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TIENNE GILSON, Il realismo. Metodo della Filosofia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, S.

Marinella (Roma) 2008, pp. 185, pz. 20,00 . Lopera una raccolta di saggi pubblicata da tienne Gilson nel 1935 a Parigi sotto il titolo Le Ralisme mthodique allinterno della collana ours et documents de Philosophie diretta da Yves Simon. Gi pubblicata da diversi anni in spagnolo e pi recentemente in inglese, quella che qui presentiamo la prima in italiano in versione integrale. La traduzione stata curata da Antonio Livi. Il libro accompagnato da unintroduzione storica di Maria Antonietta Mendosa e da una postfazione del medesimo traduttore e curatore. Vi anche una nota bibliografica sulle opere di Gilson tradotte in italiano. Lopera fa parte della collana Biblioteca di Sensus communis diretta da Livi allinterno della sezione dei testi classici della filosofia del senso comune. La scelta del direttore, di accoglierla nella collana, motivata dal fatto che Gilson, in questopera, sostenendo il realismo come unico metodo possibile della filosofia, afferma al medesimo tempo il senso comune come unico fondamento veritativo della conoscenza in generale. Nella postfazione Livi ne propone uninterpretazione ricostruendo in modo critico alcuni aspetti del pensiero gilsoniano. Il libro si divide in cinque capitoli. Il primo capitolo, intitolato Realismo come metodo, pone in termini rigorosi il problema del realismo tomista confrontandosi con lidealismo di Descartes, di Berkeley e di Kant. La posizione che il filosofo francese delinea uninterpretazione differente rispetto ad alcuni neotomisti suoi contemporanei. Avanza lipotesi che non possibile superare lidealismo opponendovisi dal di dentro, perch facendo cos ci si sottomette, ma[] occorre dispensarlo dallesistere (p. 60). Questa affermazione diventa oggetto di riflessione di tutto il secondo capitolo confrontandosi con le posizione di Dsir Mercier e Lon Nol, della scuola di Lovanio, rappresentanti del realismo critico. Gilson si oppone ai due pensatori e dimostra come il tentativo dei filosofi di Lovanio di dialogo con lidealismo sia costruito su un equivoco. Il cogito cartesiano esclude di principio tutto ci che non sia pensiero, mentre quello di Nol carico fin dallinizio delloggetto della conoscenza, cio il non-io che si rende presente al nostro pensiero. Include nel concetto di cogito ci che nella concezione di Descartes veniva di principio escluso. Nella parte conclusiva del capitolo, Gilson ripropone il metodo tommasiano, senza escludere lipotesi che il realismo possa ricavare dallo studio [dellidealismo] tante istruttive nozioni, ma a condizione di rimanere se stesso, cio di avere come fondamento levidenza []: la presa diretta dellesistenza delle cose attraverso lesperienza sensibile (p. 92). Questultimo aspetto viene approfondito nel terzo capitolo. Nel terzultimo e penultimo capitolo, dopo un breve excursus storico sul pensiero moderno, la riflessione si concentra sulle ragioni della scelta necessaria del realismo come metodo e del modo con cui occorre intenderlo. Nel percorso molto articolato della sua riflessione, Gilson riconosce che la scelta del metodo realista equivale ad optare per la filosofia. I due termini realismo e filosofia sono tra loro correlati in modo univoco al punto che il realismo lunico modo di fare filosofia e, di converso, la filosofia, autenticamente tale, solo realista. Il metodo adeguato quello che parte dal fatto che le cose sono. Esso il principio e il termine medio che deve collegare le parti di ogni riflessione. In questo modo Gilson sostituisce il cogito cartesiano e fa del suo giudizio res sunt il principio e la legge ricorsiva di ogni altra sua affermazione filosofica. In fine, lultimo capitolo, diviso in trenta punti, sembra essere un decalogo per chi volesse cimentarsi con un sano realismo. Ma, a mio avviso, riduttivo ritenere che sia una giustapposizione di diversi punti. Si

