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Il caso Leopardi

A scuola era una favoletta, a volte sopravvive nonostante duecento anni di lettura biografica e critica e a 40 anni da un libro fondamentale nella storiografia letteraria leopardiana come La protesta di Leopardi di Walter Binni1: lassociazione gobba-malattia-pessimismo, Leopardi cantore del nulla, della negativit, della cancellazione della speranza. Lo stato, sino agli esiti pi desolati; ma Leopardi anche il poeta che canta la giovinezza, il tempo giovanil, pi caro / che la fama e lallor, pi che la pura / luce del giorno;2 della rimembranza che molce3 il cuore; della bellezza della natura; dei colori dei paesaggi e del mistero della notte; delle voci udite da lontano o riemerse dalla lontananza del tempo. il cantore di una sincerit di vita che mai, dopo Dante e Petrarca, ha raggiunto quella intensit; il poeta della fratellanza della Ginestra; lalchimista della lingua, che gioca
WALTER BINNI, La protesta di Leopardi, Sansoni, Milano 1973. Le ricordanze 44-46. Cfr. GIACOMO LEOPARDI, Canti, a cura di Niccol Gallo e Cesare Garboli, Einaudi, Torino 1962-1993, p. 179. 3 molceva lo stupendo verbo di A Silvia 44: inteneriva, illanguidiva. Cfr. GIACOMO LEOPARDI, Canti, cit., p. 173.
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dal greco e dal latino per dire le sue intermittenze del cuore. la voce di un amore per la vita che raggiunge vette struggenti e di una delusione sconsolata come i pi neri abissi; capace di contraddirsi nel giro di pochi giorni, come testimoniano molti passaggi delle lettere e dello Zibaldone. Non un ideologo, il suo un pensiero liquido, un pensiero poetante4. un autore vivo e dilaniante di unattualit che brucia. Altro che poeta triste perch gobbo quindi solo. In vita ebbe invece uninfinit di ammiratori, nei suoi viaggi a Bologna, Firenze, Pisa, fino ai suoi ultimi giorni napoletani. Ecco perch la lettura del bellissimo libro di Pietro Citati, Leopardi5, oltre a regalare la gioia di una scrittura fluida, chiara e musicale, ha il senso di un atto di giustizia critica. Leopardi di Pietro Citati un libro innamorato. Alcuni recensori hanno scritto che Citati, nel suo intrecciare biografia e letteratura, nellannodare trama e ordito del labirinto di vita e scrittura, erede di SainteBeuve6 o ultimo erede di Sainte-Beuve per lattenzione alla biografia [...] costante della saggistica di Citati7. Era opinione e metodo di Sainte-Beuve che biografia e opera in uno
il titolo di uno dei libri pi belli della critica leopardiana degli ultimi decenni, Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi di ANTONIO PRETE, Feltrinelli, Milano 1980. 5 PIETRO CITATI, Leopardi, Mondadori, Milano 2010, 438 pagine. 6 MARIO ANDREA RIGONI, Leopardi, il genio vince linfermit in Corriere della Sera, 16 ottobre 2010. 7 RAOUL BRUNI, Come unopera buffa in LIndice, anno XXVIII n. 5, maggio 2011.
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scrittore fossero intrecciate, respirassero luna con laltra, lopera germogliasse dalla vita. Ma il Leopardi di Citati va oltre. Citati il personaggio che narra: da Goethe (1970-1990) ad Alessandro (1974-2004), Vita breve di Katherine Mansfield (1980-2001), Kafka (19872007), Tolstoj (1983-1996), fino a libri stupendi come La colomba pugnalata su Proust (1995-2008), La morte della farfalla (2006), La malattia dellinfinito (2008)8. Citati racconta Leopardi con la confidenza di chi narra la vita di un amico; colloquiale nel tono e raffinato nella scrittura; ma ogni aneddoto, ogni riferimento, ogni sguardo sul Leopardi fanciullo o adulto documentato con rigore storico e filologico e offerto al lettore con la naturalezza di un compagno di viaggio. In questo Citati unico: in passato, una prosa critica cos ammaliante e scientificamente nitida era in Giovanni Macchia, Mario Praz, Roberto Longhi, maestri oggi inarrivabili. Insieme alla biografia, ricostruita soprattutto attraverso gli epistolari e lo Zibaldone, Citati segue lopera di Leopardi nella sua cronologia, ricostruendo, con le parole rimaste nei documenti, i suoi pensieri, perfino le sue emozioni. Affascina, in Citati, la capacit di descrizione da dentro, come se lautore fosse lo spettatore invisibile, langelo wendersiano delle giornate di Leopardi e della mente del poeta. La pagina tessuta nei pensieri al loro
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Le date si riferiscono alla prima edizione e alla ristampa Adelphi.

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sbocciare o al loro infrangersi come onde contro altri pensieri in contraddizione; fatta di odori, luci, sapori, cieli e stanze, carta e pietra. Perch la poesia fatta di corpo. Infanzia e fanciullezza, lallegria Uno dei meriti del libro di Citati che lintreccio tra opera e biografia libera la figura di Giacomo Leopardi da detriti e limo, non concede sconti a nessuno (dal conte Monaldo ad Adelaide Antici, il fratello Carlo e la sorella Paolina, le tante figure alcune mediocri che hanno sfiorato la vita del poeta), nemmeno a Giacomo. Ma attraverso questo lavoro minerario la grandezza del poeta di Recanati ne esce pi rilucente. A parte i biografi, ovviamente, nessuno immagina Giacomo come un bambino tutto allegrezza pazza, bambino giocherellone, una furia scatenata. Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi nacque a Recanati venerd 29 giugno 17989. Nei ritratti di Monaldo e Adelaide, o nei loro disegni per il figlio, Giacomo tutto altarini e devozione, un futuro vescovo o papa, mentre per i fratelli, soprattutto Carlo, Giacomo gioia, furia, allegrezza pazza, al punto che se non si fosse contenuto avrebbe saltato, gettato seggiole in aria, fino a farsi male per
PIETRO CITATI, Leopardi, Mondadori, Milano 2010, p. 19. Dora in poi il libro sar citato come PCL.
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allegria10. Ma subito, per il giovane Giacomo, si definisce un mondo: la biblioteca di Palazzo Leopardi, raggrumata da Monaldo per il figlio anche come nmesi alla propria ignoranza, e luniverso della natura, del paesaggio, del clima, da cui sarebbe germogliata tutta lopera di Leopardi, a cominciare dalle tante struggenti invocazioni allinfanzia e alla fanciullezza, alle rimembranze, non i ricordi ma la loro musica. E linfinito dellimmaginazione, nutrito dai classici greci e latini e dalle moderne letture francesi come Rousseau. Fuori dalla biblioteca cera luniverso, e Leopardi avrebbe sempre ricordato cosa aveva visto intorno a s nellinfanzia e nelladolescenza. Niente, allora, gli appariva indifferente o insensato: ogni cosa aveva un senso; il tuono e il vento e il sole e gli astri e gli animali e le piante. Tutto sembrava volergli parlare: lui interrogava le immagini e gli alberi e i fiori e le nuvole, abbracciava i sassi e i legni [...] Ogni cosa era nuova e meravigliosa: i colori delle cose, la luce, le stelle, il fuoco, il volo degli insetti, il canto degli uccelli, le acque chiare delle fonti; e si muoveva, ondeggiava e fluttuava come fluttua la romanzesca immaginazione infantile11. Scrive Citati: [...] qualsiasi apparenza il sole e la luna e il tuono e il vento e il giorno e la notte e lanno e il tempo e le stagioni e le messi
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PCL, p. 20. Ivi, pp. 21-22

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aveva una sembianza o una similitudine umana. Poi, al di sopra di tutto, pi in alto, pi in alto, la fantasia intendeva un suono cos dolce che tale non sode in questo mondo. Quella musica avrebbe echeggiato sullo sfondo di ogni poesia di Leopardi, sebbene egli non la esprimesse mai con le parole12. Nella lezione di Montaigne (parzialmente) e di Rousseau, era limmaginazione a generare poesia: Nello Zibaldone, Leopardi aggiungeva che, per lui, il mondo era doppio: da un lato vedeva con gli occhi una torre o una campagna, sentiva con gli orecchi il suono di una campana; mentre con limmaginazione vedeva unaltra torre, unaltra campagna, e udiva un altro suono. Trista quella vita (ed pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione13. Nel Leopardi bambino e adolescente cera un miscuglio di candore infantile, piacere del gioco, ma gi unindole sensibilissima alla fantasticheria, indole in lui sviluppatissima prima della malattia, che avrebbe solo acuito, tra slanci delusi, innamoramenti brucianti e il bruit incessante della vita, la sua lontananza.

