You are on page 1of 146

A JourIlal of Ilalian Slucll('<"

Volul1l(' 1-+/ ul1lb('r I/Splillg


L
h 0 0 1 4 : ; ~
AJSociate EditorJ
FORUM ITALICUM
M. RICCIARDELLI, Editor
State University of New York, Buffalo
Editorial Staff 1978-1980
G.-P. BIAsIN, University of Texas, Austin
G. CAMBON, University of Connecticut
G. CECCHETII, University of California, I.os Angeles
A. N. MANCINI, Ohio State University
S. RAMAT, University of Florence
Board 0/ Adtors
A. ALTAMURA, University of Salerno
C. B. BEALL, University of Oregon
J. G. FUCILLA, Northwestern University
G. IANNACE, CentraI Connecticut State College
U. LIMENTANI, University of Cambridge, England
O. MACR, University of Florence
M. MASI, Florence
L. ORSINI, Naples
M. PRISCO, Naples
B. L. O. RICHTER, State University of New York, Buffalo
R ]. RODINI, University of Wisconsin, Madison
R RUSSELL, Queens College, CUNY
G. SINGH, The Queen's University of Belfast, Northern Ireland
Constdting Editors
A. S. BERNARDO, State University of New York, Bingharnton
P. CHERCHI, University of Chicago
G. P. CUVIO, University of Toronto
G. CONTINI, Scuola Normale Superiore, Pisa
F. FIDO, Stanford University
E. HATZANTONIS, University of Oregon
R C. MELZI, Widener College
N. PERELLA, University of California, Berkeley
M. L. PoPs, State University of New York, Buffalo
L. REBAY, Columbia University
L. ROMEO, University of Colorado
]. TUSIANI, Herbert H. Lehman College, CUNY
Asstant Editors
E. LICASTRO, State University of New York, Buffalo
L. MONGA, Vanderbilt University
forum italicum
VoI. 14, No.1, Spring 1980
ISSN 0014-5858
CONTENTS
ARTICLES
L. Rebay: Ungaretti: Gli scritti egiziani 1909-1912 3
G. Guglielmi: Una novella non esemplare del Decameron 32
F. Masciandaro: Folly in the Orlando Furioso: a Reading of the Gabrina
Episode 56
W. C. Foreman: Fellini's Cinematic City: Roma and Myths of Foundation 78
POETRY
C. Betocchi: La croce della stanchezza 99
M. Luzi: Due Frammenti 100
A. Parronchi: Due Poesie 102
PROSE
P. Bigongiari: Taccuino veneziano
104
REVIEW-ARTICLE
A. Illiano: In margine al Centenario settembriniano
107
THE WORLD OF BOOKS
Reviews
A. Verna: F. De Sanctis, Un viaggio elettorale 115
E. Licastro: G. Brberi Squarotti, Le sorti del "tragico." Il
Novecento italiano: romanzo e teatro 116
]. H. Potter: E. Vittorini, Conversazione in Sicilia 119
D. Bini: C. C. Russell, Italo Svevo. The Writer from Trieste 121
C. Ascari: Il Porta tascabile: poesie scelte. Commenti e note
di L. Monga 123
A. Pallotta: E. N. Girardi e G. Spada, Manzoni e il Seicento lombardo 124
]. Vizmuller: V. R. Giustiniani, Il testo della "Nencia" e della "Beca"
secondo le pi antiche stampe 126
D. Heilbronn: F. Forti, Magnanimitade: studi su un tema dantesco
R. H. Lansing, From Image to Idea: A study of the Simile
in Dante's "Commedia" 128
G. P. Clivio: G. Rohlfs, N uovo dizionario dialettale della Calabria 131
Ultime novit in lingua italiana 135
Ultime novit in lingua inglese 1 39
NOTIZIE 140
Copyright 1980 by Illuminati
FORUM /TAL/CUM is a journal of Italian studies published by
Illuminati three times a year, in Spring, Fall, and Winter.
Founded by M. Ricciardelli, the tri-quarterly is intended as a meeting
pIace where scholars, critics, and teachers can present their views on the
literature, language, and culture of ltaly and other countries in relation
to ltaly.
In addition to criticaI and scholarly articles and Review-Articles,
FOR UM /TAL/CUM features Poetry, Fiction by established writers, and
Translations from Italian into English. The section of The World of
Books includes Review-Articles, Book Reviews, Bibliographies and News.
AlI contributions are read by the Editor, one of the Associate Editors,
and by two members of the Editorial Board.
The MLA Style Sheet is to be followed in matters of formo Manu-
scripts must be typewritten and double-spaced throughout. Footnotes
must be numbered consecutively and grouped on pages separate from
the text. Articles should not exceed 25 typed pages. AH contributions
should generally be in Italian or English and be submitted in duplicate.
Forum /talicum cannot return manuscripts unaccompanied by a self-
addressed envelope and without sufficient unattached return postage.
Address all manuscripts, editorial correspondence, subscription inquir-
ies, and orders to:
Professor M. Ricciardelli
2022 Parker Boulevard
Tonawanda, New York 14150 V.S.A
Books for review should be sent to:
Professor Albert N. Mancini
The Ohio State Vniversity
Department of Romance Languages
1841 Millikin Road
Columbus, Ohio 43210 V.S.A.
Subscription rates (V.S.A.) for one year: Individuals, $12.00; students,
$9.00; institutions, $20.00. Other countries add $2.00 for each year
subscription. Back issues, $4.50. Special issues, $5.50. Please pay in
V.S. currency.
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912*
Sui ventriquattro anni che Giuseppe Ungaretti trascorse in
Egitto dal giorno della sua nascita nel febbraio del 1888 fino a
quello della sua partenza per Parigi sul finire del 1912 non si
posseggono che scarse notizie oggettivamente documentabili.
Nonostante amasse raccontare gustosi e a volte piccanti aned-
doti della sua giovent - cominci con un elzeviro del 1929 nel
Tevere spiritosamente intitolato "Del pudore" - l essenzial-
mente egli mantenne sul periodo della sua formazione, e parti-
colarmente sui suoi esordi di scrittore, un velo di 'riserbo e
addirittura di segretezza. A poco a poco e forse inevitabilmente
la realt vissuta del suo passato africano fin per apparirgli con
contorni trasfigurati in cui anche i meri dati cronologici risul-
tavano sfumati e fluttuanti. Lui stesso sembr ammetterlo men-
tre nel 19 31 iniziava per la Gazzetta del popolo di Torino un ciclo
di corrispondenze dalla sua terra natale, lasciando oltre a tutto
intendere con caratteristica imprecisione di esservi rimasto un
numero d'anni considerevolmente inferiore a quello effettivo:
"Ho vissuto in Egitto i primi vent'anni, e mi sono diventati; in
pi di vent' anni lontano, una bolla di sapone, una nuvoletta
iridescente con l'interna vaghezza di luoghi e di persone ridotti a
un giuoco di fumo. Carit finale della memoria!"2
I suoi articoli giovanili nel Messaggero egiziano di Alessandria
che stata mia ventura di ritrovare ci offrono ora uno strumento
di studio che consentir di esaminare su basi concrete almeno
gli aspetti culminanti della fase iniziale della sua carriera. Devo
dire che fu proprio Ungaretti a darmi l'idea di intraprendere la
ricerca di questi scritti quando venne in America per l'ultima
volta nel marzo del 1970,3 tre mesi prima della sua morte. Mi
*11 testo che segue basato sulla relazione presentata al "Convegno Internazionale di
Studi su Giuseppe Ungaretti," Universit di Urbino, 3-6 ottobre 1979. Desidero espri-
mere la mia gratitudine all'American Philosophical Society di Philadelphia; al Commen-
dator Paolo Bianchi-Milella, Presidente del Comitato della Societ Nazionale Dante Alighieri
di Alessandria d'Egitto; al Professor Manrico Fiore, Direttore dell'Istituto Italiano di
Cultura del Cairo e alla Dottoressa Wanda Pezzuto Bilbesi dello stesso Istituto; al Dottor
Mahmud AI-Sheniti, per gli Affari Culturali del Governo egiziano; e ai
dirigenti e al personale della Nazi<;>nale ?el e
d'Alessandria, per la loro prezIOsa asslstenza m vane fasl delle mle ncerche. Degh scnttl
egiziani d'Ungaretti qui discussi prevista l'edizione in volume presso Mondadori, Milano.
3
4
LUCIANO REBA Y
aveva fatto leggere le trascrizioni dattilografiche delle sue vec-
chie interviste francesi conJean Amrouche di cui si era appena
servito per redigere la splendida "Nota introduttiva" all'appara-
to critico di Tutte le poesie,
4
ora portate con s oltreoceano con
l'intenzione di utilizzarle in conferenze che poi invece il rapido
declinare delle sue condizioni di salute gli imped di tenere. In
quelle interviste, postumamente pubblicate in volume da
Gallimard,5 ricorrevano riferimenti a tre pubblicazioni di Ales-
sandria: un quotidiano, Il messaggero egiziano, e due periodici,
L'unione della democrazia e Risorgete. Conversando con lui mi colp
la facilit con la quale sembrava ricordare particolari anche
minuti: il nome, per esempio, risultato poi esatto, del proprie-
tario del Messaggero: un maltese, Emilio Arus; quello del diret-
tore del Rorgete: Alietti; quello del fondatore dell' Unione: Ugo
Farfara. Ma alla richiesta di informazioni specifiche sulle sue
collaborazioni, pi specifiche cio di quelle molto generiche e
approssimative registrate da Amrouche,6 Ungaretti disse che era
impossibile rispondere dopo tanto tempo; sarebbe stato indi-
spensabile andare in Egitto, dove, a voler frugare, sarebbero
forse saltate fuori delle cose "curiose."7 Non si sbagliava, anche
se due delle tre pubblicazioni da lui indicate sono sfuggite ad
ogni mia ricerca. Di Risorgete e dell' Unione della democrazia non vi
sono tracce in Egitto n nelle pubbliche emeroteche, n negli
archivi consolari o dell' Ambasciata d'Italia, n in quelli dell'Isti-
tuto di Cultura, o della Dante Alighieri. Nessuno, neppure fra i
residenti pi anziani da me avvicinati, ne aveva mai sentito
parlare. Del Messaggero egiziano esistono invece due collezioni,
una alla Nazionale del Cairo e una seconda alla Comunale di
Alessandria. Sono entrambe lacunose, ma, insieme, fortunata-
mente costituiscono una raccolta completa, almeno per gli anni
1906-1912. Da esse ho potuto rilevare diciassette scritti: il
primo e sicuramente il pi antico (l'autore, che si firma "giunga
... ," dichiara esplicitamente che quella la sua prima collabora-
zione al giornale) datato 27 novembre 1909; l'ultimo, 14
gennaio 1912.
8
Prima tuttavia di tentarne una sommaria descrizione mette
conto di considerare gli apparenti effetti deformanti, se cos
lecito dire, di quella "bolla di sapone" entro la quale a detta di
Ungaretti erano in qualche modo evaporati i suoi ricordi degli
anni egiziani, "bolla," o "nuvoletta," o "giuoco di fumo" che
egli denunciava, come si visto, nel 1931, ma che sembravano
UNGARETTI: GU SCRI1TI EGIZIANI 1909-1912
5
gi attivi almeno fin dal 1920, a giudicare dal cappello biografico
che precedeva, in quell'anno, quattro sue liriche accolte nei
Poeti d'oggi di Papini e Pancrazi.
9
Vi si legge:
GIUSEPPE UNGARETTI - nato ad Alessandria d'Egitto 1'8
febbraio 1888 da famiglia lucchese. Fece gli studi classici in Egitto.
And a Parigi nel 1909 - ove ottenne il Diplme d'tudes
suprieures
10
- e vi rimase fino al 1914. Soldato italiano dal '15
combatte in Italia e in Francia fino al 1918.
Segue l'elenco delle collaborazioni con in testa il Messaggero
egiziano e l'Unione della democrazia ( omesso Risorgete) e in coda
Littrature, la rivista di Aragon, Breton e Soupault fondata l'anno
prima (marzo 1919). Quello delle opere enumera Ilporto sepolto,
La guerre, e Allegria di naufragi. subito evidente che il periodo
egiziano risulta accorciato di tre anni ( fatto terminare nel 1909
anzich nel 1912), mentre d'altra parte la durata della residenza
prebellica a Parigi viene estesa da due (1912-1914) a cinque
(1909-1914). In altre parole, Ungaretti si presenta come un
autore le cui radici poggiano anche su una decisiva esperienza in
terra di Francia, un autore che scrive e pubblica anche nella
lingua di quel paese. Tutto questo, a parte le date, natural-
mente esatto, ma va osservato che il background culturale e il
tirocinio francese vengono posti in speciale risalto, persino a
costo di un forzamento sul piano della cronologia. II
Quando si pubblicher l'epistolario completo di Ungaretti
sar agevole vedere che nel primo dopoguerra egli era indotto a
promuovere un'immagine particolare di s dall'ambizione allo-
ra molto forte in lui di affermarsi e di essere riconosciuto come
poeta di lingua francese oltre che italiana. I dati gi disponibili
sono del resto abbastanza espliciti.
12
Nel gennaio 1919 stampa-
va a Parigi La guerre - in parte versioni francesi di poesie italiane
e in parte poesie composte direttamente in francese - e alla fine
dell' anno Allegria di naufragi presso Vallecchi. Come noto, il
volume vallecchiano include la ristampa di quello parigino; pi
una lirica che in esso non figurava,I3 ma soprattutto l'aggiunta di
una sezione nuova di zecca, "PLM 1914-1919," costituita da tre
composizioni francesi tutte di massimo impegno sul piano stili-
stico e tecnico.
14
La seconda di esse, intitolata "Roman Cin-
ma" e dedicata a Blaise Cendrars, era datata - per errore, mi
6
LUCIANO REBA Y
assicur Ungaretti: ma l'errore non fu mai pubblicamente retti-
ficato - "Paris le Il mars 1914,"15 vera data rompicapo perch
fra l'altro riprende e mette in risalto il terminus a quo del titolo
della triade, invece di quello ad quem che sarebbe stato il giusto.
16
Non molto dopo 1'11 marzo 1919, e precisamente il31 agosto,
in una lettera inviata ad Ardengo Soffici da Parigi, Ungaretti
orgogliosamente affermava di avere avuto familiarit con Bau-
delaire, Nietzsche, Mallarm, Rimbaud e Laforgue fin dall' et di
15-16 anni, e che ben poco gli avevano insegnato gl'italiani che
non si fossero chiamati Leopardi. 17 Ma intanto lasciava nell' om-
bra, ove rimase per tutto il resto della sua vita, il fatto che tra il
1909 e il 1912, quando si trovava ancora ad Alessandria, e non a
Parigi, citava con rispetto Gozzano,18 con ammirazione Cavac-
chioli e Ceccardi,19 e soprattutto tesseva fervidi, e sarebbe pi
esatto dire infuocati elogi di Gian Pietro Lucini e Gabriele
D'Annunzio, componendo per le Revo/verate del primo (di cui
sembrava ignorare le polemiche posizioni antidannunziane) e il
Martyre de Saint Sbastien del secondo, forse le pi entusiastiche
recensioni che quelle opere abbiano mai ricevuto.
Nel contesto di quella che si potrebbe chiamare, prendendo
lo spunto da Coleridge, la sua "Biographia literaria," Ungaretti
predilesse uno scenario secondo il quale il ragazzo d'Alessandria
che giovanissimo aveva gi scoperto i due autori guida della sua
vita, Leopardi e Mallarm, intorno ai diciott' anni si legava d'a-
micizia con Enrico Pea, e di l a poco s'imbarcava per Parigi. La
data della partenza, 1909 in Poeti d'qggi, venne infatti in resoconti
successivi ulterormente retrogradata fino al 1906, quando ap-
punto l'interessato aveva diciotto anni, come risulta per esem-
pio da una lettera de121 dicembre 1947 a Giuseppe De Robertis
che questi us in un suo saggio.
20
Parimenti, sul piano dell'auto-
biografia tout court, Ungaretti ci ha lasciato, fin dal ricordato
scritto del 1929 sul Tevere, il ritratto, per gli anni africani, di un
impetuoso ribelle un po' scavezzacollo, "un homme qui n'ac-
ceptait aucune sorte d'autorit [ ... ], un rvolt au sens le plus
net du mot," come disse ad Amrouche, un "insurg," un "r-
fractaire"21 che faceva propaganda antireligiosa sulla porta delle
chiese,22 o che appiccava il fuoco alla barba di un frate cappuc-
cino il quale avrebbe voluto riordinargli le idee.
23
Dell' autenti-
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
7
cit di tali e altre simili imprese non si dubita, ma occorre tener
presente, e Ungaretti non ci ha sempre aiutato a mantenere la
distinzione, che esse vanno ascritte unicamente a una fase molto
giovanile e con ogni probabilit relativamente breve: intorno,
questa volta" s, ai suoi "diciott'anni. 24 Pi tardi, d u r a n t ~ cio il
periodo delle collaborazioni al Mssaggero - un giornale, si
osservi, di cui Ungaretti ebbe a dire che era diretto "da una
persona colta che non scoraggiava nessuna audacia" _25 anar-
chismo, ateismo e giovent bruciata sono tutte esperienze che
per lui debbono considerarsi in buona parte superate, se non
completamente concluse. L'Ungaretti di quegli anni un gio-
vane che in un necrologio per l"'ateo" Mario Rapisardi pro-
clama apertamente la propria fede religiosa (14 gennaio 1912:
"lo credo, ed professione di fede umile, che dichiaro"); o che
in uno dei primi articoli ----, "Il caso Pardo," 16 gennaio 1910 - si
schiera con ardore di tribuno a difesa dell'istituzione della fami-
glia di stampo antico e tradizioni severe. Il titolo di quest'ul-
timo articolo direttamente rapportato a un fatto di cronaca
giudiziaria che aveva scosso la comunit italiana di Alessandria:
i tre fratelli Pardo e il padre loro erano stati accusati di "appro-
priazione indebita, furto continuato e falso" a danno della ditta
presso la quale lavoravano. L'imminente processo a loro carico
fornisce ad Ungaretti l'opportunit di criticare acerbamente
una societ a suo avviso minacciata dal dilagare della corruzione
dei costumi. Bastino questi stralci:
il fatto del giorno. [ ... ] Invano tentiam di scherzare: non
allegria di sorrisi s'abbozza, ma nausea ci assale, ed alto, clamiam:
"Disinfezione."
Basta! Quest' error di educazione che ha impastato i giovini
nostri di vanit e di capricci insani, [ ... ] quest'error d'educa-
zione cessi per il bene di tutti. [ ... ] Non dimentichiamo [ ... ]:
sopratutto l'ambiente morboso che corrompe, inducendo ai mali
passi. [ ... ] A voi, padri, a voi, uomini coscienti, che della vostra
dignit avete rispetto, a voi, il sacro dovere incombe, di epura-
zione, per non piangere poi, a lacrime di sangue, la vilt irrespon-
sabile dei figli colpevoli. Contro il pervertimento che dilaga,
opponete la vostra saggezza: la Figliolanza un tesoro che da
Natura v' stato confidato: sarebbe delitto di lesa umanit
trascinarla alla condanna del vilipendio, per sciocchezza d'incu-
ria.
8
LUCL\NO REBAY
L'articolo, questa volta firmato "Un giovine:
26
Giuseppe Ungaret-
ti. (giunga ... )," dedicato "A mia Mamma, a cui devo il mio
poco valore. "27
Se dunque l'Ungaretti del Messaggero egiziano assunse pubbii-
camente atteggiamenti contestatori, fu contro la cattiva educa-
zione e il cattivo esempio impartiti ai figli; fu inoltre, da una
parte, contro le attivit proprio dei suoi presunti ex compagni
anarchico-atei, oggetto di una sarcastica caricatura in una novel-
letta amenamente intitolata "Fifinaa Titina" (15 gennaio 1910);28
e, dall'altra, contro la necessit di dover assoggettarsi, per
vivere, anche ad occupazioni detestate. Quest'ultimo motivo,
genuinamente e dolorosamente autobiografico, risuoner fre-
quentemente anche pi tardi, anche dopo la partenza dall'Egit-
to. Ad esempio, in una lettera inedita a Soffici dell'Il maggio
1918, si legge: "Sar mai possibile d'uscire, nella societ com'
fatta, da quella specie di orribile avvilimento che richiede gua-
dagnarsi il pane?" Qui, sul Messaggero, il tema gi acquisito a
livello narrativo nella prima prosa d'invenzione, "Halil" (9 gen-
naio 1910), dedicata al fratello Costantino e alla di lui sposa,29 e
raccontata in prima persona da un locutore che alla fine si firma
"giunga . .. " e ricorda quando, "Non molti anni fa," per il dovere
di "partecipare ... alla lotta per il pane" (sottolineato nell' origina-
le) aveva accettato un lavoro d'impiegato, anzi di "copialettere,"3o
soltanto per accorgersi ben presto di aver "sbagliato mestiere:
ero nato per altro: per affligger, forse, i miei rari lettori di ....
bizzarrie . .. stampate."3\ Ma il tema dell'impiego affiora subito
fin dal primo contributo al giornale (27 novembre 1909). Lo
spunto offerto da un oscuro romanzo, Un'anima, di un altret-
tanto oscuro autore, Mario Urso, con ogni probabilit lui stesso
figlio d'immigrati d'Alessandria. 32 Il protagonista del romanzo
si chiama Giorgio Precorre - e cedo la parola al recensore:
sono le prime parole a stampa documentabili d'Ungaretti:
Giorgio Precorre un' idealista; ha mirato lontano, e negli occhi
splende la bramata visione di bellezza verso cui tendono le sue
fibre attratte. [ ... ] Ma, gli muore il padre; la mamma lo rivuole
presso di s a consolarne la vedovanza, ed egli compie il sacrifizio:
abbandona il pellegrinaggio di viandante di fede, di assertore di
bene, e costringe la sua intelligenza ad un odiato lavoro.
l
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
Le necessit dell'esistenza, fan di questo giovine, nato per procla-
mare la bont e la giustizia, libero da gioghi, illuminato dal sole,
un povero impiegato. Immenso sacrifizio di tutte le proprie
aspirazioni, rinunzia sublime a tutte le proprie attitudini per un
pensiero gentile e fulgente che gli altri pensieri sovrasta: Mam-
ma, mamma! [ ... ] Mario vrso ha voluto dimostrare la perdi-
zione d'un'anima sviata dalla sua vocazione, per i convenziona-
lismi falsi della nostra societ che al miglior lavoro nega il pane, e
si avventato con ferocia contro la legge che gli sembra errata.
9
Se non proprio con ferocia, certo con violenta indignazione
un anno e mezzo pi tardi (3 maggio 1911) U ngaretti si scaglier
contro coloro che sfruttano il lavoro degli artisti. Gliene d
occasione il suicidio di Salgari, che, oppresso dai debiti, si era
squarciato il ventre con un rasoio. "Editori avidi" lo avevano
ridotto in miseria non lasciandogli che "briciole," commenta
Ungaretti; e lancia un appello ai ragazzi italiani d'Alessandria
perch contribuiscano a una colletta a beneficio dei bimbi dello
scrittore scomparso (l'articolo intitolato "Per i bimbi di Emi-
lio Salgari"): "in contraccambio alla bellezza, che ha profuso
sacrificandosi, il Poeta, alla festa gentile dei vostri sogni." E qui
giova notare che la commossa rievocazione della figura di Salga-
ri ("Non seppe ricerche preziose; ma [ ... ] un ardore di vittoria
ha infuso Egli, il Capitano, alle sue frasi") introdotta da quella
di un interessante ricordo dell'infanzia dello scrivente:
Mi ritrovo ragazzo in un lungo e stretto e basso refettorio ad
arcate, in un convitto di preti, ed odo il giovinetto che leggeva ad
intrattenere i desinanti silenziosi [ ... ], odo la voce del lettore
giovinetto, che a turno intratteneva i condiscepoli, seguendo le
avventure fermate dall'Audace nel libro a dorso e a spigoli dorati
e ad accese illustrazioni: e la fiamma degli ardimenti penetrava in
noi attenti, e ci commuoveva una strana irrequietezza, una spe-
ranza strana: era la buona luce che infrangeva la melanconia
lugubre dello stanzone nero.
Insomma, si pu osservare, fondamentalmente la medesi-
ma esperienza destinata pi tardi a ripetersi, secondo il ben noto
racconto che Ungaretti am lasciarcene, quando avr luogo la
scoperta rivelatrice di Mallarm tramite quel professore di liceo,
Mi Kohler, che in classe leggeva ai suoi allievi dell' "cole Suisse
Jacot" il Mercure de France. 33
* * *
lO
LUCIANO REBAY
Dei diciassette scnttl nel Messaggero egiziano, cinque sono
recensioni. Gli autori presi in esame, oltre i ricordati Urso,
Lucini e D'Annunzio, sono Marguerite Audoux e ]ean-Lon
Thuile, e si tratta di cinque casi significativi, per motivi diversi.
Per Lucini e D'Annunzio vi il fatto dell'adesione entusiastica,
totale. A Lucini torner pi avanti. A proposito di D'Annunzio
mi limiter a sottolineare che nell'accesa esaltazione dell'autore
del Martyre (Ungaretti al tempo stesso se la prende, acramente,
con Emilio Cecchi, che aveva osato parlarne male nella Tribuna)
palese l'ammirazione per il poeta italiano che scrive anche in
francese e si fa applaudire oltr'alpe; e che "in terra di Francia
non dunque mollezza che acqueti raccolse ma fior di energia,
periI miglior combattimento." Il paragrafo conclusivo tutto
di piglio dannunziano: "Varrebbe devozione [invece, cio, delle
frecciate irrispettose di Cecchi]: ad uno ad uno, granelli d'in-
censo prezioso tolto nel mucchio rubesto dell'italianit, egli
porse al braciere di Francia: sia eternamente nudrita la fi
4
mma:
e illumini illumini!"34
Nel caso di Urso e di Thuile si segnala la volont di mante-
nere un'imparzialit di giudizio tanto pi lodevole in quanto si
trattava di autori "locali." Mario Urso era in un certo senso
anche un "collega" in quanto collaborava pure lui al Messaggero. 35
Quanto a]ean-Lon Thuile, che aveva pubblicato presso Gras-
set un lungo romanzo intitolato Le Trio des Damns,36 abitava in
una casa sul mare fuori d'Alessandria, al Mex, prospicente il
"porto sepolto," e forse Ungaretti lo aveva conosciuto da poco.
La sua recensione (23 giugno 1911), a tratti severa, non lascia
supporre che fra i due esistesse gi uno stretto rapporto d'amici-
zia.' Sia per U rso che per Thuile U ngaretti ha parole di misura-
to elogio e incitamento; ma al primo osserva che dovrebbe
"accurare un po' pi lo stile incerto" e che gli manca "una dote
di massimo valore: l'autocritica";38 al secondo dichiara franca-
mente che, se ne apprezza "le ansiet," "in estetica per non
andiamo d'accordo," e gli rimprovera "lungagnate" e di salire
"in pulpito a snocciolare con solennit un farragginoso sermo-
ne pedagogico." un giudizio che suona certo ben pi equilibra-
to di quelli stravagantemente elogiativi in scritti posteriori. 39
UNGARETTI: GU SCRITTI EGIZIANI 1909-1912 Il
Riguardo a Marguerite Audoux, il suo romanzo autobiogra-
fico di stampo verista, Marie- Claire , aveva dall' oggi all' indomani
trasformato una donna del popolo semianalfabeta in un'accla-
mata scrittrice, segno fra l'altro, per Ungaretti, che "chi posseg-
ga la forza vera, avesse sopra il mondo, e contro, si innalzer,
fosse l'ultimo ... "40 Significativo inoltre che egli affermasse di
essere stato attirato al romanzo da qualit analoghe a quelle
delle Fole di Pea: "[Vi] ho ritrovato i tuoi segni reali, mio Poeta
delle 'Fole,' e due volte perci mi caro."
Ma fra tutte le recensioni emerge con forte rilievo quella
intitolata non semplicemente con il titolo del volume in ogget-
to, come le altre quattro, ma con la premessa di un termine
qualificante: "Elogio di Revolverate." un elogio senza riserve,
come accennato.
41
Il fatto che il libro appaia presso le edizioni
marinettiane di Poesia induce Ungaretti ad ammettere di non
sapere bene se Lucini appartenga o no alla "congrega" del
futurismo,42 definito sprezzantemente "un programma di stram-
berie" (della sua avversione alle teorie futuriste vi lampante
evidenza anche nello scritto per Marguerite Audoux); ma,
futurista o no, "l giovini ebber ragione accostumandosi a chia-
mare [Lucini] Maestro; in vero, Maestro egli di giovinezza."
Tale tributo di stima termina con una valutazione dell' arte
luciniana che non di piccola importanza se rapportata alle
ricerche d'Ungaretti di qualche anno pi tardi nel campo del
valore fonico delle parole,43 e a certe sue riflessioni in materia, in
testi, per esempio, come "Punto di mira," rimontante al 1924:
"Sento che le parole non contano pi nulla, sento una musica
che supera il significato troppo facile, di qualsiasi Ma
gi qui, 24 aprile 1910, con felice intuizione: "Il merito maggio-
re dell'artefice di aver compreso il valor d'ogni rappresenta-
zione, nel proprio suono, cos che il ritmo commenti, dimostri il
pensiero, e il tutto sia retto da perfetta espressione
Ci che distingue questo scritto dagli altri non tuttavia
soltanto l"'elogio" in s, bens anche il fatto che esso inquadra-
to entro una cornice che gli conferisce un carattere di "messag-
gio" personale ed intimo sorprendente. La recensione infatti
romanticamente dedicata e indirizzata all' amico per noi quasi
12
LUCIANO REBA Y
mitico dell'infanzia d'Ungaretti, quell' Alcide Barrire per il qua-
le ebbe a ricordare di aver composto il primo suo sonetto, e del
quale dir poi, prima ad Amrouche,46 e da ultimo, traducendo
letteralmente dal francese, nella "Nota introduttiva" a Tutte le
poesie: "Era una specie di re. C' stata per me quell'idolatria,
un'idolatria, ed forse il pi forte affetto, la pi grapde amicizia
che io abbia avuto nella vita. Nulla so di paragonabile a quell'at-
taccamento. "47
All'inizio di "Elogio di Revolverate" si legge:
per Alcide Barrire.
Rammento, amico antico, l'antica nenia dell' anima mia:
Quanto ho pianto, mamma?
Tu hai contato le lagrime;
le lacrime non ho contato:
dagli occhi scaturito un fiume,
e inonda le citt; ...
danzano sirene nel fiume, mamma!!
E tutto ho riveduto, e tutto ho rivissuto: le cose consuetudinarie
di mia prima esistenza monotona, rifurono, monotonamente
. . . Ricordi il vecchio bambino, dodicenne poeta, assorto in
visione: il bambino silente fra il giuoco romoroso? E i versi, lenti
di Giacomo Leopardi, il poeta noto al vecchio bambino, ricordi?
E non sono passati molti anni, e rincorro ancora i sogni, con
anima stanca: e l'altra notte ho aperto il libro che voglio laudare,
mentre fantasimi lugubri accrescevano cordoglio all' anima stanca.
A questo punto ha principio, senza alcuna transizione, la
recensione vera e propria di Revolverate, che verr conclusa con
un'ultima apostrofe all'amico: "E leggi il libro, tu, tornando in
Inghilterra gelida, amico antico, e t'invader calor di primavera,
quando bruma."
I sei ingenui segmenti ritmici nei quali Ungaretti fissa la
"nenia dell'anima" consentono se non erro di identificare un
raccordo concreto fra il periodo egiziano di misteriosa incuba-
zione della sua poesia e il primo pubblico manifestarsi di essa in
Italia cinque anni dopo in Lacerba: la distanza nel tempo indica
fra l'altro quanto quella gestazione fu lenta e laboriosa. Mi
riferisco soprattutto ai sei versi che compongono "Diluvio"
(Lacerba, 28 febbraio 1915):
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
Mamma mia! quanto hai pianto!
C' la nebbia che ci cancella.
Nasce forse un fiume quass.
N on distinguo pi.
Ascolto il canto delle sirene del lago
dov' era la citt.
13
A questo punto possono soccorrere due separate dichiara-
zioni di Ungaretti. Una, la pi recente, la nota, in Tutte le poesie,
a "Nasce forse," versione ultima di "Diluvio": "La nebbia aveva
mutato in quell'ora Milano in un lago che come un miraggio mi
richiamava alla mente il lago Mareotis, nel deserto vicino ad
Alessandria. "48 La seconda la risposta a una domanda di
Amrouche che questa volta alla radio italiana ne11955, due anni
dopo le interviste francesi, ritornava bravamente alla carica per
cercare di carpire al vecchio poeta qualche indiscrezione sugli
albori della sua poesia.
UNGARETTI- ... S, abitavo ad Alessandria d'Egitto, e allora
c'era questa specie di ... nenia di ciechi che si tenevano per mano
che cantavano tutte quelle cose ... vede ho fatto anche dei versi
cos, e forse quello uno dei primi motivi. Non era una gran
cosa, erano ... cos ... dei motivi molto malinconici.
49
Non voglio insistere, qui, sul rapporto che mi pare si possa
stabilire, a livello fra l'altro delle matrici tematico-lessicali, fra la
nenia "rammentata" ad Alcide nel1910 e "Diluvio" di Lacerba.
Giover forse appena menzionare che da piccolo Ungaretti fu
ammalato di tracoma e dovette trascorrere mesi interi al buio. 50
La cornice "privata" di "Elogio di Revolverate" insolita, ma
non unica. Un analogo montaggio a incastro viene effettuato
nuovamente di l a poco (5 giugno 1910) nell'importante scritto
dal titolo forse luciniano "Dell'arte e di alcuni poeti giovini."51
Si tratta pi esattamente della trascrizione integrale, come av-
verte un cappello prefatorio, di un lungo discorso che Ungaretti
aveva appena tenuto presso un non meglio identificato "Circolo
di Liberi Studi." Il discorso, su due colonne, risulta diviso in due
parti: la seconda, considerevolmente pi breve, una presenta-
zione in veloci paragrafi - cui era stata intercalata la lettura di
testi illustrativi imprecisati - di cinque "giovini poeti di oppo-
14 LUCIANO REBA Y
sta tendenza," testimoni della vitalit di un modo d'intendere e
affrontare ratto artistico che il presentatore ovviamente sotto-
scrive:
L'arte la speranza pi angosciosa, perch l'arte priva d'idealit
preconcette: l'arte solo affermazione della propria interior
potenza: inutile prefiggersi scopi: bisogna possedere l'insita
sapienza che di diversa sostanza ad ognuno, costituisce il turbine
individuale, travolgente.
I cinque sono, nell' ordine, Enrico Cavacchioli, Gian Pietro
Lucini, Guido Gozzano, Mario Simonatti e Ceccardo Roccata-
gliata CeccardU
2
La sorpresa di questo scritto risiede per
ancora una volta nella prima e in questo caso maggior porzione
di esso, consistente in una vera e propria fiaba, la storia di
"Amerigo" e di come egli conquisti e anzi "possegga" "la bella:
Marghera" dopo aver superato ogni sorta di soprannaturali
ostacoli. Con questo "exemplum" il conferenziere sembra
porre spiritosamente se stesso alla testa dei "poeti" successiva-
mente elencati, almeno come uno dei pi "giovini" (a parte
Simonatti, nato anch'egli nel 1888, Cavacchioli, il meno anzia-
no dei restanti, aveva tre anni pi di Ungaretti, Lucini ventuno!),
occupando quel posto di diritto, come si deduce dal paragrafo
che funge da cerniera fra le due sezioni, perch ha individuato e
saputo cogliere in un "sogno" la "Bellezza perenne." Ma non
tutto: la fiaba a sua volta racchiusa entro una sua propria
cornice. Nel paragrafo iniziale essa infatti presentata al lettore
come narrata ad un "bimbetto" dai riccioli biondi da una "vec-
chierella" che per lui "abbozz le forme, perch pi tardi fosse
rintracciata la via di Bellezza." Sembra lecito congetturare, visti
anche gli altri richiami all'infanzia rinvenibili in questi scritti,
che il "bimbetto" altri non sia se non 1'ora adulto favolista del
Messaggero, e la "vecchierella" la pi antica incarnazione nel-
l'opera ungarettiana della "vecchietta delle Bocche di Cattaro,"
la "cara Dalmata [cui] devo molte idee favolose" che ritrovere-
mo per esempio in "Chiaro di luna"53 e poi nell'ultimissima
prosa, "Croazia segreta": "la mia tenerissima, espertissima fata.
[ ... ] Lo stupore che ci raggiunge dai sogni, m'insegn lei a
indovinarlo," con quel che segue. 54
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
15
La fiaba di Amerigo e della bella Marghera ci conduce
naturalmente e obbligatoriamente ad Enrico Pea, le cui Fole,
ricopiate a mano da Ungaretti, furono pubblicate, come si gi
ricordato,55 in quello stesso 1910. Nel "Ricordo" dettato dopo
la morte dell'amico, ora in Saggi e Interventi, Ungaretti implicita-
mente riconobbe che Pea "gli apr[] l'avvenire."56 Indubbia-
mente Pea dovette essere, se non proprio l'unico modello,
almeno il principale catalizzatore delle prime prose ungarettia-
ne d'invenzione: le due "bizzarrie" intitolate "Halil" e "Fifina a
Titina" - un genere ironico-umoristico-satirico che Ungaretti
per sua stessa testimonianza coltiv anche durante la guerra nei
due perduti "romanzi d'ironia" Le avventure di Turlur e La
Tellinaia;57 e, ovviamente, la fiaba cui si accennato, che sotto
certi aspetti (lessico, ritmo narrativo e taglio dei personaggi) si
sarebbe tentati proprio di "restituire" a Pea, come avrebbe
detto Giuseppe De Robertis. Pea e la visione estatica e primiti-
va del favoloso e dell' orrido che anima Le fole influirono forse
anche sulla scelta che Ungaretti fece (11-12 luglio 1910) di un
singolo racconto di Edgar Allan Poe da lui superbamente tradot-
to nel Messaggero, anche se dovette prestar l'orecchio (, credo,
dimostrabile) alla versione che ne aveva gi dato Baudelaire. Si
tratta del "Finale" delle Romances of Death della raccolta Tales of
the Grotesque and Arabesque, intitolato nell' originale "Silence - A
Fable" e nella traduzione ungarettiana semplicemente "Silen-
zio": ma una "fola," dunque, con protagonista il Demonio, e
per giunta ambientata proprio in Africa, in Libia.
58
Ma se Pea "decise del destino in arte" di Ungaretti, come
questi anche disse,59 la medesima osservazione pu ripetersi in
senso inverso. Ad Ungaretti va infatti attribuito il non piccolo
merito di aver subito riconosciuto il raro talento di Pea e di
esserne divenuto uno dei principali fautori. cosa risaputa, ma
ancora si ignorava che Ungaretti, poche settimane dopo il pro-
prio debutto nel Messaggero, vi pubblic in anteprima (24 dicem-
bre 1909) quella che divenne poi la dodicesima delle Fole.
60
Il
racconto, sicuramente uno dei primissimi scritti stampati di
Pea, contenente numerose varianti rispetto al volume pescarese
del 'lO, e intitolato con stilema estrapolato dal contesto, "Feli-
16
LUCIANO REBA Y
cit eterna," era accompagnato da una calorosa presentazione di
"giunga . .. "61 Il presentatore inoltre annunciava, scusandosi
pubblicamente con l'amico di rivelare il "suo inutile mistero,"
l'imminente pubblicazione di "una raccolta di Sonetti, nostalgi-
ci come l'anima del popolo arabo, in degna edizione della Socie-
t Editrice Abruzzese." Si tratta indubbiamente di quei Sonetti
del Harem
62
di cui si salvato credo un unico esemplare, rimasto
"disperso" sulla prima pagina del Messaggero del 20 marzo 1910,
dove l'ho rinvenuto. Intitolato "Hadiga" (nome proprio di
donna) e pubblicato forse anch'esso a cura di Vngaretti,63
accompagnato dalla seguente postilla: "Dai 'Sonetti del Haarem'
di prossima pubblicazione." Ci che invita una volta di pi a
riflettere sull' opportunit di rivedere almeno la cronologia - e
per certi aspetti non la cronologia soltanto - degli anni egiziani
di Ungaretti. Il quale cos raccont nel citato "Ricordo diPea"
la storia della "distruzione" di quei sonetti dell'amico: "Fu a
quel tavolino [di caff d'Alessandria] che mi mostr un gruppo
di sonetti stecchettiani che aveva intitolati I sonetti del harem.
Avr avuto allora diciotto anni [ ... ]. Gli dissi che erano una
porcheria, che li buttasse al diavolo. Batt il marmo, e dopo
qualche giorno seppi che mi aveva dato retta."64 Ma i sonetti
erano annunciati "di prossima pubblicazione" il 20 marzo 1910
e tre mesi prima Vngaretti, lungi dal ritenerli una "porcheria,"
dichiarava senza nascondere il suo compiacimento che avrebbe-
ro visto "prossimamente la luce. "65 Il consiglio di distruggerli
non pot essere dato se non dopo la pubblicazione di "Hadiga"
il 20 marzo: e Vngaretti aveva allora non diciotto, ma ventidue
anni compiuti.
