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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI ROMA

“TOR VERGATA”

FACOLTÁ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN
STORIA, SCIENZE E TECNICA DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO

IL MODELLO ITALIANO:
SUL CONTROLLO AUDIOVISIVO IN ITALIA
TRA IL 2001 E IL 2006

RELATORE: LAUREANDO:
Prof. Giulio Latini Remo Scano
Matricola 0029519

ANNO ACCADEMICO 2005/2006


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INDICE

Introduzione………………………………………………………………………….…..……7

Parte prima
LA TELEVISIONE IN ITALIA

I.1 Il monopolio lottizzato…………………………………………………………………….13

I.2 Dal monopolio al duopolio…………………………………………………………….….18

I.3 La morte del sistema pubblico………………………………………………………..…...22

Parte seconda
L’INFORMAZIONE ALL’ITALIANA

II.1 Cronache nazionali ed internazionali dal 2001 al 2006………………………………......27

II.2 Nascondere i fatti…………………………………………………………………………36

II.3 Sulle paure e le incertezze………………………………………………………………..39

Parte terza
TV, STAMPA, INTERNET E 3G

III.1 Differenze e attinenze tra i media………………………………………………….……45

III.2.Tutto in uno ……………………………………………………………………………..47

III.3 Il regalo, l’inganno e l’accesso al servizio………………………………………………50

Parte quarta
(PRE)VISIONI DEL FUTURO
Conclusioni……………………………………………………………………………….....55

Appendice……………………………………………………………………………………61

Bibliografia…………………………………………………………………………….….…71

Sitografia ..…………………………………………………………………………………..75

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4
Sire, Maestà
Riverenti come sempre siam tutti qua
Sire, Siamo Noi
Il poeta, L'assassino E Sua santità
Tutti, Fedeli Amici Tuoi.
ah... Maestà

Prego, Amici Miei,


Lo Sapete Non So Stare Senza Di Voi
Presto, Sedetevi,
Al Banchetto Attendevamo soltanto voi
Sempre Ogni Giorno Che verrà
Finché Amore E pace regnerà

Tutti Sorridono
Solo Il popolo Non ride, ma lo si sa
Sempre Piagnucola
Non Gli va mai bene niente chissà perché,
Chissà perché perché…[1]

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6
INTRODUZIONE

L’analisi che ho voluto fornire in materia di comunicazione multimediale vuole mostrare


come si siano radicate alcune opinioni in Italia, come conseguenza dell’utilizzo coatto che si
ha della televisione, a detrimento del cartaceo. Nella battaglia tra questi due mezzi, s’insinua
sempre più prepotentemente la rete globale di Internet, che a breve potrebbe inglobare
entrambi. Fintanto che si è potuto, ho cercato di limitare al massimo le forzature dovute alle
personali credenze e al disgusto verso questa società ereditata a forza. Attraverso gli
avvenimenti di questi ultimi cinque anni, e grazie alla pluralità d’informazioni ottenute da
internet, da libri di cronaca, di sociologia e di filosofia, ho tentato di dare delle linee
d’interpretazione delle opinioni e del pensiero comune che sostiene la sovranità popolare in
Italia. Come nelle grandi democrazie, vi sono rapporti fin troppo stretti tra politica e mezzi di
comunicazione. Riconosco il lavoro che sta dietro i meccanismi di potere, la reale impotenza
del singolo, mantenendo comunque il piacere della provocazione omeopatica. Guardando il
mondo con gli occhi del mondo si finisce per apparire cinici e per me non è mai stato un
problema, anzi. D’altronde è dal secolo scorso che Dio è bello che morto, ma ciò che è duro a
morire è il sentimento etico o la sua rappresentazione. Non si riconosce l’aggressività
dell’uomo, il quale unico scopo è primeggiare sull’altro. Ogni forma di altruismo e carità, o
dall’altra di misantropia, distoglie dalla comprensione dell’essere. Leggendo il testo se ne
avverte subito il taglio politico. All’inizio ritenevo necessario evitare argomentazioni del
genere, ma i mass media italiani si compenetrano con la politica, in uno scambio simbiotico
che non restituisce un’immagine definita dei due poteri in questione. Come non menzionare
Silvio Berlusconi in una tesi che tenta di definire i sistemi di controllo nella televisione e nella
stampa, in un periodo compreso tra il 2001 ed il 2006. Come parlare di libertà di stampa senza
citare i seicentosessantasette (667) milioni di euro elargiti dallo Stato per l’Editoria. Nel
parlare di mass media non scindo la forma dal contenuto. La prima è da considerarsi
perfettamente centrata nel saper ipnotizzare convincendo; sempre in linea con l’apparire
sociale, rappresenta e crea. Il secondo è espressione della volontà di un’elite, che lavora
sull’insipienza collettiva. «Forma e contenuto dello spettacolo sono ambedue l’identica
giustificazione totale delle condizioni e dei fini del sistema esistente»[2]. Bisogna scovare lo scopo
sociale di chi produce testi e immagini a diffusione capillare, capirne i meccanismi per vivere
con dignità la propria vita. L’astio e la diffidenza verso lo spettacolo, inteso alla Debord come

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società, si ergono contro l’inganno visivo. Le nuove generazioni nascono in case
tecnologicamente addobbate; non possedere televisore, cellulari e computer è ormai inusuale
come non possedere il frigorifero o l’acqua calda. Il futile già da tempo è necessario, mentre
«il forum diventa inutile»[3]. L’inquinamento, la globalizzazione, le guerre etniche e
preventive, paradossalmente, sono ormai colonne portanti del nostro vivere bene pur se
continuano ad ispirare sciatte lamentele sociali; ciò che ci possiamo permettere lo dobbiamo
alla sofferenza dei più, ma sia noi, che loro, narcotizzati dal mondo fittizio della
comunicazione multimediale, ci distraiamo un po’. Il mio interesse verso certe teorie nasce
nel gennaio 2002 quando venne stampata una raccolta di articoli pubblicati su Internet sotto il
titolo Tutto ciò che sai è falso[4], (anche se il termine falso è la traduzione del termine wrong,
che, più che falso, vuol significare sbagliato), il quale all’inizio creò in me un nuovo credo:
avevo finalmente trovato chi raccontasse i fatti. A distanza di tempo il dubbio,
fortunatamente, si estese a qualunque tipo d’informazione, compresa la disinformazione
stessa. Tutte le forme di controllo che aleggiano in questo mondo, sono espressione del genio
umano, di quei pochi che per diritto o per sopruso, creano la realtà finzionale, che
accompagna la civiltà umana dai ghetti ai super-attici; il bisogno di riferirsi continuamente ad
icone, istituzioni e valori quantitativi, è l’espressione della limitatezza, propria della natura
umana, come annota uno sconosciuto nella rete[5]: «È pratica quotidiana l’avere a che fare con
persone, professionisti, operai, artigiani, politici, musicisti, intellettuali, impiegati, uomini, donne, che
nel loro modo di fare manifestano una totale mancanza d’impegno intellettuale o morale». Ci si trova
«regolarmente di fronte a comportamenti che non vanno minimamente oltre la superficie delle cose,
degli oggetti, dei pensieri, degli avvenimenti. Comportamenti che si muovono meccanicamente
nell’abitudine, nel consueto, reiterando schemi dovuti, ovvietà e modi scontati. Una aderenza assoluta
al senso comune che preclude creatività, senso critico, rispetto per se stessi e per gli altri». Ciò che
quindi mi preme raccontare è quali siano ad oggi i mezzi più diffusi e come potrebbero
svilupparsi nel giro di pochi anni, sostenendo che esiste soltanto un unico, un solo, sistema di
sistemi: Uno, vasto e immane, interdipendente, intrecciato, multivariato, multinazionale dominio[6].
La tesi guarda alle tecniche utilizzate dai pochi per controllare e soddisfare i tanti, senza voler
ripetere le accuse dei più, evitando di additare una società che comunque rimane l’unica
possibile per il nostro momento; come altri settori del mondo sensibile, probabilmente,
sottostà alle leggi dell’entropia, principio ignorato (se pur conosciuto) dal pensiero liberale,
socialista e monoteista. Una critica negativa verso la cultura di massa trova radici nel
sentimento aristocratico, come riporta Umberto Eco «la nostalgia di un epoca in cui i valori della
cultura erano un appannaggio di classe e non venivano messi a disposizione, indiscriminatamente, di