tratta di una sintesi ben strutturata della riflessione che il filosofo francese porta avanti nei capitoli precedenti. Evidenzia e chiarifica le connessioni logiche dello sviluppo discorsivo del suo pensiero. Due considerazioni occorre presentare quali note a margine sul lavoro gilsoniano: una storica e laltra teoretica. Gli interlocutori dellopera gilsoniana sono i rappresentanti del realismo critico secondo la scuola di Lovanio. Gilson prende direttamente in considerazione la posizione dei suoi pi importanti rappresentanti: il Card. Dsir Mercier e Lon Nol, suo discepolo e continuatore. Ritiene che il tentativo della scuola di Lovanio, di interpretare il realismo dialogando con le posizioni idealiste secondo la prospettiva cartesiana e kantiana, sia fallimentare. Infatti, la filosofia realista e quella idealista sono tra loro incomunicabili. Usando lespressione gilsoniana lidealismo cartesiano, pur avendo punti in comune con il realismo, si muove in direzioni diametralmente opposta: il realismo ab esse ad nosse valet consequentia, mentre lidealismo a nosse ad esse valet consequentia (p. 87). Il filosofo francese vede nel metodo tomista lunica via di uscita. Propone una sua interpretazione che si discosta dai suoi interlocutori neoscolastici. Gilson difende Nol da chi lo accusa di aver voluto reinterpretare il tomismo in modo idealista, ma se ne discosta profondamente quando afferma lincompatibilit del pensiero del filosofo di Lovanio con lo spirito tomista (pp. 86-7). Non si tratta, per, di un ritorno tout court alla Scolastica (p. 106). Del resto, sarebbe assurdo poich occorre condannare a detta di Gilson la sterilit scientifica del Medioevo. Il fallimento della fisica medievale non autorizza arbitrariamente a decretare anche quello della filosofia che ha una sua autonomia rispetto alla concezione dei moti dei corpi celesti di quellepoca storica (pp. 111-2). Per Gilson, la filosofia medievale, e pi propriamente quella tommasiana, custodisce al suo interno i principi del sano realismo che consentono la costruzione di un metodo adeguato per lo sviluppo di un pensiero filosofico fecondo (p. 112). Ci che rimprovera ad Aristotele e agli scolastici, di non essere rimasti fedeli al loro principio (p. 108). Per Tommaso, invece, evidente che la res la cosa reale e loggetto proprio del nostro intelletto e che lessere-conosciuto non pu prescindere dallessere reale. Per il filosofo francese queste affermazioni sono contenute in unico giudizio: res sunt. Questultimo una delle evidenze del senso comune. il principio da cui occorre muoversi per costruire una filosofia vera ed anche il principio a cui occorre rimanere sempre fedeli in modo coerente nello sviluppo del proprio pensiero anche se critico (pp. 128-9). Un ulteriore glossa occorre fare al testo. Vorrei riprendere una distinzione, accennata nellintroduzione storica (p. 18) e ripresa nella postfazione (pp. 161-2), tra postulato, assioma ed ipotesi. La genesi di questi termini greca: aitemata, axiomata e ypothesis. Una chiara testimonianza, sui primi due termini, c data da Euclide dAlessandria nellopera gli Elementi, attribuitagli da Proclo. Ma il pensatore alessandrino non da unesatta definizione, ritenendoli delle nozioni comuni: coinai ennoiai. Sar Proclo, nel suo commentario agli Elementi di Euclide, a fornire tre modi di intendere la differenza tra postulato ed assioma. Nel terzo modo cita lautorit di Aristotele in Analytica Posteriora, I. 10 in cui propone una distinzione tra postulato, assioma e ipotesi. Lo Stagirita non sembra usare questi termini in senso esclusivamente matematico ma li carica anche di un valore epistemologico accostando, per distinguerli, alla parola verit: aletheia. Negli Analitici, Aristotele, afferma che tutti tre sono delle proposizioni che sono poste quali principi e premesse di un pensiero epistemico che proceda secondo il metodo deduttivo-analitico. Sono le cause di tutte le ulteriori proposizioni che ne derivano. Tutte le preposizioni che sono legate ad esse da un rapporto

