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veramente tali, il capitalismo e il cattolicesimo non possono proporsi come scopo il profitto e insieme l'etica (l'efficienza e la solidariet). Non si possono servire due padroni. Pi prosaicamente, se uno che ama una donna (il profitto) incomincia ad amarne anche un'altra (l'etica) e dice di amarle tutte e due nello stesso modo, cio come amava la prima, sbaglia; perch l'amore che provava per la prima si alterato, diventato un'altra cosa. Amato insieme all'etica, il profitto diventa qualcosa di diverso dal profitto capitalistico. E il capitalismo non pi capitalismo. Cos come, amata insieme al profitto, l'etica (il bene della societ) diventa qualcosa di diverso dall'etica vera e propria (quella che non ha rivali). E il cattolicesimo o i movimenti di sinistra non sono pi cattolicesimo e movimenti di sinistra. Dimodoch, quando i capitalisti vogliono un capitalismo etico, a volere che il capitalismo non sia pi capitalismo non pi soltanto la Chiesa (o i movimenti di sinistra), ma anche i capitalisti. E quando i cattolici vogliono un cattolicesimo capitalistico, a volere che il cattolicesimo non sia pi cattolicesimo non sono pi soltanto i capitalisti, ma anche i cattolici. Bisogna difendere il capitalismo dai capitalisti, e il cattolicesimo dai cattolici.
venditore, ma un benefattore), lo scopo la soddisfazione dei bisogni; nel secondo la vendita e il profitto. Se si vuole, si pu dire che anche nel secondo caso ci sia una cooperazione tra imprenditori e consumatori (come mi ricorda il solito sciocco di turno, che - questa volta su il Sole-24 Ore - invece di discutere insulta). Ma i due casi sono essenzialmente diversi; anzi opposti. La tesi che lo scopo della produzione economica sia il consumo o la soddisfazione dei bisogni dunque un infelice modo di dire che tale soddisfazione - e dunque il bene comune o la morale - una conseguenza, un sottoprodotto della produzione del profitto - come la concimazione del terreno il sotto prodotto della defecazione animale (non sembrando che gli animali defechino per concimare). Il teologo ed economista americano J. R. Neuhaus, i proff. Cova e Lunati, il teologo G. Angelini, Baget Bozzo mi ricordano l'esistenza di numerose forme di produzione economica ispirate ai principi della morale cristiana. Lo sapevo anch'io. Se sono quello che dicono di essere e hanno come scopo il bene comune, non sono dunque intraprese capitalistiche, ma si servono del capitalismo. Come non cristiana la produzione economica che si serva della morale cristiana per migliorare la produttivit dell'azienda (aggiungo che il capitalismo di cui parlo non un'essenza astratta, separata dalla storia, come mi obietta G. Angelini, ma un fenomeno storico). La scienza economica si serve continuamente dei concetti di mezzo e fine (o scopo), ma fatica a comprendere il senso autentico del loro rapporto. Accade quindi che alcuni economisti chiamino acrobazie dialettiche le mie argomentazioni - che certamente non coincidono con le ovviet da essi frequentate relativamente a quel rapporto. Molte cose, mi ripete Giancarlo Lunati (la Repubblica, 19 gennaio) esistono tra cielo e terra che i filosofi non riescono a immaginare - ma che lui conosce naturalmente benissimo (e che sono appunto le ovviet di cui sopra). Ad esempio mi ricorda che esistono tante forme di capitalismo. Ma - gli osservo - se ognuna di esse chiamata (anche da lui) capitalismo, perch hanno tutte qualcosa in comune - che presente anche nel discorso di questo mio critico, quando ad esempio egli scrive tranquillamente: Il sistema capitalistico ha in s un'etica profonda; oppure: Il profitto non va demonizzato. Comunque, non sono io a demonizzarlo, ma la Chiesa, e nel modo pi esplicito: qualora esso sia assunto come scopo della produzione economica e non come mezzo per realizzare il bene comune. Oltre a certi economisti, sono anche certi teologi a non capire quello che la Chiesa intende sostenere. Il capitalismo, per la Chiesa, etico, solo se mezzo per realizzare il bene comune. Quindi etico quando non ha pi come scopo il profitto, cio quando non pi capitalismo. Giacch, ripeto, se a un'azione viene assegnato uno scopo diverso da quello a cui era ordinata, l'azione cambia senso, natura, costituzione; e un'impresa che produca per distribuire equamente o cristianamente ricchezze agisce in modo essenzialmente diverso da un'impresa che produca per l'incremento del profitto: anche se apparentemente essa sembra mettere in atto le stesse procedure tecnologiche, amministrative e organizzative di questo secondo tipo d'impresa. Invito a riflettere con attenzione questa struttura concettuale - che indubbiamente pu risultare dura per certi denti. Infine, mi si obietta (il Sole-24 Ore) che mentre nel saccheggio il bottino lo scopo immediato dell'azione, nel mercato, il profitto non lo scopo immediato dell'imprenditore. Ma, suvvia, non sto parlando di scopo immediato, ma di scopo primario dell'azione; quello cio che sta in cima ai pensieri di chi agisce, e per realizzare il quale bisogna realizzare molti e molti scopi intermedi; e che dunque non immediato, ma il pi mediato degli scopi che chi agisce si propone di realizzare.
Il rovesciamento che la Chiesa pretende dal capitalismo tanto maggiore se si tiene presente che per essa la carit non pu essere pi, oggi, soltanto una virt privata, affidata alla buona volont degli individui; non pu pi esserlo, perch la virt privata richiede la bont delle strutture pubbliche. La Chiesa, oggi, vede nel capitalismo la forma migliore di produzione della ricchezza, ma ritiene che la distribuzione della ricchezza debba essere operata innanzitutto dallo Stato, in cui deve innanzitutto prender corpo la virt della carit. Le leggi dello Stato devono regolare quella distribuzione; e la loro violazione deve essere accompagnata da sanzioni (innanzitutto terrene). Anche per questo lato (come per la scuola, la morale sessuale, ecc.) la Chiesa progetta lo Stato come Stato cristiano; a loro volta capitalismo e democrazia progettano lo Stato, rispettivamente, come custode della dominazione del capitale sulla societ e come custode del senso moderno della libert. E si continua a non percepire la profondit dello scontro politico a cui questi progetti conducono.