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NUMERO 31 Settimanale della Cooperativa Carta Presidente Marco Calabria Iscrizione al Tribunale di Roma

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Nello scorso numero di Carta settimanale [che rimasto in edicola tre settimane per la pausa di agosto] avevamo lavorato, non senza esitazioni nel deciderlo, attorno a una domanda: Il fascismo che ci rende tutti clandestini nuovo o antico?. Per cercare di rispondere avevamo chiesto agli storici della rivista Zapruder schede sul fascismo antico, attorno a parolechiave [autarchia, capo, partito unico, ecc.], e ai nostri amici e collaboratori [da Tonino Perna a Riccardo Petrella, ecc.] di trattare ciascuno di questi temi in una chiave attuale. Credevamo di avere un po esagerato. Finch non uscita Famiglia cristiana [ne parliamo in pagina 10], e poi qualcuno dellAssociazione nazionale magistrati, che hanno usato la parola fascismo a proposito del governo Berlusconi. Marco Revelli approfondisce la discussione.

Carta n. 30 8 agosto 2008


LE PAGINE di apertura dello speciale di 24 pagine sul fascismo postmoderno.

Unfascismo post-moderno
di Marco Revelli

mo previsto. Che cio il sistema politico italiano sarebbe uscito trasformato nel profondo dalle elezioni di aprile, era purtroppo nellordine delle cose, e non da breve tempo: per lo meno dal momento in cui la decisione di dar vita al Pd veltroniano, nella forma e con i tempi scelti nellestate del 2007, avevano decretato la fine del governo Prodi, dellalleanza che laveva fatto nascere, e progettualmente della sinistra politica in quanto tale. Questo avevamo gridato, con un estremo gesto di allarme, in occasione della manifestazione del 20 di ottobre, ultimo, disperato tentati-

HE CI SAREBBE STATO UN TERREMOTO, laveva-

Quel che non abbiamo saputo prevedere la trasformazione radicale del sistema politico, la sua degenerazione, tale da configurare un vero cambio di regime, una sorta di dittatura pi o meno dolce o consensuale

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vo di impedire che la porta blindata si chiudesse sulla nostra faccia. Questo, daltra parte, avevamo predetto alla vigilia del voto, quando era ormai evidente la curvatura apertamente oligarchica della nostra democrazia, la crisi delle forme e del principio stesso di rappresentanza, il carattere tendenzialmente dispotico della logica monopolistica che domina lo spazio sempre pi virtuale e sempre meno pubblico della politica post-novecentesca. Tutto questo era nel conto. Quello che non era previsto anche se, a ben pensarci, sarebbe stato in fondo prevedibile era la profondit di questa trasformazione strutturale del nostro sistema politico. Il grado di radicalit della sua degenerazione. Il carattere totale della sua metamorfosi, tale da configurare un vero e proprio mutamento di regime. Anzi, laffermarsi di quello che in linguaggio comune si chiama un regime, per intendere con ci una forma di governo non pi democratica. Una sorta di dittatura, o di dispotismo pi o meno mascherato, pi o meno dolce, pi o meno consensuale. Insomma, un ritorno ciclico della cattiva vocazione italiana alla perversione politica, una nuova oscillazione del pendolo verso il peggio, a rivisitare

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avanti e di apertura in forma altrettanto radicale, funzionando da laboratorio di forme pi compiute di partecipazione e di democrazia. La Resistenza e il Sessantotto [soprattutto il suo seguito] appartengono a questo secondo versante del pendolo. Il fascismo storico al primo. Si potrebbe anche dire che quando gli enzimi democratici delluna vocazione, quando la forza propulsiva dello spirito di partecipazione e di lotta si attenuano e si spengono, quando per qualche ragione lanima ribelle e libertaria viene messa a tacere, la seconda, pi profonda, pi radicata vocazione a riemergere e a prevalere, quasi per una sorta di legge storica. Cos avvenuto con il post-Risorgimento, quando lassoggettamento degli spiriti mazziniani e garibaldini alla logica implacabile della burocrazia sabauda, e poi alla parlamentarizzazione degradata della sinistra storica, da una parte, o, dallaltra, la loro successiva riconversione alle velleit nazionalistiche e imperialistiche crispine apr la strada al fascismo.

LItalia usa, nella storia, a rielaborare al peggio i veleni accumulati nellaria dalla crisi generali, facendoli precipitare in composti autoritari

le zone pi oscure della nostra storia. Diciamolo pure, fuor di eufemismo: a ricadere nella tentazione fascista. Di un fascismo rivisitato, certo, mimetizzato e dissimulato [ma neanche tanto, a vedere i diversi personaggi che affollano larea di governo]. Un fascismo post-moderno, segnato dalla virtualit propria del tempo, senza il mascellone del duce e con il sorriso e 65 denti del guitto nazionale, dove lorbace da caserma sostituito dal blazer aziendale e lincendio delle case del popolo si rivela ormai superato avendo esse chiuso spontaneamente i battenti da tempo in assenza di popolo, n lolio di ricino si rende pi necessario per mettere a tacere avversari nei cui confronti basta staccare la spina televisiva o lattenzione mediatica. In fondo, non dimentichiamolo, lItalia usa - in tempi eccezionali e regressivi, in presenza di sconnessioni storiche epocali - ad interpretare a modo suo lo spirito del tempo producendo orrori politico-sociali ed esportandoli nel mondo. Rielaborare al peggio i veleni accumulati nellaria dalle crisi generali facendoli precipitare in composti aggressivi e autoritari. Cos come, simmetricamente, si rivelata capace di interpretare i momenti progressivi [chiamiamoli cos] di slancio in