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tutti»[7]. Non so se l’astio che provo nei riguardi della stupidità abbia origini altolocate, è che
mi meraviglio di come costantemente si sentano insensatezze, appoggiate da un grande
passione, e generate in gran parte dai mezzi di comunicazione di massa. Noi non abbiamo
opinioni, e non ci stiamo neanche più poggiando sulle spalle dei giganti. Stiamo
abbandonando la Storia per venire incontro all’istantaneità che sorregge oggi le nostre
esistenze. Le scuole che vennero istituite proprio per divulgare la capacità di apprendimento
attraverso la lettura, stanno inglobando lo schermo come strumento di lavoro e di
comprensione. Negli Stati Uniti i film rifatti su testi teatrali o romanzi, ad esempio,
scavalcano l’acquisizione tramite lettura, per conoscerne la trama, perdendo inesorabilmente
sia il contenuto che la forma dell’opera. Non c’è tempo per leggere. Probabilmente l’ente
Stato, che già finanzia tutti i quotidiani creando un vizio in un rapporto che dovrebbe
mantenersi indipendente, e l’ente Berlusconi che regola gli introiti pubblicitari, hanno una
buona parte di responsabilità della piattezza culturale italiana. Mantenere il (de)grado
d’istruzione a livelli bassissimi, agevolare le istituzioni universitarie in rapporto al numero
d’iscritti e di laureati, continuare a maltrattare insegnanti e studenti, ha una sua importanza.
La massa stessa è consapevole della propria inadeguatezza, altrimenti non esisterebbero
gerarchie, mandati ed elezioni politiche. Mentre «gli uomini al potere hanno un doppio problema:
nell’ordine politico quello di esercitarlo, nell’ordine simbolico quello di sbarazzarsene»[8]. Non è
una questione di colpe, anche perché si andrebbe così tanto a ritroso da perdersi nella storia.
Ad oggi è più una questione d’impegno a scovare tutte le congetture, i sensi comuni, il voler
decidere di che male perire, solo perché se ne ha la possibilità. Bisogna essere consapevoli
della limitatezza umana, tentare ad ogni costo di comprendere più che di sapere.

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NOTE

[1] PREMIATA FORNERIA MARCONI, Il Banchetto, 1972.


[2] GUY-ERNEST DEBORD, La società dello spettacolo.
[3] VILÉM FLUSSER, La cultura dei media.
[4] New York City, The Disinformation Company Ltd. società di comunicazione diretta da Gary
Baddeley e Richard Metzger.
[5] www.paradoxon.it, Né religione né scienza, considerazioni minime su una sanguinosa illusione.
[6] Tratto dal film Network, Quinto potere (1976) di Sidney Lumet con Peter Finch, William
Holden, Faye Dunaway, Robert Duvall.
[7] UMBERTO ECO, Apocalittici e integrati.
[8] JEAN BAUDRILLARD, Il patto di lucidità o l’intelligenza del male.

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LA TELEVISIONE IN ITALIA

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Si prenda in considerazione l’analisi di tre aspetti connessi tra loro: l’analisi delle forme di
consumo, che provocano le trasformazioni culturali di un paese, l’analisi delle forme di
produzione, che mostra il legame tra politica e Tv, e l’analisi delle forme audiovisive, che
determina la storia dei generi, i quali hanno influito e continuano a condizionare la società.
La difficoltà sta nel far convivere queste tre analisi per avvertire la totalità della questione.

Nel rigenerarsi di stagione in stagione, creando la forma adeguata al periodo di riferimento,


molti editori e autori televisivi nostrani, con il loro impegno e i loro fini hanno mutato negli
anni il volto della televisione e dell’Italia stessa. La Rai è riuscita dove il fascismo ha fallito:
ha unificato cultura e linguaggio, promuovendo trasmissioni di musica alta, sceneggiati di
romanzi, vere e proprie lezioni per quella marea di analfabeti che popolava lo stivale. Ma non
bisogna dimenticare l’interesse della politica, ad addomesticare la nazione, per perseguire lo
scopo unico della produzione di consensi, o comunque ad evitare dissensi, dipingendo, quando
si è ritenuto necessario, un’Italia che non c’è. In questo mutare continuo del creato e del
creatore, i testimoni chiave sono i generi televisivi, e gli avvenimenti catodici. Ad oggi ci si
ritrova in bilico tra due periodi: tra la morte del servizio pubblico e il dominio del servizio
privato. Le forze politiche sembrano determinate nel superare questa linea di demarcazione,
per approdare nell’era dell’accesso, del servizio a pagamento. La novità sta nel passare da una
società globale dedita al consumo materiale,ad una società più interessata a consumare
l’immateriale. Ma da dove siamo partiti? La televisione che ci viene raccontata dalle vecchie
generazioni è impensabile, il godimento e la funzione di questo elettrodomestico è cambiato a
tal punto da poter parlare di paleo- e neo- televisione. Uno stravolgimento che ha portato il
tutto sull’altra sponda.

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I.1 IL MONOPOLIO LOTTIZZATO

1954-1962.

Il televisore appare nelle vetrine italiane come una bara di legno, che a differenza della radio
trasmetteva immagini. Un cinema in casa, che trasmette varietà, film, eventi sportivi,
telegiornali. L’elettrodomestico ha la forza di richiamare nelle case parenti, vicini ed amici.
Non tutti si possono permettere di acquistare un oggetto di consumo che costa mediamente dai
tre ai sei mesi di lavoro. Diventa quindi aggregante sociale, i locali che mettono a disposizione
lo schermo fanno grossi guadagni: «Da qualche mese, nella vita dei piccoli paesi della risaia
vercellese, è entrato un elemento nuovo: la televisione, e si può già dire che essa incida sul costume
paesano più di quanto non abbia fatto in tanti anni il cinema. Infatti, nei paesi dove esiste una sala
cinematografica gli spettacoli sono saltuari o limitati ai giorni festivi, e assistervi assume un carattere
di eccezionalità. Invece la televisione c’è tutte le sere, e vi si assiste in un ambiente tradizionale e
tipico della vita paesana: l’osteria; e non c’è da pagare lo spettacolo, ma solo la consumazione, che poi
non è dappertutto obbligatoria […]. I quattro locali pubblici di Lignina (paese di 1350 abitanti, nella
quasi totalità braccianti) hanno messo uno dopo l’altro la televisione. Al circolo ENAL di Ronsecco
(1700 abitanti, braccianti e salariati agricoli) alla sera, da quando c’è la televisione, la sala è tanto
piena che hanno dovuto mettere un cartello: si prega di lasciare libero il passaggio fra i tavolini.
Mentre nella vita delle nostre città la televisione ha ancora un peso irrilevante, nella vita paesana si può
già dire che essa eserciti un’influenza sulle abitudini sociali: e, al contrario di quanto può parere a
prima vista, la sua fortuna si adatta particolarmente ad una situazione di povertà e isolamento, dove
altri svaghi sono inaccessibili e le possibilità di spostamento limitate».[1] Diviene uno status
symbol, paragonabile alla recente e presente storia della telefonia mobile e in tanti, seppur
indebitandosi, ne vogliono uno. All’arrivo della tv, l’Italia è ancora un paese agricolo-
comunitario, la gente si riunisce nelle piazze, nei bar, nei cinema, nei teatri. Si deve
abbandonare lo spazio privato per poter conoscere il mondo. La tv viene vista solo in
Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Umbria e Lazio. Ma già alla fine del ‘54 la quota di
popolazione servita supera il 48%. Gradualmente ci si rinchiude nelle proprie abitazioni,
dimenticando l’altro, abbandonando i cinema, le balere, ma anche, come è pratica ancora in
alcuni piccoli centri, il vivere la soglia della porta o la finestra. La televisione promovendo la
cultura, ruba del tempo, fornisce gli strumenti necessari all’interpretazione dei nuovi codici.
S’insegna a parlare, a leggere e scrivere, viene divulgata l’arte, la musica e la letteratura, ma
non solo. La scienza e l’agricoltura trovano i loro spazi, contribuendo a diffondere concetti e
valori indispensabili per la corsa al progresso che si sta intraprendendo.