Rimangono quattro scritti di cui bisogna rendere conto per
completare il quadro che si tentato di delineare: "Nelle nostre
scuole. L'insegnamento dell'agricoltura" (28 maggio 1910),
sulla necessit di introdurre nelle scuole secondarie italiane in
Egitto lo studio dell'arabo e dell'agricoltura indigena (l'interes-
sante intervento, firmato "V.," malgrado l'incertezza della sigla
a mio avviso da attribuire ad Vngaretti per varie ragioni che
sarebbe peraltro troppo lungo esporre in questa sede); "Nuovi
libri" (30 agosto 1911), un articoletto su Pea gi ripubblicato da
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
G. Palermo, al CUi menzionato contnDuto Si nnvla; e due altn.
Di questi, "Abbozzi e sgorbi?" (1-2 agosto 1910), una difesa
della mostra di dipinti di Lorenzo Viani che Pea e Ungaretti
avevano allestito nella sede del Messaggero: 66 difesa perch Viani
era stato attaccato da un certo "Fiorentino" (ovviamente uno
pseudonimo), "flabellifero del sembenellismo" e "becchino del
dannunzianismo," lo chiama sdegnosamente Ungaretti, che un
anno prima aveva dichiarato "sgorbi pretenziosi" i fregi di
Adolfo De Carolis per la Fedro' di D'Annunzio e che ora simil-
mente, sull' Unione della democrazia, infieriva contro gli "sgor-
bi" dell"'aquila apuana." L'intervento fortemente polemico di
Ungretti, mentre da un lato sembra indicare che quali che
fossero stati i suoi rapporti con l'Unione, erano ormai finiti, e che
per di pi fra s e quel settimanale non doveva correre buon
sangue, dall' altro ci fa assistere a una sua palinodia nei confronti
<lel futurismo (era solo di pochi mesi prima l'unilaterale defini-
zione del movimento marinettiano quale "programma di stram-
berie"). Schernendo "Il Fiorentino" perch le sue idee mostra-
vano di essere sempre quelle stantie dell'anno precedente (sem-
pre ligio a Sem Benelli mentre ora, gli veniva fatto ironicamente
osservare, "l'esercizio prescritto di sotterrare L'amore dei tre
re"), Ungaretti gli oppone il proprio coraggio di cambiare opi-
nione, e di non farne mistero:
E, per esempio, ho mutato parere a proposito dei futuristi, e
malgrado l'etichetta che non mi garber mai, apprezzo versi di
ritmo immacolato, come ne cesella Cavacchioli, e apprezzo il
sarcasmo libero, severo, angoscioso di Lucini, e un po' anche
apprezzo le strabilianti e bolse creature di Marinetti.
Venendo infine allo scritto rimanente, non si pu attribuir-
lo con piena certezza ad Ungaretti, anche se appare improbabile
che egli non ne sia l'autore: si tratta del resoconto non firmato
- ma lo stile il suo - di una conferenza da lui tenuta il2 aprile
1910 per la Dante Alighieri,67 "Verso il Rifugio," titolo forse
derivato dalla Via del rifugio di Gozzano, cara a Pea. Il discorso,
anche se ricostruibile solo attraverso la traccia che ne d il
giornale, ha comunque un suo speciale rilievo perch documen-
ta l'ascendente che anche su Ungaretti dovette esercitare a quel
18
LUCIANO REBAY
tempo Nietzsche,68 la cui opera come sappiamo "aveva addirit-
tura soggiogato" Mohammed Sceab.
69
A giudicare dal denso
riassunto, stilato con una citazione da Cos parl Zaratustra in
epigrafe, la conferenza consisteva essenzialmente in una perso-
nalissima e pittoresca rassegna di certi grandi personaggi della
storia dell'umanit aventi in comune un "desiderio di sovruma-
no," l'aspirazione al supremo "Rifugio": Cristo, San France-
sco, Goethe, Schopenhauer, Leopardi, Wagner, e, appunto,
Nietzsche, dopo il quale il cerchio per il momento si chiude con
l'avvento di Pea. "Ma che importa morire: eterno il Ritorno ...
Il Ritorno, in una di sue multiformi manifestazioni, percosse la
fantasia d'ignoto fratello, ed Enrico Pea di Nietzsche rintraccia
lo spirito e l'esistenza in una fola, violenta, inconsapevolmen-
te." Ci si potrebbe forse aspettare che fra gli esponenti di tale
eterogenea brigata avesse un posto suo, accanto a Leopardi,
anche Mallarm: ma - ed significativo - il suo nome
assente.
* * *
Che dire, in conclusione, di questi scritti egiziani? Che
messi a confronto dei risultati di solo cinque o sei anni posterio-
ri appaiano nel complesso tutti "minori," considerazione
talmente ovvia da parere superflua, anche perch dovrebbe
trattarsi di un fatto largamente scontato: le prime prove di un
autore sono ben raramente annoverabili fra le sue "maggiori."
palese che assistiamo agli esordi di uno scrittore il quale non ha
ancora trovato un linguaggio suo proprio, bens in fase di
esperimenti e procede un po' a tentoni ricalcando pi o meno
consapevolmente vari modelli. Lo riconobbe d'altronde lui
stesso nel menzionato Ricordo di Pea, ammettendo implicita-
mente che a quel tempo "tentenn[ava] ancora su come espri-
mersi. "70 D'altra parte, ai fini di una ricostruzione oggettiva dei
suoi primi passi nella letteratura del Novecento, questi scritti
nel Messaggero di Alessandria mi paiono preziosi e di considere-
vole interesse. Si avverte oltre a tutto, leggendoli, che Ungaret-
ti possedeva fin dall'inizio, fortissima, la fede nella sua vocazio-
ne di scrittore, come reso manifesto, per esempio, dalla recen-
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
19
sione al romanzo di Marguerite Audoux. Ma se ne pu forse
inoltre cogliere un segno nel fatto stesso di aver adottato quello
pseudonimo: "giunga ... ," sempre seguito da tre puntini di
sospensione e sempre con la "g" minuscola. Non soltanto la
contrazione del suo nome e cognome, anche un congiuntivo
ottativo, e quasi un impegno con se stesso e con il mondo. Nella
prima novelletta, "Halil," terminata la storia del vecchio servo
nubiano dalle molte e giovani consorti, il narratore prende
confidenzialmente congedo dal lettore con queste parole:
Da quel tempo - calmo, ultimo periodo di mia adolescenza -
son passati non molti anni: e Halil vive, oggi, l'esistenza di pace e
di gaudio, nel bosco incantato fra le leggiadrissime mogli.
lo ... ho camminato: cammino ...
giunga . ..
Che Unga retti giunse, e cos lontano, muovendo dalla "sta-
gione" ancora acerba di quegli anni, fatto che non pu non
lasciare ammirati. Mi si consenta di terminare citando un
piccolo inedito post-egiziano che si trova nella sua corrispon-
denza con Papini. Il 12 luglio 1916, in una cartolina in fran-
chigia dalla "Zona di guerra," Ungaretti lo pregava di apportare
una modifica alla seconda strofa di una sua recentissima lirica,
"Silenzio," che gli aveva spedito pochi giorni prima.
7
) una
variante che non compare in alcuna versione a stampa e che non
stata mai registrata:
Come prima di nascere
come dopo la morte
ho vissuto il mio tempo africano
come sottoterra un seme.
Se l'opera la pianta, quale pianta usc da quel seme lo
sappiamo bene noi che oggi possiamo assaporare, a distanza di
decenni, i frutti maturi della sua segreta germinazione.
LUCIANO REBAY
Columbia University
20
LUCIANO REBA Y
'Cfr. Il Tevere, 29- 30 gennaio 1929. Questo e altri scritti di carattere
prevalentemente autobiografico o politico dovettero essere esclusi dalla raccol-
ta postuma degli scritti letterari e di varia cultura d'Ungaretti: Vita di un uomo.
Saggi e intertlenti, a cura di M. Diacono e L. Rebay (Milano: Mondadori, 1974),
d'ora in avanti indicata con la sigla SI.
!"Viaggio in Egitto. Per mare interno," La gazzetta del popolo, 9 luglio 1931.
Ristampando questo testo nel volume delle sue prose di viaggio Il deserto e dopo
(Milano: Mondadori, 1961), p. 13, Unga retti sostitu lo stilema "ridotti a un
giuoco di fumo" con "nel trattenuto dissolversi d'un giuoco."
3Ungaretti intraprese quell'ultimo viaggio fuori d'Italia per recarsi all'Uni-
versit dell'Oklahoma, ove il 14 marzo 1970 gli fu conferito il "Premio Interna-
zionale di Letteratura" assegnatogli da una giuria di scrittori e critici di vari
paesi.
4Cfr. G. Ungaretti, Vita d'un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni (Milano:
Mondadori, 1969), pp. 497-515, d'ora in avanti indicato con la sigla TLP.
'G. Ungaretti - J. Amrouche, Propos improviss, Texte mis au point par Ph.
]accottet (Paris: Gallimard, 1972). Le interviste con Amrouche furono registra-
te nel 1953.
hlbid., pp. 31, 40.
7Ungaretti, parlando, usava frequentemente questo aggettivo per indicare
cosa, persona o fatto, "interessante."
x Questo e il penultimo (30 agosto 1911), fra i pi brevi, sono gi stati
ripubblicati con ricco corredo di note da Giuseppe Palermo, che li rinvenne in
un fondo non schedato della Biblioteca Nazionale di Roma. Cfr. G. Palermo,
"Due articoli egiziani di Ungaretti e una poesia dispersa di Pea," Italianistica, II
(1973) - 3, pp. 557-68, e in particolare la Nota N. 12, p. 560. Riguardo lo
pseudonimo "giunga . .. ," va osservato che Ungaretti lo riesum molti anni pi
tardi (1923) iniziando le collaborazioni al quotidiano romano Il nuovo paese.
qCfr. Poeti d'oggi (1900-1920), Antologia compilata da G. Papini e P. Pancrazi
(Firenze: Vallecchi, 1920), pp. 528-34. Le quattro liriche sono: "Peso," "Sono
una creatura," "l fiumi" e "Nostalgia."
Itll n realt "Diplme d'tudes universitaires." Il documento originale,
ritrovato fra le carte del poeta, fu esposto nella mostra di "Ungarettiana"
allestita all'Universit di Urbino in occasione del menzionato Convegno inter-
nazionale dell'ottobre 1979: "Universit de Paris. Facult des Lettres.
Giuseppe Ungaretti [ ... l a subi avec succs les preuves de D/plome d'tude.r
llflil'ersitaire.r (composition et discussion d'un mmoire d' ordre philologique,
interrogation sur un des cours suivis la Facult, explicationen franais d'un
passage tir d'un ouvrage agr par un des membres de la Facult). Fait en
Sorbonne le 28 Mai 1914."
l'Ancora nel 19'53, al tempo delle interviste con Amrouche, Ungaretti
avallava implicitamente ci che si legge in Pocti d'oggi: "G. u.: [ ... l.Je suis arriv
Paris la fin de septembre [ " .l. J.A.: Ctait encore l'poque o 1'0n pouvait
voyager partout en Europe sans passeport, c'tait vers 1909? G. U.: Le passe-
port, c'est le moins important, [ ... ) lA.: l ... J Et maintenant, revenons au rcit
de votre long sjour Pari s, puisque de 1910 1914 vous y resterez peu prs
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
21
quatre annes qui ont t, je crois, trs importantes dans votre carrire." Cfr.
Propos improl'iss, op. cit., pp. 41-42, 44.
cui si accennato fu a sua volta probabilmente rinfocolata da
una punta di risentimento per la scarsa attenzione accordata al Porto sepolto. Fra i
critici pi qualificati ben pochi mostrarono infatti di accorgersene per tempo,
con 1'eccezione di Papini che ne parl entro qualche settimana sul Resto del
Carlino (4 febbraio 1917). Gli fecero seguito Gherardo Marone e la di lui amica
Fiorina Centi ("Paolo Argira") sulla Diana del marzo 1917 [Cfr. G. Ungaretti,
Lettere dal fronte a Gherardo Marone, a cura di A. Marone, introduzione di L.
Piccioni (Milano: Mondadori, 1978), pp. 66-67, 170]; e Giuseppe Prezzolini, ma
oltre un anno dopo, sul Popolo d'Italia (21 maggio 1918). Le altre recensioni si
fecero attendere parecchio, fino alla fine del 1919, cio dopo la pubblicazione di
Allegria di naufragi. Sta di fatto che a cominciare dal 1917-1918 si pu dire che
Ungaretti non tralasci occasione, nelle numerose lettere che indirizza agli amici
italiani da Marone a Papini a Carr a Soffici a Prezzo lini, per sottolineare tutto
ci che lo lega e attira alla Francia e alla tradizione di poesia e cultura di quel
paese. Nel 1917 a Gherardo Marone che gli ptopone di ripubblicare Il porto
sepolto presso Ricciardi risponde che la cosa gli per il momento "quasi indiffe-
rente (Cfr. la lettera, senza data, ma di quell' anno, in Lettere dal fronte, op. cit., p.
74). Quello che invece lo interessa, anzi lo fa esultare, come si apprende dalla
lettera datata 27-6-17, che Apollinaire gli ha scritto annunciandogli che
"tradurr in 'Nord-Sud' alcune cose del mio Porto." Commenta: " un alto
onore, e una raffinata commozione; questa prova di amore per me del pi
grande scri ttore di Francia" (p. 81). E quando 1'anno seguente viene a sapere che
il suo reggimento in procinto di essere trasferito oltr'alpe, non nasconde la sua
gioia al pensiero di poter ritornare nella sua "patria d'elezione," come scrive a
Prezzo lini: "Sono sul punto di ritornare nel paese dove ho vissuto diversi anni
[in realt solo due] [ ... ]. Sono contento. Dopo quattr'anni rivedr la mia patria
d'elezione e mi parr pi necessario il sacrifizio" [Cartolina datata 19 aprile
1918. Cfr. L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti (Roma: Edizioni di
Storia e Letteratura, 1962, p. 36]. Scrive anche a Papini (lettera inedita, senza
data ma dello stesso periodo): "Ora che manca poco per andare verso la patria
della mia educazione [ ... ] voglio andarmene con amore, come s'addice a un
figliolo di Villon, di Baudelaire, di Mallarm e anche tuo." Qualche tempo
dopo, su suolo francese, scrive a Soffici: "Dove sei? Sai dove sono io. Vicino alla
nostra citt' .... Son contento di avvicinarmi al pericolo su questa terra che rrti
per tanti versi creditrice. Forse presto andr alla citt" (Cartolina datata 8-5-
1918, inedita). L'anno seguente, 1919, in un'altra lettera inedita, non datata ma
anteriore al mese di giugno come si desume dal contesto, scrive a Papini per
annunciargli che "nella mia vita di poeta, oggi posso contare una delle pi grandi
consolazioni che potessi sperare." Andr Salmon, il poeta di Le calumet [e
Ungaretti gli dedicher il suo "Calumet" in segno di amicizia: Cfr. G. Ungaretti,
Allegria di naufragi (Firenze: Vallecchi, 1919), pp. 237-38, ora TLP, op. cit., p. 363],
lo ha avvicinato a un vernissage per esprimergli "la profonda commozione che
aveva provato alla lettura della mia poesia," evidentemente la raccolta intitolata
La gl,lerre, uscita a Parigi nel gennaio 1919. "Mi disse che avrebbe scritto una nota
nella N.R.F. che riapparir in giugno diretta da Rivire. Mi chiese se non avessi
nulla d'inedito per la N.R.F. Era commosso; era d'una sincerit commovente.
22 LUCIANO REBAY
Ho letto, mi disse anche, ad altri i vostri canti; sono d'un effetto immediato;
sorprendente, sorprendente. Conosco chi lavora da anni e anni per arrivare
dove siete arrivato; e ci siete arrivato con tanta semplicit." (Non risulta che poi
Salmon scrivesse il promesso trafiletto). Il 2 dicembre del medesimo anno,
lettera, inedita, a Soffici, per dichiarargli che i francesi hanno salutato il suo libro
(e sar, questo, Allegria di naufragi) "come uno dei pi rari della nostra generazio-
ne. Nous n'avions rien de semblable en France; c'est une nouvelle voie. In
Italia, le carogne, zitte." Ripete in sostanza le medesime osservazioni in lettere,
inedite, a Papini e Prezzolini, non datate ma sicuramente dello stesso periodo:
"Mio caro Papini, anche qui il mio libro ha suscitato entusiasmi. [ ... ] Littrature
(questi ultimi sono quelli che sanno meglio quel che vogliono) mi giudica
unanimamente come un poeta sorprendente. Non seulement c'est trs trs bien.
Mais aussi nous n'avions rien de semblable en France. Sono contento; ci tenevo
a sapere che anche in Francia portavo qualche cosa di nuovo." "Mio caro
Prezzolini, avrai avuto il mio libro uscito in Italia tra la disattenzione generale.
Non me ne lamento [ ... ]. Qui in 4, o 5, stanno per stampare che neanche in
Francia si sapeva una poesia come quella mia povera figliola [ ... l. Mi tocca,
come ogni adesione - e mi sono sempre ben guardato dal sollecitarne - pu
toccare un uomo, il quale, dopo tutto, non ha parlato che per trovare qualche
eco, spontanea, in qualche uomo." E si potrebbe continuare. Ma basti concludere
per ora osservando che se l'ambizione di Ungaretti di essere riconosciuto anche
come poeta "francese" fu particolarmente viva fra il 1918 e il 1919, quello era
altres il tempo in cui il suo venerato amico, Apollinaire, nelle cui vene scorreva
sangue italiano, terroristicamente proclamava dalle pagine del Mercure de France
che lo "spirito nuovo" destinato a dominare il mondo in poesia non aveva ormai
pi che una sola lingua - la francese - nella quale manifestarsi [Cfr. "L'esprit
nouveau et les potes", Mercure de France, (1 er Dcembre 1918), pp. 385-96]. Si
veda anche ci che Ungaretti ebbe a confidare a Glauco Cambon, che ne d
notizia in La poesia di Unga retti (Torino: Einaudi, 1976), p.16.
ULa lirica nuova "Nocturne," ora in TLP, op. cit., p. 332. Cfr. C. Maggi,
"Ungaretti tra Francia e Italia in La guerre," Studi di Pi%gia italiana, XXXII
(1974), pp. 339-57, e particolarmente p. 351.
14La si confronti con la smilza prima raccoltina di Breton, Mont de Pit,
anch'essa del '19, alla quale Ungaretti rende omaggio (la prima composizione di
PLM, "Perfections du noir," dedicata "Andr Breton pour le Mont de Pit") , e
si vedr come Ungaretti per il livello formale di quei suoi contributi si inserisca
con pieno diritto nei primi ranghi della giovane poesia francese del momento.
mi scrisse due lettere in risposta a una serie di quesiti concer-
nenti le tre poesie di "PLM 1914-1919" e in particolare la datazione di
"Roman Cinma." La prima, due fogli, senza data, del settembre 1957.
Comincia: "Certamente, caro amico, la data Il mars 1914 errore che mi
sfuggito dalla penna, o che mi sfuggito correggendo le bozze: si legga: Il mars
1919; e tutte quelle poesie, scritte a Parigi, sono della prima parte del1919." La
seconda lettera, questa volta datata Roma, Piazza Remuria 3, il 18-9-1957,
faceva seguito alla precedente nel timore, spiegava Ungaretti, che quella si fosse
perduta, e ripete le medesime rettifiche. La datazione "Il mars 1914" figura
ancora nella ristampa delle poesie francesi curata da Enrico Falqui: G. Ungaretti,
Derniers]ours.1919 (Milano: Garzanti, 1947), e ultimamente in TLP, op. cito (p.
362).
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
23
16Questa data errata e depistante ha tratto in inganno pi di uno studioso.
Cfr. A. Rossi, "Riconoscimento e rimescolamento nel torbido della Senna,"
L'approdo letterario, 57, XVIII, marzo 1972, pp. 86-113, e particolarmente p. 98;
P. Bigongiari, "La congiuntura Ungaretti-Breton-Reverdy," L'approdo letterario,
59-60, XVIII, dicembre 1972, pp. 31-43, e parto p. 32; C. Maggi, "Roman
Cinma: Ungaretti 1914," Paragone, N. 276, febbraio 1973, pp. 70-87, e parto pp.
70 e 85; C. Maggi, "Ungaretti tra Francia e Italia in La guerre," cit., p. 339; C.
Maggi, "Giuseppe Ungarettiin Derniers]ours," Paragone, N. 312, febbraio 1976,
pp. 80-112, e parto p. 80.
l7Cfr. L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., p. 36.
18Si veda quello che disse a proposito di Gozzano nel corso di
un'intervista radiofonica del 18 giugno 1961, citata in G. Ungaretti, Poesie
(ColloquiPer un ritratto), a cura di E. F. Accrocca (Milano: N uova Accademia, 1964),
p. 30: "Devo dire di aver letto Gozzano quando ero ancora in Egitto e di averlo
letto perch lo aveva Pea. Pea, tornando dall'Italia, era tornato con i Colloqui."
Secondo invece la testimonianza di Ernesto Travi [Cfr. Umanit di Enrico Pea
(Milano: Editrice Vita e Pensiero, 1965), pp. 13-14], che dichiara di valersi di
informazioni fornitegli per lettera da Ungaretti, Pea aveva portato dall'Italia La
via del rifugio, particolare non irrilevante in vista del fatto che Ungaretti, come si
vedr, diede lo stesso titolo a una conferenza da lui tenuta in Alessandria il 2
aprile 1910.
19 Anche a Ceccardi Ungaretti dovette essere introdotto col tramite di Pea,
che lo aveva conosciuto in Italia (Cfr. E. Travi, ibitl., p. 13). In una cartolina,
inedita, indirizzata da Parigi a Prezzolini (timbro di partenza illeggibile; timbro
d'arrivo "Firenze 5-3-14"), si legge fra l'altro: "Diserto un po' l'''aere'' come
dice [ ... ] Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, il quale mantrugiando anfanata-
mente i suoi booolsi carmi un chicco di poesia ce l'infila spesso."
2De Robertis cit la lettera quale fonte delle notizie biografiche su Un-
garetti da lui riportate nel suo saggio "Il cammino di Ungaretti" (Trivium, VI, 3,
1948, pp. 169-178). Cfr. lanotaap. 171: "Queste notizie sono tutte fedelmente
tolte da una lettera di Ungaretti all'autore, del21 dicembre 1947." Nella prima
pagina del saggio si legge fra l'altro: "L'essere nato in Egitto ed avervi trascorso
ininterrottamente circa diciotto anni [mia sottolineatura] ebbe naturalmente una
certa influenza sulla sua poesia." Ma la tendenza di Ungaretti a distanziare il pi
possibile la sua stagione egiziana, a farla cio apparire quale esperienza remota e
estremamente giovanile, e al medesimo tempo a far coincidere "miticamente"
sia i suoi inizi di scrittore e l'amicizia con Pea, sia la data della sua partenza per
Parigi, con il suo diciottesimo anno d'et, quella tendenza affiora prestissimo,
come attesta una lettera del 29 giugno 1916 a Gherardo Marone: "Caro Marone,
[ ... ] Non ho nulla di pubblicato; qualche poesiola su "Lacerba," una sulla
"Voce," una sulla "Diana"; qualche noterella di critica di dieci anni fa [mia
sottolineatura: ovverossia, 1906, quando lo scrivente aveva per l'appunto 18
anni] su un quotidiano di Alessandria d'Egitto e due o tre prosette liriche: come
v'accorgerete roba minuscola, nulla; ma l'animo forse non era e non vile" (Cfr.
G. Ungaretti, Lettere dal fronte, op. cit., p. 45). Cfr. inoltre G. Ungaretti - J.
Amrouche, Propos improviss, op. cit., p. 34: "J.A.: [ ... ] c'est vers votre dix-
huitime anne que vous allez quitter l'Egypte pour l'Italie. G.U.: Oui"; e G.
24
LUCIANO REBA Y
Ungaretti, Poesie (ColtoquiPer un ritratto), op. cit., p. 12: "Sono stato in Egitto, nella
stessa casa per diciotto anni, poi sono andato a Parigi." Quanto alla data
dell'incontro con Pea, per non dare che un esempio, cfr. "Ricordo di Pea" (1959,
ora in SI, op. cit., pp. 681-84) in cui U ngaretti rievoc il nascere del loro sodalizio,
precisando: "Avr avuto allora diciotto anni" (p. 682). In realt ne aveva, come
vedremo, almeno tre di pi.
21Cfr. Propos improviss, op. cit." pp. 49-50.
nCfr. "Ricordo di Pea." SI, op. cit., p. 681; e L. Piccioni, Vita di un poeta.
Giuseppe Unga retti (Milano: Rizzoli, 1970), p. 29.
23Cfr. "Del pudore," Il Tevere, cit.. L'aneddoto del frate cappuccino fu
ripetuto da Ungaretti in vari scritti successivi.
24Cfr.la"Notaintroduttiva' in TLP,op.-t.,p. 507: "Devo riconoscerlo, c'
uno stimolo eruttivo, non so quali ingiunzioni alla rivolta, all' anarchia sempre,
in me. Ne ebbi coscienza e spavento, pure aderendovi, verso i miei diciott'anni."
25Cfr. G. Ungaretti, Lorenzo Viani, Catalogo della mostra tenutasi a Viareg-
gio alla GalleriaLaNuovaNavicella, 21 giugno - 5 luglio 1970, pp. 5-7: "Pea ed
io avevamo allestito [una mostra di Viani] nella sede del 'Messaggero egiziano,'
un quotidiano che vedeva la luce ad Alessandria d'Egitto e dirigeva Enrico di
Pompeo, una persona colta che non scoraggiava nessuna audacia." Devo la
citazione a G. Palermo, art. cito (Cfr. la nota N. 8 della presente relazione), p. 558.
26Ungaretti scriveva "giovine," con l'''i,'' ancora nel 1918. Cfr. la lettera
testamento indirizzata a Prezzolini dal fronte francese il 10-7-1918 (L. Rebay, Le
origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., p. 205); e "Primavera," una delle
"Poesie ritrovate," dello stesso anno 00 del successivo (TLP, op. cit., p. 400).
27Il tono sentenzioso e moraleggiante dell'articolo, e fors'anche la stessa
dedica alla "Mamma," dovettero sembrare eccessivi ad Enrico Pea, che non esit
ad esprimere le sue riserve. Da un breve carteggio di Ungaretti con Pea
recentemente rintracciato da Leone Piccioni, che me ne ha cortesemente
trasmesso copia, risulta che al tempo della pubblicazione di questo scritto sul
Messaggero, Ungaretti risiedeva al Cairo, dove era impiegato presso un certo
Giuseppe Minafra. Il carteggio copre poco meno di due mesi, dal 30 novembre
1909 al gennaio successivo. Dall'ultima lettera, non datata ma palesemente
posteriore alla pubblicazione del "Caso Pardo" il 16 gennaio 1910, si deduce
facilmente che l'articolo non aveva incontrato l'approvazione di Pea. La lettera
stesa a penna su carta intestata "Giuseppe Minafra, GeneraI Contractor, Cairo,
P.O. Box No. 317." Ne trascrivo i primi due paragrafi:
Mio carissimo,
Grazie. La tua franca opinione mi va. "Il caso Pardo" m' nato COSI, varie
ragioni m'hanno indotto a colorirlo COSI. E sar riuscito a dar vita ad un aborto.
Perdonami! Ho ancor le titubanze del novellino -
Ma difendo quella mia creatura sgraziata. So, so .... ad un uomo che prenda,
non eroicammtl', come Corrado Brando - indulga Dio al confronto - per trar gioie
di sensi e d'intelletto; ma che prenda per avvilirsi scioccamente, che avresti detto,
t u ~ lo, che conosco quei giovini, che ho seguito il loro lento imputridire morale, ho
scritto, ho dedicato, ho firmato, ho inviato, d'un fiato. non rileggendo, per antico
sdegno.
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
E pi sotto:
Continua tu, mio carissimo, a criticarmi spietatamente: rivela i miei difetti,
fammeli risaltare; sii il mio maestro esperto - E grazie anticipate -
25
28 Anche questo scritto spiacque a Pea, per ragioni deducibili dal terzo
paragrafo della lettera di Ungaretti citata nella nota precedente, nel quale si
legge:
C' poi l'altra colpa: il sette: comprendo il tuo risentimento ... Fui ladro, con
ottime intenzioni! In verit io ho detto sette a preferenza di otto, venti, cento, non
per il significato fatale che ha nelle tue cose, ma perch quel numero mi tormentava,
irresistibilmente. Concedimi, almeno, le attenuanti -
La novelletta "Fifina a Titina" tutta in chiave ironico-satirica, come S1 e
accennato. L'intenzione burlesca traspare fin dal nome dei protagonisti. In una
lettera angosciata Fifina spiega all'amica Titina che il marito, l'adorato Rodo-
monte, travolto dalla passione politica e persa la fede religiosa, diventato, da
affettuoso e sollecito che era, "screanzato, burbero, insolente: [ ... ] muto,
arcigno, vile." Per giunta, la bastona. Disperata, Fifina si rivolge a uno stregone
che le prescrive, fra l'altro, di tracciare" sette volte, in sette file, sette figure
circolari" e di ripetere certe formule magiche "sette volte ... bevendo sette sorsi
... per sette settimane." Per intendere il "risentimento" di Pea bisogna tener
presente che nelle Fole il "sette" numero magico e, come appunto osservava
Ungaretti, "fatale" per eccellenza. Ungaretti conosceva benissimo quei testi,
che dovevano uscire entro l'anno presso le Industrie Grafiche di Pescara e che
lui stesso aveva messo in bella copia aggiustando l'ortografia e la punteggiatura
(Cfr. "Ricordo di Pea," SI, op. cit., p. 682). Uno di essi, il dodicesimo nell'edi-
zione pescarese, l'aveva appena fatto pubblicare sul Messaggero con il titolo
"Felicit eterna" (24 dicembre 1909). Pea evidentemente non vide di buon
occhio che Ungaretti si appropriasse il "sette," degradandolo per di pi in
burletta, e dovette dichiararglielo senza sottintesi.
29La dedica dice: HA Amelia e Costantino Ungaretti, fraternamente."
L'omaggio affettuoso al fratello e alla cognata precede cosi di giustO una
settimana la dedica, piena di rispettosa devozione per la madre, dell' articolo sul
"Caso Pardo." Costantino e Amelia Vittoria Griffin, detta Amy, suddita britan-
nica ma nata ad Alessandria, si erano sposati da poco, precisamente il2 dicembre
1909, come risulta da documenti conservati negli archivi del Consolato italiano.
30Sulla base di questa e altre indicazioni (il narratore precisa inoltre che
aveva" appena smesso i pantaloncini corti, da bimbo, per i pantaloni lunghi, ila
uomo"), si pu inferire che U ngaretti, posto di fronte alla necessit di con tribui-
re finanziariamente al bilancio familiare, fu costretto a cercarsi un impiego
molto presto, verosimilmente non appena finiti gli studi liceali.
31"Bizzarrie" l'occhiello che nel giornale precede il titolo sia di questa
prosa che della successiva, "Fifina a Titina." Sulla scelta di questo particolare
lessema fornisce di nuovo interessanti chiarificazioni la lettera a Pea sopra citata
(Note 27 e 28). Dopo aver pregato l'amico di concedergli "almeno le attenuan-
ti" per il furto del "sette," Ungaretti prosegue:
Ti dir, a rendere chiare le cose, il quadro che vorrebbero segnare quelle mie
bizzarrie. Ho una visione di ansiosi, e forman vari gruppi. Ogni gruppo formato di
tre bizzarrie, e dipinge un'ansiet. Ogni bizzarria anima un atteggiamento dell'an-
siet.
26
LUClAL'lO REBAY
Se avr forza. il lavoro complessivo avr un significato ... ma la mia debolezza, avr
forza? .....
n progettato "quadro" fu presumibilmente abbandonato.
32Urso il nome di numerose famiglie italiane emigrate in Egitto, come
appare dagli archivi del Consolato d'Alessandria. Purtroppo per nessun docu-
mento consente di identificare positivamente l'autore di Un'anima. Il giorno
doo la recensione ungarettiana il Messaggero stampava un trafiletto del suo
corrispondente milanese, Michele Malerba, nel quale si annunciava fra l'altro
che "la Casa del De-Moohr [sic] ha pubblicato un romanzo di Mario Urso,
Un'anima, del quale vi parler un'altra volta ed a lungo." (Ma un asterisco
rimandava alla seguente "N. d. R.": "Ne abbiamo pubblicato ieri appena la
recensione di un nostro nuovo collaboratore"). La "Casa del De-Moohr" non
pu essere che la "Arnaldo de Mohr e c." di Milano, la qllale erano uscite
nel 1905 le Elegie romane di D'Annunzio. Il giornale della libreria, nell' elenco settima-
nale delle "Recentissime pubblicazioni," non d per notizia di Un'anima nel
corso dell'annata 1909, o in quella 1910, tanto da far sorgere il sospetto che il
libro non venne mai distribuito commercialmente. Non l'ho trovato infatti in
nessuna n in Egitto nakrove. Sia aHaNazionale di Firenze che a
quella di Roma invece reperibile il romanzo precedente dell'Urso, Per il diritto
d'amarel (Catania: Cav. Niccol Giannotta Editore, 1908), cui Ungaretti fa
allusione pur non precisando se ne avesse o no conoscenza diretta: "Questo
secondo libro [Le. Un'anima], ch' il secondo capitolo d'una vasta concezione, ci
presenta gl'impiegati di commercio." Tale "vasta concezione" doveva com-
prendere almeno tre volumi, come indicato sul retro della copertina di Per il
diritto d'amarel, primo della trilogia. Il secondo, "in preparazione," sarebbe stato
intitolato Giorgio Precorre (cio con il nome del protagonista: divenne invece poi
Un'anima); il terzo, La citt del fango, non risulta sia stato mai stampato. Se
fosse ammissibile azzardare un giudizio di Un'anima esclusivamente sulla base del
valore letterario di Per il diritto d'amarel - rozzo racconto "verista" d'appendice
- sarebbe giocoforza concludere che doveva trattarsi di un romanzo ben
mediocre. "Conclusione" d'altronde rafforzata dalla recensione ungarettiana,
nella quale accenni cortesi al "fascino di stralci ottimamente pensati e ottima-
mente scritti" e alla "costanza di volont e energia" dell'autore, si accompagna-
no ad esplicite riserve riguardo, per esempio, la mancanza di "serenit [artistica]
in pagine inutili che ripetono annoiando dettagli inutili." Ma se Ungaretti,
recensendo quel libro, pot seriamente pensare - ed lecito dubitarne - che
tutto sommato l'Urso possedesse doti sufficienti per produrre in futuro "il
lavoro che da lui attendiamo," sembr cambiare parere meno di due settimane
pi tardi dopo aver letto sul Messaggero del 9 dicembre un'altra sua prosa,
intitolata "Ricordi e impressioni di viaggio," goffa e ampollosa narrazione in
seconda persona plurale di una romantica crociera fra Napoli e Vico Equense. La
reazione di Unga retti vivacemente espressa in una lettera a Pea datata 11-12-
09, essa pure facente parte / del carteggio cairino sopra menzionato: "Hai
digerito il purgante [prima aveva scritto, poi cancellato: "Hai letto lo scirop-
po"] di M. Urso? Ma quell'uomo ha proprio la faccia tosta di affliggere l'umanit
- in tutti i modi -." Una notazione nel margine a sinistra, manifestamente
aggiunta in un secondo tempo, "Nel Messaggero?," non lascia dubbi, a mio
avviso, sul fatto che Unga retti intendesse precisare che si riferiva espressamente
all'articolo di due giorni prima.
UNGARETli: GU SCRITI1 EGIZIANI 1909-1912
27
33Cfr. Propos improviss, op. cit., pp. 26-27; e "Intervista diJeanAmrouche con
Giuseppe Ungaretti" in L'approJo letterario, 57, XVIII, marzo 1972, p. 141, dove il
nome scritto "Coller" e viene precisato che era svizzero.
34"Le Martyre de Saint Sbastien," 7 giugno 1911.
35 Cfr. la nota N. 32.
36"Trecentotr pagine assai rigonfie", secondo le parole stesse del recenso-
re. Il nome dell'editore informazione fornita da Pea, il quale raccont che
Thuile, finito il romanzo, lo aveva portato "a stampare a Parigi, all'editore
Grasset" [Cfr. E. Pea, Vita in Egitto (Milano: Mondadori, 1949), p. 39]. Come
UiI'anima di Mario Urso, anche questo romanzo diJean-Leon Thuile introvabile.
TI nome stesso dell'autore non figura in alcun dizionario enciclopedico, storia
della narrativa francese del Novecento, o biblioteca che io abbia potuto consul-
tare. Si veda la poco complimentosa descrizione che di lui e del suo romanzo,
affettando di ricordarne solo la copertina, diede Pea: "Non che [ ... ] avesse
tutta l'anima prava filistea dei borghesi, ma alcuni caratteri dei borghesi li aveva:
la spregiudicatezza razionalistica, il sovvertivismo intellettuale, la morale del
libero pensato re falsamente rivoluzionaria, conservatrice ed atea [ ... ] s che nel
mondo non c'era per chi pensava cos, nessun bene che il bene per s: il comfort
dei borghesi. Il romanzo che aveva finito di scrivere [ ... ] non so se avesse
questa od altra morale. Ma la copertina era tinta di turbati colori: figurazione
paurosa e raccapricciante: un gatto inferocito dalla fame che divorava il volto di
un cadavere. E non soltanto il soggetto era orrido, ma i colori mostruosi: zolfo e
sangue aggrumato. La copertina del Trio dei dannati l'ho sempre avuta negli occhi
ogni volta che si suicidato un amico." (Ibitl., pp. 38-40). Nella sua recensione
Ungaretti defin il romanzo "un'autobiografia a tetri sfondi simbolici," osser-
vando che "nel titolo diabolico si condensa [ ... ] l'affastellio dei pensieri diversi
che).-L. Thuile raccolse a soddisfare il suo bisogno eccessivo di espressione, e si
condensa una sequela d'atti feroci che intontiscono, affogati."
37Anche a proposito di tale rapporto andr ridimensionato l'assetto crono-
logico fissato nelle memorie ungarettiane: "A un certain moment de ma vie,
vers seize, dix-sept ans, peut-tre plus tard, j'ai rencontr deux jeunes ing-
nieurs franais, les frres Thuile, )ean et Renri Thuile."Cos nel 195 3 nel corso
delle interviste con Amrouche (Cfr. Propos improviss, op. cit., p. 19); e cos di
nuovo circa quindici anni dopo trasferendo pressoch letteralmente in italiano
quel brano in una lunga nota al Porto Sepolto (Cfr. TLP, op. cit., p. 519). In realt il
primo incontro con i due fratelli non dovette avvenire prima del 1908-1909,
quando Ungaretti aveva 20-21 anni; fatto, questo, che sembrerebbe corrobora-
to dallo stesso )ean-Lon nella sua testimonianza per i settant'anni di Ungaretti
[Cfr. G. Ungaretti, Il taccuino del vecchio (Milano: Mondadori, 1960), pp. 128-132].
)ean-Lon aveva circa tre anni meno di Ungaretti, stando a un'indicazione da
questi fornita nel testo della sua recensione ("Le Trio des Damns: un libro che un
giovane, di soli vent'anni, ha composto": era dunque nato intorno al 1891); il
che significa fra l'altro che quando si conobbero difficilmente)ean-Lon poteva
gi essere "ingnieur."
.18Cfr. anche la precedente nota N. 32.
39Cfr. per esempio Lettere dal fronte ti Gherardo Marone, op. cit.: "la prosa
[francese] pi spasimante, con grandi sfoghi di Eschilo rinato, e grandi morsi
rabelaisiani, la compone il nostro Thuile (p. 73); "Thuile davvero il pi grande
prosatore francese di oggi" (p. 78; entrambe le lettere sono senza data, ma
LUCIANO REBAY
1917); e "Viaggio in Egitto. Chiaro di luna," La Gazzetta del popolo, 14 agosto
1931: "[Jean-Lon Thuile ha pubblicato] due romanzi, l'Eudmonte e il Trio des
Damns che oggi metterei tra i dodici pi belli degli ultimi quaran t'anni." Il passo
ripreso in Il deserto e dopo, op. cit., p. 72, omettendo "dodici": "che oggi metterei
tra i pi belli," ecc.
40" Marie-Claire di Marguerite Audoux," 2 febbraio 1911. Pubblicato l'anno
prima a Parigi presso l'editore Fasquelle con prefazione di Octave Mirbeau, il
libro dell'ignota sarta francese aveva riportato un unanime successo di critica ed
era subito diventato popolarissimo.
41"Elogio di Revolverate," 24 aprile 1910. Il caloroso, incondizionato con-
senso di Ungaretti risulta ancora pi notevole se si considera che faceva seguito
all'intervento di un altro collaboratore del Messaggero, G. Mundula, il quale in un
elzeviro del 19 marzo, "Versi liberi," aveva trattato il libro da un punto di vista
"etico," avanzando forti obiezioni: "[Lucini ] un ingegno dal quale la mia
anima [ ... ] ripugna [ ... ]. E per soltanto una preoccupazione etica quella
che mi muove. Preoccupazione etica la quale origina da ci che la letteratura
italiana odierna brulica ormai di esteti del patologico."
42Revolverate fu pubblicato dalle Edizioni di Poesia sul finire del 1909 (Il
giornale della libreria lo annuncia nel numero del12 dicembre), preceduto da una
"Prefazione futurista" di Marinetti. Ovviamente Ungaretti non era al corrente
dei movimentati retroscena di tale prefazione - il fatto per esempio che Marinetti
l'aveva sostituita alla prefazione, o "Diffida," di Lucini, non ritenendola suf-
ficientemente "rispettosa" [Cfr. G. P. Lucini, Revolverate e Nuove Revolverate, a
cura di E. Sanguineti (Torino: Einaudi, 1975), pp vii, 361-63].
43Cfr. per esempio poesie come "Le suppliche" (Lacerba, 13 marzo 1915) e
"Sbadiglio" (Ibid., 8 maggio 1915).
44Cfr. SI, op. cit., p. 287.
45 difficile stabilire con sicurezza se quando recens Revolverate Ungaretti
conoscesse gi Il verso libero, uscito nel 1908 sempre per le Edizioni di Poesia.
forse pi probabile che lo lesse solo dopo. Vi una sua lettera a Prezzolini, senza
data ma stilata su carta di tipo e formato identici a un'altra lettera allo stesso
datata Alessandria d'Egitto 30 novembre 1911, in cui dice: "Mi farebbe anche
gran piacere procurando mi, magari usato, il 'Verso libero' di Lucini" (Cfr. L.
Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., p. 37). Per l'influsso che il
luciniano Verso libero pot avere su Ungaretti, cfr. C. assola, Giuseppe Unga retti
(Milano: Mursia, 1975), pp. 178-80.
46Cfr. Propos Improvs, op cit., pp. 11-12, 14-16.
47Cfr. TLP, op. cit., pp. 498-502. Il passo riportato a p. 499.
48Ibtd, p. 518.
49Cfr. "Intervista di Jean Amrouche con Giuseppe Ungaretti," L'approdo
letterario, cit., p. 138.
50Cfr. L. Piccioni, Vita di un poeta, op. cit., p. 33. "L'antica nenia dell' anima"
inoltre probabilmente ancora presente in liriche posteriori a "Diluvio," nelle
quali ritorna il motivo di occhi che non vedono, del lago, dei ciechi. Si veda per
esempio "Fase d'oriente," sia nella versione pi antica ("Si chiudono gli occhi/-
per guardare nuotare in un lago/le dolcezze del tempo svanito": TLP, op. cit., p.
610), che nella definitiva ("Chiudiamo gli occhi/per vedere nuotare in un
lago/infinite promesse": TLP, p. 27.); e anche "Nostalgia," poi con mutato
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
29
titolo, "Lontano": "Lontano lontano/come un cieco/m'hanno portato per
mano" (TLP, pp. 68 e 639). Diversa invece l'origine dell'oscena "nenia noiosa
delizia" che costituisce la parte conclusiva della prima lirica ungarettiana stam.l
pata in Italia, "Il paesaggio d'Alessandria d'Egitto" (Lacerba, 7 febbraio 1915).
Ungaretti stesso spiegava a Papini, in una lettera di poco precedente la pubbli-
cazione del componimento sulla rivista fiorentina, che si trattava della "tradu-
zione, autentica, d'un brano d'un solito invito dei miei arabi d'Egitto (taalili, ia
batta. Uananiali, hi, ecc.)" (Cfr. L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe
Ungaretti, op. cit., p. 40).
51Titlo forse luciniano perch Lucini aveva pubblicato l'anno prima nella
Ragione di Roma (7 e 8 novembre 1909) ben due articoli intitolati "Poeti
giovani" [Cfr. C. P. Lucini, Prose e canzoni amare, a cura di 1. Ghidetti (Firenze:
Vallecchi, 1971), p. 536].
52Trascrivo alcuni stralci di ciascuna presentazione: "Enrico Cavacchioli
ironista a fior di pelle: [ ... ] preoccupato d'esteriorit, specialmente sonoro e
colorito: ci siamo divertiti un mondo a seguire la processione delle Ranocchie in
piviale turchino." "Lucini invece il cantore leale: produce con vigore l'opera
robusta che abbia rispondenza intera alla commozione semplice delle cose." "In
raffronto ai Futuristi citati, Guido Gozzano fa effetto di fanciullo malizioso e
ritroso." "Mario Simonatti, autore dei 'Canti di Narciso' che nomino a dar prova
degli imitatori, assai s'avvicina a Gozzano, senza riuscir tuttavia a pretenderne la
disciplina ardua di cantilena, la compostezza nobile d'espressione." "Un fiero e
isolato, di volutt severamente classica a cui infonde la scintilla conchiusiva, in
largo respiro: Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: [ ... ] A [lui] noto il verso
imperioso che nudrito di limpidit antica suona come il canto degli antichi
maestri: tuono che gronda!" Dei cinque, quattro soltanto sono dunque citati
come esempi di artisti aventi una loro originalit e marcata forza espressiva: il
rimanente, Simonatti, menzionato come fra parentesi per "dar prova degli
imitatori." Di questo giustamente oggi dimenticato versificatore, autore di
sonetti stecchettiani e di canzoni carducciane, non mi stato possibile rintrac-
ciare i "Canti di Narciso" di cui parla Ungaretti, forse perch usciti solo in rivista
e mai schedati. Nel Chi ? Dizionario degli Italiani d'oggi, edizione 1928, Mario
Simonatti descritto come "pubblicista, n. a Firenze il 28-IV-1888" e residente
a Parigi. Fra le sue opere anteriori allo scritto d'Ungaretti in cui vien fatto il suo
nome sono reperibili treplaquettes dai titoli eloquentemente indicativi: In morte
di Giosu Carducci. Canzone (Bologna: Edizione della Rivista Letteraria "Rina-
scimento," 1907; La morte. Arcane fantasie (Bologna: Libreria Internazionale
Fratelli Treves di Luigi Beltrami, 1907) [25 componimenti in versi]; L'ode alla
Regina di G. Carducci. Studio storico-estetico seguito da un saggio di biibliografia carduc-
ciana (Bologna: Zanichelli, 1908).
53Cfr. "Viaggio in Egitto. Chiaro di luna," loc. cit.; poi 'in Il deserto e dopo, op.
cit., p. 66.
"Cfr. TLP, op. cit., p. 324.
"Cfr. la nota N. 28.
5
h
Cfr. "Ricordo di Pea," SI, op. cit., p. 681.
>7Cfc L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Unga retti, op. cit., pp. 45-46.
;X A proposito del suo interesse per Poe, cfr. Propos improviss, op. cit., p. 40:
"Au Mes.raggero et l'Unione, j'avais donn des critiques littraires, j'avais donn
des proses lyriques, et quelques traductions des Histoires extraordinaires de Poe.
LUCIANO REBA Y
Un diteur italien qui avait lu une de ces traductions m'avait demand de
traduire toute l'oeuvre. C'est un projet que fai caress quelque temps et qui n'a
pas t men chef."
~ 9 C f r . "Ricordo di Pea," SI, loc. cito
6Cfr. la nota N. 28.
61 In una cartolina del carteggio cairino, senza data ma ovviamente di poco
anteriore al 24 dicembre, Ungaretti informa Pea di aver spedito il suo scritto al
direttore del Messaggero: "Carissimo, Ho inviato solo stamani a di Pompeo la tua
novella perch era lunghetta, e a ricopiarla non ho potuto dedicarvi che squarci
di tempo, di tanto in tanto: ho avuto tanto da fare in questi giorni - Il tuo
concetto un po' quello svolto dal Carducci in "Davanti San Guido" ma hai
fatto ottimamente. Bravo!"
62 A quei sonetti U ngaretti fa riferimento anche nel carteggio dal Cairo, in
una cartolina datata 20-12-09: "Lavora, lavora, lavora. Ti consegner i Sonetti
annotati quando verrai in Cairo." Da una lettera precedente, la gi menzionata
dell'11-12-09 (cfr. la nota N. 32), possibile ricostruire un divertente particolare
a proposito della copertina. Sembra che Pea e Nomellini non fossero sicuri se si
dovesse scrivere "Sonetti del Harem," o "dell'Harem" con la doppia "1," e
bench propendessero per la seconda forma avevano deciso di rivolgersi per
consiglio ad Ungaretti. Questi rispose amabilmente redarguendoli e con una
dotta lezioncina di ortografia italiana: "Mio ottimo, Bravo, bravissimo: fai il
grammatico. Oh! posa, posa, l'inonorato libro .... Sbagli te, e sbaglia Nomelli-
ni: non ci vuoI la doppia 1, perch l'h .... aspiratissima - Per tua norma, e
come regola infallibile, ritieni che si raddoppia sempre 1 (non ti dico l'articolo
per non creare confusioni nel tuo cervello digiuno di queste porcherie) dinnanzi
a vocale - e cio dinnanzi ad o, e, t; o, u; ed anche, naturalmente, dinnanzi ad h
muta, l'h cio che non ha suono e ch' rimasta nell'ortografia, come una
reminiscenza etimologica, a ricordarci che in latino avere si scriveva habere, e
via discorrendo ... "
63Nella sua testimonianza "Ungaretti in Egitto" per il numero speciale della
Fiera letteraria del 1 novembre 1953, Pea raccont fra l'altro che Ungaretti lo
aveva "svergina[to] sul giornale" pubblicando senza che lui lo sapesse una sua
poesia, e adirandosi poi perch era uscita con un errore tipografico. Non vi sono
refusi nel sonetto da me ritrovato, e si deve pertanto supporre che la poesia cui
alludeva Pea nel 1953 fosse un'altra, forse data da Ungaretti all'Unione della
democrazia, anzich al Messaggero. Segnalo comunque per chiarezza che fra le
pagine del quotidiano d'Alessandria mi sono imbattuto in quattro testi peani: i
menzionati "Felicit eterna" e "Hadiga"; "La giovinezza di un vegliar do" (29
maggio 1910), elzeviro firmato in cui viene trascritta e commentata con ammi-
razione una "lettera di adesione al Futurismo" di Luigi Capuana; e infine un'ode,
"Per Rodolfo Garros" (15 settembre 1911), per la quale rimando al citato
contributo di Giuseppe Palermo (Cfr. la nota N. 8).
6
4
Cfr. "Ricordo di Pea," op. cit., p. 682.
6'Trascrivo per chiarezza l'intero brano in questione: "lo - che di [Pea]
seguo, ammirando, l'ancor segreta opera primitiva e raffinata - son lieto
d'annunziare ai lettori che una sua raccolta di Sonetti, nostalgici come l'anima
del popolo arabo, vedr prossimamente la luce, in degna edizione della Societ
UNGARETTI: GLI SCRITTI EGIZIANI 1909-1912
Editrice Abruzzese. Plinio Nomellini, - il vigoroso pittore del pensiero - ne ha
disegnato di cuore, la copertina. [ ... ] Mi perdoni 1'amico, la rivelazione del suo
inutile mistero: quando si ha voce d'arte, suoni alto, per tutti, la voce ... "
66Anche a questo proposito cfr. G. Palermo, art. cit., p. 558, nota N. 5.
67Forse, ma non necessariamente, pu essere di mano altrui illaudativo
paragrafetto di chiusura: "E con una visione augurale [ ... ] si conchiude la
breve, ma succosa conferenza di Ungaretti." Il resoconto, intitolato "La confe-
renza Ungaretti," fu pubblicato nel numero del 4-5 aprile 1910, in prima pagina.
Che la conferenza stessa fosse intitolata "Verso il rifugio" lo si apprende da un
corto trafiletto pubblicato il 2 aprile: "Dante Alighieri. Sotto gli auspici della
nostra Dante stasera alle 9),i il signor Ungaretti terr nella sala dell'Universit
popolare una conferenza dal titolo: Verso il rifugio."
68 All' inizio dell' anno, e precisamente il 20 gennaio sulla Voce, Papini aveva
recensito il libro di Daniel Halvy, La vie de F. Nietzsche (Paris: Calman-Lvy,
1909), esprimendo la sua alta ammirazione per il pensatore tedesco. Ungaretti
conosceva certamente lo scritto papiniano, e credo lo ebbe presente preparando
la conferenza. Vi si incontra per esempio un'osservazione -"E Nietzsche,
Anticristo, ultimo discepolo di Cristo, muore martire come il Predecessore
Nemico, e dieci anni dura l'agonia" - che forse riecheggia quest'altra, di
Papini: "Nietzsche si compiacque di esser l'Anticristo e in quanto Anticristo fu,
per forza, anche un po' Cristo."
69Cfr. TLP, op. eit., p. 507.
70Cfr. SI,loe. cit., p. 681. Si visto anche che scrivendo a Pea nel 1910 dal
Cairo non nascondeva di avere ancora "le titubanze del novellino" (cfr. la nota
N.27).
71 La versione definitiva ora in TLP, op. cit., p. 5 ~
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL
DECAMERON
Che la fabula sia pi fondamentale del personaggio o del
carattere, la posizione aristotelica e (diciamo) classica. Aristo-
tele tracciava il modello di ogni azione mitica, non importa se in
forma drammatica o narrativa. L'eroe aristotelico - cos come
definito nella Poetica - sempre quale deve essere; non ha
alternative davanti a s; il corso oggettivo degli eventi (la
fabula) che ne determina la felicit o l'infelicit. Per Henry
]ames, al contrario, il fuoco centrale dell' opera il personaggio;
la fabula non nient'altro che il contesto nel quale il perso-
naggio messo alla prova; il luogo della sua manifestazione. In
The Art 01 Fiction, ]ames sembra prendere atto, a processo com-
piuto, di una trasformazione moderna della narrazione. Nel
caratterizzare e negativo lo statuto formale del Decameron, Tzve-
tan Todorov si richiama appunto a ]ames.
1
Todorov assegna
interamente il Decameron alla linea classica della narrativa apsico-
logica e di azione. Nella sua narratologia l'eroe della novella del
Boccaccio pu essere solo denominato. L'eroe (l'agente) un
nome proprio; e gi la sua descrizione - cio il nome comune
- appartiene al predicato. Il sostantivo infatti un complesso
di propriet e quindi pu essere considerato un aggettivo o un
attributo. L'aggettivo, a sua volta, non si oppone al verbocome
la qualit all'azione, ma sarebbe anch'esso un verbo. Aggettivi e
verbi non si distinguerebbero che per il loro aspetto: itera-
tivo/non iterativo oppure durativo/puntuale. Tra aggettivo e
verbo ci sarebbe perci transizione; la loro distanza appare
minima. Cos in X,2 Ghino di Tacco non compie un'azione
generosa perch di animo grande, ma di animo grande perch
compie un' azione generosa.
2
Ci che in apparenza una moti-
vazione, in realt un risultato. Sono le azioni che determinano
attributi e descrizioni. La narrazione non mai sostantiva.
Todorov compie un notevole sforzo teorico per giustificare il
.32
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 33
suo modello narratologico. D'altra parte la variet degli agenti,
la loro determinatezza sociologica, la precisione dei luoghi, in
una parola il materiale empirico e mimetico dell' arte del Boccac-
cio, finiscono per renderlo inadeguato. Nel Decameron, come al
limite non ci sono nomi di luoghi,3 cos da credere che non ci
siano nomi puri di agenti. stato del resto lo stesso Todorov ad
osservare che nel Decameron l'ordine preesistente (convenziona-
le e mitico) di regola contestato. La novit ideologica del
mondo del Boccaccio ha portato a cambiare lo statuto della
novella. L'azione modificante, 1'azione centrale della novella (il
cosiddetto verbo a) "est - scrive Todorov - obligatoirement
rebelle tout systme; elle est toujours originale et ne peut se
constituer que par une diffrence par rapport aux autres. Pour
bien servir le systme du rcit, elle doit etre individuelle; mais
tant individuelle, elle dtruit le systme du rcit. L'action
modifiante est aussi destructive pour le monde extrieur que
pour le rcit lui-meme."4 Il che sarebbe probabilmente impossi-
bile senza un'iniziativa di tipo soggettivo. L'osservazione di
Todorov non pu non evocare il concetto di parodia e, in senso
largo, di realismo che una tecnica di distruzione o di relativiz-
zazione degli schemi. 5 Si pu pi convenientemente dire che lo
spettro narrativo del Decameron si estende dalla novella apsicolo-
gica alla novella psicologica, anche se occorre avvertire che il
non detto del personaggio (i suoi pensieri) assume sempre nel
Boccaccio la forma o la compiutezza, e dunque 1'oggettivit, del
detto e che la psicologia di norma filtrata attraverso il discorso
retorico. N manca la novella-romanzo che qui interessa parti-
colarmente.
6
Laddove il personaggio si fa complesso, tra quello
che Todorov chiama senso (il valore sintattico e posizionale
della proposizione) e quello che invece chiama referenza (il
significato della proposizione) al limite si apre uno iato. Ogni
carattere in senso forte resta trascendente rispetto all'azione:
questa non lo esaurisce interamente. La novella chiusa ha una
sua compatta unit estetica. Si veda per modo di esempio il
finale della novella V, 3:
Pietro lietissimo, e l'Agnolella pi, quivi si sposarono; e come in
montagna si pot, la gentil donna f loro onorevoli nozze, e qui vi
i primi frutti del loro amore dolcissimamente sentirono.
34
GUIDO GUGLIELMI
Poi, ivi a parecchi di, la donna insieme con loro, montati a cavallo
e bene accompagnati se ne tornarono a Roma: dove, trovati forte
turbati i parenti di Pietro di ci che fatto aveva, con loro in buona
pace il ritorn; e esso con molto riposo e piacere con la sua
Agno1ella infino alla 10r vecchiezza si visse.
7
Il mondo fittizio della novella si chiude qui in una tempora-
lit epica e favolosa; la demarcazione rispetto alla temporalit
aperta dell'esperienza non potrebbe essere pi netta. Nella
novella-romanzo la quete del personaggio finisce, ma per rin-
cominciare. Il desiderio che ottiene adempimento comporta
anche una delusione, un persistere della mancanza.
L'esempio pi significativo di novella-romanzo nel Deca-
meron, almeno nel senso che vorremmo proporre, la VIII, 7.
Nella beffa dello scolare, il termine forte non la beffa, ma lo
scolare. Il fatto che vi sia una beffa, meno decisivo del fatto
che a subirla o a metterla in atto sia uno scolare. La novit della
novella sta in una diversa dinamica tra caratterizzazione e fabu-
la. L'aggettivo-sostantivo non si risolve affatto nel verbo. La
fabula tende ad essere sovradeterminata dalla caratterizzazione.
A una prima lettura la novella sembra essere governata da un
perfetto equilibrio estetico. C' una beffa, e c' una controbeffa
la quale, secondo la grammatica di Todorov,8 solo di grado
comparativamente pi intenso. Ai tormenti del gelo di un per-
sonaggio si contrappongono i tormenti del caldo dell'altro per-
sonaggio. Resta per inspiegato "perch sia stata data tanta
importanza alla caratterizzazione, perch i tormenti di caldo e
gelo e le altre pene fisiche e mentali sofferti da questi due
personaggi abbiano richiesto una presentazione cos particola-
reggiata; e, specialmente, perch la tradizionale riconciliazione
dei due protagonisti - una caratteristica comune alla maggior
parte delle storie considerate come analogie o probabili fonti
del racconto del Boccaccio e che sarebbe stata perfettamente
intonata all' orientamento fantastico dei racconti del Decameron
in genere - non abbia avuto luogo."9 Un'analisi pi attenta, e
pi attenta ai momenti dinamici o di squilibrio della narrazione,
riveler come Boccaccio forzi i limiti strutturali della novella e
la sviluppi in direzione del romanzo. La semplicit estetica delle
linee apparir essere soltanto una componente di una costru-
zione complessa e, in realt, tesissima.
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 35
La beffa di Elena allo scolare, nella prima parte della novel-
la, in verit si propone principalmente un profitto erotico.
Volendo piuttosto dedicarsi agli amanti, non per caso la donna,
restata vedova, "mai pi maritar non si volle." La sua etica
un' etica edonistica. E la beffa s volta, sulla falsariga di una
lunga tradizione medievale, a mortificare uno scolare, ad abbas-
sare il privilegio dell'intelletto e della cultura e ad affermare il
primato dell'arbitrio e dell'appetito sensibile, ma soprattutto
uno strumento di godimento. C' meno un piacere puro della
beffa, una volont di mistificazione, che una beffa in funzione
del piacere. La donna conduce un gioco di adescamenti e di
ripulse secondo un topos del tutto convenzionale (non meno
convenzionale del suo nome): "La giovane donna, la quale non
teneva gli occhi fitti in inferno ma, quello e pi tenendosi che
ella era, movendogli si guardava dintorno e
prestamente conosceva chi con diletto la riguardava .... " L'idea
di servirsi dello scolare, come di qualunque altro, solo che per
lei fosse gratificante, oltre la soddisfazione (esibizionistica) di
essere guardata, gliene reca un' altra: quella di alzare il valore
della propria persona, di renderla pi cara e pi preziosa al
desiderio del giovane e amante - che il terzo personaggio
della fabula. Sentendosi guardata dallo scolare, la donna gli
restituisce lo sguardo:
E cominciatolo con la coda dell' occhio alcuna volta a guardare, in
quanto ella poteva s'ingegnava di dimostrargli che di lui gli
calesse, d'altra parte pensandosi che quanti pi n'adescasse e
prendesse col suo piacere, tanto di maggior pregio fosse la sua
bellezza e massimamente a colui al quale ella insieme col suo
amore l'aveva data.
L'intenzione della beffa ("lo non ci sar oggi venuta invano,
ch, se io non erro, io avr preso un paolin per lo naso") si
inquadra in un rituale erotico. Siamo nell' economia del deside-
rio, in un gioco che impegna i due personaggi e che ha per posta
un appagamento dell' ordine del piacere. Un piacere di essere
oggetto di desiderio, o di cogliere e gustare gli effetti della
proria bellezza, di godere di rimbalzo di s, da parte della donna;
e il piacere di realizzare il desiderio (,'lei potere ignuda nelle
GUIDO GUGLIELMI
braccia tenere"), da parte dell'uomo. Il motore dell'azione
naturalmente lo squilibrio della situazione, che in questo caso
l'asimmetria dei desideri. Il desiderio dell'uno via e, a un certo
punto, ostacolo al desiderio dell'altro. Nella prima parte della
novella lo scolare collabora alla beffa ai propri d a n n i ~ agisce
secondo il desiderio della donna, ne subisce l'iniziativa. Il suo
desiderio viene provocato, alimentato, continuamente differi-
to; la sua intenzione soggiace a un'altra e contraria intenzione;
la sua azione governata da un' altra azione che egli comica-
mente ignora. Obbedendo all'impulso del gioco, la donna porta
avanti la sua mistificazione e lo scolare la asseconda docilmente.
La prima stazione del racconto sar perci il dichiararsi della
situazione ingannevole e lo scioglimento dell' equivoco. E qui
importante il rilievo della mancanza di piano o di disegno da
parte della donna. Tutto si sviluppa per proprio conto, auto-
maticamente, sul filo degli avvenimenti. A produrre la svolta-
la modificazione - il racconto che la donna fa della sua beffa
all'amante, e la gelosia - non si potrebbe dire immotivata -
dimostrata da quest'ultimo. Ogni passo avanti dell'azione avvie-
ne sulla base di soluzioni momentanee, secondo una logica
dell' improvvisazione. La trovata della donna consiste ora nel
trasformare quello che divenuto un ostacolo al proprio desi-
derio, evidentemente nei rapporti con l'amante, in una nuova
fonte di fruizione, questa volta di tipo sadico. Il malinteso che la
comunicazione della beffa aveva prodotto nell'amante, verr
tolto offrendo all' amante lo spettacolo della beffa. Al racconto,
imprudente e malizioso, di un intrigo si sostituisce cos una
messinscena teatrale che dovr dissipare ogni sospetto. La
novella evolve decisamente verso la forma della commedia. In
una notte freddissima lo scolare viene attirato e chiuso nella
corte della casa della donna, in attesa di una chiamata che gli
stata promessa e che naturalmente non verr. E viene dapprima
anche confortata la sua illusione comica. Mentre da una "fine-
stretta" i due amanti stanno ad osservare ed ascoltare, una fante
mandata a dirgli, da un' altra finestretta, che la donna aveva
avuto la visita imprevista di un fratello e che perci gli conve-
niva aspettare. Interno (caldo) ed esterno (freddo), in alto e in
basso, sono i luoghi in cui si distribuisce l'azione. Al diverso
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON
37
ruolo dei personaggi sono funzionali luoghi diversi. La diffe-
renza semantica beffatore/beffato si lascia rappresentare e tra-
durre figurativamente in una differenza spaziale. Perch l'op-
posizione venga mantenuta necessario, infatti, che non ci sia
transizione tra freddo e caldo, basso e alto, fuori e dentro. Di
mod che acquista funzionalmente una particolare importanza
la frontiera tra spazio interno e spazio esterno. l il punto di
articolazione della doppia possibilit che si offre all' ottica illu-
soria dello scolare (l'alternativa essere dentro/essere fuori, esse-
re al di qua o al di l dell'uscio). Di fatto la donna spinger il suo
gioco fino .a scendere con l'amico all'uscio e a parlare diret-
tamente allo scolare, naturalmente "senza aprir punto." La
beffa si sviluppa e giunge a compimento passando attraverso
due gradi. Dapprima viene fatto dire allo scolare di attendere (la
fante che assolve questo compito gli parla da una finestretta, e
dunque gi si colloca al limite tra i due spazi). Le due scene sono
qui in alto e in basso. Quindi la donna scende all'uscio. L'azione
si sposta dall'alto al basso: le due scene sono da un lato e
dall'altro dell'uscio. Gli elementi comico-drammatici si esaspe-
rano; solo una porta separa la donna e lo scolare. Si tratta in
verit di un movimento che simula un altro movimento, un
movimento comicamente doppio e ingannevole. Quello che
appare come un segnale di fine dell'attesa ("Lo scolare, uden-
dosi chiamare, lod Idio credendosi troppo bene entrar dentro,
e accostatosi all'uscio disse: "Eccomi qui, madonna: aprite per
Dio, ch io muoio di freddo") in realt un momento di
violenta risoluzione della beffa. La riduzione massima della
distanza serve a istituire una distanza definitiva; il movimento
che dovrebbe annullarla proprio quello che la conferma. La
promessa si smaschera nel momento che per lo scolare sta per
essere mantenuta; l'inganno si dichiara mentre portato al
limite.
Ma razione non si esaurisce in un' intenzione, in qualche
modo pura, di mistificazione. La comicit non fondata sem-
plicemente sul gioco degli equivoci. La beffa fa parte di un
contesto pi ampio. C' un asse decettivo della comunicazione
di cui sono protagonisti in primo luogo la donna, in figura di
destinato re, e lo scolare in figura di destinatario; e ce n' un
GUIDO GUGLIELMI
altro che istituisce la complicit dei due amanti. La comunica-
zione ingannevole ha luogo dentro una comunicazione non
ingannevole, un messaggio dentro un altro messaggio di segno
opposto che intende rimuovere un malinteso ed, anzi, rove-
sciarlo in piacere della mistificazione. Ma non tutto. In quanto
spettacolo, la beffa l'offerta di una vittima e una pratica sadica.
Lo scambio comunicativo interno a uno scambio erotico. La
donna si presenta all'amante come oggetto (attuale e instante)
del desiderio di un altro, e non solo gli sacrifica l'altro ma, con
una specie di voyeurismo alla rovescia, gli offre lo spettacolo di
questo sacrificio. Due scene si svolgeranno simultaneamente.
L'interno (l'alto) il luogo del piacere; l'esterno (il basso) il
luogo della privazione o della frustrazione. E la beffa in
funzione di un accrescimento del piacere. Il sadismo la
componente negativa dell' eros. Da una parte sta lo scolare che
cerca di ripararsi dal freddo ("n aveva dove porsi a sedere n
dove fuggire il sereno") e sar anche sorpreso dalla neve; dal-
l'altra, stanno gli amanti, passati dal lieto cenare al letto, che
godono a protrarre la beffa e, anzi, si alzano per potere spiare la
vittima:
E levati, alla finestretta usata n'andarono; e nella corte guar-
dando, videro lo scolare far su per la neve una carola trita, al
suono d'un batter di denti che egli faceva per troppo freddo, s
spessa e ratta, che mai simile veduta non aveano. Allora disse la
donna: "Che dirai, speranza mia dolce? parti che io sappia far gli
uomini carolare senza suono di trombe o di cornamusa?
E quanto pi intollerabile diventa l'attesa per lo scolare, tanto
maggiore l'appagamento della coppia. La simultaneit delle
due scene, mentre rende pi sanguinosa la beffa e pi comico
l'accecamento dello scolare, rende anche pi gioioso l'adempi-
mento del desiderio (che per il giovane amante un poco anche
desiderio di un altro desiderio). Non solo l'amante deve depor-
re ogni gelosia e ci che era materia di malinteso diventa materia
di intima gratificazione, ma la beffa introduce quel gusto del-
l'eccesso e della crudelt che costitutivo del piacere.
Una situazione in parte simile si pu trovare nella VII, 7
dove Beatrice non si limita alla soddisfazione del desiderio, ma si
UNA NQYELLA NON ESEMPLARE JJJIL_12liCAMEl{ON___ ---------J9---
prende una vendetta intellettuale sul marito Egano. Mentre ha
deciso di accondiscendere ai desideri di Anichino, Beatrice li
denuncia al marito. Poich Egano non dubita n della lealt
della moglie, n della fedelt di Anichino nel quale aveva posto
"tanto amore, che senza lui niuna cosa sapeva fare," la donna
per mentire dice addirittura la verit. Essa mette alla prova
l'insipienza del marito; si prende gioco della sua cecit, del suo
dogmatismo, dei suoi modi di rappresentazione della realt. Ed
una finissima beffa che davvero riassume (restituisce specular-
mente) lo stravolgimento parodico
lO
di una novella di cui la
prima parte pone i topoi del romanzo cortese (l'amor de lohn, la
festa, la partita a scacchi) e la seconda il loro rovesciamento
comico. Nella beffa la verit immediatamente il suo contrario;
il modo di rivelarsi della verit un modo di nascondersi. La
struttura della novella che ci che detto venga disdetto. Ma
poi da dire che l'interesse della beffa non ha semplicemente per
oggetto una mistificazione attraverso la verit; la sua intenzione
non si esaurisce in un' intenzione di smascheramento. Certo
Beatrice compie una sottile vendetta e seguitando a lungo a
riderne non solo con Anichino ma anche con il marito (che ogni
volta viene ad essere ingannato) torna continuamente a rinno-
varia. Non si tratta per soltanto di un divertimento intellet-
tualmente eccitante, dello straniamento di una cecit. Beatrice
induce il marito ad assumere un ruolo femminile (lo costringe a
travestirsi da donna); lo fa apostrofare con nomi femminili e,
infine, bastonare da Anichino. Anche qui c' un gioco di sadis-
mo e erotismo. La donna vuole s sbeffeggiare la saviezza di
Egano, ma anche offrire lo spettacolo della sua insipienza e
farne un dono all' amante.
Le omologie pi evidenti si trovano nella VII, 9, una novella
che vale la pena richiamare proprio per le verifiche che pu
fornire. Oltre a soddisfare le tre bizzarre prove che Pirro le
impone se vuole diventare sua amante, nella VII, 9 Lidia si
impegna in aggiunta a soddisfarne un' altra scelta liberamente.
Pirro sospetta una insidia da parte della donna, un modo di
tentare la sua lealt, giacch giudica Nicostrato, marito di Lidia
e suo signore, uomo "molto savio e molto avveduto," tale, cio,
da non poter essere impunemente tradito. E la donna "per ci
4
GUIDO GUGLIELMI
che egli cos savio reputava Nicostrato, disse che in presenzia di
lui con Pirro si sollazzerebbe e a Nicostrato farebbe credere che
ci non fosse vero." Tutt'e tre le dramatis personae conven-
gono dunque sotto un pero: Pirro, secondo una parte prestabi-
lita, sale sul pero e finge di vedere marito e moglie in atteggia-
mento amoroso, con stupore del marito che salir a sua volta sul
pero e vedr nello stesso atteggiamento la moglie e Pirro.Si
dar a credere a Nicostrato che il pero incantato. Dopo avergli
fatto vedere una scena falsa facendogliela passare per vera, gli si
far vedere una scena vera facendogliela passare per falsa. Il
Anichino temeva che Beatrice respingesse la sua richiesta d'a-
more e lo denunciasse presso il marito ("Madonna, io temo
forte che egli non vi sia noia se io il vi dico; e appresso dubito
che voi a altra persona non ridiciate"); e Beatrice non solo d un
pronto assenso ("O singular dolcezza del sangue bolognese!
quanto se' tu sempre stata da commendare in cos fatti casi!"),
ma mantiene il segreto proprio rivelandolo. Pirro teme soprat-
tutto Nicostrato. Le prove che impone a Lidia (uccidere lo
sparviero di Nicostrato, stra:ppargli una ciocchetta della barba e
estirpargli un dente) sono anche un po' dei modi arguti per
schermirsi dalle sollecitazioni che riceve. E Lidia si assegna una
prova ancor pi temeraria, che deve per mostrare in tutta la
suaestensione 1'insipienza di Nicostrato. Le donne si vendicano
di una colpa implicita o esplicita dei mariti (Nicostrato un
vecchio che non ha esitato a sposare una giovane e bella mo-
glie), di una colpa comunque che attiene al misconoscimento
dei diritti della natura e dei sensi. Nel dar corso ai loro appetiti,
esse tacciano indirettamente - mediante una beffa - di imbe-
cillit i loro mariti (si pu mostrar loro la verit senza che la
vedano) e godono di questa trasgressione.
Ci che accomuna le tre novelle il fatto che, in tutt' e tre i
casi, l'eros si alimenta di una aggressivit verso una vittima, che
in sostanza eros e sadismo sono fusi, anche se nel caso della VIII,
7 il sadismo si presenta come immotivato o, comunque, sfornito
di razionalizzazione. Non si tratta quiinfatti di una vendetta, in
termini impliciti o espliciti; e soprattutto manca l'elemento
intellettuale. La beffa della vedova contrassegnata dalla casua-
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON
4
1
lit e gratuit pi festosa. Non solo. Ma dalla beffa si passa allo
sbeffeggiamento aperto. Allo scolare che le dice di aver perduto
la sensibilit e la prega di preparare un buon fuoco, la donna, a
un certo punto, non ha neppure pi bisogno di celare la propria
derisione: "Questo non dee potere essere, se quello vero che
tu m'hai pi volte scritto, cio che tu per l'amor di me ardi tutto;
ma io san certa che tu mi beffi. Ora io va: aspettati e sie di buon
cuore." A partire da questo momento, del resto, la beffa ha un
seguito che una pura sequenza di danneggiamento. Anche
quando ormai interamente disingannato, quando passato
dall'accecamento al riconoscimento della verit, lo scolare deve
infatti restare ancora lungo tempo chiuso nella corte (inutil-
mente tentando vie d'uscita), finch all'alba non scende final-
mente la fante ad aprirgli e, scusando la donna, a congedarlo. La
sequenza di danneggiamento in verit una funzione cerniera
perch salda le due parti della novella: ne chiude la prima e ne
apre la seconda. qui che l'amore dello scolare si converte in
odio ed qui che egli comincia, mentre tutto distrutto nel
corpo, ad assumere un ruolo attivo e dominante. Gi rispon-
dendo alla fante che maliziosamente e perfidamente finge di
confortarlo ("Portatelo in pace, ch quello che stanotte non
potuto essere sar un'altra volta"), egli comincia, a sua volta, a
simulare, sapendo "niuna altra cosa le minacce essere che arme
del minacciato" e mostra di accettare le scuse che la fante
mandata a porgergli per conto della donna. Cos serra "dentro
al petto suo ci che la non temperata volont s'ingegnava di
mandar fuori." Ma sedal ruolo del mistifica to egli passa al ruolo
del mistificatore, qui si ferma l'analogia tra la beffa e la contro-
beffa. Non c' affatto un semplice scambio di ruoli. La beffa si
definisce nel corso del suo sviluppo, utilizza le occasioni, resta
aperta e disponibile in pi direzioni. Essa il frutto della vitalit
della donna e il medium della manifestazione di tale vitalit.
All'inizio c' solo un'intenzione di fomentare illusivamente una
passione, di porsi al centro di un gioco e di autorimunerarsi. Il
fortuito, gli accadimenti imprevisti e istantanei, forniscono ma-
teria al gioco, ne segnano il corso, e decidono delle sue svolte e
del suo punto di risoluzione. La donna agisce facendosi portare
42
GUIDO GUGLIELMI
dalla situazione. C' un "epico" accordo tra caso e mondo. Se
una contrariet si presenta, essa non ha bisogno di essere neutra
lizzata, ma diventa subito un elemento del gioco. Gli impedi-
menti (sollecitazioni dello scolare e gelosia dell'amante) fanno
progredire la beffa; i contrattempi si trasformano in oppor.tuni-
t, in fonti, per cos dire, insospettate di eccitamento. Le cose
succedono felicemente nei modi di un' affettivit elementare.
Manca uno spessore psicologico; la riflessione e l'autoriflessio-
ne non hanno bisogno di nascere. Anche parlare di perversione
non avrebbe senso. Il mondo fornisce la trama in cui il piacere si
rivela a se stesso e si realizza.
La controbeffa ha invece una struttura completamente di
versa. Lo s ~ o l a r e una figura della nascita della soggettivit,
cio di un io capace di rendersi autonomo dagli impulsi e dagli
interessi dell'affettivit. La donna non esita a rivolgersi a lui, su
suggerimento della fante, perch le riconduca l'amante, che
intanto l'ha abbandonata, "per alcuna nigromantica operazio-
ne." E Boccaccio non manca di sottolinearne la corrivit e
l'immediatezza con cui risponde agli stimoli del momento, la
mancanza di prudenza e di saviezza (e sar rilievo che pi volte
torner nella novella): "La donna poco savia, senza pensare che
se lo scolare saputa avesse nigromantia per s adoperata l'av-
rebbe, ... " Lo scolare al contrario diventa protagonista della
novella grazie alla saviezza, alla capacit di preordinare gli scopi,
calcolare gli effetti, saper attendere. Se 1'irriflessione un
attributo della naturalit, la riflessione (e 1'autoriflessione)
l'attributo della negazione della naturalit. Questa la novit
semantica che presenta la controbeffa. A servire alla ritorsione
e alla vendetta, saranno proprio gli attributi intellettuali che alla
donna mancano e che essa vilipende. Il senno dello scolare
subito argomento di riso, gi nelle parole della donna rivolte alla
fante ("Hai veduto dove costui venuto a perdere il senno che
egli ci ha da Parigi recato?"); e l'intelligenza (pi pr.ecisamente
il sapere e la cultura) svalutata sar non solo lo strumento ma
soprattutto il fine della controbeffa. Ci che interessa allo
scolare infatti essere riconosciuto come tale, in quanto scolare
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 43
(e vorremmo dire intellettuale). Il suo scopo imporre il
riconoscimento e la stima dell'intelligenza. L'io della donna
un io del piacere; le realizzazioni del desiderio sono presso di lei
di natura immediatamente istintuale. L'io dello scolare un io
costruito e razionale. La beffa sembra aver colpito non tanto la
sua natura istintuale, quanto principalmente la sua identit
intellettuale. In lui opera una tendenza alla sublimazione. L'op-
posizione tra i due personaggi sar perci opposizione tra ele-
mento affettivo e elemento intellettuale. La donna vive in un
mondo magico-naturale; per essa - come per la fante - il
sapere potr essere solo un sapere da negromante, un sapere
pratico che agisce sul mondo al di l delle normali operazioni,
un'arte di ordine naturale, bench di grado superiore, che del
resto continua ad avere la sua parte nel Decameron. Ancora alla
fine della novella attribuir a operazioni di demoni ("indozza-
menti di demoni") la sua disavventura, per giustificarsi davanti
"a' suoi fratelli e alle sirocchie." E il primo inganno dello
scolare consister nel farsi credere depositario di un tale sapere.
La trama della controbeffa potr cos essere accuratamente
predisposta. Per riavere l'amante, alla donna converr eseguire
un rituale magico. Dovr, tra l'altro, sette volte immergersi
nuda in un fiume, durante una\particolare fase della luna; quindi
dovr raggiungere un luogo elevato e pronunciare le parole
magiche: subito sarebbero apparse due bellissime damigelle
che, udito il voto, lo avrebbero esaudito. E nella notte stabilita
lo scolare si apposta per godere dello spettacolo. La donna
compare puntualmente:
.. e passandogli ella quasi allato cos ignuda e egli veggendo lei
con la bianchezza del suo corpo vincere le tenebre della notte e
appresso riguardandole il petto e l'altre parti del corpo e veden-
dole belle e seco pensando quali infra piccol termine dovean
divenire: sent di lei alcuna compassione; e d'altra parte lo
stimolo della carne l'assal subitamente e fece tale in pi levare
che si giaceva e confortavalo che egli da guato uscisse e lei
andasse a prendere e il suo piacer ne facesse: e vicin fu a essere tra
dall'uno e dall'altro vinto. Ma nella memoria tornandosi chi egli
era e qual fosse la 'ngiuria ricevuta e perch e da cui, e per ci
nello sdegno raccesosi e la compassione e il carnale appetito
cacciati, stette nel suo proponimento fermo e lasciolla andare.
44 GUIDO GUGLIELMI
Ecco dunque che l'opposizione elemento affettivo! elemento
intellettuale che definiva i due personaggi diviene tensione
all'interno dello scolare. Per portare avanti la sua vendetta, egli
deve emanciparsi dalla compassione e dal sensibile. "Carnale
appetito," da una parte, e "proponimento fermo," dall'altra,
saranno le due polarit di un dramma psicologico. L'affermazio-
ne del contrario della natura (l'intelletto) passer attraverso la
negazione della natura stessa.
Si in verit compiuta una trasformazione nella storia dello
scolare. Nella prima parte della novella egli presentato come
un nobile uomo ("chiamato Rinieri") che ha studiato a Parigi
lungamente e "non per vender poi la sua scienza a minuto"; ma
"come spesso avviene coloro ne' quali pi 1'avvedimento delle
cose profonde pi tosto da amore essere incapestrati," anche
come persona inesperta del mondo e facile preda di amore. Tra
avvedimento (modalit intellettuale) e passione (modalit sen-
sibile) non si ancora data conflittualit. Non ancora giunta la
verifica dell' esperienza. La conflittualit si delinea gi nella
notte della beffa ("io mi conosco, n tanto di me stesso apparai
mentre dimorai a Parigi, quanto tu in una sola notte delle tue mi
facesti conoscere"), quando l'amore si muta in odio, un odio gi
astuto, capace perfettamente di dissimularsi, i cui effetti appun-
to non si producono immediatamente, ma vengono avveduta-
mente differiti. La lunga malattia, che mette a repentaglio la
vita dello scolare, assume, d'altra parte, un po' una funzione di
iniziazione. Il rapporto con il mondo altro della morte e del
basso ("la infermit del mio freddo col caldo del letame puzzo-
lente si convenne curare"), segna l'acquisizione dell'interiorit
della coscienza e del passaggio all' esperienza. L'attraversa'-
mento della malattia porta a un rinnovamento-trasformazione
dell'io. Nasce cio un diverso tipo di temporalit della coscien-
za. La controbeffa - si visto - portata avanti con de-
terminazione e preparata di lunga mano. La ricerca e l'attesa
paziente dell' occasione propizia, l'anticipazione mentale di ogni
dettaglio dell' azione, comportano appunto una temporalit che
si orienta sul passato e sul futuro e subordina a s il presente. La
temporalit della donna era invece il presente: n il passato (la
UNA NOVELLA -NON ESEMPI ARE DEI DECAMERON
memoria), n il futuro (il progetto) la interessavano. Ogni ora,
ogni momento, era portatore di un dono (di una fruizione). Il-
tempo si rinnovava, ma non era mai tempo. come perdita, n
tempo come rinvio, ulteriorit, sospensione della immediatezza.
