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Identit e solitudine Sullessenza nascosta della scrittura Blanchot Celan Kafka Pessoa Wilcock

Frei aber einmal Joseph Joachim Che il legame tra la scrittura e la solitudine sia essenziale per ambedue le situazioni, che esse scrittura e solitudine siano delle situazioni in senso forte legate tra loro da una determinazione comune, e che infine si ponga in evidenza soltanto grazie a questo legame la natura nascosta e profonda delle due situazioni stesse, ebbene, tutto questo costituisce il nodo concettuale che qui ora cercheremo di sciogliere. chiaro che la semplice descrizione del fatto di scrivere non pu in s rendere conto, per il senso comune, dellessenza di tale fatto, laddove invece sembrerebbe meno scontato, per quello stesso senso comune, che non possa bastare una qualsiasi descrizione della solitudine per assolvere al compito di chiudere i conti con la sua essenza. Eppure si tratterebbe, a proposito delluso a fini esplicativi e rigorosi di tali descrizioni, di oltrepassare in ambedue i casi le sintesi pi scontate loro connesse (quelle che a nessuno verrebbe in mente di porre in discussione in quanto parrebbero troppo evidenti), poich in tali descrizioni un buon metodo danalisi preventiva scoprirebbe quanto in esse giace inesplorato, non visto, vissuto s ma non riflettuto, sofferto ma non compreso, goduto ma non comunicato. Che fare? Lessenza si nasconde? Certamente. Ma non si nasconde sempre e necessariamente dove non sia possibile raggiungerla se non a prezzo di lunghe ricerche: infatti a volte si manifesta in superficie in una tale prossimit coi nostri sensi, il nostro cuore e il nostro intelletto che, in verit, dobbiamo riconoscere che la guardiamo quotidianamente dovunque e sempre ma non la vediamo davvero; appunto: ne viviamo le manifestazioni ma non vi sappiamo riflettere. Cos, normalmente, lessenza ci sfugge. E qui ora affermiamo che, normalmente, ci sfuggono appunto lessenza della scrittura, e quella della solitudine. Blanchot (con leggenda sartriana) stato per primo Maurice Blanchot a distinguere tra solitudine esistenziale e solitudine essenziale, e sempre lui per primo ha posto la necessit di sciogliere lormai classico dogma teoretico riguardante il problema del senso dellesserci riflettendo esplicitamente sul legame tra solitudine e scrittura. Certamente, alle spalle Blanchot aveva tutta la grande tradizione filosofica e letteraria postnietzscheana, da Dostoevskij a Kafka, da Rilke a Mallarm, da Heidegger a Sartre, ma il suo merito indiscutibile stato quello di aver portato alla luce, attraverso un legame fino l considerato per lo pi di carattere semplicemente esistenziale, unintimit essenziale tra due situazioni che guadagnano la loro rispettiva comprensione proprio grazie alla reciprocit dei loro vissuti sottoposti a riflessione. proprio questa intimit tra scrittura e solitudine che in grado di liberare delle conseguenze imprevedibili su piani di pensiero apparentemente altri da ci che, agli occhi talvolta un po troppo miopi della tradizione intellettuale occidentale, apparirebbe chiaro fin da subito, ovvero, che il fatto di scrivere, in quanto indiscutibile fatto di comunicazione, non abbia nulla da dire al fatto della solitudine, esatto opposto, secondo questa ottica, del precedente fatto. Ebbene, la fatticit di tali fatti in verit si rivela piuttosto la fattualit di altrettanti farsi: si vuole, con questa presa di distanza lessicale, far notare che ambedue questi fatti in realt hanno senso, e ne producono rispetto ad altri piani di pensiero, nella misura in cui vengono retrospettivamente assunti come farsi di un fare: la fatticit indeclinabile rappresenterebbe cos una fattualit altamente problematica, in cui la questione della comunicazione che caratterizzerebbe senza resti luna (la scrittura) e segnerebbe della propria assenza statutaria laltra (la solitudine), invece pervaderebbe, secondo segni ancora tutti da interpretare, la pienezza un po troppo arrogante delluna e il vuoto un po troppo retorico dellaltra. Con tutte queste prime considerazioni, allora, non dobbiamo meravigliarci di cogliere, nel dramma fecondo di chi solo e scrive, spunti di natura teoretica ed etica; e di cogliere questi ultimi, inoltre, per quel tanto che siamo convinti (con Lvinas) che non si d essere senza alterit, e che anzi la primariet del pensiero di natura etica. Una descrizione banale, che va per decifrata correttamente contro il senso comune, riguarda, per esempio, Jean-Paul Sartre, colto (dalla leggenda giornalistica) infinite volte al tavolino di un bar ( Deux Magots, Flore) del Boulevard Saint-Germain a Parigi con la penna in mano, intento, pi che a consumare aperitivi o a chiacchierare, a scrivere. Simone de Beauvoir ci racconta, dal canto suo, del furore

scritturale(1) che prendeva Sartre durante la stesura di Les Communistes et la paix e di Critique de la raison dialectique: non cera, in quei giorni, momento della giornata, della notte, o luogo, privato o pubblico, in cui lo scrivente potesse smettere di scrivere se non per ubbidire ai pi elementari bisogni naturali, sonno escluso, peraltro. Come interpretare tutto ci? da che cosa preso lo scrivente in casi del genere? Non serve forse rispondere a questa domanda, anche perch chi lha fatto, come Platone, e lha fatto gi tanto tempo fa rispetto alle tradizionali modalit orfiche di scrittura dei poeti, ha mobilitato per i poeti forze non controllabili dalla ragione, e dunque forze mitiche, ispirazioni divine, tutte egualmente inutili ai fini della definizione dellumano, dellumana situazione facente capo allumanissimo atto di scrittura. Serve invece assumere in piena coscienza critica la situazione di apparente debolezza razionale manifestata dallo scrivente e cogliere in essa un elemento spaesante: infatti, la detemporalizzazione, la delocalizzazione, cui sopra si accennava rispetto alla leggenda del Sartre scrivente hanno in comune lelemento della destrutturazione della normalit esperienziale, questultima infatti, riguardante per lo pi colui che non scrive, non ha bisogno di scrivere come capit a colui che lo fece nel modo che s voluto esemplificare mediante licona sartriana. Chi scrive, dunque, sospende il mondo, il mondo in quanto luogo della normalit desperienza, in cui la scansione dei momenti temporali, colmati di ci che accomuna i viventi (il sonno con la notte, il cibo con il giorno ecc.), e la comprensione relazionale dei luoghi che fanno la nostra vita una vita sociale (il bar dove si consuma e si chiacchiera, ad esempio) saltano o esplodono rivelando lalta quota di convenzionalit che soffoca dabitudini lorganizzazione pur necessaria del nostro quotidiano commercio col mondo di tutti. Qui, esattamente qui, in questo primo timido rivelarsi in superficie dellessenza della scrittura, fa capolino insieme lessenza della solitudine, o meglio, quella che si potrebbe nominare blanchotianamente come la solitudine essenziale(2). Infatti, in situazioni come questa sartriana, non si danno drammi, non maturano sofferenze, la cui deriva di solitudine sia essa loro causa o loro effetto apparterrebbe ad un piano dellesperienza altro da quello qui illustrato. Blanchot ha chiarito senza equivoci la netta differenza di questultima solitudine, per cos dire esistenziale, dallessenzialit della solitudine di cui sintende invece qui trattare. Con un avvertimento per, che forse in Blanchot non compare col dovuto rilievo: in ogni caso, la solitudine che abbiamo chiamato essenziale fa da fondamento neutro di questa solitudine di sofferenza, fino al punto che questultima trova poi la propria ragione soltanto sulla base della prima, sulla base della solitudine dessenza, cosicch si pu dire che latto di scrivere, grazie alla solitudine essenziale che in lei si rivela, si apre ad una generalit esistenziale e in tal modo ad un oltrepassamento del piano di riflessione, apparentemente limitato al fatto nudo e crudo di scrivere, in direzione, a questo punto (e come si accennava poco sopra), prioritariamente etica. Chi scrive, in fondo, vive (nel mondo) come se ne fosse fuori (nella sospensione spaziotemporale sopra descritta), nel senso che il suo esserne fuori il modo eminente per esservi invece conficcato fin nel profondo, nellessenza (del mondo) che non si rivela se non nellesperienza radicale dellalterit che lessenza della scrittura, dunque, in grado di rivelare come il segreto custodito nel farsi della scrittura stessa. Chi scrive, allora, chi pone se stesso nella scrittura, e alla scrittura, rivela niente meno che il mondo, esso che nella sua essenza alterit radicale, cosicch lo scrivente, per porsi in questo modo, deve poter diventare estraneo a se stesso, ovvero al mondo stesso che, normalmente, anche lo scrivente vive e rappresenta insieme a tutti gli altri. La lettura dellesperienza sartriana di scrittura sopra accennata, al di l dellaneddoto insignificante che sembra rappresentare, rende evidente, invece, nel farsi della scrittura, la reciprocit di senso tra il fatto di scrivere e il fatto di essere soli in mezzo alla folla, e anche: rende evidente che soltanto attraverso tale reciprocit si d senso, si produce senso, laddove infine la produzione del senso, presupponendo la sua messa in scena (o prima o poi), configura fatalmente ambedue le esperienze (scrittura, solitudine) come esperienze primariamente etiche. LIo disseminato: Celan, Kafka, Pessoa In fondo, chi solo si trova ad avere a che fare in modo altamente problematico prima di tutto con la propria identit. Con la propria, in prima istanza, e insieme, o subito dopo, con laltrui: chi sono io? chi sei tu? la scrittura delluomo che scrive a chi appartiene? Le domande appena formulate qui attraverso la mediazione teoretica di Gadamer( 3) hanno riguardato nella sua dolorosa interezza (questa volta il grado zero della solitudine essenziale incontra senza residui

