
sus della storia della città per contestualiz- la seconda metà dell’VIII sec. a.C., all’alba
zare in senso storico e topografico i risul- del diffondersi della civiltà urbana nel Me-
tati dello scavo. diterraneo Occidentale. Verso il 630 a.C. il
Immagine virtuale Grazie alla straordinaria ricettività na- centro passò sotto il controllo dei Greci
del porto nel II sec. d.C. turale del suo golfo e alla eccezionale posi- della città di Focea, quale base strategica
alla volta del sud della Francia, ove costo-
ro fondarono di lì a poco la città di Massa-
lia (Marsiglia). A essi si deve il nome Olbìa,
cioè la “felice” appunto per la opportuna
posizione strategica e per le risorse locali,
V. GAVINI - SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA

come sale, pesce e prodotti agricoli.

Alti e bassi
Alla fine del VI sec. a.C. lo stanziamento
passò sotto il controllo di Cartagine assie-
me al resto della Sardegna, ma solo nella
nella seconda metà del IV sec. a.C. la me-
tropoli africana rafforzò la propria posi-
zione nel nord dell’isola in funzione anti-

9 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
CORTESIA AUTORE
romana fondando qui una colonia, che città, ora col nome di Civita, fu elevata al Sopra, il fasciame
cadrà nel 238 in mano di Roma, la nuova ruolo di capitale di uno dei quattro regni di una delle navi.
dominatrice del Mediterraneo. Mutarono nei quali era suddivisa in quel momento la Sotto, planimetria dello scavo
così i referenti politici ma non certo il ruo- Sardegna, il Giudicato di Gallura, del qua- con i relitti del V sec. d.C.
lo della città, eminentemente portuale, di le fu sovrano anche un Visconti di Pisa,
collettore delle merci d’esportazione quel “Giudice Nin gentil” della nota cita-
transmarina del nord Sardegna e di rice- zione dantesca. Ed è infatti grazie agli
zione e ridistribuzione verso l’entrotrerra
delle importazioni dapprima per lo più
italiche, poi anche galliche e iberiche, infi-
ne soprattutto africane, secondo la ben
nota evoluzione del trend economico del
Mediterraneo occidentale d’età romana.
Al periodo delle invasioni vandaliche nel V
G. PUGGIONI - SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA

sec. d.C. si ascrive, grazie proprio ai relitti


rinvenuti come ora vedremo, il definitivo
declino della città romana, che nell’Alto
Medioevo muterà addirittura il nome in
Fausania. L’area urbana, ora ridotta a un
piccolo nucleo abitato, ebbe però ancora
un qualche ruolo anche portuale anche se
molto ridotto rispetto al passato, come in-
dicano anche in questo caso i risultati del-
lo scavo del porto. Attorno al 1000 d.C. la

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 9 9
A R C H E O L O G I A N A V A L E

strettissimi rapporti di potere con quella riparati del Mediterraneo, non è possibile
potente repubblica marinara che ricevet- pensare a un evento meteorologico tanto
tero nuovo impulso i traffici marittimi di distruttivo da causare una simile catastro-
larga scala, come testimoniano ancora fe, anche perché le posizioni dei relitti in
una volta i relitti del porto dei quali final- tal caso risulterebbero casuali e non ordi-
mente passiamo a parlare nate. È quindi più logico pensare a una
Nel corso di tre campagne di scavo, ri- causa antropica, stanti anche tracce di
spettivamente nell’agosto del 1999, nel bruciatura osservabili su alcuni dei legni
maggio-novembre del 2000 e nel marzo- vicini alla linea di galleggiamento delle
dicembre del 2001, finanziate dall’ANAS e imbarcazioni, e questa causa antropica
dirette per la Soprintendenza Archeologi- dovette essere motivo di crisi per l’intera
ca di Sassari e Nuoro da R. D’Oriano ed E. città, dal momento che nessuno si preoc-
Riccardi, è stata effettuata l’indagine ar- cupò in seguito di rimuovere i relitti che,
cheologica dell’intero tracciato – 380 me- affondati in acqua bassa, compromette-
tri per 20 per 4 di profondità vano la funzionalità di ciò che era la stessa
media fino alla roccia – del ragione di vita della città: il porto. Del re-
tunnel che collega il porto di sto, che Olbia nel V sec. fosse in piena cri-
Olbia alle strade extraurba- si è testimoniato da rinvenimenti urbani.
ne. Oltra a una strabocchevo- Da qui a indicare nelle scorrerie dei
le massa di materiale mobile Vandali contro Corsica, Toscana, Sarde-
databile dall’VIII sec. a.C. al gna, Sicilia, Campania, Roma stessa, il
XVII sec. d.C., sono state rin- contesto storico dell’affondamento dei re-
venute 24 porzioni, da molto litti e del collasso della città di Olbia il pas-
grandi a molto piccole, delle so è breve.
parti dello scafo sottostanti la Nei secoli dell’Alto Medioevo, il porto
linea di galleggiamento di fu ancora utilizzato ma con navi di limita-
navi di quattro fasi cronolo- to pescaggio. Attorno al XII sec. venne rea-
giche. Due imbarcazioni so- lizzata una colmata di bonifica con terra,
E. TRAINITO

no navi onerarie di età nero- pietre e pali, affondando alla base di essa,
niano-vespasianea, anni 60- come d’uso, tre barche ormai in disarmo,
70 del I sec. d.C., affondate a databili tra fine IX e inizi XI sec. e adibite al
La prima fase degli scavi. causa di un’alluvione che ha anche causa- traffico locale nel golfo di Olbia, cariche di
to la rovina di un cantiere navale, il primo pietra o ciottoli per costituire la base e gli
mai rinvenuto finora. angoli della colmata stessa. Si raggiunse
Nella metà del V sec. d.C. si verificò un così un livello più profondo del fondale,
secondo disastro, che causò l’affonda- non occluso dal fango che i relitti romani
mento di almeno 11 navi onerarie, anche trattenevano elevandone la quota. L’esi-
di cospicue dimensioni, colate a picco al- genza era dettata dalla ripresa di traffici
la stessa profondità in acqua bassa, paral- marittimi di maggiore impegno e si collo-
lele fra di loro e ortogonalmente alla vici- ca non a caso nel momento culminante
na linea di costa, quindi quando erano or- dei rapporti politici con la Repubblica di
meggiate in porto, probabilmente lungo Pisa. Memoria di questa impegnativa ope-
pontili lignei dei quali si rinvengono di ra dovette persistere a lungo, se ancora al-
tanto in tanto i resti. l’inizio del ‘700 si legge in un documento
Nel golfo interno di Olbia, uno dei più degli archivi sabaudi che Olbia “era una