I programmi del servizio pubblico devono rispecchiare e formare l’intera popolazione


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nazionale, rispettando le minoranze linguistiche, politiche, religiose e sociali. Inoltre, è
necessario garantire anche l’accesso al servizio da un punto di vista tecnico attraverso una
distribuzione delle infrastrutture su tutto il territorio nazionale. Nel 1954 quasi il 40% dei
lavoratori è nel settore agricolo, più del 32% è nell’industria e più del 28% è nel terziario. La
dirigenza Rai dei primi anni «di area liberale e simpatie massoniche»[2] cerca di rispettare il
moderatismo cattolico e il conservatorismo liberale, chiudendosi a qualsiasi stimolo estraneo a
certi valori. Per gli intellettuali cattolici la tv può anche educare l’uomo alle virtù della
moralità cristiana, mentre per la sinistra è un prodotto del capitalismo, che comunque dilaga
nel vissuto del popolo. Di contro la televisione fa da traino all’esplosione della civiltà dei
consumi.

«Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi.»
(Pier Paolo Pasolini) [3]

I valori e i modelli di comportamento veicolati si rivelano sempre più distanti sia da quelli del
pensiero cattolico più tradizionale sia dalla retorica laicista della massificazione. Nel ‘61 il
segnale raggiunge il 97% degli italiani, l’economia è alle stelle, e la Rai cambia la direzione
generale, cambiando alcune linee guida: Ettore Bernabei «vuole assicurarsi un saldo controllo
sull’impostazione dei programmi», alcuni dei quali troppo improvvisati, «per rendere più agile e
penetrante l’azione della Tv, soprattutto sul piano del costume»[4] (Giovanni Cesareo). La dialettica
pedagogica della televisione del tempo, impone di non togliere spazio alla vita tradizionale
familiare: i programmi chiudono rigorosamente alle 23.30 per evitare stravizi notturni. Il peso
del bigottismo dell’epoca si sente su qualsiasi inezia: «sono da evitare i femminili degli aggettivi
immaginifico, benefico, malefico»[5] per la desinenza in -fica, stessa sorte per termini che
ricordano gli apparati maschili. Si fece molta attenzione alla divulgazione di programmi
secondo una logica dell’educare divertendo. I generi principali: sceneggiati, tribune politiche,
programmi di divulgazione, ma soprattutto quiz e varietà. Non dimentichiamo che la
provenienza di Sergio Pugliese, responsabile dei programmi, è da ricondurre al teatro e che il
piccolo schermo venne snobbato dai cineasti del tempo. Si ebbe il coraggio (soprattutto in
confronto alla realtà attuale), di proporre anche quattro(4) commedie teatrali alla settimana,
con nomi di altissimo livello. Nel 1961 nacque il secondo canale della Rai. Pur se inizialmente
vi era un’intenzionalità di concorrenza tra le due reti, il direttore generale nel 1963 eliminò
ogni autonomia tra i due canali, unificando i servizi.

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La televisione insegna…

“Non è mai troppo tardi” 1960

«Il mezzo televisivo si è rivelato una forza spirituale, il mezzo dal quale la maggioranza dell’umile
gente si aspetta la liberazione da un’ignoranza atavica, l’indicazione per un miglioramento morale,
persino l’abolizione di ogni ingiustizia. Ossia, per un non so se normale o sporadico uso, s’è creato un
senso di fede, fede che la televisione, potendo giungere anche nel cuore degli uomini, possa aiutarli a
diventare migliori, a far si che scompaiano ingiustizie, intolleranze. E per questo gli umili ascoltano,
vedono e riversano su Non è mai troppo tardi le loro speranze, per questo i malati di spirito riprendono
forza; gli invalidi fede; i pessimisti, fiducia. E tutto ciò perché essi stessi hanno, seppur
inconsapevolmente, riversato nel programma la loro speranza, la loro fiducia, il loro affetto. E questo,
mi spaventa» [6] (Alberto Manzi)

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1962-1974

È il decennio del “miracolo economico”, che sarà però testimone delle violente contestazioni
studentesche del ‘68 e quelle operaie del ‘69. Ma i primi anni ‘60 sono spensierati ed euforici,
la vita degli italiani sta cambiando e il Pil cresce a una media del 6,3% all’anno. A fronte della
domanda interna che si rafforza, crescono anche le disponibilità economiche delle famiglie:
nascono, infatti, sempre meno figli e molto spesso lavorano anche le donne. La fame nera è
ormai un ricordo e gli oggetti del desiderio non sono più beni di consumo, ma beni durevoli
(auto, moto, tv, frigorifero, ecc) che si possono comunque acquistare a rate. Nel 1963, il 50%
delle famiglie possiede un televisore. Il boom degli anni ‘60 non dura molto: il nuovo
decennio si apre con una crisi mondiale dell’economia, segnata dall’inconvertibilità del
dollaro, la cui onda lunga provoca, in Italia, già provata dal terrorismo, la cosiddetta
“austerity”, con domeniche a piedi e una riduzione generale dei consumi. Per la Rai questa
può definirsi l’epoca “Bernabei” dove la vecchia direzione massonica torinese, viene messa da
parte per creare una Rai Democristiana, pendente più verso il centro sinistra che per il centro
destra, aperta ai socialisti, ma sempre obbediente ai poteri forti della Chiesa. I posti chiave
dell’azienda vengono allora affidati a uomini ‘fedeli’, inizia così la lottizzazione dell’azienda.
Questo termine è applicato «per la prima volta alla Rai – in un’accezione fortemente polemica – da
Alberto Ronchey, in una lettera inviata a Ugo La Malfa il 14 ottobre 1968»[7]. Ciò che a tutt’oggi
caratterizza infatti la gestione dell’azienda Rai è la presenza nell’amministrazione di uomini
esplicitamente indicati dai partiti, per poter monitorare le scelte di divulgazione giornalistica e
culturale. Un servizio pubblico malizioso, che non garantisce al cittadino una funzione
collettiva. Di contro per smentire queste tesi, appaiono nel 1970 e nel 1971 due trasmissioni
che almeno simulano un servizio utile al cittadino: Turno C e Nord chiama sud, documentano i
disagi dovuti alle condizioni dei lavoratori nelle industrie, e le differenze tra due realtà, un
settentrione sempre più moderno, che chiama lavoratori dal sud ed un meridione legato ancora
ad una cultura agricola-pastorale.

