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ECONOMIA SOLIDALE, COOPERAZIONE E MERCATO: LE ALTERNATIVE ECONOMICHE POSSIBILI.

Introduzione alledizione italiana di Produrre per Vivere Roberto Burlando1 e Alessio Surian2
1. Dipartimento di Economia, Universit di Torino e School of Psychology, University of Exeter, roberto.burlando@unito.it . 2. Dipartimento di Sociologia, Universit di Padova.

Sembra sempre pi diffusa lidea che non esistano alternative, non solo e non tanto al capitalismo quanto alle forme di finanziarizzazione e globalizzazione egemonica neoliberiste che questo ha assunto tra la fine del secolo scorso e linizio di questo (in particolare negli ultimi venti venticinque anni, dopo la svolta neo-liberista e neoconservatrice dei governi Thatcher e Reagan), tanto da aver prodotto quella che, ormai da pi parti, ritenuta una sorta di subalternit culturale ingiustificata e insensata ma innegabile di parte significativa della sinistra europea1 nei confronti delle teorie e ideologie economiche liberiste2. E tanto da far prendere per buona addirittura la propaganda che scambia la impegnativa libert di mercato della teoria (neoclassica) della concorrenza perfetta (che richiede rigide condizioni ed esclude ogni potere di mercato da parte delle imprese e che per costituisce lunica base teorica per le dimostrazioni di ottimalit delle configurazioni di equilibrio di mercato) con la ben diversa (e pressoch opposta) libert per ciascuno di fare sui mercati quello che vuole, che solo far west e predominio del pi forte, senza teoremi a giustificazione n fondate pretese di superiore efficienza o ottimalit. Al contempo, vi chi evidenzia come neppure in un periodo storico caratterizzato quanto forse mai prima da condizioni prossime allideale del libero mercato di queste teorizzazioni nessuna delle promesse di soluzione dei problemi economici e sociali avanzate dai suoi sostenitori si stia non solo realizzando, ma neppure avvicinando
Si veda, ad esempio, la Prefazione di B. Bosco al volume di A. Santoro, Le ragioni del pubblico, Punto Rosso, Milano, 2004, (in particolare pag. 13). 2 In particolare nei confronti della vulgata delleconomia neoclassica che predica il liberismo fatto di deregolamentazioni, privatizzazioni e assenza di controllo pubblico in economia ad ogni costo ed in ogni dove e per far questo pretende di vedere ovunque soggetti economici che sono solo egoisti razionali (le cui azioni porterebbero, nel travisamento ideologico del pensiero di Adam Smith, ad un fantomatico vantaggio per tutti), mercati perfetti (che si auto-regolano e raggiungono equilibri ottimali) e vantaggi di efficienza
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significativamente (Panizza , 2005). Anche chi (come Joseph Stiglitz) stato ai vertici di istituzioni come la Banca Mondiale3 deve rilevare che "la crisi finanziaria globale servita non solo a porre in evidenza la debolezza del 'capitalismo American style', ma a mostrare la natura problematica delle istituzioni internazionali che dovrebbero governare la globalizzazione" (Stiglitz, 2001, p.14). Per giustificare tali mancate realizzazioni alcuni sostengono che lattuale libert di mercato non ancora sufficiente e ne invocano un ulteriore incremento, ma pare ovvio che per ottenerne davvero di pi occorrerebbe ridurre il peso di tutti gli operatori economici a quello compatibile con le condizioni teoriche della concorrenza perfetta (tante imprese di dimensioni modeste rispetto a quelle del mercato, informazione perfetta e dunque anche egualmente disponibile, assoluta omogeneit del prodotto, libert di entrata e uscita dal mercato a costi minimi), come coerentemente facevano i monetaristi alla Milton Friedman (sostenitori di ferree legislazioni antitrust e anti-oligopoliste in generale). Dunque o si ritiene possibile ridurre drasticamente almeno il ruolo e peso di tutte le imprese multinazionali (e ancor prima delle grandi finanziarie) e degli Stati che le appoggiano (o che, secondo altre analisi, ne sarebbero lespressione politica) o qualsiasi prospettiva veramente liberista risulta una illusione (o una diversione), o una utopia, n pi n meno di tante altre (sia pur fondate su principi molto diversi, magari anche preferibili sul piano filosofico e/o sociale) condannate sulla base di giudizi di irrealizzabilit. Il credo nel mercato come ordine naturale spontaneo (Hayek 1989) e in uneconomia di mercato autoregolatrice davvero non legge il XXI secolo e pare piuttosto diventare nel migliore dei casi limperativo di un ostinato e anacronistico tentativo di realizzare lutopia della deregulation del XIX secolo (Petrella, 1999, p.23), nel peggiore un mero e strumentale espediente propagandistico. Altrove il curatore (Santos 2003, p.12) ha evidenziato riprendendo losservazione di Franz Hinkelammert (2002) come il carattere utopico di questa utopia conservatrice consista nella negazione radicale dellesistenza di alternative allordine costituito e si realizzi attraverso il ricorso alla selezione di un unico criterio di efficienza: il mercato nel caso del neoliberismo, anche pretendendo che siano invisibili coloro che non sono consumatori solvibili4.