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Ivi, p. 22. Ivi, p. 23

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La malattia No, non era bello Leopardi. E in quanto alla sua famosa gobba, ne aveva due. Giacomo Leopardi era alto 1,41, aveva grosse gambe, due gobbe che i ragazzi di Recanati deridevano (mentre a Napoli gliele toccavano, quelle gobbe, e gli chiedevano i numeri del lotto, ch le gobbe portano fortuna). Giacomo pensava di essere responsabile, colpevole, della sua bruttezza, del suo rachitismo, ma non era cos. Uno dei meriti della biografia di Citati di raccontare la malattia, anzi il sistema di malattie14, di Leopardi con una precisione e crudelt clinica. Il critico cita una lettera del fratello di Giacomo, Carlo, che raccontava di trovare Giacomo di notte in ginocchio davanti al tavolino per poter scrivere fino allultimo momento,mentre il piccolo lume si spegneva15. Ma Leopardi non divent gobbo a causa del rachitismo. La sua malattia era infinitamente pi grave e complicata: la tubercolosi ossea (o morbo di Pott), come per primo suppose Giovanni Pascoli: una malattia metamorfica, mimica, che assume tutti gli aspetti e forma un sistema saldissimo; il primo dei sistemi che distrussero la vita di Leopardi, colpendolo nelle apparenze, che tanto amava. In una data che non possiamo precisare, il suo corpo cominci a non crescere pi: la statura si ferm a 1 metro e 41 centimetri; la parte
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Ivi, p. 82. Ivi, p. 33.

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alta rimase esilissima; i femori e le gambe si svilupparono, mentre due grosse gibbosit si formarono sia nella parte anteriore sia in quella posteriore del corpo16. Ma la sua malattia, annota Citati, divenne unenciclopedia degli orrori17: impotenza, oftalmia, lacrimazione, stitichezza, disturbi dellapparato digerente e del basso ventre, insufficienza respiratoria, reumi di testa, di gola e di petto, emorragia al naso, asma, idropisia, bronchite, dolori addominali, gonfiore delle ginocchia e delle caviglie, versamento pleurico, inattivit ghiandolare, acutissima sensazione di freddo dinverno, per via della debolezza cardiocircolatoria. Nulla, aggiunge Citati, della vita di Leopardi quei venti terribili anni - obbed al caso, o allestro di qualche piccola, indifferente malattia. Tutto era sistema. Nessun medico tent unanalisi o un rimedio qualsiasi18. Aggiunge il biografo: La cosa pi grave era che Leopardi si sentiva colpevole della propria malattia. Se soffriva indicibilmente, ogni giorno della sua vita, se gli cresceva la gobba, se un liquido maligno gli riempiva il torace, se gli occhi lacrimavano, egli credeva che la causa fosse una sola: gli studi matti e disperatissimi delladolescenza. Non sapeva che non era colpevole di niente. La colpa era soltanto della natura19.
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Ibid. Ibid. PCL, p. 34. Ibid.

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Ma non finita qui, perch Giacomo, oltre che dalla tubercolosi ossea, era torturato da un altro sistema molto pi misterioso: la depressione psicotica20: nelle lettere a Pietro Giordani21 Leopardi scriveva di un ostinata nera orrenda barbara malinconia che mi lima e mi divora, di una notte fittissima, e orribile. Citati, con ununghiata critica geniale, osserva che Leopardi parlava dellesperienza depressiva come di un pensiero22. perfino ovvio annotare che la depressione come pensiero uno dei cardini della psichiatria di origine fenomenologica e della follia come linguaggio che arriva agli anni 60 di Laing e Cooper (e in mezzo c luniverso della teoria e della clinica). Giacomo Leopardi mora 39 anni nel 1837. La noia Quasi un secolo e mezzo prima di Sartre, Leopardi dedic pagine mirabili alla noia un parallelo con le nant rivelerebbe aspetti interessanti qualcosa di pi orribile del dolore e della disperazione perch approda allatonia23. Quanto pi violento e terribile fu il suo dolore e la sua disperazione ne primi anni, e ne primi saggi chegli fece della vita che luomo di sentimento passa a una quiete
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PCL, p. 35. Cfr. nota p. 418. PCL, p. 35. PCL, pp. 40-43, e note pp. 418-419.

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e rassegnazione costante, a una disperazione non sensibile. Ma in queste righe Leopardi scrive uno degli omaggi pi intensi alla poesia: nellinsensibilit al dolore, annota il poeta di Recanati, luomo perde il sentimento e il dono della poesia, non sente pi n la natura n la bellezza: la sua grande immaginazione diventa fredda, e smarrisce persino langoscia per la nullit delle cose: non c poesia senza la ribellione al dolore, quando la percezione della bellezza si scontra con la consapevolezza della sua fragilit. Il nulla di Leopardi, osserva Citati, rinvia a Pascal. Aggiunge il critico toscano: La noia una passione moderna, perch la fine delle passioni [...] non altro che il vuoto dellanima [...] la noia sterile: una nebbia che incombe e unacqua limacciosa che ci affoga24. In Ad Angelo Mai Leopardi scrive nebbia di tedio. La noia un paradosso, una coincidenza di estremi: la morte nella vita, la morte sensibile, il nulla nellesistenza; lessere e il niente che diventano la stessa cosa. Pi avanti, rileggendo quella che Citati definisce la pi tremenda lettera dellepistolario25, il tema della noia, della vanit, appare in tutta la sua luce nera: ...sono cos spaventato della vanit di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nellanimo mio, che me ne vo fuori di me, considerando
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Il corsivo nel testo. PCL, p. 91.

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ch un niente anche la mia disperazione26. la lettera a Pietro Giordani del 19 novembre 1819. Commenta Citati: Mai, credo, Leopardi arriv pi a questo estremo degli estremi, a questo abisso degli abissi, oltre il quale la mente non riesce a giungere27. Ed eccolo il nulla: Tutto gli era quasi indifferente. Non aveva pi speranze di felicit n per s n per gli altri: non aveva illusioni n passioni; non pensava di poter fare grandi cose nel mondo. [...] Cos Leopardi si adatt a vivere e a tollerare il tempo e gli anni. Aveva trovato la calma: una specie di quiete dello spossamento; o una disperazione placida, tranquilla, rassegnata, che fluiva lentamente dentro di lui28. In unaltra lettera a Giordani (26 ottobre 1821), Giacomo delineer questo ritratto di se stesso: Non pi giovane, non pi renitente alla fortuna [...] escluso dalla speranza e dal timore, escluso dai minimi e fuggitivi piaceri che tutti conoscono [...] essendo stanco di far la guerra allinvincibile, tengo il riposo in luogo della felicit, mi sono colluso accomodato alla noia, nel che mi credeva incapace dassuefazione, e ho quasi finito di patire29. inevitabile pensare, oltre allesistenzialismo francese, a Kafka, a Beckett, agli autori della sottrazione del senso e della cancellazione della forma come ordine:
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Ivi, pp. 91-92. Ivi, p. 92. Ivi, p. 94. Ibid., il corsivo mio.