1 0 0 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
Lo scavo fotografa due momenti cruciali della storia, la fine
dell’Impero di Roma e l’avvento delle Repubbliche marinare

città delli Romani con un gran porto dalla S. Rossore a Pisa; notevoli sono anche le
parte di levante che fu colmato dalli Pisa- acquisizioni storiche non solo d’ambito
ni”. Altre tre piccole imbarcazioni del XI, locale o sardo, poiché lo scavo fornisce
XIV e XV secolo sono affondate, probabil- una “fotografia” di due degli eventi di svol-
mente per accidenti vari, presso l’appro- ta dell’evoluzione storica e culturale me-
do. Vanno infine citati gli ultimi cinque re- diterranea: la fine dell’Impero di Roma e la
litti, tre dei quali sono porzioni delle im- rivoluzione dei traffici marittimi all’av-
barcazioni del V sec. d.C. strappate via da- vento delle repubbliche marinare.
gli agenti atmosferici, mentre il quarto è Per l’asportazione dei relitti dal terre-
una piccola barca di appoggio sempre del no è stato usato il tradizionale sistema del-
V sec. e l’ultimo non ben databile fu lo smontaggio delle parti costitutive, e il
smembrato come legname da riuso pres-
so il cantiere navale citato all’inizio.

E.. GRIXONI / SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA


Un ricco bottino
Di primo livello sono altresì le acquisizio-
ni dello scavo riguardanti la tecnologia na-
vale: ad esempio l’inedito rinvenimento di
un cantiere navale, che oltre a utensili e at-
trezzature da carpentiere e da marinaio
già altrove testimoniate, restituisce per la
prima volta elementi di gru. Due alberi di
nave, lunghi 7,80 e 7,90 metri, per la prima
volta conservati in dimensioni tali da con-
sentirne uno studio funzionale (finora si loro ricovero in casse piene d’acqua in at- Alcune fasi dello scavo.
conoscevano due porzioni di lunghezza tesa del trattamento conservativo, che
inferiore al metro). Quattro aste di timoni tanti pregevoli risultati ha dato in passato,
lunghe poco più di 8 metri ognuna, finora tant’è che moltissimi dei relitti visibili og-
note solo dalle navi di Nemi e andate per- gi nei musei europei, o il cui restauro è an-
dute nel 1944 durante l’incendio del mu- dato a buon fine, sono stati asportati dallo
seo che le ospitava. Infine si sono trovate scavo nel medesimo modo: Pommerolle,
caratteristiche di passaggio tra la tecnica Kyrenia, Roskilde, Marsiglia-relitti arcaici,
costruttiva greco-romana e quella medie- Ma’agan Mikhael, Aveiro A, Mozia, eccete-
vale-moderna nei relitti di metà V sec. d.C. ra. Circa i relitti asportati interi dallo sca-
Come ben si vede, si tratta di uno sca- vo, o si è dovuto smontarli in seguito (Kin-
vo di primario livello non solo per il gigan- neret), o l’operazione non è andata a buon
tismo delle dimensioni e per la spettacola- fine (Grado), o non è andato a buon fine il
rità dei risultati materiali, parametri che trattamento proprio perché fatto sul relit-
trovano paragone solo nei rinvenimenti to intero – Vasa, Mary Rose, Iverdon – o
della Borsa di Marsiglia e della stazione di non se ne hanno notizie dopo svariati an-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 1 0 1
A R C H E O L O G I A N A V A L E

ni, come nei casi di Comacchio ed Ercola- Molto positivo è stato anche il risultato
no. Si è deciso di non adottare la recente delle recentissime prime prove di caratte-
formula dell’incapsulamento del relitto rizzazione fisico-meccanica e chimica do-
intero in guscio di vetroresina e simili, che po il trattamento, per le quali i reperti te-
dovrebbe costituire poi anche l’involucro stati danno reazioni del tutto simili a quel-
entro il quale operare il trattamento con- le del legno fresco, effettuate da Marco Fio-
servativo con impregnanti o simili, perché ravanti e Marco Togni del DISTAF dell’U-
i pur interessanti sviluppi sono ancora so- niversità di Firenze. A oggi è stato comple-
lo potenziali e tutti da verificare e dimo- tato il primo lotto di lavori di trattamento
strare. Infatti per nessuno dei relitti per i conservativo dei legni, che riguarda la me-
quali è stato perseguito questo sistema di tà di uno dei grandi relitti del V sec. d.C., è
asportazione dal terreno e successivo trat- stato avviato il secondo lotto, corrispon-
tamento in guscio (navi di Ercolano negli dente all’altra metà dello stesso relitto, ed
anni ‘80, Ravenna nel 1998, Pisa dal 1999) è stato finanziato il progetto complessivo
è possibile conoscere a oggi l’esito di que- di restauro degli altri quattro che si inten-
st’ultima operazione. de esporre al pubblico. Nell’attesa della
Anche in un recentissimo accurato ri- possibilità di renderli fruibili, si è procedu-
esame dello status quaestionis, posteriore to a un assemblaggio temporaneo e solo
allo scavo dei relitti olbiesi, si prende au- evocativo dei legni finora trattati del primo
torevolmente posizione con nettezza a fa- relitto affrontato. Esclusivamente al fine di
vore dello smontaggio in scavo. Problema dare conto del lavoro fatto e del suo proce-
ancora più spinoso dell’asportazione dal dere all’opinione pubblica locale – che
terreno è quello del trattamento conserva- tanto disagio ha subìto dallo scavo e che
tivo di un relitto, uno dei più scottanti del- molta aspettativa nutre sulla esposizione
l’intera materia del restauro di beni cultu- museale dei relitti – sono stati accostati vi-
rali. Per quelli di Olbia si è sperimentato sivamente i vari elementi, alcuni già da ora
un procedimento innovativo, uno svilup- nella posizione che avranno nell’assetto
po e perfezionamento del sistema a “im- definitivo, come la chiglia e alcune ordina-
pregnazione con amidi” e concomitante te, e altri appoggiati al pavimento della sa-
disidratazione controllata, che è meno co- la di deposito in proiezione piana. È quin-
stoso e lungo dell’impregnazione con gli- di tenendo presente tali cautele che va os-
cole polietilenico (PEG) che va per la mag- servata l’immagine che qui si presenta al-
giore e consente di ottenere, al contrario lo stesso titolo di testimonianza affatto
che col PEG, legno del tutto simile per preliminare e solo evocativa.
aspetto, caratteristiche fisiche, strutturali, La struttura museale che esporrà i re-
flessibilità al legno originario o – per dirla litti è stata progettata da Giovanni Macioc-
più efficacemente con le parole di Giovan- co alla fine degli anni ‘80 per esporre i re-
ni Gallo, lo studioso al quale si deve questa perti che illustrano la storia del territorio e
innovazione – “consente di avere vero le- della città antica di Olbia, e sorge sull’isola
gno e non altro come invece col PEG”. Peddona, proprio dirimpetto all’area dello