generalizzati che si accompagnano appunto a deregolamentazioni e privatizzazioni anche di produzioni di beni tecnicamente considerati pubblici. 3 E si mantiene nel solco della tradizione neoclassica, sia pur da innovatore, cosa che gli valsa il premio Nobel per leconomia pochi anni fa. 4 Magari lintero continente africano, come sottolinea Petrella (1999), p.23 e 24

Tuttavia, se lutopia conservatrice si identifica con la realt odierna, compito delle utopie critiche recuperare una capacit di futuro affermando alternative radicalmente democratiche, mettendo in discussione il concetto di mercato oggi prevalente (e dai suoi fautori considerato lunico) asservito al conformismo ideologico che ne fa il principio regolatore della societ nel suo complesso. Vanno appunto in questa direzione le proposte considerate da Santos, ma anche molte iniziative (teoriche e pratiche) sviluppate in Europa da diverse componenti del movimento anti-liberista tra cui, ad esempio quelle discusse nei convegni di Parigi (2002) Disfare lo sviluppo, rifare il mondo e di Lione (2003) Decrescita sostenibile, documentati in parte anche in Italia (a questo proposito si veda Mauro Bonaiuti, 2004). Le alternative ad una rappresentazione solo normativa della regolazione sociale e le contraddizioni del neoliberismo (per quanto solo accennato, perch sia lintroduzione, sia il volume dedicano ben poco spazio alle critiche e molto alle alternative) sono appunto il punto di partenza del saggio introduttivo (di Boaventura da Sousa Santos e Csar Rodrguez) al volume, che evidenzia come in questo contesto storico emerga fortemente, ed in molte parti del mondo, la necessit di formulare alternative economiche concrete che siano al tempo stesso emancipatrici e realizzabili. Molteplici movimenti lo richiedono e, nel loro piccolo, stanno anche provando a farlo come testimonia la maggior parte dei contributi che compongono il libro. Le iniziative qui descritte cercano di realizzare forme economiche praticabili fuori dai circuiti della tradizionale economia di mercato, ma si scontrano proprio con il potere: quello di mercato, nelle sue diverse forme. Le forme delle alternative praticabili Il curatore del volume (e coordinatore dellintero progetto di ricerca pubblicato in sette volumi, di cui questo il secondo) offre un quadro analitico di riferimento per queste diverse iniziative e una serie di meditati suggerimenti per accrescere le possibilit di queste forme economiche alternative concrete di sopravvivere, diffondersi e portare ad un cambiamento significativo, che, del resto, appare sempre pi necessario. Il suo primo merito (crono-logico) quello di sgombrare subito il campo da possibili equivoci esplicitando come, a suo giudizio, lalternativa sistemica al capitalismo rappresentata dalle economie socialiste centralizzate non sia percorribile n auspicabile, e neppure una delle fonti di ispirazione delle iniziative oggetto di indagine, che sono invece riconducibili a tre diversi filoni: il cooperativismo, leconomia popolare e solidaria e le 3