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nei primi decenni dellOttocento Leopardi aveva gi i semi del pensiero novecentesco. Ma c di pi: nel capitolo La mente di Leopardi, Citati affronta il tema dellesclusione e del disprezzo, altra gemma nera della filosofia, letteratura (e cinema, naturalmente, la nuova arte) del Novecento. Il suo spirito era assuefatto da lunghissimo tempo alla solitudine e al silenzio30, cosa che nella societ degli uomini porta allesclusione. Alla propria assoluta, innocente e colpevole, esclusione, Leopardi dedic, a distanza di sette anni, due capolavori: Ultimo canto di Saffo e Il passero solitario31. Citati propone una pagina drammatica e lancinante di Leopardi: Luomo dimmaginazione di sentimento e di entusiasmo, privo della bellezza del corpo, verso la natura appresso a poco quello ch verso lamata un amante ardentissimo e sincerissimo, non corrisposto nellamore. Egli si slancia fervidamente verso la natura, ne sente profondissimamente tutta la forza, tutto lincanto, tutte le attrattive, tutta la bellezza, lama con ogni trasporto, ma quasi che egli non fosse punto corrisposto, sente che egli non partecipe di questo bello che ama ed ammira, si vede fuor dalla sfera della bellezza, come lamante escluso dal cuore, dalle tenerezze, dalle compagnie dellamata ... Egli insomma si vede e conosce escluso senza
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PCL, p. 44. Ibid.

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speranza32. In questa esclusione c una colpa. Nelle due poesie la risposta diversa. In Ultimo canto di Saffo, la poetessa si chiede se abbia peccato prima della nascita, in un eone sconosciuto: o da bambina, quando la vita ignora cosa sia il male. Ma evita di rispondere. Sostiene che le sue parole sono incaute: non possibile accusare il fato o gli di; lunica cosa certa il mistero degli eventi fissati dal destino. Nel Passero solitario, Leopardi confessa la propria colpa. Il poeta-passero non condivide la gioia, il volo, lamore, il canto, il divertimento della vita, come gli altri passeri. Un tempo, ha rifiutato la giovinezza e la gioia. Ora si pente e, sconsolato, si volge indietro, verso il tempo perduto. Questa esclusione dalla natura e dal mondo una persecuzione. Come Leopardi scrisse a Pietro Brighenti il 21 aprile 1820, si era accorto desser nato colla sacra e indelebile maledizione del destino. Il destino aveva molti nomi: Dio, gli di, il fato, la fortuna, la natura33. Ma lesclusione di questo maledetto dagli di34 pi profonda di unintonazione di carattere o di un disegno del fato. Leopardi si rendeva conto che la societ [...] non lo amava: sentiva in lui qualcosa di ostile, di avverso, di refrattario. [...] Luomo non era fatto per la societ, come oggi la conosciamo. Essa
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PCL, p. 45. Ibid. PCL, p. 46.

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inconciliabile con la natura umana. Se vogliamo entrare nella societ, dobbiamo spogliarci delle nostre qualit essenziali e ingenite: libert, indipendenza, uguglianza. Quando era afflitto, o oppresso dalla malinconia o dalla sventura, non tollerava il tuono della frivolezza e della dissipazione, o laspetto della gioia insulsa, che il mondo emana come un cattivo profumo35. Questi accenti leopardiani andrebbero letti accanto alle pagine pasoliniane sullomologazione; come il Leopardi del destino e dellesclusione ha un fratello, storico e metafisico, nel Pavese dei Dialoghi con Leuc e del Mestiere di vivere36. Pietro Citati ci soccorre anche nel leggere il genio di Recanati come un preludio della grande letteratura novecentesca. Se per Leopardi, leggere era gi scrivere, e scrivere era una forma di lettura37 e per capire un testo bisogna diventare quel testo, pensando con la stessa profondit dellautore chiaro che il testo non ha pi un autore, sia Omero, Virgilio o Leopardi38, cos lo Zibaldone era l, sotto i suoi occhi, come unimmensa e mostruosa rovina, a dimostrargli quale forza di dissoluzione lo possedesse. Senza saperlo, Leopardi parlava di Flaubert, di Kafka, di
Ivi, p. 47. Il corsivo nel testo. Una lettura intrecciata di Leuc e delle Operette morali sarebbe fertile di paralleli e confermerebbe, ancora, quanto Leopardi abbia anticipato vari aspetti del Novecento. 37 PCL, p. 57. 38 Ivi, p. 58. Qui Citati rivela una sorta di autopoetica.
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Musil, di Gadda e di molti scrittori del ventesimo secolo, divorati dallo spirito di incompiutezza e dallo spirito di infinito39. La natura. La grandezza della poesia di Leopardi - la sua unicit nella letteratura italiana moderna pu essere contemplata in alcune parole fondamentali della sua poetica: natura, infanzia, fanciullezza, rimembranza. Se allamore - Giacomo sinnamor pi volte Citati dedica pagine delicate, rilevando tra laltro il ruolo di un testo come la Nouvelle Hlose di Rousseau, fuoco irradiante della letteratura europea del diciottesimo e del diciannovesimo secolo40, presente nella biblioteca di Monaldo, tra pagina letteraria e tressaillement41, naturalmente il tema della
Ivi, p. 59. Voglio citare la bellissima p. 60, dove Citati vede in Leopardi anche un raffinato e poetico teorico della critica letteraria: Il lettore-scrittore era anche un critico letterario: o, almeno, un teorico della critica letteraria. Leopardi aveva una grande diffidenza per i critici che oggi potremmo dire ideologici: per gli uomini naturalmente tardi e freddi di cuore e dimmaginazione, sebbene dotati di intelligenza e di cultura. Il vero critico condivideva la pieghevolezza di Leopardi: aveva lanimo aperto, mobile, caldo, vivace: era capace di immedesimarsi e mettersi nei panni dello scrittore; la sua fantasia prendeva subito la forma che lo scrittore gli suggeriva, seguendo ogni minimo impulso del testo. Possedeva un fortissimo senso pittorico e musicale: sentiva vivamente ogni leggero tocco e, come la corda di una cetra, risuonava alle minime percosse della mano. Infine, aveva la scienza del cuore: condivideva tutti i sentimenti, le passioni, i fenomeni; e possedeva il tatto fino e profondo nelle cose della natura. 40 Ivi, p. 128. 41 Cfr. le pp. 128-141. Il tressaillement, fondamentale nella poetica
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natura uno dei fulcri - intrecciato con gli altri, ma tutta lopera di Leopardi un fuoco vivo di sovrimpressioni, per usare un titolo zanzottiano - della filosofia, poesia e teoria critica del poeta marchigiano. Allinizio del capitolo VIII, Citati fa un po di cronologia, utile anche a capire il metodo leopardiano: Leopardi cominci lo Zibaldone nel luglio o agosto 1817: scrisse le Memorie del primo amore nel dicembre 1817: il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica tra il marzo e il dicembre 1818: le canzoni AllItalia e Sopra il monumento di Dante nel settembreottobre 1818: la Vita abbozzata di Silvio Sarno tra il marzo e il maggio 1819; Linfinito, Alla luna e Odi, Melisso nel 1819, non sappiamo in quale mese. Tra il primo e lultimo testo corrono due anni o poco pi di due anni, che coincidono con una fase gravissima della malattia di Leopardi (la quasi cecit) e il disperato tentativo di fuga42. In quegli anni la riflessione sulla natura, linfanzia, lindefinito o vago, parola amatissima da Leopardi, tra letteratura antica e ricordanza, prende forma sino a costituire il nodo centrale e modernissimo della sua riflessione. Annota bene Citati: Come la natura, il poeta antico lascia moltissimo alla fantasia e al cuore dei
leopardiana, spiegato da Citati cos: Lemozione, londeggiamento e confusione di pensieri e sentimenti tanto pi indistinti e indefinibili quanto pi vivi; lo stesso ondeggiamento che fa nascere in noi la poesia (p. 134). 42 PCL, p. 142.