il dolore supremo della solitudine esistenziale) la vita e i versi del poeta di lingua tedesca Paul Celan. Di fronte allessenza che si scrive, che scrive se stessa, e che dunque pu (pur potendo fare diversamente), come insegna il caso di Celan, scrivere il dolore, di fronte allessenza, dunque, la scrittura, scrivendosi, allenta la presa egologica di colui che la scrive e cos facendo ne indebolisce per cos dire larroganza identitaria, quella che lo invita maliziosamente a dire Io, a sostanzializzarsi, e lo disloca attraverso il linguaggio nellaltrove: nellaltrove dellessenza. L, il paesaggio che la parola poetica descrive appare sovente, per locchio dellabitudine percettiva, avvolto nella nebbia, illuminato al pi di luce aurorale o dombre crepuscolari, cosicch lo sguardo normale si perde subito, non distingue, non comprende: lesperienza di lettura della poesia contemporanea, infatti, rivela limpotenza, da parte sua, a leggere le cose del mondo secondo normalit, poich la normalit percettiva, sempre del tutto socializzata e socializzante, ha lasciato da molto tempo il posto alleccezionalit percettiva, collegata, anche per questo, ad una solitudine radicale per chi la fruisce, in cui ci che si esperimenta nel verso che si scrive e che si legge taglia fuori chiunque non accetti provvisoriamente di sospendere le cose del mondo e le loro relazioni, cos come quella stessa abitudine lo invita quotidianamente a interpretare. Altrimenti il poeta (non solo Celan, qualsiasi poeta oggi intenda scrivere) dovrebbe ancora oggi scriverecome, dovrebbe cio trovare il suo riferimento non nelle verticalit stilistiche che lo hanno preceduto, da Baudelaire in poi, o nelle forme assunte dai contenuti, peraltro sempre uguali e sempre diversi, che langoscia e la gioia suggeriscono a chi decide la sorte della propria scrittura poetica, ma nellubbidienza ad una scuola, ad un ordine del discorso da considerarsi insormontabile in quanto normativo, e dovrebbe in tal modo vietarsi di essere attraverso i propri versi quello che invece e ritiene di dover essere, ovvero, dovrebbe rinunciare al viaggio percettivo e linguistico straordinario che per quanta incertezza lo possa minacciare sarebbe pur sempre e prima di tutto il suo viaggio, descritto con le sue parole, poich i paesaggi (cose, situazioni, persone, situazioni, e le loro relazioni) e gli orizzonti toccati sono sempre di tutti e di nessuno, vero, ma intanto (per quel tanto che scrive) sono provvisoriamente i suoi, e soltanto suoi di scrivente (o di lettore). Il tipo didentit che si va cos formando attraverso le parole che descrivono tutto ci che, oggi, lo scrivente vede, non si pu pi sostanzializzare dicendo Io, bens si decostruisce dicendo S, ossia dice ci che ogni Io, pur senza rendersene conto, custodisce con la massima cura quello stesso S che, filtrato nelle sue fibre pi segrete attraverso le parole che mi appartengono (cui lIo appartiene), costituisce lunica autentica apertura al Tu, al Tu come parte del S che sono, o forse al S tout court, nodo indistinto desperienza identitaria in cui lIo e il Tu si coappartengono, dislocati nel fuori che li fa incontrare. Lesperienza di Celan, della scrittura di Celan, costituisce una paradigmatica esperienza di solitudine essenziale nella misura in cui ha saputo e potuto, nella pi grande sofferenza esistenziale, tradursi in scrittura(4), in essenza di scrittura in cui lIo, nel S, incontra lAltro. Proviamo a guardare da un altro punto di vista lincontro tra scrittura e solitudine descrivendo, questa volta, il caso di Franz Kafka. E domandiamoci: perch Kafka scrive? perch Kafka un uomo solo al punto da costituire, per certa critica contemporanea, una sorta di modello di solitudine esistenziale? Alla seconda domanda risponde Marthe Robert(5) che, cos facendo, d risposta anche alla prima domanda, se si assume come mediazione il tema che serve alla Robert per impostare la risposta alla seconda. Kafka, si direbbe con estrema sintesi, ha perso fin dai primi anni dellet della ragione la fede (e la pratica) della sua ideologia religiosa di riferimento (lebraismo tradizionale dellEuropa orientale); come una sorta di effetto di tale perdita, o rinuncia, sta il progressivo emergere nella sua coscienza di una scissione esistenziale di base (quella con la figura del padre, da assumersi provvisoriamente come un tramite, magari troppo facilmente manipolabile come lettura psicoanalitica, dellautorit, pi che dellautorevolezza, di quellideologia) subito tradotta sul piano essenziale in separazione incolmabile, in solitudine profonda (e anche qui estremamente dolorosa) vissuta come una natura, una dannazione, un vuoto incolmabile che dilaga dalla relazione col padre, attraverso il Nome del Padre, a qualsivoglia altra relazione (con la donna, la professione, la societ civile, letnia dappartenenza storica). E la scrittura? la scrittura kafkiana? la scrittura per la quale ha conquistato la fama (postuma)? semplice testimonianza, esistenziale anchessa? Non possibile, in casi straordinari come questo di Kafka (Kafka non Zeno Cosini, o non soltanto quello che questo personaggio rappresenta): la scrittura, infatti, di per s non testimonia nulla, tuttal pi la scrittura qui sostituisce la comunit che non c, la comunicazione che non comunica (n intende

farlo). La scrittura qui il fantasma della solitudine essenziale conquistata col dolore di un parricidio emotivo (e immaginato?) e quindi col dolore che ne consegue, ma subito, anche e soprattutto, la scrittura un fantasma benefico, non tanto e non solo consolatorio, ma ben di pi: la scrittura come datrice di senso(6), costruttrice di unidentit che, per quanto lacerata, sa farsi carico della propria esperienza di parola terribile, di comunicazione disperata, totalmente implicita per quanto riguarda il destinatario, ma non per questo meno efficace sul piano dellintenzione per quanto riguarda il mittente. La volont, in Kafka, di distruggere tutto il proprio lavoro sulla soglia della morte, laffidamento del compito allamico Max Brod, la mancata esecuzione dello stesso da parte di Brod (che tradisce il mandato dellamico nel nome di una qualit di scrittura e di pensiero che non pu andare perduta nel nome, dunque, della Letteratura in qualit di valore universale, insomma, di ideologia, di un dogma che apparve a Brod indiscutibile come una fede), tutto questo equivale alledificazione di una mitologia scritturale tutta novecentesca, allinsegna di un nichilismo esistenziale ed etico particolarmente esemplare di quella categoria dellincertezza identitaria( 7) che lascia chi solo nella propria solitudine, ignorata da tutti, e chi scrive dentro la sua scrittura, che nessuno legge, come se la cancellazione di un qualsiasi orizzonte di salvezza impedisse per sempre la comunicazione essenziale tra le due situazioni (in questo si riconosce ne va dato merito a Brod il tentativo da parte sua di provvisorio superamento dellaporia: aver salvato gli scritti di Kafka significa aver concesso al suo messaggio esistenziale di diventare messaggio essenziale, e quindi di aver consentito quel collegamento pi generale tra scrittura e solitudine che la distruzione dei suoi romanzi incompiuti, dei suoi racconti monchi e abbozzati, delle sue lettere e dei suoi diari avrebbe indubbiamente cancellato per molti decenni dal quadro delle possibilit di pensiero radicale del nostro tempo). Che dire infine dello scrittore anagraficamente disseminato? Ma questa volta non ci riferiamo a Kafka, che per Brod e per pochi altri nella Praga del primo Novecento era in fin dei conti Franz Kafka, unentit anagraficamente precisa, chiusa entro limiti burocraticamente definiti e indubitabili, che dunque era, come si suole dire, se stesso (e forse lo era anche per se stesso, non solo per gli altri, quando comunicava nella vita quotidiana del suo ufficio), era qualcuno, era un Io oltre che un S; la sua disseminazione identitaria, insomma, appariva pi che altro la minaccia di un risultato non lucidamente cercato, collegato alla scissione originaria di cui s detto poco sopra pi che leffetto volontario di una scelta. Ora, per illustrare invece questa nuova situazione, ci dobbiamo riferire al caso di Fernando Pessoa. Fernando Pessoa, infatti, probabilmente non esistito, se con questo termine esistenza ci si riferisce a un Io dotato almeno dei tratti pertinenti appena ricordati nel delineare il personaggio Kafka. Chi era infatti Fernando Pessoa? Lelenco dei venti e pi pseudonimi( 8) che siglano in calce le sue opere ci consente di tratteggiarne lassoluta, programmatica incertezza identitaria, testimoniata inoltre dagli aneddoti della sua vita e rafforzata, nellopera, dalle autobiografie che a tali numerosi pseudonimi vengono attribuite da quello stesso scrivente che ve le attribu( 9). E allora domandiamoci: che ne della solitudine per un Io cos poco socialmente certificato della propria identit? E che cosa significa per uno scrivente del genere latto di scrivere? Il legame istituito fino qui tra lessenza della solitudine e quella della scrittura conquista con Pessoa un tratto sicuro: la sospensione del mondo diventa la sospensione radicale dellIo , che nel mondo, per lo pi e soprattutto, rinviene la garanzia della propria identit statutaria(10). La sua Lisbona (il suo mondo di riferimento e delezione, oltre che il luogo di vita e di nascita del Pessoa anagrafico) reale come vuole la sua scrittura, e come lo la sua incerta identit, ovvero una citt del mondo, la citt del mondo, il mondo ridotto alle dimensioni di una citt, lagostiniana citt del mondo, senza che essa per possa confrontarsi, per opposizione o per emulazione, ad una corrispondente citt di Dio. Cos, essere soli in una citt del genere equivale ad essere soli al mondo, soli di fronte alla totalit che chiamiamo mondo, ed essere soli in questo modo significa per lo scrivente Pessoa colmarsi per compensazione di quel S in cui lIo e il Tu trovano la loro prima e ultima conciliazione, la risoluzione di tutti i loro conflitti, la cifra pacificata del loro destino di comunanza inconfessata: e resa esplicita attraverso la Letteratura, ovvero, attraverso linvenzione di un mondo. Ma anche: essere soli in una citt del genere possibile soltanto se si scrittori, se il destino di comunanza inconfessata trova, nelle parole che ne danno conto, il deposito dellerranza del suo senso, e nellordine delle parole sottoposte allinvenzione di un discorso cos essenziale la testimonianza (in questo caso si deve usare questo termine poco sopra diffidato) di una solitudine privilegiata e dannata

al tempo stesso, privilegiata nei suoi onori, perch le si riconosce il lusso della grande Letteratura, lesemplarit di una penna unica e inimitabile ma dannata, perch la sua manifestazione coincide con la perdita secca della normalit identitaria, di unanagrafe certificata che possa firmare serenamente il lavoro svolto col proprio nome. Quale nome di persona, dunque, una solitudine del genere pu permettersi? Nessuno e tutti oppure, ed il caso di Pessoa, quei pochi, tutti veri e tutti falsi, tutte personae, maschere appunto, che basteranno a coprire il lavoro scritturale di una vita intensa ma breve, disseminata eppure sottilmente uguale a se stessa (se si hanno occhi buoni per leggere in profondit in quelle autobiografie) ( 11). La parola morte: J. Rodolfo Wilcock Quando si va a caccia della solitudine essenziale, e se ne rinviene il legame con latto di scrittura, sincontra in fretta lenigma, la parola dellenigma pi inquietante, la parola della morte. Nel Novecento la parola della morte ha trovato il suo interlocutore primo e pi autorevole in Martin Heidegger, in Essere e tempo(12). Ma qui ora lo chiariamo subito si vorrebbe assumere piuttosto lateralmente il pensiero di questo inevitabile protagonista del pensiero dei tempi recenti, e sottolineare invece il fatto che non si tratterebbe in s e per s di fare nostro il tema della morte cos come una vulgata heideggeriana diffusa ce lha tramandato, quanto di far emergere con cura il fatto che qui abbiamo a che fare con la parola morte. La parola che nomina la morte, naturalmente, non la morte: il che non abbastanza lapalissiano, in fin dei conti. Martin Heidegger, infatti, anche se di fatto non lha mai conosciuto, potrebbe in una geografia immaginaria incontrarsi (e incuriosirsi rispetto a quanto ha scritto) col poeta italoargentino J. Rodolfo Wilcock, che ha titolato La parola morte una delle sue raccolte di versi pi note e pi estreme sul piano della riuscita, sottolineando con tale titolo i limiti, per cos dire nominalistici prima che poetici, del suo campo dindagine. Il binomio con cui avevamo iniziato a riflettere (solitudine, scrittura) si in tal modo complicato: lessenza dello scrivere aveva incontrato subito lessenza della solitudine, e lessenza della solitudine, riflessa dalla scrittura, trova ora il suo apice di senso nel fatto che si deve morire, e che sono Io, sei Tu che deve morire, e che il dover morire trova nella parola che lo riguarda il senso, per quanto oscuro e provvisorio, della propria espressione; il binomio in oggetto, quindi, ora diventato un trinomio (solitudine, scrittura, morte). Partiamo, nella conduzione dellanalisi, da una sintesi provvisoria, presente come titolo nella fortunata formula di un testo famoso del sociologo Norbert Elias: la solitudine del morente(13). Aggiungiamo per, affiancandola, alla formula di Elias questaltra dicitura che nel suo testo non prevista: linettitudine del morente. Infatti chi muore, e muore nella sua solitudine di morente, non serve al mondo dei fatti e dellagire, n da esso servito, diventa inutile al mondo: chi muore fuori, altro dalloperosit, e nella sua inoperosit reincontra quella stessa sospensione che avevamo gi illustrato riguardo allessenza della scrittura, come se il morente e lo scrivente intrattenessero davvero una qualche enigmatica (o soltanto imprevedibile) corrispondenza nel nome dellassenza dellagire, o nel nome di un agire inerte, a mezzo tra passivit e attivit, dato che scrivere pur sempre un agire, e la morienza(14), il farsi del morente, pur sempre un vivere. Cos la solitudine del morente, vista da questa prospettiva, in essenza una sospensione in cui non resta a significare, a fare senso(15) come ultima possibilit umana, altro che la parola, o la sua debolezza a fronte magari di una volont decisa a parlare ma impedita dalle circostanze esterne a proferire, o la sua assenza desiderata intenzionalmente, o infine la sua assenza dipendente da una degenerazione funzionale a pensare, a parlare, a comunicare. La solitudine del morente la solitudine di chi non pu pi ricorrere alla parola per comporre il proprio senso attivo sul mondo, o se lo pu lo pu soltanto in termini di definitivit, di ultimit: poich lopera di chi scrive esige proprio questo, come se lo scrivente ogni volta che scrive si trovasse in analogia con chi in punto di morte, ed esigesse questo per ogni elemento che costituisce lintero dellopera, per la pi umile delle parole come per il pi insignificante dei segni grafici o per quellordine del discorso (e non un altro) nel verso del poeta e nella frase del prosatore: quellordine, quel termine, quella virgola posta l e non altrove: ultimit della parola dello scrivente, del morente, solitudine, infine, come ultima parola sulla Croce. Ecco, forse il grande locus communis medievale delle sette ultime parole del Cristo sulla Croce la grande metafora sia delluomo che vive una vita alla incessante ricerca del suo senso, e si trova in punto di morte a renderne conto, sia dello scrittore che continua a scrivere alla ricerca angosciosa di un orizzonte che gli consenta di segnare il punto, esistenziale e grafico al tempo stesso, della fine della sua

