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Intervista su Socrate

Platone, Simposio, Alcibiade: "Chi avesse valutato Socrate, come si dice, dalla buccia, non l'avrebbe pagato un soldo. Aveva una faccia da bifolco, un'aria bovina, il naso schiacciato e pieno di moccio. L'avresti detto un buffone, tardo e ottuso. Vestiva in modo trasandato. Parlava un linguaggio semplice, dimesso, da uomo del popolo. La sua abitudine di infilare una facezia dietro l'altra gli dava un'aria da istrione. In un'et in cui l'ambizione di passare per sapienti divampava fra gli insipienti e rasentava la follia, in un'et in cui Gorgia non era il solo a menar vanto di dominare ogni campo dello scibile - anzi ogni angolo pullulava di simili cianciatori - Socrate, sola eccezione, proclamava a destra e a manca che la sua sapienza si riduceva ad un unico punto: sapeva di non saper niente. Eppure, spiegando questo ridicolissimo Sileno, tu avresti indubbiamente scoperto un essere pi divino che umano, un grande animo, altissimo, filosofico nel vero senso della parola. Alle cose, che fanno correre per terra e per mare, che fanno sudare, litigare e guerreggiare gli altri uomini, era indifferente: a tutte. Gli oltraggi non arrivavano a toccarlo. La fortuna non aveva la minima presa su di lui. Di paure non ne conosceva. Non a torto dunque, in un'et in cui ogni angolo pullulava di sapienti, proprio questo buffone, e lui solo, fu proclamato sapiente dall'oracolo divino: chi nulla sapeva fu giudicato pi sapiente di chi si vantava di nulla ignorare, anzi proprio per questo fu giudicato pi sapiente degli altri, perch era il solo che nulla sapeva" GIANNANTONI: La vita di Socrate comincia e finisce con due date emblematiche: Socrate nasce nel 469 a. C., l'anno della battaglia dell'Eurimedonte, cio dell'ultimo grande scontro tra i greci e i persiani. Quindi Socrate inizia e conduce la sua vita nel periodo in cui la Grecia si sente forte, orgogliosa di aver cacciato i persiani dall'Egeo e di aver allontanato quella minaccia terribile. Socrate muore nel 399 a.C., cio nel momento in cui comincia il declino politico di Atene; si instaurata sulla Grecia l'egemonia di Sparta e comincia veramente un nuovo capitolo della storia antica. Tra queste due date, la vita di Socrate si identifica con la vita di Atene: il periodo di Cimone, il periodo di Pericle, il periodo della guerra del Peloponneso. Socrate, pur nella scarsezza delle notizie della sua vita che noi abbiamo, tuttavia un protagonista partecipe di questa vicenda. Platone, Simposio, 215 a - 216 c (L'elogio di Alcibiade): "Socrate, amici, comincer a lodarlo cos, per via di paragoni. Costui creder forse ch'io voglia farvi ridere alle sue spalle; eppure il paragone mira a rappresentarvelo qual realmente, non a metterlo in burla. Dico dunque ch'egli similissimo a quei Sileni esposti nelle botteghe degli scultori, che gli artisti raffigurano con zampogne o flauti in mano e che, aperti in due mostrano nell'interno immagini di dei. E dico per di pi che somiglia al satiro Marsia. E che tu sia nell'aspetto simile a quelli, neanche tu, Socrate, oseresti metterlo in dubbio. E come somigli loro in tutto il resto, ascolta. Sei un gran canzonatore; o no? se lo neghi, presenter dei testimoni. E un flautista, no? Anzi pi meraviglioso di Marsia. Ancor oggi debbo riconoscere a me stesso che se soltanto fossi disposto a prestargli orecchio, resisterei e proverei gli stessi effetti. Perch lui mi piega a confessare che, mentre difetto di mille cose, di me stesso non mi curo, ma mi occupo degli affari d'Atene. Facendomi violenza, distraggo le mie orecchie da lui, come dalle Sirene, e mi allontano fuggendo, perch non avvenga che io invecchi accoccolato vicino a lui. E solo di fronte a quest'uomo io ho provato, cosa che nessuno sospetterebbe in me, la vergogna di fronte a qualcuno. Ma io di lui solo