Che cosa deve fare la negromanzia se non richiamare magica-
mente l'amante perduto, evocarne immediatamente la presen-
za? Immanenza dunque versus trascendenza delle strutture tem;..
porali. E non si tratta di una semplice variazione di schema, di
un mutamento gerarchico dei tempi, ma di una diversa imposta-
zione della temporalit che comporta una distanza rispetto al
mondo e che si conviene piuttosto al romanzo che alla novella.
Ma vediamo come si articola narrativamente la vendetta
propriamente detta dello scolare. La donna stata dunque
attirata nuda, con inganno, in un luogo solitario, su una torre
dalla quale non potr discendere. Rester l esposta al calore
diurno dell' estate, come lo scolare era stato esposto al freddo
notturno dell'inverno. Fin qui la corrispondenza rovesciata tra
beffa e controbeffa. Le determinazioni spaziali sono anche qui
in evidenza. Non c' circolazione dall'alto (la torre) al basso.
attenerla diventa la posta del contrasto donna/scolare che subi-
to segue. Ma ora non si gioca pi alcuna commedia degli
equivoci. Il dialogo non si sviluppa pi all'interno della beffa,
ma d luogo a un'autonoma ed estesa sequenza funzionale.
L'azione non si distribuisce pi su due piani, quello della mistifi-
cazione e quello dello spettacolo, ma su un unico piano dia:.logico.
L'inganno si smaschera subito. La controbeffa servita solo
come cornice di una vendetta. L'elemento dialogico ora domina
e assorbe l'elemento spettacolare. Alla azione-spettacolo suc-
cede un diretto scontro di voci, una scena psicologica. La donna
vuole ricondurre la sua avventura a una situazione codificata; ha
bisogno di stabilire un patto (o un contratto). Comincia perci
a confessare la propria debolezza e sciocchezza e a riconoscere il
valore dello scolare _ La sua tecnica dapprima quella della
svalutazione di s e dell'appello alla magnanimit dell'altro.
L'argomento della debolezza un'arma per sollecitare la respon-
sabilit di chi si ormai imposto come signore. Facendo atto di
sottomissione la donna pu chiedere allo scolare di prendersi
GUIDO GUGLIELMI
cura del suo onore e di salvarla dallo scandalo. Ma il dialogo non
si sviluppa secondo la meccanica delle reazio'ni previste, nei
limiti di un gioco erotico e galante. La parola dello scolare non
una parola che ribatte a un'altra parola, ma una parola che
cancella un'altra parola, la disarticola, la spinge progressiva-
mente al silenzio. La sua risposta la risposta dello scherno e
del sarcasmo, dal consiglio, rivolto alla donna, di chiamare in
soccorso l'amante, a quello, pi aspramente provocatorio, di
gettarsi dalla torre: "Ma se tu n'hai cos gran voglia di scendere,
ch non te ne gitti tu in terra? E a un'ora con l'aiuto di Dio,
fiaccandoti tu il collo, uscirai della pena nella quale esser ti pare
e me farai il pi lieto uom del mondo." Il discorso inteso a
perfezionare una rottura, a mettere fuori gioco ogni possibilit
di intesa. La sottomissione della donna e l'appello alla magnani-
mit sono entrambi respinti. Il linguaggio pu ricuperare con-
notazioni bibliche. La donna non "colomba" (come si era
detta), ma "velenosa serpe," "antichissimo nemico." Alla bel-
lezza fragile, insidiata dalle rughe della vecchiaia (" E da che
diavol, togliendo via cotesto tuo pochetto di viso, il quale pochi
anni guasteranno riempendolo di crespe, se' tu pi che qualun-
que altra dolorosetta fante?"), viene contrapposto il merito del
"valente uomo," la sua inalterabile natura. Per ingrandire
l'immagine di s, lo scolare ha bisogno di mortificare quella
della donna ("Insegnerotti adunque ... che cosa sia lo schernir
gli uomini che hanno alcun sentimento e che cosa sia lo schernir
gli scolari"), ha bisogno di svuotare di ogni valore il piano del
sensibile, dell'immediato, del vitale. (E converrebbe richiamare
la X, lO, la novella di Gdselda, dove si ha un'analoga combina-
zione di sublimazione e sadismo).
La risposta dello scolare obbliga la domanda (l'appello della
donna) a attestarsi su un registro pi basso, a farsi pi umile.
L'ambito degli argomenti si riduce progressivamente. Lascian-
do da parte l'argomento della "giovane bellezza," delle "amare
lagrime" e degli "umili prieghi," che pure nel suo discorso non
manca accortamente di evocare e di lasciare sullo sfondo, la
donna si appella ora alla propria buonafede, che sola avrebbe
dato modo e via al castigo e alla vendetta, nel tentativo, irrime-
UNA NOVELLA NON_ESEMPLARE DEL DECAMERO!{.
diabilmente comico, anche se affannoso e disperato, di fissare
un debito dello scolare, di stabilire un rapporto e una complici-
t. Siamo ihdubbiamente qui a un livello di realismo serio,
bench il contesto sia comico. Se mai altra, questa la novella
in cui l'interpretazione di Auerbach del Decameron appare pi
riduttiva. La donna finisce per mostrarsi disposta non solo a
cambiare amante, ma anche a offrirsi come semplice oggetto di
"trastullo" e di "diletto":
Deh, lascia l'ira tua e perdonami ornai! io sono, quando tu
perdonar mi vogli e di quinci farmi discendere, acconcia d'aban-
donare del tutto il disleal giovane e te solo avere per amadore e
per signore, quantunque tu molto la mia bellezza biasimi brieve e
poco cara mostrandola; la quale, chente che ella, insieme con
quella dell'altre, si sia, pur so che, se per altro non fosse da aver
cara, si per ci che vaghezza e trastullo e diletto della giova-
nezza degli uomini: e tu non se' vecchio.
Essa giunge a porsi secondo 1'ottica dello scolare, a volersi nella
propria nullit, a sancire la propria mortificazione. La sua
condizione diventa inevitabilmente comica e creaturale insie-
me. Il linguaggio dello scolare assume invece sempre pi -la
forma di un ragionato delirio. Rifiutando debiti e dipendenze,
egli innalza il potere delle lettere al di sopra delle opportunit e
delle variazioni del caso e proclama la sua autosufficienza:
E dove tutti [i lacciuoli] mancati mi fossero, non mi f u ~ g i v a la
penna, con la quale tante e s fatte cose di te scritte avrei e in s
fatta maniera, che avendole tu risapute, ch l'avresti, avresti il d
mille volte desiderato di mai non essere nata. Le forze della
penna sono troppo maggiori che coloro non estimano che quelle
con conoscimento provate non hanno.
Bersaglio della sua retorica diviene coerentemente il tema della
vitalit e della affermazione, cio il tema della giovinezza, che,
mentre vista come pi vigorosa, poi accusata sprezzante-
mente di essere mutevole, vanagloriosa, incapace di un' arte del
piacere:
Voi v'andate innamorando e disiderate l'amor de' giovani, per ci
che alquanto con le carni pi vive e con le barbe pi nere gli
vedete e sopra s andare e carola re e giostrare: le quali cose tutte

GUIDO GUGLIELMI
ebber coloro che pi alquanto attempati sono e quel sanno che
coloro hanno a imparare.
Dove (e pi ancora nella netta contrapposizione di natura e arte
che segue) non possibile non leggere il segno di un'insuffici-
enza, un cruccio dissimulato o un'invidia non ammessa per l'et
pi vitale. La dura negativit viene alla fine ribadita ed enfatica-
mente rafforzata:
E acci che tu del desidero degli occhi miei possi maggior certez-
za nell'altro mondo portare che non mostra che tu in questo
prenda dalle mie parole, gittati gi pur tosto, e l'anima tua, s
come io credo gi ricevuta nelle braccia del diavolo, potr vedere
se gli occhi miei d'averti veduta strabocchevolmente cadere si
saranno turbati o no. Ma per ci che io credo che di tanto non mi
vorrai far lieto ....
Il contratto (che nel caso di Gualtieri e Griselda nella X, lO
pone fine al contrasto) non si realizza e il linguaggio si esaspera.
La dialettica del riconoscimento non ha luogo. Anche per la
donna intanto venuto il momento del passaggio dall'immedia-
tezza alla mediatezza, dall'affermazione alla negazione. L'ingan-
no in cui caduta ha avuto l'effetto di destarla alla coscienza. Lo
scolare l'ha strappata alla sua naturalit e violentemente con-
dotta alla cognizione di s (" sieti assai l' esserti potuto vendicare
e l'averlomi fatto conoscere"; "ho dato via al tuo disidero in
potermi fare del mio peccato conoscente"): l'evento non pi
per lei occasione di godimento, ma l'obbliga a un tempo d'arre-
sto della vitalit, all'amarezza dell'autoriflessione, a sacrificare
l'oggetto d'amore. Al danneggiamento simbolico (attraverso il
linguaggio) segue il danneggiamento fisico (carni cotte, punture
di insetti, stimoli della sete) e la donna impara a maledire non
solo lo scolare e l'amante, ma proprio se stessa. La natura non
pi fonte vitale, si fatta estranea, non soccorre pi. Al corpo
radioso (che attraversava la notte) si contrappone il corpo pia-
gato, l'anatomia del corpo:
Il sol di sopra e il fervor del battuto di sotto e le trafitture delle
mosche e de' tafani da lato s per tutto l'avean concia, che ella,
dove la notte passata con la sua bianchezza vinceva le tenebre,
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 49
allora rossa divenuta come rabbia e tutta di sangue chiazzata,
sarebbe paruta a chi veduta l'avesse la pi brutta cosa del mondo.
E c' certamente una ragione struttutale, in senso dantesco, in
questa metamorfosi. Il castigo colpisce lo strumento degli
inganni e dei piaceri, cio il corpo. Colpa e pena sono funzional-
mente connesse: Il corpo piagato la verit (si vorrebbe dire il
compimento) del corpo radioso. rappresentazione oggettiva
e, insieme, visualizzazione di un significato. La bellezza vista
come fenomeno naturale e sotto l'aspetto intellettuale e simbo-
lico. corpo radioso, ma in quanto rifiutato e negato, assunto
nella prospettiva della sua degradazione. Anche il giorno e la
notte, l'estate e l'inverno, caldo e gelo, si caricano di una marca
negativa. La natura si associa al tema della distruzione; la sua
connotazione " infernale" (e si capisce la frequenza dei rimandi
danteschi). 12
Il rovesciamento di situazione nella seconda parte della
novella non si limita dunque a un'inversione di ruoli tra i due
protagonisti - a un gioco di permutazioni nell'ambito di una
combinatoria - ma comporta sviluppo, diacronia, modifica-
zione di contesto. Dove nella beffa elemento affermativo-
erotico e elemento negativo-sadico sono collaboranti in un
presente assoluto, nella controbeffa l'elemento negativo-sadico
resta dominante. Nel contempo l'azione assume uno spessore
temporale. Si veda come nella situazione di discorso dello
scolare interferisca ossessivamente il ricordo dell'ingiuria su-
bita:
Madonna Elena, se i miei prieghi .... m'avessero impetr.ato, la notte
che io nella tua corte di neve piena moriva di freddo, di potere essere
stato messo da te pure un poco sotto il coperto, leggier cosa mi
sarebbe al presente i tuoi esaudire ....
. . . ricordati del freddo che tu a me facesti patire ....
Malvagia donna, delle mie mani non morrai tu gi, tu morrai pur
delle tue, se voglia te ne verr, e tanta acqua avrai da me a solleva-
mento del tuo caldo, quanto fuoco io ebbi da te a alleggiamento del
mio freddo.
la memoria (la ripetizione del passato) che alimenta la nega-
zione. L'elemento erotico, d'altra parte, sempre presente
5
GUIDO GUGLIELM-
nello scolare, ma - e lo si gi notato - in forma rimossa. Esso
si manifesta lungo tutto il contrasto che unisce e oppone i due
protagonisti. Ed ancora, da ultimo, sia sotto forma di compas-
sione, la compassione che si accompagna al rifiuto opposto alla
richiesta di un bicchier d'acqua da parte della donna, e che
per prontamente respinta: "Ben conobbe lo scolare alla voce
. la sua debolezza e ancor vide in parte il corpo suo tutto riarso dal
sole, per le quali cose e per gli umili suoi prieghi un poco di
compassione gli venne di lei; ma non per tanto . . ." Sia,
secondo i modi di una forma indiretta che rivela un interesse
niente affatto spento, nella deprecazione (e indignazione) che la
bellezza offuscata sarebbe presto tornata al suo naturale colore
e splendore: "Di tanto mi dolgo forte, che ... tu da questo caldo
scorticata non altramenti rimarrai bella che faccia la serpe las-
ciando il vecchio cuoio."
Lo scolare mette in atto una retorica della degradazione che
cos non pu che riproporsi continuamente. L'enfasi surroga
un rapporto con la realt che si perduto o divenuto problema-
tico. La parola si fa intransitiva. Lo scolare si diverte a mante-
nere il flusso comunicativo con la donna (" ... lo scolare, che a
diletto la teneva a parole"). Ma rimuovendo (anche se non
sopprimendo) l'interesse erotico, egli sostituisce il piacere della
parola - della negazione appunto - al piacere dell' oggetto. Il
presente della donna (e del suo amante) era una situazione di
piacere; il presente dello scolare una situazione di discorso.
Non si esce dalla sfera del linguaggio. La parola dilazionatrice
sta per l'atto risolutore e lo sospende indefinitamente. La
mediazione del simbolo porta a processi di sublimazione: l'og-
getto disinvestito ed investita la parola: c' trasposizione dal
concreto all'astratto. Lo stesso scolare non pi un'individuali-
t singola, determinata dal proprio nome, non Rinieri (sarebbe
difficile ricordare il suo nome), ma un' essenza, un tipo, il rap-
presentante di una classe, uno scolare appunto. Ed allo stesso
modo, l'odio in cui si convertito il suo amore, ha bisogno di
giustificazioni ideologiche, di trarre autorizzamento dalla tradi-
'Zione misogina (classica e cristiana), di tradursi in formulazione
e argomento. L'azione propriamente detta acquista un rilievo
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON
SI
secondario. L'autoriflessione implica differimento e storicit,
superamento del" questo" della sensazione e della percezione. E
la quete narrativa si risolve in un allontanamento dell' oggetto, o,
magari, in un rinvio da un oggetto a un altro, dalla vedova
all'altra donna, pi savia e pi degna, che lo scolare dice di aver
trovato. Tutta la novella pu essere letta come un processo di
perdita dell'immediatezza sensibile e di acquisizione del simbo-
lico. Il processo della quete in definitiva un processo di rinun-
cia. Gli ostacoli non sono impedimenti narrativi destinati ad
essere tolti, o a portare ad esiti tragici - secondo la struttura
chiusa della novella - ma determina un mutamento di rapporti
con l'oggetto. Al principio e alla fine i personaggi appaiono
qualitativamente trasformati. La vedova stessa guarir dalle
piaghe, ma "dimenticato il suo amante, da indi innanzi e di
beffare e d'amare si guard saviamente." Beffa e controbeffa
con ogni evidenza non si pareggiano. Le due parti non sono
omologhe.
Una figura di scolare (lo stesso scrittore e autore) che viene
beffato e straziato da una vedova si trova in un altro e pi tardo
testo di Boccaccio. Si tratta ovviamente del Corbaccio. L'opera
per la sua diversa costruzione, che di tipo
(apparizione in sogno di uno spirito purgatoriale che viene in
soccor.so di una mente smarrita), permette di delimitare per un
altro verso il luogo strutturale della novella. noto che le
corrispondenze tra i due testi sono estremamente puntuali. Le
richiamo brevemente. Anche nell' "umile trattato" c' il pia-
cere di beffarsi di qualcuno e di farne argomento di gioco tra
amanti: la vedova e il suo giovane amico ("il secondo Absalo-
ne") leggono insieme le lettere del maturo corteggiatore; e
insieme combinano la risposta. E vi ritroviamo la delusione e
soprattutto l'indignazione che proprio l'intelligenza e il sapere,
"quando il bisogno viene," si dimostrino di nessun uso:
Due cose erano quelle che quasi ad estrema disperazione m'avea-
no condotto: l'una fu il ravvedermi che, dove io alcun sentimen-
to credeva avere, quasi una bestia senza intelletto m'avvidi che io
era; e certo questo non da turbarsene poco, avendo riguardo
che io la maggior parte della mia vita abbia speso in dovere
qualche cosa sapere, e poi, quando il bisogno viene, trovar mi non
52 GillDO GUGLIELMI
sapere nulla; l'altra fu il modo tenuto da lei in far palese ad altrui
che io di lei fossi innamorato; e in questo pi volte crudele e
pessima femmina la chiamai. 13
l'identit dell'uomo d'intelletto che ancora una volta si sente
presa ?i mira e colpita. Qui la vendetta vorr "con parole
castigare" e "parvificare" la donna, renderne pubblici i segreti e
le brutture. Ma si tratter di una modalit gi adombrata nella
novella. La potenza della letteratura viene ancora riaffermata,
anche come bella menzogna, per bocca addirittura dell'inter-
locutore (la guida spirituale):
Se io ho il vero gi molte volte inteso, ciascuno che in quello s'
dilettato di studiare o si diletta che tu fai, ottimamente, eziandio
mentendo, sa cui gli piace tanto famoso e s glorioso rendere
negli orecchi degli uomini, che chiunque di quel cotale niuna
cosa ascolta, lui e per virt e per meriti sopra i cieli estiman
tenere le piante de' piedi; e cos in contrario, quantunque
virtuoso, quantunque valoroso, quantunque da bene stato sia
uno che nella vostra ira caggia, con parole che degne paiono di
fede nel profondo di ninferno il tuffate e nascondete.
14
Ripreso infine il topos dell'indegnit della donna ("questo
esecrabile sesso femineo"15) per rispetto all'uomo (" ... ottima-
mente si comprender il pi vile, il pi menomo uomo del
mondo, il quale del bene dello 'ntelletto privato non sia, preva-
lere a quella femmina, in quanto femmina, che temporalmente
tenuta pi che alcuna dell'altre eccellente"J6); nonch il topos
della metamorfosi della colomba in serpente (" ... discoprire,
che ella di colomba subitamente divenne un serpente"17). Si
pu perfino osservare l'uso dello stesso verbo ("incapestrare")
per indicare l'indegna servit amorosa.
Il tema della creaturalit, per, si rinforza e d luogo ad un
tipo di satira grandiosa e, per cos dire, definitiva ("La femmina
animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli, e
abominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionarne. Il che se
gli uomini raguardassero come dovessero, non altrimenti an-
drebbono a loro, n con altro diletto o appetito, che all'altre
naturali e inevitabili opportunit vadano; i luoghi delle quali,
posto gi il superfluo peso, come con istudioso passo fuggono,
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DEL DECAMERON 53
cos loro fuggirebbono, quello avendo fatto per che la deficiente
umana prole si ristora, siccome ancora tutti gli altri animali, in
ci molto pi degli uomini savi, fanno. Niuno altro animale
meno netto di lei; non il porco, qualora pi nel loto convolto,
aggiugne alla bruttezza di loro"18); a un tipo di satira, cio, che
toglie per sempre all'oggetto ogni possibilit di riscatto. L'ana-
lisi poi del corpo parte per parte - prima il viso ("verde, giallo,
mal tinto, d'un color di fumo di pantano"19) e successivamente il
seno ("vescica sgonfiata"20), la ventraia ("di larghi e spessi solchi
vergata"21), il sesso ("bocca," "golfo" e "voragine") e l'ano
("borgo di Malpertugio"22) non potrebbe trovar luogo nel De-
cameron. Il gusto della dissezione e dell'anatomia tradisce un
odio del sensibile in generale. qui la differenza rispetto alla
novella, dove la negazione della sciocca natura lascia sempre
aperta una prospettiva che pu essere solo mondana. La Bellez-
za mortificata della novella non affatto annichilata. Essa , per
esempio, presente nella figura dell'altra donna, di ben altro
valore, che ha ora e ricambia l'amore dello scolare. N importa
che nella novella la rappresentazione riguardi la donna sciocca e
che la donna savia non sia pi che una simulazione retorica, un
argomento nel contrasto scolare/vedova. Importa piuttosto
che non sia trasceso l'orizzonte dell' immanenza. Sono invece
solo le Ninfe Castalide, le muse classiche e cristiane, che nel
Corbaccio possono essere promesse come non ingannevoli, se-
condo le parole del mediatore spirituale apparso nel sogno:
Mentre tu sarai ne' boschi e ne' rimoti luoghi, le Ninfe Castalide,
alle quali queste malvage femmine si vogliono assimigliare, non
t'abandoneranno gi mai; la bellezza delle quali, s come io ho
inteso, celestiale; dalle quali, cos belle, tu non se' n ischifato
n schernito, ma loro a grado il potere stare, andare e usare
teco.
23
Il tempo qui quello dantesco; tempo giudicato, tempo senza
divenire. Ed appunto la cornice simbolico-allegorica il pre-
supposto artistico che rende possibile l'estremit della satira. Al
contrario, nella novella, non questione della netta contrappo-
sizione tra due mondi alternativi, uno degradato e uno "celestia-
le," bens di una dialettica tra natura e arte, physis e esperienza.
54
GUIDO GUGLIELMI
Proprio per questo, d'altra parte, la novella non pu pi essere
letta come restituzione di un equilibrio, uguaglianza di beffa e
controbeffa. La modificazione narrativa stabilisce una tempora-
lit problematica, pone una mancanza che ora non pu pi
venire rimossa. Gli eventi non si lasciano pi sottomettere alla
legge di una sincronia o di un ordine - come pi spesso accade
nel Decameron - ma si ordinano dinamicamente. Il soggetto non
appare pi immediatamente interessato alla propria felicit o
infelicit (felicit e infelicit che aristotelicamente conseguono
alle azioni), ma alla definizione di s, alla verifica del proprio
statuto di carattere, alla ricerca della propria verit psicologica.
E come il romanzo (borghese) la novella resta aperta. La sua
stessa carica allucinatoria appena razionalizzata
24
- si veda
l'episodio della fante che alla fine cade rompendosi una coscia
- ancora la spia di un orientamento romanzesco. Il personag-
gio raggiunge il possesso di s, si gratifica di se stesso, ma perde
la pienezza dell'oggetto. E l'insoddisfazione che conclusiva-
men te si genera l'effetto della storici t dell' esperienza, il
riflesso psicologico di una tensione che continua a vigere, di una
dialettica che non pu pi trovare compiuta risoluzione.
GUIDO GUGLIELMI
Universit di Bologna
IT. Todorov, Grammaire du Dcamron (The Hague - Mouton, 1969),
pp. 85 sgg.
p. 42.
'Cfr. E. Auerbach, Mimesis, trad. it. (Torino: Einaudi, 1956), p. 221.
4Todorov, p. 82.
V. Sklovskij, Lettura del Decameron, trad. it. (Bologna: Il Mulino, 1969),
pp. 189 sgg; e V. Branca, "Giovanni Boccaccio rinnovatore dei generiletterari,"
in Atti del Convegno di Nimega sul Boccaccio (28-29-30 ottobre 1975),(Bologna: Ptron
Editore, 1976), pp. 24- 3 5.
bCfr. M. Baratto, Realt e stile nel Decameron (Vicenza: Neri Pozza Editore,
1970), pp. 125 sgg.
7Tutte le citazioni dal Decameron sono tratte dall' edizione a cura di V.
Branca, in Tutte le opere di G. Boccaccio, voI. IV (Milano: Mondadori, 1976).
UNA NOVELLA NON ESEMPLARE DELDgCAMERON 55
8Todorov, p. 46.
9Cfr. R. Scholes e R. Kellogg, La natura della narrativa, trad. it. (Bologna: Il
Mulino, 1970), p.239.
IOCfr. V. Branca, Boccaccio medievale (Firenze: Sansoni, 1975), pp. 127-33; e
Baratto, pp. 164-67.
II Cfr. Baratto, pp. 271-74.
I2Cfr. G. Almansi, "Alcune osservazioni sulla novella dello scolare e della
vedova," in Studi sul Boccaccio, VIII, 1974, pp. 141-43.
DG. Boccaccio, Il Corbaccio, Introduzione, testo critico e note di Tauno
Nurmela (Helsinki: Suonalainen Tiedeakatemia, 1968), p.65.
14/btd., pp. 136-37.
15 Ibtd., p. 76.
16Ibtd., p. 86.
17/btd., p. 89.
18/btd., p. 7I.
19Ibtd., p. llI.
lO/btd., p. 113.
21/bM., p. 113.
22/btd., p. 114.
23Ibid., p. 87.
24Cfr. A. Moravia, "Boccaccio," in L'uomo come fine (Milano: Bompiani,
1964), p. 147.
FOLL Y IN TRE ORLANDO FURIOSO: A
READING OF TRE GABRINA EPISODE
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de' signori;
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
et altri in altro che pi d'altro apprezze.
(XXXIV, 85)1
In Le fonti dell'Orlando Furioso Pio Rajna wrote of the Gabrina
episode: "Non c' forse in tutto il Furioso un episodio che offra
migliore opportunit di indagare i criteri, le tendenze, l'arte
dell'Ariosto."2 We may add to this statement - which reflects
the positivist's preoccupation with the poet's ability to mani-
pulate and transform his sources - that the story of Gabrina
occupies a special pIace in Ariosto' s poem for its thematic ties
with the centraI episode of Orlando's madness. The failure of
critics to perceive these ties may be explained by the still
current tendency to interpret the Furioso only in the light of the
poetics of variation. This tendency is perhaps best illustrated in
these observations by Attilio Momigliano: "L'episodio di Gab-
rina , in certo modo, il rovescio di quelli che occupano le pi
lunghe e le pi grandi pagine del poema: per esempio, del-
l'episodio di Angelica, la splendida donzella a cui tanti farebbero
cos volentieri da cavaliere; e appunto perch ne il rovescio,
conferma l'ideale dell' Ariosto. Il riso di scherno con cui egli
copre quella vecchia bertuccia scortata cavallerescamente, pre-
suppone lo sguardo ammirato che egli posa sopra 'la verginella
simile alla rosa.' La guardia che le fa Zerbino l'affermazione,
strana ma seria, di un dovere proclamato e venerato per tutto il
poema."J Leaving a s ~ d e Momigliano's inaccurate evaluation of
Ariosto's view of Angelica, a view that is at best ambivalent (we
alI recall the lighthearted irony with which the poet treats this
FOLLY IN TRE -'!r.LR]O _____ SO=--___ ____ _
5]
"verginella," and her almost ignominious dismissal from the
poem), I finn untenable his interpretation of Gabrina as a figure
whose main function is to create a contrast between evil and
good, in order that the latter be enhanced. Significantly, Mo-
migliano himself is somewhat perplexed by what he terms Ario-
sto's bizarre representation of the chivalric ideals: "Ma questa
volta l'attuazione di quell'ideale , in gran parte, bizzarra."4 But
then he remarks: "Il caso, che nel Furioso signore non meno
che l'ideale, vuole che questa volta il dovere cavalleresco sia, pi
che duro, brutto. Il caso non poi altro che la fantasia cangiante
dell' Ariosto, la quale trasporta la sua anima nelle pi diverse
contrade e la veste degli abiti pi diversi; ma in fondo questa
rimane sempre una nobile creatura, innamorata della forza,
della lealt, della bellezza e dell'amore."5
Here the critic fails to see that Ariosto, with the absolute
control of the omnipresent poet, is consciously contrasting
Gabrina with Zerbino in order to create a tension betweenher
ever-changing schemes and the knight' s obstinate adherence to
his code. In the exordium of Canto XXII (3) Ariosto clearly
states that he has dared sing of Gabrina because "l'ordinata
istoria cos vuole." The episode of Gabrina is therefore part of
an order of which the poet is the prime mover. We cannot then
speak, as Momigliano does, of a contrast between Ariosto's
fantasy and his soul's most intimate ideals, duly projected into
his poetic creation as chance and chivalric ideals; nor can we
conclude with him that in this episode Ariosto ultimately focus-
es his attention on these ideals because he firmly believes in
them. What is significant here is that the obstinacy, the single-
mindedness with which the knights live out their ideals, and
which the poet:persona
6
declares to share, is tested for its
validity, for its sanity, by being measured against attitudes and
values like those of the wicked Gabrina. I t has been aptly
observed that "Ariostois constantly examining experience with
experience; he is constantly turning attitudes, statements,
codes, visions - in short, appearances, words - back upon
themselves. "7
58
FRANCO M A S ~ A R O
As we now turn to the Gabrina episode, our task is to
closely follow the play of circumstances, the juxtaposition of
events, and to bring to light the fine, vital threads that connect
this episode to the poem's center. We shall pay particular
attention to those crucial signals by means of which Ariosto,
using a variety of expressive devices, suggests that we refocus
our lens and look through the eyes of the code-bound knights
(and those of the poet-persona), as well as through the eyes of
the omnipresent poeto
1
After her brief appearance at the end of Canto XII, where
we find her in a grotto guarding Isabella for a band of robbers,
Gabrina comes into full view in Canto XX, when she encounters
Marfisa. From this point until her death at the hands ofOdorico
(XXIV, 45), we follow her through a series of adventures during
which she manages to escape punishment for her crimes, partly
because of her cunning, but mainly because of the rigid norms
governing the chivalric world in which she moves. Rer survival,
we gradually discover, is directly dependent on the knights'
failure to go beyond conventions and appearances. To them, in
spite of her ugliness and her crimes, she remains a lady to
protect.
Marfisa first sees Gabrina as a helpless old woman:
Quivi lungo un torrente, in negra gonna
vide venire una femina antica,
che stanca e lasa era di lunga via,
ma via pi aflitta di malenconia.
(XX, 106)
The sympathetic nature of this representation acquires greater
relief against the dry commentary of the poet:
Questa la vecchia che solea servire
ai malandrin nel cavernoso monte,
l dove alta giustizia fe' venire
e dar lor morte il paladino conte.
La vecchia, che timore ha di morire
per le cagion che poi vi saran conte,
FOLty-m----mEu ORl:ANJXr-PUIUOSO
gi molti d va per via oscura e fosca,
fuggendo ritrovar chi la conosca.
59
(XX, 107)
The narrator has suddenly shifted from the past to the present,
and has sharply contrasted theexpressions: la vecchia and una
femina antica; via oscura e fosca and lunga via; va ... fuggendo and
(vide) venire. Furthermore, he has contrasted the landscapes
against which Marfisa and Gabrina are respectively delineated:
Marfisa is represented against the luminous background of a
sunny mountain ("e venne a pi d'una montagna aprica," 106);
while Gabrina is placed against the background of a dark road (a
via oscura e fosca"). This process of differentiation reaches a
subtler degree of effectiveneses when the two figures are brought
into the same landscape: we see a torrent when the focus is on
Gabrina ("Quivi lungo un torrente ... " 106; "si ferm al guado
... al guado del torrente ... " 108), and a little river when out
attention turns to Marfisa ("di l dal fiumicel seco la trasse,"
109). A further transformation occurs at the approach 'ofPina-
bello, when the narrator speaks of a river ("verso il fiume venia .
. . " 110).8 All this clearly suggests the dual viewpoint from
which Gabrina is seen:' one is that of the chivalrous Marfisa
(" che gentil fu da che nacque," 1 09); the other, that of the poet,
who knows the real Gabrina and her dark crimes, and represents
in the landscape a reflection of her interior world. As fiumicel
corresponds to Marfisa' s kind nature, torrente constitutes a pro-
jection of Gabrina's wickedness. We can thus perceive, but
with an immediacy that permits a kind of double vision of the
same object, what happe'ns in Marfisa and to Marfisa.
9
The contrasting views of Gabrina provide the creative plat-
form for the scene of Marfisa and Gabrina's encounter with
Pinabello and his lady. When Pinabello's beautiful but haughty
companion ("tutta d'orgoglio e di fastidio piena," 110) cannot
refrain from mocking Gabrina, Marfisa retorts that the old
woman is more beautiful than she, and offers to prove it by due!.
Pinabello is easily defeated by the valiant Marfisa, and, as
agreed, his lady surrenders her gown and her horse to Gabrina.
The poet's final comment is that the old woman, now that she is
60

ornately dressed, is uglier than ever (" che quant' era pi ornata
era pi brutta," 116). This conclusive note might suggest that the
essentially comie scene is built around Gabrina. The centrality
of this figure, however, is passive, being important for the
reactions it causes in those who come in contact with it. The
enti re scene is also finely veined by an irony that touches
Pinabello and his lady, as well as Marfisa, to different degrees. In
their relation to Gabrina, none of them is aware of her true
character. Each, for different reasons, acts in a way that is
discordant with the vie w of the poet and the reader. Both know
that Gabrina is escaping a death that is deemed a just one - as
just, at least, as the death Orlando (sent by "alta giustizia," 107)
brought upon the robbers Gabrina has served.
Pinabello's companion, following her impulse ("non si pot
tenere a bocca chiusa," 113), reacts to the mere appearance of
Gabrina and, misjudging Marfisa' s ability to retaliate, suffers an
unexpected humiliation. Pinabello, fixed in his role of the
knight who unconditionally defends his lady, does not question
her arrogance and miscalculations, and unhesitatingly engages
in the duel proposed by Marfisa. Finally, theproud Marfisa, who
cannot let any form of outrage go unchallenged ("Marfisa altier,
appresso a cui non s'usa/sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa,"
113), is also under the attack of Ariosto's light but inexorable
irony. Adhering to the chivalrie conventions, she unknowingly
defends one who deserves a much greater punishment than
mere ridicule.
We cannot faH to note, however, that Marfisa, unlike Pina-
bello and his lady, escapes Ariosto's irony, and in fact interprets
it, when she introduces an element of play in a situation that
would otherwise run the risk of becoming too serious. She
accomplishes this by establishing the rules and setting the stakes
for the game into whieh Pinabello and his companion are so
easily drawn and entrapped. It is through this element, which is
closely dependent on chance, that she infliets upon them a just
and appropriate punishment; and - with another fine twist of
Ariosto's ever-changing and unpredictable irony - it is with the
same playfulness that, after having protected Gabrina from
FOLL Y IN TRE ORLANDO FURIOSO
61
ridieule, she exposes her to an even greater one when she makes
her wear the ornate gown that Pinabello' s lady has had to
surrender (115-116).
In the scene of Marfisa and Gabrina's encounter with Zer-
bino, Ariosto concentrates his irony on-the latter, while Marfisa,
who is now clearly portrayed as being in full controI of circum-
stances and taking conscious pleasure in her pIayfulness (cf.
XX, 121: "Mostr turbarse l'inclita donzella,/per prenderne
piacer, come si prese ... "), becomes the very vehicle of that
irony.
Zerbino, before meeting Marfisa and Gabrina, has unsuc-
cessfully chased the man who, by wounding the fair Medoro, has
prevented him from performing a great act of chivalry (cf. XIX,
13-14). While still angered for having failed to attain a just
vengeance, he cannot control his laughter at the sight of Gabri-
na:
Non pot, ancor che Zerbin fosse irato,
tener, vedendo quella vecchia, il riso;
che gli parea dal giovanile ornato
troppo diverso il brutto antiquo viso;
et a Marfisa, che le venia a lato,
disse: - Guerrier, tu sei pien d'ogni aviso,
che damigella di tal sorte guidi,
che non temi trovar chi te la invidi.
(XX, 119)
The incongruent figure of Gabrina momentarily intersects and
dissolves Zerbino's world of chivaIrous deeds. Ris laughter, as
the expression of the uncontrollable, irrational side of life,
constitutes an eloquent ironie comment to his recent failure to
be chivalrous and avenge what he believes to be the death of
Medoro.
Unaware that Marfisa is as skilfuI with words as with arms,
Zerbino begins to banter her, and in the end loses at his own
game. Through a careful manipuIation of words Marfisa suc-
ceeds in convincing him to accept her challenge to joust and
agree toher terms. Re is dismounted, and as agreed Gabrina is
FRANCO
entrusted to him (121-127). From point until he forces
Odorico to accompany her, Zerbino will be torn between his
desire to be rid of Gabrina and his unswerving adherence to the
chivalric code which demands that he unconditional1y keep the
promise made to Marfisa.
It is in Canto XXI that Ariosto dramatizes Zerbino's dilem-
ma, and the underlying theme of folly. Let us first direct our
attention to the exordium, for it is here that we find that
dilemma c1early enunciated:
N fune intorto creder che stringa
soma cos, n cos legno chiodo,
come la f ch'una bella alma cinga
del suo tenace indissolubil nodo.
N dagli antiqui par che si dipinga
la santa F vestita in altro modo,
che d'un vel bianco che la cuopra tutta:
ch'un sol punto, un sol neo la pu far brutta.
La fede unqua non debbe esser corrotta,
o data a un solo, o data insieme a mille;
e cos in una selva, in una grotta,
lontan da le cittadi e da le ville,
come dinanzi a tribunali, in frotta
di testimon, di scritti e di postille,
senza giurare o segno altro pi espresso,
basti una volta che s'abbia promesso.
Quella serv, come servar si debbe
in ogni impresa, il cavallier Zerbino:
e quivi dimostr che conto n'ebbe,
quando si tolse dal proprio camino
per andar con costei, la qual gl'increbbe,
come s'avesse il morbo s vicino,
o pur la morte istessa; ma potea,
pi che 'l disio, quel che promesso avea.
(XXI, 1-3)-
There is no doubt that this exordium is serious, as Momigliano
has observed;lo however, we must note that the one whose
ideals are here identified with those of Zerbino is the poet-
persona, the narrator-actor, who enters the world of the charac-
ters and shares the well-established attitudes and norms that the
FOLLY IN THE QRLANDOEllR10SQu--
-63--
poet is constantly contrasting to the irrational, unpredictable
forces of life. .
By emphasizing the distinction between the poet and the
poet-persona, I do not wish to suggest that there is a great,
unbridgeable distance between the two, and that the former
altogether denies the ideals upheld by the latter. What the poet
rejects is not so much the substance of those ideals, but rather
the categorical, axiomatic manner in which they are stated and
prescribed. His irony is directed at the often obsessive inflexi-
bility with which the man of single vision
ll
clings to his ideals,
deluding himself that they will always apply, no matter what the
circumstances ("in ogni impresa," as the poet-persona states in
the exordium). As has been correctly pointed out, "Ariosto has
definite moral norms by which he measures beliavior ... But he
does not preseht these norms asdogmas, as Imperatives; in fact,
he does notpresent them at alI. Like everything in Ariosto, they
appear oblique1y, as implicit yardsticks to measure our vanity
and delusions."12We may add that what is truly definite about
these norms, and what determines their validity, is that they are
open to revision, as often as is required by the ever-changing
play of life. As the last of the lines we have chosen for our
preface clearly suggests ("et altri in altro che pi d'altro apprez-
ze"), for Ariosto the 10ss of reason, of sanity, occurs not because
the pursuit of a given object may be inherently destructive, but
because it excludes the consideration of other objects, of other
va1ues. Folly is thus identified with the failure to perceive
reality as a fluid, constantly changingsystem ofrelationships, and to
measure one value against another, one possible choice against
another.
As we turn once again to our text to follow Zerbino's
misadventures, we discover more striking evidence ofhis inabil-
ity to re-examine his norms, despite their disastrous conse-
quences. When he and Gabrina meet Ermonide ofHolland, the
old woman, with a sudden change of mood, humbly asks Zerbi-
no to protect her from the knight, who, she says, is her enemy
and has killed her father and her brother. Zerbino, indifferent
to her story and to the question of its veracity, takes on his fixed
~ C O M A S ~ A R O
role of the protecting knight with this reply:
Fin ch'alla guardia tua, donna, mi senti,
... non vo' che tu paventi.
Meanwhile Ermonide has drawn nearer:
Come pi appresso il cavallier si specchia
in quella faccia che s in odio gli era:
- O di combatter meco t'apparecchia, -
grid con voce minacciosa e fiera
- o lascia la difesa de la vecchia,
che di mia man secondo il merto pra.
Se combatti per lei, rimarrai morto:
che cos avviene a chi s'appiglia al torto.
(XXI, 6)
(XXI, 7)
Zerbino, without questioning the knight's claim that Gabrina
deserves to be put to death, remains firm in his conventional
role of the knight who must defend a lady (he speaks in fact of
una donna, unlike Ermonide, who refers to Gabrina with the
pejorative la vecchia), and answers with an appeal to the chivalric
code:
Zerbin cortesemente a lui risponde
che gli desir di bassa e mala sorte,
et a cavalleria non corrisponde
che cerchi a dare ad una donna morte ...
(XXI,8)
This appeal proves to be fruitless; and with the necessity
dictated only by convention the two knights are forced into
battI e: "e fu bisogno al fin venire a' fatti" (9). Ermonide is
wounded, and when Zerbino go es near to comfort him, he
begins to narrate the story of Gabrina and of her crimes.