scrittura incessante, per poter vivere poi anche lui come tutti gli altri, trasferendo la possibilit di senso dalla pagina non pi scritta alla vita finalmente vissuta fuori dalla pagina. In fin dei conti, la parola morte che cosa ci comunica? che cosa descrive? di che cosa segno? Nemmeno la pi astratta delle parole cos vuota, nemmeno la parola che indica il vuoto vuota come la parola morte. Wilcock, allora, immagina che nellordine casuale e giusto di tutti i vocaboli del mondo sia mancata la parola morte, cosicch la cosa (la divinit?) che ce li aveva messi nelluniverso affinch esso acquistasse senso uscendo dal caos, proprio lei, demiurgo distratto, se lera dimenticata da qualche parte, cosicch come le altre [parole] si perse nello spazio( 16). Con la mancanza della parola morte, dunque, nessuna parola, secondo Wilcock, pi in grado di reggere nella durata il peso della cosa che significa, anzi, di pi, nella dispersione totale del senso, nessuna di esse pu pi radicarsi nella naturalit del significare, ognuna di esse pu significare qualsiasi cosa le si presenti come richiedente la convenzione assoluta di un supporto fonico o grafico: la catastrofe della torre di Babele, che fa della comunit di tutti gli uomini una somma di solitudini incomunicanti di popoli di cui, da l in poi, verranno sottolineate soltanto le differenze reciprocamente escludentesi, mentre lessenza della loro pi intima comunanza si toglier dalla vista e si rifuger nellimplicitezza di un sapere che piano piano riveler la follia delle separazioni, il dolore inutile della lotta tra i saperi, la provvisoriet insostenibile di una comunicazione sempre minacciata nella sua permanenza di senso. Allora, la parola morte la parola del divenire, sempre rinnovantesi, la parola di una mancanza essenziale, di un vuoto che non ha nome che non sia quello che ne riempie, in modo sempre temporaneo, la forma di terrore assunta nella molteplicit delle lingue uguali e diverse, ma tutte immemori delluguaglianza di fondo e arroccate nella difesa cieca delle differenze. La parola morte, come parola della mancanza essenziale, diventa cos la mancanza della parola, della parola vera, il silenzio coatto, il balbettio insignificante: la parola morte forse lultima parola della solitudine? o la prima, unica, monotona parola( 17) dello scrittore alle prese col destino della propria identit in pericolo, delle proprie storie che raccontano sempre la stessa storia, dei propri versi che si arroccano attorno alle stesse spirali semantiche, pi o meno ricche lessicalmente, ma tutte con lindice puntato verso lo stesso vortice? La parola morte: formula in cui ci che appare oscuro non la morte, ma lessere parola. Anche perch, come suggerisce Wilcock nellultimo testo( 18) della raccolta, la parola morte si coniuga con tutto ci che cosa, poich tutto cosa della morte. Cosicch la riflessione non sta tanto sul fatto che tutto muore, quanto sul fatto che tutto sia nominabile come cosa che muore(19). Il nome della morte il lavoro dello scrittore, non della morte. Se tutto muore, si vorrebbe dire cedendo al paradosso, lo si deve al fatto che tutto nominabile(20), tutto, ovvero ogni cosa, ovvero ogni ente, ovvero la totalit dellessere: tutto ha il nome di una cosa che muore, tutto aspetta che tu, parlante, che tu, scrivente, nomini il suo farsi potenziale, il suo atto destinale, secondo una retorica del dire che si vuole essenziale e non lo affatto (Wilcock costruisce il suo testo con una sequenza voluta di luoghi comuni nominali collegati attraverso lutilizzo della parola morte). Ritorna, insospettabile in questo contesto, il farsi della solitudine; affinch la parola significhi, necessario che sia in grado di sospendere il mondo, di cancellare le abitudini, gli automatismi, i dogmi del senso comune che, paradosso mai abbastanza compreso, di comune ha soltanto lefficacia di confermare le separazioni, i pregiudizi escludenti, le menzogne di tutte le ideologie. necessario, insomma, che la parola impari a esercitare con forza la propria solitudine indexicale, che sappia indicare la cosa nascosta nellombra della cosacos-com, e la sappia indicare cos come dovrebbe essere. Il ruolo dei poeti, da Mallarm in poi, appunto questo: giocare la parola morte contro la parola morta, vincere la morte della parola con la parola morte, la parola solitaria che regge il Giusto nella misura in cui edifica inedite relazioni di senso, purificando il linguaggio della trib. Tutta la poesia moderna si muove in questa direzione e chiede non di essere letta ma di essere vissuta, con un corto circuito irrazionale (o meglio: che ubbidisce ad una ragione altra da quella del dominio) da cui la pu salvare soltanto una coscienza di scrittura rigorosa e sempre progettualmente in attesa di tempi pi idonei alla ricezione (una sorta di condanna allutopia che isola la parola vera dalla felicit condivisa di una sua realizzazione nel presente). La parola morte una parola del futuro, come langelo di Klee che procede guardando alle spalle, nella speranza che egli incarna, la fioritura del proprio senso pi autentico. Nota sullessenza

Il passaggio definitivo quello che cerca di chiudere il cerchio tra scrittura, solitudine, morte e identit. Gli elementi della riflessione sembrano esserci tutti, manca per il filo che li collega, dal momento che come abbiamo visto non pu essere tale il tema della morte, essendo morte, come s visto, semplicemente una parola, la parola morte appunto, una parola speciale, certamente, ma una parola che si accompagna in fin dei conti a tutte le altre, segnate da un identico destino allinsignificanza, alla dispersione nello spazio, nel vuoto della mancanza di senso. Resta allora da prendere in considerazione ancora una volta il ruolo che gioca il termine essenza in questa catena irrelata, o relata parzialmente, o relata fino allinterruzione nelluguale che riguarda tutti gli elementi dell essere-parola e del non poterne uscire. S accennato allessenza della solitudine, allessenza della scrittura: lessenzialit sembra qui declinare una sorta di continuo, di filo di collegamento tra termini per altri versi incomunicanti; la parola morte, dal canto suo, non potendo avere a che fare con la morte in s, di cui non sappiamo nulla che non sia la parola stessa, rimanda ad una essenzialit comune a tutte le parole, quindi anche a se stessa, alla parola morte. Dunque, le essenze specifiche di ci di cui andiamo cercando il senso, ovvero lessenza della scrittura e della solitudine, riposano prima di tutto in se stesse in quanto essenze. La domanda preliminare quindi : che cos qui lessenza? Conviene allora chiarire la funzione di collegamento che il termine essenza svolge, in questo nostro preciso contesto, tra gli elementi di cui ci siamo occupati fino qui. Il carattere che determina tale funzione sembra valere come intelligibilit, ovvero essenza come capacit di comprensione o contenimento di senso offerta a ci di cui lessenza tale, e questo lessenza lo ottiene grazie alla sua permanenza nel mutamento, laddove per mutamento, in questo contesto, non sintende tanto (o non solo, dal momento che esso risulta sempre implicito in qualsivoglia dimensione danalisi) quello temporale, quanto piuttosto quello qualitativo. Infatti dal carattere della permanenza nel mutamento qualitativo consegue la natura particolare dellessenza che qui ci interessa, quella di poter attraversare sempre, rendendoli trasparenti a se stessi, i referenti semantici in questione (scrittura, solitudine, identit, parola morte) restando essa peraltro uguale in se stessa (nella sua funzione legata allintelligibilit) pur nel mutamento di colore, dindirizzo, dintensit: anche, visto da unaltra prospettiva, il tema della possibilit a costituire lidentico nel diverso, ovvero a costituire lessenza della cosa corrispondente, permanendo in qualit di potenziale desistenza nella scrittura, nellidentit, nella morienza, nella solitudine, ogni volta che se ne evochi la parola corrispondente. La possibilit, come si sa, la modalit che distingue lessenza dallesistenza (sempre reale), e se la si collega al suo permanere identica nella diversit delle situazioni se ne ricava che ognuna delle situazioni stesse, delle cui essenzialit siamo alla ricerca, garantita (in vista della sua intelligibilit) nel suo essere quello che dal poter essere ci che deve essere. Luguaglianza in se stessa dellessenza, in quanto possibilit desistenza nel senso appena illustrato, ovvero in quanto funtivo identico nel diverso manifestantesi, consente allora di passare, parlando come qui s fatto dessenza della scrittura, anche alla solitudine essenziale, e poi alla parola morte (parola la cui essenza qualifica ci che abbiamo chiamato morienza), e infine allessenzialit identitaria. Nel passaggio lessenza del che di cui essa tale si chiarisce, oppure si confonde, sispessisce, oppure si assottiglia, secondo la tenuta di responsabilit del parlante e dello scrivente, secondo lampiezza della possibilit di comunicazione che si apre, secondo la disponibilit a uscire dalla specie di cui ci si occupa fino ad abbracciare la generalit di cui quella specie specie. Ognuna di queste situazioni pu dunque essere ci che e pu non esserlo affatto: linautentico pu realizzarsi tanto quanto lautenticit: la solitudine dello scrivente pu essere del tutto apparente, lidentit pu realizzare il S nellIo e pu non farlo, lassunzione del fatto di dover morire pu avvenire tanto quanto pu essere tenuta a distanza come se dovessero morire sempre e soltanto gli altri. Il possibile, allora, in quanto cifra dellessenziale, luguale di ogni situazione della cui essenzialit si vada alla ricerca. La responsabilit e lampiezza della comunicazione istituiscono, ci sembra ancora, il piano etico dellordine del discorso qui accennato, mentre la generalit di riferimento descrive la valenza ontologica cui si affaccia il discorso stesso quando viene impostato con responsabilit e intenzione di comunicazione.

