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LA STRISCIA DI SORRENTO –

BREVE STORIA DELL'AUSTRISMO

PRIMA PARTE
C'era una volta una bella penisola, fatta a forma di stivale, che si allungava ridente
nel più bel mare del mondo, il Mediterraneo.

La penisola era popolata di pastori, agricoltori e commercianti, quasi tutti ex-


beduini in via di urbanizzazione. Non particolarmente colti magari, erano
certamente un popolo di gente allegra e calorosa.

Parlavano l’arabo antico, una lingua molto ostica per gli altri popoli, che si adattave
invece alla perfezione per loro espressioni gutturali. Vivevano in grande armonia,
scambiandosi prodotti agricoli e commerciando da una regione all'altra, in un
perfetto equilibrio naturale, risultato di una tradizione millenaria.

Accadde che in posto lontano ebbe luogo una terribile guerra, alla fine della quale
furono scoperti dei campi di concentramento, nei quali erano stati sterminati alcuni
milioni di esseri umani (sul conto preciso c’è ancora qualche discordanza, ma
erano comunque tantissimi, e la cosa non fu bella da vedere).

Questi esseri umani appartenevano ad una tribù particolare, chiamata “austriaci”,


derivata dal ceppo dolomitico - quello di Abrahmberger, Isakson a Giacobinovich -
e aveva avuto origine proprio nel nord della penisola italica, nella zona compresa
fra il Veneto e l’attuale Germania. Questa tribù prendeva il nome dal monte di
Astrion, dove il loro Dio gli si era rivelato, che si trova appunto nelle Dolomiti
Orientali. Come simbolo sacro gli austriaci usavano la stella alpina, il noto fiore a
sei punte che cresce solo in alta montagna. Nelle cerimonie usavano un
candelabro a diciotto braccia, più una retrattile, che durante la settimana serviva
per appenderci la scodellina di felpa, con la piuma infilata nel mezzo, man mano
che i numerosi familiari rientravano dal lavoro.

Nel corso dei secoli però questa tribù era andata disperdendosi nel mondo, per
motivi che nessuno è mai riuscito a comprendere fino in fondo.

C'è chi dice che questi austriaci fossero continuamente costretti a fuggire perchè
non restavano simpatici a nessuno; altri invece sostengono che questa tribù non
sia mai esistita; altri ancora dicono che sia esistita, …

… ma che si trattasse di una tribù diversa dalla loro, poi andata perduta fra le
pieghe della storia.
In ogni caso, quelli che avevano scelto di chiamarsi austriaci coltivavano dei
particolari libri sacri, nei quali venivano indicati dal loro Dio come il "popolo eletto",
e siccome questo Dio sosteneva anche di essere l'unico nell'universo, avevano
dedotto senza esitazione di essere i preferiti su qualunque altro essere umano.

E’ quindi possibile che questo abbia generato, nel corso del tempo, qualche
momentanea frizione con i popoli che li ospitavano, che invece per qualche motivo
si ritenevano uguali a tutti gli altri. Anche perchè questi austriaci non si limitavano a
sostenere di essere “preferiti da Dio” in senso metaforico, ma pretendevano di
essere trattati in modo diverso in molti aspetti della vita reale: ad esempio, se un
non-austriaco – che loro chiamavano, con una sfumatura di disprezzo, “terym” –
faceva a botte con un altro terym, nessuno si scomponeva. Se invece un terym si
azzardava a picchiare un austriaco – magari perchè gli aveva rubato una gallina -
veniva subito accusato di perseguitare la stirpe di Astrion, e si sentiva appioppare il
fastidioso appellativo di “antidolomita”.

- Veramente io rivorrei solo la mia gallina!” - urlava il terym, stragonfio di rabbia.

- No! – gli rispondevano gli austriaci, facendo blocco intorno al malmenato - tu l’hai
picchiato perchè ce l’hai con noi. Guarda come sanguina. Questa è cattiveria pura!

- Cazzo, è la quinta gallina che mi ruba in tre giorni!

- Non importa. Il fatto è che tu te ne approfitti per picchiarlo, perchè sai che lui è un
dolomita. Quindi per punizione la gallina non te la ridiamo, e se ti azzardi a toccarlo
di nuovo ti manderemo le maledizioni divine. Dio è dalla nostra parte, non
dimenticarlo, e se vogliamo ti facciamo spedire direttamente all’inferno.