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suoi lettori43. La natura antica era linfanzia: linfanzia di allora e di sempre. Tutto luniverso, per la fantasia dei bambini, umanizzato. Nellinfanzia, il tuono, il vento, il sole, gli astri e gli animali sono amici o nemici: ogni oggetto ci accenna e ci parla [...] Per questo aspetto, il Discorso un testo straordinario, dove la strada verso il primitivo e la fanciullezza ancora completamente aperta44. Leggiamo con attenzione questi passaggi perch qui Leopardi arriva a definire un catalogo dei suoni e del vedere dove convivono, come fossero lo stesso soggetto, la poesia come corpo delle cose e lindefinito, che trover poi suggello in uno dei capolavori della lirica moderna, Linfinito, fino a divenire, negli ultimi anni, teoria della poesia. Scrive Citati: Il culmine dellinfanzia il suono45. Esiste qualcosa al di sopra della poesia: il suono, il suono materiale e casuale, quando non stato ancora armonizzato, melodizzato e mediato dalle mani degli uomini. Allora esso non imita il sentimento della natura, dove determinato, ma lo trova in s stesso, nella propria oscura profondit. L giacciono tutti i sentimenti: anche quelli vaghi e infiniti; e le sensazioni di cui parla Leopardi la dolcezza celestiale, il principio del mondo46. Ed ecco, in Leopardi e poi in Pascoli, tra sinestesia, onomatopea e,
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Ivi, p. 144. Ivi, p. 145-146. Ivi, p. 146. Ivi, pp. 146-147

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anche in lui, vaghezza dellinfanzia le voci delle lontananze, siano fisiche (il canto degli uccelli, o canti solitari, melodie di ragazze come Silvia, rintocchi di campane, suoni portati dal vento) siano misteriosi echi della memoria. il preludio allInfinito. Linfinito vuoto. uno dei capitoli pi belli del libro di Citati. Il critico cita Les rveries du promeneur solitaire di Rousseau, al soggiorno (1765) nellisola di Saint-Pierre, lago di Bienne, Svizzera. Un luogo da idillio: Le rive erano pi selvagge e romantiche di quelle del lago di Ginevra, perch le rocce e i boschi costeggiavano lacqua da pi vicino. Cerano una sola casa, grande e comoda: campi, vigne, boschi, frutteti, pascoli ombreggiati da arboscelli di ogni specie, e unalta terrazza con due file dalberi. Il silenzio era spezzato soltanto dal grido delle aquile, dal canto interrotto di qualche uccello e dallo scorrere dei torrenti47. Ricordando quel soggiorno, Rousseau inizi a scrivere Les rveries... nel 1776: Sulle rive del lago di Bienne, Rousseau non aveva bisogno di ricordare il passato n di anticipare il futuro: non voleva uscire dal tempo per entrare nelleterno, ma abitare il presente, e togliergli ogni traccia di durata e di successione. Era un tempo immobile ed estatico, che aveva perduto
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Ivi, p. 171.

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ogni odore di tempo, senza sentimenti di privazione n di gioia n di piacere n di dolore. Restava ununica sensazione: quella dellesistenza. Queste pagine memorabili sono una specie di nuda mistica della vita48. Rousseau parla del paese delle chimere (lettera del 26 gennaio 1762). Il testo arriva a Giacomo attraverso una lettera del fratello Carlo (12 dicembre 1822) che laveva letto in due libretti di Penses; Giacomo lo copia nello Zibaldone il 7 maggio 1829. Citati analizza cos quel pensiero: Anche se tutti i suoi sogni fossero divenuti reali, non gli sarebbero bastati: avrebbe immaginato, sognato, desiderato ancora. Trovava in s un vuoto inesplicabile che nulla poteva riempire: un certo slancio del cuore verso unaltra specie di gioia, di cui non aveva idea e di cui sentiva il bisogno49. Il capitolo sullInfinito ha pagine memorabili perch parlando dellIdillio del 181950 Citati dipinge un affresco della poesia moderna e contemporanea, di teoria della poesia, dicendo con esemplare chiarezza (e anche con emozione) perch Leopardi lunico poeta europeo dellOttocento italiano. Linfinito non la poesia della fantasticheria, annota il critico: in quel momento egli [Leopardi] non vuole
Ivi, p. 173. Ibid. 50 Del 1819 la composizione recanatese, molte le varianti fino alledizione bolognese del 26 e le annotazioni nello Zibaldone sul tema dellinfinito.
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badare agli spettacoli dellindefinito: con una volont ascetica, si proibisce qualsiasi fantasticheria. [...] Egli guarda con occhi vuoti e ciechi, con occhi distratti e che non vedono, per accogliere la pura visione interna51; Citati sottolinea il valore del latinismo mi fingo: plasmare, dar forma, creare, dare origine, modellare. Significa probabilmente anche conoscere52. Nel gennaio 182153 Leopardi aggiunse che n la nostra facolt conoscitiva n quella amorosa n quella immaginativa sono capaci dellinfinito, o di concepire infinitamente: dellinfinito, noi riusciamo a possedere le apparenze, mai la sostanza. Noi siamo capaci soltanto dellindefinito, e di concepire indefinitamente. [...] Quel tentativo, che Leopardi fece guardando con occhi vuoti e ciechi, il disperato azzardo, la prova suprema di pensare qualcosa che, a rigore, quasi impensabile. [...] Per cogliere una goccia pura di infinito [...] deve immaginarlo vuoto, immobile, sovranamente silenzioso. C qualcosa di tremendo in questo tentativo, come se uno di noi cercasse di immaginare Dio al di fuori di ogni parola, di ogni tempo, di ogni eternit, di ogni numero: un punto fermo e invisibile nel cielo.54 I timori di Leopardi,
PCL, p. 176. Ibid. Corsivi nel testo. 53 Cfr. nota p. 426: Zibaldone 472. 54 PCL, p. 177. Di seguito Citati rinvia al famosissimo pensiero di Pascal tradotto da Foscolo nellOrtis sul supremo smarrimento davanti agli spaventosi spazi delluniverso che mi rinchiudono, p. 177, nota p. 426:
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commenta Citati, non assalgono n lio, n il pensiero, ma il cuore, la parte pi fragile del suo essere: ove per poco Il cor non si spaura (vv. 7-8). Egli abituato allassenza di Dio55. Ed ecco tornare il tema della natura, analizzato da Citati in pagine illuminate su questo idillio leopardiano, e con la natura il vento, la siepe il tema dellindefinito: Con il vento risorge il limite, il qui, il questo, che Leopardi aveva abolito col pensiero. [...] Leopardi amava i suoni vaghi: i canti uditi da lontano o che vanno a poco a poco allontanandosi; o lo stormire del vento tra gli alberi di una foresta. Essi erano per lui la voce dellindefinito, che aveva allontanato allinizio della poesia e che ora tornava ad assalirlo con la sua dolcezza.56 Seguono pagine assolutamente mirabili, tra le vette della critica leopardiana, che, trattando dellInfinito, entrano nel cuore del pensiero poetante del grande recanatese e di ogni concezione lirica moderna nel respiro europeo della parola.57 Limmensit-mare, nella quale
il pensiero 683, p. 540 nelledizione a cura di Carlo Carena, Einaudi, Torino 2004. 55 Ivi, p. 178. 56 Ivi, p. 179. 57 Leopardi un caso unico nella letteratura italiana dellOttocento, lunico europeo in Italia, nessun altro pu essere accostato a Hlderlin. La tradizione lirica in Italia, anche in tutto il Novecento se si eccettuano il Pascoli pi sperimentale e il DAnnunzio pi intimo, il primo Montale, poi solo Zanzotto, non ha la profondit e la vertigine enigmatica di molta letteratura tedesca e francese; anzi, oggi tende sostenuta in questo da unincomprensibile politica editoriale alla pagina piatta, grigia, a un presunto canto del quotidiano e dellantilirico che proclama lironia come