Per il restauro è stato sperimentato un metodo innovativo


che consente di mantenere le caratteristiche del legno

1 0 2 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
scavo dei relitti, che in antico chiudeva a tidiana, oltre a quelli necessari per giunge-
nord lo specchio d’acqua portuale roma- re all’esposizione dei relitti, non saranno
no. Questa ubicazione era stategica quindi mai coperti né dagli introiti diretti né dai
in antico e lo è tuttora, essendo ancora e servizi aggiuntivi, nemmeno se si riuscis-
sempre l’isola incardinata tra il centro sto- se a dirottarvi tutti i potenziali visitatori
rico dell’area urbana e i moli, che vedono che arrivano in Sardegna. Olbia è una cit-
in estate il transito di quattro milioni di tà a forte vocazione portuale, che para-
passeggeri. Si prevede l’esposizione di cin- dossalmente proprio nell’affievolirsi di
que dei relitti principali – tre del V sec. d.C. una rigida identità tradizionale locale ri-
e due medievali – un albero, un timone e trova finalmente la sua vera identità di
altri elementi significativi. Una volta rag- apertura e tolleranza, di cosmopolitismo.
giunto l’obiettivo di esporre i cinque relitti
principali, resterà il problema dell’esposi-
zione degli altri, alcuni dei quali non meno
notevoli per spettacolarità e per interesse
scientifico. L’ipotesi attualmente sul tap-
peto è la conversione in struttura museale
di un grande capannone dei primi del ‘900

E.. GRIXONI / SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA


che oggi ospita le 75 casse contenenti i re-
litti smontati. Anche in questo caso l’ubi-
cazione è strategica, poiché esso è sito nel
cuore della città, nella più grande area ver-
de dell’abitato, l’ex Artiglieria militare, che
sta per essere trasformata in parco urbano
che ospiterà, negli altri edifici che vi sorgo-
no, istituti universitari sul modello del
campus anglosassone.

La posta in gioco Le sue navi nel suo Museo, quindi, non so- Scavi sotto il manto stradale.
Non è certo questa la sede per parlare de- lo quale vanto di reperti che pochi con-
gli ingenti costi per completare i restauri e fronti hanno nel mondo, ma soprattutto
l’esposizione dei relitti di Olbia, che sono specchio, simbolo e orgoglio di una quasi
ben lungi dall’essere assicurati, tuttavia trimillenaria e ora ritrovata vocazione a
non ci può esimere da una breve riflessio- guardare verso lontani orizzonti geografi-
ne complessiva sul problema delle risorse ci, umani e culturali. La sua vera identità,
destinate ai beni culturali in Italia. Troppe la sua storica essenza. Tutto questo non
volte si cita la necessità che le strutture può essere monetizzato. Il gonfalone cit-
museali siano gestite in modo “moderno”, tadino sfoggia una nave antica che a vele
“manageriale”, “aziendale”, da chi ignora spiegate sfida il mare. Ora trova sostanza
che neppure le grandi istituzioni museali addirittura fattuale dal sottosuolo del por-
statunitensi, troppo frettolosamente in- to, e c’è da sperare che la coincidenza sia
vocate a modello, potrebbero sopravvive- di buon auspicio.
re senza il contributo di mecenati e fonda-
zioni benefiche. Anche per il Museo Ar- Rubens D’Oriano, Soprintendenza per i Beni
cheologico di Olbia i costi di gestione quo- Archeologici delle Province di Sassari e Nuoro

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 1 0 3
R O C C H E M E D I E V A L I

Tutti i castelli
dei quattro regni
Durante i cinque secoli più luminosi e densi di avvenimenti della storia dell’Isola
una moltitudine di manieri è servita a controllare le periferie e proteggere i confini
G I O VA N N I S E R R E L I

P
ERCORRENDO LE STRADE della Sarde- strum Callari, fatto costruire nel 1215 dal-
gna, soprattutto nei passi più im- la famiglia signorile dei Visconti contro la
portanti e dove, nella storia e fino ai capitale del Regno giudicale di Càlari, o
giorni nostri, avvenivano gli spostamenti ancora la casa-forte costruita nel 1415 da
più significativi di uomini e merci, capita Giovanni Civiller nel suo feudo di Villasòr
di vedere i ruderi di antichi manieri inerpi- nel Regno di Sardegna. Ecco perché è
cati in cima a ripide colline. Per lo più si sbagliato parlare di castelliere nella Sar-
tratta di castelli che ospitavano una decina degna, usando parametri geografici che
di armigeri con il loro castellano, in peren- nulla hanno a che fare con le realtà sta-
ne vigilanza sulle produzioni e sul lavoro tuali che, a loro tempo, commissionaro-
dei territori da loro controllati e sempre no la costruzione di queste imponenti
pronti a mobilitare gli uomini in armi dei strutture, utilizzandole per mettere in
villaggi vicini per la difesa del territorio. pratica la loro politica territoriale. Anche
Ma fare un quadro generale sulla di- dal punto di vista diacronico non bisogna
fesa statica in Sardegna nel Medioevo, sui dimenticare che, quando alcuni castelli
castelli costruiti nell’isola fra l’Alto Me- venivano costruiti, altri già avevano ces-
dioevo e il 1420 circa, è compito quasi sato la loro attività, perché magari era
impossibile. Non si può infatti prescinde- mutato il contesto istituzionale che ne
re dalla variegata realtà politica e dalle aveva reso necessaria l’erezione e conve-
entità istituzionali che animarono i cin- niente il mantenimento.
que secoli più luminosi e densi di avveni-
menti della storia sarda. Quali entità sta- L’età dei Juyghes
tuali fecero edificare castelli e fortezze, in Senza affrontare in questa sede le proble-
quale momento della loro vicenda stori- matiche delle maestranze che lavorarono
ca e per quali ragioni queste opere difen- alla costruzione dei castelli, dei modelli
sive vennero costruite? architettonici, dei finanziamenti per la
Esistono del resto evidenti differenze costruzione, dei materiali, delle preesi-
fra il castello di Goceano, eretto nei primi stenze, dei continui restauri e dei loro
tempi del Regno di Torres per una difesa cambi di destinazione d’uso, mi limiterò
di quello Stato medioevale sardo, e il Ca- qui a una sintesi sui castelli costruiti (o ri-