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provo vergogna perch riconosco in me stesso che non sono capace di controbattere che ci che lui pretende non si debba fare; ma, appena mi allontano da lui, sono vinto dall'ambizione di onori pubblici. Sicch lo evito e lo fuggo; e ogni volta che lo vedo, mi vergogno d'avergli dato ragione. E spesso sarei felice se non fosse pi tra i vivi! Ma so bene che se ci avvenisse, ne sarei pi angosciato, cos che non so proprio cosa farne di quest'uomo." DOMANDA: Nel Simposio di Platone, Alcibiade, per sottolineare il fascino di Socrate, lo paragona al satiro Marsia, che, secondo la leggenda, fin spellato vivo per aver osato sfidare, con il suo flauto, Apollo dio della musica. Come spiegarci la suggestione che, a due millenni dalla sua scomparsa, suscita la figura di Socrate? GIANNANTONI: La ragione fondamentale sta, io credo, nel fatto che dall'antichit ci arrivato un quadro cos complesso e cos allusivo di Socrate che ogni epoca della storia umana ci ha rivisto qualche cosa che le apparteneva. La tradizione cristiana ha considerato Socrate uno dei pensatori pagani pi alti, uno di quelli che pi si avvicinato al messaggio evangelico; il Rinascimento ha considerato Socrate uno dei suoi padri. Erasmo da Rotterdam diceva: "Santo Socrate prega per noi"; l'et dell'illuminismo ha visto anch'essa in Socrate un suo precursore. Ogni epoca ha ricostruito una propria immagine di Socrate, ma ha indicato anche che quella di Socrate una figura molto complessa. Perfino quelli che non hanno avuto simpatia per Socrate, per esempio Nietzsche, hanno tuttavia avuto verso di lui un atteggiamento tale da riconoscere la sua importanza. Quindi io credo che la vera ragione della continua presenza di Socrate nella nostra tradizione culturale sia dovuta al fatto che Socrate stato veramente il primo filosofo, cio colui che per primo ha riconosciuto di non sapere e per questo ha desiderato di sapere. Questa credo che sia la ragione fondamentale che fa di Socrate una delle fonti perenni della riflessione filosofica. DOMANDA: Nell'Apologia Platone tratteggia la figura di un filosofo che muove nella sua riflessione da un'idea centrale: Socrate sa di non sapere nulla. Come va interpretato questo sapere di non sapere? GIGON: Il "non sapere" di Socrate ha in se stesso molteplici significati e molteplici sensi, poich anche un non sapere ironico, un non sapere consapevole di s, consapevole dei propri limiti, un non sapere inteso naturalmente in senso polemico, contro coloro che pretendono di sapere troppo, nei confronti dei quali si ricorda che il non sapere rappresenta lo stato normale dell'uomo. L'atteggiamento primariamente socratico quello per cui egli si confronta con un interlocutore che vuole richiamare - mi esprimo in termini moderni, ma ci forse non guasta - alla responsabilit delle sue affermazioni. Che egli poi con ci allontani inoltre il singolo dalla societ, per me difficilmente dubitabile, poich se guardiamo per un attimo agli altri Socratici, oltre Platone e oltre il buon Senofonte, se guardiamo ad Euclide, Fedone, Antistene, Eschine, Aristippo, allora appare chiaro che la tendenza di Socrate in primo luogo quella di richiamare l'attenzione del singolo su se stesso. Platone, Apologia di Socrate, 20 e - 21 e: " Della mia sapienza, se davvero sapienza e di che natura, io chiamer a testimone davanti a voi il dio di Delfi. Avete certo conosciuto Cherofonte. Un giorno costui and a Delfi; e os fare all'oracolo questa domanda: [ancora una volta vi prego, o cittadini, non rumoreggiate] domand se c'era nessuno pi sapiente di me. E la Pizia rispose che pi sapiente di me non c'era nessuno. Udita la risposta dell'oracolo, riflettei in questo modo: "Che cosa mai vuol dire il Dio? Che cosa nasconde sotto l'enigma? Perch io, per me, non ho proprio coscienza di essere sapiente, n poco, n molto. Che cosa, dunque, vuol
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dire il dio quando dice che sono il pi sapiente degli uomini? Certo non mente, ch non pu mentire". E per lungo tempo rimasi in questa incertezza, che cosa mai il Dio voleva dire? Finalmente, sebbene assai controvoglia, mi misi a farne ricerca, in questo modo. Andai da uno di quelli che hanno fama di essere sapienti; pensando che solamente cos avrei potuto smentire l'oracolo e rispondere al vaticinio: "Ecco, questo qui pi sapiente di me, e tu dicevi che ero io". - Mentre dunque io stavo esaminando costui, - il nome non c' bisogno che ve lo dica, o Ateniesi; vi basti che era uno dei nostri uomini politici questo tale con cui, esaminandolo e ragionandoci insieme, feci l'esperimento che sto per dirvi; mi sembr che quest'uomo avesse s l'aria di essere sapiente, agli occhi degli altri e particolarmente di s stesso, ma che non lo fosse veramente; e allora mi provai di farglielo capire, che