Il cerchio quindi sembrerebbe chiudersi sullo stesso punto donde era partita lindagine: il cerchio che parte dal punto di una domanda sulla solitudine, oppure da quello di una domanda sullidentit, oppure da quello di una domanda sulla scrittura, oppure, e infine, da quello di una domanda sulla parola morte. Il cerchio si chiude su quello stesso punto, ma arricchito dalla coscienza del passaggio, e dunque della relazione essenziale, attraverso tutti gli altri (infiniti) punti che ammettono, nel nome del possibile, dellessenza, della sua intelligibilit, attraverso una analoga procedura definitoria una loro(solitudine, scrittura, identit, morte) inapparente, imprevedibile, intima appartenenza. (Tratto da Prismi Quaderni di Cultura, Anno I, 2012) -----------------------------------------------------------------------------------------Note (1) Scrisse la prima parte di Les Communistes et la paix con una furia che mi spavent; a mia sorella in una lettera dicevo: In quindici giorni ha passato cinque notti in bianco, e le altre notti dorme solo quattro o cinque ore. Cfr. Simone de Beauvoir, La force des choses, 1963, trad. it. La forza delle cose, Torino, Einaudi, 1966, p. 255. Sartre si difendeva scrivendo rabbiosamente la Critique de la raison dialectique. Non lavorava come al solito, con soste, cancellature, strappando pagine, ricominciando; per ore e ore di seguito, procedeva di foglio in foglio senza rileggere, come spinto da idee che la sua penna neppure al galoppo riusciva a raggiungere. Per sostenere questo sforzo, sentivo che prendeva, una compressa dopo laltra, quasi un tubetto al giorno di Corydrane. La sera era proprio sfinito: incapace di concentrarsi, i gesti insicuri, diceva una parola per unaltra. Cfr. Ivi, p. 369. (2) Si direbbe che apprendiamo qualche cosa intorno allarte quando sperimentiamo ci che la parola solitudine vorrebbe designare. Di questa parola si fatto grande abuso. Tuttavia, essere solo che cosa significa? Quando che siamo soli? Porre un simile interrogativo non deve indurci soltanto ad opinioni patetiche. La solitudine a livello del mondo una ferita sulla quale non qui il caso di dilungarsi. [] La solitudine dellopera lopera darte, lopera letteraria ci svela una solitudine pi essenziale. Essa esclude lisolamento compiaciuto dellindividualismo, ignora la ricerca della differenza: il fatto di sostenere un rapporto virile in un compito che copre lo spazio controllato del giorno, non vale a dissiparla. Cfr. Maurice Blanchot, Lespace littraire, 1955, trad. it. Lo spazio letterario, Torino, Einaudi, 1967, p. 7. (3) Hans Georg Gadamer, Wer bin Ich und wer bist Du? Ein Kommentar zu Paul Celans Gedichtfolge Atemkristall, 1986, trad. it. Chi sono io, chi sei tu. Su Paul Celan, Genova, Marietti, 1989. (4) Tutta la poesia di Celan declina questo tema, ma nelle lettere che il poeta si apre discorsivamente, nelle lettere che cogliamo lattimo (a volte riuscito, pi spesso no) in cui la solitudine essenziale risolve in parola la sofferenza esistenziale. Qualche esempio: dalle lettere scritte a Diet Kloos-Barendregt tra lagosto 1949 e il luglio 1950 (Celan ha 29 anni): Sono uno sbalestrato, Diet, e tu devi, non puoi farne a meno te ne prego essere indulgente. In fondo sono anche uno che, se svolta allangolo di una strada, spera di trovare un piccolo arcobaleno, non pi grande di un anello. Da regalare, naturalmente. Ti piacerebbe averlo, un arcobaleno trovato? Devi cercare di ascoltare anche chi tace, Diet: egli vorrebbe avere voce, farsi sentire, solo che ancora non ci riesce. (da una lettera del 29 novembre 1949, corsivo nostro). Cfr. Paul Celan, Du mut versuchen, auch den Schweigenden zu hren , 2002, trad. it. Cerca di ascoltare anche chi tace. Lettere a Diet Kloos Barendregt , Milano, Archinto, 2005, p. 47. Circa 10 anni dopo, in una lettera allamica, anchessa poetessa, Nelly Sachs, che gli aveva inviato dei suoi versi, sono le parole dellAltro a giocare un ruolo salvifico: La camera del cuore, vero, rimasta in gran parte sepolta, ma leredit della solitudine di cui Lei parla, quella verr accolta qua e l, nella notte, poich vi sono le sue parole. False stelle ci sorvolano certamente; ma il granello di polvere che la Sua voce impregna di dolore descrive lorbita infinita. (da una lettera del 13 gennaio 1958, corsivo nostro). Cfr. Paul Celan/Nelly Sachs, Briefwechsel, 1993, trad. it. Paul Celan/Nelly Sachs. Corrispondenza, Genova, Il Melangolo, 1996, p. 15. Ma linsidia del dubbio, e la consapevolezza che il male di vivere trionfa a dispetto di qualsiasi parola ( in questo caso: della parola tradotta da una lingua a unaltra lingua, essendo Celan anche eminente traduttore), sempre presente; ecco cosa scrive Celan alla narratrice e poetessa Ingeborg Bachmann un anno e mezzo dopo: Non sto [] bene, pur avendo tradotto La Jeune Parque vivo in discordia con me e con tutto il resto a cosa serve scrivere e a cosa serve colui che ha fatto dello scrivere lintera sua vita? (da una lettera del 20 luglio 1959, corsivo nostro). Cfr. Ingeborg Bachmann/Paul Celan, Herzzeit.. Briefwechsel, 2008, trad. it. Ingeborg Bachmann/Paul Celan, Troviamo le parole. Lettere 1948-1973, Roma, Nottetempo, 2010, p. 138.

(5) Marthe Robert, Seul, comme Franz Kafka, 1979, trad. it. Marthe Robert, Solo come Kafka, Roma, Editori Riuniti, 1982. (6) Nei Diari Kafka registra con minuzia, giorno dopo giorno, questa difficile dazione di senso legata, ogni volta, attraverso la solitudine, a eventi minimi, spesso legati alle sue precarie relazioni, sia familiari che extrafamiliari. Riporto tre soli esempi: 26 dicembre [1910]. Due giorni e mezzo ero solo (bench non del tutto) e gi sono, se non mutato, sulla via di esserlo. La solitudine ha su di me un potere che non si smentisce mai. Il mio intimo si scioglie (per ora soltanto superficialmente) ed disposto a lasciare via libera a qualcosa di pi profondo. Sincomincia a costituire un piccolo ordine del mio intimo che ci che pi mi occorre, poich non c di peggio del disordine quando si hanno esigue capacit. Cfr. Franz Kafka, Tagebcher, 1948-49, trad. it. Franz Kafka, Confessioni e diari, Milano, Arnoldo Mondadori, 1972, pp. 146-47, corsivo nostro. [4 maggio 1915] Considero i rapporti degli altri con me. Per quanto poco sia, qui non c nessuno che abbia comprensione di me nel mio complesso. Oh, possedere qualcuno che abbia questa comprensione, non so, una donna, vorrebbe dire essere sostenuto da ogni parte, avere Dio. Cfr. Ivi, p. 534.. 19 maggio [1922]. In due si sente pi abbandonato che solo. Quando con qualcuno, questo secondo allunga le mani su di lui ed egli cade in suo possesso senza poter reagire. Quando solo, tutta lumanit allunga le mani verso di lui, ma le innumerevoli braccia tese si aggrovigliano fra loro e nessuno lo raggiunge. Cfr. Ivi. Pp. 631-632. (7) Poco prima di morire, Kafka confid al giovane amico Gustav Janouch quello che pu essere considerato un suo testamento circa il tema identitario: La pazienza la chiave di ogni situazione. Si deve vibrare insieme a tutto quello che si muove, abbandonarsi a tutto, ma nel contempo star tranquilli e portare pazienza, mi disse il dottor Kafka in una limpida giornata dautunno, mentre passeggiavamo tra gli alberi ormai spogli dellorto botanico. Non esiste alcuna deviazione n alcuna interruzione, ma solo un superamento che inizia con il superamento di se stessi e a cui non si pu sfuggire . Abbandonare questa strada significa perdersi. Si deve accogliere pazientemente tutto in se stessi e crescere. I confini dellio pieno di angoscia cadono solo se interviene lamore. Bisogna scorgere lerbetta novella dietro le foglie cadute che scricchiolano al nostro passaggio, portare pazienza e aspettare. La pazienza il solo vero fondamento della realizzazione di tutti i sogni. Cfr. Gustav Janouch, Gesprche mit Kafka. Aufzeichnungen und Erinnerungen, 1968, trad. it. Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, Parma, Guanda, 1991, pp. 218-219, corsivo nostro. (8) Citiamo soltanto i pi famosi: lvaro de Campos, Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Bernardo Soares. (9) Ecco come Pessoa racconta, il 14 gennaio 1935, allamico Adolfo Casais Monteiro la nascita di tre dei quattro eteronimi appena citati: Un anno e mezzo, o due [dopo la nascita, a mia insaputa, di Ricardo Reis nel 1912] mi ricordai un giorno di fare un tiro a S-Carneiro: di inventare un poeta bucolico, di specie complicata, e di presentarglielo, non ricordo pi come, sotto qualche specie di realt. [] mi accostai ad un cassettone alto e, preso un foglio, cominciai a scrivere in piedi, come scrivo sempre che lo possa. E ho scritto trenta e pi poemi di seguito in una specie di estasi la cui natura non riuscirei a definire. E continua poco dopo a raccontare: Apparso Alberto Caeiro, cercai subito di scoprirgli istintivamente e subcoscientemente alcuni discepoli. Strappai dal suo falso paganesimo il latente Ricardo Reis, ne scoprii il nome, e lo adattai a lui stesso, perch in quellaltura gi lo vedevo. E di repente, e in derivazione opposta a quella di Ricardo Reis, mi si rizz impetuosamente davanti un nuovo individuo. In una sola tirata, senza sosta n correzione, venne fuori la Ode triunfal di lvaro de Campos: lode con questo titolo e luomo col nome che ha. Cfr. Fernando Pessoa, Poesie, Milano, Lerici, 1967, pp. LXXXIV-LXXXV. (10) Io vedo davanti a me, nello spazio incolore pi reale del sogno, i volti, i gesti di Caeiro, di Ricardo Reis e di lvaro de Campos. Ho costruito le loro et e le loro vite. [] Come scrivo in nome di questi tre? Caeiro per pura ed insperata ispirazione, senza sapere o per lo meno indovinare che cosa andrei a scrivere. Ricardo Reis, dopo una deliberazione astratta, che improvvisamente si concreta in unode. Campos, quando sento un subitaneo impulso a scrivere e non so che cosa. (Il mio semieteronimo Bernardo Soares, [], compare sempre quando sono stanco o sonnolento, di modo che abbia un poco sospese le qualit di raziocinio e di inibizione; quella prosa un costante vaneggiamento. un semieteronimo, perch, non essendo la sua personalit la mia, , non differente dalla mia, ma una semplice mutilazione di essa. Sono io meno il raziocinio e laffettivit. Cfr. Ivi, pp. LXXXV-LXXXVI. (11) Che una simile autobiografia possa concludersi con un suicidio fu previsto da Pessoa. Infatti, lultima sua incarnazione eteronoma (il Barone di Teive, sorto nella sua fantasia nel 1928, sette anni

prima che Pessoa stesso morisse, non suicida bens di colite epatica) lascia, prima di compiere il gesto, una sorta di diario concettuale, descrizione come commenta Luciana Stegagno Picchio, che lha tradotto in italiano di un agire terminale. Cos scrive dunque allinizio del suo diario il Barone di Teive, spinto da un impulso autodistruttivo (ovvero: distruttivo nei confronti della propria opera) simile a quello di Kafka: Sento prossima, perch io stesso la voglio prossima, la fine della mia vita. Nei due ultimi giorni ho occupato il tempo a bruciare a uno a uno e ci ho messo due giorni perch qualche volta li ho riletti tutti i miei manoscritti, le note per i miei pensieri morti, gli appunti, a volte brani gi completi, per le opere che non avrei mai scritto. stato senza esitare, ma con una lenta pena, questo sacrificio, con il quale ho voluto congedarmi, come nellatto di bruciare un ponte, dal margine della vita da cui mi voglio allontanare. Sono ormai libero e deciso. Di ammazzarmi; adesso mi ammazzer. Ma voglio lasciare, perlomeno, con la precisione che mi sar possibile, una memoria intellettuale della mia vita, un quadro intimo di quello che sono stato. Desidero, gi che non ho potuto lasciare di me una successione di belle bugie, lasciare quel poco di verit che la menzogna di tutto ci concede di supporre che possiamo dire. [] Raggiungo, con il recidere tutti i legami, eccetto lultimo, tra me e la vita, la chiarezza dellanima nel sentire, e quella dellintelletto nel comprendere, che mi danno la forza di parole, non per realizzare lopera che non potrei mai realizzare, ma almeno per dire con semplicit per quali ragioni non lho realizzata. Queste pagine non sono la mia confessione, ma la mia definizione . Sento, nel cominciare a scriverla, che la potr scrivere con un certo modo di verit. Cfr. Fernando Pessoa (Barone di Teive), Baro de Teive, A Educao do Estico, 1999, trad. it. Fernando Pessoa (Barone di Teive), Leducazione dello stoico, 2005, pp. 24-25, corsivo nostro. (12) Lindicazione del luogo teoretico da considerare costituito da una somma di pagine tra le pi profonde che siano mai state scritte sullargomento nellintera storia della modernit filosofica (ne d testimonianza in tal senso almeno uno dei pi importanti nomi del pensiero tardo novecentesco, Emmanuel Lvinas, autore a sua volta di importanti pagine sulla morte): Si legga dunque (al fine di oltrepassare la semplice vulgata): Parte prima, Sezione seconda, capitolo primo, pp. 289-324 (delledizione Longanesi, 1976) in Martin Heidegger, Sein und Zeit, 1927, trad. it. Martin Heidegger, Essere e tempo, Milano, Bocca, prima ediz. 1952. (13) Norbert Elias, Ueber die Einsamkeit der Sterbenden in unseren Tagen , 1982, trad. it. Norbert Elias, La solitudine del morente, Bologna, il Mulino, 1985. (14) Si vuole indicare con questo neologismo, formulato, grazie al suffisso - enza, sulla base di analoghi termini ben presenti nelluso di tutte le lingue (uno per tutti: esistenza), lattivit del morire-nel tempo connaturata, dunque, al fatto stesso di essere vivi: se si vuole, il termine vale anche come un riferimento allessere-per-la-morte di heideggeriana memoria (cfr. in M. Heidegger, op. cit. ad esempio: Nellessere-per-la-morte lEsserci si rapporta a se stesso come a un poter-essere specificamente proprio. p. 308; e pi avanti: Fin che questo essere-per-la-morte autentico non sar stato illuminato e determinato ontologicamente, linterpretazione esistenziale dellessere-per-la-fine continuer a restare incompleta. p. 316; tra le due citazioni corre il passaggio dallinautentico della quotidianit, del Si muore, allautenticit della propria morte, assunta in termini di possibilit di dazione di senso), anche se il contesto concettuale di cui si tratta in questo lavoro va oltre quello in cui si muove la lezione heideggeriana. (15) Lanalisi di Elias di natura eminentemente sociologica; la conclusione del suo lavoro cerca comunque di misurarsi col problema del senso, secondo una direzione diversa (e nondimeno assai stimolante) da quella presa in considerazione nel nostro lavoro: Forse dovremmo parlare con pi franchezza della morte, smettendo di considerarla un mistero. La morte non cela alcun mistero, non apre alcuna porta: la fine di una creatura umana. Ci che di essa sopravvive quanto essa ha dato agli altri uomini e ci sar conservato nella loro memoria. Letica dell homo clausus, delluomo che si sente solo, decadr rapidamente se cesseremo di rimuovere la morte accettandola invece come parte integrante della vita. Se lumanit scompare, tutto ci che gli uomini hanno fatto, tutto ci per cui hanno combattuto, tutti i loro sistemi e credenze, umane e sovraumane, non avranno pi senso. Cfr. Ivi, p. 82. (16) []/miliardi di miliardi di altre terre,/finch ne apparve una come la nostra,/esattamente uguale, forse la stessa,/per un caso la cosa ci aveva messo/tutti i vocaboli, nellordine giusto,/per mancava la parola morte,/e come le altre si perse nello spazio. Cfr. Rodolfo J. Wilcock, La parola morte, Torino, Einaudi, 1968, p. 9.