diverse forme di quello che viene indicato come lo sviluppo alternativo (e sostenibile) e, infine, il cosiddetto post-sviluppo e la decrescita. Il secondo merito consiste nellevidenziare, da un lato, come nessuna delle proposte considerate nel volume (e avanzate dai filoni di cui sopra) rappresenti unalternativa sistemica al capitalismo, ma, dallaltro, come esse tendano anche a produrre effetti dallelevato contenuto emancipatorio. Tale carattere, dice lautore, deriva dal loro incarnare valori e forme organizzative opposti a quelli del capitalismo (e qui sembra usare il termine per indicare nello specifico appunto la fase definita come globalizzazione egemonica5). Se la dichiarata lontananza da aspettative palingenetiche sistemiche (nella forma di economie centralizzate) appare un passo fondamentale verso un orizzonte di riferimento (e di senso) realistico (si sarebbe tentati di definirlo con un ossimoro un ideale realistico) e prospettive pragmaticamente fondate, a qualificarli interviene laffermazione che elementi centrali di valutazione delle iniziative vanno considerati la loro realizzabilit, anche nel senso esplicito di capacit di sopravvivere nel contesto storico e istituzionale predominante, ed il loro carattere emancipatorio. La rilevanza che assume la dimensione dellemancipazione (e lo stesso termine capacit emancipatoria) in questo quadro teorico suggerisce un approfondimento del suo significato in questo contesto e in relazione al tema della partecipazione, al centro del primo volume della collana I nuovi manifesti. Le iniziative cos connotate paiono caratterizzate dalla capacit di creare spazi economici in cui predominano i principi delluguaglianza, della solidariet e/o del rispetto dellambiente 6 e tendono a produrre sul piano individuale rilevanti cambiamenti nelle condizioni di vita dei partecipanti e su quello
Altrimenti la connotazione utilizzata parrebbe sia connotare il capitalismo come qualcosa di pi omogeneo di quanto appaia a molti altri e sia riuscire a definirne dei (dis)valori fondamentali che spesso invece paiono dal punto di vista analitico purtroppo, perch questo obbliga al confronto con tante specifiche posizioni elusivi nella diversit delle posizioni e interpretazioni. In un passaggio successivo per si sostanziano questi disvalori definendo tre aspetti centrali delle critiche al capitalismo per il suo produrre sistematicamente i) disuguaglianze in termini di risorse e di potere, ii) forme impoverite di socialit basate sul profitto individuale anzich sulla solidariet (e causate dei rapporti di concorrenza imposti dal mercato capitalistico), iii) uno sfruttamento crescente delle risorse naturali nel mondo, tanto da mettere in pericolo le condizioni fisiche della vita sulla Terra. 6 Lasciando ad altri discettare se questi principi e valori siano o meno compatibili con il capitalismo in senso lato, o con qualche sua forma specifica, ci limitiamo a rilevare il fatto che essi sono in chiara opposizione con le conseguenze emerse dal suo sviluppo storico e tanto pi dalla forma che esso ha assunto in questa fase storica. Coerentemente nel testo questi valori sono lopposto di quanto precedentemente si criticato del capitalismo. Questi termini trovano ora, nei paesi pi industrializzati, una eco significativa nella pratica di marketing (che in genere solo di questo si tratta) adottata da molte iniziative economiche di definirsi etiche o socialmente responsabili, anche quando nei fatti non sono n luna n laltra cosa. Si pone dunque un serio problema di valore e significato dei termini e dunque di loro definizione e poi di verifica della corrispondenza delle pratiche alle definizioni. Va rilevato come questo accada anche al di l dei confini delleconomia, con termini universalmente ritenuti di valore positivo, come democrazia.
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sociale un ampliamento delle aree in cui operano i valori di cui sopra e forme organizzative non capitalistiche. Si ritiene, inoltre, che il compito delle prassi e del pensiero emancipatori consista nellampliare lo spettro delle possibilit attraverso la sperimentazione e la riflessione sulle alternative capaci di rappresentare forme di societ pi giuste; queste, guardando oltre lesistente e mettendo in discussione la separazione tra realt e utopia [..] formulano alternative sufficientemente utopiche da costituire una sfida allo status quo e sufficientemente concrete da non poter essere scartate facilmente come impraticabili. Sembra difficile non concordare ed anche trovare una formula pi accattivante, ma pare poi anche difficile utilizzarla eventualmente per discriminare tra iniziative. Non questo, per, secondo lautore un obiettivo rilevante di questa fase, ed anzi egli utilizza il concetto di euristica della formazione elaborato in tempi precedenti per evidenziare come occorra valutare le iniziative non tanto in funzione del criterio (definito semplicistico) del loro offrire o meno alternative radicali al capitalismo (che del resto nessuna delle proposte realizzabili rappresenta), bens del favorire e col loro successo dare credibilit a forme sia di organizzazione economica, sia di socialit definite non capitalistiche appunto in quanto incorporano valori e forme organizzative a questo estranei, se non opposti. La proposta teorica pare alquanto interessante, specialmente nel contesto della sinistra europea (e italiana in particolare) che allattuale sudditanza culturale summenzionata affianca, sia pur con alcune rilevanti eccezioni, lantico vizio di frammentarsi in vari gruppi ciascuno dei quali ritiene di avere una sorta di monopolio dellunica strategia per lalternativa vincente, o possibile. Purtroppo rimane il dubbio che malgrado il senso del suggerimento vada oltre il problema possa essere spostato sulla valutazione della coerenza e adeguatezza dei comportamenti rispetto ai valori altri e quindi al grado di alterit possa o debba essere ritenuto adeguato o sufficiente. Pare facile concordare con lautore sul fatto che la vera questione attuare riforme e iniziative che nascano allinterno del sistema capitalistico in cui viviamo, ma che favoriscano e diano credibilit a forme di organizzazione economica e di socialit non capitalistiche (nel senso prima specificato) e su quello che molteplici movimenti richiedono di formulare alternative economiche concrete per cui urgente pensare, immaginare, inventare, sperimentare e realizzare delle alternative economiche e sociali.