di causalit ne ereditano geneticamente il valore di verit. Questi principi, se sono veri per se stessi, e dunque evidenti ed indimostrabili, sono indicati come assiomi. Di converso, lipotesi e il postulato sono veri perch vengono posti come se lo fossero. Per, il valore veritativo dellipotesi non si in grado di dimostrarlo, mentre del postulato possibile. Di conseguenza, si ha questa situazione: sia lipotesi che il postulato non sono evidenti di per s; ma del postulato, la sua evidenza dimostrabile. Questa distinzione aristotelica stata oggetto di un forte interesse da parte dei matematici contemporanei Si ricorda G. Vailati, in una sua comunicazione al terzo Congresso Mat. [Heidelberg, 1904], in cui richiam l'attenzione degli studiosi sul significato di queste parole presso i greci. (Cfr. Intorno al significato della distinzione tra gli assiomi ed i postulati nella geometria greca, in Ver. des dritten Math. Kongresses, Teubner, Leipzig 1905 p. 575-581). Ritornando al pensiero gilsoniano, fecondati da questo breve exursus sul pensiero ellenico, possiamo trarre alcune conclusioni. Per il filosofo francese il cogito cartesiano e la-priori kantiano non posso essere considerati assiomi, cio veri per se stessi. Lo stesso idealismo, nel suo sviluppo storico, lo ha dimostrato e la critica del realismo di Merciel e Nol ne unulteriore riprova. Ma non possono essere considerati neppure come postulati perch n Cartesio n Kant provano a dare una dimostrazione della loro verit, ritenendoli appunto degli assiomi. Dunque, in ultima analisi, Gilson ritiene che i principi, da cui lidealismo muove il suo pensiero, siano delle ipotesi. Per il filosofo francese ci legittimo, accosto, per, che lidealismo rimanga, attraverso il suo procedimento deduttivo-analito, coerente ai suoi principi (pp. 115-7). Infatti, nei tentativi da parte di Cartesio di provare lesistenza del mondo esteriore e da parte di Kant di trovare un adeguato fondamento alla morale, Gilson avverte una profonda incoerenza ai principi del pensiero idealista (pp. 74-5; 82; 120-1; 125). Un sano idealismo non pu non sfociare in una critica della conoscenza ed in un profondo scetticismo nelle capacit della razionalit umana di conoscere ci che altro da se stessa (p. 127-8). In fine, per, occorre porsi un ulteriore interrogativo: cosa il res sunt di Gilson? Livi ci informa che Gilson, nella fase matura del suo pensiero, ove teorizza la giovanile intuizione del realismo come metodo, pone questo giudizio come principio del suo pensiero (p. 161). Questa proposizione posta come assioma in quanto qualificato come giudizio analitico e cade sotto limmediata evidenza dei nostri sensi (p. 162). un giudizio analitico perch il concetto del sunt, oggetto del giudizio gilsoniano, contenuto in quello del soggetto, res. Livi sottolinea che res al plurare ed equivale a dire entia. Gilson pone come principio del suo pensiero, non unimprobabile intuizione dellessere in s, bens la presenza innegabile di una pluralit di enti limitati ed in movimento: gli esistenti che cadono sotto la nostra percezione sensoriale. Questultimi sono la vera causa del nostro pensare (p. 162). Va colto unulteriore sfumatura che a nostro avviso emerge dallopera che stiamo presentando. Si tratta di una lettura retrospettiva alla luce delle conclusioni mature del pensiero gilsoniano. Il res sunt, che non appare come termini nellopera, ma lo si rileva nella sua opzione al metodo realista, posto , nella sua giovanile intuizione, non come principio o premessa della sua riflessione filosofica, bens come presupposto: condizione necessaria di possibilit di un pensiero che voglia dirsi filosofico. Tra gli scolastici, il res sunt, come argomenta lo stesso Gilson, da buono storico, era un presupposto condiviso e di suo evidente, al punto che non sentono la necessit di discuterne: appartiene, in altre parole, ad una nozione comunemente intesa (pp. 51-2 e 91).

Ma nella nostra epoca contemporanea, alla luce del percorso storico compiuto dallidealismo e dalle nuove scienze, Gilson comprende che questo presupposto, ampiamente condiviso in epoca medievale, non pi tale. per questa ragione che, nella sua riflessione succesiva e matura, lo pone come principio e premessa del suo pensiero. Cosa sia effettivamente, assioma o postulato, non credo che siamo in grado di esprimere a tal proposito un giudizio esatto. Sicuramente non unipotesi perch sarebbe negare il presupposto stesso di un pensiero che sia filosofico. Il merito di Gilson, in quanto autenticamente storico da non confondere n con la storiografia n con lo storicismo (p. 156), stato quello di smascherare lidealismo e il realismo critico della loro pretesa di essere lunico modo di fare filosofia. Inoltre, il filosofo francese non pu essere considerato un semplice commentatore del pensiero medievale, bens, pur rimanendo un valido interprete, va oltre: eleva il presupposto della filosofia scolastica a principio del suo pensiero. In questo possiamo rinvenire loriginalit e la genuinit del pensiero gilsoniano.

Daniele DAgostino Anagni, Istituto Teologico Leoniano Roma, Pontificia Universit Regina Apostolorum

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