Nell’aprile del 1965 si attiva il satellite Early Bird dell’Intelsat che consente trasmissioni in
diretta transatlantiche, e dello stesso anno è il debutto di Giochi senza frontiere, programma
che, coprodotto da sei stati europei in competizione tra prove fisiche e intellettuali, comincia a
diffondere l’idea europeista. In questi anni due tragedie si confrontano, quella accaduta a
Longarone del 1963 e quella di Firenze del 1966. Nella prima i media servirono a coprire
inefficienza e protervia dei politici e dei tecnici del tempo, da ricordare che i servizi di TV7
diretti da Claudio Savonuzzi vennero censurati. Nel secondo caso la televisione fece proprio

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da cassa di risonanza, e in molti grazie a quelle immagini donarono il proprio aiuto per salvare
la città museo. Nel 1974 le sentenze n.225 226 della Corte Costituzionale legittimano le
trasmissioni via cavo e consentono la presenza di televisioni estere sul territorio nazionale. Si
è passati quindi da voler diffondere un’omologazione nazionale, a volerne divulgare una
multinazionale, annientando sempre più il particolarismo regionale del nostro paese. Nello
stesso anno nasce Telemilano.

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I.2 DAL MONOPOLIO AL DUOPOLIO

1975-1985.

L’entusiasmo benevolo della generazione della pace e dell’amore sembra aver termine. Gli
Hippies si tramutano per magia in Yuppies, dai capelli lunghi si passa alle cotonatura,
spariscono le zampe d’elefante e appaiono d’improvviso i pantaloni a sigaretta. Le
contestazioni ormai sono azioni violente di gruppi estremi di sinistra e di destra. Il terrorismo
è uno dei punti chiave per poter parlare di quegli anni, così come lo sono l’eroina, definita da
molti droga di stato e di una malattia virale fino all’ora sconosciuta: l’HIV. Le nuove
tecnologie cominciano a entrare nelle fabbriche, si sviluppa il terziario avanzato e, per la
prima volta in Italia, gli addetti del settore dei servizi superano quelli di agricoltura e industria
insieme. In questi anni, le abitudini degli Italiani subiscono nuove modificazioni. La
diminuzione del numero di figli per ogni famiglia partecipa all’incremento delle possibilità
economiche, molte volte anche la madre lavora percependo un salario adeguato, ed in casa
entrano in linea di massima più soldi, che servono per il fabbisogno di un numero limitato di
persone. Comincia però ad affermarsi tra i consumatori il desiderio di poter disporre di
prodotti di eccellenza, realizzati con materie prime di altissima qualità. C’è insomma la voglia
di un ritorno al prodotto “naturale”, (“quello di una volta”) che si intensificherà ulteriormente
negli anni ’90.

«Naturale è un termine rassicurante, come il volto di un bambino nella pubblicità o sulla confezione di
un qualsiasi prodotto. Quando si vuole convincere qualcuno della bontà delle proprie merci o delle
proprie idee (spesso coincidono) ecco comparire il naturale. Il mercato è colmo di prodotti naturali.
L’applicazione del marketing, sia scientifico che fatto in casa, punta, subdolamente o istintivamente, ad
identificare la bontà della propria merce con il suo essere naturale»[8].

Nel 1976 la sentenza n. 202 della Corte Costituzionale, apre la strada all’editoria televisiva di
privati e chiarisce due punti: primo, il monopolio statale esiste solo perché inizialmente
l’interesse era pubblico e lo stato intervenne per realizzare il sistema di diffusione; secondo, la
comunicazione di informazioni e opinioni è un diritto costituzionale, per tanto lo stato può
intervenire solo attraverso un regime di autorizzazioni. Si diffondono così le prime radio
comunitarie e le prime reti private locali. In questi anni appare Silvio Berlusconi dopo aver
comprato Telemilano crea un piccolo network. Il 30 settembre del 1980 inizia a trasmettere
Canale 5, prima televisione privata commerciale, con una programmazione basata
sull’intrattenimento e la pubblicità. Appaiono i primi programmi contenitore, i talk show, a

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basso costo e alto rendimento, soap opera e telefilm di produzione estera. A metà anni ottanta
il duopolio che conosciamo oggi è già affermato. La Rai detiene il 44% del mercato e
Pubblitalia raggiunge il 43%. In meno di un trentennio non si capisce come si è arrivati
dall’altra parte.

1985- 2001

Il crescente numero di famiglie mononucleari e di single, sembrerebbe riconducibile al


disgregamento sociale che ha portato l’utilizzo coatto della televisione. Questo riguarda
soprattutto le grandi realtà metropolitane, che aboliscono molti riti comuni compreso il pasto
di mezzogiorno, con la famiglia riunita intorno alla tavola, sacrificano il tempo libero allo
svago. L’esperienza è sempre individuale e soprattutto costosa. Le coppie si sgretolano con la
facilità descritta da rotocalchi di cronaca rosa. La televisione impronta nuove modalità di
consumo, suggerisce il trend più che il costume e spesso si crea un gioco di compresenza di
opposti. I telegiornali affiancano servizi culinari ad inchieste sulla sana alimentazione. Inizia
la terribile saga delle diete, delle pastiglie e degli attrezzi miracolosi. Il corpo diventa qualcosa
che si vorrebbe avere in una determinata maniera, ma che inevitabilmente degenera. Esplode
quindi la moda della chirurgia estetica. La forma ha vinto la battaglia. La politica italiana
subisce duri colpi dalla magistratura, e lo scandalo tangentopoli cambia alcuni assetti, che
sembravano inattaccabili. I due maggiori partiti italiani vengono smembrati e Silvio
Berlusconi interviene costituendo un proprio partito che vincerà due volte le elezioni con uno
schieramento di centro destra. «Il modello, importato nel nostro Paese dalle televisioni del cavaliere
di Arcore un quarto di secolo fa, scricchiola paurosamente e lo stesso Berlusconi si è ormai lanciato
nello spezzettamento del pubblico, nella rincorsa alla vendita di eventi (meglio se sportivi) o di film.
Sotto questa ondata, l’intera struttura radiotelevisiva degli ultimi vent’anni oscilla paurosamente.
Accanto a ciò, inoltre, nuovi bisogni comunicativi e nuove necessità di condivisione dei contenuti
prodotti, emergono prepotentemente. Migliaia di giovani si attivano, quotidianamente e in maniera
spontanea, producendo contenuti, microfilm, inchieste, documentari e, puntualmente, non trovano le
modalità per rendere questi contenuti disponibili. Anzi, pur quando la tecnica consentirebbe loro di
trovare degli spazi, le leggi italiane (ad iniziare dalla legge Gasparri) impediscono la vita di esperienze
autoprodotte e “senza fine di lucro”, come le Telestreet»[9]. Si ritorna ad una situazione simile a
quella riportata inizialmente, dove vi è un monopolio delle telecomunicazioni influenzato, più
o meno direttamente, da un’area d’ispirazione liberale-massonica. Si aggiungono però nuovi

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elementi nella casa dei telespettatori, dal videoregistratore alla pay-Tv, gli italiani hanno
sempre più motivi di sfogo audiovisivo. La rete globale di internet fa breccia in questo impero
comunicativo piramidale, rompendo il rapporto ex-cathedra che si ha con lo schermo,
proponendo nuove funzioni e fruizioni dello schermo.

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I.3 LA MORTE DEL SISTEMA PUBBLICO.

