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Sotto la data del 22 ottobre 1792 il notaio riminese Lodovico Guerra scrive:
«Per mezzo di comuni amici si è trattato il Matrimonio per verba de futuro tra il
Nobil Uomo Signor Marchese Signor Giovanni Battista Carradori, e tra il Signor
Giovanni Tintori, mediante la persona dell’onesta Zitella Signora Elisabetta di lui
figlia colla promessa di Dote di scudi settecento moneta Romana». Giovanni
Battista Carradori ed Elisabetta Tintori «promettono e si obbligano
scambievolmente di unirsi in Matrimonio giusta i riti di Santa Romana Chiesa, e
del sacrosanto Concilio di Trento». Giovanni Tintori s’impegna a «sborsare detta
somma allorché si effettuerà detto Matrimonio, qual il sullodato Signor
Marchese Carradori promette, e si obbliga effettuare nel tempo a termine di un
mese da oggi a decorrere» (1). Il 10 novembre il marchese Carradori
«manualmente, ed in contanti riceve» da Giovanni Tintori i settecento scudi
pattuiti (2).
Giovanni Tintori, chirurgo nativo di Urbino, è soprannominato «da
Verucchio, per esser ivi dimorato molto tempo» (3). Giambattista Carradori
Fregoso, patrizio imolese, è stato aggregato alla nobiltà di Rimini dietro sua
istanza l’11 giugno 1763, con 33 voti favorevoli e 16 contrari (4).
Il 27 novembre 1792 i Consoli di Rimini propongono un quesito al Cardinal
Legato Niccolò Colonna di Stigliano, «relativo alla seguita contravenzione della
Legge sopra i Matrimonj disuguali»: un Nobile ha sposato «una zitella di bassa
estrazione, e maggiormente avvilita dall’esercizio di Cantastorie sopra un pub-
blico teatro». La donna era senza dote cospicua o eredità, e le nozze sono quindi
avvenute soltanto per «passione» (5). Il Legato (il 5 dicembre) risponde ai Consoli
che era d’uopo inviargli «senza alcuna reticenza» una dettagliata spiegazione,
«nominando il Soggetto, che ha contravenuto, non meno che la Moglie dal me-
desimo sposata, ed i rapporti che dimostrino la contravvenzione stessa» (6). L’8
dicembre i Consoli inoltrano al Legato questo «Pro-Memoria», dal quale risulta
che l’incriminato è il personaggio di cui abbiamo appena letto nelle carte del
notaio Guerra:
«Il Signor Marchese Giambattista Carradori Fregoso ha sposato la zitella Elisabetta
Tintori. La famiglia Carradori è una delle Nobili Famiglie Consolari Riminesi, ed
attualmente ritiene il luogo di Consigliere partecipante il Nobil Signor Marchese
Federigo Carradori Fregoso Fratello maggiore del suddetto Signor Giambattista
(1) Cfr. nel vol. n. 4413 dell’Archivio di Stato di Rimini [ASR], cc. 4rv-5rv.
(2) Ibidem, cc. 5v-6rv. Giovanni Tintori abitava nella parrocchia di Sant’Innocenza.
(3) Cfr. M. A. Zanotti, Genealogie, vol. II, SC-MS. 188, Biblioteca Gambalunghiana di
Rimini [BGR], cc. 147r-150r.
(4) La notizia è desunta da AP 876, Atti del Consiglio Generale, 1760-1766, ASR.
Nell’istanza Giambattista Carradori Fregoso spiega di aver risoluto di trattenersi a
Rimini la maggior parte dell’anno «a cagione de’ suoi Affari». Il Consiglio lo aggrega (c.
97r) a patto che rispetti questa promessa circa il soggiorno in città, e con la clausola che
«quando per due, o tre anni Egli, o i di lui Eredi non abbiano adempiuto a tale condizione,
debbono decadere dalla presente aggregazione».
(5) Cfr. AP 545, Lettere segrete della Magistratura, 1781-1801, ASR.
(6) La lettera del Legato, dalla quale sono state riprese tutte le notizie fin qui
riportate, è nel cit. AP 545. Essa giunse a Rimini l’8 dicembre.
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apprezzato quello che, in un documento del ’92, viene definito il «troppo rigore»
(22) di questi «Capitoli» del ’64.