(17) Qualcosa del genere sembra pensare Wilcock, quando scrive: Uomo schifoso meriti la tua/consapevolezza verbale del dolore;/non cos le formiche, il porcospino./Uomo che parli meriti la tua/consapevolezza mnemonica della morte;/non cos le galline, la testuggine. Cfr. Ivi, p. 15. (18) Cfr, Ivi, p. 41. (19) Fino al paradosso illustrato da questi versi della penultima poesia della raccolta: []/macino sottilissimo del linguaggio/globo di luce nel cui centro galleggia/lindifferenza muta dell homo sapiens,/decompressore freddo dove si gasifica/con tutte le altre la parola morte. Cfr. Ivi, p. 29. (20) A, bi, ci, di, e, effe, gi,/vuol dire morte,/trasumanar significar per verba,/vuol dire morte . Cfr. Ivi, p. 16.

Ghrasim Luca Leco del corpo


tu nages souplement dans leau de la matire de la matire de mon esprit dans lesprit de mon corps dans le corps de mes rves de mes rves en action (Gherasim Luca) La poesia un silensophone, il poema, un luogo doperazioni, la parola sottomessa a una serie di mutazioni sonore, ognuna delle sue sfaccettature libera la molteplicit del senso di cui si carica. (Gherasim Luca) come se la lingua intera si mettesse a rollare, a destra e a sinistra, e a beccheggiare, indietro avanti: i due balbettii. Se la parola di Gherasim Luca cos eminentemente poetica, perch egli fa del balbettio un affetto della lingua, non unaffermazione della parola. tutta la lingua che fila e varia per liberare un estremo blocco sonoro, un soffio solo al limite del grido Je taime passionnment (Ti amo appassionatamente). (Gilles Deleuze) Gherasim Luca (Salman Locker), nasce a Bucarest nel 1913. In una citt babele linguistica, Luca sperimenter nellappartenere alla comunit ebraica e ad una lingua altra da quella nazionale, lintolleranza di uno Stato autoritario. Lattivit artistica e letteraria, i contatti con i surrealisti francesi, saranno allora lunica ncora di salvezza. Esiliato prima in patria perch sospettato di attivit rivoluzionaria, sar definitivamente costretto a lasciare il suo paese. Sradicamento e esilio linguistico sono i termini entro i quali racchiusa la parabola creativa di Ghrasim Luca. Costretto allesilio, senza patria, abiter lunico luogo possibile: la lingua. Rifiutandosi alla cronologia, al tempo storico, alla caduta nel tempo che la storia gli impone. Lasciando la Romania per stabilirsi a Parigi, rinuncer definitivamente anche alla lingua materna, ma per abitare la lingua dadozione, il francese, dovr re-inventarla, farsi balbuziente nella nuova lingua. Lo scrittore balbuziente rispetto alla lingua: fa balbettare la lingua in quanto tale( 1). Ladozione della lingua francese non , per Ghrasim Luca, scegliere la lingua della tradizione, ma la decisione di dare il proprio corpo, la propria voce, alla lingua, per ri-crearsi insieme alla lingua. Un atto fondativo del proprio essere, perch il linguaggio viene prima dellio, prima del nome proprio, obliando finanche i pronomi. Come gi era avvenuto per la scelta del nuovo nome, sar solo firmando col nuovo nome, allatto della scrittura, che il poeta assumer la sua nuova forma, liberandosi da una pesante identit e dallappartenenza a una comunit. Il nome Ghrasim Luca fu suggerito al poeta, al momento di firmare un testo per una rivista, da un amico. Nome casualmente trovato in un necrologio: Ghrasim Luca, Archimandrita del Monte Athos e linguista emerito. Poche linee autobiografiche: Originario di Bucarest, si scelse durante ladolescenza un nome e uno smarrimento. Da allora non ha cessato di sentirsi un senza-patria (heimatlos), intuendo presto come scrive Andr Velter che il suo paese il suo corpo, la sua identit la sua voce. Lapolide Ghrasim Luca rispondeva imperturbabile ai funzionari: Professione? Poeta. Ma non un lavoro! No, una condizione La lingua di Ghrasim Luca forzata e forsennata, un delirio del verbo. La sua lingua puro suono che contiene e produce tutto il senso. Poeta della parola che si ribella alle costrizioni sintattiche, per esprimere un eco dessere. La lingua balbetta e si apre uno spazio che prima non esisteva.

Nellestensione della mia lingua il frastuono e il silenzio si scontrano centro shock la poesia assume la forma dellonda che lha scatenata.(2) Una parola che sottrae se stessa allunivocit del senso; una parola pluri-senso che impone quasi una lettura ad alta voce. In una dichiarazione di poetica Luca scrive: Nel linguaggio che serve a designare gli oggetti, la parola non ha che un senso o due, e tiene prigioniero il suono(3). Infrangere la barriera del senso serve dunque a liberare la voce dalle sue catene verbali. La sonorit si esalta, affiorano segreti che giacevano addormentati, colui che ascolta introdotto in un mondo di vibrazioni che suppone una partecipazione fisica, simultanea, alladesione mentale.(4). Al termine poesia Luca sostituisce quello di ontofonia, svelamento attraverso la voce di una risonanza dellessere. Una parola-sonora che ha bisogno di uno spazio di silenzio in cui propagarsi. Le parole si spingono fuori luna con laltra, si ripetono, le omofonie sono necessarie alla lingua, il corpo la sua cassa di risonanza. Per Luca le parole sono soltanto il supporto materiale di una ricerca che ha come fine la trasmutazione del reale, un abbandonarsi alla vibrazione del nostro essere che eccede il senso. (Alfredo Riponi, dalla Postfazione) Gherasim Luca, La fine del mondo (Poesie 1942-1991) IL SOGNO IN AZIONE la bellezza del tuo sorriso il tuo sorriso di cristallo il cristallo di velluto il velluto della tua voce la tua voce e il tuo silenzio il tuo silenzio assorbente assorbente come la neve la neve calda e lenta lenta la tua andatura la tua andatura diagonale diagonale sete sera seta e fluida fluida come i pianti le piante sono nella tua pelle la tua pelle le spettina spettina il tuo profumo il tuo profumo nella mia bocca la tua bocca una coscia una coscia che sinvola sinvola verso i miei denti i miei denti ti divorano divoro la tua assenza la tua assenza una coscia coscia o scarpa scarpa che bacio bacio questa scarpa la bacio sulla tua bocca perch la tua bocca una bocca non una scarpa specchio che bacio come le tue gambe come le tue gambe come le tue gambe come le tue gambe le tue gambe gambe del sospiro sospiro della vertigine vertigine del tuo viso scavalco la tua immagine come si scavalca una finestra finestra del tuo essere e dei tuoi miraggi la tua immagine il suo corpo e la sua anima la tua anima la tua anima e il tuo naso sorpreso sono sorpreso naso dei tuoi capelli la tua capigliatura in fiamme la tua anima in fiamme e in lacrime come le dita dei tuoi piedi i tuoi piedi sul mio petto il mio petto nei tuoi occhi i tuoi occhi nella foresta la foresta liquida liquida e in ossa le ossa delle mie grida esclamo e grido nella mia lingua lacerante

lacero le tue braccia le tue calze delirando desidero e lacero le tue braccia le tue calze il basso e lalto del tuo corpo fremente fremente e puro puro come il temporale come il temporale del tuo collo collo delle tue palpebre le palpebre del tuo sangue il tuo sangue carezzevole palpitante fremente fremente e puro puro come larancia arancia delle tue ginocchia delle tue narici del tuo fiato del tuo ventre dico ventre ma penso al nuoto al nuoto della nuvola nuvola del segreto il segreto meraviglioso meraviglioso come te stessa tu sul tetto sonnambulica e nuvola nuvola e diamante un diamante che nuota che nuota con agilit tu nuoti agevolmente nellacqua della materia della materia del mio spirito nello spirito del mio corpo nel corpo dei miei sogni dei miei sogni in azione QUARTO DORA DI CULTURA METAFISICA Adagiata sul vuoto orizzontalmente sulla morte idee tese la morte protesa sopra la testa la vita tenuta a due mani Elevare insieme le idee senza raggiungere la verticale e al contempo portare la vita davanti al vuoto ben teso Segnare un tempo morto e riportare idee e morte alla posizione di partenza Non staccare il vuoto dal suolo mantenere tese idee e morte * Angosce allontanate la vita sopra la testa Flettere in avanti il vuoto facendo una torsione a sinistra per ricondurre i brividi alla morte Tornare alla posizione di partenza mantenere le angosce tese e avvicinare il pi possibile la vita alla morte * Idee allontanate brividi appena in fuori la vita dietro le idee Elevare le angosce tese sopra la testa Segnare un lieve tempo morto

e riportare la vita al suo punto di partenza Non diminuire i brividi e mantenere molto indietro il vuoto * Morte allontanata vuoto allinterno vita dietro le angosce Flettere la morte verso sinistra raddrizzarla e senza sosta fletterla verso destra Evitare di far ruotare i brividi mantenere le idee tese e la morte fuori * Coricata orizzontalmente sulla morte la vita tra le idee Staccare langoscia dal suolo abbassando la morte tirando indietro le idee per sollevare i brividi Segnare un breve arresto e tornare alla posizione di partenza Non staccare la vita dallangoscia Mantenere il vuoto teso * In piedi le angosce unite vuoto che cade flessibile da ogni lato della morte Saltellare con leggerezza sui brividi come una palla che rimbalza Lasciare le angosce flessibili Non irrigidirsi tutte le idee rilassate * Vuoto e morte inclinati in avanti angosce riportate leggermente flesse davanti alle idee Respirare profondamente nel vuoto gettando indietro vuoto e morte Al contempo aprire la morte da ogni lato delle idee vita e angosce in avanti Segnare un tempo morto aspirare attraverso il vuoto Espirare inspirando inspirare espirando (Tratto da: Le Chant de la carpe (Il Canto della carpa), 1986. Traduzione di Alfredo Riponi e Rita R. Florit) LA FINE DEL MONDO il suo corpo leggero

Il suo corpo leggero la fine del mondo? un errore una delizia che scivola tra le mie labbra vicino al ghiaccio ma laltro pensava: solo una colomba che respira comunque sia l dove sono accade qualcosa in una posizione delimitata nel temporale Vicino al ghiaccio un errore l dove sono solo una colomba ma laltro pensava: accade qualcosa in una posizione delimitata che scivola tra le mie labbra la fine del mondo? una delizia comunque sia il suo corpo leggero che respira nel temporale In una posizione delimitata vicino al ghiaccio che respira il suo corpo leggero che scivola tra le mie labbra la fine del mondo? ma laltro pensava: una delizia comunque sia accade qualcosa solo una colomba nel temporale l dove sono un errore la fine del mondo che respira il suo corpo leggero? ma laltro pensava: l dove sono vicino al ghiaccio una delizia in una posizione delimitata comunque sia un errore accade qualcosa nel temporale solo una colomba che scivola tra le mie labbra solo una colomba in una posizione delimitata l dove sono nel temporale ma laltro pensava: la fine del mondo che respira vicino al ghiaccio? comunque sia una delizia accade qualcosa un errore che scivola tra le mie labbra il suo corpo leggero (Tratto da: Paralipomnes (Paralipomeni), 1986. Traduzione di Alfredo Riponi.)