credeva di essere sapiente, ma non lo era. E cos da quel momento, non solo venni in odio a quest'uomo, ma a molti di coloro che erano presenti. E, andandomene via, dovetti concludere fra me e me che di quest'uomo ero veramente pi sapiente io: in questo senso, che l'uno e l'altro di noi due poteva pur darsi non sapesse niente n di buono n di bello; ma costui credeva di sapere e non sapeva, io invece non sapevo, ma neanche credevo di sapere; insomma io sono almeno in questo, per poco che sia, pi sapiente di lui: che ci che non so non credo neppure di saperlo. E di l me ne andai da un altro di quelli che passavano per essere anche pi sapienti del primo, e mi accadde precisamente lo stesso; e anche qui mi tirai addosso l'odio di costui e di molti altri". GIANNANTONI: Socrate ha, come atteggiamento costante, quello di revocare in dubbio tutte le certezze che gli sono presentate come tali; il sofista crede di sapere cos' la virt e Socrate lo mette in dubbio; il grande stratega crede di sapere che cos' la tecnica militare e Socrate (nel racconto di Senofonte) lo mette in dubbio; l'artista crede di sapere che cos' l'ispirazione e la poesia e Socrate lo mette in dubbio; ma l'intento di Socrate quello di provare, attraverso questo dubbio, attraverso questa confutazione, attraverso questo esame, se veramente il suo interlocutore sa o crede soltanto di sapere, cio se di fronte alle sue obiezioni egli ha una risposta convincente oppure no. In questo senso l'atteggiamento fondamentale di Socrate un atteggiamento elenctico, confutatorio; per Socrate che ironizza, il Socrate che dissimula perch questo il senso del termine ironia nel linguaggio socratico, cio Socrate che dissimula la propria ignoranza di fronte alla pretesa di sapienza altrui - questo Socrate ironico, dissimulatore, confutatorio soltanto una parte dell'immagine di Socrate, nel senso che poi questa ironia, questa dissimulazione, questa confutazione trovavano legittimit e ispirazione dal fatto che soltanto attraverso la discussione sarebbe stato possibile progredire nella verit. Quindi erano, diciamo pure, strumenti dialettici che avevano lo scopo di far emergere il consenso. La differenza fondamentale tra il dialogare socratico e la dialettica platonica che Socrate pone il consenso e la discussione come condizione della verit; Platone invece porr la verit come condizione della discussione e della dialettica. Quindi il pensiero di Socrate rispetto a quello di Platone un pensiero estremamente pi laico, pi critico, pi interrogante e dubitoso. DOMANDA: Il dialogare socratico prende dunque le mosse dal continuo interrogarsi sulla consapevolezza che l'interlocutore ha di ci che sta dicendo. Su questa progressiva presa di coscienza giocano un ruolo di primo piano due concetti: quello di maieutica, che si richiama all'arte dell'ostetrico, e quello dell'anamnesi, delle reminescenze. Cosa si intende con queste espressioni? GIGON: Troviamo espresso il significato della maieutica in un passo famoso del dialogo platonico Teeteto. Il giovane avido di sapere, pone una quantit di domande e spiega alla fine sospirando: "Non so cosa farne di queste domande". E allora Socrate gli dice:
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Platone, Teeteto, 150 b-d: "La mia arte di ostetrico in tutto il resto somiglia a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo: che si esercita non sulle donne, ma sugli uomini, e provvede alle anime partorienti e non ai corpi. Ma ci che costituisce il maggior vanto della mia arte il poter mettere alla prova in ogni modo se la mente del giovane partorisce fantasma o menzogna, o qualcosa di vitale e di vero. Poich ho in comune con le levatrici, che anch'io sono sterile... di sapienza. E il rimprovero che gi tanti mi hanno fatto, che interrogo s gli altri, ma non manifesto mai, io stesso, su nessuna questione il mio pensiero, poich non ho nessuno pensiero sapiente da esporre, un rimprovero giusto. E la ragione appunto questa, che il dio mi costringe a fare da ostetrico, ma mi viet di generare. Io sono dunque in me tutt'altro che sapiente, n da me venuta fuori alcuna sapiente scoperta che sia generazione del mio animo; di quelli invece che amano stare con me, alcuni da principio paiono anche del tutto ignoranti, ma tutti poi, continuando a frequentare la mia compagnia, ne traggono - quelli a cui il dio