Before we examine the salient aspects of this story, a few
observations about Ermonide are in order. As we attempt to
reach the vantage point from which the poet views his charac-
ters and theit particular folly, and as we strive to perceive the
fine irony that is closely dependent on that view, we must not
faH to note that Ariosto's irony is directed not only at Zerbino,
FOLL Y IN THE ORLANDO FURIOSO
but at Ermonide as well, and essentially for the same reasons. To
be sure, Zerbino is the primary target; but Ermonide is not
spared a substantial measure of that irony. While he is clearly
depicted as the victim, he is also portrayed as one who, much
like Zerbino, is the cause of his own misfortunes. As he de-
mands that Zerbino either surrender Gabrina to him or be ready
to duel, Ermonide is confident that he will overcome his adver-
sary simply because he has faith in the old axiom of the chivalric
world, according to which whoever fights for an unjust cause is
always defeated ("Se combatti per lei, rimarrai morto:/che cos
avviene a chi s'appiglia al torto" (7. As we witness his defeat,
we can once again measure the distance that separates the
knights' idealistic view of life from life as it really is - that is to
say, in Ariostean terms, life as ever-changing, unpredictable
flux.
2
The story that Ermonide narrates constitutes the core of
the episode we are studying. It is here that the theme of folly is
represented, however obliquely, in its most intense, dramatic
formo As Ermonide sets out to describe Gabrina's wickedness,
he emphasizes the firmness ofhis brother Filandro in his loyalty
to Argeo (Gabrina' s husband):
Ma n s saldo all'impeto marino
l'Acrocerauno d'infamato nome,
n sta s duro incontra borea il pino
che rinovato ha pi di cento chiome,
che quanto appar fuor de lo scoglio alpino,
tanto sotterra ha le radici; come
il mio fratello a' prieghi di costei,
nido de tutti i vizii infandi e rei.
(XXI, 16)
This is undoubtedly a powerful representation of Filandro's
character and of his noble resistance to the lustful Gabrina.
What contributes to its elevated style is of course the presence
of classical reminiscences - Horace (Corm. I, iii, 20) for ~ h e
66 FRANCO M A S ~ A R O
image of the Acroceraunus rock; and Virgil (Aen. IV, 445-46)for
that of the tre e (an oak in the Latin poem). This allusion to the
Aeneid is' especially effective, for it brings to mind a situation
somewhat similar to the one Ermonide is describing. Virgil's
image of the oak tree serves to represent Aeneas' firm resolve to
embark on 'his fateful journey to Latium, despite Dido's entrea-
ties that he remain. ButAeneas, unlike Filandro, is unmoved by
the pleas that come not from a woman he despises but from one
he loves; and, most importantly, his firmness is a response to a
divine injunction and involves not merely his personal destiny,
but also the destiny ofRome. By comparison, Filandro's drama
must appear obviously overstated. By suggesting this flattering
similarity Ariosto has of course interpreted Ermonide's high
esteem of his brother's steadfastness. Re knows too well that
this firmness, so eloquent1y praised by Ermonide, is the very
cause of much of the evil that Ermonide simplistically attributes
to Gabrina alone.
The very image of the rock, with which Ermonide gives
shape to Filandro's constancy, may reveai the negative facet of
this noble quality, as soon as we recall that it is with a similar
image that Ariosto represents the first manifestation of Orlan-
do' s madness:
Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto
quello infelice, e pur cercando invano
che non vi fosse quel che v'era scritto;
e sempre lo vedea pi chiaro e piano:
et ogni volta in mezzo il petto afflitto
stringersi il cor sentia con fredda mano.
Rimase al fin con gli occhi e con la mente
fissi nel sasso, al sasso indifferente.
(XXIII, 111)
In this metamorphosis (the expression "al sasso indifferente"
means "non differente dal sasso")!3 Orlando is literally repre-
sented as the "supreme exponent of single vision."14 The
paladin's obsessive lo ve for Angelica, and his inability to accept
the unconventional in life - Angelica's falling in love not with a
noble knight but with a humble soldier - are emphasized not
only by the obvious analogical correspondence between his
FOLLY IN THE ORbANOOFlJRI()s() ... -. ---------4---
inability to change and theinertness of the stone, but also by the
mirror-like repetition of the word sasso. The drcularity of the
subject-object relationship prec1udes the possibility of change,
and results instead in the identity of the subject and the object,
and therefore in the obliteration of the self.
The word sasso (and its synonyms) - which is distinctly
present in Petrarch (cf. Canzo 243, 13: "Tu paradiso, i' senza cor
un sasso"; and espedally 366,111: "Medusa e l'errar mio m'n
fatto un sasso") - appears in the Furioso as a mot-cl in contexts
of temporary, partial madness. An example that immediately
comes to mind is that ofOlimpia, who, having been abandoned
by Bireno, stands on a rock with her eyes fixed on the sea:
Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare
n: men d'un vero "asso, un sasso pare.
(X, 34)
Another example is in Canto I, 39. Sacripante, fearing that
another lover has possessed the elusive Angelica, seems to be
transformed into astone:
e in un suo gran pensier tanto pentra,
che par cangiato in insensibil pietra.
More striking still, since she is usually the cause of others' folly,
is the temporary insania of Angelic that we find in Canto VIII
(38- 39):
fermossi in atto ch' avria fatto incerto
chiunque avesse vista sua figura,
s'ella era donna sensitiva e vera,
o sasso colorito in tal maniera.
Stupida e fissa nella incerta sabbia,
coi capelli disciolti e rabuffati ... l'
As we return to the story of Filandro, we observe that the
crudal test ofhis inflexibility comes at the moment he discovers
68 FRANCO MASOANDARO
that, deceived by Gabrina, he has killed his friend Argeo and not
Morando:
Pien di paura e di dolor rimase
Filandro, poi che del suo error s'accorse.
Quasi il primo furor gli persuase
d'uccider questa, e stette un pezzo in forse:
e se non che ne le nimiche case
si ritrov (che la ragion soccorse),
non si trovando avere altr'arme in mano,
coi denti la stracciava a brano a brano.
(XXI, 52)
It is at this point, when it is obviously too late, that he becomes
aware of his error and impulsive1y wants to kill the treacherous-
Gabrina. However, he seems to regain his reason ('la ragion
soccorse"), here identified with the recognition of a necessity
dictated by the situation itself and not by his code of honor.
This necessity receives special emphasis in stanzas 49-51. In the
first Filandro's evaluation of the present circumstance is com-
pared to a vessel that, tossed about by two contrasting winds, is
finally driven by the strongest. The second stanza states that
reason showed Filandro how by killing Gabrina he would be
exposing himself to great danger and to an infamous end; and,
finally, that his firm resolve to punish Gabrina was overcome by
his fear:
Pur finalmente ne l'afflitto cor
pi de l' ostinazion pot il timore.
(XXI, 50)
The third stanza opens with Ermonide's observation that the
fear of an unseemly death made Filandro promise Gabrina that
he would comply with all her wishes; and it c10ses with this
remark:
Cos per forza colse l'empia il frutto
del suo disire, e poi lasciar quei muri.
Cos Filandro a noi fece ritorno,
di s lasciando in Grecia infamia e scorno.
(XXI, 51)
FOLL Y IN THE ORLANDO FURIOSO
We can easily note here that Filandro could have avoided
killing his friend, if only he had discovered that this force, this
necessity, by which he later justifies his yielding to Gabrina, was
also at work when he first faced her demands. Ermonide' s
conclusion "pi de l' ostinazion pot il timore" could have
applied equally to that early problematic circumstance. The
very word ostinazion acquires special significance as soon as we
recall that it was used (in its adjectival form) by Gabrina to
characterize Filandro's loyalty to Argeo:
Di questo s ostinato tuo rigore
la gran merc che tu guadagni, or tolli:
in prigion sei, n crederne uscir fuore,
se la durezza tua prima non molli.
(XXI, 31)
When he rejected Gabrina's demands, obstinate in his loyalty to
his friend, Filandro had shown no concern for dishonor and an
infamous death - the very things that later constitute what he
values most, and that force him to overcome his obstinacy to
kill Gabrina and to give in to her demands.
After his capitulation to Gabrina, Filandro appears some-
what less than noble. His initial defiance of dishonor and death
was due less to a firm belief in absolute justice than to his
preoccupation with a theatrical self-immolation, which he be-
lieved would prove his loyalty to Argeo (cf. stanzas 32 and 33).
In fact, after he unintentionalIy kilIs his beloved friend, and
thereby loses his "audience," the dishonor and death that earli-
er he was prepared to suffer stoicalIy, is viewed by Filandro as
something more unbearable than surrendering to Gabrina's
lust. In both cases -and this also applies to his melodramatic
defiance of infamy and of a dishonorable death - he is driven by
a preoccupation with appearances: first with Argeo's honor,
and then his own. The greater his efforts to escape dishonor,
the more he brings it upon himself; for notwithstanding his
repeated attempts to preserve appearances, he is alI the more
deeply involved in quite substantial acts.
In the light of these observations, what we have earlier
interpreted as Filandro's recovery of reason is revealed instead
FRANCO MASOANDARO
as something accidental. Filandro remains essentially unchanged,
true to his self-image, "quale/sempre fui, di sempre essere ho
proposto" (XXI, 45). As a man ruled by conventions, he cannot
break the promise made to Gabrina, thus adopting for a just end
the very standard that she has adopted to accomplish her evil
deeds. She had in fact proclaimed such a standard to Filandro
himself:
Promesso gli ho, non gi per osservargli
(che fatto per timor, nullo il contratto).
(XXI, 43)
The wicked unlike the noble Filandro, obviously has a
good grasp of the distinction between appearance and reality.
Filandro's inability to break away from a formalistic observance
of rules makes him vulnerable to Gabrina' s schemes, and finally
costs him his life (XXI, 58-66).
With Ermonide's narration coming to a dose (XXI, 67),
once again the attention focuses on Zerbino. As we study his
reaction to the story, we observe that he has learned little from
its facts: unable to correlate the dark crimes of Gabrina with the
unshakable loyalties ofFilandro, he has acquired no perspective
which could bring him into the center of the picture and enable
him to evaluate his own noble but disastrous ideals. Because of
his steadfast resolve to accompany Gabrina, Zerbino is impri-
soned and condemned to death (XXIII, 39-51); but he is saved
by the providential intervention of Orlando, who happens by in
the company of Isabella (53 ff.).
Gabrina's last appearance in Canto XXIV (35-45) marks the
end of her episode. Zerbino, undecided as to what punishmeht
to inflict upon Odorico, for having betrayed him by attempting
to seduce Isabella, sees Gabrina approach on a bridleless horse.
He views the encounter as providential, and decides to entrust
Gabrina to Odorico for a year (with the agreement that if he
should abandon her before the year expires he would be put to
death). This decision is an unmistakable sign of a recovery of
prudence, for he overcomes his obstinacy to his promise
by yielding to chance - that is, to the reasons dictated by a
FOLL Y IN TRE ORLANDO FURIOSO
1----------
7_
1
------
confluence of events. In the game in which Odorico and Gab-
rina are to be the players he shows the same playful freedom we
have detectecl. in Marfisa. The outcme of this game proves the
validity of Zerbino's choice of punishment 'and of his breaking
the promise made to Marfisa:
Scrive l'autore, il cui nome mi taccio,
che non furo lontani una giornata,
che per torsi Odorico quello impaccio,
contra ogni patto et ogni fede data,
al collo di Gabrina gitt un laccio,
e che ad un olmo la lasci impiccata;
e ch'indi a un anno (ma non dice illoco)
Almonio a lui fece il medesmo giuoco.
(XXIV, 45)
Justice is done by virtue of a negation of the chivalric ideals
upheld by Zerbino and categorically described in the exordium
to Canto XXI. 16 Gabrina is punished for her crimes by one who
has acted contra ogni patto et ognifede data, and has refused to play
the game imposed on him by Zerbino: a telling comment on the
Gabrina episode and its underlying theme of folly. The justice
that Odorico unwittingly carri es out cannot be identified with
the "alta giustizia" of which Orlando is the champion, for it is
attained by rejecting a code and by opposing to Zerbino' s game
another giuoco. This word most appropriately characterizes the
just punishment inflicted by Odorico upon Gabrina and theone
that he in turn receives from Almonio. Justice is not achieved in
a conventional manner, but through the free play of unpredict-
able forces that now, if we glance back, we can easily recognize
in the image of Gabrina carried by a bridleless horse.
l7
Equally significant is Ariosto's owngiuoco of introducing an
imaginary author to reveal the conclusion of the story of Gab-
rina: "Non si legge in Turpin che n'a vvenisse;/ ma vidi gi un
autor che pi ne scrisse ... " (XXIV, 44). This suggests that a
conventional author - such as Turpino, or the equally conven-
tional poet-persona - would have found such a conclusion
incoherent in a story whose ostensible aim was to demonstrate
the wisdom of keeping faith, no matter what the circumstances
("in ogni impresa," XXI, 3).
7
2
FRANCO M A S C ~ A R O
3
The signifieance of the theme of folly in the Gabrina epi-
sode is underlined by the presence of the same theme in adja-
cent episdoes.
18
In the episode of the women of Crete (XX, 1-
97) the women's cruel laws are perpetuated as long as the
knights who have fallen into their hands, and have been saved by
their valor "ne l'amoroso giuoco,' do not break the sworn
promise (31). The confliet between convention and reality is
resolved by the intervention of the unpredietable, the irration-
al, expressed here by the terrifying sound of Astolfo's horn (87
ff.).
In the episode that intersects the story of Gabrina in Canto
XXII, Pinabello and his lady, to avenge themselves for the
humiliation suffered as a result of Iosing Marfisa's game (XX,
120 ff.), impose a similar game on Aquilante, Grifone, Sansonet-
to and Guidon Selvaggio (XXII, 53-54). Chance and magie
dissolve this artificial situation, as the lance of Grifone acciden-
tally uncovers Ruggiero' s magie shield:
Chi di qua, chi di l cade per terra:
lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia,
ma fa che ogn'altro senso attonito erra.
(XXII, 86)
Ruggiero, ashamed of this inglorious victory, do es not realize
that the magie effect of his shield has proved providential, for it
has enabled him to save Bradamante's brother Rieciardetto in
time. Overcome by shame, he buries the shield in a deep well
(91-2).
Retrospectively, we find a signifieant comment to this scene,
and to the Gabrina episode, in the little episode of Astolfo that
immediately precedes it: Astolfo succeeds in destroying Atlan-
te's palace by ensnaring the magician in his own web of deceit
and illusion (XX, 16-23). Astolfo's prudence and sanity are
revealed by his adaptability to circumstances and his willingness
to play the game into whieh chance thrusts him. Of all the
knights of the Furioso he is in fact the most versatile and the one
who undergoes the most drastic changes: he alone experiences
FOLLY--IN TIiE ORLANDO FURIOSO
73
both the fixity of a tree (into which he is transformed by Al cina)
and the mobility and the lightness of flight (in his journey to the
moon on the hippogryph).
The last, and most important, of the episodes we are to
discuss is of course the episode of Orlando' s folly The correla-
tion between this episode and the episode of Gabrina is especi-
aUy evident in this stanza:
Non son, non sono io quel che paio in viso:
quel ch'era Orlando morto et sotterra;
la sua donna ingratissima l'ha ucciso:
s, mancando di f, gli ha'fatto guerra.
lo son lo spirito suo da lui diviso,
ch'in questo inferno tormentandosi erra,
acci con l'ombra sia, che sola avanza,
esempio a chi in Amor pone speranza.
(XXIII, 128)
At the moment of madnesss, of the dissociation of the self,
Orlando sees himself as a victim of a broken promise. It seems
that it is the very idea of Angelica's breaking faith, more perhaps
than the idea of the loss of her love, that causes his foUy.
Orlando's folly, like the foUy of Filandro and Zerbino, is
defined by Ariosto essentially as an obsessive, sterile adherence
to the chivalric code, which prevents him from accepting the
unpredictable but sane world of chance. The wisdom and
prudence characteristic of Astolfo are identified with a moment-
to-moment adaptability to Fortune's whims and with a willing-
ness to play out the comedy of life. 19 It is of this 'prudence that
Erasmus speaks in his Praise 0/ Folly:
As nothing is more foolish than wisdom out of pIace, so nothing
is more imprudent than unseasonable prudence. And he is
unseasonable who do es not accomodate himself to things as they
are, who is "unwilling to follow the market," who does not keep
in mind at least that rule of conviviality, "Either drink or get
out"; who demands, in short, that the play should no longer be a
play. The part of a truly prudent man, on the contrary, is (since
we are mortaI) not to aspire to wisdom beyond his station, and
either, along with the rest of the crowd, pretend not to notice
anything, or affably and companionably be deceived.
20
74
FRANCO M A S ~ A R O
The fol1y of Orlando is alI the more serious in that the
deception he is unable to accept is more a product of his
delusion than of Angelica's treachery. For the promise of
fidelity he feels she has broken was in reality never given.
Angelica, in fact, is more evasive than truly deceptive - her
evasiveness being, in the final analysis, the projection and the
embodiment of Orlando's own unwillingness to possess her. l
By failing to see Angelica as a real woman, it is he who makes her
evasive and unattainable, as this octave clearly reveals:
Dove. speranza mia, dove ora sei!
vai tu soletta forse ancor errando?
o pur t'hanno trovata i lupi rei
senza la guardia del tuo fido Orlando?
e il fior ch'in ciel potea pormi fra i dei,
il fior ch'intatto io mi venia serbando
per non turbarti, ohim! l'animo casto,
ohim! per forza avranno colto e guasto.
(VIII, 77)
Ariosto dramatizes Orlando's self-deception by introducing
Gabrina in the large picture of which the paladin' s folly is the
center. When we hear Orlando speak of Angelica's cruelty and
deception (,'la sua donna ingratissima l'ha ucciso," "s, mancan-
do di f, gli ha fatto guerra"), we see her suddenly transformed
from a "verginella simile alla rosa" into a perverse woman. We
see Angelica and immediately think ofGabrina, the deceiver par
excellence. This juxtaposition helps us fathom the depth of
Orlando's despair, but it also draws us, if only momentarily, into
the self-deception and the distortions of his imania.
It is Ariosto's intention that we, his readers, identify with
Orlando and react as the poet-persona do es when, for example,
he comments on Orlando's last encounter with Angelica and on
her narrow escape from his blind furor:
Avrebbe cos fatto, o poco manco,
alla sua donna, se non s'ascondea;
perch non diseernea il nero dal bianco,
e di giovar noeendo si eredea.
Deh maladetto sia l'anello et aneo
il cavalier che dato le l'avea!
FaI I Y IN THE OR l A NDO __ _ _ ___ -----'-75
che se non era, avrebbe Orlando fatto
di s vendetta e di mill'altri a un tratto.
N questa sola, ma fosser pur state
in man d'Orlando quante oggi ne sono;
ch'ad ogni modo tutte sono ingrate,
n si trova tra loro oncia di buono.
(XXIX, 73-74)
But it is just as much Ariosto's intention that we share the poet-
persona' s recovery of reason, of prudence, and the new perspec-
tive that accompanies this recovery. We are thus invited to say
with him:
Quando vincer da l'impeto e da l'ira
si lascia la ragion, n si difende,
e che '1 cieco furor s inanzi tira
o mano o lingua, che gli amici offende;
se ben dipoi si piange e si sospira,
non per questo che l'errar s'emende.
Lasso! io mi doglio e affligo invan di quanto
dissi per ira al fin de l'altro canto.
(XXX, 1)
In this perspective we can no longer see Angelica, or anyone
like her, as cruel and perverse, as a Gabrina; nor can we dee m it
just that she meet death at the hands of the furious Orlando. It
is the wise Ariosto who devises what is a truly just end for
Angelica: her unexpected, unconventionallove for Medoro. A
"punishment" that is as just, and as unpredictable, as the giuoco
that Odorico plays out to put an end to Gabrina.
FRANCO MASCIANDARO
oJ California, Los Angeles
'Ludovico Ariosto, Or/ane/o FlIrio,w, a cura di Lanfranco Ca retti (Milan-
Naples: Ricciardi. 19')4), Ali subsequent references are from this edition.
'Pio Rajna. Le/onti c/cII'Or/ando Furioso (Florence: Sansoni. 2nd ed .. 19(0). p.
:'3l).
'Attilio Momigliano, Saggio .l'ti l' "Orlando FuriOJo" (Bari; Laterza, 4th ed"
19'\2), pp. ;\ similar interpretation has been recently offered by Renzo
Negri in a brief chapter ofhis Interpretazione del!' "Orlando Ftm'oJo" (Milan: Marzo-
rati.1(71), pp. 7'\-79. Here. as in Momigliano's Saggio, no attempt is made to
FRANCO M A S ~ A R O
study the thematic links between the episode of Gabrina and the episode of
Orlando's foUy.
4Momigliano, p. 217.
5 IMI.
6Cf. I, 2; XXIV, 3; XXXV, 1-2. F or a detailed examination of the role of the
poet-persona in the Furioso see Robert Durling, The Figure 0/ the Poet in Renaissance
Epic (Cambridge, Mass.: Harvard Univo Press, 1965), pp. 112-81passim. Later in
this paper I shall touch upon the crucial distinction between the poet-persona
and the poeto
7 A. Bartlett Giamatti, The Earthly Paradise and the Renaissance Epic (Princeton,
New Jersey: Princeton Univo Press, 1966), p. 138.
8This special function of the landscape has been previously pointed out, in
connection with other epsiodes of the Furioso, in Franco Betti's perceptive
"Annotazioni sul paesaggio nell'Orlando Furioso," ltalica, 45,3 (1968), 329-44.
9 Ariosto's preoccupation with what happens in a character has received
special attention in Fredi Chiappelli's "Sul linguaggio dell' Ariosto," Atti dei
Cont!egni Lincei (Rome: Accademia Nazionale dei Lincei, 1975), 33-48.
IOMomigliano, p. 217: "Certo, il proemio che ho ricordato serio ... " On
Ariosto's systematic use of exordia Edoardo Saccone has rightly observed:
"Qual infatti la funzione specifica degli esordi? Non certo e non tanto - come
pure assai semplicisticamente potrebbe essere, ed stato infatti a volte supposto
- quella di fornire la morale della favola, o, per dir meglio, il significato della
lettera. In realt, al contrario, ci che importa altrove." E. Saccone, Il soggetto
del "Furioso" (Naples: Liguori, 1974), p. 225.
III am borrowing this expression from D. S. Carne-Ross, who, in his "The
One and the Many: a Reading of Orlando Furioso, Cantos 1 and 8," Arion, 5
(Summer 1966), 232, accurately applies itto Orlando: "Orlando gives his name
to the poem because he is the supreme exponent of single vision in a universe
where only multiple vision will serve."
12Giamatti, The Earthly Paradise, p. 139.
LlSee Lanfranco Caretti's note in L. Ariosto, Opere Minori, ed. Cesare Segre
(Milan-Naples: Ricciardi, 1954), p. 998.
14See above, n. 11. Cf. A. Bartlett Giamatti's "Sfrenatura: Release and
Restraint in o. F. ," in Ariosto 1974 in America: Atti del Congresso per il Centenario
Ariostesco alla Columbia University. Ed. Aldo Scaglione (Ravenna: Longo, 1976).
15Cf. also "che statue immote in lito al mar pareano," said of the women
from Crete after they have been abandoned by their men (XX, 22).
16For Ariosto's concern with sin and its just retribution seeJulius A. Molina-
ro's "Sin and Punishment in the Orlando Furioso," MLN, 89 (1974), 35-46.
Equally valuable are the pages that Ulrich Leo has written on Ariosto's "punish-
ment" of Angelica, in "Angelica ed i miglior plettri." Appunti allo stile della Controri-
forma, Schriften and Vortriige des Petrarca-Institutes, Kln, 4 (Krefeld: Scherpe-
Verlag, 1953), pp. 5-10.
I70n the unbridled horse as an image of release see A. Bartlett Giamatti's
"Headlong Horses, Headless Horsemen: An Essay on the Chivalric Epics of
fJKbti\lDO FURIOSO 77
Pulci, Boiardo, and Ariosto," in Italian Literature, Roots and Branches. E.r.rays in
H(Jtlor 01 T!)()mas Goddard Bcrgin, eds. Giose Rimanelli and KennethJohn Atchity
(New Haven and London: Yale Univo Press, 1976), pp. 265-307.
IX Another episode that is thematically related to the story of Gabrina is
found as far as Canto XLV (100 ff.), where we read ofBradamante's decision to
break her wordto marry the knight who wins her in duel, and also to break her
faith to her family (who wants her to marry Leone), rather than renounce her
love for Ruggiero.
interpretation of folly substantially concurs with the one
offered by Aldo D. Scaglione in his Nature and Lo/!e in thc Late Mtddle Ager
(Berkeley and Los Angeles: Univo of California Press, 1963), p. 1 :'>3, as well as
with the one we find in Rocco Montano's "La follia di Orlando" in his Saggi di
cultura limanirtim (Naples: Edizioni Quaderni di Delta. 1962), pp. 163-92. For a
discussion of the linguistic problems related to Orlando's madness, see Paolo
Valesio's "The Language of Madness in the Renaissance," Yearbook of Ita!iall
Stlidies (1971), 199-234. Valuable observations on the theme of folly in the
Flirioso can also be found in Alfredo Bonadeo's "Note sulla pazzia di Orlando."
Forum Italiu,m, 4 (1970), 39-57. and in Andrea Di Tommaso's "Insania and Film/':
a Diagnostic Note on Orlando's Malady," Romana Note.r, 14 (1973), 583-8H.
Praire 01 transI. from the Latin with an Essay and Commentary by
Hoyt Hopewell (Princeton: Princeton Univo Press, 1941), p. 38. On the subject
of prudence see Mario Santoro's Fortlma. ragione e pmdenza nella cll!/'!t letteraria dci
Cinquecento (Naples: Ltguori: 1966). On play see John Huizinga's Homo L"JcllJ
(Boston: Beacon Press, 1955). especially pp. 1-27 and 180-182.
C. P. Brand, Ludol'ico ArioJto. A to thc "Orlando Flil'ioJo, "Writers
of Italy Series. 1 (Edinburgh: Edinburgh Univo Press, 1974), p. 64: "Angelica
perhaps is hardly areaI perso n: she is the sort of woman no man can resist, so
beautiful and desirable that no one ever finds out her real nature: she exists in
her lovers' imagina tions ... "
FELLINI'S CINEMATIC CITY: ROMA AND
MYTHS OF FOUNDATION
1
Although Fellini beguilingly imitates in Roma a "documen-
tary" mode of filmmaking, the movement of the eye in this film
is no less "mythic" than the movement of the eye in Satyricon,
whose landscapes and narrative mode more clearly invite us to
find ourselves in a world where one can walk as we pretend the
gods did, free of inherited rituals and historical structures, with
powers of continually fresh creation intact. Roma (1972) testi-
fies to Fellini's faith that, even in the 1970's, that world is still
aroun<i uso
The particular form that the movement of the eye takes in
Roma is related to a basic mythic process: the foundation of a
city, of a city which is a "Center," a center of society, of culture,
of religion, but also a psychic center, a center of human whole-
ness, and on all these levels a center of creation. Thus in being
"the story of a city" Roma is a story of a creative processo The
movie is a "founding ofRome" in which the building material is
not stones but images. And because the images are continually
changing, this "Rome" is less an EternaI City to which alI roads
lead than it is a kind of experience through which alIlives, after
their own fashion, should move.
2
I am going to propose two models with which to compare
FelIini's Roma, namely the "archaic" foundation myth described
by Mircea Eliade in Cosmos and History and Virgil's account in the
Aeneid of the founding of Rome. l
In Cosmos and History Eliade describes the conditions of
existence in what he calls "archaic," or "traditional," societies.
For archaic man, he says, the reality of any object or act depends
FELLINI'S GNEW .. 11G---GITI
--------- ---------- --------/9
on its precise repetition of an archetype. Thus the creation of
anything whatsoever repeats the originaI creative act of the god,
the originaI transformation of chaos into cosmos. Specifically,
in the founding of a city, the originaI creative act is repeated and
the pIan of the archetypai city is repeated as well. Moreover, the
founding of a sacred or royal city takes pIace at a Center. The
Center is the pIace where heaven, earth, and hell meet. It isthe
pIace where creation originates, not onIy the creation of the
world, but aiso the creation of ma n, and thus the Center is aiso
the originaI whoIeness of the seIf:
The road leading to the center is a "difficult road" ... , and this is
verified at every level of reality: difficult convolutions of a
tempIe ... ; pilgrimage to sacred places ... ; danger-ridden
voyages ofthe heroic expeditions in search of the Golden Fleece,
the Golden Apples, the Herb of Life; wanderings in labyrinths;
difficulties of the seeker for the road to the self, to the "center"
of his being, and so ono The road is arduous, fraught with perils,
because it is, in fact, a rite of the passage from the profane to the
sacred, from the ephemeral and illusory to reality and eternity,
from death to life, from man to the divinity. Attaining the center
is equivalent to a consecration, an initiation; yesterday's profane
and illusory existence gives pIace to a new, to a life that is real,
enduring, and effective.
2
Rome is clearly such a Center, the city to which alI roads
Iead, the hub of the Empire, the throne of the Pope, and so
forth. Fellini himself presents Rome as a center, and for most of
the film the basic movement of the camera eye is movement
toward thecenter, movement to discover and explore the rich-
ness gathered at the center. Rome, in this movie, is the center of
authority and hierarchy, whether secuIar, religious, or artistic
(some of the centraI authority figures are Julius Caesar; Benito
Mussolini, the Pope, and Federico Fellini). It is the center of
sexuality, or of sexual union, and Rome, of course, is femaIe,
whether one considers its circuiar shape (especially with the
Grande Raccordo Anulare, or great ring road, and the Colosseum),
its mythic associations, or, most importantly, its many specific
images of women (the schooIroom slide, the hugemother with
the swollen ovaries, the great prostitute of the first night in
80
W ALTER C. FOREMAN
Rome or the one at the center of the luxury brothel, the
Princess Domitilla, Anna Magnani, etc.). Rome is the center of
the arts, especially architecture, sculpture, variety shows, and
movies. Fellini's Rome is the center of food, the center of
community, the center of the military, the center ofhistory (and
thus of the ultimate past, back beyond the personal past of
Fellini). This Rome is the center ofboth uniformity and diversi-
ty, of both dissoluton and creative fermento It is the center of
motion and also the center of permanence, which in its worst
form is the motionless traffic jam around the Colosseum at the
end of the Anulare sequence and in its best form the splendid
fountains and statues that populate Rome' s streets.
That Fellini's Rome is the pIace whereheaven, earth, and
hell meet is perhaps clearest in the section of the movie that
includes the air-raid scene and the subway sequence. The air-
raid is clearly a threat from above, but we never see the planes
(though we hear them) and the scene ends strangely, as if
"incomplete." Then we descend into the underworld in the
subway. But in the middle of the trip down and in, we cut to a
room in which an elderly couple look up at the destruction
being visited on their room by ... the subway, presumably, but
it also the visual fulfillment of the threat of destruction offered
by the hum of planes a couple of minutes (or thirty years)
earlier. And thus it is not only all space that meets in the center
in these scenes but also aall time. The pre-human past of the
mammoth tusk that begins the subway sequence, the past of the
old Roman house, the past of the catacombs, the past of the
documents ofRoman bureaucracy stretching back to 1872, the
past of W orld War II Rome, the present of the documentary
camera crew in 1972, and the "future" of the subway crew with
its science fiction machinery.
3
The second analogue which I want to consider for the
structure of Fellini' s Roma is the Aenei, Virgil' s great epic about
the founding of Rome, the nature of Rome, the destiny of
FELLINI 5 CINEMATIC CITI
Rome. The movement of the Aeneid, despite all its various
interruptions, is movement to found a center, ultimately, in
fact, a center of the whole civilized world. This founding of
Rome will be in the archaic mode to the extent that it is a
repetition, most specifically a repetition of the founding of
Troy.
But at the same time, the founding of Rome is an advance
on the archaic mode ofcreation, an advance characteristic of
what Eliade calls "historical" mano It is an advance first of all
because it is not an exact repetition of the old form, as required
by the archaic or traditional use of rituals. In fact, Aeneas at one
point stops in to visit Buthrotum, a city that Priam's priestly son
Helenus has founded in the form of a mere copy, a scale model, as
it were, of old Troy, with the result that Buthrotum is dry and
barren, essentiallly as dead as its originaI. Buthrotum, in other
words, is not a genuine re-creation that has the possibility of
growth. The city to be founded by Aeneas, on the contrary, was
to have unprecedented (and to this day unparalleIed) possibility
for growth.
More important1y, the founding ofRome as Virgil presents
it is an advance on the archaic mode of creation because the city
Aeneas is going to found will, saysJupiter in Book I, Iast forever,
a permanent creation, a Rome without end.:I Foundation once
for all is something historicaI man often wants to believe in
because it frees him from the fear of the periodic return of
chaos, a return that for archaic man is far from disturbing sin ce
it is the constant1y recurring preIude to periodic re-creation, a
periodic return to reallife.
4
Virgil, through his story of Aeneas,
expresses pretty c1early a weariness of the cyles of chaos and a
desire to make Rome the well-founded EternaI City.
4
Superficially, Fellini's Roma repeats the archetypal form of
the foundation myth, the myth of the establishment of a center,
as it appears in the Aeneid. Fellini "founds Rome" by making a
complete portrait of the city. That is, a moviemaker creates Rome
W ALTER C. FOREMAN
when he assemb1es a who1e picture of the city in movie images.
Roma is a series of sequences in which Fellini moves in to 100k at
the center of Rome. This series of movements is equiva1ent to
Aeneas's strugg1es to get to the point where he can set up his
walls and re st.
Aeneas does not sail directly from the wreck of Troy to the
banks of the Tiber, from the 10ss of Creusa to the gaining of
Lavinia. Instead he spends a good dea1 of time mucking about
the Mediterranean world, getting organized, seeking and hear-
ing prophecies, founding sample cities, visiting leftover Tro-
jans, making love to widowed queens, judging athletic contests,
descending into the underworld, and so forth. Even when he
gets to the Tiber at the beginning ofBook VII he must still fight
a complicated war to get to the center, the point of foundation.
But through all these various activities, there is a strong sense of
Aeneas's divinely ordained destiny. We are never unaware for
long of the Force pushing him to that, center.
In Roma, Fellini, like Aeneas, seems to keep getting side-
tracked. In fact, one frequent response to the movie is that he
never really has a track to begin with, that he has simply put
together, in a fairly random order, a group of scenes that have
littie to do with each other or with "Rome as it realIy is" beyond
happening to be in the same strip of celluloid called Roma.
Nevertheless there is in Roma the same fundamental movement
toward the center, unceasing despite apparent digressions, that
we find in the Aenetd. The Force in Roma that corresponds to the
sense of destiny in the Aeneld is simply the impulse of the camera
eye to see, to experience Rome, which means to experience
those things of which Rome is a center, which means that the
camera lllust move into the center. Unlike theAeneid, where the
sense of destiny is continually made explicit in the words of the
poem, the "purpose" of the movement in Roma is declared
implicitIy by the movement itself. Thus "destiny" in Roma is not
imposed from without, as in the Aeneld, but generated from
within.
The shape of "destiny" in Roma, then, for almost its entire
length, is like the shape of destiny in the Aennd in being move-
ment toward the center. The movie begins with the boy Fellini,
----- - - - - - - - - - - ~ - -
FELLINI'S ONEMA TIC CITY
in the provinces, gathering images towards a vision of Rome,
culminating in the provincial train station, where the boy climbs
agate to look at the 'train that is going to the center. In the next
scene, the young man Fellini arrives in Rome by train and moves
through the station and into the city, then through the Palletta
apartment to the bedroom of the huge mother and her sunburnt
son (a kind of parallel to the immense sow with its litter that
Helenus tells Aeneas he will find at the site of Rome). The
movie's characteristic movement is established. There follow,
for instance, the movement of the first eating scene toward the
supreme example of the art ofItalian cooking, the movement of
the first night in Rome toward the great whore in the fields, the
movement in the Anulare sequence toward the Colosseum (a
center of pagan Rome), the movement in the subway sequence
down and in to the Roman house, the movement in the brothel
sequence to the most beautiful prostitute, the movement in the
Ecclesiastical Fashion Show to the Pope, the movement in the
Festa de Noantr! to Anna Magnani, the movement in the motorcy-
de sequence to the Colosseum once more. The movement in
the Anulare sequence is particularly interesting. We are told we
are going to cirde Rome on the Anulare. By the end of the
sequence we realize we have been drawn to the center, the
Colosseum, where for the moment motion ceases in the traffic
jam. The camera moves toward the center despite the dedared
intentions of the narrator.
There are other ways, besides this impulse toward the cen-
ter, in which Roma seems to repeat the Actu:zd as if the Aenezd were
its archetype. There is, for instance, the use of the past as a key
to the way to live in the presento As Aeneas must review the
events of the fall ofTroy in order to understand fully his role as a
re-creator, so Fellini re-creates his past experience of Rome in
order to be a moviemaker in the fullest sense (which involves
going beyond "documentary"). Both Aeneas and Fellini visit an
underworld, Aeneas in the company of the Sibyl in Book VI,
Fellini in the subway sequence. It is interesting that while
Aeneas in the underworld encounters people from his past who
reveal to him the future of the city he is going to found in stone,
Fellini in the underworld uses futuristic machines as means of
WALTER C. FOREMAN
revealing the old Roman house, the past of the city he is
founding in images. The Roman future shown to Aeneas by
Anchises has in three thousand years become the Roman past
seen by Fellini's camera.
Another similarity in the structures of the two works is the
use of parallel feasts to mark a change in the situation of the
'"founding" forces. The attempted feast in Book III of theAeneid
is interrupted by the Harpy Celaeno who tells Aeneas that
before he founds his city his men will be eating their tables, a
it seems, of near starvation; but in Book VII, when
the Trojans have reached the Tiber, they eat amid plenty the
bread they were using as trenchers, thus fulfilling the prophecy
and happily realizing the end of the travelling phase of their
story. In Roma the first eating scene, on young Fellini's first
night in Rome, shows a unified community which despite some
genial squabbling over this and that, including the food, enjoys
the food and even appreciates its art. The community here is
fully Roman, but it can easily and openly incorporate the young
stranger from the provinces. The second ., eating" scene is the
FeJta de NOfmtri at the end of the movie. By this time, thirty years
later, Rome has incorporated so many strangers that ironically
the Romans' feast of themselves seems almost to be a feast of
everybody else. The emphasis here is on diversity instead of
homogeneity. The situation is potentially richer, but instead of
a feisty community among the people involved, we now find a
scene marked by physical and spiritual separation of people into
social classes of various sorts, including (in marked contrast to
the earlier scene) a separation of older and younger generations.
And though people are eating, they aren't paying any real
attention to the food and they aren't enjoying it; instead they
are either eating absent-mindedly or getting sick or passing out.
The parallel of the two eating scenes thus shows Li change in the
nature or the city that Fellini is founding.
Finally, both Virgil and Fellini identify the city with female
powers. This identification is of course traditional ("mythic,"
we may say), and it is hardly surprising that both artists use it. It
is the nature of founders to be male and of cities to be female.
Thus, though he is occasionally sympathetic, Virgil distrusts
FELLINI'S CINEMA TIC CITY
85
Dido and is even rather scornful of her (to the point of being
misogynistic), perhaps not only because she keeps Aeneas from
founding his city but also because she has presumed to found
her own. (Of course a female-founded city is inherently weak
and was ultimateIy to be destroyed by Rome in the
Punic W ars.) Aeneas must replace his first wife Creusa, who dies
in the flight from burning Troy, with Lavinia. It is the spirit of
Creusa that first tells Aeneas to go to the Tiber, and Helenus
later tells him that when he gets to the right pIace he will find a
huge white sow with a litter of thirty - an image of female
productivity marking the pIace for a fertile city. Widow Dido,
meanwhile, is the whore who distracts Aeneas from his proper
love.
In discussing the ways in which Rome is a center, I have
already indicated some of the ways in which Fellini's Rome is
fmale. It is the slide of the naked woman in the schoolroom
show of Rome's monuments and the sexuality of the dentist's
wife (who was said to be "worse than Messalina") that most
excite the boy Fellini's interest in Rome. Indeed the boy's
fascination with the dentist's wife, at the end of the movie
theater sequence, leads to a vision of the wife making love in a
car while a long line of men wait their turn and then to a further
vision of the wife dressedin "historical" costume, dancing in the
now-open convertible while menin old Roman clothes sit at her
feet. The image of the dentist's wife, seen by the boy Fellini
after an evening of movies about old and new Rome, awakens
the future director's cinematic imagination. Fellini thus associ-
ates Rome and the woman and movies and the birth of the
imagination. In many ways the camera' s movement to the
center of Rome is a kind of phallic penetration of the city. This
is clearest in the Anulare sequence, with its camera crane, docu-
mentary camera, and tank, in the subway sequence, with the
camera, the mole and the miller, and the light that finally breaks
through the wall into the Roman house, and in the long brothel
sequence where the phallic intent is ironically and significantly
transferred to the eyes - the eyes of the men and the eye of the
camera, panting back and forth from whore to whore. The
camera's movement to the center of female Rome "repeats"
86 WALTER C. FOREMAN
Aeneas's movement to that point of female potency where he
can set up his walls. For Fellini the movement to Rome is
movement to that point of creation where eventually he can
make movies, including (through the union of his imagination
and the city) his "Rome."
5
Finally, however, Fellini's creation of Rome is only super-
ficiallya repetition of an archetypal founding of the city, whe-
ther by "repetition" we mean an "archaic" repetition of the
foundation myth or an "historical" repetition of the structure
of the Aeneid or even simply "the imitation of an action" (in this
case, "foundation of a city"). Continually, and most strongly at
the end, Roma breaks free from the myths it flirts with, moving
beyond them to show its uniqueness and spontaneity as a crea-
tion.
Iwant to look at two important ways thatRoma goes beyond
the foundation myth: first, the movie is intensely personal in a
way absolutely contrary to the spirit of archetypal gestures, and
secondly, Roma does not end with the "foundation" (that is, with
a nominaI "completiton" of the portrait of the city).