Nello stesso 1764, il 24 marzo, il Consiglio riminese esamina un altro
provvedimento ispirato (nelle intenzioni dei promotori), alla linea di difesa dei
privilegi e degli interessi del primo Ordine, i «Capitoli per le nuove aggregazioni
di Nobili e Cittadini». Se ne è discusso per la prima volta il 19 giugno 1762
quando sono stati eletti quattro Consiglieri, Carlo Agolanti, Bartolo Bartolini,
Federigo Sartoni e Luigi Fabri, con l’incarico di prepararne la bozza (23).
Dal verbale del 24 marzo ’64 apprendiamo che, nel momento della
votazione del testo proposto, si cerca di far passare un’aggiunta relativa
all’articolo nel quale si stabilisce per i Nobili un capitale minimo richiesto per
l’aggregazione di 150 lire d’Estimo: si vuol allargare il requisito necessario per
l’aggregazione anche alla proprietà di beni immobili, con un capitale fruttifero
fissato al livello minimo di 15 mila scudi. Il testo approvato prevede invece una
norma più elastica, secondo la quale «in proporzione dell’Estimo saranno
considerati i capitali di Censi, Cambi, Luoghi di Monte, e Case che si affittano»
(24).
Il Cardinal Legato l’8 maggio comunica ai Consoli di Rimini che il 2 maggio
la Sacra Consulta ha approvato i «Capitoli» (25). Il 12 maggio gli stessi Consoli
scrivono alla Legazione di Ravenna per chiarire un «equivoco», e per sapere «se
la detta approvazione cada sopra i Capitoli in genere, ovvero sopra i stessi Capi-
toli moderati dalla parte del Consiglio» (26). Infatti, «mentre i Capitoli
prescrivono la possidenza di Centocinquanta Lire d’Estimo», la «Parte del
Consiglio», cioè l’aggiunta proposta, prevede «all’incontro il capitale di quindici
mille scudi». Per chiarire ogni dubbio, i Consoli chiedono l’originale del
documento inviato dalla Sacra Consulta al Cardinal Legato. Da questa lettera dei
Consoli scompare ogni accenno alla formula della valutazione del capitale
fruttifero «in proporzione dell’Estimo», quasi si volesse avanzare senza rumore il
dubbio della sua legittimità.
Per ogni aggregazione i Nobili debbono versare un «regalo al Pubblico» di
cinquecento scudi, riducibili però a trecento. Per i Cittadini la somma è fissata in
cento scudi, senza sconti. Per accedere «al grado di Consigliere nobile», occorre
avere «due gradi di onorata Civiltà, che vale a dire non abbiano mai né il Padre
(27) Il 15 marzo i Consoli di Rimini invitano Giulio Cesare Zollio (che a Roma era
agente della città: cfr. in Carteggio, busta 14, ASR) a sollecitare in proposito la
Segreteria di Stato. Zollio risponde il 29 luglio, rassicurando sui passi compiuti [AP 724,
cit.]: «Fin dallo scorso ordinario fu dalla Segreteria di Stato spedita la lettera a S. E. il
Sig. Cardinale Legato per l’approvazione della provvidenza […] per ovviare al possibile
al disordine della disuguaglianza de Matrimonj».
(28) In AP 724, cit., si trovano l’originale del Legato e copia della lettera della
Segreteria di Stato datata 10 luglio ’73.
(29) Cfr. AP 877, Atti del Consiglio Generale, 1766-1777, ASR, p. 294.
(30) Cfr. AP 545, cit., alla data 9 maggio 1792. Guido Fabri nel 1790 è stato per due
mesi «Governatore interino» di Rimini (cfr. Zanotti, Giornale, cit., tomo V, p. 80).
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(31) Ricaviamo queste notizie dalla lettera della Magistratura di Rimini allo stesso
Fabri, del 22 maggio 1792 [AP 545, cit.].
(32) Cfr. la lettera a Martinelli del 24 maggio ’92 [AP 545, cit.].
(33) Cfr. la lettera a Martinelli del 3 giugno ’92 [AP 545, cit.].
(34) Come si ricava dal cit. decreto del Legato in data 25 agosto, la Segreteria di
Stato scrive allo stesso Legato il 13 giugno.