lo conceda - un profitto straordinario, come ritengono essi stessi e gli altri. Ed chiaro che da me non hanno imparato nulla, bens proprio e solo da s stessi molte cose e belle hanno trovato e generato; ma di averli aiutati a generare, il merito spetta al dio e a me" GIGON: La maieutica socratica la richiesta di aiuto per rendere visibile questo sapere nascosto. La maieutica, come tutto ci che socratico, si limita ad agire sull'altro in modo da aiutarlo a pervenire al sapere. L'anamnesi invece il riemergere del ricordo, cio la convinzione che ci che si sa ora e che improvvisamente ci illumina, c'era g da sempre. In questo senso abbiamo il famoso esempio del Socrate platonico che nel Menone si incontra con un giovane servitore completamente incolto: egli fa s che questo giovane, il quale non sa nulla, riesca infine a dimostrare chiaramente e a spiegare una serie di teoremi matematici. evidente che il giovane non ha imparato tutto ci in un istante e nemmeno da bambino, ma che lo ha piuttosto saputo in una vita precedente e che tutto riaffiora ora nel ricordo, o meglio viene fatto riemergere al ricordo proprio da Socrate. E questo sguardo retrospettivo a ci che si gi da sempre saputo implica il fatto che Socrate, a ragione, si rifiuta di intendere ogni tipo di educazione, di apprendimento e di desiderio di sapere semplicemente come trasmissione di una qualche sorta di oggetti, che ancora non si conoscono, ovvero come informazione. Proprio questo il Socrate platonico assolutamente non vuole; egli vuole piuttosto richiamare alla realt ci che da sempre esiste. DOMANDA: Una delle costanti del dialogo socratico la ricerca di una definizione. "Che cos' il coraggio? Che cos' la temperanza?" - chiede Socrate. In questo senso, attraverso Aristotele, la tradizione ci ha tramandato l'idea che Socrate sia stato l'inventore del concetto, del concetto in quanto universale. si pu parlare di Socrate in questi termini? GIGON: Consideriamo il tema delle virt. caratteristico il fatto che il Socrate platonico nei primi dialoghi esamini in maniera estremamente vasta i due concetti di coraggio e di temperanza. Si coraggiosi, secondo Platone, non solo in guerra, ma anche in una malattia o in una passeggiata in una foresta oscura, in una infermit, eccetera. In Platone e in Socrate il concetto non pu essere facilmente delimitato, ma a ci Aristotele reagisce molto nettamente. Se si d un'occhiata al capitolo di Aristotele sul coraggio, si nota che si tratta soltanto del coraggio in guerra; se si legge Aristotele intorno alla temperanza ci si accorge che soltanto temperanza dal punto di vista sessuale e niente altro. E' la consapevole riduzione di queste virt ad un certo comportamento che stabilito dalla societ. E' invece evidente che Socrate, al contrario - e questo si ritrova in tutti i suoi dialoghi - ricerca l'universale, ovvero ci che comune a lui e al suo interlocutore, o ai suoi interlocutori. Ed
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dunque a ragione che Aristotele ha detto pi volte, nella Metafisica, che opera di Socrate da un lato la scoperta dell'universale e dall'altro la scoperta della definizione. Horisms e kathlou sono ci che Socrate ci ha lasciato in eredit dal punto di vista di Aristotele, che non ha letto soltanto Platone, ma anche gli scritti degli altri Socratici. Platone, Lachete, 190 d - 191 b: "SOCRATE: Ebbene, eccellente amico, non prendiamo subito in esame tutta quanta la virt - il compito sarebbe forse un p arduo - , ma vediamone prima una parte per misurare le nostre forze. E l'indagine ci riuscir naturalmente pi facile. LACHETE: Facciamo pure come vuoi, Socrate. SOCRATE: E quale parte scegliere della virt? Senza dubbio quella cui sembra tendere lo studio delle armi (di cui parlavamo prima). E questa , nell'opinione comune, il coraggio. LACHETE: Certo, questa l'opinione comune. SOCRATE: Ecco. Innanzitutto, Lachete, incominciamo a dire cos' il coraggio e, dopo, studieremo anche in qual modo se ne procuri la presenza ai giovani, per quanto possibile che l'acquistino tramite gli esercizi e lo studio. Ma provati a rispondere alla mia domanda, cos' il coraggio. LACHETE: Per Giove, Socrate, non difficile dirlo: quando un soldato resta al suo posto, combatte contro i nemici e non fugge, ecco, quest'uomo coraggioso. SOCRATE: Hai ragione, Lachete, ma forse la colpa