Dato, poi, che vi (e come non concordare anche su questo) una grande variet di iniziative e concezioni economiche alternative, sia pur parziali, la mappa proposta nella introduzione e documentata in parte nelle analisi specifiche fornite dai diversi saggi appare come un contributo significativo e importante, anche se parziale, soprattutto in quanto, dati i limiti di spazio, circoscritto agli aspetti produttivi7. Crediamo lo sia in assoluto, ma ci pare che, in particolare per la sinistra europea, sia rilevante confrontarsi con analisi e prospettive che, trovando ispirazione nelle sue stesse tradizioni e radici (a partire dal movimento cooperativo), sono per in grado di offrire un differente punto di vista, quello della periferia e semiperiferia del mondo industrializzato. Alcune di queste prospettive (considerate solo nella mappa introduttiva, ma che potrebbero costituire un ulteriore volume) sono gi entrate nel dibattito corrente anti globalizzazione liberista si pensi, ad esempio, alle traduzioni italiane dei libri di Euclides Mance e di Luis Razeto e persino ai tentativi di adattarne e implementarne le proposte (in qualche caso questi hanno persino anticipato una approfondita riflessione su di esse ed una valutazione delle rispettive specificit, ma non detto che questo sia un male). In particolare, si vengono consolidando le esperienze delle Reti e Distretti di economia solidale e delle monete complementari, mentre di altre si sente meno parlare e si ha a disposizione meno materiale. Quello che colpisce maggiormente nelle prospettive ed esperienze latinoamericane delle quali si discute la loro concretezza, il loro essere risposte immediate, vissute, pragmatiche ad esigenze condivise, progetti messi in pratica su cui poi si costruisce una riflessione che aiuta a farle crescere ulteriormente ed a diffonderle. Anche il successo, almeno in termini di interesse suscitato, pare legato sia ai contenuti valoriali e organizzativi, sia al loro essere esperienze reali, che possibile imitare, da cui si pu partire per realizzare qualcosa di concreto e che questa pare una novit rilevante di questa fase coinvolge direttamente gli aspetti materiali delle vite di chi se ne fa promotore. Alla "societ di mercato" (Alcaro, 2003, p. 48), autori latinoamericani come Coraggio (2004, p. 257-258) contrappongono come progetto politico la trasformazione dell'economia a partire dalla cosiddetta "economia popolare" come base per la costruzione di un'

Non si intenda questa come una critica. Il curatore stesso evidenzia il nesso fondamentale tra gli aspetti produttivi e gli altri piani economici e sociali, e credo davvero non si potesse chiedere di pi ad una ricerca gi cos ampia e ad un volume, gi piuttosto spesso e ampio nei contenuti. Per, proprio lutilit di questa operazione, e il suo successo nel riportare la complessit delle esperienze ad un quadro teorico relativamente semplice nella sua articolazione, mettono in evidenza la necessit di estendere lanalisi ad una gamma ulteriore di esperienze.

"economia del lavoro", in quanto diritto e condizione materiale, che veda protagonisti i legami sociali, il rispetto degli equilibri ecologici e l'iniziativa dello Stato. Tuttavia, se la concretezza un pregio sia per chi ha necessit, immediate e durevoli, di vita sia per chi vissuto di dibattiti senza riuscire a vederli tradursi in progetti concreti, la possibile rinuncia ad inquadrare le cose in una prospettiva pi ampia costituirebbe un limite ed una debolezza. Diviene dunque rilevante articolare ulteriormente il quadro delle esperienze e riflessioni altre e cercare di definirne le connessioni ed i rapporti con il resto del presente e con le prospettive di evoluzione del sistema nel quale viviamo e che con le pratiche oggetto di indagine cerchiamo appunto di influenzare. In questa direzione va unaltra riflessione significativa, che Santos e Rodriguez traggono dalla considerazione delle analisi sulle esperienze di socialismo di mercato (da Ward a Estrin e Le Grand), e che riguarda proprio il ruolo del mercato: il dibattito su modelli ed esperimenti concreti che combinino i vantaggi del mercato, da un lato, e quelli della produzione solidale, dallaltro, costituisce oggi uno dei principali fulcri nella creazione di alternative ai modelli economici convenzionali [..] ha dato nuovo impulso alla riflessione ed agli esperimenti che cercano di combinare lassociazionismo e il socialismo senza ricorrere a forme impraticabili di pianificazione centralizzata. La tesi fondamentale del socialismo di mercato , infatti, che la via praticabile e adeguata per perseguire i fini socialisti della solidariet e delluguaglianza consiste in una combinazione tra meccanismi di mercato e pianificazione economica, in cui ai primi spetta un ruolo dominante (Estrin e Le Grand, 1989). In questottica il mercato considerato semplicemente un meccanismo (ma non uno qualunque, bens il pi efficiente che si conosca una volta che ne si conoscono e rispettano i limiti anzich farne un deus ex machina buono in ogni circostanza) per coordinare scelte economiche decentrate, e non esiste una relazione necessaria tra mercato e capitalismo. Storicamente il capitalismo ha utilizzato ampiamente il meccanismo di mercato, modellandolo ai suoi interessi e generando disuguaglianza ed alienazione, ma questi effetti sono dovuti allutilizzo, non allo strumento. Certo queste opinioni sono in controtendenza rispetto alle letture di alcune iniziative che si oppongono alla globalizzazione neoliberista, ma linvito a distinguere tra lo strumento e il suo utilizzo di quelli da non lasciar cadere, tanto pi che nel caso trova diverse sponde in analisi sviluppate in ambiti disciplinari diversi, quali quelle filosofiche sui limiti etici ai mercati (Anderson , Burlando 2001), quelle sociologiche sulla architettura degli stessi e quelle delleconomia sperimentale sulle propriet e sui diversi equilibri prodotti da diverse 7