1 0 4 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
costruiti) nel Medioevo giudicale sardo, de Logu), la propria divisione amministra- Castello di Goceano
dunque fra l’XI secolo e la fine del Regno tivo-elettorale (curadorìas) e i propri con- a Burgos (Sassari).
di Arborèa nel 1420, tenendo sempre pre- fini incastellati. Infatti, quando per l’inter-
senti le entità istituzionali, gli Stati che vento di forze esterne gli equilibri fra i
ebbero bisogno di far costruire opere di quattro Stati medioevali si ruppero, l’esi-
difesa nel proprio territorio. genza primaria divenne quella della salva-
Con il distacco dall’Impero bizantino, guardia dei propri confini. Per questo mo-
anche a causa dell’imperversare dei mu- tivo i castelli dovevano ospitare solo pic-
sulmani nel Mediterraneo – che costrinse- cole guarnigioni di soldati per la vigilanza
ro gli abitanti delle città costiere sarde a statica dei confini statuali e per il coordi-
TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE

trasformare alcune strutture civili in ope- namento dell’organizzazione militare giu-


re di difesa, per esempio a Turris, Tharros, dicale. Non erano, in genere, castelli resi-
SALVO DIVERSA INDICAZIONE

Sulci, Nora, Carales – intorno al 900 d.C. si denziali, dove la corte o qualche alto di-
costituirono nell’isola quattro Stati sovra- gnitario aveva la residenza, ma rocche
ni (Torres, Càlari, Gallura e Arborèa), con i inaccessibili con la sola funzione di con-
propri re (in sardo Juyghes), il proprio ap- trollare i confini e le vie di comunicazione
parato burocratico, le proprie leggi (Cartas più importanti e, soprattutto, di rappre-
de Logu), il proprio Parlamento (Coronas sentare il potere centrale anche in perife-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 1 0 5
R O C C H E M E D I E V A L I

Nel cuore del regno


Ma se si trattava solo di castelli di confine,
come spiegare, allora, l’esistenza fin dal
principio del XIII secolo di un castello ad
Acquafredda presso Siliqua, lontano cioè
dai confini statuali e quasi nel cuore del
Regno di Càlari? Il castello di Acquafredda
esisteva almeno dal 1215, ma la sua cap-
pella, dedicata a Santa Barbara, è di certo
precedente e risale almeno al XII secolo; si
tratta forse della stessa struttura recente-
mente emersa nell’ultima campagna di
scavi. Siamo in presenza, verosimilmente,
di una costruzione difensiva bizantina, un
castrum sede di una guarnigione di limi-
tanei, contro i mauri esiliati nel Sulcis; la
postazione strategica, lungo la strada fra le
città romane di Càrales e Sulci (Sant’An-
tioco), e le eventuali strutture vennero ri-
utilizzate poi dai sovrani giudicali di Càla-
ELABORAZIONE DI F. C. CASULA

ri come rappresentazione visiva del loro


potere, quando, con la loro corte itineran-
te, abbandonarono la troppo esposta Cà-
rales prima di stabilire, nel XIII secolo, la
loro capitale a Santa Igia. Il castello di Ac-
quafredda, in cima a una inespugnabile
rocca, con la fine del Regno di Càlari
Castelli e fortezze ria, vigilando sul territorio circostante. (1258) entrò in possesso di Ugolino della
nel periodo dei giudicati. Anche in questo caso, però, le facili Gherardesca, che lo fece riedificare a guar-
generalizzazioni non ci devono far di- dia dei suoi possedimenti sardi; il conte di
menticare le particolarità e le vicende di- Donoratico fece costruire anche il castello
verse di ciascun castello. Il Regno giudi- di Gioiosaguardia e fondò la città di Villa di
cale di Càlari salvaguardò i suoi confini Chiesa (Iglesias), munita anch’essa di un
con la costruzione dei castelli Hullastre castello, detto di Salvaterra; si può notare
in agro di Lotzorài, de La Rosa a Gairo, di come la toponomastica di questi due ulti-
Osini, di Tissilo nel territorio di Ussassài, mi castelli sia inequivocabilmente legata
di Quirra, che successivamente divenne alla tradizione delle Chansons de Geste.
sede del Marchesato omonimo, e di Sas- Alla periferia di Cagliari, oggi è visibi-
sai presso Silius. Solo successivamente le il castello di San Michele, costruito nel
acquisì il castello di Sanluri. XIV secolo da Berengario Carròs al centro