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egli annega e naufraga, l indefinito, oltre il quale luomo non pu giungere. O un infinito impuro, mescolato al tempo, al qui, al presente. Tutta la poesia un gioco di corrispondenze e di contrapposizioni. Allinizio, c il regno del questo (questermo colle, questa siepe) il luogo del qui e del limite; e negli ultimi tre versi ci sono altri due questo: questimmensit, questo mare, che sono al contrario il luogo dellillimitatezza e dellindefinito. I due opposti vengono uniti sotto il segno dello stesso aggettivo determinativo. Nei primi versi, lio (v. 7) la totalit della persona, che comprende in s il pensiero e il cuore finge, crea nel pensiero gli interminati spazi, i sovrumani silenzi e la profondissima quiete. Negli ultimi versi c unanaloga prossimit: il pensiero annega nellimmensit; e il naufragio dolce allio che appare nellultimo verso. Questi due aspetti della persona io e pensiero sono entrambi presenti nei momenti estremi, e supremi, della vicenda intellettuale di Leopardi.58 Nella stessa pagina, Citati offre unannotazione geniale: Per la prima e lultima volta nei Canti, Leopardi usa i verbi sannega e naufragar. In luoghi simili dello Zibaldone aveva impiegato il verbo perdersi: perde quasi se stesso nel pensiero della immensit delle cose; un tempo indeterminato, dove lanima si perde.
una bandiera senza averne la pi lontana traccia. 58 PCL, p. 181. Corsivi nel testo.

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Annegare, naufragio, perdersi, insieme a immensit, mare, annullarsi, dissolversi, fondersi, sono parole tipiche del linguaggio mistico cristiano e islamico, e di quella contraffazione del linguaggio mistico (accompagnato da estasi e rapimento) che la scrittura di Rousseau. [...] Ma quella di Leopardi non una mistica, o una mistica dove loggetto, invece di Dio, la rverie, la vita interiore dellindividuo.59 La poesia, che aveva cominciato orgogliosamente con la creazione nel pensiero (v. 7) di un infinito mentale, si conclude con il naufragio del pensiero (v. 14) nel mare vago e ipnotico delle associazioni.60 Sempre sullinfinito vuoto, Leopardi riflette nello Zibaldone, il 2 maggio 1826, sette anni dopo la poesia: soltanto quello che non esiste, la negazione dellessere, il niente, il nulla senza limiti, ed dunque infinito.61 Mirabili, infine, le pagine conclusive del capitolo sullInfinito, dove Citati evidenzia come Leopardi stilasse un catalogo del vedere e dei
Ibid. Ivi, p. 182. 61 Non solo la facolt conoscitiva, o quella di amare, ma neanche limmaginativa capace dellinfinito, o di concepire infinitamente, ma solo dellindefinito, e di concepire indefinitamente. [...] ...nelle immaginazioni le pi vaghe e indefinite, e quindi le pi sublimi e dilettevoli, lanima sente espressamente una certa angustia, una certa difficolt, un certo desiderio insufficiente, unimpotenza decisa di abbracciar tutta la misura di quella sua immaginazione, o concezione o idea. Zibaldone 472-473, in Zibaldone di pensieri, edizione critica e annotata a cura di Giuseppe Pacella, Garzanti, Milano 1991, volume primo, p. 345.
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suoni. Le sensazioni indefinite Leopardi le trasforma in archetipi, o in oggetti circondati da una specie di aura o di venerazione. La luce o lombra, o il canto possono presentarsi soltanto in alcuni modi eletti. Infine, trasforma il catalogo in una retorica: quegli oggetti della vita, quei piaceri dellesistenza che la natura ci concede, sono le immagini che dovranno comporre e costruire i Canti.62 Primo archetipo, il vedere: Le sensazioni indefinite che Leopardi sceglie nel vasto mondo del possibile comprendono una campagna arditamente declive, in modo che la vista non giunga in fondo alla valle: o un viale di cui non arriviamo a scorgere la fine: o una torre che pare innalzarsi sola sullorizzonte: o il cielo contemplato attraverso una finestra o una porta: o la luce del sole e della luna veduta da un luogo dove essi non si vedono e non si scopre la sorgente di luce: o la luce riflessa: o il penetrare della luce in un luogo dove non si distingua, come attraverso un canneto, una selva, o i balconi socchiusi: o la luce veduta in un andito, o in una loggia: o la luce confusa con le ombre, come sotto un portico, o fra le rupi e i burroni di una valle, o sui colli scorti dalla parte dellombra: o la luce veduta nelle citt, frastagliata dalle ombre, dove lo scuro contrasta col chiaro: o la luce che degrada a poco a poco, come sui tetti: o la vastit del sole o della luna in una campagna
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PCL, p. 184.

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aperta: o il cielo puro o pieno di piccole nuvole: o un salone ampio e disteso di cui scorgiamo appena i muri estremi; o linterno delle stanze guardate dalle strade o attraverso le finestre aperte63: esempio, questa pagina di Citati, di grande prosa, un elenco di amori, di quelle cose di cui la letteratura di Leopardi ricca, a rivelare un immenso amore-piacere per la vita. Secondo archetipo: ludire: ...un canto udito da lontano, o che pare lontano senza esserlo, o che si vada a poco a poco allontanando, o che lorecchio perde nella vastit degli spazi: o un canto udito in modo che non si vede il luogo da cui parte: un canto che risuona pi volte in una stanza, dove non siamo: o un canto di agricoltori invisibili: o un suono che si diffonde largamente e vastamente, specie se non se ne vede la causa: o il fragore del tuono in aperta campagna: o lo stormire del vento quando freme confusamente in una foresta o udito da lontano o dentro una citt, senza che si veda lorigine: o leco nelloscurit: o la velocit, o lantico, o la molteplicit delle sensazioni: o lorologio della torre sentito dal letto di una camera con le persiane chiuse, mentre stridono le banderuole; o il canto notturno di un contadino quando finita la festa.64 Ed ecco lunghiata del critico-scrittore: Queste situazioni sono simili: troviamo sempre la
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Ibid. Ivi, pp. 184-185.