mia se, per non essermi spiegato chiaramente, hai risposto non a ci che pensavo, ma ad altro. LACHETE: Che vuoi dire, Socrate? SOCRATE: Cercher di spiegartelo, se ne sono capace. Senz'altro coraggioso il soldato che descrivi, che resta al suo posto e combatte contro i nemici. LACHETE: Io almeno credo. SOCRATE: Anch'io lo credo. Ma che dire di quell'altro che abbandona il posto ma combatte contro i nemici mentre fugge? LACHETE: Mentre fugge? SOCRATE: S, come gli Sciti, per esempio, di cui si dice che combattono fuggendo non meno bene che mentre avanzano" . DOMANDA: Come va valutata la testimonianza aristotelica, l'affermazione che a Socrate vadano attribuite la scoperta dell'universale e la scoperta della definizione? GIANNANTONI: Aristotele dice che due cose si possono legittimamente attribuire a Socrate: i ragionamenti induttivi e il definire universalmente. Questa frase di Aristotele significativa per due motivi. Il primo che essa dimostra che, gi per Aristotele, stabilire quale fosse il vero pensiero di Socrate era un problema. Aristotele presenta questa sua attribuzione dei ragionamenti induttivi e del definire universalmente, come la sua soluzione al problema di che
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cosa Socrate ha realmente pensato. Quindi il frutto di un lavorio di interpretazione da parte di Aristotele Che vuol dire "ragionamenti induttivi" e che cosa vuol dire "definire universalmente"? Queste sono due espressioni aristoteliche, che appartengono al linguaggio aristotelico. Noi, nei dialoghi di Platone, soprattutto nei dialoghi giovanili, non troviamo mai questa espressione. Aristotele riteneva che l'interrogare socratico, il continuo domandare "che cos' la giustizia", "che cos' la saggezza", mirasse a raccogliere tutti i casi particolari in cui la giustizia o la saggezza si manifesta, per astrarre da questi casi particolari in cui la giustizia o la saggezza si manifesta, per astrarre da questi casi particolari la definizione della giustizia o della saggezza. Questo procedimento che storicamente certamente di Socrate, Aristotele lo interpreta alla luce delle sue categorie filosofiche. Quindi il ragionamento induttivo la raccolta dei dati, oppure dei casi in cui una determinata virt, che la cosa di cui Socrate si occupava di pi, compare. Il definire universalmente l'astrarre da tutta questa serie di casi particolari, una unica definizione della virt che vada bene, cio che spieghi tutti i casi particolari. PLATONE, Lachete, 191 c - 192 c: "SOCRATE: Dunque, ti dicevo poco fa che la colpa mia se non hai risposto bene, perch non ti ho posto bene la domanda. Vedi, io volevo interrogarti non solo sul coraggio dei fanti, ma anche su quello dei cavalieri e di tutti i combattenti in generale e non solo su quelli che sono coraggiosi in guerra, ma anche su quanti sono coraggiosi di fronte ai pericoli del mare o di fronte alle malattie, alla povert, alle vicende politiche e ancora non solo su quelli che sono coraggiosi contro i dolori o i timori, ma anche sono tremendi combattenti contro i desideri e i piaceri sia stando al loro posto, sia fuggendo. Perch vi sono pure degli uomini, Lachete, coraggiosi in queste cose. LACHETE: Altro che, Socrate! SOCRATE: Allora tutti costoro sono coraggiosi, ma gli uni esercitano il coraggio contro i piaceri e gli altri contro i dolori, gli uni contro i desideri e gli altri contro i timori, mentre ve ne sono altri che mostrano vilt nelle stesse circostanze. LACHETE: Certo. SOCRATE: Io ti domandavo che cosa sono l'una e l'altra cosa, il coraggio e la vilt. Ecco, prova ancora a rispondermi: dimmi adesso cos' il coraggio, che identico in tutte le circostanze o non capisci ancora cosa voglio dire? LACHETE: Proprio no. SOCRATE: Mi spiego. Supponi per esempio che ti chiedessi cos' la velocit, la velocit che pu trovarsi in noi sia nella corsa che nel pizzicare la cedra, sia nel parlare che nell'imparare e in molte altre circostanze e che ordinariamente si trova, per riferirci ai casi pi importanti, nell'esercizio delle nostre mani, delle gambe, della bocca, della voce e del pensiero. Non sei d'accordo? LACHETE: Certo. SOCRATE: Ebbene, se uno mi domandasse: "Socrate, cos' che in tutte le circostanze chiami velocit?" io gli risponderei che chiamo velocit il potere di fare in poco tempo molte cose con la voce, nella corsa, e cos via.