Cos avvenuto in forme sicuramente meno drammatiche e radicali, senza unesplicita fuoriuscita dal quadro della democrazia formale - nel lungo periodo post-Liberazione, quando la sconfitta della rivoluzione democratica teorizzata dal Partito dAzione e da una parte del movimento operaio e il suo riassorbimento nella logica del realismo togliattiano, con la conseguente dura, coriacea riaffermazione della continuit del vecchio Stato-apparato, produssero un decennio di centrismo, di confessionalismo e di egemonismo democristiano culminato con lo sfiorato tentativo di sfondamento anti-democratico del governo Tambroni nel luglio 60. E cos, infine, pu essere letto lesito della lunga coda del Sessantotto quando la tenaglia della chiusura istituzionale intorno alle maggioranze bulgare dellunit nazionale, da una parte, e la minoritaria ma micidiale tentazione terroristica, dallaltra, ne disseccarono lanima libertaria e antiautoritaria determinando prima la

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deriva verso ledonismo possessivo degli anni ottanta, poi lapprodo al berlusconismo negli anni novanta. Ora, la generale crisi di sistema che attraversa lintero Occidente e che qui morde pi a fondo, sembra accelerare il processo. Sembra accentuare lo spostamento del pendolo verso destra, per cos dire. O, forse pi realisticamente, verso la vecchia vocazione italiana alla perversione politica. Daltra parte Piero Gobetti, gi nel 1922, con intuizione folgorante, aveva definito il fascismo come lautobiografia della nazione: il punto basso in cui la vicenda italiana di lunga durata trovava la sua drammatica verit, rivelando lesito estremo dei suoi vizi storici. Il portato di tutte le sue fragilit, dei troppi buchi neri della sua formazione come moderno Stato nazionale: lassenza catastrofica di rotture - fossero esse la Riforma protestante o la Rivoluzione borghese -, e la conseguente diseducazione alla lotta politica e alla pratica della libert pubblica, il gusto patologico per lunanimismo e il servilismo, la permanente tentazione ministerialistica, lossequio per i potenti e il timore delle posizioni tenute con orgoglio, la faciloneria e la vulnerabilit alla retorica. Da un popolo di dannunziani scriveva non ci si poteva aspettare al-

ni pi aggiornati, e calzanti, anche per esprimere laberrante e il perverso in politica. Ma, appunto, la miseria del lessico fa tuttuno con la miseria della sostanza politica, nel nostro tempo. E tanto vale non sottilizzare troppo sui termini. Quel che conta la sostanza. E la sostanza attuale che siamo fuoriusciti ormai pienamente dal paradigma politico costituzionale che ha dominato la seconda met del Novecento. Che sono finite anche le diverse e successive Repubbliche la Prima Repubblica, la discussissima e discutibilissima Seconda Repubblica, forse, come per le Internazionali, anche una Repubblica due e mezzo, a indicare la terra di nessuno istituzionale seguita al fallimento della riforma elettorale del 93. Che ne siamo usciti perch si consumata una discontinuit radicale. Perch ormai, dentro linvolucro sempre pi estenuato delle apparenti vecchie regole, opera gi una sostanza politico-istituzionale qualita-

Cesare Garboli ha scritto: litaliano, appena scopre la patria, diventa fascista, se smette di ribellarsi precipita nel culto del capo

tro che quella disoccupazione dello spirito. Di quella tragica, e violenta, fiera da strapaese. Allo stesso modo Cesare Garboli, allaltro capo della parabola, alla fine del secolo breve, in un testo straordinario per passione civile e per tensione morale, Scritti tristi e civili, dichiarer allimprovviso, nel tracciare il ritratto della palude morale in cui si era impantanato il paese dopo gli anni ottanta, che gli italiani non sono come gli altri popoli, come i francesi ad esempio, che pur dichiarandosi francesi restano parte dellumanit. Litaliano affermava appena scopre la patria diventa fascista. E coglieva, con la sensibilit anche estetica che gli era propria, un tratto assoluto di verit in questa vocazione nazionale anarcoide, che non appena perde il gusto della ribellione e scopre il valore della disciplina precipita nel culto del capo, e nella sindrome fascistoide. So bene che parlare di regime cosa dura, e impegnativa. E che levocazione del termine fascista stata riproposta troppe volte nel mezzo secolo che ci sta alle spalle, per non apparire irrimediabilmente svalutata. Sarebbe certo molto meglio poter disporre di termi-