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distanza, lo scorcio, il contrasto, lindistinto, il riflesso [...] Le sensazioni ondeggiano davanti agli occhi del lettore e del poeta. Dappertutto aleggia linvisibile e lincomprensibile: tutto sembra nato a caso, liquido e fluido come le onde del mare, o vaporoso come una nuvola. [...] Come diceva la Stal a proposito della lingua tedesca, molte immagini si celano in una sola parola: attorno a ogni parola si muovono nubi e forme, che risvegliano una folla di ricordi. C un tressaillement, una confusione di pensieri e di sentimenti, tanto pi indistinti e indefiniti quanto pi vivi, ora materiali ora spirituali, come accade 65 nellesperienza amorosa. la ricordanza a comporre poesia: Dal ritorno e dal rimbalzo di un immagine antica ha inizio la poesia: Cos che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non unimmagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica.66
Ivi, p. 185.Per i rinvii ai passi dello Zibaldone cfr. nota p. 427. ANTONIO PRETE, Il pensiero poetante, cit., p. 50. Sul raffinatissimo gioco presenza/assenza in Leopardi, nel capitolo dedicato allInfinito nel suo saggio (pp. 48-62), Prete legge lidillio leopardiano alla luce di Freud, Lacan, Bachelard, e annota: La siepe leopardiana, fermata in molti commenti e nellimmaginario vulgato come segno del paesaggio leopardiano, sintomo dellassenza, dice per quel che non dice, garanzia dun rapporto duraturo (sempre caro) non perch rinvia ad altro, ma perch esclude laltro, pronuncia la differenza. [...] Nelluniverso della esclusione si delinea lavventura del pensiero: ci che escluso diventa loggetto della vera appropriazione. Nella differenza comincia lavventura del linguaggio. [...] Il limite, sintomo dellassenza, condizione perch lassenza si
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Leopardi romantico? Nel libro Leopardi antiromantico e altri saggi sui Canti67, Pier Vincenzo Mengaldo dimostra in modo esemplare linfondatezza filosofica e stilistica dellassunto che vorrebbe Leopardi come il maggiore poeta romantico della letteratura italiana. Mengaldo va anche pi in l, e sottolinea con ironia, riprendendo Baldacci, come lItalia una letteratura romantica non labbia proprio avuta, come invece lEuropa tra Settecento e Ottocento, Germania e Inghilterra soprattutto, la Francia fino al simbolismo e Baudelaire. una lettura utile, a questo punto del voyage nel libro di Citati, con cui senza citarlo Mengaldo concorda: Lo sciogliersi ad ogni riga del pensiero poetico anche il pi aguzzo in canto o in musica appunto ci che fa di Leopardi un poeta unico, non solo da noi.68 Perch
trasformi un una presenza simbolica, e si popoli di forme, di evocazioni, di memoria. Ed sintomo del desiderio dinfinito, sintomo della sua non colmabilit; non limite al desiderio, ma sintomo del suo sconfinamento, della sua illimitatezza. Il leopardiano desiderio illimitato paradossalmente rappresentato sulla scena da un limite, che si presenta come caro alla memoria (pp. 51-52). Pi avanti Prete sottolinea; ...sulla soglia dove linterrogazione non ha risposte, dove il desiderio sperimenta lincolmabilit e il perpetuo rinvio di immagini desideranti, labbandono del pensiero, labbandono del rapporto di possesso col pensiero (il pensier mio), permette di attingere quel non-sapere che la radice del desiderio. Permette di riandare a quell ignoranza dei fanciulli da cui partono le immagini che fanno della vita una sopravvivenza, la quale pu tornare ad essere vita nei momenti in cui quelle immagini si ripetono. La coincidenza di ignoranza del fanciullo e di sapienza dellantico la terra della poesia (pp. 59-60). 67 PIER VINCENZO MENGALDO, Leopardi antiromantico e altri saggi sui Canti, Il Mulino, Bologna 2012. 68 MENGALDO, cit, p. 9.

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Leopardi, al di l di uno dei tanti luoghi comuni storiografici ed ermeneutici sullopera del poeta marchigiano, non un romantico? Leopardi ama lallegoria ma sempre limpida ed esplicata, e mai esposta a scivolare nel simbolismo [...] Lallegoria leopardiana prodotto di un pensiero, non di una sensibilit.69 Non comunque cosa indifferente [...] aver indicato che il maggiore, e di gran lunga, lirico italiano dellet moderna procede per una strada che tuttaltra da quella dei romantici e dei loro continuatori simbolisti [...] lo stile sobrio e casto, di cui gli echi della tradizione fanno parte, sta al materialismo come lo stile diffuso e accumulativo dei romantici, che ha sempre bisogno di dire qualche parola in pi, allo spiritualismo. Ci non toglie ovviamente che, con diversi mezzi, anche Leopardi abbia portato il suo forte contributo a quelle che sembrano le svolte basilari della poesia europea tra fine Settecento e primo Ottocento, fra Hlderlin e Keats; Leopardi, conclude Mengaldo nella Premessa, lunico grande poeta europeo di quel cinquantennio ancora nutrito del pensiero dei Philosophes e non del pensiero a quello opposto dellidealismo e spiritualismo romantici.70 Leopardi antiromantico? Giacomo non amava Byron, che in quegli anni era unicona
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Ivi, p. 10. Ivi, pp. 11-12.

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(Chateubriand lo divinizzava). Mengaldo rileva le affinit con Hlderlin, Keats, Schelling, ma anche con lantiromantico Schiller e avvia unanalisi raffinata delle differenze. Nello stile: Gi il leopardista francese Norbert Jonard aveva segnalato la povert di metafore (e similitudini) in Leopardi [...] la differenza dai romantici, gi notevole nelle Canzoni e nei Canti fiorentini e napoletani, vistosissima nel tratto Idilli-Canti pisano recanatesi in cui Leopardi realizza una sua inarrivabile poetica della sobriet e naturalezza.71 la differenza nella tecnica ossessiva nei romantici (lo studioso cita Lamartine, Hugo, Shelley, Vigny, Musset, Coleridge, Keats, Pukin, Lermontov, Brentano e il simbolismo, pi volte nomina Novalis. [...] emerge la differenza da Leopardi, poeta di purezza greca, sensista anche in poesia come lui stesso ha pi volte richiamato, e come descrittore, anche di sentimenti, mai riassuntivo ed emblematico ma sempre, per dirla cos, distributivo e addetto al singolare concreto (cfr. prima di tutto le grandi aperture della Quiete e del Sabato).72 Ci sono poi quelle che Mengaldo chiama differenze assolute: La prima lassenza, assoluta appunto in Leopardi, di quellesotismo che dei romantici una delle sigle.73 Leopardi estraneo al gusto
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Ivi, p. 15. Ivi, p. 17. Ibid.

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medievistico; ha il sentimento e la certezza dellirrecuperabilit dellAntico da parte dei moderni74; infine non cosa per nulla leopardiana il culto per il magico-fantastico e per il satanico75, il meraviglioso-demoniaco, il macabro-mortuario, protagonisti di tanta novellistica, narrativa e poesia di quei decenni: prezioso il catalogo che fornisce Mengaldo (sino alla deliziosa Ondine di La MotteFouqu, che qui ci piace sottoscrivere). E la natura? C un solo luogo dove Leopardi sfiora quei temi, nella figura della Natura gigantessa insensibile nel Dialogo della Natura e di un Islandese nelle Operette morali, testo (1824) che segna anche la svolta nella visione della malvagit assoluta della Natura: Leopardi non ha bisogno del demoniaco proprio perch demoniaca la Natura tutta in quanto tale [...] E quando Leopardi capovolge la propria concezione originaria di natura, cancella precisamente quellidea roussoviana di bont originaria della natura stessa, pervertita da uomini, societ e storia, che continua ad essere spesso la base dellideologia 76 romantica. In pi, la natura di Leopardi non un mistero (quante stupende visioni di orridi e crepacci, di boschi e rovine, quanta mitologia della Notte nel romanticismo!): ...con razionalismo quasi galileiano o diderottiano,
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MENGALDO, Leopardi..., cit, p. 18. Ibid. Ivi, p. 20.

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nello Zibaldone (2705 ss., 22 maggio 1823), prima del Dialogo..., Leopardi annota che la natura ci sta tutta spiegata davanti, nuda e aperta. E a proposito della notte: ...molte liriche di Leopardi, poeta della luna, sono in tutto o in parte dei notturni verrebbe da dire, come nel suo omologo Chopin garanti dellintimit e della solitudine a lui care, e dellespandersi dei sentimenti che solo nella solitudine possibile. Ma nessun passo suo celebra lautenticit della notte e la superiorit sul giorno; anzi gli ultimi versi forse da lui scritti, nel Tramonto della luna, ci dicono con inaudita anche per lui potenza la gloria del sorgere del sole. Simpone il confronto con unopera chiave del primo Romanticismo, gli Inni alla notte di Novalis, dove, precedendo leterna notte wagneriana [...] si parla [...] di cielo e luce della Notte, della Notte come Madre, e addirittura del Sole della Notte.77 Il retroterra, avverte Mengaldo, spiritualistico e irrazionalistico, inaccettabile per Leopardi. Il punto cruciale lassoluta continuit di Leopardi, che semmai pi volte lo radicalizza, col materialismo e razionalismo illuministici, di contro allantilluminismo spiritualistico se non irrazionalistico dei romantici.78 In Leopardi si danno la mano, sottolinea pi avanti lo studioso, antiromanticamente, ...un sensismo spinto allestremo, ma anche
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Ivi, pp. 21-22. Ivi, p. 23.