regole di funzionamento di cui sono fatti e che si possono cambiare alle diverse forme di mercato riconosciute gi dalla teoria economica neoclassica. Due aspetti generali di questo quadro attengono alle dimensioni culturale e politica ed in particolare al tema della democrazia in questi ambiti. Entrambi sono considerati nel primo della serie di volumi, appropriatamente titolato Democratizzare la democrazia, ma merita considerarli anche nel quadro del contesto economico. Infatti laspetto della implementazione concreta della democrazia fondamentale anche in ambito economico e nella articolazione con le istituzioni, sociali e politiche, locali. Non a caso, anche nel contesto italiano, si registra un significativo interesse reciproco tra le iniziative delleconomia (e finanza) solidale e/o etica (ma quante precisazioni sarebbero necessarie al riguardo!) e quelle delle nuove forme di democrazia partecipativa, in particolare le esperienze della Rete dei Nuovi Municipi. Dal punto di vista economico, sembra diffondersi in queste reti la consapevolezza che ipotesi locali di sganciamento dal mercato mondiale non debbano necessariamente guardare a processi di chiusura autarchica, pur mirando a ridurre la dipendenza dai meccanismi, sempre pi elitari nella loro gestione, che generano lacuirsi delle ingiustizie sociali. Si tratta di gruppi che si propongono di agire nel quotidiano, ma anche di riflettere (fare mente locale) e aprirsi, costruendo cantieri e intrecciando reti (Saroldi, 2003; Biolghini 2004). Lesperienza recente mostra come la ricerca di consolidare produzione e consumo critico passi attraverso riflessioni condivise, dalla costituzione dei distretti di economia solidale (DES) al dibattito (da noi, a differenza che in America latina, per ora ancora molto teorico8 e probabilmente pi ampio che approfondito) sulle monete locali. Molteplici sono poi le interazioni tra aspetti economici e culturali della democrazia. Oltre allovvio (tranne, va da s, che per i molti italiani che non gli attribuiscono alcun peso nelle proprie scelte elettorali) problema della propriet e concentrazione dei mezzi di informazione di massa, un aspetto che sta diventando progressivamente pi rilevante nella consapevolezza di molti riguarda lo statuto della scienza. Da un lato in discussione la mancata realizzazione delle promesse (di progresso, pace, libert, razionalit e benessere generalizzato) sulle quali si era fondato il primato epistemologico della conoscenza scientifica, che comincia ora ad apparire a molti nei paesi della periferia e semiperiferia del mondo (questa lespressione utilizzata dagli autori) piuttosto come una ideologia che ha legittimato la subordinazione allimperialismo occidentale e nel cui nome sono state
Una interessante, anche se necessariamente limitata, eccezione quella dell EcoAspromonte, promossa nellomonimo parco dal presidente dellente (nel settembre 2004), il sociologo economico Tonino Perna.
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distrutte molte scienze e conoscenze alternative. Dallaltro lato anche nei paesi industrializzati ci si chiede sempre pi spesso chi in una vera democrazia dovrebbe decidere che cosa scienza e quali dovrebbero essere gli obiettivi di questa, visto che le varie comunit scientifiche sono sempre pi subordinate ai poteri economici, che di certo ne influenzano le direzioni di ricerca attraverso finanziamenti alquanto selettivi e inducendo gestioni che definiscono sulla base dei loro interessi anche le carriere. Spesso questi finanziamenti paiono orientati a perseguire interessi soltanto privati ed immediati (per quanto altrimenti propagandati), ma progressivamente assumono forme ancora pi pervasive, fino a tradursi in vere e proprie forme di dittatura pseudo-culturale (operanti anche attraverso istituzioni culturali quali fondazioni, universit e think thank 9 vari). Sul tema del rapporto tra scienza e politica (e dunque governance) vanno registrate riflessioni innovative anche in sede di Commissione Europea, ed in particolare la proposta di un paradigma definito di scienza post-normale (Funtowicz, Funtowicz e Ravetz 1990) che, a partire dal precedente riconoscimento dellesistenza di molteplici forme di conoscenza e di razionalit e del problema di accertarne la qualit e di farle dialogare, aggiunge il riconoscimento che in molte situazioni attuali sono caratterizzate da un elevato grado di incertezza fondamentale (tale tanto pi in quanto diversi approcci scientifici ne valutano le caratteristiche in modo assai differente) e che esistono varie ipotesi alternative legate a diversi sistemi di valori.