Quando si ruppe l’equilibrio tra Torres, Càlari, Gallura e Arborèa


la salvaguardia del territorio divenne un’urgenza primaria

1 0 6 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
del suo feudo; ma in
origine si trattava pro-
babilmente di un ca-
strum per vigilare a
nord la nuova capitale
del Regno di Càlari,
Santa Igia. Fra i castelli
costruiti dalle grandi
famiglie signorili spic-
ca il Castel di Castro di
Cagliari, edificato nel 1215-17 dai Viscon- colo, i castelli di Osilo e forse di Figulinas. Castello di Marmilla
ti in contrapposizione alla capitale del Re- Per quanto riguarda i castelli del Re- a Las Plassas.
gno di Càlari e a difesa degli interessi dei gno di Torres, al centro del suo territorio si
mercanti pisani nel calaritano; questa cit- ergeva il castello di Ardara, roccaforte e
tadina fortificata divenne successiva- capitale dello Stato, fatto costruire poco
mente il nucleo catalizzatore dell’odierna dopo il 1015 dalla Juyghissa reggente
città di Cagliari, non a caso in lingua sar- Giorgia de Lacon-Gunale (che nel trono
da chiamata Casteddu (Castello). Ma l’e- sostituiva il fratello Gonnario-Comita,
sigenza di costruire delle fortificazioni ammalato di lebbra), in seguito all’abban-
non terminò con la fine del Regno di Cà- dono dell’antica capitale Turris. Ad Arda-
lari e la successiva realizzazione del Re- ra venne anche innalzata, come chiesa
gno catalano-aragonese di Sardegna; an- palatina, la bella cattedrale romanica inti-
che in questo periodo, seppure con altre tolata a Santa Maria del Regno. Da questo
finalità, venivano realizzate opere di dife- punto nevralgico veniva coordinata la pe-
sa, come la casa-forte di Villasor, fatta co- riferia dello Stato. Il confine orientale con
struire nel XV secolo dal feudatario della il Regno di Gallura era controllato dai ca-
villa, per difendere il suo feudo dalle bar- stelli di Monteacuto, Olomene in quel di
dane dei pastori della zona. Pattada e, presso Ittireddu, Montezuighe
Il territorio del Regno di Torres è quel- con il suo inconfondibile toponimo
lo che presenta forse la situazione più ar- (Monte del Juyghe, del re). I castelli di
ticolata dal punto di vista delle fortifica- Montiferru e Goceano avevano il compito
zioni. Infatti la rocca di Alghero e i castel- di vigilare sulla sicurezza dei confini con il
li di Bonnighinu presso Mara, di Bulzi, di Regno di Arborèa. Fatto costruire nella
Castelsardo, di Casteldoria nei pressi di prima metà del XII secolo, il bel castello di
Valledoria, di Chiaramonti, di Capula Goceano, oggi parzialmente conservato,
presso Bonnanaro, di Monteforte presso fu testimone delle drammatiche vicende
Porto Torres, di Monteleone, di Giave e che, alla fine del XII secolo, contrappose-
Rosso presso Perfugas, vennero costruiti ro Guglielmo-Salusio IV re di Càlari a Co-
dai Doria nei loro possedimenti a partire stantino II re di Torres; il primo fece asse-
dalla fine dell’XI secolo. Sono perciò delle diare il castello di Goceano e, espugnato-
fortificazioni signorili, come quelle fatte lo, catturò e violentò («turpiter dehone-
edificare dai Malaspina nelle due porzio- stavit») la regina Prunisinda. Passato sotto
ni della loro Signorìa: nel 1112 il castello le insegne del Regno di Arborèa, alla metà
di Serravalle con la sua splendida cappel- del XIV secolo il principe Mariano lo fece
la affrescata; successivamente, nel XIII se- riedificare e vi fondò Burgos, paesino an-

A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 1 0 7
R O C C H E M E D I E V A L I

a lungo fra i quattro Stati sovrani sardi del


Medioevo – ebbe un’alta concentrazione
di castelli statali posti a guardia dei pro-
pri confini. Forse perché era situato qua-
si a cuneo fra i due poli più importanti
della Sardegna altomedievale, quello lati-
no del nord e quello bizantino del sud,
nel momento di massima tensione con
gli altri tre Stati medievali sardi i suoi so-
vrani fecero costruire una serie di castel-
li posti a guardia dei suoi confini.
Il suo confine orientale era vigilato
Torre di San Pancrazio, Castello, cora esistente. Il castello di Goceano, fra il dal castello di Medusa presso Samugheo,
Cagliari. XIV e i primi del XV secolo, fu anche una di origine altomedioevale, quando i bi-
delle sedi preferite della famosa sovrana zantini fecero edificare i castra felicia con
Eleonora d’Arborèa. perno a Forum Traiani contro le popola-
Passando a un altro dei quattro Regni zioni barbaricine. Il confine settentrio-
giudicali sardi, il Regno di Gallura è quel- nale era invece guardato dai castelli di
lo per il quale più scarse sono le fonti e Barigadu a Sorradile, Neoneli e Serla
più complicate le vicende. Possiamo co- presso Norbello. Quando, nella seconda
munque dedurre che, probabilmente a metà del XIII secolo, il Regno di Arborèa
causa della guerra con il Regno di Torres, approfittò della fine del Regno di Torres
fra il misterioso re Baldo e Giorgia di Tor- per espandersi verso nord, entrarono in
res, nell’XI secolo vennero costruiti i ca- suo possesso anche i castelli di Montifer-
stelli di Balaiano o Baldu in agro di Luo- ru presso Cuglieri, di Goceano a Burgos e
gosanto, a nord, e di Ponte, presso Galtel- di Monteacuto in agro di Berchidda.
lì, a sud. Solo un secolo dopo, furono fat- Invece il confine meridionale dello
ti edificare altri castelli per vigilare il con- Stato arborense era originariamente vigi-
fine con i Regni di Càlari e di Torres; fu la lato dai castelli di Arcuentu (presso Gu-
volta di Longonsardo, presso l’attuale spini), di Sanluri, di Marmilla (Las Plas-
Santa Teresa di Gallura, di Orosei, Padu- sas), e in seconda linea da quelli di Baru-
laccio, in agro di Telti e Pedreso, vicino a mele nelle vicinanze di Ales, Senis e La-
Olbia. Infine il Castello de La Fava, pres- coni, quest’ultimo costruito nel 1053. Da
so Posada, proteggeva il Regno di Gallura notare che, dopo i funesti avvenimenti
dall’Ogliastra calaritana ma anche gli della fine del XII secolo, quando il bellico-
scali costieri; fu edificato intorno al XIII so re di Càlari Guglielmo-Salusio IV invase
secolo ed è tuttora visitabile. il confinante Regno di Arborèa, nel 1206
vennero ridefiniti i confini fra i due Stati e
Il più longevo il castello di Sanluri passò al Regno di Cà-
Il Regno di Arborèa – quello che visse più lari. Quello di Sanluri è, fra i castelli me-

L’insieme delle fortificazioni signorili è particolarmente


ricco nel territorio di Torres, a cominciare da Alghero

1 0 8 ■ D A R W I N Q U A D E R N I A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A
dievali sardi, l’unico ancora oggi abitabile;
edificato in pieno Campidano, al confine
fra i Regni di Càlari e Arborèa, lungo la via
di comunicazione più importante che
metteva (e tuttora mette) in comunicazio-
ne i due estremi dell’isola, da Cagliari a
Porto Torres, passò successivamente al
Regno di Sardegna e venne ricostruito nel
1355, in soli 27 giorni, nelle forme tuttora
ben conservate.
I sovrani di Arborèa furono, quindi,
successivamente costretti a far costruire
un nuovo castello per contrapporlo a San- arborensi. Il castello è, oggi, parzialmente Castello di Serravalle a Bosa.
luri nel controllo della più importante ar- conservato e, a Sardara, una sezione del
teria di comunicazione fra il sud e il cen- Museo Civico è dedicata al maniero.
tro-nord della Sardegna; venne allora eret- Con la completa realizzazione del
to il castello di Monreale presso Sardara, il Regno di Sardegna i castelli giudicali non
quale, non a caso, è assai diverso, come ebbero più il loro importante ruolo stra-
concezione, da quelli più antichi: è un ca- tegico e di presidio del territorio: la nuo-
stello residenziale, dove talvolta soggior- va situazione istituzionale non necessita-
narono la corte arborense e la stessa Eleo- va più di queste costruzioni tanto che es-
nora d’Arborèa. Nei periodi di guerra, nei se andarono lentamente in rovina.
silos del castello di Monreale, venivano
conservate le derrate granarie raccolte Giovanni Serreli, Istituto di Storia dell’Europa Me-
nelle pianure e nelle colline dei territori diterranea, Cnr-Cagliari