Gli austriaci infatti avevano scoperto che nei libri sacri dei terym, leggermente
diversi dai loro, era stata aggiunta questa curiosa faccenda dell’inferno, che
permetteva ai sacerdoti della religione gemella di controllare masse imponenti con
enorme facilità, usandolo come deterrente universale. Nel libro degli austriaci Dio ti
mandava al massimo la dissenteria, oppure un’invasione di cavallette, ma la
minaccia dell’inferno era chiaramente più efficace, e anche loro ogni tanto se ne
approfittavano, per risolvere le piccole dispute con i terym.

Tanto nessuno stava lì a riflettere sul fatto che i libri fossero diversi, ma il Dio che li
aveva scritti fosse lo stesso.

A quel punto infatti il derubato – un pò per la paura dell’inferno, un pò perchè


magari la gallina era vecchia e malandata – decideva di lasciar perdere, e tornava
brontolando a casa sua.

Il problema è che a furia di dargli ragione in quel modo, gli austriaci si sono
definitivamente convinti di avere più diritti degli altri, e questo potrebbe aver
esacerbato i diversi popoli che li ospitavano, portando ad episodi di intolleranza
sempre più vistosi e deplorevoli.

A peggiorare le cose c’era il fatto che gli austriaci, ovunque si trovassero nel
mondo, si lamentavano perennemente di non riuscire ad integrarsi con il resto
della popolazione, e quando si veniva a sapere che i primi a non volersi mescolare
erano proprio loro, la gente si incazzava non poco.

Serviva a poco, a quel punto, mostrare il libro sacro, per far vedere che l’ordine di
non mescolarsi agli altri popoli non era un capriccio qualunque, ma veniva
direttamente da Dio.

Chissenefrega del tuo libro! - rispondeva urlando il terym - Piagnucoli dal mattino
alla sera perchè nessuno ti vuole, poi appena uno di noi si prova ad invitare a cena
una delle vostre ragazze, arriva subito il rabbino che la prende a bastonate perchè
non vuole che si sposino! (Il rabbino è il tipico sacerdote austriaco, che si distingue
per i calzoni di pelle corti sopra il ginocchio, e le lunghe trecce incolte lungo le
guance, trafitte qua e là da piccole stelle alpine).

- Ma ti bastono io - urlava furente il terym – altro che libro sacro!

E così gli austriaci dovevano nuovamente far fagotto, e andare umilmente a


chiedere ospitalità da qualcun altro.

Prima o poi però la voce si sparse, e ad un certo punto gli austriaci iniziarono a
prendere botte ancora prima di arrivare in una nuova città.

- Ma come avranno fatto - si domandavano stupiti, mentre si leccavano le ferite - a


sapere che stavamo arrivando?

- Io l’ho sempre detto che dovremmo tagliarci i capelli come tutti gli altri – diceva
uno dei più giovani – Con quelle trecce ci riconoscono tutti ormai.

- Non sono i capelli, è la barba – replicava un altro - Nessuno oggi porta delle
barbe così lunghe. Le nostre poi sono più rosse di tutti gli altri.

- Secondo me è il cappotto – suggeriva un terzo – Cacchio, è il sette di agosto, ci


sono trenta gradi all’ombra, e noi ci presentiamo col colbacco e il cappotto di lana!
E’ chiaro che ci cuccano subito, no?

Ma i loro libri sacri dicevano che barba e capelli non si toccano, e che il cappotto
va portato tutto l’anno, per cui erano obbligati a trovare un’altra soluzione.

Qualcuno pensò allora di comperare una macchina, per entrare in città facendosi
vedere soltanto dal collo in su.
- Nascondiamo la barba sotto una sciarpa – suggerì con malizia - raccogliamo le
trecce sotto il cappello, e il cappotto in macchina non lo nota nessuno. Visto da
fuori sembra una giacca qualunque.

- Ma siamo in troppi – obiettò un altro – Come facciamo a starci tutti in una


macchina sola?

- Entreremo un pò alla volta – rispose il primo – a piccoli gruppi, sette od otto al


massimo. Così evitiamo anche di dare nell’occhio. Una volta in città ci disperdiamo
fra la folla, e uno di noi torna fuori con la macchina, a prenderne degli altri.

L’idea sembrava buona, e una volta superato il trauma iniziale, per l’acquisto in
contanti della macchina a cui furono obbigati dal rivenditore terym, provarono a
metterla in pratica. Si accorserò però che, per un motivo o per l’altro, qualcosa
finiva sempre per andare storto.

A qualcuno restava impigliata una treccia nella cintura di sicurezza, proprio mentre
era fermo al semaforo, a un altro spuntava una stella alpina da sotto il colbacco,
mentre parcheggiava tutto sudato nel centro di Viareggio, soffocato dalla sciarpa
bollente, sotto lo sguardo incuriosito dei bagnanti, il terzo inciampava nel cappotto
mentre cercava di uscire di nascosto dal portapacchi, e alla fine venivano
comunque legnati e cacciati, e in più gli bruciavano la macchina nuova di pacca.