Funzioni della scienza e delle teorie economiche La stessa teoria economica viene sempre pi spesso ridotta alla sola versione neoclassica e questa, a sua volta, viene depurata dei suoi contenuti problematici10 e poi utilizzata come una forma ideologica ed uno strumento, spesso usato oppressivamente, di

Attualmente in atto un processo di notevole trasformazione dei sistemi Universitari, la cui sola considerazione richiederebbe un volume delle stesse dimensioni di quello che qui introduciamo. A questo tema Santos ha dedicato un breve scritto, A universidade no sculo XXI. Para uma reforma democratica e emancipatoria da Universidade, Cortez, San Paolo, 2004. Le proposte di costituzione di Universit alternative, libere dai condizionamenti dei poteri forti e orientate al bene comune o alla condivisione della conoscenza (in opposizione alla sua progressiva privatizzazione a fini competitivi e di potere) si stanno moltiplicando, e non solo in Europa, a testimonianza di come il problema si sempre pi avvertito come significativo. Infine, al ruolo delle fondazioni private (pi o meno culturali, si pensi alla statunitense Heritage Foundation solo per fare un esempio) nella diffusione dellideologia neo-conservatrice sono ormai state dedicate varie analisi e persino trasmissioni televisive. 10 Su questo tema la bibliografia amplissima. Per alcuni cenni si rinvia a Sen 1977, Daly e Cobb 1989, Heap 1989, Heap. et al. 1992, Hausmann 1992.

potere, nonch il veicolo fondamentale di quello che stato definito il pensiero unico. Siamo di fronte ad un paradosso. Da un lato si definisce la ragione scientifica come operante seguendo una logica che si vuole indipendente da interessi di parte al fine di formulare leggi (ma anche ipotesi di ricerca) indipendenti dal tornaconto di singole persone o gruppi. Dallaltro, e ci nonostante, lesperienza mostra come la certificazione delle conoscenze scientifiche sia stata affidata a persone che avevano interessi consolidati nel potere della scienza e che ne erano oltretutto dipendenti per la propria sopravvivenza () agli antipodi del funzionamento democratico (Alvares 1998, p. 99). Alcune analisi definiscono ormai leconomia (neoclassica) come una religione, anzi come la nuova forma di religione predominante nel XXI secolo11. A tale religione Santos, Meneses e Ariscaldo Nunes (2004, p.83) contrappongono un pluralismo epistemologico, posizione decisamente distante dal relativismo e orientata alla democratizzazione della scienza, sia attraverso una rilettura dellimpostazione per paradigmi cara a Kuhn, evidenziando come coesistano diverse tradizioni nei processi di elaborazione teorica, sia nel ripensare le relazioni fra comunit scientifica e cittadinanza attiva, mettendo a fuoco le competenze cognitive utili a questultima. Come ricorda Coraggio (2004, p.13), il problema pi grave viene da quella parte di realt che stata ignorata dalle descrizioni e che, tuttavia, costituisce un aspetto fondamentale dei processi nei quali si intendono introdurre cambiamenti. In questa prospettiva Santos, Meneses e Ariscaldo Nunes (2004, p.84) affermano la necessit di favorire la transizione dalla monocoltura del sapere scientifico alla ecologia dei saperi. Si tratta di passare da una concezione della scienza in chiave regolativa, che concepisce le conoscenze come una evoluzione dal disordine dellignoranza allordine del sapere, ad unidea di scienza emancipatoria, descritta da Santos (2000) come ermeneutica dellignoranza in quanto stato di colonialismo e dei saperi in quanto pratica costruttiva della solidariet, tassello fondamentale ma non unico o predominante allinterno della costellazione dei saperi orientati allemancipazione sociale. Finanza, sviluppo locale e non-violenza

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Si vedano ad esempio Nelson, R.H. Stackhouse, M.L., Economics as Religion: from Samuelson to Chicago and Beyond, Pennsylvania State University Press, 2001 e Dussel, E. Chiavacci, E Petrella R., Economia come teologia?, l'altrapagina, Citt di Castello (PG), 2000