Bibliografia essenziale J.M. Poisson, Castelli medioevali di Sardegna: dati storici e dati archeo-
Aa.Vv., Castella arborensia, Oristano, 2001; logici, in «Archeologia Medioevale», XVI (1989), pp. 203-204;
R. Carta Raspi, Castelli medioevali di Sardegna, Cagliari, 1933; F. Segni Pulvirenti e G. Spiga, Fortificazioni giudicali e regnicole in Sar-
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Pracchi e A. Terrosu-Asole, Roma, 1980, pp. 109-113 e tav. 40; Corona d’Aragona», Sassari-Alghero 19-24 maggio 1990, vol. II, tomo II,
F.C. Casula, La Sardegna aragonese, Sassari, 1990; pp. 811-816;
F.C. Casula, La Terza via della Storia. Il caso Italia, Pisa, 1997. G. Serreli, Las Plassas. Le origini e la storia, Serramanna, 2000;
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degna, Oristano, 2003. catalani», Dolianova, 2003, pp. 11-15;
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A R C H E O L O G I A I N S A R D E G N A D A R W I N Q U A D E R N I ■ 1 0 9
P R E S I D I S P A G N O L I

Una miriade di torri costiere


alla frontiera fra Cristianità e Islam
Le fortezze costruite a più riprese tra il XVI e il XVII secolo testimoniano l’evoluzione
della strategia militare della Corona e l’emergenza determinata dalle incursioni dal mare
MARIA GRAZIA MELE
JOHANNA HUBER / SIME / SIE
P R E S I D I S P A G N O L I

A
L BAGNANTE UN POCO DISTRATTO che
rivolga un attimo lo sguardo in
lontananza accade spesso di
soffermarsi a osservare il profilo di uno
dei tanti promontori che caratterizzano
le nostre coste, sormontato da un’antica
torre spesso diroccata: alcuni avranno vi-
sitato quelle di più grandi dimensioni op-
pure altre più piccole che hanno avuto la
fortuna di essere state oggetto di recenti
restauri. Il turista un po’ più curioso che
visiterà la città punico-romana di Thar-
ros forse ricorderà di aver letto che lo stu-
dioso Alberto della Marmora trascorse
qualche giorno nella torre di San Giovan-
ni di Sinis, a nord di Oristano; altri anco-
ra, infine, avendo scelto le splendide
spiagge di Villasimius, potranno visitare
la Fortezza Vecchia e leggerne i pannelli
esplicativi. Chi giunge in Sardegna dalla
Sicilia, dalla Campania o dall’area iberica
forse non ci farà caso più di tanto visto
che le torri costiere, simili alle nostre, ci
sono anche da loro. A che periodo risal-
Torre di Porto Giunco, gono, da chi furono costruite e quali fu-
area marina protetta rono i motivi che spinsero alla loro realiz-
di Capo Carbonara, Villasimius. zazione? Il fatto che si ritrovino puntual-
In apertura, la torre di Isola mente su quasi tutti i promontori delle
Rossa. coste sarde indica chiaramente che si
tratta di torri di avvistamento per un pe-
ricolo che giungeva dal mare; la recipro- prese di Pedro Navarro: Peñon de Vélez
ca visibilità indica, inoltre, che facevano de la Goméra (1508), Orán (1509), Bugía
parte di un sistema difensivo. (1510) e Tripoli (1510), alle quali si deve
Ma torniamo indietro nel tempo. La aggiungere la sovranità indiretta, me-
frontiera tra Cristianità e Islam nei primi diante rapporto di vassallaggio, su Tre-
decenni del secolo XVI aveva subito no- mecén (riconquistata da Carlo V nel
tevoli mutamenti rispetto ai secoli prece- 1518), Algeri e Tunisi (1510).
denti. All’indomani della caduta del re-
gno di Granada (1492), con la quale i Re Conquiste a rischio
Cattolici completavano la conquista del- Tuttavia, le enclaves cristiane in Nord
la penisola iberica, i limiti della frontiera Africa, non sostenute da una conquista
varcavano il mare giungendo in terra del territorio circostante, costituivano so-
nordafricana. Alla sovranità diretta su lo dei presidi di una frontiera terrestre
Melilla (1497) e a quella su Mazalquivir molto deboli perché privi di autonomia,
(1505) e Caçaça (1506) seguirono le im- la cui sopravvivenza dipendeva dagli ap-

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provvigionamenti provenienti dalla Peni- Com’era prevedibile, la reazione all’e-
TUTTE LE IMMAGINI: CORTESIA AUTORE
SALVO DIVERSA INDICAZIONE

sola. Di fatto non fu mai avviata una vera spansione fu immediata e per gli Spagno-
e propria strategia espansionistica, anche li non fu semplice difendere quegli avam-
come impegno militare, ma si cercò di posti di frontiera dagli attacchi turco-
consolidare le conquiste con il minor di- barbareschi. Lungo le coste dell’Africa
spendio possibile. La Corona era coscien- settentrionale, infatti, si erano formate
te dell’importanza di tale espansione per alcune città-stato, satelliti della Sublime
rafforzare la presenza iberica e avviò nel Porta, in un primo momento governate
primo periodo alcuni tentativi di ripopo- da funzionari ottomani e poi sempre più
lamento. Nonostante ciò, seguendo le autonome. Il Mediterraneo divenne il
modalità della cosiddetta «occupazione teatro di scontri e di reciproche azioni di
ristretta», la conquista delle enclaves co- pirateria che si accentuarono nel corso
stiere nordafricane non fu accompagnata del secolo XVI.
da progetti di penetrazione e controllo Se focalizziamo l’interesse sul Regno
dell’interno del territorio. di Sardegna, fu Cabras, una villa situata a