Insomma, per gli austriaci ormai la vita era diventata un inferno, e a furia di
girovagare si resero conto che ormai la loro reputazione li aveva preceduti
dappertutto. Si radunarono quindi in un piccola località della svizzera, per decidere
cosa fare del proprio destino.

Furono giorni difficili per tutti. Dalle loro capanne uscivano strazianti lamenti,
coperti ogni tanto dalle malinconiche litanie dell’antica tradizione dolomitica.

Ad un certo punto, nel bel mezzo di queste sofferenze, un certo Theodor von
Hertzevich schizzò in piedi, colpito da un’idea folgorante:

- Torniamocene a casa! - Disse indicando la finestra davanti a lui.

- Giusto! - Disse un altro - Cosi nessuno ci romperà più le scatole!

- E’ vero, che idea geniale! – aggiunse un terzo.

- Ma… a casa dove, scusate? – domandò un quarto con leggero imbarazzo.

- Ah già cazzo – disse il primo, mentre la stanza piombava nel silenzio – Non ci
avevo pensato…

- In effetti - commentò un secondo – è da un pò che manchiamo da quelle parti.


Quanto sarà, più o meno?
- Ormai sono più di duemila anni, a occhio e croce.

- Minchia! Così tanto siamo stati in giro?

- Oh ragazzi, una diaspora è una diaspora! Mica è una passeggiata qualunque.

- D’accordo, però adesso come facciamo a presentarci….. Qualcuno di voi non ha


dietro per caso un vecchio documento, qualcosa che possa dimostrare…

Le teste dondolarono sconsolate, insieme alle treccine bisunte.

- Niente di niente? Nemmeno… chessò, una antica cessione di proprietà,


tramandata magari dai bisnonni…

- A quel tempo non c’erano cessioni di proprietà - osservò qualcuno – Ognuno


stava a casa sua.

- Ah già, è vero. Qualche antica ricevuta di scambio, allora? Mi sembra che


praticassero il baratto, in quel periodo …

- Io ho le fatture del mercatino di Amsterdam - disse uno di loro - Però hanno la


data dell’anno scorso, e inoltre sono in fiorini olandesi.

- No, quelle non servono. Nient’altro?

- Io avrei una cartolina del monte di Astrion - disse un altro – Però non so a quanto
possa servire: dietro c’è scritto solo “saluti da Astrion”, e basta.

- E’ importante, invece, stai scherzando? Quella mostra chiaramente che veniamo


da quelle parti! Tirala fuori intanto, che la mettiamo da parte.

L’austriaco frugò nel suo valigione, estrasse la cartolina e la passò all’amico.

- Ma qui non c’è nemmeno il francobollo! - disse quello esaminandola – Ma chi te


l’ha mandata, scusa?

- Mia zia, l’anno scorso. Però me l’ha portata a mano, quando è venuta su a
Natale, perchè diceva che le poste costavano troppo.

Tutti lo guardarono con disprezzo.

- E’ per quello che non l’ha nemmeno firmata - aggiunse con un filo di voce,
abbassando lo sguardo sul pavimento - sapeva che me l'avrebbe data di persona.

Nel frattempo qualcuno si era accorto che von Hertzovich li stava fissando dal
fondo della stanza, con uno strano sorriso sulle labbra.
Quando fu sicuro che tutta l’attenzione fosse rivolta verso di lui, von Hertzovich
disse:

- Siete proprio sicuri di non avere niente da mostrare?

Gli altri si guardarono intorno, allargando le mani in segno di sconforto.

- E questo cosa sarebbe, secondo voi? – disse von Hertzovich, prendendo in mano
il libro sacro.

Centinaia di sguardi interrogativi lo fissavano pieni di speranza.

Von Hertzovich aprì il grande libro, e lesse a voce alta:

“Ripensando alla sorte subìta dai loro padri che peccarono contro di me,
abbandoneranno la loro caparbietà e la loro malizia. Io li ricondurrò nella terra
promessa con giuramento ai loro padri, ad Abrahmberger, Isakson a
Giacobinovich; essi ne avranno di nuovo il dominio e io li moltiplicherò e non
diminuiranno più!”

L’esplosione di gioia si udì persino nelle vallate adiacenti. Gli austriaci ballarono e
cantarono per tutta la notte, conoscendo un’allegria che non ricordavano nemmeno
nei racconti dei loro antenati.

Era nato l’austrismo, il movimento che da quel giorno si sarebbe adoperato per
raccogliere tutti gli austriaci dispersi nel mondo, e riportarli nella terra promessa.
Anche quelli che non volessero saperne di tornarci, perchè stavano benissimo là
dov'erano.