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rovesciato in universale carit, lidea sempre viva delluniversale e per cos dire imparziale malvagit della natura e infine quella che certo una delle conquiste intellettuali pi notevoli dello Zibaldone, delle Operette e dei Canti, cio una concezione del mondo non solo antiantropocentrica, ma anche antigeocentrica, in cui luomo un mero accidente.79 Mengaldo analizza inoltre, nella dinamica Leopardi-romanticismo, i temi del corpo e dellineffabile caro a Schlegel (per il quale ogni bellezza allegoria, mentre Hugo, al contrario del sensista Leopardi, parla di invisibile, e il critico commenta: ...mai nello Zibaldone lineffabilit una categoria di pensiero), per concludere con ununghiata: Anche in Italia [...] la storia letteraria dellOttocento si svolta, come in tanti hanno notato, quasi come se Leopardi non fosse esistito. [...] E comunque nel secolo passato in cui la poesia di Leopardi ha nutrito tutti i migliori, il suo pensiero rimasto molto a lungo fuori del circolo filosofico a causa dellobiettiva alleanza di cattolicesimo e idealismo, anche in veste di sinistra (poche cose Croce ha capito cos poco come Leopardi). Con le parole pungenti di Baldacci un connubio tra socialismo e cristianesimo che ha messo per sempre la mordacchia a tutti i problemi che pi urgevano al filosofo di Recanati; e anche in interpretazioni recenti
79

Ivi, p. 26.

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pi aperte e complici non pu sfuggire certa tendenza a elidere precisamente il materialismo del filosofo e poeta.80 Il giardino di Leopardi certo tema centrale in Leopardi e, postilla allanalisi di Mengaldo, la natura non la porta del meraviglioso fantastico n ha il fascino dellorrido sino a sfiorare il demoniaco di molta letteratura romantica tedesca e inglese. La riflessione di Leopardi sulla natura filosofica dalla svolta del 1824, spiega la souffrance come essenza dellessere, non paesaggio incantato o dcor ma interroga le cellule, gli atomi, le molecole, le relazioni tra gli esseri viventi. Con gli occhi e i capelli nerissimi [la Natura] la moderna regina della Tenebra osserva Citati nelle pagine sul Dialogo della Natura e di un Islandese: Leopardi non aveva mai rappresentato la Natura e non la rappresenter mai pi, nemmeno nella Ginestra. Ora la dispone in un luogo incognito alluomo. Dunque, una straniera.81 La Natura non malvagia, delluomo non savvede neanche, potrebbe anche annientare la specie umana, non se ne accorgerebbe. la vertigine, assolutamente laica, del pensiero di Leopardi. Il Dialogo della Natura e di un Islandese dalle Operette morali
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Ivi, p. 30. PCL, p. 246.

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va accostato a un passo famoso dello Zibaldone, che segue loperetta di due anni: la pagina sul giardino fiorito del 19-22 aprile 1826 (Zib. 4174-4177), scritta a Bologna: Tutto male. Cio tutto quello che , male; che ciascuna cosa esista un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; lesistenza un male e ordinata al male; il fine delluniverso il male; lordine e lo stato, le leggi, landamento naturale delluniverso non sono altro che male, n diretti ad altro che al male.82 Commenta Citati (che per curiosamente non prosegue fino al passo sul giardino fiorito, Zib. 41754176): Con quale spaventosa lucidit, con quali occhi terrificanti e terrificati condannava lEssere identico al male e il male identico allEssere. Tutto era cosa. Nella sua enumerazione, Leopardi aveva dimenticato (volutamente) un nome: Dio. Se ascoltiamo la metafisica classica, Dio sovranamente lEssere: Ego sum qui sum, come diceva la Genesi; e dunque legualmente sovrana necessit e perfezione. Con una forza rarissima Leopardi contestava e malediva appunto lEssere, e Dio-Essere, Dio-necessit, e Dio-perfezione. Se usiamo unaltra espressione, malediva il Tutto.83 Ecco la pagina dello Zibaldone.

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Ivi, p. 253. In Zibaldone, cit. volume secondo, pp. 2296-2299 PCL, p. 253.

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Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sar sempre infelice di necessit. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non glindividui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi. Entrate in un giardino di piante, derbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella pi mite stagione dellanno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali in istato di souffrance, qual individuo pi, qual meno. L quella rosa offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. L quel giglio succhiato crudelmente da unape, nelle sue parti pi sensibili, pi vitali. Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quellalbero infestato da un formicaio, quellaltro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo ferito nella scorza e cruciato dallaria o dal sole che penetra nella piaga; quello offeso nel tronco, o nelle radici; quellaltro ha pi foglie secche; questaltro roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco. Luna patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; laltra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanit perfetta. Qua un ramicello rotto o dal vento o dal suo proprio peso; l un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co tuoi passi; le stritoli, le

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ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile, va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro. [...] Lo spettacolo di tanta copia di vita allentrare in questo giardino ci rallegra lanima, e di qui che questo ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verit questa vita trista e infelice, ogni giardino quasi un vasto ospitale (luogo ben pi deplorabile che un cemeterio), e se questi esseri sentono, o vogliamo dire, sentissero, certo che il non essere sarebbe per loro assai meglio che lessere.

Tutto negativo, quindi? Naturalmente no. Citati si diverte a sottolineare come Leopardi abbia distrutto il principio di non contraddizione84. Non vha altro di buono che quel che non ; le cose che non son cose: Ma cosa sono le cose che non son cose? Usando un altro linguaggio, anni prima, Leopardi aveva studiato il loro immenso e misterioso regno: il possibile. Chi pu conoscere i limiti della possibilit? aggiungeva il 22 aprile. [...] Linfinita possibilit lunica cosa assoluta. E cosera Dio se non il trionfo del possibile? Dio non migliore di tutti gli esseri possibili, perch non esiste un migliore o un peggiore assoluto, ma racchiude in s tutte le possibilit, ed esiste in tutti i modi possibili. [...] Le cose che non son cose non comprendono solo il possibile: ma i riflessi dellindefinito, gli
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Ibid.

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oggetti doppi visti con limmaginazione, linfanzia, il ricordo, il ricordo involontario, il paese delle chimere di Rousseau, le illusioni, gli inganni, le larve, i fantasmi; e 85 probabilmente anche il nulla. Rovesciamento stupendo, sillogismo visto dallaltro lato del cannocchiale: tutto Leopardi cos, e il libro di Citati un magnifico viaggio in questo paesaggio di apparenti contraddizioni, al punto che annota: Il suo sguardo [di Leopardi] andava sempre altrove, anche oltre ci che , per definizione, laltrove. Il suo tutto comprendeva il Tutto, e ci che al di fuori del Tutto, e ci che al di fuori di ci che al di fuori dellal di fuori del Tutto.86 Ma com possibile vivere e pensare conoscendo la souffrance strutturale degli esseri viventi, pur consolati, si fa per dire, dalle cose che non son cose? Con le illusioni. unaltra operetta, meno nota e anchessa del 1824, lElogio degli uccelli, ad aprire, nella filosofia e nella prosa leopardiana, una porta di luce. Elogio degli uccelli fu composto dal 29 ottobre al 5 novembre 1824 e pubblicato la prima volta nelledizione delle Operette del 1827.87 Leopardi prende a prestito il nome di Amelio, oscuro filosofo neoplatonico e discepolo di Plotino del III secolo d.C., per
Ivi, pp. 253-254. Ivi, p. 254. 87 Cfr. GIACOMO LEOPARDI, Operette morali, a cura di Sergio Solmi, Ricciardi, Milano-Napoli 1956, edizione Einaudi, Torino 1976, p. 153.
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attribuirlo a un personaggio di sua fantasia88; per Citati Gentiliano Amelio era etrusco: [...] aveva vissuto ventiquattro anni assieme a Plotino a Roma: [...] il maestro lo chiamava Amerio, perch Amerio significa indivisibile. [...] [Gli uccelli] non provano mai noia, a differenza degli altri animali. [...] Quando volano, vedono dallalto spettacoli immensi e variatissimi, grandi spazi di terra, paesi e paesi, fiumi lucenti. E, in questo, sono simili ai grandi poeti, che anchessi vedono le idee e le cose dallalto. [...] Mentre gli uomini pi hanno vita, pi sono infelici, gli uccelli pi hanno vita, pi godono una quasi estatica felicit. Mai Leopardi aveva scritto una prosa cos ricca di movimento, di vibrazioni, di brillii, di ptillements, come in questo Elogio che lallievo di Plotino scrive silenziosamente in un giorno del terzo secolo.89 Ed ecco il passaggiochiave, ben evidenziato da Citati: Quelle voci di gioia risonanti e solenni, quegli applausi alla vita universale, quelle testimonianze della felicit delle cose, che ci pervengono attraverso il canto-riso degli uccelli, sono false, aggiunge Leopardi in un inciso. Nelluniverso non c allegria, n gioia, n felicit. Mentre cantano, ridono, volano, si muovono, si spostano, immaginano, guardano e vibrano di vita, gli uccelli ci ingannano. [...] Ma questo inganno uno dei tanti benefici inganni della natura,
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Ibid. PCL, pp. 268-271.