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nord-ovest di Oristano, «quia prope mare teggere il porto. Tutti quanti, lo stesso
sita est», a subire le incursioni dei pirati luogotenente, i consiglieri di Oristano, gli
turco-barbareschi. Fu per questo che i ufficiali dei Campidani e i vassalli delle
suoi abitanti nel 1514 ottennero da Ferdi- encontradas o distretti di Parte Ocier,
nando II l’esenzione dai tributi per dieci Sorgono e Meana, all’interno dell’isola,
anni. Quattro anni più tardi, Carlo V con- avevano l’obbligo di contribuire alla dife-
fermò il privilegio, dopo aver provveduto sa di quella costa.
a tutelare la città e la costa, preoccupan-
dosi di nominare Giovanni de Cardona Cambia lo scenario
podestà e capitano della città e dei Cam- Con l’imperatore Carlo V la questione
Nella pagina seguente, pidani di Oristano con le seguenti moti- nordafricana non fu secondaria ma conti-
la torre di Stintino. vazioni nella carta di nomina: «poiché da nuò a mantenere un continuo legame con
un quadro più generale di politica inter-
nazionale. In una situazione completa-
mente mutata per la comparsa, la crescita
e l’espansione dell’Impero ottomano, che
ebbe nel corsaro Barbarossa la sua massi-
ma espressione, la politica mediterranea
di Carlo V assunse a tratti un carattere pre-
valentemente difensivo, nel quale si inse-
rirono campagne militari sicuramente più
enfatizzate, con una concentrazione di
forze strepitosa, ma dai pochi frutti.
La particolare situazione vissuta nel-
le piazzeforti spagnole nel Nord Africa
evidenziava un progressivo stato di de-
bolezza che ne avrebbe comportato la
perdita, come già aveva previsto Ferdi-
nando II. La loro mancata autonomia, la
continua necessità di approvvigiona-
La “Fortezza Vecchia”, alcuni anni i Turchi e i Mori con le loro menti dall’esterno e comunque il rarefar-
area marina protetta imbarcazioni armate giungono nei mari si delle attività economiche per città che
di Capo Carbonara, Villasimius. del detto Regno (di Sardegna) per sac- avevano conosciuto tempi migliori, e che
cheggiare e catturare i loro abitanti, come erano punto di sbocco del commercio
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del resto hanno già fatto…». transahariano, furono elementi che si ac-
L’incarico prevedeva quindi la tutela centuarono sempre più durante gli anni
della città e del territorio circostante, sof- di regno di Carlo V. Sedi urbane come Bu-
fermandosi in modo particolare sui turni gia e Orán, per esempio, avrebbero potu-
di guardia che si dovevano effettuare lun- to costituire un valido strumento per
go le coste per avvistare il nemico e pro- contrastare l’ascesa commerciale di Al-

In seguito alla comparsa e all’espansione dell’Impero ottomano


la politica mediterranea di Carlo V accentuò il carattere difensivo

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Torre di Porto Giunco geri e quindi indebolire in un certo qual ta degli abitanti delle coste. Nel 1531 l’im-
e Isola dei Cavoli, vedute modo la forza dell’azione corsara, che peratrice Isabella di Portogallo, moglie di
dalla spiaggia di Timi Ama, aveva in quella città la sua base più im- Carlo V, ricevette dal corregidor di Mala-
area marina protetta di Capo portante. Ma quando Carlo V lasciò il tro- ga una bella e lunga lettera, che riporta
Carbonara, Villasimius. no, nel 1556, la perdita di Bugía, Tripoli, un quadro generale sulla situazione di
Tremecén e Algeri non era stata bilancia- frontiera delle coste iberiche: «Toda esta
ta con altre conquiste. I grandi problemi mar de Valençia a Cádiç anda llena de na-
per i soldati che risiedevano nei presidi víos de ynfieles, no se puede navegar por
del Nord Africa, perennemente condizio- ella sin muy gran peligro». Una situazio-
nati da una lotta per la sopravvivenza, ne di insicurezza che si viveva continua-
non erano tanto o solo i Moros y Turcos, mente in tutte le coste dei regni mediter-
ma la scarsità di viveri e di munizioni. Co- ranei della Corona di Spagna e che impe-
sì si esprimerà alla fine degli anni Venti del diva il normale svolgimento delle attività
Cinquecento il corregidor di Málaga, rife- economiche, anzi colpiva proprio le zone
rendosi alla guarnigione di stanza nella costiere in cui queste avevano sede.
piazzaforte di Orán: «tenían mas temor Le incursioni avevano una frequenza
de hambre y de trigo que de Barbarroxa». tale che ormai nessuno «osa salir en bar-
Al di qua del Mediterraneo il perenne co a pescar, ni los labradores ni trabaja-
stato di emergenza determinato dalle in- dores de los lugares de la costa osan salir
cursioni barbaresche condizionava la vi- a sus haziendas, ni estar en sus casas».

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Gonzalo Ronquillo, autore della lettera, ne condizioni, non erano più in grado di
proponeva come soluzione la costosa reggere la forza d’urto dell’artiglieria ne-
possibilità di armare sei galere e altre pic- mica. L’impegno più urgente fu quello di
cole imbarcazioni. Le parole del corregi- rinforzare le piazzeforti sarde secondo le
dor riflettono l’urgenza di rimediare a nuove esigenze belliche, ma non tutte le
una situazione difficilmente gestibile, città del regno ebbero la fortuna di essere
per la quale deve ammettere in maniera comprese nel piano di difesa. La Corona
disarmante l’inadeguatezza di forze e decise di concentrare la maggior parte
mezzi a sua disposizione: «No ay noche
que no vengan a mi avisos y guardas de
costa a dezirme “aculla apareçió una fu-
sta”, “aculla aparesçieron dos”, y cada día
tengo mensajeros de los lugares de la co-
sta del damno que padeçen y esperan,
como si mi sombra les pudiese dar algún
remedio, la qual es tan pequeña que no
me pasa de los pies».
Una situazione di estrema emergen-
za che costrinse la Corona di Spagna a
prendere provvedimenti, trovando solu-
zioni differenti per ciascun regno.
Avamposto naturale contro la Barbe-
ria e crocevia obbligatorio delle principa-
li rotte tirreniche che collegavano la pe-
nisola iberica con i regni di Napoli e di Si-
cilia, il regno di Sardegna mantenne il delle finanze per la sicurezza delle città di La torre nei pressi dell’ex cava
ruolo di retroguardia fintanto che una so- Cagliari e di Alghero, a sud e a nord dell’I- di Granito "Usai", area marina
lida catena di piazzeforti nordafricane sola, affinché si scongiurasse il pericolo di protetta di Capo Carbonara,
consentì di sorvegliare con una certa effi- perdere il regno, il cui valore risiedeva so- Villasimius.
cacia la frontiera mediterranea. Tutte le prattutto nella sua posizione strategica di
coste del regno erano a rischio di invasio- crocevia e di base d’appoggio per le varie
ne, ma la perenne scarsità di fondi e gli attività del Mediterraneo, belliche o com-
interessi legati agli appaltatori delle di- merciali. Il golfo di Cagliari fu il punto di
verse attività economiche della zona incontro della flotta che andava a ricon-
condizionavano le scelte della Corona. quistare Tunisi nel 1535, Alghero lo fu per
la sfortunata spedizione di Algeri nel 1541.
Arrivano i rinforzi Fu l’ingegnere cremonese Rocco Ca-
Con i progressi tecnologici segnati dalla pellino a progettare i lavori di adegua-
balistica, le vecchie mura medioevali, an- mento delle piazzeforti sarde negli anni
che ammesso che fossero ancora in buo- Cinquanta del XVI secolo, anche se alcuni