J. Baudrillard, Z. Bauman e Vilèm Flusser si ritrovano a completare un unico oggetto: la fine


politica della democrazia, la morte del servizio pubblico. Il primo riconosce da subito che il
potere è malvagio e «la politica è il luogo dell’esercizio del Male, della gestione del Male, sparso
nelle anime individuali e nelle forme collettive in tutti gli aspetti: quello del privilegio, quello del vizio
e quello della corruzione»[10]. Un tempo il potere monarchico e dittatoriale, concentrava “la
parte maledetta” su di un’unica persona. Oggi il singolo si ritrova ad avere l’incombenza del
potere che sarà “devoluto ad altri” cioè ai politici, i quali, per parte loro pensano solo a
“sbarazzarsene”, indicando spesso astrazioni come discolpa della propria inefficienza. La
distribuzione del potere tende a creare sempre più organismi di gestione aumentando i costi
dei servizi, tendendo da una parte ad aumentare le cariche nel settore terziario e pubblico, e
dall’altra, per dirla come Bauman, “deistituzionalizzando” le politiche statali e le decisioni
pubbliche. In pratica il patrimonio della collettività viene svenduto ai privati con la promessa
di apportare delle migliorie grazie alla concorrenza del libero mercato, mentre grazie ad una
volontà anglo-americana, il guadagno va ad incanalarsi esclusivamente nelle tasche di alcuni
privati. Uno speciale di Report sui finanziamenti ai quotidiani, sottolinea un vizio di fondo
nell’assistenzialismo statale all’editoria italiana: dal quotidiano romano d’ispirazione
nazionalista che finanzia Lega Nord, ai vari giornali di quattro pagine che sostengono partiti e
rigirano soldi pubblici alle segreterie dei partiti. L’opinione pubblica non deve influenzare il
potere, anzi bisogna capovolgere sempre i ruoli. E per non dare nell’occhio la politica si
trasferisce da spazio pubblico a spazio privato e si inseriscono di tanto in tanto delle crepe del
sistema, che lasciano passare spiragli di contraddizione che comunque rimarranno o
pesantemente politicizzati da qualche estremità o comunque resi innocui dall’impotenza dello
spettatore. Nella comunicazione da spazio privato a spazio privato moltissimi individui
«guardano fissamente nello stesso istante la stessa immagine, guardando tutti lo stesso posto
inaccessibile. Là si incontrano tutti gli sguardi, ma senza potersi vedere tra loro»[11]. Per tanto il
potere è una scomoda malvagità che non trova responsabili, ma complici che, pur sotto un
unico grande punto di vista, si alienano. L’idea di Rai intesa come servizio pubblico, in Italia
non esiste più Esistono mestieri che se in altri paesi si riescono a distinguere tra loro, da noi
vengono confusi e sfumati. Giornalisti politici e imprenditori dello spettacolo e della cultura,
sono unica classe lavoratrice. Vittorio Sgarbi, Alessandra Mussolini e Vladimir Luxuria ne
sono l’esempio.

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NOTE

[1] www.comunicazione.uniroma1.it/materiali - ITALO CALVINO, La televisione in risaia, Il


Contemporaneo, 1954

[2,4,5,6,7] ALDO GRASSO, Storia della televisione italiana

[3] www.pasolini.net/ideologia_ppp_e_fascismo.htm

[8] www.paradoxon.it

[9] Articolo di SERGIO BELLUCCI pubblicato su l’Unità il 3 gennaio 2006.

[10] JEAN BAUDRILLARD, Il patto di lucidità o l’intelligenza del Male

[11] VILÈM FLUSSER, La cultura dei media

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24
IL CONTROLLO AUDIOVISIVO DELL’INFORMAZIONE

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26
Odio la televisione, la odio come le noccioline
Ma non riesco a smettere di mangiare le noccioline.
ORSON WELLES

II.1 CRONACHE NAZIONALI ED INTERNAZIONALI DAL 2001 AL 2006.

Ogni anno i media hanno uno o più macrotemi, che occupano per varie settimane i canali
d’informazione. Dagli attacchi alle Twin Towers, alla morte di Karol Józef Wojtyła, eventi che
comunque hanno un loro reale riscontro verso la massa, sino al delitto di Cogne o le cronache
sui reality show, si utilizzano questi argomenti per occupare spazio in ogni trasmissione, in
ogni quotidiano. «La presenza nelle prime settimane è opprimente, trascorso del tempo diventano dei
tappa buchi, o peggio ancora dei fattori distrattivi, proprio come il gossip, l’enogastronomia, il tempo
che fa, il traffico»[1]. M.Travaglio definisce quest’ultime «notizie di alleggerimento che
televisione e stampa inseriscono di regola nelle proprie strutture per asservirsi allo stato. Nel periodo
del secondo governo Berlusconi (2001-2006), coinciso con la peggior crisi economica, produttiva,
finanziaria e sociale dagli anni sessanta, Tele Mimun descrive un paese godereccio, opulento,
spensierato, ridanciano, tutto shopping, feste e abboffate […] mentre le famiglie italiane arrancano, si
parla d’altro e al Tg1 semplicemente non risulta. Non si vede quindi non esiste»[2]. Lo sfarzo
comunicato per rilassare gli animi, può anche non bastare ad un occhio pieno di smanie. Di
fatto la violenza, l’illecito e l’immorale da strada, attirano una buona parte della popolazione,
che necessita di materiale per continuare ad additare meridionali, extracomunitari e ceti bassi
delle periferie; dietro il sipario invece si coprono ferocie, illeciti e atti depravati di chi gestisce
il potere. Condannando episodi vergognosi, se ne mandano in onda le immagini, creando
paura, amplificando la funzione di isolante sociale della televisione, suggerendo modelli di
violenza di un mondo esterno, che non si conosce e non si vuole comprendere attraverso
l’esperienza diretta. Probabilmente bisogna diffidare di ogni fonte. Le ore dedicate dai
telegiornali e le pagine dei quotidiani riservate a temi di sicurezza o di giustizia sociale,
variano a seconda delle cariche coperte, in un determinato periodo, dal referente
politico/economico di tali media. A oggi le inchieste più serie, spesso portate avanti da
programmi o personaggi di satira, sono da considerarsi comunque controllate e direzionate
dall’alto.

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2001.

L’anno che tra tutti ha pieno diritto ad assumere il ruolo di spartiacque, sia perché il 1°
gennaio, secondo il calendario gregoriano, è il primo giorno del ventunesimo secolo nonché
del terzo millennio (a scapito dei molti che lo festeggiarono con un anno di anticipo), sia per i
fatti che lo hanno caratterizzato. Il 2001 forse verrà ricordato come uno degli anni più intensi.
Si ha avuto paura del Male, ci si è sentiti spaesati, consapevoli del disastro che ne sarebbe
conseguito negli anni successivi. Ma ciò che più ci ha sorpreso è stata la realtà portata in ogni
abitazione in tempo reale/virtuale. La televisione è ad oggi il mezzo di comunicazione di
massa più presente, l’occhio delle telecamere rappresenta costantemente la nostra vita,
informandoci su di essa, imitando e creando ciò che siamo. Secondo alcune ricerche riportate
da Bosetti e Buonocore[3], in genere la televisione viene utilizzata come mediatrice della
realtà in proporzione al livello culturale del paese d’interesse, e lì dove vi è una maggiore
vendita di giornali il livello culturale in proporzione sembra aumentare. Naturalmente questi
sono dati che hanno subito le ricerche stesse, di fatto in molti paesi occidentali è storicamente
diffusa la prassi dell’abbonamento, che, sempre secondo le statistiche, sembra subire un calo.
Spariscono le generazioni cartacee e si sviluppano le tecno-generazioni che preferiscono di
gran lunga lo schermo. Sta di fatto che sia le televisioni che i giornali, a differenza del web,
sono ormai gestite da alcune multinazionali della cultura. Probabilmente ancora oggi si riesce
a descrivere qualche raro caso di stampa d’assalto o d’inchiesta, ma ad esempio sulle ultime
guerre combattute in medioriente, ci si basa esclusivamente su un’unica agenzia
d’informazione collegata al governo americano. In Italia, come nel resto del pianeta, l’11
settembre ha portato cambiamenti politici, economici e comunicativi, aprendo nuove (ma non
troppo) discussioni sul sistema globale, portando diversi temi all’interno degli spazi privati. Si
è parlato molto, e ancora se ne parla, di terrorismo, di controllo, d’islamismo e cristianità,
d’integralismo e fondamentalismo; mai abbastanza per far capire alla massa di cosa in effetti
si tratti. Se ne è parlato così tanto da creare confusione. Ma non è una colpa, è un effetto.