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almeno della pi antica natura leopardiana, la quale cerca, con la menzogna, di renderci la vita pi sopportabile. Lidea della felicit , sempre, un inganno. Tutte le illusioni, le meravigliose e colorate illusioni, sono inganni; eppure costituiscono la parte essenziale della nostra esistenza, senza la quale non ci resterebbe che morire. La sola cosa importante che qualcosa, che forse porta il nome di natura, continui a donarci illusioni; e che in noi vibri ancora il ricordo di quellincantevole riso uccellesco, che una volta era la nostra voce.90 Abbiamo voluto citare questa pagina perch, forse, una delle pi belle pagine di critica leopardiana mai scritte. Tra laltro la gioia, il grandissimo uso dimmaginativa; quella ricca, varia, leggera, instabile e fanciullesca dote degli uccelli, e il passaggio: luccello quanto alla vispezza e alla mobilit di fuori, ha col fanciullo una manifesta similitudine91, hanno unevidente similitudine con la poetica pascoliana del Fanciullino.92 Lalbero dei ricordi Il ricordo, la rimembranza, la ricordanza, sono temi centrali nella poetica leopardiana, ma
Ivi, p. 272. GIACOMO LEOPARDI, Operette morali, ed. cit., pp. 158-159. 92 Si ricorda qui la recente edizione di Nottetempo, Roma 2012, con un saggio di Giorgio Agamben, che riprende ledizione Feltrinelli, Milano 1982, del celebre manifesto di Pascoli.
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sono anche una tecnica o meglio, una genesi della poesia. Citati sottolinea come Leopardi possedesse una memoria immensa, ma un colle o un torrente o un cielo divenissero poetici sono se lontani: Se voleva farli diventare poetici, doveva allontanarli da s e trasformarli in passato, o volgere loro le spalle, perch si perdessero nella lontananza. [...] Quando era giovanissimo, Leopardi era affascinato dai ricordi involontari.93 E tra i ricordi trionfano quelli infantili, perch tessuti di vago e indefinito: Quando il bambino vede una campagna, una pittura, unimmagine, o sente un suono, un racconto, una favola, il suo piacere sempre vago e indefinito: lidea che le visioni destano in lui sempre indeterminata e senza limiti; i minimi oggetti riempiono lanima di infinito e si perdono nel vago. [...] E se proviamo ancora, nel resto della vita, immagini e sensazioni indefinite, per la massima parte non derivano direttamente dalle cose, ma sono ricordanze, ripetizioni, ripercussioni, riflessi di ricordi infantili. [...] viviamo ormai stabilmente nel mondo del riflesso, come la luna. Siamo nel luogo della seconda volta. Ma la seconda volta il paese pi sublime dove possiamo abitare: lunica beatitudine che ci concessa, perch ripete il sole assoluto dellinfanzia. Mentre abitiamo il regno della seconda volta, ci attirano soprattutto (almeno nei tempi moderni) le
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PCL, p. 328.

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immagini lontane, quasi perdute e irrecuperabili. [...] Sono la voce di ci che perduto: per sempre perduto. Cos entriamo nel paese della malinconia, aperto soltanto ai poeti moderni: talvolta esso li pu rendere superiori a Omero ed Esiodo, che non conoscevano questa distanza, questo 94 struggimento e questo dolore. la genesi della poesia leopardiana e della poesia moderna e, qui s almeno nellintonazione, della lirica romantica. Ecco A Silvia, Il passero solitario, Il risorgimento, a cui Citati dedica pagine memorabili. In A Silvia non il ricordo che torna allimprovviso alla mente, ma la mente che ricorda. Il verbo non sovvienti o rammenti (come nelle prime stesure) n ricordi, ma rimembri: questo vasto, intimo e contemplativo verbo petrarchesco apparso in Chiare, fresche et dolci acque (v. 5), la poesia dello spavento amoroso.95 Esiste anche unora delle ricordanze: Non la notte piena, come potrebbe far credere la presenza delle stelle scintillanti in cielo: ma il tardo tramonto o linizio della notte. Mentre la poesia inizia [Le ricordanze], Leopardi vede ancora da lontano i monti diventati azzurri, che la notte avrebbe celato. Nelle Ricordanze siamo sempre in bilico: sui margini tra giorno e notte, tra presente e passato, tra attualit e ricordo, e tra due sensazioni che si incontrano e si
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Ivi, pp. 330-331. Ivi, p. 346. E su Il passero solitario cfr. pp. 353-359.

ROBERTO LAMANTEA

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dissolvono luna nellaltra.96 Mentre in Aspasia ad annunciare lirrompere della figura nel verso un altro senso: non la vista e ludito, che sono stati un soave preannuncio, ma lodorato, che compie da solo, senza soccorsi, lultimo passo97: ... E mai non sento / mover profumo di fiorita piaggia, / n di fiori olezzar vie cittadine, / chio non ti vegga ancor qual eri il giorno / che ne vezzosi appartamenti accolta, / tutti odorati de novelli fiori / di primavera, del color vestita / della bruna viola, a me si offerse / langelica tua forma .... Che sia la ricordanza o lo sguardo, o il canto degli uccelli o un profumo di fiori, quella di Leopardi poesia di sensi. Leopardi mor con moltissima grazia, e in tono minore, come in tono minore aveva vissuto quasi tutta la sua vita, celando o velando i dolori, le angosce, la desolazione, le passioni, la solitudine, il dono di essere un genio immenso: cos si congeda Citati dal suo autore.98. Il critico e scrittore fiorentino ha scritto la pagina migliore per dire perch Leopardi senza tempo: Questa era una delle sue grandi facolt: non appartenere a nessuna epoca, n a quella presente n a quella passata; non viveva nel quarto secolo prima di Cristo n nel 1750 o nel 1826. Era a casa
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Ivi, p. 360. Ivi, p. 387. Ivi, p. 412.

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dappertutto e da nessuna parte. La sua radicale estraneit al tempo gli permise di comprendere il diciannovesimo e ventesimo secolo, la societ borghese e quella di massa. Se leggiamo lo Zibaldone, lampi ci richiamano di continuo alla memoria Nietzsche e Spengler, Adorno e David Riesman. Cos Leopardi, il non moderno, ci sembra straordinariamente moderno, come se abitasse e guardasse e studiasse cosa avviene oggi.99
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Ivi, p. 298.

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