Roma, clearly, is a highly personal "foundation." Fellini
emphasizes the personal past, not just the public, shared pasto
Re also emphasizes the personal present by making his movie
not simply about Rome, but also about the making ofhis movie
about Rome. We often see more than what his documentary
camera sees (the "documentary " camera being the one that
exists as an image within the frame along with its film crew); we
also see his documentary camera seeing what it sees as it negotiates
the Anulare and gets stuck in the Colosseum traffic jam, rises up
in the Villa Borghese, descends into the subway and the old
Roman house, or wanders about TrastelJere in the Festa de Noantri.
Th us, since Fellini' s city" Rome" is the movie Roma, the process
of making the movie about Rome is part of what Fellini's city is. <
There is a section of the movie which is explicitly about this
personal quality, the section in the Villa Borghese, between the
------hFEH-lLe-+L-fNfS- CINEMATIC CITY
traffic jam and the variety theater. Here, while his cameraman
and production secretary are up in the cherry-picker scanning
Rome from great height and distance, Fellini, on the ground,
communicating with his camera by voice instead of eye, also
talks with several people who have ideas both about what he is
likely to do in his movie and about what he should do. Among
them is an old Roman (Conocchia) who expresses a Chamber-
of-Commerce view - that Fellini should show the glories of
Rome instead of"a bunch ofhomosexuals or [his] usual enormous
whores." A group of students also criticizes Fellini's project, on
the grounds that he should deal with the problems of workers
and students. Fellini has some sympathy with this group, but
objects on two grounds, first, that he can't hope to solve socie-
ty's problems if he can't solve his own and, more importantly,
that everyone does what he can. At this point we see the cherry-
picker return to earth with the documentary camera, the split or
separation between "Fellini" and "camera" suggested by the
Villa Borghese section is healed, and with a re-unified vision we
cut to a Roman variety theater at the beginning of the war, a
kind of scene important in Fellini's past (for instance, his first
film, Variety Lights, co-directed with Lattuada, dealt with a simi-
lar milieu). In this re-creation, as elsewhere in Roma, Fellini is
"doing what he can."
Fellini's claim here is that the most personal is finally the
most social, and in Roma it is the "personal" eye of Fellini, not
(as in the Aeneid) the "public" perspective of the gods that in-
forms and drives the movement to the center. A personal vision
of the center arrived at in our own way, a personal sense of
wholeness, is what we all need by virtue of being human. The
Aenetd, like any great work of art, has the shape of a personal
movement, but, being an epic, it does not have the lee!. The
Aenetd is an archetypal pattern for human experience; Roma is
noto It is an example, not an archetype. Aeneas is an archetypal
founder; Fellini is noto He is not an archetype but a mano
Hence the famous Fellini self-indulgence: "I am not yet humble
enough," he says, "to make myself an abstraction in my films. I
try in them to throw light on what I don't understandin myself,
88
WALTER C. FOREMAN
but as I am a man, other mencan no doubt see themselves in the
same mirror toO."6
At the beginning of the Villa Borghese sequence, as the
documentary camera scans the city, we see a brief cut of a little
girl in a white dress chasing a ball down a hili. People who have
seen La dolce vita (1959), 8}5 (1963),julietofthe Spirits (1965), and
especially Toby Dammit (1968) will recognize her as a "typical
Fellini image," a figure, one might say, froma personal mytho-
logy. The image of the girl introduces the theme of this section
of the movie. With the whole panorama of monumental Rome
now spread out before the camera (we have just risen above the
trees to see St. Peter' s), we are given an image that is not
monumental but personaL It is also significant that Fellini is
not obsessed with this image - one shot, that's alI. Just as Toby
freed himself from his obsession with the girl in white, his devil,
so Fellini refuses to be trapped even by a mythology of his own
creation.
6
Not only does Roma separate itself from the spirit of the
foundation myth by being very personal where archetypal ges-
tures are precisely impersonaI, but also it moves beyond the
structure of the myth by moving beyond the moment of founda-
tion that is its nominaI goaL The city is "founded" only to be
immediately left behind. (I t must be remembered that for the
moviemaker "founding a city" means creating it in images.)
In its archaic, or traditional, form, the act of foundation is a
repetition of the originaI divine creative act, bringing form out
of chaos, establishing a center, a pIace of superior reality. The
"profane" life that surrounds the moment of foundation is
unimportant; in fact, strictly speaking it does not exist. The
goal itself is the only thing that really matters.
Virgil, as I have said earlier, has in some ways moved away
from both the form and the spirit of the archaic mode. He is still
very inuch interested in the goal, in having the comfort of one's
walls around one. "Happy the men," says Aeneas, "whose walls
FELLINI'S CINEMA TIC CI-PI
already rise.'" Virgil is very conscious of the pain of"profane"
life, but he is far from denying its reality.
The Aeneid stops when Rome can finally be founded. Aene-
as has just killed Turnus, the last of many obstades to the
marriage with Lavinia and the setting up of the walls of the new
Troy. Aeneas can now cease his travelling and his fighting and
do what he has longed to do for twelve books: build his city and
put his past to resto But as far as Virgil's narrative structure is
concerned, the death of Turnus is ironically the end of Aeneas
- he do es nothing beyond the killing:
[Aeneas] struck
Before he finished speaking: the bIade went deep
And Turnus' limbs were cold in death; the spirit
Went with a moan indignant to the shadows.
8
By stopping short Virgil emphasizes the human cost of the
foundation, the blood and sorrow as well as the stone of which
Rome is built. But it is nevertheless dear from the various
prophecies, especially ]upiter's in Book I, that the killing of
Turnus opens the way to the determined foundation that is to
be urbs aeterna.
Instead of stopPing at tbe moment of creation, as the archaic
form essentially does, or stopPing just sbort, as Virgil does, Fellini
fades out just beyond the center. In fact, he never really bothers to
go to the center at alI.
In order to appreciate the ending of Roma we need to
distinguish several versions of the "founder" of thiscity, that is,
several "Fellini's." There are five. The first two, the boy and the
young man, function in comparatively simple ways and we
needn' t consider them further here. The third Fellini is the
image we see on the screen of the famous director doing his
documentary on Rome. The fourth Fellini is our friendly
voiceover narrator, the director introducing us to his film and
explaining what he's doing and what we are seeing. Finally, the
fifth Fellini is the imagination we sense behind the movie as a
whole.
We must be especially careful to distinguish between the
narrator (the voice of the founder) and the imagination that
WALTER C. FQREMAN
informs the whole. For one thing, the voiceover narrator is a
Har about his "city" - the founder as Har. Traditionally the
founder is a hero, a leader, a warrior, a law-giver, an architect, a
father, a creator, and by extension into the world of movies he is
a director. A founder gives structure, and when he gives too
much he becomes a fascist, a reduction of the creative godo The
third Fellini, the image of the director, can be one such fascist
reduction, and the narrator can be another.
9
As the movie approaches its end, the voiceover narrator
becomes increasingly untrustworthy as a guide to what is hap-
pening. In other words, he begins trying to impose his verbal
structure on the flow of images. F or example, as we watch the
second eating scene (in the Festa de Noantr!) , the voice describes
what we see: "Of course people eat and drink, what else? Not
much different from a thousand years ago, or the beginning of
this picture, for ever andever." But as we saw earHer, the eating
and drinking in the Festa sequence are significant1y different
from the eating and drinking earlier in the picture. The image as
a whole thus denies the false structure, the idea of repetition-
without-change, that the narrator tries to impose on it. Because
this voice, at the beginning of the movie, immediately identifies
itself as the cinema tic founder, we ne ed to examine c10sely its
role in giving shape to the movie, especially in the final scenes.
The opinions of the voice are not necessarily those of the movie
as a whole. lO
At the beginning of Roma, over the opening credits, the
voice describes the movie we are going to see: "This picture
tells ... the story of a city. Here, I have attempted a portrait of
Rome." This is misleading to the extent of suggesting that we
are going to see a "straight" documentary. But the voice
immediately goes on to speak of what Rome was to him as a
small boy, so we should quickly understand that the "Rome" he
is talking about is a personal experience rather than a public
object. Much later, at the beginning of the Festa de Noantri
sequence, the voice says that he and his crew "have come [to
Trastevere] to complete our portrait of the city." This notion of
completeness becomes very important in the rest of the movie.
Like an Aeneas who got into moviemaking, the voice wants to
FELLINI'S CINEMA nc OTY
complete the foundation, but it turns out that in order to com-
plete Roma Fellini - the fifth Fellini, the imagination behind
the whole - must leave Trastevere, and finally Rome itself. And
even then the film isn't "complete." The movement is just
beginning.
As the documentary crew wanders around Trastevere, it
comes upon "Gore Vidal, the American writer," and asks for an
interview. Vidal assumes he knows the question, and proceeds
to answer it:
WelI, I suppose you're going to ask me that inevitable question,
why do I live in Rome? You could say I live here because it's so
central- centrale. But most of alI I like the Romans. They don't
care if you live or die - they' re like cats. And of course this is the
city of illusions, the city, after all, of the church, of government,
of movies. They' re all makers of illusion. l' m 9ne too. So are
you. And now, as the world dies through over-population, the
last illusion is at hand, and what better pIace than this city which
has died so many times and was resurrected so many times to
watch the real end from pollution, overpopulation. It seems to
me the perfect pIace to watch, if we end or noto
Like some other "intellectuals" in Fellini (such as Daumier in
8}1 and Lynx-eyes inJuliet), Vidal is not so much wrong in his
analysis of a situation as he is limited in his own ability to
integrate that analysis into an organic life, a life capable of
growth. Vidal understands c1ear1y the mythic importance of
Rome, the archaic form of repeated creation, and the archaic
notion of a city, especially Rome, as a Center. Re appreciates
the Roman willingness to allow people to find their own free-
dom, and he values the various Roman arts of illusion, inc1uding
the movies. But unlike (as we shall see) the cinematic F e l l i ~ i ,
the literary man settles smugly down at the center to watch for
the end. Like Aeneas, he takes comfort from the walls, even if
he is at the other end of the process Aeneas started. In his sense
of a final ending, he is not a model for the movie as a whole, but
he is a model for the narrator, another man who lives in words.
After the Vidal interview, the Festa scenes become more
disordered (in the police bust, the boxing match, and the street
fight, for instance), the camera is "stolen," and finally almost alI
9
2
WALTER C. FOREMAN
the energy has gone out of the celebrants. In the last shot of the
Festa de Noantri itself, the only figure to move with any vitality is
a talI black girl who strides across the scene with purpose (a new
source of energy for an exhausted Europe?), and we hear the
end of a song whose opening bars we heard near the beginning
of the sequence: "Arrivederci, Roma."11
But instead of saying "Arrivederci" to Roma, the narrator's
voice stays in the city looking for a completion, and in the scene
that follows the end of the song, it thinks it has found what it
wants, a way of completing the portrait, a way of summing up
the city and the movie - a mythic figure, a symbol:
Fellini (v.o.):
Magnani:
Fellini (v. o.):
Magnani:
Fellini (v.o.):
Magnani:
This lady, going home, walking along the wall of
a patrician palazzo, is a Roman actress, Anna
Magnani. She might well be the living symbol of
this city.
Y ou think so?
Rome seen as vestal Vl!gm and she-wolf, an
aristocrat and a tramp, a somber buffoon.
Ah, Federi' ... l'm far too sleepy now.
May I ask you a question?
No, l'm sorry, I don't trust you. Ciao. Go to
sleep. [Exit into house.]
Magnani's lack of trust in what the voice of "Federi' " is up to
may serve as a warning to uso Rer refusal to take him seriously
leaves him without an ending, without the symbolic figure he
thought he had found who could embody everything that had
gone before. Unlike Vidal, Magnani, who has been a movie
image rather than a writer, finds verbal summation not worth
bothering about. Unlike Vidal she doesn't try to commit Fellini
to a verbal structure and in effect she discourages him from
committing himself to one. On the other hand, like the foreign-
er Vidal, the Roman Magnani is not going anywhere. Like the
last Festa shot she lacks energy. The scene is darkand dull,
Magnani is dressed in black, and she is withdrawing into her
walls to go to sleep.
---rELLINI'S ONEMATICQTYun-
93
In the anti-climax of the Magnani interview, the voice, like
Aeneas, is stopped just short in his search for a completion ofhis
portrait of Rome. Now, unexpectedly free, he doesn't know
what to do, though he suspects that sleep isn't the answer: "And
now, what should one do? Go to bed, as Magnani suggested?
But walking around Rome at this hour is so wonderful. There is
nobody around. A great silence. Only the water of the foun-
tains." Even as he speaks, the image shows his words to be a lie,
for in the distance, with headlights ablaze and motors roaring, a
group of motorcyclists approaches the camera, getting louder
and drowning out any sounds of water. The attempted inter-
view with Magnani had been the narrator's first attempt to
speak directly with the movie's images, and it was a failure.
Now, with the disappearance ofMagnani and the appearance of
the motorcycles, the narrator is left in doubt, thinking of the
romantic Rome of the fountains, out of touch with the world-
the city - he lives in, out of touch with the overall creative
movement we have been watching.
The narrator never does get to say "There, that's my
portrait of the city," for at this point, like the documentary
director and the documentary camera a few minutes earlier,12
the voiceover narrator is absorbed by the image; the fifth
Fellini, the imagination behind the whole, takes over complete-
ly; and we begin a motorcycle ride through Rome, a movement
of the eye that recapitulates and extends the process of founda-
tion as we have seen it thus far.
7
The motorcycle ride, which like the art of the movies
depends on a fruitful union of man and machine, brings back
into the movie both the energy and the community that had
been lost in the chaos and decay of the end of the Festa sequence.
The "community" of the cyclists appears in their movement
through the streets and around statues, a movement which is so
well coordinated as to appear almost choreographed. And yet
this community also seems to be spontaneous; there is no
94
WALTER C. FOREMAN
leader, no "fascist," no founder to tell them where to go. The
group brings male and female together, in that most (but not
all) of the cycles have one rider of each sex. The clothes and
helmets the cyclists wear are in one sense the last of the many
uniforms we have seen in the movie; but at the same time, the
uniforms are all different, preserving the individuality of the
riders. The motorcycles themselves, as the last of the many
methods of transportation tried in the movie, seem to be an
ultimate reconciliation of the ne ed for power, speed, and mobil-
ity with the ne ed for vision and freedom from entrapment.
Recapitulating a number of the movie's prominent visual
themes in this way, and discovering an answer to some of its
problems, the motorcycle ride is also a review of monumental
Rome, historical Rome, the Rome of the Caesars and the Rome
of the Popes, eternaI Rome, founded Rome. The ride is like a
non-destructive exit of the barbarian hordes from a city that still
has great beauty of form but has exhausted its power to move,
or frozen that power into statues. The juxtaposition of motion
to permanence is especially apparent when the riders pass sta-
tues that solidify a potential means of movement, such statues
as the winged angel on top of the Castel Sant' Angelo, the centaurs
in the Piazza Navona, the boat in the Piazza di Spagna, and above
all the equestrian statue of Marcus Aurelius, where the circular
motion around the statue is in such striking contrast to the
gesture of the emperor, frozen into an archetype of commando
But it's not just the motorcyclists who move. The camera
moves too, and in fact it is the camera, not the motorcycle
group, that circles Marcus Aurelius. Sometimes the camera is
stationary and watches the riders' progress through Rome, some-
times it moves with them as it watches, and sometimes, as
at the statue of Marcus Aurelius and above all at the climax of
the ride, it replaces them. At the climax it is the camera, the eye
of Fellini's imagination, that is roaring through the Roman
night.
The climax of the ride, and the movie, is the approach to
the Colosseum. The camera speeds down the center line, with
no motorcycles or anything else in its way, nothing to stop it
from reaching this circular symbolic center of Rome. The
FELLINI'S CINEMATIC crn
center can be achieved, "Roma" will be founded, and the movie
can end.
We may remember how different theAnulare sequence was,
how that earlier roar of traffic toward the center, chaotic where
this roar is harmonious, ended in a massive jam which put a stop
to motion. That first arrivaI at this center was unsatisfactory,
even painful, and the movie for the first time abandoned its
chronological progression to find a more circuitous route to the
center.
But now, when there is no jam, no chaos, and the center can
be freely reached, we are suddenly beyond the Colosseum, with
the motorcycles, moving away. Why?
First, we may note that this kind of discontinuous move-
ment beyond the center, this quantum leap, as it were, has been
established earlier as a mode of action in the movie. N ear the
end of the brothel sequence, the young Fellini has returned to
the luxury-class establishment to claim for himself, for awhile,
the most beautiful prostitute in the pIace, the one who had
earlier been the center of all eyes' attention. The two of them
ride up in the elevator together, Iooking at each other, heading
for a special center, one we have been anticipating since early in
the movie as well as early in the sequence. Yet now, when there
is no bar to reaching the center, it suddenly becomes no longer
important for the imagination a c t u a l l ~ ! to go there. So we cut
beyond the center to see the prostitute rising up from a kiss,
leaving young Fellini lyingat his ease on the bed. Instead of
occupying the center, the "founding" imagination (that which
informs the movie as a whole) emphasizes what leads up to the
center and what leads away. Now moving away, it emphasizes
young Fellini's interest in the prostitute's life outside the broth-
el and his interest in seeing her outside. Re does not ask for a
few more minutes here; his desire now is to move away from the
center, rather than to extend his stay there. In other words,
young Fellini at this point and the camera altogether are inter-
ested in precisely what, in mythic terms, is "profane" rather
than "sacred" (or" real") life. The camera has left out the
"sacred" moment, the moment of hitting the center, as being
irrelevant to the story it is telling.
WALTER C. FOREMAN
It is thus the process of approaching the center, not the
moment of achievement, which Fellini values. And this "pro-
fane" process can be happy and joyful in itself, though some-
times it may not be. In any case, it is not simply painful and
exhausting, as for Aeneas, or irrelevant ("unreal") as for archaic
mano The Rome founded by this process, the city of Fellini' s
imagination, is thus not a stable center to sit in (which amounts
to an end, whether one is consciously waiting for it or not).
Rather, Fellini's Rome is an experience to move through - in
fact, the kind of experience one needs to move through, though
in one's own form, not Fellini's.
Virgil celebrated Rome as being, under Augustus, a perma-
nent city which by establishing laws would give structure to the
world. Virgil's Rome is above all a city of structure. Fellini's
Rome is above all a city of motion. It is not a permanent
structure but a continuing movement. The camera has the
wisdom lacked by the voiceover narrator, the wisdom to avoid
completion, especially symbolic completion, as being irrelevant
and deadening, just the opposite of what is wanted. The move-
ment toward the center is a movement toward wholeness, but
the achievement of wholeness should be a beginning, not an
end. Thus, in Roma, Fellini continues his creation beyond the
center, away from Rome. Fellini's "foundation" of Rome is
appropriately cinematic in that a Rome founded by a movie-
maker should be something that moves, and the "Roma" of
Fellini's imagination is still going, as Fellini frees himself from
the city he has created. The creative process that is Roma, the
foundation of the cinematic city, frees itself from its own crea-
tion as from a myth of its own making.
Roma began, after the credits and the voiceover narrator's
introduction, with the first of the "strange, contradictory im-
ages" that eventually become the city: three dark figures,
women, moving slowly in a murky scene, with bicycles, along a
road in the provinces, past astone that says Rome is 340 km
away. The first voice we hear says that someone "has written
from America." N ow, after two hours of further movement, the
camera is travelling through the night, in loose harmony with
the motorcyclists (a group which will continue to grow even in
FELLINI'S ONEMAnc-etrr--
the fade-out), through the arch of the Porta Ardeatina, out along
the Via Cristofo"o Colombo, a road away from Rome named for that
historical ltalian who went to see a new world.
W ALTER C. FOREMAN
University of Kentucky
I Mircea Eliade, COJmOJ and HiJtory: The Myth 01 the Eternai Return (New York:
Harper, 1959). For Virgil I use The Aeneid of Virgil, trans. Rolfe Humphries
(New York: Scribner's, 1951).
p. 18.
lVirgil, p. 13. Literally, Aeneas founded Lavinium, which under his son
would move and become Alba Longa, which eventually would move again to
become the city founded by Romulus on the Palatine. But in discussing Virgil's
mythmaking it is not seriously misleading to speak of Aeneas as the founder of
Rome, for though strictly speaking the foundation would have to be repeated,
Virgil sees Aeneas's foundation as the crucial one and makes it clear that
Aeneas's acts lead directly to the rising of"the great walls of everlasting Rome"
(p. 3 [Book I]), a city to whose people J upiter will "set no bounds in space or
time;/They shall rule forever" (p. 13 [Book I]).
-lSee Eliade. pp. 51-92.
'This use of the personal present is related to the self-awareness of the epic
poet, his calls on his muse, etc. But in dealing with the process of creation the
epic poet looks to a transcendent power outside himself which ideally controls
him, while Fellini's imagination uses the documentary camera as something
within the world of his creation and as something he controls. When the
documentary camera is "stolen" near the end of Roma, it is the camera eye
representing Fellini's imagination as a whole that steals a very limited version of
its own powers. There is no image of a "human" theft.
"Fe!linion Fellini, trans. Isabel Quigley (n.p.: Delacorte, 1976), p. 153.
7Virgil, p. 18 (Book I).
KVirgil, p. 370. Since Virgil di ed still wanting to revise his poem, the ending
we have may not represent his ultimate intentions. But (a) there is no specific
evidence that it doesn't represent them, (b) Virgil begins with "arms and the
man" and so the ending we have seems appropriate, (c) given the many prophe-
cies and the sense of destiny, there was no structural need to end with Aeneas's
foundation literally complete, and (d) in any case we have to go with what we
have.
image of the director, at the beginning of the Anulare sequence, orders
his crew to hurry up. This concern for being on time is given as one of the two
major accumplishments ofMussolini, who (besides "winning that battle against
the flies") made the trains run on time. And Mussolini, in turn, is seen as a
continuation of the "fascist" tradition going back tu Julius Caesar. Later in the
An/dare sequence we see Fellini giving orders to the camera crew by radio from a
separate car, and in the Villa BorgheJe sequence he talks to them by bullhorn.
y8
W AL TER C. FOREMAN
Significantly, and ironically, the director's relation to his documentary camera is
exclusively verbal. The last time he appears, in theFestade Noantri, he is walking
in the rear of the group, talking to his secretary, almost obliterated, and later in
the scene he has vanished, without explanation, from the documentary group,
suggesting both that the director has lost his interest in the documentary
approach as a way of reaching the center and that the unifying imagination of
Roma "removes" the documentary director from the image, just as it is about to
"steal" the documentary camera, as explained in note 5, above.
'''It is possible that the voiceover narration was expanded for the half-
dubbed, half-subtitled English-Ianguage version of Roma distributed in this
country by United Artists 16, the version upon which my account of the
narration is based. Certainly changes were made in the "export" versions of the
film (scenes at the Festa de Noantri involving Marcello Mastroianni and Alberto
Sordi were cut, for instance). The Italian screenplay (Federico Fellini, Roma, ed.
Bernardino Zapponi [Bologna: Cappelli, 1972]) gives a representation of a
version of the film which was not a final print even for ltaly, a version which had
been edited but not given its final soundtrack ("montato ma non ancora
completamente missato" [p. 212]). A voiceover narration is one of the things
most likely to be added late in the sound-mixing stage. (On p. 362 a statement
by Fellini is specifically reported as being not yet dubbed.) While some of the
narrator's statements in the English version could be explained as attempting to
make the film more intelligible for a non-ltalian audience, not alI of his
statements can be so explained. Moreover, thereare voiceover statements in the
Cappelli screenplay. for example in introducing "the wife of the dentist"
(though she is "la moglie del farmacista'" [p. 227]) and in introducing the
Barafonda theater sequence (p. 272). And the conversation, discussed below,
between the disembodied voice of Fellini and the image-and-voice of Anna
Magnani appears in the book (p. 365) in roughly the form it takes in the English
version of the film, showing the attempt by the voiceover Fellini to find a
symbolic summation of Rome with which to end his movie. Thus I believe my
discussion of the "fourth" Fellini is essentialy accurate even for the ltalian
language version of the film.
"This sense of chaos and decay (which in some ways visually suggests the
decadence of classical Rome) could mark the approach of the end that Vidal is
waiting for or it could be the chaos that precedes re-creation, like thefesta that
precedes the ritual which structures a New Year (see Eliade, pp. 51-92), or like
the battle with Turnus that precedes the founding of Rome. Fellini himself
would probably see the dissolution near the end of Roma as a good sign; certainly
within the structure of the movie it is, for it leads to the motorcycle ride at the
end. Fellini has said that he "feel[s] that decadence is indispensible to rebirth ...
I am happy to be living at a time when everything is capsizing. It's a marvellous
time. for the very reason that a whole series of ideologies, concepts and
conventions is being wrecked .... This process of dissolution is quite natural, I
think. I don't see it as a sign of the death of civilisation but. on the contrary, as a
sign of its life. It is the end of a certain phase of the hu'man race" (Fellini. p. 157).
Roma may be seen as the end of one phase and the birth of the next.
' ~ S e e note 5 and note 9, above.
POESIE
LA CROCE DELLA STANCHEZZA
\
Come, col pi sulla soglia,
per troppa stanchezza
guardo indeciso Il nuovo giorno,
e chiedo mi s'offra un aiuto
sincero, a rendermi eguale
alla stessa semplicit
dell'unico soffrire:
allora l'alba
riduce l'antica
bellezza a pallide luci
di triangoli sui quadrivt:
e non siamo che distratta lentezza
mentre la gazza vola
di ramo in ramo
e concentrata attenzione
vibra nei boschr:
tI passo, delicato strumento
difibre tese
tinge tI pensiero,
e l'anima scioglie un lamento
che sia genuino:
cos la stanchezza
verit,
intimo aiuto.
99
CARLO BETOCCHI
(inedito, 1947)
100
MARIO LUZI
DUE FRAMMENTI
I
Appeso come una lanterna, i Pi:
altri scolpito dall'interno.
Cos
portano il viso
ossia quel nero grumo
di rabbia e ottusit
lo portano contro.
Siamo dove? in che vicolo dell'inferno?
Si pu perdere la vita per un caff non caldo
per un colpo di tosse
sospettato d'ironia.
Gli assassini
sono dovunque, il coltello pronto,
Il colpo nella canna. Il loro tempo venuto.
Cosi come doveva? - grida forte
ben Pi antico di me il mio sgomento
a non sa che ufficiali
di che impenetrabile governo.
Risposte non ne danno. Neppure le negano.
II
Prima una terra terrosa,
poi un'altra, no, la stessa
improvvisamente ultraterrena.
Sono io in lei e la guardo
nella sua gibbosit, la guardo
perdutamente a Montepulciano o a Pienza
o lei in me
ferma, tutt'uno col ricordo
e ben oltre di esso, tutt'uno con chi sa
che indefettiblle sostanza? E poi
quel suo profilo
senza limite o riposo
brucia, S l ~ ma cosa -
la sua planetaria solitudine
DUE FRAMMEN I I
o lo mia consumata reminiscenza?
o niente, annullati l'uno e l'altra,
lei e io, equiparati a zero
da una celestiale algebra. . .
IO!
MARIO LUZI
102
ALESSANDRO PARRONCHI
DUE POESIE
PREGHIERA DEL FARISEO
Signore ti ringrazio
che mi haifatto superbo di natura
o almeno tale da sembrarlo quanto
basta perch gli altri mi detestino.
Non sono certo simile a colui
che sa piegarsi (per meglio soprastare)
e davanti ai suoi simili si annulla
(per ridur/i a discrezione) ...
Ma non ho fede salda e per cercarti
non so far altro che guardare il cielo
come l'uomo primitivo. Ma non provo
desiderio di te n nostalgia.
Solo un senso di vuoto, che mi colma
questo cielo di Roma che sugli orti
della Lungara imporpora
traversato dai voli dei migratori
fulmini bruni a sbalzi nella sera.
Signore, chi ti cerca
che altro pu fare che guardare il cielo?
Un cielo ormai corrotto
eppure ancora a tua immagine fatto
lo si pensa, e il vederlo ci rasserena.
Gli altri: il prossimo mio,
si sospingono si urtano si ignorano
o si cercano solo per ucczdersl:
Da questo abisso facci risalire
a poco a poco verso la sorpresa
di scoprirsi fratelli:
per uscire dall'io piccolo, ignoto,
per svegliarsi nel caldo di un abbraccio.
DIMENTICO IL TUO ANNIVERSARIO
Guardo il calendario: lo data passata.
Ma che senso ha, mi chiedo,
ricordare il giorno della tua morte?
Tu non esisti pi, l'immagine sbiadita
sulla mia scrivania del tuo sorriso
lo sola cosa che mi resta.
La sola? Forse anche nel cervello balzano
di una donna giovane e senza criterio
il ricordo di te a volte si sveglia
tempera un desiderio folle, annienta
in una fantasia quanto c' di non serio.
Cos di te rimane un leggero fermento
che nutre i pensierz: riordina l'immaginazione
disperde lo paura, il passo incerto
spinge in direzione sicura, un lento
incedere verso lo luce:
come quando s'ode crescere e svegliare memorie
di biondo polline sparso in una radura
d'inverno nella tenebra il vento.
ALESSANDRO PARRONCHI
13
PROSA
TACCUINO VENEZIANO
Passeggiare per Venezia, di questa stagione, come grandinare
sul cristallo: il suono argentino della trasparenza quello che
pervade i suoi angoli pi riposti e mai fermi, multipli d'una vita
fermentante su dal verdastro ondeggiare della laguna sulle pietre e
gli oggetti che si levano diffratti all'infinito dalla luce simili a gocce
di cristalli muranesi: come la luce non sembrano mai riposare col
giorno, e d'altronde mai smorire completamente.
A Venezia anche il buio vibra occhiuto. Rimangono barlumi,
strie, filamenti d'una felicit che non forse la tua ma che ti
consola lo stesso, passando ti accanto, con la lieve vanit d'un
incerto bagliore ma anche con la tensione di un filo che malgrado
tutto continua a essere filato. E che se lo tiri, questo tramite, ti
accorgi che ha un' origine, in una mano, Parca o Grazia che essa
sia. Luce schioccante nel fondo impigrito della mente, a rilevarvi
antiche abitudini, lievi abbandoni ma gi ricoperti dal muschio
ondoso del tempo: cos sulle gradinate a forma di luna nel suo
primo quarto del sagrato di San Giorgio, dove il limite tra la pietra
e l'acqua messo in forse dalla perenne agitazione di una superficie
che sembra pi calma di quanto in realt non sia, turbata vuoi dalle
imbarcazioni, vuoi dalla sua innata e impensabile turbolenza, una
vegetazione di alghe e licheni rende viscido il passo di chi vi si
avventura per affrettarsi al vaporetto e rischia di cadere in laguna
come nel torbo dei suoi pensieri ondeggianti all'apparire e sparire,
dal fondo, di quello che non sa: peso o liberazione, un lampo di
quella felicit o una gondola funebre, un grido che non si sa se sia
caduto dal becco del gabbiano che si leva deluso, radente dall' ela-
stica superficie, o dal labbro gi ammutolito del gondoliere che ha
avvisato del suo passaggio di lemure per gli oscuri, e un po' loschi,
canali dell'anima intorpidita da un'abitudine con se stessa sempre
tentata e mai possibile.
Ma tutto ci mentre il passo ti grandina intorno con l'elastica
anche se un po' agra dolcezza degli ultimi tasti del pianoforte, dove
14
TACC! TINO ~ E N E Z I A N O 1
5
accordi smarriti ti ricordano che malgrado tutto sei vivo, malgrado
tutto ogni lato dell' orizzonte ha il suo opposto, e ti ci puoi voltare
come su un origliere insonne e febbrile.
Suono e senso possono anche non coincidere, ma questo il
fascino della felicit. O di questa illusoria citt, che illude prima se
stessa che l'universo che la guarda, della sua morte per acqua, da
cui risorge ogni giorno, immortale e cagionevole. Cos chi la visita
non sa se essa, come capita a lui, sia nel pieno della propria salute o
tocchi il fondo della propria malattia: forse egli, come la citt che
lo ospita, ha deciso di fare a mezzo col tempo e con lo spazio, visto
che sembrano cos vicini, familiari, da potersi toccare con mano, e
inganna, come essa nei suoi perpetui riflessi, l'uno con l'altro,
prolunga l'uno nell'altro, n pare riconoscerne gli ultimi sussulti
sugli squeri pi lontani e abbandonati, dove scafi funebri di gondo-
le e di barchini in riparazione o in disarmo emettono i luccichii
preziosi di certi scarabei o di certe mosche d'oro.
La luce ronza nel silenzio, come uno di questi nefasti animali
che, rovesciato sul dorso, cerchi invano di raddrizzarsi per potersi
di nuovo levare a volo o comunque per rimettersi in moto in cerca
del disfacimento che sembra nutrirne quel colore smeraldino in
difficolt tra luce e suono.
Quante "morti a Venezia" questa citt non ha allevato, di chi
magari ne uscito rinato e diverso per le vie della sua ricuperata
terraferma. Perch, lo si voglia o no, ripercorrere il ponte che
unisce quel frego azzurrino sull' orizzonte a Mestre, significa uscire
da un' avventura. E perch, davvero, Venezia mette tra parentesi il
tempo e lo spazio di chi vi si abbandona fiducioso come il baco da
seta al suo bozzolo serico: anche quel tempo e quello spazio
diventano un'isola o, al pi, un sistema di isole, un sistema di pi o
meno amabili incertezze. Persino il piede, una volta uscitine, si fa
meno cauto nell'appoggiarsi a terra.
Il fatto che anche il luogo comune di questa citt finisce per
essere rassicurante della sua dimensione avventurosa. N l'uomo
teme di mostrarvisi un po' sciocco o, forse, un po' soprapensiero.
Anzi uno vuoI rassomigliare, in essa, il pi possibile a un luogo
comune, che non sembra mai p proprio. Deriva forse dal fatto che
tutto vi ravvicinato, l'aspetto fisico delle persone come le loro
106
PIERO BIGONGIARl ~
intenzioni, i loro gesti, quasi chiusi entro una magica bolla iride-
scente, e forse se ne perde 1'esatta proporzione.
Anche la nostalgia deve forzatamente farsi miope quando si
avvicina troppo all' oggetto del pt=Oprio desiderio o di ci che
sembra passare nei suoi paraggi; e guardare troppo da vicino rende
1'oggetto che si contempla, quanto meno sorprendente se non
irriconoscibile. insomma una citt laboratorio, anche per i
propri sogni, che sotto il microscopio, questo strumento della
miopia suprema dell'uomo, mostrano il loro tessuto microorgani-
co e si confondono con un fatto di natura.
Guai a passare una notte insonne a Venezia: i sogni a occhi
aperti portano alla cecit. Per questo, nelle chiare mattine, meglio
perdersi nella nebulosit in cui il filo dell' orizzonte stagna e ondeg-
gia in se stesso, sfacendo e rifacendo le mille volte il proprio stame,
quasi a riacquistarvi, chi vi guarda, un acume perduto per le
distanze. Ma certo per questa connaturata incontrollabilit che
nei porteghi minacciati dall' odore del salnitro dei palazzi patrizi,
quel grande spazio in cui i riflessi della gran luce paiono consegnar-
si senza intervallo alla tenebra pi profonda, una disperazione:
meglio le piccole stanze in cui pi facilmente uno riesce a tenere le
fila di se stesso e a tentoni indovinare i limiti entro cui muoversi,
possibilmente con garbo.
PIERO BIGONGIARI .
RASSEGNA
IN MARGINE AL CENTENARIO SETTEMBRINIANO*
Nella storia della critica settembriniana si possono distinguere,
a partire dai noti giudizi desanctisiani che sono stati variamente
ripresi e rielaborati anche nella loro "ambiguit" di fondo, tre filoni
che operano spesso simultaneamente influenzandosi a vicenda:
quello della svalutazione unilaterale del Settembrini critico e pen-
satore; quello improntato alla non svalutazione crociana, che
prepone le convinzioni al pensiero; e la tendenza a una visione
complessiva, storicamente attendibile e pertanto disposta a severi
ridimensionamenti, della varia e intensa operosit che fa dello
scrittore e patriota napoletano una delle pi complesse e distinte
figure della storifl e della cultura italiana e meridionale dell' otto-
cento.
l
Nell'ambito di quest'ultima tendenza, che si venuta
affermando nel secondo dopoguerra, sono stati curati e riediti
anche i testi principali.
Da tempo si attendeva quindi un'adeguata opera di aggiorna-
mento che contribuisse al superamento delle formule pi retrive
del passato e al rinnovamento dei metodi e delle prospettive di
ricerca. Col ricorrere del centenario della morte del Settembrini
(1813-76), una decisiva spinta a tale opera viene dalla raccolta in
* Per il centenario di L. Settembrini (1813-1876), fascicolo speciale di Erperienzc letterarie, II,
n. 2-3 (aprile-settembre 1977), raccoglie quattro relazioni ("Settembrini cospiratore" di
Alfonso Scirocco, "L'ultimo Settembrini"' di Mario Themelly, "Il memorialismo polemico
di L. Settembrini" di Giuliano Innamorati, e "L'impegno meridionalistico e le Lezioni del
Settembrini"' di Mario Santoro), sedici comunicazioni (Mario Battaglini. "Storia di un
celebre opuscolo," Michele Cantaudella. "L'Ottocento nelle lezioni settembriniane."
Francesco D'Episcopo, "L. Settembrini e Masuccio Salernitano: letteratura tra 'Iudus' ed
exemplum'."Tonia Fiorino, "II concetto di lingua nelle Lezioni di L. Settembrini." Pompeo
Giannantonio, "Affinitil storiografiche tra Settembrini e De Sanctis," Marcello Gigante. "II
classicismo del Settembrini e gli italianisti." Mario Gabriele Giordano. "Gusto narrativo e
pagine di 'ricordanze' nelle Lezillni di L. Settembrini," Pino Iorio, "Il Settembrini e il senso
civile della letteratura," Pietro Mazzamut,). "Il sermone L{/ nlilJc!li'ra e la crisi settem-
briniana del lH54." Michela Sacco Messineo. "Due documenti culturali di ispirazione
'ghibe llina': la Storia del/a letteratllra daliana. " di P. Emiliani Gi udici e le "LczlIJni di letteratllra
i/allell/fl di L. Settembrini," Costantino Nikas, "I rapporti di L. Settcmbrini e alcuni letterati
greci." Anna Pessina, "Religiositit e affetti familiari in L. Settembrini." Giorgio Santangelo,
"II giudizio del Settembrini sul Meli." Giovanni Saverio Santangelo, "Settembrini e la
cultura francese," Marco Santoro, "II concetto di 'rinnovamento' nel Settecento italian()
nelle Lezillni del Settembrini). ed corredato da un utile indice dei nomi.
17
108
ANTONIO ILLIANO
volume delle quattro relazioni e sedici comunicazioni presentate a
un importante convegno di studi svoltosi a Napoli (febbraio 1976)
per iniziativa della rivista Esperienze letterarie. Vi si trattano tutti gli
aspetti maggiori della vita e dell' opera in un ampio mosaico di
verifiche, approfondimenti e proposte che costituisce gi un punto
di riferimento obbligato per la continuit del discorso critico e per
il proseguimento delle indagini sull' opera settembriniana e sulla
storia politica e letteraria della seconda met dell' ottocento.
La pubblicazione rivela subito la seriet e l'impegno allivello
storico e filologico anche quando, in sede critica, l'atteggiamento
dei relatori sembrasse pi disponibile all' operazione demitizzante
che alla concessione benevola. Alfonso Scirocco elabora una nuova
e pi netta definizione del "Settembrini cospiratore":
Fino all'ergastolo la sua attivit politica si svolge nell'ambito del-
l'esperienza settaria, tutta circoscritta nella tradizione locale di stam-
po carbonaro, chiusa alle nuove idee che circolano in Italia, n la
partecipazione all'Unit Italiana significa l'apertura a pi ampi oriz-
zonti politici. In questo ambito il professore napoletano, tradizional-
mente considerato cospiratore maldestro, appare, per, ben fermo
nelle idee, abile nel non lasciare tracce compromettenti .... Settem-
brini scelse di essere cospiratore perch fu pi un idealista che un
politico, nel senso che sent l'esigenza di migliorare la societ, ma non
si pose il problema di comprendere i suoi tempi e di trovare gli
strumenti adatti per realizzare l'auspicato mutamento. In questa
esigenza schiettamente morale fu, per, la sua peculiarit, ch dalla
fede in un avvenire migliore attinse la forza con cui super le vicissi-
tudini delle persecuzioni, riprendendo costantemente la lotta con
l'entusiasmo dei puri di cuore (pp. 25-26).
Questi chiarimenti, in parte decisamente riduttivi, servono tra
l'altro a un utile ridimensionamento dei primi giudizi desanctisiani
sul Settembrini cospiratore "inabile" e "facilone."2
I
Mario Themelly mette in risalto, nell' "ultimo Settembrini," il
significativo giustapporsi di tensioni ed esigenze diverse:
Anche la vecchia polemica anticattolica che si riaccende negli ultimi
anni e prende corpo nei Dialoghi rivela l'aspirazione a trasportare sul
piano ideologico la lotta contro il cattolicesimo ed a sostituire le fedi
religiose con la religione del vero e della scienza. Accanto all'ispira-
zione positivistica e razionalistica, mediata probabilmente dai circoli
napoletani del libero pensiero (molto attivi in quegli anni), la sugge-
stione del Kulturkampf bismarckiano dev'essere stata assia forte ....
Vediamo cos scaturenti dalla stessa radice (o dallo stesso vuoto) due
forze diverse e forse convergenti: la prospettiva autoritaria e i miti
i (il)
della "missione." Queste istanze, accanto alle altre note, segnano
tutta la biografia politica del Settembrini, trasformano l'immagine
che la tradizione ce ne ha consegnato, ne suggeriscono una diversa
collocazione nella storia politica dell'Ottocento (pp. 347-48).