SECONDA PARTE
Il movimento austrista crebbe con grande successo, anche grazie al fatto che
alcuni austriaci lavoravano come fattorini nelle più potenti banche del mondo, e
riuscivano sempre a mettere una buona parola per la loro causa, quando
incontravano nei corridoi qualche persona importante.

Ottennero così in poco tempo una dichiarazione ufficiale da parte della corona
inglese, nella quale veniva certificato di fronte al mondo il loro diritto ad un territorio
nazionale.

Rimaneva solo un ultimo problema da risolvere: il loro libro sacro - peraltro molto
preciso in mille circostanze – si era dimenticato di indicare dove si trovasse la
famosa “terra promessa” di cui parlava. In realtà, la sua descrizione era così vaga,
che qualcuno era arrivato a suggerire che si trattasse solo di una metafora, per
indicare lo stato spirituale che ci attende dopo la vita terrena.

- Macchè spirituale !!!! – urlarono gli Anziani di Astrion - La terra promessa è


chiaramente nelle Dolomiti, dove ebbe origine la nostra stirpe. Lo dice il nostro
libro, quel libro è parola di Dio, e quindi dobbiamo rispettarla!

Decisero allora di mandare due emissari in nord Italia, per sondare il terreno con
gli abitanti del luogo. Ma quando questi tornarono, avevano notizie tutt’altro che
confortanti:

- Hanno detto che se vogliamo possiamo accomodarci nello spazio libero -


riferirono gli emissari - Ma di sgomberare loro non se ne parla nemmeno. Dicono
che sono lì da mille anni, e che non vedono motivo di andare via.

- Ma voi gli avete mostrato libro sacro? - chiesero gli anziani.

- Certo che gliel’abbiamo mostrato. Ma loro ne hanno tirato fuori un altro, molto
simile al nostro, dove però la parte della terra promessa non c’è.

- Come non c’è? Mancherà la pagina, vuoi dire …

- No no, non c’è proprio. O meglio, loro ci hanno detto che non c’è. Sa, è scritto
tutto in arabo, mica potevamo verificare.

- Se è scritto in arabo non può essere sacro! E’ chiaro che quel libro è un falso.

- No no, loro dicono che è autentico. Anzi, deve vedere come ci tengono. L’ha
scritto un loro profeta, un certo Morpetto…

- Maffetto – lo corresse l’altro emissario.

- Ma quanti libri sacri ci sono? – mormorò qualcuno nelle retrovie.

- Un casino – gli rispose quello accanto, sottovoce – Qui pare che ogni popolo
abbia il suo.

- Anche se ci fossero mille libri sacri - sentenziò l’anziano, che li aveva sentiti – c’è
un Dio solo! E lui ha detto chiaramente che dobbiamo tornare alla Terra Promessa.

- Anche loro dicono che c’è un Dio solo – disse timido il secondo emissario.

- E’ allora? – gli chiese l’anziano, sempre più irritato.

- Beh, allora … abbiamo dedotto che si trattasse dello stesso dio, che
evidentemente si è dimenticato di informarli di quel particolare.
- Comunque - suggerì il primo emissario - lo spazio libero è davvero enorme. Ci
sono intere vallate ancora disabitate, e la gente dei luoghi sembra davvero
simpatica e ben disposta. Non dovremmo avere grossi problemi a starci tutti
comodamente.

- Va beh - dissero gli anziani – non è proprio la stessa cosa, ma intanto portiamoci
avanti. Mandiamo qualcuno a stare fra loro, poi col tempo vedremo il da farsi.

Nonostante i grandi spazi, però, deve essere sorto qualche grave problema,
perchè man mano che arrivavano i coloni austriaci, la gente del luogo si ritirava
frettolosamente dalle zone tutt’intorno.

Gli austriaci dicevano che erano loro ad andarsene spontaneamente. I locali


invece li accusavano di angherie di ogni tipo, dicendo che ogni volta che
protestavano si sentivano rispondere: “Se non ti piace come ti trattiamo, alza i
tacchi e vai altrove. Questa è la nostra terra, e qui facciamo quello che ci pare”.

Dal comportamento degli austriaci, sembrava quasi trapelare un piacere inconscio


nel vendicarsi di tutto quello che avevano subito nel corso dei secoli, facendo le
stesse cose a qualcun altro.

Nelle vallate locali circolano oggi certe leggende secondo cui gli austriaci
avrebbero messo in atto vere e proprie azioni di terrorismo sistematico, radendo al
suolo interi villaggi, e obbligando la gente a scappare sotto la minaccia di morte.
Da quando però gli austriaci presero il sopravvento nella zona, presero anche in
mano il controllo dei dati storici, ed è diventato difficile oggi verificare con
precisione quelle accuse.