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LACHETE: Risponderesti esattamente. SOCRATE: Allora prova anche tu, Lachete, a dire lo stesso per il coraggio; che cosa sia questo potere che si ritrova identico nel piacere e nel dolore e in tutte le circostanze che menzionavamo poco fa e che vien chiamato coraggio" . HSLE: Socrate era una persona che non apparteneva alla cultura tradizionale. Egli era un estremo argomentatore, il razionalista pi tremendo che sia mai apparso sulla scena della filosofia greca, un uomo che voleva far valere solo il logos, l'argomento pi forte, che non credeva a nulla che non era basato sulla ragione. Allo stesso tempo Socrate non era un sofista. Egli era una persona che voleva fondare sulla ragione l'obbligo morale dell'uomo, mentre la sofistica negava che ci fossero obblighi morali al di l del proprio interesse razionale. Socrate crede che esistano profondi obblighi morali basati sulla ragione. Dunque egli congiunge la credenza ingenua del mondo tradizionale in valori assoluti con il razionalismo che entra con la Sofistica, e questo non era mai successo prima di lui: non c'era stato un filosofo che aveva il livello di argomentazione di Socrate che in verit, con la sua ironia, con il suo rigore dimostrativo, con la sua capacit di confutare altre posizioni, superava di lungi tutti i Sofisti e che allo stesso tempo, come una grande pietra nel mare, rimaneva non scosso dalla crisi dei valori morali intorno a lui. DOMANDA: Attraverso l'immagine che ci restituiscono i dialoghi platonici, la grandezza morale della figura di Socrate emerge al pari della profondit, dell'ampiezza e del valore della sua riflessione etica. Al centro di tale riflessione l'idea che nessuno compie il male volontariamente, ma solo per mancanza di conoscenza: la virt, infatti, coincide per Socrate con il sapere. In che senso virt e sapere possono essere identificati? GIGON: Se si afferma che la virt sapere, ci dipende dal prestigio che in generale la conoscenza - la sapienza in opposizione all'ignoranza - possiede nel pensiero presocratico. E' questo un obiettivo anche per Parmenide, per Democrito e per Anassagora. Il sapere ha la priorit su tutto, poich la strada che conduce all'eterno e all'universale. Di tutto ci rimane una traccia nella concezione socratica del sapere. E' in questo modo che Socrate giunge a quel sillogismo, che Aristotele ha caratterizzato come sillogismo abbreviato, secondo cui, ad esempio, colui che veramente sa ci che deve fare, lo far, non c' nulla che possa contrastare il sapere. Si cela qui in fondo un tratto di pensiero gerarchico: l'elemento razionale deve essere il pi forte in tutte le circostanze di fronte alla irrazionalit, e quando il sapere riesce a farsi avanti nella sua purezza, allora l'uomo, che conosce il giusto, agisce anche secondo giustizia. Il pensiero etico di Socrate rappresenta dunque una trasformazione molto particolare della tradizione speculativa dei Presocratici. PLATONE, Protagora, 352 a-e: "SOCRATE: Coraggio, Protagora, metti a nudo anche questo lato del tuo pensiero: qual' il tuo punto di vista nei confronti della scienza? Ne hai la stessa opinione della maggior parte degli uomini, oppure no? I pi ritengono che la scienza non abbia alcun vigore, n capacit di guidare o governare. E non solo i pi ne hanno un simile concetto, ma spesso pensano che, pur nell'uomo che la possiede non sia la scienza a governare, ma qualcos'altro, ora la passione, ora il piacere, ora il dolore, talvolta l'amore, pi spesso la paura, in una parola si mettono in testa che la scienza sia come un servo, trascinata di qua e di l da tutte le passioni. Sei anche tu di questo avviso o ritieni che la scienza sia qualcosa di bello, capace di avere in mano il governo dell'uomo, tanto che, se uno conosce il bene e il male,
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non pu essere dominato da null'altro, n pu comportarsi se non come gli comanda la scienza e che la sola saggezza basti a sorreggere l'uomo? PROTAGORA: A me sembra che sia non solo come tu dici, Socrate, ma che per me, pi che per ogni altro sia brutto non affermare che sapienza e la scienza sono ci che v'ha di pi alto tra le cose umane. SOCRATE: Giuste parole, e vere esclamai. Ad ogni modo sai che la maggior parte degli uomini non crede n a me n a te; dicono, anzi, che pur conoscendo il meglio e potendolo seguire, non lo vogliono, ma agiscono in tutt'altra maniera. E a quanti ho domandato quale ne sia la causa, hanno risposto che lo fanno perch sopraffatti o dal piacere o dal dolore o perch dominati da qualcun'altra di quelle passioni di cui dianzi parlavo" DOMANDA: Con la formula "intellettualismo etico" ci si riferisce spesso all'identit di virt e scienza nella riflessione socratica? In questa formula non forse contenuta implicitamente una critica alla visione di Socrate? GIANNANTONI: Intellettualismo etico propriamente significa che nell'agire umano il primato spetta al conoscere. In tutte le fonti che ci parlano di Socrate - in Platone, in Aristotele, in Senofonte - troviamo affermato che Socrate avrebbe sostenuto l'identit di virt e di scienza. Questa identit stata spesso fraintesa nel senso che si interpretato l'intellettualismo etico come se Socrate avesse sostenuto che la volont segue necessariamente i comandamenti e i dettami della ragione e della scienza. In realt per Socrate questa identit di scienza e virt qualche cosa di pi profondo. Scienza e virt sono due nomi per indicare una sola cosa, cio l'agire consapevole, l'agire che fa le sue scelte in funzione di criteri di cui la volont stessa consapevole e in questo senso l'intellettualismo etico