(35) Cfr. la lettera di Martinelli ai Consoli di Rimini, datata Roma 13 giugno ’92 [AP
724, cit.], e la missiva di risposta dei Consoli a Martinelli del 17 giugno ’92 [AP 545,
cit.].
(36) Cfr. la lettera di Fabri al Capo-console Niccolò Paci, del 23 giugno ’92 [AP 724,
cit.].
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aggiungendo che esse sono relative al «piano proposto per la degradazione de’
Consiglieri», perché «non gli par conveniente, che le differenze che potessero
nascere, le dovesse esaminare, e decidere il Consiglio» (37). Martinelli, a riprova
del suo scritto, invia a Rimini copia della lettera che la Segreteria di Stato ha
inoltrato al Legato il 18 luglio (38): dal Papa si riconoscono fondati i rilievi
avanzati dal Legato stesso sull’articolo in cui si prevede l’esame «de’ casi
particolari» da parte del Consiglio civico. Quindi il Pontefice vuole che «quella
ispezione, e disamina de’ casi particolari, non al Consiglio, e neppure alla
Consulta» sia attribuita, «ma venga interamente rimessa al Cardinal Legato pro
tempore».
Per il fatto, poi, che i Consoli hanno presentato l’istanza senza «previa
intelligenza con il Consiglio», il Santo Padre «lascia al pieno» arbitrio del Legato «e
di disporre, che venga prima comunicata, e portata al Consiglio, o di approvarla
indipendentemente da tale comunicazione ne’ termini divisati», concedendogli «a
tale effetto ogni opportuna e necessaria facoltà» (39).
Il Legato il 25 luglio ordina al Governatore di Rimini «la proposizione al
Consiglio» cittadino dei «Capitoli» in oggetto, con la variazione riportata
all’articolo secondo, relativo all’esame «de’ casi particolari» che il Cardinale
riserva per sé (40). Il 28 luglio il Consiglio ascolta la lettura della missiva del
Legato del 25 luglio e degli annessi «Capitoli» nel testo riformato dallo stesso
Cardinale Colonna (41). A verbale sul registro del Consiglio (42) sono trascritti la
lettera del Legato e i proposti «Capitoli». Oggi quel verbale appare tutto annerito.
Il testo è stato uniformemente cancellato, non con segni di penna come nel ’64,
ma con una pennellata d’inchiostro. Si sono salvate soltanto alcune piccole parti
di annotazioni marginali (43).
La causa del provvedimento di cancellazione va ricercata nella necessità di
un rigoroso rispetto dell’iter giuridico. Era stata comandata dal Legato «la
proposizione al Consiglio» riminese dei «Capitoli», dato che essi erano stati inviati
a Roma dai Consoli e non dallo stesso Consiglio. Il quale ha approvato il testo non
facendone una legge, ma come proposta da sottoporre all’approvazione del
Legato. Il Cardinal Colonna nel suo decreto, prima di approvare i «Capitula», cita
le lettere della Segreteria di Stato (44) e precisa: «visa instantia Consolum […],
visa resolutione Consiliari sub die 28 mensis antedicti Iulij». Quindi i «Capitoli»
(37) Cfr. le lettere di Martinelli ai Consoli di Rimini, datate Roma 18 e 21 luglio ’92
[AP 724, cit.].
(38) Tale copia [AP 724, cit.] è allegata alla lettera datata Roma 21 luglio ’92.
(39) I Consoli rispondono a Martinelli di aver dovuto constatare con dispiacere
«l’inutilità» della loro azione per dissipare le difficoltà frapposte dal Legato: cfr. lettera
del 26 luglio ’92 [AP 545, cit.].
(40) La lettera del Legato è riportata da Zanotti nel suo Giornale, cit., alle pp. 205-
208. Cfr. sull’argomento anche la lettera dei Consoli di Rimini a Martinelli del 29 luglio
1792 [AP 545, cit.].
(41) Dallo stesso Zanotti (pag. 210 del Giornale cit.), apprendiamo che al termine
della lettura dei testi legatizii fu fatta ballottazione: con 34 voti pro e 2 contro.
(42) Cfr. AP 878, Atti del Consiglio Generale, 1788-1796, ASR, cc. 127r-128v.
(43) Ad esempio, a fianco dell’art. 2 (quello mutato dal Legato), si legge «Difform…».