Tali forze eterogenee e apparentemente contraddittorie si compo-
nevano per nell'area dell'impegno meridionalistico e nella coerente
opera dello scrittore e del polemista. Mario Santoro, in un ampio
discorso che segue da vicino l'opera e la problematica dello storico
della letteratura ("L'impegno meridionalistico e le Lezioni del Set-
tembrini"), illustra la costante devozione che il Settembrini nutr
per la patria meridionale e la conseguente dicotomia tra patria
grande e patria piccola, enunciata con popolare semplicit e inge-
nuit, che il Settembrini cercava di risolvere nella tesi della parteci-
pazione di ciascuna regione alla vita e alla cultura nazionale: "La
patria grande composta dalle patrie piccole; e siccome chi
buono nella famiglia suole essere buono nella citt, cos chi serve al
suo paese nativo serve a tutta la nazione."3 Ma la dicotomia rimane
non solo come motivo sentimentale bens come "vero e proprio
mqtivo ideologico" in quanto la funzione di privilegio che il critico
assegna alla cultura napoletana nelle Lezioni rispondeva intenzio-
nalmente "una scelta di chiaro segno meridionalistico" (p. 97).
Giova a un'adeguata comprensione dei valori stilistici della
scrittura settembriniana la polemica difesa che Giuliano Innamora-
ti intraprende del "memorialismo polemico," considerato come "la
linea privilegiata di una funzione scrittoria molteplice e non affatto
ancora ben difinita" (p. 74), in un'analisi che, dopo varie precisa-
zioni ed elucidazioni (Es.: "La schiettezza del Settembrini nobile
artificio, calcolata verit di effetti, non mai spontaneistica effusione
verbale" [p. 72]), si conclude con un caustico invito al superamento
dei vecchi schemi:
N on dunque che manchi il lavoro da svolgere e che non valga la pena
di applicarvisi. Certo che non pare pi il tempo, di fronte al nostro
piu importante autore di memorie della et risorgimentale, di conti-
nuare a mantener Settembrini nel carcere ulteriore (e sia pure dorato)
di me re definizioni estetizzanti, nel domicilio coatto della poesia
ingenua e bozzettistica, insorgente da fanciullesca coscienza che si
consola col" non pensare." Ci vuoI altro per chi scriveva nel 1851,
con terribile semplicit, in quel carcere, in quella bolgia: "lo scrivo
non per avere dal mondo una lode che non merito, o una piet che mi
irrita e m'offende; ma perch resti ai nostri figlioli .... la memoria
delle nostre sventure" (p. 77).
110
ANTONIO ILLlANO
A tale avviso fa riscontro l'analogo e puntuale richiamo con cui
Marcello Gigante conclude la sua comunicazione sul" classicismo
del Settembrini e gli italianisti":
Il Settembrini dettava poi le Lezioni di letteratura italiana, che, a mio
parere, oggi meritano una attenzione libera da pregiudizi piu o meno
desanctisiani ed una piu adeguata valutazione, quale opera precorri-
trice almeno di una tendenza non resistibile della storiografia lettera-
ria che esce fuori dai recinti accademici e si slancia verso il popolo. Le
Lezioni, d'altra parte, offrono il supporto necessario per intendere
compiutamente il ruolo di Settembrini nella storia degli studi classici
dell'800. N fu certamente un caso che nel giugno 1860 fu assegnata
dal conte Terenzio Mamiani al Settembrini la cattedra di Letteratura
latina e greca nell'Universit di Bologna, cui rinunzi, anticipando la
diversa e analoga rinunzia del Carducci all'Universit napoletana.
4
A ttorno alla vita e all' opera del Settembrini s'in tesse cos una
fitta rete di riferimenti biografici, storici e letterari che viene
variamente approfondita dalla messe di contributi raccolta nel
settore delle comunicazioni. Particolarmente notevoli le note di
interesse filologico ed erudito. Mario Battaglini fa la storia politica
ed editoriale della famigerata Protesta del Popolo delle Due Sicilie
(1847), mentre Francesco d'Episcopo si sofferma sull'edizione set-
tembriniana del Novellino di Masuccio che, insieme a quella delle
Poesie di Remigio Dal Grosso, "si inserisce in una programmatica
operazione di recupero e di divulgazione della tradizione narrativa e
poetica meridionale" riscoperta nella sua distintiva e speciale em-
blematicit e originalit da uno scrittore nel quale era vivo il senso
delludus e della beffa. Pietro Mazzamuto traccia la storia interna
della crisi umana e spirituale che condusse alla composizione del
sermone La maschera. La matrice biografica, alla quale risalgono
direttamente vari contributi, tra cui quelli del Nikas e della Pessina,
opera con incisivit critica nella tesi di Ugo Piscopo, secondo cui il
Settembrini, oltre ad assumere il popolano buono e innocente
come eroe della lotta contro ogni potere dispotico e oscurantistico,
attribuisce a lui anche la propria "fame" del negativo, la fondamen-
tale vocazione settembriniana alla contestazione.
In sede storico-critica l'interesse converge decisamente sulle
Lezioni di letteratura italiana, senza peraltro superare la pregiudiziale
della cultura "arretrata" che da anni perdura tra le qualifiche pi
radicate della formazione dello scrittore napoletano. Secondo
IN MARGINE AI CENTENARIO SETTEMBRINIANO
J II
Michele Cataudella, per esempio, il Settembrini che scrive tra il
1860 e il '75 "resta, obiettivamente, un attardato, le sue convinzioni
si legavano coerentemente al fondo settecentesco della cultra
napoletana, alla tradizione meridionale, e
per quanto attardato, in certo senso, pi legato ai sostrati provin-
ciali e meridionali rispetto alla cultura in evoluzione, tesa a con-
quistare una dimensione italiana" (p. 133). D'altro canto Tonia
Fiorino, illustrando la visione dinamica che il Settembrini ebbe della
lingua e dell'osmosi tra lingua e dialetto, pu affermare che "delle
due correnti che in quegli anni portano avanti il dibattito sulla
lingua, dopo la proposta manzoniana, lo scrittore napoletano ade-
risce a concetti linguistici tanto pi moderni e anticonformisti se si
pensa in particolare alla sua formazione puristica" (p. 149). E
mentre Giovanni Saverio Santangelo fa un'attenta rassegna delle
letture francesi del Settembrini sottolineando tra l'altro l'influsso
della Stael, alla quale riconosce il merito di aver salvato lo scrittore
napoletano dalle "pastoie senza futuro della sua foncire 'cultura
arretrata' " (p. 260), Marco Santoro, trattando della nozione di
rinnovamento anche in rapporto all' esigenza storiografica ottocen-
tesca del periodizzamento, colloca il Settembrini sulla linea del
classicismo illuministico che dal secolo dei lumi giunge fino al
Carducci.
Dall'insieme di tutti questi contributi emerge quindi un ritrat-
to dell'uomo e dello scrittore decisamente proiettato sui vasti
riquadri della storiografia politica e della problematica letteraria
dell' ottocento romantico e risorgimentale.
da auspicarsi ora che l'acume e lo zelo di questa importante
messa a punto valga a promuovere il riconoscimento e la fortuna
del Settembrini anche all' estero dove, dai tempi remoti della calo-
rosa accoglienze che l'Hillebrand riserv alle Ricordanze, l'opera del
cospiratore-scrittore ha raramente avuto la risonanza che merita. <
Solo 1'opera dello storico della letteratura italiana ha trovato pi
recentemente una sistemazione, alquanto schematica e provvisoria,
in una storia supernazionale della critica moderna:
The whole of ltalian literature is seen as "a struggle of the Church
against civil power, against art, against science, against liberty, against
religion itself." Painting, music, architecture in ltalywere dependent
on the Church, hence "Guelf," while literature, "as Ghibelline, drew
many inspirations from Paganism, rose against the authority of the
Church, wanting to obey no other but reason, and finally achieved
skepticism." I talian literature is a continuation of Roman literature;
112
ANTONIO ILLIANO
it is national and classical, it harmonizes form and contento In
Settembrini's conception, Christianity is purely destructive. Even St.
Francis' love for "brother dog, brother wolf, brother sun, and sister
moon" is distorted to mean a lowering of man to the status of a beast.
6
Siamo ancora alla nozione dell' "idea fissa" (il conflitto tra
chiesa e potere civile) in cui lo Zumbini riconosceva il momento
negativo dell'impostazione settembriniana.
7
Ma accanto all'idea
fissa operano, oltre al sentimento dell'arte a cui anche lo Zumbini
riconosceva una certa validit, altri valori quali la lezione d'italiani-
t, il senso civile della letteratura, la vocazione narrativa forte e
profonda quanto la religione del vero ereditata dalla tradizione
illuministica. E su queste componenti essenziali valgano i chiari-
menti e gli aggiornamenti proposti dai contributi di Pompeo Gian-
nantonio, Mario Gabriele Giordano, Pino Iorio, Michela Sacco
Messineo e Giorgio Santangelo. D'altronde lo stesso Settembrini,
mentre conferiva il primato europeo alla letteratura italiana in
quanto rappresentazione del conflitto chiesa-stato, era pur consa-
pevole della possibile equivocit della sua impostazione ideologica
e si affrettava a precisare: "Non dico gi che la nostra letteratura sia
tutta ghibellina, ma dico che essa pi che le altre arti ci rappresenta
quel contrasto che era gi nella vita italiana, ci rappresenta lo sforzo
della ragione che vuoI francarsi dell'autorit religiosa."R
Inoltre, ai fini di una lettura attenta ed equa, non sembra si
possa agevolmen te desumere dal testo delle Lezioni l'idea che nella
visione storico-letteraria dello scrittore napoletano l'amore di San
Francesco per le creature viene alterato o travisato a tal punto da
significare l'abbassamento dell'uomo alI stato animale. In realt,
lungi dal suggerire tale idea, il Settembrini impiega l'esempio
francescano in un passo che tende a definire la genesi del" nuovo
sentimento dell'amore" nella letteratura delle origini: la citazione
viene cio ad inserirsi nel contesto della teoria secondo cui il
momento dell'esaltazione della donna presuppone un processo di
livellamento dell'uomo e della donna che nel medio evo tocc
punte di estrema depressione morale c spirituale: depressione che
si esemplificherebbe appunto nell'atto di "esagerata" umilt fran-
cescana:
Nel mondo antico la donna era serva dell'uomo e almeno inferiore:
nel mondo nuovo il cristianesimo depresse l'uomo, lo fece servo,
IN-MARGINE AL CENTEM'-\RIO SETIF.MERINLA ..... 1\JO
-Hj
l'agguagli alla donna, anzi abbass l'uno e l'altra alla condizione
delle creature irragionevoli, per modo che il buon Francesco d'Assisi
nell' esagerazione della sua umilt diceva: 'Frate cane, frate lupo, frate
sole, e suor luna' .... Quando l'uomo cominci a risentirsi libero e
lev il capo, con maraviglia si trov a fianco la donna sua conserva ed
eguale .... che gli asciug le lagrime, gli fece sentire qualche gioia; ed
egli che aveva imparato che la gioia non su la terra ma nel cielo,
credette che nella donna fosse qualcosa di divino .... 9
E si noter infine come, anche nel microcosmo di tali inedite
quanto improbabili nozioni, il dettato delle Lezioni risponda a una
varia gamma di sollecitazioni umane e culturali che ne arricchiscono
continuamente la fondamentale impostazione laica.
ANTONIO ILLIANO
The University of North Carolina
I Per una rassegna della critica settembriniana si vedano: F. De Sanctis, "Settembrini
e i suoi critici," in Nuovi saggi critici (Napoli: Morano, 1873) e ora in Saggi critici, a cura di L.
Russo (Bari: Laterza, 1957), e Parole in Morte di L Settembrini (Napoli: Morano, 1876); B.
Croce, "L. Settembrini," La Critica, 20 gennaio 1913, e poi nella Letteratura della nuova Italia
(Bari: Laterza, 1914); L. Russo, F. De Sanctis e la cultura napoletana (Firenze: Sansoni, 1959);
D. Bulferetti, L Settembrini (Torino: Paravia, 1925); A. Omodeo, "L. Settembrini," in
Di/esa del risorgimento (Torino: Einaudi, 1951); R. Bertacchini, "L. Settembrini," in
Letteratura italirma. I minori (Milano: Marzorati, 1962, Vol. IV); M. Themelly, L Settembrini
nel centenario della morte.' Note e proposte per una biografia polttica (Napoli: Societ Nazionale cli
Scienze, Lettere e Arti, 1977).
lF. De Sanctis, Prefazione a L. Settembrini, Ricordanzedella mia vita (Napoli: Morano,
1879-80), xii e xv.
'L. Settembrini, Scritti vari di letteratura, politica ed arte (Napoli: Morano, 1889), p. 300.
Per un approfondimento dell'importante contributo polemico del Gigante si veda
anche il suo recente saggio su Settembrini e l'antico (Napoli: Guida, 1977).
lKarl Hillebrand, "L. Settembrinis Denkwiirdigkeiten," inZezten, Volker und Menschen,
voI. VI, Zeztgenossen und Zeztgenossisches, (Strasburgo: K.J. Triibner, 1907), pp. 167-209.
Oltre a sottolineare la gioiosa vitalit dell' opera e l'inconfondibile schiettezza e semplici-
t dellostile ("clie einfache und in ihrer Einfachheit unerreichte Schnheit"), il saggio del
critico tedesco elaborava anche un efficace profilo biografico del Settembrini.
OR. Wellek.A Hirtory o/ Modern Crlticism, 1750-1950.' Thc AKe o/Tramition (New Haven
and London: Yale University Press, 1965), p. 84.
-B. Zumbini, "Le lezioni di letteratura italiana di L. Settembrini e la critica italiana, "
in Stlldi di letteratllra Italiana (Firenze: Le Monnier, 1884). Cf. G. A. Borgese. "Tentativi di
storia letteraria: Emiliani Giudici e Settembrini," in Storia del/a critica romantica in Italia
(Milano: Treves, 1920); G. Getto, Storia delle storie letterarie (Firenze: Sansoni, 1942).
'L. Settembrini, Lezioni di letteratllra lfa!irJnfl (Firenze: Sansoni, 1964). pp. 19-20. E si
riveda anche l'esortazione dal De Sanctis allo Zumbini. tutta improntata a una visione che
114
ANTONIO ILLIANO
insieme coerentemente storica e squisitamente umana e umanistica dell'opera settem-
briniana: "Lascia dunque il sistema, e le tante contraddizioni e l'idea fissa e il difetto di
coesione e la dissertazione sul contenuto, e vieni con me a ringraziare il Settembrini in
nome della vecchia e della nuova generazione che abbia regalato all'Italia un cos bel
libro, dove tutto ci che una parte degl'Italiani ha pensato e sentito per lungo tratto di
tempo si trova rappresentato con l'anima dell'artista, col cuore del patriota" ("Settembrini e
i suoi critici," cit., p. 278).
9Lezioni di letteratura italiana, p. 66-67.
IL MONDO DEI LmRI
RECENSIONI
Francesco De Sanctis. Un viaggio elettorale. Racconto. Introdu-
zione di Gilberto Finzi. Milano: Garzanti, 1977. Pp. 121.
Le ristampa in edizione economica di questo piccolo capolavoro
narrativo s'impone all'attenzione del lettore-recensore per due motivi
fondamentali: l'uno perch serve a riba'dire, in sede extra-teorica, un lato
essenzialmente politico del noto realismo desanctisiano, l'altro perch
riesce ad illustrare, non meno de La giovinezza, la dimensione pi stretta-
mente creativa del De Sanctis scrittore.
Il testo, opportunamente presentato in questa duplice prospettiva,
preceduto da un breve profilo storico-critico inteso a sunteggiare le tappe
principali delle opere e del pensiero del De Sanctis. Il panorama traccia-
tone necessariamente amplissimo, ma non per questo si scade nel super-
ficiale o risaputo. Anzi, i cenni introduttivi del Finzi si distinguono, se
non per la mole, almeno per la chiarezza e dimestichezza con cui egli si
muove nella vasta produzione letteraria del Nostro. Le sue note, vuoi si
parla della vita dell'autore, vuoi si discute delle sue idee letterarie, sono
tutte mirabilmente convogliate ad illustrare il costante impegno morale
ed artistico di un uomo che ambiva ad essere profondamente "moderato"
sia in politica che in letteratura.
Stabilito il contesto storico in cui si colloca il famoso Viaggio elettorale
del De Sanctis, l'attenzione del Finzi si riversa quasi interamente sull' aspetto
pi propriamente letterario dell' opera. Dopo alcuni rapidi ma incisivi
appunti sulle vicende esterne che spinsero il De Sanctis alla faticosatourne
elettorale del '75 nel suo collegio natale, il discorso del Finzi si fa pi
denso e certamente pi stimolante per chi s'interessi ad una maggiore
conoscenza del De Sanctis memorialista. In questo senso, l'apprezza-
mento del "racconto" desanctisiano, comprensibilmente eclissato dalla
fama della sua produzione critica, va pertanto valorizzato, essendo esso
giustamente considerato un punto culminante della sua Carriera sia come
teorico d'arte che come uomo d'azione.
Scritto in prima persona, subito dopo la sua fortunosa elezione, il
Viaggio elettorale, che da resoconto epistolare diventa cronaca politica rivis-
suta giorno per giorno, resta indelebilmente impresso nella memoria non
solo per certe figure reali, variopinte, della vita provinciale studiate, come
115
II6 RECENSIONI
ama ripetere il De Sanctis, "dal vero e dal vivo," ma anche per quella
rapida scrittura, scarna, quasi telegrafica in cui ogni parola trasporta il
lettore attraverso ben quattordici capitoli, tutti variamente sfaccettati,
ora pure divagazioni immaginarie come quello intitolato "Fantasmi not-
turni," ora dure rampogne moraleggianti come quello indirizzato a Morra,
suo paese nativo, ch tanto aveva osteggiato la sua candidatura al Parla-
mento. Coglie pertanto nel segno il Finzi nel rilevare questo felice
congiungimento del "fantastico" col "reale," del "romanzo" con la "storia,"
senza che il primo prevarichi sul secondo. Ecco un "Viaggio" insomma
nel quale il pathos viene completamente armonizzato coll'ethos, per cui
l'artista non pu intendersi al di l del moralista, almeno in senso lato,
entrambi comunque mescolandosi al politico, alla figura dell'intellettuale
post-unitario che vive, non immemore di qualche residuo idealistico, il
suo sogno di una" moderata" democrazia nazionale, precisamente come
andava auspicando la cosiddetta "sinistra giovane" capeggiata in realt
dallo stesso De Sanctis. Compenetrazione dunque assoluta tra due piani
narrativi, il fantastico-artistico e il politico-educativo, che solo in apparen-
za si possono dire autonomi, laddove in profondit sono inscindibilmente
legati, forse pi di quanto non si voglia avvertire nell'introduzione al
testo. Con un' opera cos felicemente articolata mediante le pi svariate
tecniche narrative, dalla descrizione al dialogo, dal discorso diretto a
quello indiretto libero, non si pu allora non condividere l'entusiasmo del
Finzi che vede in questo Viaggio elettorale uno dei risultati pi illuminanti
del mondo artistico-morale del critico irpino.
ANTHONY VERNA
University of Toronto
Giorgio Brberi Squarotti. Le sorti del "tragico." Il Novecento
italiano: romanzo e teatro. Ravenna: Longo, 1978. Pp. 240.
Lippis et tonsoribus notum est quanto vasto il dibattito su che cosa sia un
genere letterario, sui suoi limiti, se la qualit di esso sia tanto cambiata da
modificarne l'essenza, ecc. Anche se si volesse accettare una definizione,
la pi ampia, la pi inclusiva, la pi neutra, come ad esempio quella di
Claudio Guilln: "Un genere letterario un invito alla forma," ci non
escluderebbe dissensi, polemiche, contrasti e diatribe perch la forma per
s non verrebbe a definire, e spesso nemmeno a descrivere, l'essenza di un
genere letterario. Essa si trasforma tanto con l'alterarsi e l'alternarsi dei
valori e disvalori storici ( ed anche metastorici, con buona pace di umanisti
ed idealisti), che solo per paucit semantica o per speditezza (e oscurit)
stenografica Boccaccio, Moravia e Landolfi o Manzoni, Joyce e Volponi
RECENSIONI ----LL'7--
possono essere designati con la stessa etichetta letteraria. Donde le
questioni corollarie sulla morte della novella o del romanzo. (Per non
parlare-ribaltando l'argomento dal binario della scrittura a quello della
storia e della vita-dell'amaro richiamo alla morte o almeno alla legittimi-
t della poesia da parte di T. W. Adorno: "Dopo i campi di concentra-
mento non pi possibille scrivere poesia.") La tragedia il genere
letterario privilegiato dalla pi lunga tradizione esegetica da Rarte di
artisti, critici e filosofi di tutte le epoche. Perci esiste della tragedia una
definizione meno imprecisa, o almeno un rigore di coordinate intellet-
tuali e di lessico critico che permette di sviluppare un discorso come
questo squarottiano in linee nette, sobrie e significative.
Certo, si discussa gi la morte della tragedia; Nietzsche il caso pi
cospicuo e pi seducente quando afferma che il razionalista Socrate fu il
distruttore della tragedia. La razionalit lamentata dal filosofo tedesco sta
alla base sia del positivismo che del marxismo, ideologie della borghesia
che impediscono l'espressione del "tragico": questa la tesi del presente
esame critico di Giorgio Brberi Squarotti. Come Nietzsche trattava la
tragedia greca non solo da mero genere letterario ma come espressione di
un' esistenza e di una aspirazione dionisiache, cos lo Squarotti non limita
il suo interesse alla tragedia qua genere ma analizza il "tragico" come una
possibile situazione esistenziale nella vita di un uomo. Anzi il primo
capitolo, "Il testo teatrale," vuole dimostrare l'impossibilit del "tragico"
nel testo della tragedia moderna (italiana). Infatti "L'inventivit carneva-
lesca e dionisiaca e quella della festa e della vacanza, che sono dissoluzioni
del tessuto e della struttura sociale, non possono mai essere definite e
rinchiuse in un t e ~ t o " (p. 27), poich cos il testo si istituzionalizza ed
acquista il carattere di ripetibilit la quale distrugge l'inventivit, essen-
ziale al "tragico." Inoltre l'analisi di questo volume non ristretta ai testi
teatrali ma include il romanzo, pi una novella e una poesia.
"Il tragico-scrive l'Autore- (letterariamente) una protesta assolu-
ta, che non ammette compromissioni ... [] rifiuto della realt storico-
fenomenica ... ed antirealistico ... ; la scelta tragica si oppone al buon
senso e al senso comune, un'uscita clamorosa e totale dalla (pretesa)
razionalit della storia e del comportamento sociale e morale" (p. 29).
Troviamo qui l'eco della intuizione hegeliana che afferma: "solo (cito a
memoria) quando l'individuo dipende da se stesso e non dalle esteriorit
delle circostanze, l'azione umana si afferma come azione nel senso supre-
mo, cio, come esecuzione reale di intenzioni e di mire ideali con la
realizzazione delle quali l'individuo agente si associa." Lo Squarotti indica
questa azione, questa "assoluta lib"ert" (p. 27) nella "scelta della morte
come forma suprema di rifiuto ... [dopo che] 1'eroe tragico si scioglie ...
dalla storia" (p. 30). La morte, cos, diventa "dimostrazione d'incontami-
natezza" (p. 31). questa scelta della morte che l'Autore cerca e analizza
perseguendo le sorti del "tragico" nel Novecento italialllo sia nei roman-
118
RECENSIONI
zi-Fogazzaro, D'Annunzio, Dossi, Oriani, Svevo, Tozzi, Deledda,
Vittorini, D'Arzo, Pavese, Volponi, in pi una novella verghiana e una
poesia di Sereni-sia nelle tragedie-Alvaro, Bontempelli, Testori,
Savinio, Moravia e Pirandello al cui teatro sono dedicati gli ultimi quattro
capitoli ed il quale l'unico che distruggendo il testo teatrale raggiunge il
tragico.
Con gli esempi scelti nella sua investigazione dell'atto tragico lo
Squarotti suggerisce che l'ottimismo, la razionalit, la fede nelle sorti
progressive delle ideologie borghesi hanno impedito la espressione del
tragico appiattendo, topicizzando, degradando, viziando, dissacrando o
rendendo banale, volgare, patetico, vergognoso o utile l'autodistruzione
dell'individuo. L'opposizione fino alla morte viene concepita, giudicata,
inquadrata nel contesto degli ideali borghesi stessi e, consequentemente,
non si innalza al di sopra della norma basata sulle strutture e sovrastrut-
ture del momento storico, essa non diventa assoluta, eroica (eccetto in
rarissimi casi). Il critico rileva per quanto riguarda la letteratura del
tragico, ci che il filosofo Marcuse scopriva nell'uomo a una dimensione:
le condizioni ideologiche sono tanto invadenti, opprimenti, alienanti che
annullano o vanificano ogni tentativo di contestazione. Accettata la realt
e la societ borghese (anche come antivalori), impossibile evaderne, e
tanto meno evaderne eroicamente. Certo, si pu lottare-perfino pren-
dendo come motto l'ultima frase della tesi di laurea del pi famoso
ideologo-economista: "Odio tutti gli dei"-ma si rimane al di qua
dell' eroismo, il quale non pu far parte di un gruppo o di una classe:
l'incontro o il confronto con gli dei si attua solo e sempre a tu per tu.
Nelle parole dell'ideologo-critico letterario Gyorgy Lukacs (perfino lui!):
"Alla fine non c' prossimo, ognuno solo alla presenza del destino."
Dunque il presente volume non va inteso come la storia di alcuni casi
di tragico mancato nel Novecento italiano ma piuttosto la lucida
esposizione di una sofferta posizione, quasi impegno, personale. Sbaglie-
rebbe il lettore se considerasse una mancanza che alcuni importanti
romanzieri e drammaturghi non siano stati esaminati. Gli esempi portati
sono sufficienti a dimostrare la tesi. Invero alcuni casi discussi sono
suscettibili di altre interpretazioni: ad esempio, applicando un pensiero di
W. H. Auden-il quale indica due tipi di tragedia, quella greca, la tragedia
"della necessit" e quella cristiana, "della possibilit,"-si potrebbe sug-
gerire che il tragico della protagonista de La Motlaca di Motlza di Testori
non deve cercarsi in "una necessit di male superiore alle forze dei
protagonisti" (p. 113) o nella '"nece,ssit della carne e della vita come male
irrimediabile [che] finisce a essere l'unico senso di tutti i deliri che si
ripetono lungo l'opera" (pp. 113-114), ma piuttosto nella possibilit
esistenziale che "la sventurata" avrebbe potuto !lOti rispondere. Questo
stesso significato del tragico potrebbe applicarsi alle figure infernali
dantesche.
RECENSIONI
119
In conclusione il libro rappresenta uno stimolante contributo al
discorso sul tragico anche se non ne d una sistemazione definitiva. Una
tale sistemazione dovrebbe assumere un assurdo carattere scientifico ed
in tal caso-ricordiamo l'osservazione di D'Annunzio: "L'anatomia p ~ e
suppone il cadavere" -la tragedia sarebbe davvero morta per sempre.
Nessuno si sentirebbe legato "to a dying animaI" e bramerebbe slanciarsi
"into the artifice of eternity" (per citare dei versi che pensiamo cari
all'Autore). Comunque anche se convinti dell'inesistenza del tragico
(ripetiamo, si parla di scrittura) rimane "il piacere della storia," cio il
piacere di parlare attorno alla tragedia. Del resto fu quando in Grecia non
c'era nessun autore capace di scrivere tragedie (e nemmeno c'era la
borghesia) che Aristotele formul quella concezione del tragico ancora
valida ai nostri giorni.
EMANUELE LICASTRO
State Uniwrsity 01 New York, Buffalo
Elio Vittorini. Conversazione in Sicilia. Edited and Intro-
duced with Notes and Vocabulary by Robert C. Powell.
Manchester: Manchester University Press, 1978. Pp. 233.
Conllersazione is a very welcome addition to the Manchester Univer-
sity Press series, and it is to be hoped that this edition gains wide use in
fourth and fifth semester courses. The thirteen page "Selective V ocab-
ulary" seems short but proves to be adequate in view ofVittorini's style
and lexicon. It is in any case supplemented by the "Notes" (pp. 197-
220), which translate and explicate many expressions. The text is
accompanied by and "Introduction" (pp. 1-13) to Conversazione anda
brief "Biographical Note" (pp. 14-18). The latter gives the pertinent
facts of Vittorini's life and also serves as a bibliographical note, as it
deals mainly with Vittorini's other novels. There is in addition a
selective bibliography, including some thirty-three secondary sources.
The "Introduction" is interesting. It places Conversazione in its
European context as well as in its anti-Fascist matrix, showing both its
universal and its more dated aspects. Mr. Powell has obviously read a
good dea l of the criticism on Vittorini and makes intelligent use of it.
'
No two critics will agree on interpretations of this author, but these
pages have raised some interesting points, among them the similarity
of Vittorini's ethics to Christian ones (p.lO); the contrast between
Silvestro's universal humanity and the subjective limitations of Gli
Indifferenti' s Michele (p.) and the lack of colors in Conversazione (p. Il).
120
RECENSIONI
I do however object to the gloss on "eternaI womanhood" (repre-
sented by Concezione): " ... all that woman represents from Eve,
'costola di uomo' to the epitome ofhumility in the epilogue where she
washes the feet of the old man" (p. lO). Its author rightly goes immed-
iately to remark the "quasi-religious atmosphere which pervades the
book"; he should also have remarked the Biblical patriarchism which
pervades his own attitude. One must hope that in reducing women to
Adam's rib and due humility (an injustice to Vittorini, whose Conce-
zione is far more than that), Mr. Powell is behind his times rather than
ahead of them.
The "Biographical Note" could have been amplified. The impor-
tance Vittorini ascribed to his experience as a worker on a road gang,
the eomie-opera episode of his expulsion from a Fascist Party to which
he no longer belonged, the circumstances under which Uomini e no was
written, an explanation of the Politica e Cultura polemic and of Vittor-
ini's subsequent excursions into practical politics would all have been
useful. The same extreme concision proves detrimental to the sum-
marizing comments on Vittorini's other novels. The first version of Le
Donne di Messina , for example, is reduced to" ... basically an attempt to
insert the main themes of Il SemPione . .. even further into the historical
eontext and to record more accurately the malaise of the Italians faced
with the problems of reconstruction and resettlement in the chaos
following war" (p. 17). Nevertheless, the "Biographical Note" does a
good job of clearly presenting Vittorini's constant political and socio-
logical preoccupations. Its brevity may be due to the editorial require-
ments of the series.
In preparing his edition, Mr. Powell has "borne in mind tlie re-
quirements of several types of reader." The intention is praiseworthy,
the results in the Notes are uneven. Where these deal with the history
of Sicily, ancient as well as modern, they are admirably erudite and
extremely illuminating, as in the originaI glosses on the importance of
Amanta, Marata and Gioia Tauro, symbols of popular resistance
because of their stands against the French in the nineteenth century
(III, 2 p. 199) and on the hospitallaw of 1927 (XXIV, 6 p. 208). There
are aiso many sensitive stylistic observations (see for example 1,3 p.
197 and V, 2 p. 200). At other times the effort to speak to allleveis of
possible audience leads to comments like that on tre belle figliefemmine,
COJ dine: "The word femmine is obviously superfluous here, but S. is
particuIarly anxious to record with totai accuracy wht il G.L. has to
say' (VII, 2 p. 201). In some cases the editor's erudition betrays him:
the name Constantino is glossed in terms of the Donation of Constantine,
a supposed parallel to the way in whieh "Silvestro's father ... hands
over responsibility for the mother to the sons" (II, 5 p. 198). Why not
simp!y a pIay on coJtflnte/incostante? In the same way Dante's undeniable
- -------RECENSIONI
121
presence in Conversazione is not well served by some of the explicit
comparisons (e.g. Vittorini's non . .. ma syntactic pattern, noted by
Falaschi as a basically affirmative one, do es not need Inferno XIII as a
commentary - III, 6 p. 199). Neither do I see the need to drag in
Manzoni propos of the presence of goats in the poverty-stricken
Sicilian hovels (XII, 3 p.20S). There are times when a goat is a goat and
does not need to be rinsed in the waters of the Arno. Mr. Powell would
have done better to explain the ubiquitous chicory and snails. Other
allusions are illuminating, however, like that to Levi-Strauss in com-
mentary on the lesso of Chapter XIII (1, p. 204).
Two other features of the book are worth noting. The addition of
a map of Sicily showing the places mentioned in the journey is of great
interest, and an unusual 1916 photograph of the eight-year old Vit-
torini with his mother adds a veritable "fourth dimension" to the book,
introducing elements ofboth reality and "something more than reality."
JOY HAMBUECHEN POTTER
The University of Texas at Austin
'The quotations. both from Conversazione itself and from the cri-
tics, are not translated. Instructors should beware of assuming that classes can skim
through these pages and understand them.
Charles C. Russell. Ita/o SvevO. The Writerfrom Trieste. Reflec-
tions on His Background and His Work. Ravenna: Longo, 1978.
Pp. 249.
At a time when literary cnt1Clsm has become highly specialized,
abstract and often hermetic it is a pleasure to read a criticaI work which is
not only intelligent but accessible to the generaI reader. In fact, the main
asset ofRussell's Italo Svevo. The Wrt'ter from Trieste is that it brings, with its
clarity and simplicity of presentation, Svevo doser to the non-specialist.
Although the author's statement that a book on Svevo can "make a reader
take up a novei by Svevo" (p. 9) is debatable, his desire to make his readers
like Svevo "a little more" (p. 9) is certainly praiseworthy.
Russell's goal, as indicated in the "Foreword," is not a criticaI one but
"a reflection on Svevo's shifting relationship with Trieste" (p. 9), the city
that played a large role in Svevo's life. The book is organized in six
chapters. The first is by far the best. "Trieste and the Early Years ofItalo
Svevo" gives the reader a wealth of information on the city: historical,
cultural, geographic, economic and sociologic. It could stand on its own,
without reference to Svevo, as the portrai t of a city. We learn much about
Trieste's contrasting political conflicts caused by the mixed population of
122
RECENSIONI
Austrians, Slavs and Italians, and about the efforts of the Italian Irridentist
movement. Russell clearly shows how literary taste in Trieste suffered as a
result of this stifling nationalistic spirito In those days it was enough, as
Russell tells us, to write something patrio tic "to get into print" (p. 38). A
writer like Svevo, on the other hand, was bound to be little noted or
appreciated in such an atmosphere. The Trieste which emerges from
Russell' s study is culturally backward, money-oriented, provincial, narrow-
rninded, and "often unkind to its artists" (p. 24). He puts Trieste on trial
and finds it responsible for Svevo's unfortunate literary career and frustra-
tions. The accusation is the leit-motif of this book, constantly yet subtly
present up to the final page. To the visitor ofSvevo's tomb Russell says:
"If you ask at the entranceway where you can find his tomb, don't ask for
Italo Svevo. That name isn't very well know. He is listed under Veneziani"
(p. 246).
In the next five chapters ("The Years of Una vita," "The Years of
Senilit," "The Years, of Apparent Silence," "The Years of La coscienza di
Zeno," "The Final Years") Russell analyzes the relationship between
Trieste and Svevo through his writings. His thesis is that Svevo's novels
owe their success to Svevo' s relationship to Trieste. Where the city
appears as a main character-whether hated as in Una vita or accepted
with laughter as in La coscienza di Zeno, the greatness of the novels is
assured. Where, conversely, the city disappears or remains in the back-
ground, as in Senilit, the novel fails. Although he calls Senilit the most
"ingenious" (p. 139) of the three novels (borrowing the term from Svevo),
it still is for him the "least successful of the three" (p. 137). It is hard to
agree with Russell on this point since between Alfonso Nitti and Zeno
Cosini there is Emilio Brentani who reflects as much of Svevo's personali-
ty as the other two characters. It would seem that Russell, unable to find
Trieste in Semlit, or at least to give to Trieste the same important
function it had in the other two novels (Svevo's "strange muse" as he calls
it, p. 144) needs to dismiss the nove l altogether ("Semlit is the least
interesting of Svevo's novels because it is the least Triestine," p. 157).
Trieste, however, is not everything in Svevo's life and work, and Russell
has, in my opinion, overemphasized its role. Svevo's growing up was also
a growing out ofTrieste. This is why the city is, without doubt, as Russell
points out, always conspicuously present in Una vita and only tangentially
present in the successive works. If Russell is justified in his statement that
Senilit "lacks the deep personal feelings of Una vita and the extravagant
personal fantasy of La coscienza di Zeno" (p. 137), he should also have
noticed that Senilit possesses a quality which develops from "the personal
feelings of Una vita" and makes possible "the extravagant fantasy of La
coscienza di Zeno." This quality is Svevo's, or Emilio's rigorous rationality,
his cold logic and analytical power. It is an extremely important phase in
RECENSIONI
12
3
Svevo's development, without which the self-mocking, ironical smile of
Zeno could never have been possible.
In short, Russell does not give enough recognition to a major aspect
of Svevo's personality. It is perhaps his love for Zeno's irony and dislike
for Emilio's cold logic ("la potente macchina da pensiero" as he calls
himself)1 that makes Russell underestimate the art of Senilit. Yet this
"thinking machine" is probably the most effective component ofSvevo's
nature. It is already present in Una vita and still very much active in the
self-irony ofZeno Cosini. As a result ofhis lack of appreciation of Senilit
Russell fails to value many pages of the novel where, as Solmi pointed out:
"il tono, sollevatosi dalle insistenze dell'analisi, si fa straordinariamente
lirico e leggero, concludendo il romanzo in un'atmosfera di patetica e
accorata sospensione."2
In conclusion, apart from Russell's questionable assessment of Senilit,
his book is a useful and informative contribution to Svevian criticismo For
those who are approaching Svevo for the first time Russell' s work is a first
step .. Bis enthusiasm will stimulate the reader to take the successive ones.
DANIELA BINI
The University oj Texas at Austin
IItalo Svevo, Opera Omnia, VoI. II, Romanzi (Milano: Dall'Oglio; 1969), p. 444.
~ S e r g i o Sol mi, "Grandezza di Semlit" in Luciano Nanni, Leggere Sliew. Antologia
della critica slieviana (Bologna: Zanichelli, 1974), p. 158.
Il Porta tascabtle: poesie scelte. Commenti e note di Luigi
Monga. Milano: Pan Editrice, 1978. Pp. 182.
Un libretto che ripropone, in agile formato, una scelta altamente
rappresentativa della produzione del grande poeta dialettale milanese.
Nella breve introduzione il Monga si sofferma sulla questione del
carattere morale di questa poesia, e conclude che non si pu negare al
Porta il titolo di scrittore "impegnato," secondo la definizione data da
Sartre. L'apparente conformismo politico, l'ambiguit, il "girellismo," di
cui di volta in volta stato accusato il Porta, lungi dall' offuscare la novit
della sua posizione, vengono riqualificati dal curatore come importanti
indizi dell' impegno umano del Porta, della sua onest concreta, solido
fondamento della protesta verbale. Data la sua sostanziale sfiducia nella
coesione politica degli italiani, il poeta non pu caldeggiare un ideale
rivoluzionario, ma come pubblico funzionario pu coltivare la propria
efficienza e dedizione, e come letterato denunciare i mali e le debolezze
12
4
RECENSIONI
umane che sono gli stessi sotto qualsiasi bandiera. Strumento essenziale
di tale denuncia la crudezza del linguaggio, che nella sincerit incorrotta
contiene una sua forza catartica.
Le note linguistiche al testo lo rendono pi agevole anche per coloro
che non hanno molta familiarit con il milanese.
CLA VIO ASCARI
Mary Washington College
Enzo No Girardi e Gabriella Spada. Manzoni e il Seicento
lombardo. Milano: Vita e Pensiero, 1977. Pp. 118.
I quattro studi raccolti in questo libro (di cui due sono opera del
Girardi, due della Spada) hanno in comune il proposito di chiarire il
rapporto tra il Manzoni e il Seicento mediante un riscontro a volte inedito
e quasi sempre approfondito delle fonti storiche e letterarie dei Promessi
sposi Rilevante, specie nel contributo del Girardi, il tentativo di ridimen-
sionare l'immagine del Seicento manzoniano segnalata dalla critica, la
quale, com' noto, si soffermata a lungo sullo spirito di contrapposi-
zione tra il Manzoni illuminista, cattolico e la civilt barocca. Tipico il
giudizio negativo di Luigi Russo secondo cui l'orgoglio e il puntiglio
rappresentano "le pi vere divinit di quel secolo esteriore e farisaico."
Nel romanzo, aggiunge il critico, l'attenzione del Manzoni rivolta
maggiormente alla vita spirituale del Seicento, "la quale, perch svuotata
del sentimento intimo di Dio, deve essere necessariamente vana, pompo-
sa, barocca" (Personaggi dei "Promessi sposi" [Bari: Laterza, 1965], p.26).
Nella prospettiva del Girardi, il rapporto Manzoni-Seicento si pone in
termini di "attrazione e ripulsione insieme," quindi fattore "complesso,"
"stimolante," "positivo" che comporta anche una misura di "reale simpa-
tia" verso determinati aspetti della cultura secentesca. Il Seicento pertan-
to quale espressione di una materia molteplice e contrastante e, come
tale, indice di una" tendenza centrifuga che caratterizza tutte le manife-
stazioni della vita, della cultura e dell'arte secentesca" rispetto all'ideale di
"regolarit e di equilibrio" proposto dal Rinascimento (p. 29). Nel
romanzo l'atteggiamento del Manzoni si articola, secondo il Girardi, in
due tempi diversi: severit morale e ideologica, propria dell'illuminista,
nel Fermo e Lucia; approfondimento artistico nell' edizione definitiva ove si
profila un tentativo di conciliazione del giudizio critico con la realt
storica nel momento stesso che il Seicento, nelle espressioni pi vive del
bene e del male, viene ad assumere la funzione di "luogo ideale di una
storia eterna," simbolo della "condizione umana sulla terra" (p. 27).