di Socrate presentato molto bene da Platone quando sviluppa il tema dell'attrazione del bene, cio Socrate diceva: "ognuno agisce sempre in funzione di ci che ritiene bene, perch il bene non gli pu non apparire come preferibile". Quindi ognuno agisce in funzione delle proprie preferenze sono da preferire, e su questo si esercita naturalmente la discussione socratica, il dialogare socratico. DOMANDA: Parliamo del processo a Socrate. Quale era il rapporto tra Socrate e la vita politica di Atene? GIANNANTONI: Socrate, nel decennio precedente al suo processo, si era trovato due volte in una situazione di conflitto profondo: la prima volta con il regime democratico, la seconda con il regime oligarchico dei Trenta Tiranni. Quando gli ateniesi vinsero la battaglia delle Arginuse, nel 406 - fu l'ultimo successo che ebbero sugli spartani prima della sconfitta finale - i generali vincitori alle Arginuse furono processati ad Atene con il pretesto che non avevano salvato i naufraghi. Senofonte, nelle Elleniche, ci racconta dettagliatamente tutto lo svolgimento del processo. Quello che interessante notare che Socrate in quella occasione era uno dei pritani, cio uno dei membri del consiglio che aveva la funzione di governo esecutivo della citt, e dall'uso che fa di certi termini Senofonte e Platone, si era indotti addirittura che in quel giorno del processo Socrate fosse il presidente dei pritani, cio il presidente della Repubblica, perch erano cariche sorteggiate di giorno in giorno e quel giorno sarebbe capitato proprio a Socrate di essere capo dello Stato, e lui avrebbe adoperato la sua autorit per impedire che si facesse il processo sommario contro i generali vincitori. Processo illegale perch il diritto attico prevedeva sempre processi individuali. In quella occasione si volle derogare alla norma e si fece un processo contro tutti i generali vincitori delle Arginuse. Socrate corse non pochi rischi
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perch si oppose alla volont dell'assemblea, quindi al demos. Quella fu un occasione di contrasto profondo tra Socrate e gli umori della democrazia ateniese. Altri contrasti - ce li narrano Platone, Senofonte - ebbe, con il regime dei Trenta Tiranni. Quindi c'era qualche cosa nella personalit e nell'atteggiamento di Socrate che era in contrasto, diciamo pure, con le norme della vita politica, anche al di l del regime in cui concretamente quelle norme si incarnavano. PLATONE, Apologia di Socrate, 24 b-c: "SOCRATE: Socrate reo di corrompere i giovani; di non riconoscere gli dei cui la citt riconosce, e anzi di praticare culti religiosi nuovi e diversi. - Questa l'accusa!" DOMANDA: Quali erano le accuse mosse a Socrate? GIANNANTONI: Le accuse erano sostanzialmente due: la prima era la vera e propria accusa di asbeia, cio d'empiet. Socrate non crede negli dei della citt e anzi introduce divinit nuove: questa era la prima accusa. La seconda accusa era quella di corrompere i giovani. Socrate si difende chiamando a testimoni gli stessi ateniesi. Lui sempre vissuto in pubblico, ha sempre frequentato le palestre, i giardini, non ha mai insegnato a qualcuno in privato, e l al processo sono presenti tanto i suoi giovani uditori quanto gli uditori pi anziani, quanto i loro genitori, e Socrate li invita a testimoniare se mai ha insegnato a loro qualche cosa che pu apparire come corruttore. Naturalmente riesce a dimostrare questo; per dobbiamo anche tener conto che l'accusa di corrompere i giovani aveva un sottofondo politico che al processo non venne fuori esplicitamente, ma che venne fuori subito dopo la morte di Socrate e cio quello di essere stato il maestro e l'educatore di Crizia e di Alcibiade, cio di due delle figure pi criticate, pi fatte oggetto di esecrazione nella Atene della democrazia restaurata dopo il regime dei trenta tiranni. Crizia era il capo dei trenta tiranni. Alcibiade era colui che, per non sottomettersi al processo, aveva tradito Atenen era passato a Sparta e aveva combattuto contro la propria patria. Socrate era stato in rapporti sia con Crizia sia con Alcibiade e questo non gli fu perdonato: questa la vera sostanza che sta dietro l'accusa di corruzione dei giovani. PLATONE, Critone, 44 b - 50 e, passim : "CRITONE: Via, amico Socrate, ancora una volta lasciati persuadere e mettiti in salvo ... SOCRATE: Rifletti, Critone. Se io me ne vado da questo carcere contro il volere della citt, faccio male a qualcuno, e precisamente a chi meno lo merita. (...) Se mentre noi siamo sul punto di prendere la fuga, o come altrimenti tu voglia dire, ci si parassero davanti le leggi e la citt e ci chiedessero: "Dimmi, Socrate, che cosa hai in mente di fare? Non mediti forse, accingendoti ad un'azione simile, di distruggere noi, cio le leggi, e con noi tutta intera la citt, per quanto sta in te? O credi possa vivere e non essere sovvertita da cima a fondo quella citt in cui le sentenze pronunciate non hanno valore e anzi son rese vane e nulle da privati cittadini?" - che risponderemo noi, o Critone, a queste e simili domande? (...) E che cosa risponderemmo se le leggi seguitassero cos: "Che cos'hai da reclamare tu contro di noi e contro la citt, che stai tentando di darci la morte? E anzi tutto non fummo noi che ti demmo vita, e per mezzo nostro tuo padre prese in moglie tua madre e ti gener? Parla dunque: credi forse che non siano buone leggi quelle di noi che regolano i matrimoni , e hai da rimproverare loro qualche cosa?" - "Non ho nulla da rimproverare" risponderei io. "E allora, a quelle di noi che regolano l'allevamento e l'educazione dei figli, in cui tu stesso fosti educato, hai rimproveri da fare?" (..)