Poesia contemporanea.

Non ci sono abbastanza lingue nel mondo per la poesia, non ci sono abbastanza voci, non abbastanza parole, non abbastanza linguaggi. Cos come il vuoto-spazio in cui si espande costantemente e il vuoto silenzio in cui incessantemente versa, la poesia inesauribile. La poesia vuole essere in grado di comprendere ogni cosa, a dirla tutta, vuole e non vuole il mondo secondo il suo capriccio. Anela allimpossibile unione fra parola e carne, o, come suggerisce Barcellandi, allinverso di questa possibile relazione. Forse questa magia non potr mai accadere, ma volere che accada lunica cosa che potr mai capitare a un poeta. Se la poesia non magia, se non possiede poteri divini, non nulla. Se non pu fare accadere le cose, solo una parte di quella montagna di merda che tutto il resto. Noi poeti, non crediamo in nulla di umano. Tutto lumano ci alieno e noi vogliamo solo uscire da ci che umano e andarcene il pi lontano possibile. Il linguaggio, ancora pi alieno degli alieni, il nostro assistente, il nostro collaboratore. Noi poeti, non crediamo in nulla, se non nella remota e sacra possibilit di diventare angeli e abbandonare cos la nostra razza e il nostro pianeta. Guardateci. Guardate come ce ne andiamo. Essere un poeta significa condividere, o almeno provarci, linsaziabilit della propria arte. Questo vuol dire essere sempre delusi da come stanno le cose, essere sempre disgustati da come le cose sono andate finora. Significa essere un attore con un infinito appetito per le novit, per le nuove immagini e i nuovi suoni, significa essere un attore dallinesauribile energia per la ricerca e lo scarto, cercando e scartando sempre nuove forme e nuove sonorit. Significa anche saper riconoscere che ogni novit si esaurisce nella sua iterazione e deve essere immediatamente abbandonata in favore del successivo atto creativo, quello che ancora non si verificato. La poesia una pratica di totale distacco dal passato, di totale disprezzo per il presente, di totale orientamento verso il futuro e verso ci che sar. (Dave Lordan, dalla Prefazione) L. Artioli F. Barcellandi A. Garbin, Poethree Introduzione di Dave Lordan Traduzioni di Fabio Barcellandi e Dave Lordan Pesaro, THAUMA Edizioni, 2011 Testi Luca Artioli (da: Dimore notturne / Nocturnal homes) CARTAGENA Lamore silenzioso che sei, che posso darti, un bruciare di cera, dove le stagioni a poco a poco si annottano di altri letti, come un segreto, da trattenere, quasi fosse un rito o un debito dovuto alla poesia, che nella pausa della fiamma si acquartiera qui, a Cartagena: un porto senza tempo, dove colme si fanno le distanze e lucida lucida sempre la percezione della tua prossima fuga. TI RESPIRO Mi perdo a respirarti, spesso senza chiederti indietro alle ore: sei prodiga dossigeno, di parole a strappi, di ragioni che non mi sono dovute, eppure l tenute sulla soglia del silenzio alla debita distanza, con lintento daffogare nei polmoni, perch non sempre sapendo -mi dici che ci si ama onestamente.

DEL TUO NOME UN FIORE domenica, il cielo di rondine con la tua voce ancora vicina allorecchio, come fosse incisa nel profumo del pane: mi chiedi il perch dello stoicismo, dellessere amanti (tiranni di se stessi) e poi mi stringi fra le ginocchia, senza risposte da ascoltare facendo del tuo nome un fiore. Fabio Barcellandi (da: Miscredenze / Unbeliefs) BENE O MALE Il male non desidera il tuo male desidera che s[t]ia male come lui il bene desidera il tuo bene non desidera che tu s[t]ia bene come lui LA CREAZIONE Ci che io scrivo Puzza Lo so Ma che ci posso fare? Latto creativo un orgasmo E da che mondo mondo E da che gli uomini sono tali Un orgasmo Dal pi intenso Al pi squallido Dal pi ortodosso Al pi trasgressivo Termina con uneiaculazione Di viscido Maleodorante Sperma IL CREDO la scrittura pi dogni altra forma darte affascina poich da quando la parola si fece carne permette alla carne il ben pi difficile processo inverso credo TERRA, TERRA!

sangue lacrime feci urina pus sperma questa vita umori che vanno umori che vengono anima? forse spirito? domani quando la disidratazione avr fatto il suo corso ma intanto la vita altrove Andrea Garbin (da: Lattice / Latex) UN PENDOLO come il culo del silenzio quel rintocco che odo ogni ora a troncarmi il sonno un temporaneo istante di follia che si muove prepotente tra un sogno e laltro una spina che punge la notte la costante percezione dello sfinimento quando il silenzio interrotto muore e il botto infrange la quiete io mi rattrappisco lascio che ludito mi avvolga indicibile tormento lascio che mi avvolga disteso nel dolce giaciglio osservo il lucido ottone cercare silenzi e ogni volta che ne trova uno il suo grido si sviluppa a torcermi il ventre. LATTICE E le mie mani ridiventano fango il lattice che porto sugli occhi fa pressione su pensieri stretti come succhiare limpasto delle ossa una vigna in sacrificio musicale si interpone tra le mie narici e clavicola diviene, adolescente, quel sottile grappolo di luce, come pecore in gregge accodate sulle ginocchia, amori, come ceci, urlano il conato delle porte entro il cuscino vidi un mare racchiuso.

PET La mia voce una libellula che graffia il fondo di bottiglia che scambia le lastre di marmo per questo lattice di Persia una bottiglia di pet come lo sono le parole che ci scambiamo questa notte come le ali trasparenti che frusciano accanto al mio letto. Era il passatore che vogava in quei fondali mimetizzato tra i giunchi dove rantola il respiro era il passatore che afferrava le caviglie e tirava sotto.

Celan. Due poesie.


Tutto diverso TUTTO E DIVERSO, da come tu lo pensi, da come lo penso io, la bandiera continua a sventolare, i piccoli segreti sono ancora tali, gettano ancora ombra, di questo tu vivi, vivo io, noi viviamo. La moneta dargento ti si scioglie sulla lingua, ha il sapore di Domani, di Sempre, un sentiero che porta fino in Russia ti si inerpica nel cuore, la betulla careliana ha atteso, il nome Osip ti si fa incontro, tu gli racconti quello che gi conosce, lui lo prende, te lo porta via, con le mani, tu gli stacchi il braccio dalla spalla, il destro, il sinistro, attacchi al loro posto i tuoi, con mani, con dita, con linee, - quel che viene smembrato, di nuovo ricresce interamente e tu ora li hai, prenditeli, eccoteli entrambi, il nome, il nome, la mano, la mano, prenditeli in pegno, anchegli li prende, e tu hai nuovamente ci che tuo, ci che era suo, mulini a vento ti spingono aria nel polmone, tu remi attraverso i canali, le lagune e i navigli, a lume di parola, a poppa nessun perch, a prora nessun dove, un corno dariete tinnalza] - Tekiah! al di l delle notti, come un suono di trombone che trascorre nel giorno, gli uguri] si dilaniano lun laltro, luomo ha la sua pace, il dio ha la propria, lamore torna a dimorare nei letti, i capelli delle donne ricrescono,

sul loro seno il bocciolo che era ripiegato su se stesso si leva ancora alla luce, ti risveglia la linea della vita, del cuore, nella mano che risale lungo i fianchi, come si chiama, il tuo paese dietro la montagna, dietro lanno? Io so qual il suo nome. Come la fiaba dinverno, cos si chiama, si chiama come la fiaba destate, come il paese dei tre anni di tua madre, quello era, quello , migrante in ogni luogo, come la lingua, gettala via, gettala via, cos la riavrai indietro, come riavrai lui, il piccolo sasso della valle morava, quello che port il tuo pensiero a Praga, sulla tomba, sulle tombe, nella vita, da lungo tempo assente, come le lettere, come tutte le lanterne, di nuovo lo devi cercare, eccolo, piccolo, bianco, proprio dietro langolo, eccolo l, presso Normandia-Njemen in Boemia, l, l, l, dietro casa, davanti a casa, bianco, bianco, dice: Oggi solo questo vale. E bianco, bianco, un raggio dacqua lo attraversa, un raggio del cuore, un fiume, tu ne conosci il nome, le sue sponde traboccano della pienezza del giorno, come il nome, tu lo stai gi toccando, con la tua mano: Alba. Pomeriggio con circo e cittadella A Brest, davanti agli anelli di fuoco, sotto il tendone dove saltava la tigre, l io ti udii cantare, Finitezza, l io ti vidi, Mandeltam. Il cielo era sospeso sopra la rada, sopra la gru si librava il gabbiano. Il finito cantava, il perenne, tu, cannoniera, ti chiami Baobab. Salutai il tricolore con una parola in russo ci che era perduto fu ritrovato, e il cuore divenne un luogo fortificato. __________________________ (Paul Celan, Es ist alles anders; Nachmittag mit Zirkus und Zitadelle. Tratte da: Die Niemandsrose

(La Rosa di Nessuno), 1963. Traduzioni di fm: 1984-2012; 1984. Dedicate a ap.)

Luca Ariano / Carmine de Falco, I Resistenti. (opera poetica a due voci posta sul versante etico.)
Napoli, Edizioni dIf, I miosotis, 2012 Testi e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti, governanti impiegati di agrari, prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi, funzionari liberali carogne come gli zii bigotti, una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino! (Pier Paolo Pasolini) Nessuna bufera Non scriveremo della nostra bufera, n di quella rivolta, contro quel volto su quel mezzo, n avremo forza per nuove armi intelligenti, tecniche dazioni millimetriche, la nostra guerra civile un logorio lento la luce che si spegne fiocamente senza ferire, missione pacifica in paesi estranei, uno svilimento se poi penso con timore che sta democrazia muccide sventolano oggi quei drappi tricolore che annegano in proclami buoni a prender qualche voto, appagare destini e un po di sereno nella sua coscienza svuota * LEmilio sveglio allalbeggiare per la prima messa, per non sentire un chiodo fisso martellare le tempie: lanno prossimo forse insegner dai prt con lAmalia e la mattina non girer pi con Repubblica e la barba di tre giorni. LAndrea pagato meno duna colazione, domani scriver un libro: magari sapesse fare un noir da premi e classifiche, da trarre un film con attori del momento roba da sbancare i botteghini Alla sera lodore del canale, dun borgo che se nasci e muori l ti soffoca come i pappi dei pioppi. Fiulin si ricorda quella piazza a Venezia, bambino le luci estive di zanzare