Di fatto sappiamo che la progressiva colonizzazione portò i locali ad abbandonare


le zone più centrali, dal Tirolo al Burgenland, attraversando i valichi alpini e
riversandosi nelle vallate del Trentino Alto-Adige. Alcuni di loro si spinsero fino alle
prime frange della pianura padana, dando origine alla zona oggi chiamata
Cispadania, delimitata dalle rive del Po, che ospita un ibrido di rifugiati tirolesi e
italiani originari.

A quel punto, da un giorno all’altro, scoppiò la seconda guerra mondiale, causata


da un folle che per qualche motivo si era messo in testa di sterminare tutti gli
austriaci, pur essendo – pare – un austriaco lui stesso.

Questo folle si era messo alla caccia spietata di tutti gli austriaci dispersi in Europa,
e pare che in certe occasioni abbia avuto l’appoggio dello stesso movimento
austrista, che gli passava le informazioni sui nascondigli del loro concittadini, in
modo da obbligarli a fuggire verso la terra promessa.

Tanto – dicevano gli austristi - chi non vuole tornare per noi conta meno di una
capra, per cui tanto vale che finisca in un campo di concentramento.
Ci fu addirittura un caso in cui una nave carica di austriaci che stavano fuggendo
dalla Germania fu respinta dagli americani al porto di Miami, obbligando quei
poveracci a tornare indietro. (Non è mai stato chiarito perchè l’America, paese
della grande libertà, abbia respinto quel carico umano, pur sapendo a che destino
lo stesse condannando. Qualcuno ha suggerito che gli austristi, i cui fattorini nel
frattempo avevano trovato lavoro anche nelle grosse banche americane, avessero
messo la solita parola buona con il presidente Roosevelt, chiedendogli di mandarli
indietro. Questa però è un’altra accusa che resta difficile dimostrare).

In ogni caso, come sappiamo, tutte le guerre sono orribili, e questa fu ancora più
orribile delle altre.

Quando finalmente gli americani riuscirono a sconfiggere lo stesso folle che


avevano aiutato a salire al potere, e liberarono i pochi austriaci sopravvissuti dagli
stessi campi di concentramento a cui li avevano condannati, il mondo trasse un
sospiro di sollievo.

Iniziava l’era moderna, piena di allegria e di buona volontà.

Per prima cosa fu stabilita a New York la cosiddetta A.N.I., Associazione


Internazionale delle Nazioni, che prese a gran cuore il problema degli austriaci
sopravvissuti allo sterminio.

Molti di essi nel frattempo erano affluiti nel territorio d’origine, espandendosi in gran
fretta, e creando nuove frizioni con gli abitanti del luogo.

L’A.N.I. decise quindi di mettere le cose in ordine una volta per tutte. Dopo lunghe
riunioni, fu solennemente dichiarata la creazione di un vero e proprio stato
austriaco, con l’appoggio di quasi tutte le nazioni del mondo.

Fecero eccezione la Svizzera e la Slovenia – ovvero i paesi confinanti - che nel


frattempo erano stati invasi dai tirolesi in fuga, e che parlavano anche a nome dei
loro confratelli rifugiati in Cispadania.

Ma la loro voce fu sommersa dall’applauso fragoroso che il mondo decretò alla


nascita delle due nuove nazioni, purtroppo contigue: il nuovo confine correva lungo
la cresta delle Alpi Pennine-Lepontine-Retiche-Carniche-e-Giulie, lasciando a nord
la neonata Austria, e a sud una giovane Italia.

Lungo le coste del lago Maggiore era stata creata un’ansa di territorio che arrivava
fino a Lodi, in modo da permettere agli austriaci di riprendere possesso della loro
capitale storica, Milano.

Appena entrati a Milano, infatti, gli austriaci fecero abbattere tutte le statue dei
santi locali, sostituendole con quelle del generale Radetzky, ritratto con il classico
casco con il chiodo, sormontato da una vistosa stella alpina.
Gli stati confinanti però, che non avevano riconosciuto la nazione austriaca, la
attaccarono militarmente nel giorno stesso dell’inaugurazione, prima ancora che la
bandiera con la stella alpina a sei punte venisse issata sul Duomo di Milano,
accanto alla Madonnina.

Ma gli austriaci non si fecero cogliere impreparati, e dalle loro sacche da


immigrante, piene di calzini sporchi e di patate indurite dalla salsedine, uscirono
improvvisamente cannoni, carri armati e jet nuovi fiammanti, che si sbarazzarono
in poche ore di eserciti, come quello svizzero o quello sloveno, che di militare
avevano soltanto il nome.