RECENSIONI 12
5
La relazione tra il Manzoni e i cronisti lombardi del Seicento, accen-
nata nelle prime pagine, si concretizza nel secondo saggio, sempre del
Girardi, in uno studio preciso e assai significativo delle fonti storiche del
romanzo. "Non vero soltanto," afferma lo studioso, "che il Manzoni
rifonde con un'arte e una sensibilit nuova i dati materiali offerti da quei
cronisti; ma vero anche e prima di tutto il contrario, che cio quei
cronisti nostrani hanno influito in maniera determinante sul suo stesso
modo di vedere e di sentire, fornendogli l'esempio di un realismo cristiano
che nessun altro secolo poteva offrirgli" (p. 26). Realismo cristiano
improntato a un sentimento di pietas umana e religiosa i cui riflessi si
avvertono nelle pagine migliori di scrittori quali il Borromeo e il Ripa-
monti. Nell' opera di quest'ultimo vengono individuati caratteri essenziali
che verranno ad incidere sulla "sensibilit e l'arte stessa" del Manzoni. In
particolare, il Girardi segnala lo stile "misurato sul vero"; una certa
coscienza critica, preilluministica di fronte al dato storico; il realismo,
ossia la capacit di rappresentare con piena evidenza particolari significa-
tivi; infine l'attenzione agli "aspetti interiori e sociali della storia" (p. 36).
Nel confronto testuale tra I promessi sposi e le cronache ripamontiane, il
Girardi p o n ~ in risalto l'elemento di comune partecipazione alle calamit
(carestia, fame, peste) che si riversano sul popolo milanese; partecipazio-
ne soprattutto morale nel Manzoni, emotiva nel Ripamonti, il quale, da
cronista contemporaneo, risente da vicino il dramma della sua citt.
Meno importanti, ma sempre validissimi come punti di sostegno per
approfondire lo spessore storico del romanzo, risultano, nell' analisi del
Girardi, le cronache del Tadino, del Ghirardelli, di Don Pio La Croce, del
Lampugnani e il De pestilentia di Federigo Borromeo da cui, oltre all' episo-
dio di Cecilia, Manzoni trasse vari spunti narrativi.
appunto l'opera di Agostino Lampugnani, insigne accademico,
cronista e autore di tre romanzi, che Gabriella Spada prende in esame
nella seconda parte del libro. Degno di rilievo il primo studio specie per
quanto riguarda documenti rari e inediti dai quali derivano preziose
notizie sulla vita e sull'opera del secentista. Il saggio di maggior impegno
critico, "A. Lampugnani nell'opera del Manzoni," si sofferma su La
pesttlenza seguita in Milano l'anno 1630 (1634) di cui il Manzoni si serv, nella
stesura del Fermo e Lucia, per la questione degli untori e delle unzioni. Ma
il riscontro testuale risulta molto diverso da quello tracciato dal Girardi
rispetto al Ripamonti in quanto "il valore d ~ l l e notizie e degli altri spunti
offerti al Manzoni dalla Pestilenza resta nei confronti del romanzo manzo-
niano complessivamente modesto" (p. 92). modesto anche perch il
rapporto con la fonte, da parte del Manzoni, si svolge in termini di
opposizione alla mentalit retriva del Lampugnani, portata a definire la
guerra, la peste e la carestia "flagelli familiari della divina mano."
Oltre alla Pesttlenza, come risulta da nota autografa, il Manzoni volle
consultare tre opere in prose dello stesso Lampugnani. Notevole, anche
126 RECENSIONI
per l'importanza che ebbe per il Manzoni, la Carrozza da nolo (1649),
romanzo in chiave critica da cui traspare un quadro vivace e ben preciso
del costume secentesco. La Carrozza di ritorno, pubblicato l'anno dopo e a
quanto pare inspirato dal successo del primo romanzo, si ripropone "i
medesimi argomenti e i medesimi giudizi sui costumi del Seicento" (p.
102). Le corrispondenze tra I promessi sposi e il terzo romanzo del Lampu-
gnani, il Celtdoro (1642), risultano "di modesta entit ed evidentemente
pi esteriori che sostanziali" (p. 114). Anche per questo ci sembra poco
attendibile l'ipotesi che il Manzoni abbia voluto riprendere, nel romanzo,
una storia d'amore simile a quella di Celidoro e Doristella. Difficile infine
condividere una seconda indicazione della Spada, che cio il Celtdoro,
. opera priva di "consistenza psicologica" e di "coerenza interiore," impo-
stata sulla materia fantastica ed avventurosa tipica del romanzo barocco,
possa appartenere "allo stesso genere letterario del capolavoro manzo-
niano" (p. 103).
Se si esclude l'interesse non indifferente del Manzoni nei confronti
della Pesttlenza, il rapporto col Lampugnani risulta, tutto sommato, di
ordine marginale e a volte puramente fortuito. In effetti il merito dei due
saggi della Spada va considerato non tanto in relazione al Manzoni quanto
come contributo rilevante allo studio del romanzo italiano del Seicento.
AUGUSTUS PALLOTTA
Syracuse University
Vito R. Giustiniani. Il testo della uNencia" e della UBeca" secondo
le Pi antiche stampe. Firenze: Leo S. Olschki, 1976. Pp. vii
+ 178.
Il testo della Nencia e della Beca presenta vari problemi letterari e
linguistici che vengono analizzati in 78 paragrafi esaurienti e fluidi, i quali
precedono l'edizione critica vera e propria. Vito R. Giustiniani si prefigge
due scopi principali: ripristinare integralmente il testo quattrocentesco
delle prime stampe e corredarlo delle opportune illustrazioni filologiche e
linguistiche; egli lascia da parte la questione della paternit della Nencia;
considera la determinazione della data delle prime due stampe fondamen-
tale ma provvisoria. .
Lo studio inizia con un minuto raffronto delle quattro redazioni della
Nena (ciascuna esemplificata da una tavola fuori testo); le differenze
formali risultano notevoli, soprattutto nell'ordine e nel numero delle
stanze. Dal punto di vista delle condizioni del testo, le variae lectiones
vengono attribuite ai guasti prodotti dalla semplice disattenzione o
smemoratezza, dall' approssimazione della trasmissione mnemonica o da
RECENSIONI
12'7--
correzioni volute, apportate per migliorare la dizione. Il contrasto fra le
stanze trasmesse per via scritta e le stanze trasmesse per via orale rispec-
chia la composizione di un genere letterario popolare, intuibile attraverso
tre strati o filoni: uno popolare, uno popolareggiante e uno "rusticale."
L'analisi letteraria scopre il primo filone nelle numerose spie sia tema-
tiche sia stilistiche dei canti popolari (le stanze destinate alla rappresenta-
zione scenica; i topoi della vita contadina; i vari momenti nella vita del-
l'amata; ecc.). Lo'strato popolareggiante nasce da una prima imitazione
della tradizione letteraria in cui si risente specialmente l'eco di alcune
novelle del Decameron. Infine, il filone "rusticale" rappresenta "la fase
quattrocentesca della satira trecentesca del contadino e del semplicione in
genere" (p. 44). Questi tre filoni si intersecano e sfumano l'uno nell'altro,
ma sono distinguibili: la Nencia " divenuta la somma di parecchi spunti
autonomi, sviluppatisi secondo diverse direttrici parallele" (p. 54).
Nei paragrafi del repertorio grammaticale, tematico e metrico viene
esaminata la lingua delle redazioni nella sua veste fonetica, morfologica,
sintattica. Rilevante per lo studio della storia del toscano la mancanza
del che pleonastico in certe costruzioni, perch "sorge il sospetto che si
trattasse di un suono appena pronunziato, ... il che verrebbe a testimoni-
are la gorgia toscana in un' epoca un po' precedente a quella in cui se ne
collocano i primi indizi" (p. 61), cio verso il 1476, e non nel 1525 (cfr. H.
J. Izzo: Tuscan & Etruscan, Toronto: University of Toronto Press, 1972,
p.8).
I testi abbondano di termini, costrutti, modi di dire popolari e
campagnoli, ma anche di motti rusticani, di cui viene fornito un reper-
torio, indispensabile per chi voglia capire a fondo il testo.
Le consuetudini metriche dei testi vengono analizzate nei paragrafi
che precedono la conclusione della prima parte del volume, consistente di
una descrizione dei manoscritti, degli incunaboli e delle edizioni.
L'edizione critica della Nenciozza da Barberino e la Beca stata fatta sul-
l'incunabolo f3. Le note che la corredano testimoniano la complessit e la
delicatezza di queste ottave "nenciali." Non solo vengono spiegati i relitti
di una Umgangssprache "rusticana" ormai tramontata da un mezzo millen-
nio (spesso paragonati con l'uso dello stesso concetto in altre lingue), ma
il lettore viene anche introdotto alle ascendenze letterarie del testo
(specialmente italiane, provenzali, latine), ai vari wellerismi e ai diversi
costumi letterari e culturali del secolo xv. Le note filologiche rimandano
utilmente il lettore ai paragrafi precedenti per ulteriori precisazioni. Un
ampio glossario conclude il lavoro.
In questa sede non si potuto che accennare sommariamente e in
modo imperfetto ai molti pregi del volume, fondamentale per chiunque
desideri approfondire la conoscenza non solo del genere "nenciale," ma
anche della lingua e di certe usanze tradizionali del tardo Quattrocento
fiorentino. Dell' opera, come limpido esempio di rigore filologico e come
128 RECENSIONI
contributo specifico alla storia letteraria del secolo XV, non si pu che
la lettura e lo studio.
)ANA VIZMULLER
University 01 Toronto
Fiorenzo Forti. Magnanimitade: studi su un tema dantesco.
Bologna: Ptron, 1977. Pp. 238.
Richard H. Lansing. From Image to Idea: A Study 01 the Simile in
Dante's "Commedia." Ravenna: Longo, 1977. Pp. 181.
Although they differ considerably in method and approach, both
authors contribute to an understanding ofDante's thought and its poetic
expression in the Commedia as a whole, while focusing on clearly delimited
topics.
The resuIts of Forti's investigations are widely accepted, as his three
articles in the Enciclopedia Dantesca ("Pusillanimi," "Superbi" - both
included in appendix in the book - and "Filippo Argenti") attesto In
addition, several of his essays are quoted as bibliographical sources under
various headings in the Enciclopedia.
Forti's volume comprises six studies compieted between 1961 and
1973. Despite the span of years, it has a pleasing structural coherence.
The introductory study, "Il Limbo e i megalopsicoi della Nicomachea,"
establishes the definition ofDante's concept of magnanimity on the solid
foundation of Aristotelian and scholastic tradition. It is Forti's merit to
have shown that only one term, spiriti magni, correctly applies to each
member of the morally, theologically, and historically heterogeneous
group of characters in the nobile castello, and that this term defines a moral
virtue which corresponds in an exact, technical sense to Aristotle' s
megalopsychia. Like Brunetto Latini, Dante understood the virtue as
"operazione di cose grandi, nel campo del pensiero come nel campo
dell'azione" (p. 43). The moraI identification of Dante's magnanimi with
Aristotle's megalopsychoi elucidates other passages of the poem. Thus the
vili of Inferno III, when juxtaposed with the magnanimi ofLimbo, appear as
pUSillanimi, exemplifying a deficiency of the virtue.
The remaining studies are symmetrically arranged, as befits Dante.
Studies II and III examine magnanimity in thought and action. Study IV
is centraI in position and importance, as it deals with verbal magnanimity,
"operazione di cose grandi" by the poet himself. Studies V and VI analyze
examples of the virtue carried to excess.
"Le Atene celestiali: i magnanimi del sapere" (II) unfolds at the
leisurely pace of a lectura Dantis, revealing the author's aesthetic sensitivity.
The sapienti of Paradise are heroes of thought who, like the great souls of
Limbo, shaped the poet's morallife. Pursuers of the truths ofboth faith
RECENSIONI 12
9
and reason, Thomas Aquinas and Siger are quite plausibly associated by
virtue of their magnanimity.
In "Il dramma sacro della 'mala striscia': grazia e magnanimit" (II!),
thematic re1ationships between Purgatory VI-VIII and Dante's political
writings are emphasized. Forti's essentially political interpretation of
these cantos, while convincing in itself, nevertheless tends to obscure the
mystical implications of this important transitional section of the poem.
The events of the valletto, serving as prelude to the pilgrim's passage into
Purgatory proper, have an anticipatory function in the narrative context
of the poem as a whole which calls for greater recognition.
The centraI study, "La magnanimit verbale: la transumptio" (V), is
devoted to the metaphoric mode of the high tragic style, considered in the
light of the rhetorical tradition of Bologna. With admirable skill and
extensive documentation, the author demonstrates how Dante's poetry
surpasses his own technical doctrines as well as those of contemporary
rhetoricians, and illuminates Dante's concept of the poet's moral and
artistic mission.
Turning from the positive aspects of magnanimity, Forti studiestwo
examples of its excesses. Filippo Argenti is shown to embody not just a
sin, but a moral attitude which gives rise to sin ("Il magnate non magnani-
mo: lapraesumptio," V). Aristotelian notions of wrath and pride provide a
firm basis for this reading. However, the strong Biblical connotations of
Inferno VIII are either overlooked or considered beyond the scope of this
study. Perhaps because of its origin as a lectura Dantis, it does not suf-
ficiently take into account the structural unity of the entire episode at the
gate of Dis. Consequently, as in Study III, the rich polysemy of a crucial
point of passage in the poem is largely ignored, and an overly narro w
focus misses the full import of Dante'l) complex meaning.
In the concluding study, " 'Curiositas' o 'fo1 hardement'?" (VI),
Ulysses is construed as an admirable figure, condemned for fraud but
motivated by moral nobility in his search for knowledge and virtue. His
follia consists in exceeding the limits of misura while striving to accomplish
an arduous task. Forti equates such an excess of magnanimity with what
Brunetto latini calls fol hardement.
lt is regrettable that Carmody's edition ofBrunetto Latini's Tresor was
not available to the author. His reliance on Chabaille (1863) and Marchesi's
research into the medieval tradition of Aristotle's Ethics (1903,1904) may
have led to discrepancies in numbering the books of the Tresor, and
evaluating Taddeo Alderotti's and Brunetto Latini's respective roles in
vernacularizing Aristotle. N evertheless, the study of Ulysses exemplifies
Forti' s painstaking scholarship. His investigations are meticulously docu-
mented from literary, rhetorical, and philosophical sources, both classical
and medieval; previous interpretations (mainly ltalian) are considered
from the earliest commentators, as are Dante' s minor works. That these
13 RECENSIONI
studies have been gathered into a single volume is to the benefit of alI
dantisti.
Readers will not turn to Lansing for such broad, historical documenta-
tion, nor for a statistically complete record of the Dantean simile. The
focus is essentially upon the internaI structuring of the Commedia, as
revealed through an analysis of certain important, complex similes. While
Forti asks: "in che consiste lafollia dell'ultimo viaggio di Ulisse?" (p. 194),
Lansing is interested in the figure of Ulysses rather as it relates to the
centraI allegory of the poem. The difference in approach inevitably
brings divergent results. Through a careful anaIysis of the simile of the
Shipwrecked Swimmer (In! n and of the Elijah simile which introduces
the episode of Ulysses, Lansing discerns "a pattern of archetypai corre-
spondence between two shipwrecked men, Dante and Ulysses, one of
whom is saved 'com' altrui piacque' " (p. 111). Ulysses' shipwreck in
search of natural philosophy, the kind ofknowledge that does not lead to
redemption, is associated with Dante's crise de conscience over his earlier
writings, which motivated the composition of the Commedia.
After an introduction, Lansing's volume begins with a generaI over-
view of the morphology of the Dantean simile in its variety (chapter n,
followed by a discussion (chapter II) of the uses of the simile in hs
narrative context (anticipatory and retrospective functions, extablish-
ment of conceptual or thematic correspondences, etc.). This provides the
basis for a dose examination in the remainder of the book of individuaI
similes and their interrelationships (chapter III, "Patterns ofMeaning: the
Shipwrecked Swimmer and Elijah's Ascent," and chapter IV, "Patterns of
Meaning: Similes in Series").
The author is particular1y skillful in uncovering complex analogies
evoked by the visual image. Thus the simile of the Sicilian Bull illuminates
the relationship between Guido da Montefeltro and Pope Boniface VIII,
pointing up, retrospectively, the ironic justice of Guido's fate. Statius,
who is compared in a simile with the risen Christ, appears in a broad
figuraI context with C ~ t o and Beatrice to evoke three important "arche-
typai moments" in Christ's life: the Crucifixion, the Resurrection, and
the Second Coming.
One need not agree with Lansing's analyses in every detail. For
instance, with regard to the morphology of the simile, must the com-
parison that describes the failure ofDante's memory concerning the final
vision ofParadise be dassified as a "pseudosimile"? The natural phenom-
enon described in the vehide (the lingering effect of a dream) corre-
sponds to aspiri tuai phenomenon in the tenor of the simile (the effect of a .
vision). Consequently the comparison could be considered real, not on1y
apparento For the same reason, is the simile of the Shipwrecked Swimmer
a "pseudosimile"? Occasionally one might question the interpretation of
the visual element of an image: does the shift from the firefly simile to the
RECENSIONI
Elijah simile (In! XXVI) literally imply a change in perspective (motion
towards Ulysses) on the part of the pilgrim? As Lansing concedes, there
could also be disagreements concerning the circular movements or con-
figurations of souls in the sphere of Mercury and Venus.
If there is room for discussion, this only underscores the unquestion-
able value of Lansing's work. It is always thought-provoking and should
stimulate readers to gain fresh insights into the Commedia. Holding firm to
the dictum that "the part must mirror and contain the whole" (p. 69),
Lansing consistently proceeds from a dose reading of the detail to a
sweeping perspective on the poem in its breadth and depth. Although the
aim is not aesthetic, his focus on darification of meanings does enhance
the appreciation of the poet' s art.
DENISE HEILBRONN
Northern Illinois Universtfy
Gerhard Rohlfs. Nuovo dizionario dialettale della Calabria.
Ravenna: Longo, 1977. Pp. 945.
Di quest' opera lessicografica importantissima per la dialettologia
italiana era comparsa in Germania una prima edizione in tre tomi col
titolo Dizionario dialettale delle Tre Calabrie negli anni 1932-1936, oggi per-
altro irreperibile. Il presente volume ne costituisce una profonda rielabo-
razione sulla scorta di copiosi materiali che il Rohlfs venuto raccoglien-
do nel corso delle ripetute visite nella regione di cui egli oggi linguisti-
camente il miglior conoscitore.
La Calabria caratterizzata da un complesso dialettale assai vario e
che pone agli studiosi una problematica complessa. Dal 1924 in poi il
Rohlfs ha pi volte esposto le sue tesi sulla struttura linguistica della
Calabria: la parte settentrionale, comprendente grosso modo la provincia
di Cosenza, fu presto latinizzata e la lingua di Roma doveva dominarvi gi
ai tempi di Augusto; nelle province meridionali, invece, il greco si resse a
lungo come lingua dominante e la sua regressione non cominci che molto
lentamente verso il sec. XI, accelerandosi poi in et recente fino
alla situazione odierna in cui l'ellenofonia calabra ridotta ad alcuni
piccoli paesi in posizione impervia nella zona di Bova sulle falde del-
l'Aspromonte. Con quanto detto si spiega come i dialetti del Cosentino
concordino per moltissimi versi con quelli del restante Meridione ed
abbiano fisionomia, per dir cos, napoletana; le parlate delle province di
Catanzaro e di Reggio denunciano invece un fortissimo sostrato greco e
recano l'impronta di una latinit pi recente che le accomuna ai dialetti
della Sicilia. Valgano come esempio, in ambito lessicale, i vocaboli
seguenti, tolti dai moltissimi citabili: ago cieco l'altro ieri mela sarto testa uva, i
quali nella Calabria settentrionale suonano acu cecatu nustierzu milu custfure
RECENSIONI
capu uva, mentre nel sud della Regione, e in Sicilia, aggghia
orbu avanteripumu custureri testa racina. Spia eloquente dell'influsso greco
sono poi, nei dialetti delle due province meridionali, l'assenza dell' infinito
dopo i verbi che esprimono volont (es. vgghiu mu dormu "voglio dormire,"
cfr. greco di Bova f)lo na ciumif)), e l'uso costante del passato remoto (es.:
sta malina chiuvu, m arrivar) in contesti temporali che nel resto dell'Italia
meridiopae (esclusa ovviamente la Sicilia) richiedono invece il passato
prossimo. Si aggiunga infine che nei dialetti della Calabria del sud le voci
di origine greca si contano a centinaia e sono particolarmente comuni in
ambiti semantici attinenti alla vita contadina, vale a dire ad un ambiente in
cui il greco si mantenne pi a lungo come lingua parlata e in minima
misura ancor oggi sopravvive.
Nell' introduzione, utilissima, a questo suo dizionario, il Rohlfs dedica
appunto alcune pagine (10-14) a riassumere la sua concezione della
struttura linguistica della regione calabra, accennando appena a questio-
ni dibattute, come quella assai discussa della continuit ininterrotta o
meno del greco di Calabria dai tempi della Magna Grecia.
Ad un rapido esame delle fonti del lessico calabrese sono rivolte le
pagine 15-19. La componente principale ovviamente latina, ma gi per
quanto accennato qui sopra riesce facile comprendere come gli elementi
pi arcaici si riscontrino solo nella zona settentrionale (dove vivono, per
es., crai'domani' < *cras,janua 'porta' < *janua,gliifa 'zolla' < *osco *glefa,
lat. gleba, uscare 'bruciare' < *ustulare, veta 'bietola' < *beta, ecc.). In
secondo piano si pone rapporto greco, vistosamente presente nel sud, ma
riscontrabile anche nei dialetti settentrionali, soprattutto in termini rela-
tivi all'agricoltura (es. cruopu 'letame' < X6rrpo, catuoju 'porcile' < XarwyELOV,
jiersu 'terreno incolto' < XpCTOS, ecc.). Molto bene si poi mantenuto
l'elemento lessicale greco nelle province meridionali nell'ambito della
nomenclatura botanica e animale. Al greco dell'Italia meridionale, del
resto, lo stesso Rohlfs ha gi dedicato due opere fondamentali, gli Scavi
linguistici nella Maf(na Grecia (Roma, 1933; 2
a
ed. Galatina 1974) e il Lexicon
graecanicum Italiae Inferioris (Tiibingen, 19(4): Altri apporti lessicali sono
venuti ai dialetti calabri, in misura assai pi modesta, dall'arabo, dal
francese, dallo spagnolo, dalle lingue germaniche. Poche sono le voci
prelatine sopravvissute e ascrivibili quasi tutte all' osco delle popolazioni
lucane e bruzie che abitavano la parte settentrionale della Calabria prima
della romanizzazione.
Le pagine 20-26 offrono un succinto ma chiaro prospetto dell'evolu-
zione fonetica dei dialetti calabresi, dal quale rilevabile la considerevole
disparit degli esiti moderni. Degli sviluppi particolari il Rohlfs circo-
scrive almeno approssimativamente l'area di diffusione e fornisce utili
esempi.
Il sistema di trascrizione adottato dal Rohlfs aderisce per quanto
possibile alle consuetudini grafiche dell'italiano letterario, e l'impiego di
RpCENSTONI _____________ _
133
segni speciali limitato a quei suoni dialettali che non trovano corrispon-
dente in lingua. N e deriva che la consultazione di questo dizionario non
comporter intoppi eccessivi neanche per chi non abbia dimestichezza
con i simboli fonetici. La soluzione grafica seguita dal Rohlfs ci pare
ottima e c' da augurarsi che possa servire di base ad una normalizzazione
ortografica presso gli autori dialettali calabresi che fino ad oggi hanno
sovente escogitato grafie personali non sempre perspicue.
Tra i pregi di questo dizionario spicca il fatto che di ciascun lemma
viene indicata, tramite un preciso sistema di sigle, l'area di diffusione del
lemma stesso e delle sue varianti, ognuna delle quali peraltro anche elen-
cata separatamente con semplice rimando alla forma scelta per base.
frequente la citazione di esempi, modi di dire, proverbi, sempre con
localizzazione precisa. Nel caso dei verbi irregolari, vengono specificate
anche le forme dei principali tempi con relative varianti locali. Ciascun
articolo si chiude con l'indicazione dell'etimologia.
Di particolare utilit per gli studiosi risulter il "Repertorio italiano-
calabro" che occupa le pagine 837-918. Non si tratta di un vero vocabo-
lario italiano-calabrese, ma di un comodo sussidio che permette di rintrac-
ciare rapidamente nella parte principale del dizionario i termini dialettali
che interessano. Nello scorrere questo repertorio ci si accorge ancora una
volta del grande frazionamento linguistico che contraddistingue la Calabria,
soprattutto negli ambiti lessicali relativi alla vita contadina, alla fauna e
alla flora. Cos, ad esempio, per 'biancospino' troviamo 24 forme diverse
(da calvarice a zinziferu) , per 'pipistrello' 60 (da acie(i(iu de notte a ta(i.darita) ,
per la 'lucciola' addirittura 83 (da alia-all'a a zambarina) , e via dicendo.
Chiude il volume un "Indice degli etimi," nel quale ovviamente
predominano forme latine e greche, seguite numericamente da quelle
francesi ed arabe.
Da quanto sopra si pu concludere osservando che questa imponente
fatica del Rohlfs offre ai dialettologi tutti i sussidi necessari ad uno studio
approfondito del patrimonio lessicale dei multiformi dialetti calabresi.
Come dizionario delle parlate di un'intera regione, quest'opera un
esempio quasi unico e che indubbiamente dovr essere preso a modello
per lavori simili relativi ad altre regioni, di cui si auspica la realizzazione.
Data la stretta parentela pi sopra ricordata tra i dialetti della Calabria
meridionale e quelli della vicina Sicilia, non sar inopportuno segnalare
agli studiosi, a chiusa di questa recensione, due altri lavori recenti del
Rohlfs, di mole minore ma di indubbio interesse: l'uno, intitolato Histo-
rische Sprachschichten im modernen Sizilien, (Bayerische Akademie der Wissen-
schaften, Phil.-Hist. Klasse, Sitzungsbe richte, Heft 3, Miinchen 1975),
costituisce un avvincente profilo di storia linguistica siciliana; il secondo,
Supplemento ai vocabolari sictliani (Bayerische Akademie der Wissenschaften,
Phil.-Hist. ~ l a s s e , Abhandlungen, Neue Folge, Heft 78, Miinchen 1977),
134
RECENSIONI
un originale e prezioso contributo, basato su rilievi diretti, al grande
vocabolario generale delle parlate siciliane che da molti anni (con sede a
Catania) in corso di elaborazione e redazione.
Dall'instancabile operosit del Rohlfs, che pure ha raggiunto ormai
et quasi veneranda, non ci stupiremmo di avere presto ancora nuovi con-
tributi che, con la chiarezza e il rigore estremo che lo contraddistinguono,
gettino luce nuova sulle affascinanti vicende linguistiche dell'Italia
dialettale.
GIANRENZO P. CLIVIO
University 01 Toronto
ULTIME NOVIT IN LINGUA ITALIANA
(a cura di R. Capozzt)
Antologia della rivista "Corrente". A cura di Givanella Desideri. Napoli:
Guida, 1979. Pp. 130. L. 5.200.
Astaldi, Maria Luisa. Metastasio. Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 358. L.
10.000.
Baldissone, Giusi. Il mole di scrivere. L'inconscio e Montale. Torino: Einaudi,
1979. Pp. 148. L. 3.500. .
Banti, Arma. La camicia bruciata. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 255. L. 2.500.
Il Baretti. A cura di M. C. Angelini. Roma: Ediz. Dell' Ateneo, 1979.
Pp. 337. L. 10.500.
Barilli, Renato. Retorico. Milano: I s ~ d i , 1979. Pp. 198. L. 7.000.
Bernari, Carlo. Dall'Etna al Vesuvio. Roma: Gremese, 1979. Pp. 206.
L. 2.800.
Bigongiari, Piero. Moses. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 250. L. 8.000.
Bonaviri, Giuseppe. Il dire celeste. Milano: Guanda, 1979. Pp. 153. L. 4.000.
Borsellino, Nino. Immagini di Pirandello. Cosenza: Lerici, 1979. Pp. 153.
L. 2.500.
Brancati, Vitaliano. Il bell'Antonio. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 327.
L. 2.800.
Carducci, Giosu. Poesie. Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 317. L. 4.000.
Cassola, Carlo. I vecchi compagm: Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 232. L. 2.500.
Castel1aneta, Carlo. Anni beatt: Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 292. L. 7.000.
Cecchetti, G. Sulle "Operette morali." Premessa di R. Scrivano. Roma:
Bulzoni, 1979. Pp. 128.
Croce, Elena. La lunga guerra per l'ambiente. Milano: Mondadori, 1979.
Pp. 140. L. 3.500.
Debord, Guy. La societ dello spettacolo. Firenze: Vallecchi, 1979. Pp. 165.
L. 5.000.
De Roberto, Federico. Lococotte. Roma: Curcio, 1979. Pp. 327. L. 4.000.
La Divina Commedia. A cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio.
Inferno. Pp. xviii + 515; Purgatorio. Pp. xix + 571; Paradiso.
Pp. xviii + 555. Firenze: Le Monnier, 1979. Ogni volume
L. 4.000.
Dolfi, Anna. Grazia Deledda. Milano: Mursia, 1979. Pp. 198. L. 7.000.
135
ULTIME NOVIT IN LINGUA ITALIANA
Garin, Eugenio. La cultura filosofica del rinascimento italiano. Firenze:
Sansoni, 1979. Pp. 509. L. 12.000.
Guglielmi, Guido. L'udienza del poeta. Saggi su Palazzeschi e il Futurismo.
Torino: Einaudi, 1979. Pp. 130. L. 4.000.
Guaraldo, Enrico. La scena della poesia. Torino: Edi Albra, 1979. Pp. 161.
Isnenghi, Mario. Intellettuali militanti e intellettuali funzionari T orino:
Einaudi, 1979. Pp. 290. L. 7.000.
Jung, Cari G. Psicologia e poesia. Torino: Boringhieri, 1979. Pp. 81.
L. 2.000.
Lacan, Jacques. Il seminario. Libro XI. Torino, Einaudi, 1979. Pp. 286.
L. 10.000.
Lagorio, Gina. Fuori scena. Milano: Garzanti, 1979. Pp. 244. L. 5.800.
Leeson, Richard. Il concetto di "fluenza" nell'insegnamento delle lingue. T orino:
SEI, 1979. Pp. 317. L. 9:000.
Letteratura e questione della lingua. A cura di Paolo Zolli. Bologna:
Zanichelli, 1979. Pp. 152. L. 2.800.
Levi, Primo. Storie naturali Torino: Einaudi, 1979. Pp. 251. L. 4.500.
Lucini, Gian Pietro. La gnosi del melibeo. Roma: Espansione, 1979. Pp. 190.
L. 5.000.
Lunetta, Mario. La presa di Palermo. Poesie, 1972-1977. Manduria: Lacaita,
1979. Pp. 127. L. 3.000.
Machiavelli, Niccol. Antologia di scrittipoltlici A cura di Giorgio Cadoni.
Bologna: Il Mulino, 1979. Pp. 208. L. 3.500.
Malerba, Luigi. Dopo ti pescecane. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 126. L.
5.000.
Masini, Ferruccio. Il sale dell'avventura. Firenze: Vallecchi, 1979. Pp. 78.
L. 2.500.
Miccinesi, Mario. Il custode della legge. Milano: Rusconi, 1979. Pp. 205.
L. 6.000.
Momigliano, Attilio. Introduzione aipoett: Firenze: Sansoni, 1979. Pp. 294.
L. 5.000.
Neirotti, Marco. Invito alla lettura di Tomizza. Milano: Mursia, 1979.
Pp. 144. L. 2.500.
Oliva, Gianni. I nobili sPirtli- Pascolt: D'Annunzio e le riviste dell' estetismo fioren-
tino. Bergamo: Minerva Italica, 1979. Pp. 755. L. 15.000.
Orengo, Nico. La misura del rtlratto. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 143.
L. 5.000.
Pasolini, Pier Paolo. Il caos. Roma: Editori Riuniti, 1979. Pp. 272.
L. 4.500.
Pestelli, Leo. Parlare tlalt'ano. Milano: Feltrinelli, 1979. Pp. 239. L. 6.500.
l J T ~ T I M E NO VITA lN--L--INGUA ITALU ... NA- - ---------137
Petrarca, Francesco. Viaggio in Terra Santa. Napoli: SEN, 1979. Pp. 84.
L. 3.000.
Piana, Giovanni. Elementi di una dottrina dell'esperienza. Milano: Il Saggiato re,
1979. Pp. 230. L. 7.500.
Piovene, Guido. Romanzo americano. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 129.
Pirandello, Luigi. Donna Mimma. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 116.
L. 2500.
Pomilio, Mario. Scritticristiant: Milano: Rusconi, 1979. Pp. 157. L. 7.000.
Prezzolini, Giuseppe. Dio un rischio. Milano: Rusconi, 1979. Pp. 250.
L. 9.000.
Ramat, Silvio. Invito alla lettura di Bigongiari Milano: Mursia, 1979.
Pp. 173. L. 2.500.
Ramat, Silvio. L'inverno delle teorie. Milano: Mondadori, 1980. Pp. 107.
Rambelli, Loris. Storia del "giallo" tfaliano. Milano: Garzanti, 1979. Pp. 257.
L. 3.000.
Ravera, Lidia. Bambino mio. Milano: Bompiani, 1979. Pp. 144. L. 5.000.
Ricciardi, Mario. La rivinetfa della letteratura. Torino: Stampatori, 1979.
Pp. 163. L. 7.000.
Romano, Lalla. Una giovinezza inventata. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 238.
L. 8.000.
Saccone, Antonio. Massimo Bontempelli (Il mtfo del '900)' Napoli: Liguori,
1979. Pp. 171. L. 5.500.
Santi, Vietar A. La "gloria" nel pensiero di Maehiavellt: Ravenna: Longo, 1979.
Pp. 154. L. 6.500.
Savona, Eugenio. Intellettuali e pubblico nell'et comunale. Messina-Firenze:
D'Anna, 1979. Pp. 192. L. 2.600.
Sbarbaro, Camillo. La trama delle lucciole: Lettere ad Angelo Barile. A cura di
D'Astengo e F. Contorbia. Genova: San Marco Dei Giustiniani, 1979.
Pp. 118.
Sciascia, Leonardo. La Sicilia come metafora. Milano: Mondadori, 1979.
Pp. 133. L. 4.000.
Sciascia, Leonardo. Dalle parti degli infedeli: Palermo: Sellerio, 1979.
Pp. 87. L. 2.500.
Sciascia, Leonardo. Nero su nero. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 247. L. 4.000.
Segre, Cesare. Semioticaefilosrfia. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 189. L. 6.000.
Serao, Matilde. Il delitto di Via Chiatamone. Firenze: Salani, 1979. Pp. 614.
L. 2.300.
Sinigaglia, Sandro. La camera Gurgantina. Torino: Einaudi, 1979. Pp. 156.
L. 4.000.
ULTIME NOVIT 10J LINGUA ITALIANA
Sobrero, Omena. La mutevole forma. Napoli: Societ Editrice Napoletana,
1979. Pp. 179. L. 5.000.
Soffici, Ardengo. Fior Fiore, Firenze: Licosa Reprints, 1979. Pp. 441.
L. 12.000.
Soldati, Mario. L'amico Gesuita. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 186.
L. 2.000.
Spagnoletti, Giacinto. Il verso tutto. Carabba: Lanciano, 1979. Pp.205.
L. 6.500.
Spaziani, Maria Luisa. Poesie. A cura di L. Baldacci. Milano: Mondadori,
1979. Pp. 171.
Tasso, Torquato. Gerusalemme Liberata. A cura di Lanfranco Caretti. Mila-
no: Mondadori, 1979. Pp. LU-808. L. 15.000.
Tedesco, Natale. La coscienza letteraria del novecento. Palermo: Flaccovio,
1979. Pp. 200. L. 6.500.
Terra, Stefano. La porta diferro. Milano: Rizzoli, 1979. Pp. 177. L. 6.500.
Tozzi. Federigo. Adele. Firenze: Vallecchi, 1979. Pp. 96. L. 5.000.
Tozzi, Federigo. Bestie. Milano: Guanda, 1979. Pp. 122. L. 3.500.
Vigevani, Alberto. L'invenzione. Milano: Mondadori, 1979. Pp. 139.
L. 2.000.
ULTIME NOVIT IN LINGUA INGLESE
(a cura di E. Licastro)
Boccaccio, Giovanni. Boccaccio's Revenge: a Literary Transposition of the
"Corbaccio" (The Old Crow). By Normand R. Cartier. The Hague: Nijhoff,
1977. Pp. x + 78.
Cioffari, Vincenzo. Beginning Italian. 3d ed. Lexington, Mass.:Heath,
1979. Pp. xxiii + 327.
Dante, Alighieri. Dante's Rime. Trans. by Patrick DiehL Princeton, N.].:
Princeton University Press, 1979.
Giovio, Paolo, Bp. of Nocera. Dialogo de/l'imprese. Simeoni, Gabriello.
Imprese heroiche et moralt: Domenichi, Lodovico. Ragionamento.
Daniel, SamueL The Worthy Tract of fOt'tus. Introductory notes by
Stephen OrgeL New York: Garland Publishing, 1979.
Hunt, Clay. Lyadas and the Italian Critics. Pref. by I. SamueL New Haven:
Y aIe Universi ty Press, 1979.
Masseron, Alexandre. Dante Alighiert: the Poet who Loved St. Francis So Much.
Trans. by A. Armandez. Chicago: Franciscan Herald Press, 1979.
Mazzotta, Giuseppe. Dante, Poet of the Desert: History and Allegory in the
"Divine Comedy." Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1979.
Montale, Eugenio. The Storm and Other Poems. Trans, by C. Wright; with
introd. by V. Rossi. Oberlin, Ohio: Oberlin College, c. 1978. Pp.
141. (Translation of La Bufera e altro.)
Montgomery, Robert L. The Reader's Eye: Studies in Dtdactic Theory
from Dante to Tasso. Berkeley, CA.: University of California Press,
1979. Pp. 243.
Perella, Nicolas]. Mtdday in Italian Literature. Princeton, N.].: Princeton
University Press, 1979. 336.
Potter,]oy H. Elio Vittorim: Boston: Twayne Publishers, 1979. Pp. 156.
Rospigliosi, Guglielmo. Writers in the Italian Renaissance. London: Gordon
&: Cremonesi, 1978. Pp. 242.
Sciascia, Leonardo. Candido: or, A Dream Dreamed in Sialy. Trans. by A.
Foulke. New York: Harcourt Brace ]ovanovich, 1979.
Segre, Cesare. Structures and Time: Narratton, Poetry, Mode/s. Trans. by].
Meddermmen. Chicago: University of Chicago Press, 1979.
Translation of Le strutture e il tempo.
Verga, Giovanni. Mastro-Don Gesualdo. Trans. and Introd. by G. Cecchetti.
CA.: University of California Press, 1979. Pp. xx +
329.
139
NOTIZIE
BIBLIOTECA ITALIANA, una collana delle maggiori opere italiane che
hanno influenzato altre culture, ideata e diretta dalla Professoressa Louise
G. Clubb di Berkeley, stata iniziata dalla California University Presso
Ogni volume, preceduto da un saggio critico-storico, recher un' edizione
critica del testo, traduzione inglese a fronte, note esplicative e filologiche,
bibliografia scelta. I primi volumi in programma e in corso di stampa sono
i seguenti: Della Porta, Gli 'duoi rivali / The Two Rival Brothers, a C. di L. G.
Clubb; Campanella, La citt del sole / The City oj the Sun, a c. di D. J. Donno;
Leopardi, Le operette morali / Essays and Dialogues, a c. di G. Gecchetti;
Collodi, Le avventure di Pinocchio / The Adventures of Pinocchio, a C. di N. J.
Perella. Seguiranno opere di Dante, Tasso, Galileo, ecc.
]EAN-PAUL SARTRE e ROLAND BARTHES, i due scrittori che hanno
rivoluzionato la cultura contemporanea e le cui opere sono state tradotte
in molte lingue, sono morti in aprile 1980.
LEONARDO SCIA SCIA stato onorato in Francia con un numero
speciale de L'ARC (n. 77). Articoli sulle opere di Sciascia, sulla Sicilia, su
Sciascia e il cinema; sulla letteratura e politica, danno un quadro esaurien-
te dell'attivit di questo grande scrittore. Tra i notevoli contributi di
autori francesi ed italiani, ci sono lettere inedite scritte da Calvino a
Sciascia.
AL VITTORIALE si svolta una tavola rotonda sula tema "Ipotesi per
una biografia di Gabriele d'Annunzio." Tra i partecipanti ricordiamo
Giuseppe Longo (Presidente della Fondazione), G. Brberi Squarotti,
Giuseppe Petronio, Eurialo De Michelis, Mario Baratto.
MARIO TOBINO, primario dell'ospedale psichiatrico di Maggiano, ha
compiuto 70 anni ed ha deciso di andare in pensione. Il rinomato
scrittore, nato a Viareggio, ha lavorato quasi quarant'anni a Maggiano. Da
questa sua esperienza ha tratto motivi per le sue migliori opere, come Le
libere donne di Magliano, Per le antiche scale. Ricordiamo anche i suoi libri sulla
guerra, come Il clandestino (Premio Strega 1962).
UGO FOSCOLO
Poet of Exile
GLAUCO CAMBON
Contemporary with the Romantic generation, peer of Keats,
Hilderlin, and Goethe, and forerunner of Valry and Pound,
Ugo Foscolo is nevertheless little known outside Italy. In
an endeavor to "discover" this exemplary European poet
for English-speaking readers, and to "rediscover" him for
Italian readers, Glauco Cambon examines both textually
and contextually Foscolo's major works and their inextric-
able connection with his life, his philosophy, and his
aesthetic principles. $21.50
PRINCETON UNIVERSITY PRESS
Princeton, New Jersey 08540

You might also like