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- No, direi io. "E sia. Ma ora che sei nato, sei stato educato, potresti tu dire che non sei figliolo nostro e un nostro servo e tu e tutti quanti i progenitori tuoi? E se cos pensi forse che ci sia un diritto da pari a pari tra te e noi, e che, se noi tentiamo di fare qualcosa contro di te abbia il diritto anche tu di fare altrettanto contro di noi?" HSLE: Il criterio che Socrate sviluppa nel Critone un criterio che in molti punti ricorda il criterio di Kant. Troviamo nel Critone, dove Socrate discute con il suo amico se lecito abbandonare la prigione e fuggire la condanna a morte, l'argomento che se lui facesse cos le leggi di Atene non avrebbero pi stabilit, perch se un uomo si arroga il diritto di non accettare le leggi del proprio paese, quando stato condannato in una condanna formalmente corretta, allora il paese arriverebbe alla dissoluzione. In altre parole abbiamo il criterio della universalizzazione: se tutti facessero cos allora non sarebbe possibile convivere insieme. D'altra parte la cosa importante in Socrate che l'etica fondata sulla autonomia, Socrate stesso che capisce che deve fare cos le leggi sono una esteriorizzazione del suo io proprio, ci di cui Kant era cos orgoglioso, di avere sviluppato un'etica che allo stesso tempo fosse oggettiva, universalmente valida e fondata nella autonomia del soggetto, non in considerazioni eteronome, "noi dobbiamo comportarci cos perch se no Dio ci punisce, perch se no perdiamo la reputazione con i nostri concittadini, ecc." La grande scoperta di Socrate nel campo dell'Etica credo che sia stata l'unit di oggettivit ed autononia . Platone, Apologia, III: "SOCRATE: Ma a voi che mi avete condannato voglio fare una predizione. Io dico, o cittadini che mi avete ucciso, che una vendetta ricadr su di voi, subito dopo la mia morte, assai pi grave di quella onde vi siete vendicati di me uccidendomi. Oggi voi avete fatto questo nella speranza che vi sareste pur liberati dal dover rendere conto della vostra vita; e invece vi succeder tutto il contrario: io ve lo predico. Non pi io solo ma molti saranno a domandarvene conto: tutti coloro che fino ad oggi trattenevo io, e voi non ve ne accorgevate. E saranno tanto pi ostinati quanto pi sono giovani; e tanto pi voi ve ne sdegnerete. Che se pensate, uccidendo uomini, di impedire ad alcuno di biasimarvi di non vivere rettamente, vi ingannate . No, non questo il modo di liberarsi da costoro; e non affatto possibile n bello; bens c' un altro modo, bellissimo e facilissimo, non tagliare altrui la parola, ma piuttosto adoperarsi per essere sempre pi virtuosi e migliori. Questo il mio vaticinio e a voi che mi avete condannato non ho da fare altra preghiera che questa: i miei figliuoli, quando siano fatti grandi, castigateli, o cittadini, cagionando loro gli stessi fastidi che io cagionavo a voi, se a voi sembra si diano cura delle ricchezze o di beni materiali piuttosto che della virt; e se diano mostra di essere qualche cosa non essendo nulla, svergognateli, com'io svergognavo voi, che non curino ci che dovrebbero e credano valer qualche cosa non valendo nulla. Se cos farete io avr avuto da voi quel ch'era giusto che avessi: io e i miei figlioli. - Ma ecco che l'ora di andare: io a morire, e voi a vivere. Chi di noi due vada verso il meglio oscuro a tutti fuori che a Dio".

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