Non parliamo poi degli italiani, che non avevano mai conosciuto la guerra, e si
erano presentati in battaglia armati di chitarra e mandolino, che cercavano di usare
come clava contro i carri armati del nemico. (C’erano anche quelli con la lupara,
volendo, ma si trovavano molto più a sud, ed erano difficili da contattare a causa
dell’idioma particolare che utilizzavano).

I bergamaschi per l’occasione avevano procurato delle speciali pietre della Val
Brembana, che a prima vista sembravano devastanti, ma che si rivelarono troppo
friabili all’impatto con l’acciaio corazzato.

Anche le vecchie golette della Repubblica di Venezia, rispolverate per l’occasione,


si trovarono in grosse difficoltà nel risalire le acque anguste dei torrenti prealpini, e
dovettero alzare bandiera bianca prima ancora di aver esploso un solo colpo di
archibugio.

Insomma, la disfatta fu totale, e gli italiani si risvegliarono con gli austriaci che
avevano occupato la loro terra fino a Trieste da una parte, e fino a Torino dall’altra.
Si erano anche impadroniti delle alture del Monblanc, note per le ricche fonti
d’acqua che irrorano tutta la pianura padana.

Nel corso della notte gli austriaci erano anche riusciti a costruire centinaia di case
coloniche un pò dovunque in nord Italia.

- Ma come avranno fatto? – si domandavano allibiti gli italiani – Non è che per
sbaglio abbiamo dormito per tre mesi?

- No, loro sono fatti così, da sempre. Sanno costuirsi un villaggio intero in mezza
giornata, e se lo smontano e portano via in venti minuti, se devono scappare di
corsa. E’ la diaspora che li ha abituati.

Nella val Trompia un gruppetto di italiani provò ad avvicinarsi ad un casale che era
stato occupato dagli austriaci, ma fu accolto a fucilate. Gli italiani dovettero
rassegnarsi a comunicare con gli occupanti urlando nascosti dietro a un trattore.
- Ueh giovanotto - urlò uno degli italiani, con forte accento bergamasco – và che
quella è casa mia!

- Cosa ha detto? - urlò l’austriaco appostato sul terrazzino.

- L’ g’ho dit che hela l’è ca’ mea, o porcudìo! – urlò imbestialito il bergamasco.

- Ha detto che quella è casa sua – tradusse l’amico, che era di Milano e si faceva
capire bene dall’austriaco.

- Era, casa sua – lo corresse l’austriaco – ma voi ci avete attaccato, e adesso qui
abitiamo noi. Così imparate.

- Eeeh ostia, atacàto, adiritùra! – bofonchiò il bergamasco – per quater peder che l’
g’ ù tirà…

- Cosa ha detto? - urlò di nuovo l’austriaco.

- Dice che per quattro pietre che vi ha tirato, non gli sembra il caso di portargli via
tutta la casa.

- Non sono le pietre, è il gesto che conta! – rispose l’austriaco.

- Ma chè gesto e gesto, bilòt! – urlò il bergamasco alzandosi in piedi - Vieni qui che
te lo faccio vedere io il gesto, deficent d’un deficent!

Per tutta risposta una fucilata gli fischiò sopra la testa, obbligandolo a chinarsi di
nuovo dietro al trattore.

- Occhio che quello non scherza – gli disse l’amico.

Ma il bergamasco mise di nuovo fuori la testa, sprezzante del pericolo, e urlò


all’austriaco:

- Ueh giùvin, t’è fini de fà el scemu si o no? La g’hu denter la vaca e il caval, e g’hù
de daggh de magnà! Va fora di bàl e basta, porcudìo!

- Vorrebbe sapere se ne avete ancora per molto – tradusse il milanese,


correggendo leggermente – e chiedeva se nel frattempo può venire a dar da
mangiare alla sua mucca e al suo cavallo.

- Non mi fido - rispose l’austriaco – Sappiamo che ci odiate, e aspettate solo la


prima occasione per buttarci tutti nel lago.

- Ma quale lago, scusi? Dietro a lei ci sono solo le montagne.


- Lo sapete benissimo di quale lago parlo, non fate i furbi. Voi volete ributtarci tutti
nel lago, e noi abbiamo il diritto di difenderci.

Non c’era niente da fare, la nenia millenaria ricominciava daccapo. Non era servito
a nulla dargli la terra, dargli le frontiere, dargli le armi per proteggerle.

Evidentemente il senso di persecuzione era entrato nel loro codice genetico, e il


fatto di non mescolarsi ad altra gente aveva solo peggiorato le cose,
moltiplicandone gli effetti nel tempo, invece di diluirli.