L’emergenza divenne estrema e la Corona fu costretta a prendere


provvedimenti per proteggere l’Isola e il suo ruolo di crocevia

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Torre di San Luigi, lavori rimasero solo sulla carta per scarsi- Tirso fu costruito un grosso torrione; nel
Isola di Serpentara, area marina tà di finanziamenti. Rocco Capellino pro- frattempo, gran parte delle risorse del
protetta di Capo Carbonara, gettò infatti per la città di Oristano nuove suo territorio venivano convogliate a so-
Villasimius. mura munite di bastioni poligonali, ma si stegno della difesa di Cagliari, capitale
diede priorità alla tutela delle attività pro- del regno. L’adattamento delle fortifica-
duttive e commerciali. Appare indicativa zioni sarde fu infine affidato all’ingegne-
la richiesta da parte del rappresentante re Giorgio Palearo «Fratino», che nel 1578
parlamentare della città di Oristano di lasciò l’isola per dedicarsi all’adegua-
rendere navigabile la foce del fiume Tirso, mento delle fortificazioni di Maiorca.
liberandola dalle sabbie che nel tempo si
erano depositate, impedendo ai galeoni di Il conflitto si attenua
trovare sicuro riparo dagli attacchi dei Con il passare del tempo, quindi, mano a
Mori e dei Turchi senza che però si dan- mano che si perdevano le piazzeforti
neggiasse la peschiera regia. Richiesta alla maghrebine, la Sardegna si ritrovava in
quale il sovrano accordò il suo consenso una posizione sempre più esposta alle
perché pienamente in linea con le diretti- azioni di guerra franco-turca e alle incur-
ve e gli interessi effettivi della Corona. sioni continue dei barbareschi. Dopo un
Terreni coltivati a cereali, saline, ton- periodo di supremazia marittima da parte
nare e peschiere, tutte sotto controllo re- dell’Impero ottomano, e successivamente
gio ma concesse in appalto a esponenti alla battaglia di Lepanto (1571), il conflitto
di influenti famiglie di origine iberica, fra i Turchi e la Corona di Spagna si fece
contribuivano a determinare la discre- meno aspro. Gli interessi dell’Impero ot-
panza degli interessi tra città e territorio tomano si spostarono verso i confini per-
circostante. Mentre Oristano subiva un siani e verso l’Oceano indiano e la Corona
graduale processo di spopolamento e di di Spagna rinunciò definitivamente alla
abbandono, a protezione della foce del dispendiosa politica espansionistica in

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stema che rendeva necessaria la costru-
zione di un notevole numero di torri co-
stiere di avvistamento, costruite per lo più
a spese della popolazione locale, simili a
quelle già erette negli altri regni della Co-
rona. La scarsità di finanziamenti impo-
neva infatti la scelta di una difesa statica,
per gli alti costi di costruzione e manteni-
mento che avrebbe comportato una flot-
ta. L’azione integrata tra le guardie costie-
re e le milizie della zona avrebbe dovuto
garantire un primo intervento in attesa
dell’arrivo dei soldati dalla terraferma e
delle guarnigioni delle piazzeforti. Le città
e i baroni avrebbero dovuto provvedere a
presidiare il territorio circostante, mentre
i rimanenti tratti di costa sarebbero stati
riservati a un istituto appositamente crea-
to durante il regno di Filippo II, l’Ammini-
Nord Africa, privilegiando le recenti con- strazione generale delle Torri, che rimase
quiste nel Nuovo Mondo. Nel Mediterra- in attività anche in periodo sabaudo per
neo, pertanto, la guerra assunse forme essere soppressa nel 1842.
meno costose e i due contendenti conti- Ora, di quelle torri realizzate a più ri-
nuarono a fronteggiarsi con reciproche prese soprattutto nel corso del XVI e del
azioni di pirateria. Nell’area italo-iberica, XVII secolo, spesso a costi troppo alti o con
quando oramai l’Impero ottomano aveva progettazioni sommarie, non rimangono
rinunciato a qualsiasi impresa di invasio- che le testimonianze materiali. Costruite
ne, dalle azioni della flotta turca e dalle in- per difendersi contro le incursioni di Mo-
cursioni barbaresche ci si difese, non solo ros y Turcos, potrebbero essere valorizza-
rafforzando le piazzeforti marittime, ma te per fungere da collegamento con il ter-
anche con il varo di flotte, organizzando ritorio circostante, come un tempo, e pro-
milizie locali e creando, a spese di ciascu- porre così nuovi percorsi turistici, magari
no degli Stati mediterranei appartenenti sfruttando le nuove tecniche multimedia-
alla Corona di Spagna – i regni di Napoli, di li, come proposto recentemente per la tor-
Sicilia, di Sardegna, di Maiorca, di Valenza, re di Santa Maria Navarrese, nella costa
di Murcia, di Granada, del Principato di della Sardegna occidentale. Oppure, esau-
Catalogna – una catena di torri costiere rita già da tempo la funzione difensiva e
che avevano la funzione di avvistare i ne- sfruttando la loro proiezione sul mare, per
mici e di propagare l’allarme. costituire un tramite con l’altra sponda del
L’assetto difensivo del Regno di Sar- Mediterraneo.
degna venne, quindi, rivisto nell’ultimo
trentennio del XVI secolo, con un adegua-
mento delle piazzeforti cittadine ma so- Maria Grazia Mele,
prattutto cercando di ottenere un maggio- Consiglio Nazionale delle Ricerche
re controllo del territorio mediante un si- Istituto di Storia dell'Europa Mediterranea

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