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Il curatore del volume dichiara che la scelta di raccogliere contributi focalizzando l'attenzione solo sugli aspetti produttivi dipende dalla mancanza di spazio e dal volersi concentrare su di unarea tematica per volta, e afferma la centralit, per le possibilit di sviluppo di iniziative economiche democratiche, delle relazioni tra questa e altre in cui si articola la costituzione economica della societ. Tra questa merita evidenziare il ruolo della finanza, e la diversit centrale tra la sua forma attuale e quella denominata etica (o socialmente responsabile), che aiuta a gettare luce poi su alcuni altri temi. La descrizione pi immediata della logica della finanza attuale che si sta imponendo in tutti gli ambiti (si descritto il fenomeno come un processo di finanziarizzazione delleconomia, che stato parte di quello della globalizzazione liberista) viene, paradossalmente, non da ponderosi volumi tecnici o filosofici bens da alcuni film americani di qualche anno fa12. Questa logica quella del guadagno immediato senza alcuna preoccupazione, e neppure attenzione, per tutte le altre conseguenze delle operazioni realizzate. Non per quelle finanziarie di orizzonte appena pi lungo e, dunque, tanto meno per quelle sociali o ambientali, o anche industriali13. Al contrario la finanza etica mette al centro della valutazione del proprio operare le conseguenze dei progetti che finanzia: conseguenze economiche e non, poich leconomia qui considerata non come un fine in s bens come un importante strumento per realizzare i molteplici obiettivi che la vita propone agli uomini nella sua essenza di esperienza multidimensionale. Un tema che nel volume viene appena sfiorato (nel saggio sullIndia) quello dello sviluppo locale autocentrato che, tanto pi nel contesto indiano e attraverso luso del termine swadeshi, richiama anche lapproccio economico gandhiano14. Anche se questo, almeno per ora, sembra essere da noi pi un richiamo ideale (ma le esperienze dei villaggi gandhiani in India meriterebbero di essere ben altrimenti documentate e studiate e cos le potenzialit di questo approccio, Diwan 2001) che una prospettiva concreta, le sue implicazioni in termini di critica al sistema economico attuale ed alla teoria economica
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Il pi famoso di questi , a nostro parere, Pretty Woman, nel quale Richard Gere fa la parte del capitalista finanziario (che poi per amore si ravvede, ma pare che questo capiti di rado nella realt della finanza) che cerca di sottrarre ad un capitalista industriale una impresa di costruzione di navi. La morale (socio-economca) del film espressa dalla brava ragazza (anche se temporaneamente dirottata sulla prostituzione) Julia Roberts, che afferma di essere migliore del suo temporaneo (ma il lieto fine render questa condizione assai lunga) compagno perch il costo delle sue scelte ricade su se stessa mentre il costo di quelle di lui si scarica su migliaia di persone (che con il burbero capitalista industriale potrebbero invece continuare a lavorare e mantenere le famiglie, mandare i bambini a scuola etc.). 13 Alcuni psicoanalisti definiscono i comportamenti che hanno esclusivamente un orizzonte immediato e individuale come succubi di una logica di morte, dato che questa rappresenta la condizione che pu indurre a non considerare le conseguenze sulla vita, propria e altrui, delle proprie azioni. 14 Sulleconomia gandhiana si rinvia in generale ai lavori di Romesh Diwan ed a Burlando 2004 b.

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prevalente e le sue proposte costruttive (Diwan e Lutz, 1985, Diwan 1997) ben si integrano con le prospettive presentate nel volume. In particolare leconomia gandhiana pu fornire a queste sia una cornice, ampia e aperta, nella quale articolare gli approfondimenti specifici proposti da vari filoni di indagine sia una prospettiva nettamente non violenta in ambito economico. Con le analisi presentate nel volume condivide anche il riconoscimento fondamentale della rilevanza della scala (dimensione) delle iniziative produttive15 e la prospettiva emancipatoria (in particolare nelle elaborazioni sul concetto chiave di lavoro autodiretto) e il presentarsi come possibile alternativa radicale (utopia perseguibile) ma anche come percorso per una trasformazione progressiva e non violenta, che definisce i suoi passi futuri sulla base delle condizioni (materiali e non solo) e dei valori conquistati di volte in volta. A questi aspetti leconomia gandhiana aggiunge poi la capacit di articolare una visione della complessit umana e sociale che parte dal riconoscimento delle differenze personali (non solo di gusti ma anche di valori, di fasi di vita e fasi di sviluppo) e considera il loro riflettersi in diverse forme di interazione sociale. Nel saggio introduttivo Santos e Rodriguez si soffermano in particolare sul concetto di swadeshi, elaborato da Gandhi, e che considerato appunto il cuore delleconomia gandhiana. Gandhi muoveva dal riconoscimento che esiste quanto basta per soddisfare le necessit di tutti, ma non per soddisfare la cupidigia di tutti e dunque da una posizione anticonsumista e antimaterialista16 per quanto riguarda i valori e gli stili di vita. Con il concetto di swadeshi egli estese questo approccio anche allambito della produzione; infatti swadeshi significa, in senso stretto, autonomia economica locale e punta sullidea di servire i vicini immediati prima degli altri e di usare le cose prodotte intorno a noi prima di quelle prodotte in luoghi pi remoti. Le logiche conseguenze di tali premesse (e degli altri punti fermi dellapproccio economico gandhiano, il lavoro autodiretto come servizio alla comunit di appartenenza, il non sfruttamento, luguaglianza dei doveri e poi dei diritti, il superamento del materialismo col collegato illimitato desiderio di possesso e la gestione fiduciaria) sono lorientamento allutilizzo di tecnologie ad alto contenuto locale e soggette ad un controllo democratico e popolare, e dunque verso dimensioni degli impianti produttivi e degli insediamenti umani in genere limitate, e ad una tipologia e livello di produzioni correlate agli effettivi bisogni delle popolazioni.
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Un testo piuttosto famoso che ha messo in evidenza anche in Occidente questi aspetti Piccolo bello di Fritz Schumacher. Col invero lautore parla di economia buddista, ma tra questa e quella gandhiana vi sono fortissime consonanze. 16 Per una rassegna delle recenti analisi sul materialismo si rinvia al quinto capitolo (pag. 177 79) di Webley et al., Psicologia economica della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna, 2004