A loro volta, erano ormai condizionati al lamento perenne, che li aveva abituati da
secoli ad ottenere privilegi non sempre meritati.

Bastava che uno gli fregasse il parcheggio al supermercato, perchè l’austriaco si


buttasse a terra mugolante, richiamando subito l’attenzione di tutti i passanti.
Mentre si formava il classico capannello intorno a lui, qualcuno chiedeva:

– Se l’è sucès? L’è un epilètic? (Siamo a Lambrate, nelle vicinanze di Milano, nel
cuore del territorio occupato).

- Macchè epilettico - cercava di spiegare l’italiano - Io ho semplicemente parch….

Ma l’austriaco lo interrompeva subito, con una vocina stridula che lacerava i


timpani e copriva persino il rumore dei tram:

- Mi ha preso il posto! – ululava puntando il dito come un bambino - Lo sapeva che


era mio, l’ho visto prima io! Ma lui l’ha fatto apposta per farmi un dispetto, perchè
ha capito che sono austriaco.

- E tu togliti quel cazzo di cappotto a sette strati e vestiti come una persona
normale - mormorava qualcuno mentre andava via schifato – così stai tranquillo
che non ti nota più nessuno.

- Ma poi scusate – aggiungeva un altro, indicando l’italiano - se è arrivato prima lui


vuol dire che il posto l’avrà visto prima lui, no? Mica si vede dalle colline, ‘sto
parcheggio.

L’austriaco capiva che la situazione si metteva male per lui, e decideva di giocarsi
il jolly: estraeva dalla tasca del cappotto la foto del nonno morto ad Auschwitz,
mentre urlava all’italiano con tutto il fiato che aveva nei polmoni:

- Antidolomitaaaaaa!

Di colpo si era fatto un gran silenzio. Era come se il tempo si fosse fermato, mentre
quell’urlo lancinante riecheggiava all’infinito fra le case.

- Antidolomitaaa!…. Itaaa… Itaaaa…


Le auto scivolavano via discrete, cercando di non fare rumore, e persino i tram
sembravano scorrere su rotaie di velluto. Intorno all’italiano si era fatto il vuoto più
assoluto. Sul piazzale c’era solo più lui, in piedi di fronte all’austriaco che
singhiozzava sul selciato.

Timidamente un uccellino riprese a cinguettare, mentre si udiva in lontananza l’urlo


delle prime sirene.

Dieci minuti dopo il piazzale era stato completamente circondato dalla polizia
austriaca, mentre le telecamere della CNN riprendevano in diretta l’italiano che
veniva portato via in manette, sotto lo sguardo di disprezzo degli austriaci accorsi
sul posto. Poco distante i medici soccorrevano l’austriaco piangente, che veniva
caricato su una barella, intubato con l’ossigeno e immobilizzato con le classiche
protezioni antitrauma fosforescenti. Alcuni fra i presenti si asciugavano le lacrime
in un fazzoletto, altri chiamavano a casa con i cellulari, e con sguardo preoccupato
dicevano alla famiglia di chiudere bene tutte le porte e le finestre. La barella con
l’austriaco veniva infine caricata su un’ambulanza, che si allontanava ululando
nella notte.

Il TG della CNN terminava con uno zoom sul colbacco dell’austriaco, che giaceva
dimenticato sul selciato, fra due pozze d’olio di rimorchio illuminate in controluce.
Una mano caritatevole entrava nell’inquadratura, e appoggiava sul colbacco una
piccola stella alpina.

Pubblicità.

La gente in mezzo mondo spegneva il televisore disgustata, mentre qualcuno


cominciava a dire che gli italiani sono tutti dei terroristi.

***

Quello che è successo in seguito lo sanno tutti. E purtroppo, man mano che ci si
avvicina alla realtà di oggi, passa anche la voglia di scherzare.

Con il perdurare dell’occupazione, gli italiani avevano organizzato una vera e


propria guerriglia a tutto campo, nell’intento di cacciare gli invasori da casa loro.

Ma ogni volta che riuscivano a colpire nel segno, non facevano che peggiorare la
situazione. Gli austriaci infatti ne approfittavano subito per mostrare al mondo le
loro vittime insanguinate. Poi convocavano una grande conferenza stampa, nella
quale si appellavano al diritto di difendersi, e ripartivano ad uccidere, distruggere e
massacrare con rinnovata ferocia.