L’attacco alle torri gemelle ha una spettacolarità unica e milioni di persone, me compreso,
hanno potuto assistere ad un reality show senza precedenti: il secondo impatto. Le
sensazionali immagini offerte dalla televisione in diretta erano comunque già state
rappresentate in vari film d’azione e di fantascienza, noi già le conoscevamo. È stato dato
spazio alla tragedia senza morale e senza riferimenti storici. I media hanno spesso divulgato le
immagini dell’evento senza raccontarne una storia ben definita. Ne sono stati fatti libri,
lungometraggi, documentari, inchieste e talk show; l’industria culturale ha immediatamente

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sfruttato l’unicità del caso. Si è formata subito una catena di definizioni che hanno distratto le
masse, portando l’attenzione sulle conseguenze e non sulle cause. Se si dovesse fare
un’indagine su termini e concetti come talebani, fondamentalismo e integralismo, in pochi
darebbero delle chiare definizioni. Eppure se ne parla. Qualche mese prima, esattamente il 20
luglio, migliaia di persone si incontrarono a Genova, pur se con intenti diversi, per
manifestare dissenso nei confronti del G8, fu un disastro totale. Attraverso Emule, o grazie al
sito web YouTube.com, ho avuto la possibilità di consultare filmati che raccontano ben altre
verità rispetto a quelle divulgate dalla televisione e dalla stampa. I black block, i violenti e i
disadattati di cui tanto si è parlato non si vedono. Sicuramente i filmati che ho visionato
sottolineano esclusivamente le violenze della polizia italiana nei confronti di persone
disarmate, senza distinzioni tra anziani, genitori con bambini e anarchici rabbiosi. Chi era lì
ha commesso un grosso errore, ha pensato di poter cambiare le cose, e per colpa di azioni
violente dall’una e dall’altra parte, hanno pagato tutti, di cui uno con la vita. Questi atti di
violenza differiscono da quelli degli anni Sessanta e Settanta per due motivi principali
individuati da Mario Perniola: l’attacco al simbolo, non più al singolo, e la mancanza di una
strutturazione ideologica, tipica del «vecchio burocratismo del vecchio terrorismo»[4]. Ciò
contribuisce alla presenza massiccia dei contestatori e delle forze dell’ordine nell’ambiente
mass-mediatico. Le manifestazioni contro la guerra, per la pace, anti globalizzazione, anti
precarietà, dai fatti di Genova in poi, in Italia, sono state sempre precedute dalla ormai nota
strategia del terrore. I manifestanti possono sempre nascondere nuclei di violenti;
propagandare questo principio, ha creato tensione nella popolazione, e in molti, ricordando
quei giorni di violenza da parte dello Stato, hanno preferito rimanere a guardare le
manifestazioni da casa. Qui si fonda anche un altro concetto base: il mondo sensibile messo a
confronto con lo schermo, come sottolinea Vilém Flusser, diventa mortalmente noioso. Ora
diviene anche terribilmente rischioso. La prima metà del 2001 venne caratterizzata da una
serie di polemiche scaturite in seguito all’intervista di Marco Travaglio, nel programma
Satyricon condotto da Daniele Luttazzi. Tema della trasmissione il famoso libro L’odore dei
soldi: raccolta di documenti giudiziari e finanziari, voluta da Elio Veltri deputato uscente della
commissione Antimafia. Naturalmente (o per chi preferisce: stranamente) tutti i commissari
votarono contro la discussione stessa, ne venne fatto un libro con l’appoggio di Travaglio, che
andò a pubblicizzare il prodotto all’interno di un format satirico d’imitazione americana.
Gianfranco Fini in quei giorni preannunciò la futura epurazione. Michele Serra, in un articolo
pubblicato dal quotidiano la Repubblica[5] cita Daniele Luttazzi, Michele Santoro, Enzo
Biagi, Sabina Guzzanti, Corrado Guzzanti, Dario Fo e Franca Rame come simboli della nuova
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censura, dove satira e giornalismo scomodo vengono banditi dalla Tv. Il 13 maggio il potere
legislativo viene affidato ad una coalizione di centro-destra, a cui non piacciono molto le
proteste, che provvederà a inasprire i provvedimenti contro ogni forma di eversione. Si darà
anche cura di utilizzare al meglio le potenzialità economiche e mediatiche di Silvio
Berlusconi, l’uomo che garantisce al paese un continuum demo-craxiano e al proprio partito
un fondo monetario di copertura esorbitante. Il 24 giugno in Italia nasce un ambizioso
progetto di terzo polo: La7 si aggiunge TMC2 , anch’essa significativamente modificata da un
accordo con MTV Italia che fornisce logo, contenuti e utenti, cercando di creare una
televisione generalista, puntando cosi a spartire il mercato con i due giganti italiani. Il
progetto muta appena cambia il padrone. L’obbiettivo è quello di creare un polo di nicchia,
offrendo alternative rischiose, ma funzionali, come il sabato sera di Gad Lerner
(approfondimento giornalistico), o la striscia di prima serata a cadenza giornaliera, con due
conduttori di faziosità opposta. Così il duopolio televisivo permane ed alcune maliziose
decisioni parlamentari, aumentano il divario economico tra il servizio pubblico e quello
privato. Il 27 settembre viene presentato un disegno di legge, che dovrebbe risolvere il
conflitto d’interessi dell’allora presidente del consiglio, ma ci si impiegheranno 3 anni. Il
disegno di legge Frattini propone di non riconoscere conflitto d’interessi nel caso di mera
proprietà. Un mese dopo il ministro delle comunicazioni Gasparri, annullando la cessione del
49% della Raiway, all’americana Crown Castle, fa perdere alla Rai (800) ottocento miliardi di
euro, cosa che venne indicata dall’Ulivo come boicottaggio del servizio pubblico a favore del
privato Mediaset. Berlusconi e Gasparri interverranno, telefonicamente e in diretta, in
trasmissioni del servizio pubblico che non sostengono pienamente le attività del governo.

30
2002.

L’attacco alle torri gemelle ha scosso l’economia internazionale. In Italia l’ingresso della
moneta unica europea, ha contribuito all’impoverimento della popolazione, che si è vista
raddoppiare i prezzi dei beni di consumo senza nessun intervento da parte dello stato. Ma i
temi essenziali della televisione nel 2002 in Italia, sono stati il delitto di Cogne e il
trattamento subito dalla nazionale italiana al campionato del mondo. Oltre al terrore
internazionale, riappare in Italia quello nostrano: se a gennaio i girotondi rappresentano una
versione più serena e impegnata del popolo dei dissidenti, il 19 marzo a Bologna, viene
assassinato dalle Br-Pcc, l’economista e consulente del Ministero del Lavoro Marco Biagi. Da
una parte appare quindi un movimento della società civile capeggiato da uomini di cultura (di
o della sinistra), stanco sì del lavoro del governo, ma critico verso un opposizione incapace di
reagire. Dall’altra ritorna sullo schermo e sulla carta, la minaccia del terrorismo politico.
Berlusconi il 22 marzo appare in un messaggio preregistrato sul Tg5 e sul Tg1, ribadendo
che il terrorismo non fermerà l’azione riformatrice del governo, mentre l’Unità in prima
pagina la mattina stessa afferma che «il governo sapeva e non ha fatto niente. Almeno 11 giorni
sono trascorsi senza muovere un dito per proteggere il professor Biagi. L’allarme dei servizi arriva a
Frattini l’8, alla Camera il 13, esce su Panorama il 5, il delitto il 19». S’incomincia a delineare
un’opposizione dell’informazione, due poli opposti che probabilmente hanno contribuito a
creare un’epoca di confusione e inesattezza delle fonti. Il 18 Aprile arriva l’editto bulgaro:
Berlusconi durante una conferenza stampa accusa Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele
Santoro si fare un uso criminoso del servizio pubblico. A settembre il Ministro delle
telecomunicazioni Gasparri, presenta un riassetto del sistema radiotelevisivo italiano. La
digitalizzazione del segnale è indispensabile per aprire il mercato: il segnale in chiaro occupa
troppo spazio sulle frequenze, che se invece digitalizzato consente una riduzione sullo spettro
del segnale. D’altro canto, questo sistema consente un servizio di monitoraggio sul
gradimento, che darà delle proiezioni esatte al gestore del servizio e alle agenzia
pubblicitarie. A novembre le televisioni e la stampa allarmano la popolazione fiorentina: lì si
terrà il Social Forum, i no global sono pronti a devastare la città d’arte. Tutto ciò non avviene,
la manifestazione si svolge in maniera pacifica. L’anno finisce con una promessa di guerra
americana all’Iraq.