(44) Oltre a quella già ricordata del 13 giugno ’92, si cita anche quella del 18 luglio
’92, la cui copia è allegata alla mentovata lettera di Martinelli ai Consoli di Rimini il 21
luglio ’92.
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sono norma di diritto soltanto dal 25 agosto, e non dal 28 luglio (45). Di qui la
necessità di farli ‘scomparire’ dagli Atti pubblici.
Il Legato, avocando a sé le decisioni per i casi futuri, allentava le tensioni
fra Nobili e Cittadini esistenti a Rimini, come testimonia un altro episodio legato
alla vita sociale della città. Nel febbraio 1786 il «Popolo di Rimini» ha denunciato
alla romana Congregazione del Buon Governo ed in copia al proprio Governatore
(46) le «superflue spese» provocate dall’usanza della Nobiltà di «trattenersi a suo
piacimento» nei locali pubblici attigui al teatro, consumando «grande quantità di
legna, lumi e mobiglie per le continue conversazioni, che dal principio della sera
durano fin due ore dopo il teatro». Spese che «ne’ conti poi vanno sotto nome di
consumi fatti per le Magistrature, Consigli, Congregazioni, e per trattare
pubblici interessi»; e che sono «fatte a spalle de Poveri, e godute da Ricchi». Nel
marzo successivo il Governatore dichiara alla Legazione di Ravenna «che il
ricorso è vero nella sostanza»: esiste «lo scialaquo che si fà da Nobili di lumi e
legna a conto della Comunità in occasione che il teatro sia aperto», ma esso è
inferiore alle cifre denunciate dal «Popolo».
La consapevolezza che i tempi stanno mutando è espressa da un altro
passaggio della lettera del Governatore di Rimini: «La Salute, la Quiete del Popolo
sono, e devono essere la legge suprema in ogni Governo ben ordinato. Questa ci
sostiene, e ci anima in questo momento a dire la verità, e a disprezzare l’odiosità
alla quale sapiamo di andare incontro nel dirla».
Quel Governatore è Luigi Brosi che il 2 febbraio ’97, quando Napoleone
riprenderà le ostilità contro lo Stato della Chiesa, fuggirà da Rimini assieme al
Vescovo Vincenzo Ferretti, mentre le più distinte e doviziose famiglie si trasferi-
ranno nei loro beni in campagna. (47)
Appendice.
«Regolamento per l’Ordine Civico.
Ai Signori Anziani di Faenza. Li 27 settembre 1796.
Il nostro Consiglio è composto di sessantadue Nobili, e diciotto cittadini: di
tre quarti cioè di quelli, e di un quarto di questi a un dipresso.
I requisiti che si esigono in un Postulante del rango civico sono la civiltà
della sua nascita, e la possidenza, giusta la pratica, di un capitale fruttifero di
diecimila scudi non compresa la casa di propria abitazione, gioje, denari,
suppelletili e simili. Per la sua aggregazione al Consiglio deve alla Comunità un
(45) Nel registro cit. AP 878, in indice si leggono due voci relative: «Capitoli della
degradazione dei Signori Consiglieri che contrassero matrimonj disuguali», «Matrimoni
disuguali dei Signori Consiglieri puniti colla privazione del Posto in Consiglio». Il testo
dei «Capitoli» al quale abbiamo fatto riferimento all’inizio di queste pagine sul caso
Carradori-Tintori, è quello riportato dal Legato nel suo decreto di approvazione del 25
agosto 1792. Il testo è riprodotto anche da Zanotti nel cit. Giornale alle pp. 210-219.
(46) Cfr. in AP 545, cit.
(47) Nota bibliografica. Dei «matrimonj disuguali» hanno brevemente riferito P.
Meldini in L’inquieta volubilità della Fortuna, «Romagna arte e storia», n. 18/1986
(«Patetici e quasi grotteschi sono i Capitoli del 25 agosto 1792», pp. 90-91); E. Pruccoli
nella prefazione alla biografia di G. Garampi, scritta da L. Tonini, Ramberti, Rimini 1987
(ove alle pp. 8-9 riprende i passi citt. del Giornale di Zanotti); e C. Casanova in Comunità
e Governo pontificio in Romagna in età moderna, Clueb, Bologna 1981 (in cui le pagine
di Zanotti e Tonini sono inserite in un più vasto contesto politico).
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