tivamente altra rispetto a quella propria delle democrazie novecentesche, la quale trova in unantropologia sociale ormai pienamente modificata un inedito fondamento. Le manca, rispetto a quelle, non solo loperativit di uno straccio almeno di principio di rappresentanza [di responsabilit di mandato], ma anche quel minimo di pluralismo competitivo che persino le meno esigenti scuole politologiche richiedono per la certificazione democratica di una forma di governo, e lesistenza di un sociale animato da cleavages da fratture o contrapposizioni riconoscibili e riconosciute, capaci di incarnarsi in programmi politici differenziati e conflittuali. Tutto questo manca, nel panorama emerso dallaprile italiano. E non solo, o comunque non tanto, per la scomparsa delle sinistra radicale dallarena parlamentare e dal panorama politico-mediatico italiano: per la fine di un soggetto che aveva segnato pressoch tutti i sei decenni successivi allavvento della Repubblica [il che costituisce senza dubbio un fatto sconvolgente,

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ma di per s non sufficiente per decretare la mutazione genetica del sistema politico e la sua involuzione in regime] quanto piuttosto per lestinzione di ogni principio di opposizione dal nostro universo politico. Per la chiusura dellorizzonte politico-istituzionale italiano intorno a un modello unico di governo il quale non contempla n alternativa n alternanza [la battuta di Berlusconi sullopposizione che o si aggrega o niente, fuori, la dice lunga]. Che si alimenta e si legittima con una sorta di unanimismo non dichiarato. LItalia cade nel proprio peggiore passato perch non pi riconoscibile, nel suo spazio pubblico e nella sua stessa rappresentazione politica, la presenza di unaltra Italia, di una dimensione dellagire politico diversa da quella dominante. I provvedimenti governativi di queste settimane, lo stile di governance che il terzo governo Berlusconi ha inaugurato, ne sono una dimostrazione lampante. Assolutistica nella sostanza, con la riproposizione di una forma della sovranit legibus soluta, priva di controllo di legalit, sprezzante dei principi fondamentali della Costituzione, primo fra tutti del principio di eguaglianza, e di alcuni dei fondamentali diritti delluomo. la negazione dei valori essenziali del-

nitarie, dal socialismo ottocentesco alla dottrina sociale della chiesa -, che aveva in qualche misura impastato la nostra cultura mediterranea, e che viene travolto, oggi, e seppellito sotto londata di cinismo di massa, di egoismo collettivo, di ostilit incapace di condivisione e di solidariet che il nuovo secolo ha portato con s. un sentimento nuovo. Per molti aspetti inedito, inconfrontabile con gli antichi rancori delle classi popolari. Con la stessa invidia sociale e il nietzscheano ressentiment. un odio pi freddo, in qualche misura un rancore da ricchi, non di chi non ha nulla da sperare e nulla da perdere, ma tipico di chi ha sperimentato il possesso e linclusione, e ora teme di cader fuori. Di perdere qualcosa di pi delle proprie catene. Non lostilit dellescluso, ricorda piuttosto la paura dellincluso il quale avverte il declassamento. La vertigine della perdita. Esattamente come,

Un rancore da ricchi: chi ha sperimentato il possesso e ora teme di cader fuori, proprio come il ceto medio degli anni venti.

la modernit politica affermata con ragioni e motivazioni ipermoderne. il ritorno alle pi viete forme dellancien rgime realizzato con gli statuti efficientistici e pragmatici della razionalit strumentale. Passato remoto coniugato con futuro anteriore dentro le coordinate di un pessimo presente: sono esattamente gli ingredienti della sindrome fascista della prima met del secolo. La forma perversa della gestione autoritaria e disumana del multiversum temporale. Il tutto reso possibile dal silenzio fragoroso di quella forza politica che, nata con esplicita vocazione egemonica, dalla dichiarata volont di mediazione e di connubio con larcipelago berlusconiano, ha espunto fin dal proprio atto genetico lidea stessa dellopposizione e sconfitta - non trova di meglio che identificarsi e mimetizzarsi con i vincitori sciogliendosi nel senso comune dominante. Ma soprattutto reso possibile da uninedita adesione pi o meno passiva della societ. Da una resa pesante, angosciante, di quel comune sentire sociale prodotto di unaccumulazione lunga, capillare, di sentimenti popolari generati da una pluralit di culture uma-

appunto, il ceto medio degli anni venti nel suo processo di caduta sociale e di revanche nazionalistica e razzistica nel suo come fu definito dalla sociologia politica estremismo di centro. questa potenziale base sociale del regime questo assembramento di sradicati, ed ex-benestanti veri o presunti, di benpensanti a rischio di impoverimento - lala marciante di una possibile nuova barbarie che va facendo in queste settimane le proprie prove generali. Occorrer riconoscerlo per tempo, questo pericolo, ed elaborare in fretta gli antidoti per combatterlo, questo male inedito, per cui la nostra storia recente non ha provveduto gli anticorpi. O quel sociale a cui abbiamo tante volte guardato come risorsa salvifica ci si rigirer contro, tagliando anche quellestremo lembo di territorio comune che ancora ci lega a questo paese e ai suoi destini politici. SU WWW.CARTA.ORG TUTTI I TESTI SUL FASCISMO POSTMODERNO DEL N. 30 DI CARTA.

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