31
2003.

Nel mese di gennaio due sono gli argomenti principalmente trattati da giornali e televisioni:
l’intervento italiano in Iraq e l’attacco del governo alla magistratura. Sulla guerra in Iraq
l’opposizione civile fu così unanime da far sì che l’Italia non partecipasse ufficialmente
all’intervento bellico, ma si camuffò in seguito come corpo di pace, intervenuto
esclusivamente a fini umanitari. La guerra è preventiva e probabilmente necessaria. Il mondo
occidentale con il suo incalzante fabbisogno energetico necessita di questa guerra: l’Eni per
l’Italia farà la sua parte. Intanto il governo, Berlusconi in prima persona, affronta alcune
quisquilie con la magistratura italiana. Berlusconi mentre coprirà la carica di primo ministro
verrà condannato per corruzione, ma passerà in prescrizione. Nel frattempo esplode il caso
Telekom-Serbia, probabilmente un’azione governativa montata appositamente per distrarre
l’opinione pubblica dai processi del signor Berlusconi. Tra l’altro il 20 giugno il Presidente
della Repubblica Carlo A. Ciampi firma il cosiddetto lodo Schifani che blocca fino a fine
mandato i processi per le alte cariche dello Stato. A Strasburgo il ‘semestre italiano’ viene
rovinato da un’antipatica battuta di Berlusconi. Commenta così il Time Magazine del 9 luglio
la situazione democratica nel nostro Paese: «Il più sacro principio della democrazia, è la
separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo, giudiziario. Berlusconi è l’esecutivo che
domina il legislativo e attacca senza tregua il giudiziario. E anche il Quarto potere non è al
sicuro. Il Tg1 ha interamente nascosto le gaffe del premier a Strasburgo». Qualche giorno
appresso si viene a sapere su l’Unità che «i nostri servizi segreti» hanno fornito un «falso
sull’uranio del Niger acquistato da Saddam. Palazzo Chigi smentisce, Time conferma: dall’Italia le
prime prove inventate». L’estate passa tra le notizie dei lavori di abbellimento della casa di
Porto Rotondo, un revisionismo da bar che alleggerisce le responsabilità del fascismo e di
Mussolini, e una strana battuta di Licio Gelli, fondatore della P2, intervistato da Concita De
Gregorio su La Repubblica: «Guardo il paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza
poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei richiedere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine
pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa». Il 24 ottobre a Roma vengono catturati i brigatisti
ritenuti responsabili degli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Il ritorno di certe
fobie ha spianato la strada per un accusatoria generalizzata verso i principali mezzi di
comunicazione controllati dalla sinistra. È stato un anno di attacchi contro l’Unità e di tagli al
Tg3. Il 20 novembre la Rai sospende dopo la trasmissione della prima puntata, tutta la serie
Raiot programma satirico condotto da Sabina Guzzanti. Rimane il silenzio dei giornalisti,
delle istituzioni e dell’opposizione. Il 2003 è anche l’anno di Sky. La News Corporation

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ottiene il via libera dalla commissione europea che permette la fusione tra Tele+ e Stream tv.
Si crea così un monopolio sulla tv satellitare, che condiziona fortemente un pubblico che di
fronte a mille canali, rimane comunque senza alternativa.

2004.

Il festival di San Remo diretto da Tony Renis si chiude con Simona Ventura e una pattuglia di
soldati italiani a Nassirya. Questa scelta di far apparire una parte del nostro contingente viene
accolta da non poche polemiche. In effetti che significato poteva avere, se non quello di voler
affiancare il sentimento patriottico spettacolare dell’istituzione decadente del Festival con
quello decaduto di spirito bellico militare? Da dopo Nassirya infatti si rigenera il senso
patriottico italiano, che persosi dalla vergogna della Seconda Guerra Mondiale, alleati della
parte fallita, si cerca di ricostituire, emulando la spinta emozionale, risultata molto più
naturale per gli americani nel dopo 11 settembre. La televisione fa da madrina a questa nobile
causa, dedicando spazio, producendo fiction e alludendo di continuo all’unità nazionale. Nel
2004 Internet contribuisce a divulgare le oscenità, le torture e crudeli esecuzioni da entrambe
le parti coinvolte in Iraq. Si può tranquillamente scaricare dalla rete ogni tipo di prodotto
multimediale, compresa la decapitazione dell’ostaggio americano Nick Berg, i video che
«nelle vecchie carceri di Abu Ghraib a Baghdad, umiliati, denudati, vilipesi e torturati»[6].
Baudrillard e Debord affermano entrambi che è la società stessa a creare il male, «naturalmente
le popolazioni spettatrici non possono sapere tutto sul terrorismo, ma possono saperne abbastanza da
essere convinte che, rispetto al terrorismo, tutto il resto dovrà sembrar loro abbastanza accettabile, e
comunque più razionale e più democratico»[7]. Micheal Moore il 22 maggio viene premiato al
Festival di Cannes con la Palma d’oro, presentando il documentario Farhenheit 9/11. Gia su
internet si trovavano articoli e inchieste sull’attentato alle torri gemelle, con questo
documentario una più larga parte della popolazione incomincia a curare dei dubbi sull’incipit
che ha portato ad una situazione di emergenza globale, che tutt’oggi domina gli equilibri
internazionali. Per far aumentare il terrore, i rapimenti in Iraq cominciano a colpire anche chi
si trova lì per aiutare la popolazione invasa. L’8 settembre vengono sequestrate due volontarie
dell’associazione “Un ponte per…”, e in Italia regna lo sconcerto. L’Iraq viene ormai dipinto
come un paese di scellerati, che non distinguono più neanche il bene dal male. In mezzo a
tutta questa violenza umana, il pianeta il 26 dicembre, ci ricorda che siamo dei piccoli
esserini, la cui visione antropocentrica, può esser spazzata via in ogni istante dalla natura
stessa che ci ospita: saranno 400.000 le vittime nell’area asiatica colpita da un violento moto
ondoso.

33
2005.