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Queste considerazioni si collegano, ovviamente, anche alle proposte considerate successivamente nel volume di modelli alternativi (e sostenibili) di sviluppo e di decrescita. Terminologicamente i due filoni sono chiaramente contrapposti e tra gli autori del secondo molti ritengono che il concetto di sviluppo sostenibile sia un ossimoro, una contraddizione logicamente insostenibile fintantoch si confondono sviluppo e crescita economica. Secondo H. Daly lunico tipo di sviluppo sostenibile lo sviluppo senza crescita, un miglioramento qualitativo della base fisica economica, mantenuta in uno stato stazionario [..] entro le capacit di rigenerazione e assimilazione dellecosistema (Daly, 1996, pag.193). Del resto il semplice utilizzo di un indicatore economico pi attento a questi aspetti17 evidenzia come in molti paesi industrializzati dagli anni 80 il benessere realizzato stia diminuendo, a fronte invece di (modesti) incrementi del tradizionale indicatore economico di performance, il prodotto interno lordo. Entrambi gli approcci summenzionati evidenziano la necessit di trattare leconomia come un aspetto della societ (e della vita umana) e di subordinare i fini economici alla protezione di beni e valori pi ampi18, superiori. Il primo non rifiuta lidea della crescita economica, e propone invece di limitarla e subordinarla (ad imperativi non economici), orientandola ad uno sviluppo dal basso che punti sulla dimensione locale (e generalmente attraverso iniziative collettive, costituite da imprese ed organizzazioni economiche popolari a propriet e gestione solidale). Il secondo invece (specie nelle versioni europee pi recenti19 non direttamente considerate dai curatori), critica fortemente non solo la possibilit di ulteriore crescita economica ma anche la mistificazione di questo concetto in quelli prima di sviluppo e poi di sviluppo sostenibile, che dominano ormai limmaginario collettivo nascondendo nel consenso cos accumulato la loro realt di slogan privi di sostanza. I curatori del volume considerano pregi e limiti di entrambi gli approcci, evidenziando poi la necessit di coniugare lattenzione da essi posta sulla dimensione locale con una visione ampia e universalista (definito localismo cosmopolita), dimensioni entrambe necessarie per lelaborazione di un paradigma davvero democratico, ma anche ecologico, solidaristico e antiproduttivista (nel senso di avverso alla crescita economica distruttiva dellambiente e delle relazioni umane e sociali).

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Come il Genuine Progress Index (GPI), indicatore del progresso genuino, che pure non pu sostituire la considerazione sempre pi ovviamente necessaria di una molteplicit di indicatori per cogliere la multidimensionalit dello sviluppo a differenza della monodimensionalit della crescita. 18 Su questo punto e per una critica da questa prospettiva alla teoria tradizionale si rinvia a Burlando 2004a. 19 Si vedano ad esempio Latouche 2003 e 2004 e Bonaiuti 2004.

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Quel che pare non completamente esplicitato nellintroduzione la necessit di adoperare anche in questo caso un approccio inclusivo e integrare molte delle considerazioni dei due approcci, muovendo per dal riconoscimento dellimportanza sempre pi pervasiva dellimmaginario collettivo e di quanto facilmente questo sia manipolabile e manipolato. In un periodo in cui viene definito intervento a favore della pace e della democrazia una guerra preventiva basata su supposizioni infondate occorre sia far chiarezza su cosa si intenda davvero per democrazia e per pace sia resistere al rischio forte di perdita di senso (e di valori) che le continue mistificazioni di un potere prepotente e arrogante indubbiamente inducono. Anche per questo alcune delle tesi che concludono lintroduzione di Santos e Rodriguez paiono particolarmente rilevanti, dallaffermazione che il potenziale emancipatorio delle alternative produttive dipende in larga misura dallintegrazione che esse riescono a stabilire tra processi di trasformazione economica e processi culturali, sociali e politici al riconoscimento che il loro successo dipende dal loro inserimento in reti di collaborazione e di mutuo sostegno e che la radicalizzazione della democrazia partecipativa e quella della democrazia economica sono due facce della stessa medaglia. Ci piace terminare questo breve excursus da un lato ammettendo che avremmo voluto leggere ancora di pi su questi temi e trovare esemplificazioni anche di altre alternative considerate nella mappa introduttive e dallaltro ricordando, con i curatori, come le alternative di cui disponiamo implichino trasformazioni graduali, che creano spazi di solidariet allinterno ed ai margini del sistema capitalistico, e trasformazioni fondamentali delle condizioni di vita, per coloro che vi prendono parte. Il che non le rende certo pi facili.

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