Questo non faceva che aumentare la rabbia degli italiani, che a loro volta
reagivano con ogni mezzo disponibile, permettendo nuovamente agli invasori di
legittimare una nuova ondata di massacri e di conquiste.
Nel frattempo nessuno si domandava per quale motivo gli austriaci avessero il
diritto di difendersi, pur trovandosi in terra altrui, mentre gli italiani non avevano
nemmeno quello, pur essendo in casa loro.

Grazie a questo malinteso mai risolto, siamo arrivati alla situazione odierna.

L’Italia di oggi è ridotta a un colabrodo, con ampie sacche di territorio circondate da


una muraglia di cemento invalicabile, in cui vivono rinchiusi circa sette milioni di
italiani.

Per spostarsi da una sacca all’altra occorre un permesso speciale, che gli austriaci
concedono solo dopo una lunga attesa, pur avendo ormai schedato tutti i residenti,
e dovendo quindi applicare un semplice rinnovo. Una volta ottenuto quello, è
necessario affrontare code interminabili ai check-point, sia in entrata che in uscita,
per spostarsi da una zona all’altra della stessa nazione. La nostra.

Stessa sorte attende i ragazzi che vanno a scuola in una zona diversa da quella in
cui vivono rinchiusi. Con la scusa di tutelare la propria sicurezza, gli austriaci
rendono la vita impossibile agli italiani con ogni mezzo disponibile, nel chiaro
intento di demoralizzarli e convincerli ad abbandonare per sempre il territorio.

Altri nove milioni di nostri concittadini sono già stati deportati nei campi profughi
della Svizzera, oppure rinchiusi in veri e propri campi di concentramento sul nostro
territorio. La motivazione data al mondo dagli austriaci è che “se no saremmo in
troppi, e per loro la situazione diventerebbe insopportabile”.

Rendendo insopportabile la nostra, invece, hanno risolto il problema alla radice.

Rimane infine la striscia di Sorrento, una sacca isolata a sud di Napoli, nella quale
ribolle una folla di quasi due milioni di italiani, stipati in un fazzoletto di terra di
pochi chilometri quadrati.

Rinchiusi come topi da laboratorio, tenuti da mesi senz’acqua, senza luce, senza
cibo, e senza nemmeno le medicine più essenziali, vengono lentamente portati
all’esasperarazione, per consentire – grazie al solito meccanismo perverso - la loro
completa epurazione.

Sono ormai meno di venti milioni gli italiani rimasti sul territorio.

Tutti gli altri, dei cinquanta iniziali, sono morti o fuggiti all’estero.

Di fronte a questa furia devastante, il mondo sembra ridotto all’impotenza, e anche


quando prova in qualche modo a reagire, si ritrova di fronte ad un muro di
cemento.
Qualche tempo fa, ad esempio, fu letteralmente raso al suolo uno dei più grandi
campi profughi del paese, durante un rastrellamento degli austriaci che dicevano di
cercare dei terroristi nascosti fra la gente. Lo scandalo mondiale fu tale che l‘A.N.I.
mandò una commissione internazionale per verificare l’accaduto, ma gli austriaci
negarono l’ingresso ai suoi membri, mentre i loro bulldozer ricoprivano in gran
fretta i segni del massacro.

Dove fino a ieri giocavano allegri i nostri bambini, oggi è una spianata anonima di
cemento. Ma i bambini non li ha portati via nessuno. Sono ancora tutti lì, che
giocano silenziosi sotto quel cemento.

La stessa sorte attende i nostri connazionali di Sorrento, che proprio in questi


giorni stanno vivendo le ore più drammatiche di un’esistenza contrassegnata fin
dalla nascita da sofferenze inenarrabili.

Mentre loro lanciano disperati gli ultimi razzi di cui dispongono, gli austriaci
continuano imperterriti a mostrare al mondo i danni provocati, per poi reagire con
una sproporzione ormai senza più senso.

In tutto questo nessun giornalista si ricorda di far notare che quei razzi vengono
lanciati da italiani contro un territorio italiano, per cui basterebbe che gli austriaci
tornassero a casa loro, e tutti i loro problemi “di sicurezza” finirebbero all’istante.

Ma evidentemente quei problemi non stanno affatto nella loro sicurezza, e a


questo punto dovranno vedersela con l’unico dio dell’universo, il quale gli
spiegherà finalmente in modo chiaro cosa volesse dire la sua famosa frase sulla
terra promessa.

Massimo Mazzucco

NOTA: QUALUNQUE RIFERIMENTO ALLA NAZIONE AUSTRIACA E AL SUO POPOLO


COMPARE SOLO IN SENSO METAFORICO, E NON HA ALCUNA ATTINENZA CON IL MONDO
REALE. Se invece altri popoli o nazioni dovessero riconoscersi in quanto descritto, il problema
purtroppo non è nostro.

http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=2987

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