e turisti, tanfo di fogna che linverno dacqua alta e neve gela: pare con Teresa la poesia duna domenica. * La disobbedienza quotidiana fatta dordine di raccolta differenziata di risparmio delle acque. Non voglio avere figli dice che non vuol crescerli qui con questi lacci, in quei sistemi e tu non sai se pieno afflato rivoluzionario o mancanza di coraggio se questimpossibilit che atterrisce o la via pi semplice indipendentemente. tutti i giorni non c una guerra da fare Enrico non ne pu pi di questa politica simbolica. Se la moneta brucer tra le mani ai tedeschi diremo esse esse agli inglesi la pioggia alla Francia spareremo le migliori cartucce Venezia, Firenze, il lago di Gardalan * Pippo sacrestano di Santa Maria tra le vigne un tempo chiesetta di campagna, ora periferia post industriale stava sempre tra i bambini ma dopo la denuncia per molestie Pedofilippo urlavano! si impiccato in canonica prima della messa. LAmalia scrutatrice nellantica scuola da libro Cuore dove andava bambina la prestigiosa Mafalda di Savoia, recita in una compagnia parrocchiale e vorrebbe a casa dopo cena si declamasse lEnrico IV tra le stanze e non lacrime trattenute. La luna ogni sera si sposta di finestra e per Fiulin, senza Teresa, ha unaltra luce come una domenica di famiglie sul sagrato con lulivo gi avvizzito ai primi balzi primaverili in maniche di camicia. * Kayaky Ci divertiamo a decodificare case franate l sulla collina docile e due chiese scolorate tra parco giochi e rudere scomposto che se fosse un lego ci metteremmo un tetto ci scaveremmo ossa

citt della memoria, sottoterra di coscienza. E non sai se vuoi innaffiarla o sezionarla, Matta Clark mal riuscito senza croci n baci, che guardi su foto aeree e ti viene un crepacuore, ma si ci porta l con gioia sullalto della rupe, alla casa pi distante pregna di tracce e animali e vivande da cui si scorge su pi ampio spettro. E si fa fuga anche qui lodore che ci sospinge ad ammarare * LEmilio per insegnare, simparer la ricetta di pulnta e fng, non dovr avere sangue saraceno da sette generazioni; l dove muore un vecchio di crepa cour in strada e si continua a bere laperitivo, leccare coni e scattare una foto prima che esca sul giornale. Il Dario quando arriva la primavera scoppia dormoni: Me le scoperei tutte! e racconta che con sua moglie non lo fa da anni, le vuole bene e scarica solo porno. La gente a volte ti guarda come fossi un alieno come avessi sbagliato direzione, non dargli troppa confidenza rischieresti di fare la fine del marziano a Roma. Fiulin con lodore di prezzemolo tritato, insalata ancora terrosa di rugiada torna bambino mentre Teresa con il mare accanto al finestrino va a unaltra messa di chi non c pi, nemmeno il tempo di una telefonata dauguri. * questa guerra immaginaria alla fine delle guerre questi calci al pallone questi colpi di racchetta, sto sudare e scaricare sono i suoi occhi di viva viola questi scontri da gitanti, urti nel fiume il bunjee jumping le sommosse pianificate la domenica mattina sin nei minimi dettagli, per fare un po di rumore, un po damore, gli inesistenti nemici di sempre, questo scambio continuo di letti, il far esplodere, i bastoni, stabbracciarsi, svuotare, sentirti mia cagnetta questo surrogato di possesso che il consumarla e questi occhi di nuovo che ti tocchi, che non schiacci questo sguardo che ti strappi

il sorriso appena prima che dica basta * Il compagno Giorgio pare uscito da un romanzo di Musil: parla poco, gioca con liPhone e domani si alzer allalba per il solito lavoraccio sottopagato. Nel Borgo tra strade dissestate, case abbandonate come nel dopoguerra, il Nando perso nei suoi studi straparla e nessuno lascolta: Perch il Signur fam no mor? Code chilometriche davanti alla reliquia, portata direttamente dai Crociati dicono forse da Gerusalemme dal Santo Sepolcro; accanto una piazza di cassintegrati disfattisti con fischietto e cappellino rosso, poche bandiere fuori tempo. Tutte in elle. E mentre attende al suo gelo la fine del turno da sentinella ripensa allingenuit gratuita della cialtrona al sorriso compiaciuto del confuso, agli ordini giocati come transazioni, alluomo in gruppo anche virtuale, che reclama altra gnocca e non sa che forma prende tra le gambe fino a quel cretino che va oltre, lo disgusta che solo una ragazzina, che questo non si pu che si s-loga e finisce indispettito. Teresa passeggia sul Lungomare e come bambina per un giorno rivede accanto il padre: quelle lacrime sono salso che la brezza mattutina spazza via al ritorno dei pescherecci. * Sembrano avercela con noi che non facciamo la rivoluzione per mancanza di fondi, tu dici per mancanza dideali ed Emilio rilancia, per un gap dideologia. Per lesserci fatti fottere di schiena, per laver preferito andarsi a fidare, Teresa sar questo, mentre lustri i bicchieri e non puoi non accorgerti che ci che limpreziosiva tanto kitsch agli occhi di chi s arreso allinessenziale e tanto poi nessuno succhier questo rigurgito di cioccolata.

La vita al rovescio.
Roberto Marino Masini Inizio queste righe come probabilmente non si dovrebbe mai fare: dicendo che conosco Roberto Marino Masini da anni, lo apprezzo come persona prima e come poeta poi, e che dunque quello che scrivo non ha il pregio dellobbiettivit. Lo conosco da tempo, dicevo, e da tempo, pensando alla piccola citt Gorizia che condividiamo, credo che nessun pi di lui sappia raccontarla in poesia. Al di l del valore dei suoi numerosi lavori, gi pubblicati in passato anche su queste pagine, la voce di Roberto Marino Masini quella di una realt di provincia, termine inteso nel suo senso migliore e senza alcun significato limitativo: un mondo apparentemente tranquillo, dai ritmi ancora piuttosto lenti e legati alle piccole cose e ai gesti pi comuni.

In queste poesie Roberto Marino Masini pi che mai custode della normalit, e nella normalit passeggia nel nulla diverso, scavando spazi per dare vita e risalto allimportanza o al disagio della quotidianit. Si tratta dunque di una scrittura a bassa voce, che non cerca la soluzione ad effetto e che anzi la sfugge; piuttosto la nudit dello sguardo che espone tutto se stesso senza rete, cerca la poesia nellapparentemente impoetico fluire dei giorni. Eppure e qui risiede la sua forza in queste parole si affaccia il rovescio della vita, emergono il dolore e la meraviglia, e non c ombra di banalit. La poesia nasce da un bicchiere di vino, da una stanza dospedale, dal buio della notte; la poesia cresce con stupida ostinazione, con insistenza, ma soprattutto offre e condivide il dono dellascoltare. Il rovescio della vita (Inediti, 2012) Sono le notti in cui il rovescio della vita si incanta, le viscere escono a guardare il cielo il freddo non si sente neppure. Reggo appena il confronto con queste parole, cercando di ricacciarle dentro da dove sono uscite, con stupida ostinazione. Trentuno dicembre duemiladieci, un finale coi botti, la fine di unidea. * Quando passeggio la notte, forse ubriaco o forse complice della mia stessa vita ci ripenso a questa citt. Zitta e chiusa nelle proprie case, attenta per al rumore insolito Custode della mia normalit ricerco, storie da raccontare toccare per qualche segno di penna, riga in pi riga in meno * Cattinara dentro, la vita fuori. Lucido appena lavato il pavimento, oltre i vetri lumidit. La tranquilla prospettiva di stare meglio e pagine amiche fatte di famiglia, ritrovi improvvisi Mi accompagna un pensiero forte. Nel traffico di poi mi perdo, le storie che racconti sono verit che non trovo mai nella cronaca del tg3. (Cattinara, ospedale civile di Trieste) * Ringrazio per questo conoscere, bellezza la voce parole dette senza banalit. Nel mio insistere c anche questo, la ricerca e il dono dellascoltare. *

A Lorenza Posso dire delle facciate di questa Trieste piene di vita s, ma pure di scontri tra mare e cielo. Sono i giorni del destino? Riconosco lenergia quando sgorga forte in te. Forse ci appartiene, diversa, decisiva nelle scelte della vita come fragile talvolta. Trieste vista da sotto, dalla strada e da chi la racconta, toni differenti quasi a dipingere un quadro che non tutti vedono una pennellata forte a chiudere il tramonto. Ancora tra le vie fatte dansia frenetiche boccate di orgoglio, spunta la luna, e non fa notte. Non vuole venire, deve essere dipinta dalle parole. (A Lorenza Persoglia, pittrice goriziana) * Ho rivisto la tua casa, le sue piccole cose importanti semplici essenze. La vetrina fatta di un tempo che non ricordavo pi. Fiori che giocano con i colori, briciole e fette di salame, un bicchiere di vino e alla fine un abbraccio. Sai, oggi hai fatto poesia. * La notte accetta in silenzio lappartarsi del giorno. Io sono landare senza rumore, tu il futuro delle parole. Il tempo ricorda se stesso senza piet, guai a noi, guai, risvegliarci un domani

senza la misericordia di un sorriso, senza salvezza. * Ultimo scritto da Nerezine* Nuvole sopra, sapore di lavanda. Ecco, si riparte, breve smarrimento lunga attesa. cos, alla fine per ogni saluto risponde un ritorno. Post scriptum Lo so, domani toccher la citt trover ciottoli e balconi dimenticati. Vorrei fermarmi tra il rosmarino ed il mare, vivere di nostalgia promesse attese voci spente. Rinchiuso in un essere normale, passeggiare nel nulla diverso. (*) Paesino croato nellisola di Lussino * per Mario Carnelut Ultima Primavera Desiderio Nudo Leggerezza daria. Dalle lenzuola bianca sofferenza respiro greve. Finestra aperta ultima, la speranza lacrima. (Mario Carnelut, poeta goriziano scomparso diversi anni fa) * Urla la notte di voglia, sete, dubriaca avventura. Trovare le parole nel mezzo di un cammino estremo. Stanchezza di suoni persi lontano dove la tua luna gioca solitaria.

E si cade poi per terra, senza tonfi ma con dolore vero, viola il colore delle ombre, vuoto il contenuto delleco rimbalza a lungo.

Mostri Henry Fssli e Mary Shelley


7 maggio 1819 Cara signora Shelley, ho appena finito di leggere Frankenstein o il Prometeo incatenato: mi piace molto. Il personaggio che avete inventato straordinario, quasi shakespeariano. Sono stato subito colpito da delle strane coincidenze: io sono di origine svizzera, bench mi consideri un nomade, e la vostra storia si svolge tra le Alpi svizzere e i protagonisti viaggiano in continuazione. Si dice inoltre che, insieme a vostro marito, a George Byron e al dottor Polidori, avete trascorso una vacanza a Ginevra; l vi siete sfidati a scrivere un racconto di fantasmi. Ma Frankenstein non solo una storia paurosa inventata per scommessa: molto, molto di pi. Frankenstein crea un essere che scopre la propria mostruosit guardandosi allo specchio. Lo specchio che proietta il proprio ritratto oscuro, pu essere la semplice tela del pittore come il foglio dello scrittore. Dipingendo o scrivendo si riflette sempre, e tutto diventa specchio che porta alla luce fantasmi, orribili fantasie, verit grottesche. Tra lautore e la sua opera esiste il tragico destino di un legame perverso. E come dimenticare la solitudine di Frankenstein! Quegli occhi smarriti che incontrano solo la benevolenza della luna nel cielo notturno. Quella luna che continua ad affacciarsi nei momenti cruciali della storia per dirci che ogni invenzione umana misteriosa e trasgressiva, quindi generata nella notte grembo di sogni ed incubi. E poi, la sua vana richiesta damore. Il delitto, la perdizione. Temi forti, cara Mary, e sentimenti altrettanto assoluti. Voi li rappresentate in grandi composizioni: i paesaggi ghiacciati delle Alpi e dellestremo nord, percorsi da cacciatore e preda, e da quellaltro viaggiatore che racconter alla fine la loro storia e che, a sua volta, in quelle terre gelate, in quella Natura grandiosa e muta, cerca la sua Thule o lannientamento di s. Ah se riuscissi a tenere ancora il pennello in mano, come dipingerei volentieri certe scene! Spesso mi sono chiesto: che cos mostruoso? Un giudizio morale o una categoria estetica? Per un pittore, il quesito interessante, quando bisogna deviare dalla linea retta per creare configurazioni di corpi obliqui o deformi. Certo, il vostro libro lascia in sospeso domande inquietanti: larbitrio della scienza, la sfida delluomo alle leggi naturali, lintelligenza che partorisce mostri sui quali si arroga diritto di vita e di morte. Che cos, in fondo, la creatura di Frankenstein? Un povero corpo strappato al regno dei morti o un rozzo semidio artificiale? Le sue cellule sono fatte con le fibre di muscoli e nervi umani: con queste parti che il mostro desidera una vita normale. Ma, disciplinato alle regole della nostra societ, sarebbe ancora un mostro o perderebbe tutta la sua diversit? Intanto li, gigantesco e ridicolo, che spia con occhi lacrimosi la vita quotidiana di una mediocre famigliola. Sono le pagine pi deboli del libro, Mary, e mi domando: se questo moderno Prometeo rivela delle debolezze cos femminili non forse perch lo ha creato una donna? Unico al mondo (e secondo voi anche il primo e lultimo della sua specie) viene escluso, rifiutato, dai normali. E se invece popolasse la terra, sarebbe cos scandaloso? E perch no? Se figlio della natura, pu convivere insieme agli altri. Nella natura lo sostenete anche voi giovani orrido e bellezza si mescolano, cos come nella natura coesistono inferno e paradiso. Per luomo, la serenit domestica certo una radice di sicurezza, ma questa sicurezza, questo quotidiano implacabile, genera orrende schiavit, nasconde mostruosit inenarrabili: quanti delitti in nome di questa presunta serenit ! S, in fondo siamo tutti mostri, lacerati da una sfida prometeica che ci porta oltre i freddi confini di Thule, e da un bisogno di tranquillit che ci fa stare al caldo, davanti a un camino, tra le braccia di una femmina. Non credo che la domesticit salverebbe il mostro. Solo un grande atto damore. E noi mostri, noi artisti, lo abbiamo avuto, questo amore? Penso che larte, talvolta, supplisca a modo suo un atto damore mancato. Ora che sono molto vecchio sto ripercorrendo la mia vita. ( un atto di debolezza o forse semplicemente di lucidit.) E mi ricordo di vostra madre: Mary Wollstonecraft. Lei inseguiva sia il sogno dellamore che lutopia della libert della donna. Il suo temperamento vulcanico mi spaventava. Mi scriveva lettere visionarie dallaltro capo del mondo. Ma, quando venne a Londra, mi sembr una donna fragile, un po ridicola: da un lato troppo indipendente e aggressiva e dallaltro, troppo femminile, vittima delle sue passioni per uomini sbagliati. Insomma, era una creatura a met. No, non potevo amarla, mi ero gi legato e sottomesso a mia moglie. E poi, a cinquantanni, avevo gi perduto la volont e la capacit di amare. In giovinezza, soffrii molto per un amore negato. Dopo esperienze simili, resta solo la dipendenza da un sogno che si muta in

ossessione o la dipendenza sessuale, spogliata dello slancio amoroso che giustifica ogni perversione. Anchio, in un certo senso, mi sono addomesticato. Ho domato il dmone che minacciava di distruggermi. Certe visioni nascono solo prima di un viaggio abissale e soprattutto dopo, quando non si pu viaggiare pi. Per mia fortuna, sono nato col dono di unarte e ho coltivato questa ricchezza, traducendola tecnicamente in unespressione. Il vostro libro mi ha ricordato che la mia pittura prende il posto di un incolmabile vuoto: io lho popolato di fantasmi, come meglio ho potuto. (Le mie idee sulla pittura le conoscete bene. Tutto si ritrova in natura; luomo non crea, inventa. E il vostro Frankenstein ha inventato il mostro, come voi avete inventato Frankenstein. Solo Dio, se esiste, crea dal nulla. E il nulla non la natura.) Cos, dipingendo incubi notturni, mi sono salvato dalla follia. Lanima di quella donna posseduta dal mostro che le schiaccia il grembo , forse, la mia. Perch dico proprio a voi queste cose? Perch siete giovane e lontana, perch in voi si agitano cose tenebrose, perch immagino siete visitata da visioni, come lo fui io, in giovinezza. Ma meglio non farsi mai n troppe domande n darsi troppe risposte. Di solito i pittori dipingono senza troppo pensare. Io, invece, ho sempre cercato di razionalizzare tutto, ed questo il mio lato diabolico. No, non credo che la vostra immaginazione sia stata alimentata soltanto dalle letture, dagli attuali dibattiti scientifici, dalla vicinanza di un padre come il vostro o dallincontro con amici eccezionali. Come pu, una donna, inventare una storia come quella di Frankenstein se non ha vissuto sulla pelle certe emozioni infernali? Dormiamo: un sogno pu visitare il nostro sonno, ci alziamo: un pensiero vagante contamina il giorno. Sono versi di Shelley. Si, vostro marito un grande poeta ma voi, Mary, siete degna di essere sua moglie. Mi chiaro, infatti, dopo aver letto Frankenstein, chi dei tre sfidanti, ha vinto la scommessa Auguro al vostro libro un grande futuro. Henry Fssli *** Londra, 15 maggio 1819 Caro Maestro, non merito i vostri apprezzamenti. Ma sono fiera e felice di avere colpito la fantasia di chi si definisce pittore ufficiale del diavolo! Conserver la vostra lettera come un tesoro prezioso. Avete colto nel segno: senza le mie esperienze infernali, forse Frankenstein non sarebbe mai nato. La mia vita stata abissale, come un paesaggio dalta montagna; e tuttora ho la sensazione di trovarmi in bilico sullorlo di un crepaccio col terrore di precipitarvi da un momento allaltro. Solo la mediocre, banale domesticit, riesce a stabilire un po di calma dentro di me. quella la mia Thule Sulla genesi del Frankenstein sto scrivendo un diario di appunti. Quello che per non apparir nel diario questo sentimento di morte-vita, questo ossessivo sentimento della loro indissolubilit che ho ereditato fin dalla nascita. Sono nata da una donna che morta mettendomi alla luce. Quando me lo dissero ero gi in grado di chiedermi: perch la scienza moderna permette alle donne di morire di parto? perch gli scienziati della medicina e del corpo umano non dedicano pi attenzione a quellavvenimento estremo che la nascita? Mia madre si era impegnata con tutte le sue forze per lemancipazione della donna. Che tragica beffa! E poi, il problema della nascita dei mostri. Fin dal medioevo li hanno confinati ai margini della societ civile, cacciati su isole selvagge, in luoghi inaccessibili, perch non si mostrassero a occhi normali Quando morta la mia prima figlia ho vissuto tutta limpotenza di una madre di fronte al mistero della morte. Volevo imprimerle, a tutti i costi, il mio soffio vitale: lho cullata, morta, per un giorno intero. Poi ho sognato che, grazie alle mie arti damore, lei sopravvivesse un sogno folle, veramente prometeico. (Cos far il mio Frankenstein cercando, dalla materia morta e putrescente, di resuscitare una cellula viva.) Che cosa ha visto mia madre, prima di morire? E io stessa, davanti al corpicino inerte di mia figlia e poi, davanti a tutti gli altri morti che hanno costellato finora la mia breve esistenza? Emozioni smisurate che generano immagini spaventose, simili a voragini da cui sempre pi difficile riaffiorare. Frankenstein nasce da tutto questo e da un incubo in una notte di tempesta: non a caso lho voluto inviare a voi, Maestro, che nelle mani avete la forza delle tenebre. Ho partorito il mio incubo come quella donna che nel vostro capolavoro tiene in grembo un mostro. Detesto e temo gli scienziati che vanno contro natura (ricordate lantica leggenda del Golem?) . Per questo ho paura del futuro, ho presentimenti terribili. Tutto muta a questo mondo, e muter anche la struttura del cervello umano e con essa i pensieri, le filosofie e quindi anche i sogni.

Il giorno trascorso non mai quello a venire, niente dura se non quello che muta!. Sono i versi del mio Percy. Voi e io, sebbene in modi diversi, abbiamo frequentato creature immaginarie. Ma anche nella realt luomo pu trasformare le donne in creature mostruose (Ho appena finito di leggere un racconto di Hoffmann dove un automa di nome Olympia porta un uomo ingenuo alla pazzia. Quella diabolica Olympia che, al contrario del mio Frankestein apparentemente bellissima, ha due padri: un mago e uno scienziato. Che bel soggetto sarebbe per uno dei vostri quadri!) Caro Maestro, vero che dipingete sempre meno a causa di forti dolori alle dita? Vi prego, cercate di curarvi le mani, conosco dei medici molto scrupolosi che si stanno occupando di problemi simili. Col vostro consenso, mi occuper dei vostri dolori, non appena sar un po pi libera dai miei impegni di madre (mi nato un nuovo figlio da pochi mesi, lo sapevate?) Mi viene in mente unaltra Olimpia e questa non un personaggio letterario: ricordate la cittadina Olympe de Gouges, morta ghigliottinata dopo aver scritto una dichiarazione per i diritti delle donne? Che bel tradimento, per noi, la Rivoluzione francese! Per fortuna, il destino ha risparmiato a mia madre una delusione cos grande. Io sono fuggita di casa a sedici anni. stata lemozione pi bella della mia vita. Sono stata fortunata. Altre donne che hanno fatto la stessa cosa, ribellandosi allinferno domestico e alla prigionia dei ruoli, hanno finito malamente i loro giorni, ai margini di una vita intollerabile. S, Maestro, ho mille dubbi sul mio Frankenstein, sulla sua ideologia e sul suo futuro nel mondo delle lettere, dominato dagli uomini. Ho mille dubbi su tutto, a cominciare da me stessa, sia come donna che come scrittrice. Anchio, come voi, non amo in particolare i capitoli della debolezza di Frankenstein. una caduta stilistica, e non solo stilistica, ma non riesco, in nessun modo, a sostituirli o a modificarli. Forse perch, come dite voi, sono una donna e quindi, alle volte, sopraffatta dalla tenerezza. questo il nostro limite, anche se non dovrebbero esistere opere deboli. Unopera riuscita oppure no. Forse questi miei difetti letterari mi faranno riflettere e, chiss, porteranno nuovi semi per libri futuri. Limportante, mi ripeto, seminare: domande, ipotesi, discussioni, turbamenti. Insomma, sondare quel lato oscuro che ci portiamo dietro come uneredit. In fondo, il mio mostro chiede solo amore e comprensione. Non conosce madre (neppure io sono mai stata vista da mia madre) ma solo il padre che lo genera nel cervello. Perci non nasce dallatto damore fra uomo e donna ma da unambizione maschile solitaria; dunque destinato alla solitudine, allo scacco, alla perpetua incompletezza. Quante volte ho esitato tra il condannarlo e il comprenderlo! Credo mi sia impossibile raggiungere un giudizio definitivo: la sola ragione ingiusta cos come ingiusto il solo sentimento. Sono convinta di una cosa: una paternit consumata esclusivamente nel laboratorio del cervello porta con s il seme di una pericolosa onnipotenza. Per le donne non cos. Nel loro corpo c tutto: il mistero dellamore e della procreazione, il dolore fisico e la paura della morte. Eppure la scelta della nostra sopravvivenza, in certi casi, affidata solo alla decisione di medici e mariti: sceglieranno di salvare lei o il figlio? Ancora una volta il nostro destino nelle mani di uomini. Perdonatemi se mi sono confessata con voi come a un padre (il mio mi ha sempre ascoltata con affettuosa indulgenza, come faceva con mia madre). Forse stato il tono della vostra lettera a consentirmi questa familiarit. Del futuro del mio Frankenstein non mi preoccupo pi di tanto. un figlio di carta. Mortale, immortale? Non ha importanza. Temo invece per i miei figli e per mio marito, che considero anche lui un figlio molto delicato. Cupi presentimenti mi tormentano notte e giorno. Abbiate cura di voi, caro Maestro. Mary Godwin Shelley __________________________ Henry Fssli dipinge il suo Incubo nel 1781, a quarantanni. Mary Godwin Shelley pubblica Frankenstein o il Prometeo incatenato nel 1817, a diciannove anni. Come noto, Mary Shelley, Percy Bysshe Shelley, Lord Byron e il reverendo Polidori, la notte del 17 giugno 1816, a Villa Diodati, sul lago di Ginevra, fecero una scommessa: tutti e quattro avrebbero scritto un racconto di fantasmi. Byron scriver un frammento incompiuto su un vampiro, Polidori un racconto gotico sullo stesso tema e Shelley una fantasia poetica. Sua moglie Mary, il Frankenstein che conosciamo.

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