L’inizio del 2005 è segnato da una continua campagna di raccolta fondi per le vittime del
maremoto, naturalmente doverosa. L’attenzione torna d’improvviso sul territorio iracheno
quando all’inizio di febbraio viene rapita la giornalista Giuliana Sgrena, la cui liberazione
porterà ad un incidente diplomatico gravissimo, soprattutto per la delicatezza della situazione.
Infatti proprio mentre la giornalista del Manifesto veniva trasportata dagli agenti dei servizi
segreti italiani, ad un posto di blocco americano, viene ucciso «dal “fuoco amico” americano il
funzionario del SISMI Nicola Calipari. La magistratura italiana appurerà che il soldato Mario Lozano
ha scaricato 58 colpi contro l’auto che li trasportava»[8]. Ad aprile l’evento mediatico, più
insistente e colossale dopo l’attacco alle Twin Towers: muore papa Giovanni Paolo II. La tv e
i giornali non parlano d’altro sino al dopo elezioni del successivo pontefice, l’evento però
strappa molte persone da quello spazio privato di cui parla Flusser, richiamando da ogni parte
del mondo migliaia di fedeli, che sentono una forte necessità di partecipare alla morte di
quest’uomo, riacquisendo lo spazio pubblico. Le immagini trasmesse dalle televisioni di tutto
il mondo sono spettacolari. Nei giorni a seguire ci si specializzerà nelle questioni vaticane, in
uno schermo che copre dalla burocrazia alla sartoria pontificia. Nei due giorni successivi alla
morte del papa, in Italia si è chiamati a votare per il rinnovo amministrativo di alcune regioni.
Avendo vinto il centro sinistra, l’allora ministro per gli

Affari regionali, Enrico La Loggia, ha il coraggio di esprimersi in questi termini: «L’elettorato


è stato distratto dalla morte del papa e questo indubbiamente ha avuto un ruolo anche sui dati
dell’astensionismo»[9]. Pur non avendo tutti i torti verrà prontamente criticato dal Vaticano per
queste affermazioni. In Italia dopo gli attentati a Londra riesplode la paura, almeno quella
allarmista dei giornalisti e dei politici; proprio nella metro di Londra la psicosi porta ad un
tragico errore da parte della polizia: viene ucciso un ragazzo che si pensava fosse un asiatico
dinamitardo, mentre si trattava di un giovane brasiliano disarmato. In Italia arriva una novità:
l’11 ottobre, viene presentato «il nuovo decoder, My Sky che permette di mettere in pausa un
programma in diretta, di vedere subito il replay di una scena saliente e di registrare automaticamente le
serie tv preferite. My Sky sarà sul mercato a partire dal 15 novembre»[10]. Nella politica interna
italiana, a metà ottobre, il centro sinistra opta per le primarie come strumento di scelta del
candidato unico della coalizione, vince Romano Prodi. Il 19 dicembre «il governatore della
Banca d'Italia, Antonio Fazio si dimette in seguito agli eventi connessi allo Scandalo della Banca
Antonveneta»[11] e l’Italia rafforza così l’immagine truffaldina che ha sempre suggerito.

34
2006.

Il 2006 è l’anno in cui Sky Italia, apre al mercato del triple play, raggiungendo un accordo con
il gestore Fastweb, lancia insieme a Tiscali un’offerta congiunta dei due servizi, stringe un
accordo con Vodafone Italia, per offrire pacchetti della programmazione SKY sui cellulari, e
acquisisce, infine la maggior parte dei diritti Tv dalle maggiori squadre del Calcio italiano, del
Rugby e della pallacanestro. Si dovrebbe dedurre che tutta l’energia dedicata al problema
dell’anomalo duopolio italiano, ha impedito di controllare e comprendere, le mosse
finanziarie della News Corporation, azionista unico di Sky Italia. Il servizio offerto dalla tv
satellitare, ha sicuramente vari punti che la mettono in una condizione di crescita favorevole;
la Rai continua ancora a puntare su linguaggi morti. Giusto per fare un esempio del livello
qualitativo della televisione pubblica, basti citare il Festival di Sanremo 2006, vinto da Povia,
con la canzone Vorrei avere il becco. Nella classifica dei programmi più visti, la 56° edizione
del Festival, occupa il 9° posto, ma togliendo le partite della nazionale italiana, impegnata nei
mondiali di calcio, e il duello Prodi-Berlusconi, risulterebbe primo in classifica. Questo è ciò
che l’Auditel riferisce quasi tutti gli anni, quasi a far apparire che gli italiani adorano la
trasmissione più desueta del palinsesto annuale. Ma l’impeto dei mondiali di calcio, nella
piattaforma mediatica del nostro Paese, ha offuscato alcuni avvenimenti importanti: la guerra
in Libano e l’arresto di Vittorio Emanuele di Savoia, legato allo scandalo vallettopoli. Anche
in questo caso, chi si è voluto informare, ha dovuto spesso cercare sul web, generando proprio
in quei mesi un aumento del numero di accessi presso alcuni siti d’informazione, o
controinformazione. L’anno si conclude con la condanna a morte del dittatore iracheno
Saddam Hussein, e con la sua repentina impiccagione, le cui immagini, rubate grazie ad un
video telefono, verranno diffuse nel web.

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«La vera libertà di stampa è dire alla gente
ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire»
GEORGE ORWELL

II.2 NASCONDERE I FATTI.

È fondamentale non far sapere alla massa cosa sta succedendo. L’ordine mondiale ha bisogno
di tenere celati alcuni particolari, inezie che infastidirebbero il quieto vivere del popolino.
Ciò non vuol dire che certe cose non passino, anzi! Qualsiasi mezzo usa episodi violenti,
immorali o catastrofici, per tenere vivo il fuoco della paura. Qui si tratta di nascondere,
camuffare e gonfiare, con il fine di far dimenticare, o travisare, fatti intollerabili, contrari a
quei principi di universalità morale delle nostre società democratiche

Perché la gente non sa niente, perché alla gente non piace leggere, perché in Italia la gente si
disinteressa? Marco Travaglio definisce Bruno Vespa «maestro ineguagliato nell’arte di parlare
d’altro»[12], capace di argomentare intere puntate su questioni sicuramente meno rilevanti,
rispetto al fatto del giorno. In particolare: «dopo la condanna in primo grado di Cesare Previti al
processo Sme per corruzione del giudice Renato Squillante, Vespa si occupa del Viagra. Quando il
tribunale di Milano condanna Marcello dell’Utri per estorsione insieme ad un boss mafioso, a Porta a
Porta, si parla di calcioscommesse con Aldo Biscardi e Maurizio Mosca. Quando il Parlamento
europeo boccia Rocco Bottiglione, aspirante commissario UE, per le sue tirate contro le donne e i gay,
Vespa convoca Alba Parietti e alcuni malati in stato comatoso per raccontare il loro improbabile
risveglio dal coma. Quando il centro sinistra vince in sette collegi su sette le elezioni suppletive del
2004, a Porta a Porta si discute dell’Isola dei Famosi, con Simona Ventura e Co. Quando il tribunale di
Palermo condanna dell’Utri a nove anni per mafia e quello di Milano dichiara Silvio Berlusconi
responsabile del reato di corruzione di Squillante, ma lo salva per prescrizione grazie alle attenuanti
generiche, ecco un bel dibattito Fassino-Tremonti sul presunto taglio delle tasse del governo di
centrodestra, l’indomani, una fondamentale puntata sui reality show con Del Noce, don Mazzi, Crepet,
Zecchi, Paola Perego, Carmen di Pietro e le gemelle Leccio. La sera in cui il presidente Ciampi boccia
la riforma sull’ordinamento giudiziario del ministro della Giustizia Roberto Castelli in quanto
palesemente incostituzionale, Porta a Porta approfondisce l’ultimo film della coppia Boldi-De Sica,
Christmas in Love. Quando Previti viene condannato definitivamente in Cassazione a sei anni, l’amico
Bruno opta per un tema ben più attuale: la dieta mediterranea. Quando la Corte d’Appello di Palermo
condanna per Mafia a cinque anni e quattro mesi il presunto padre nobile dell’Udc Calogero Mannino,

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puntatona sul delitto di Cogne»[13]. Se Vilèm Flusser parla quindi dell’abbandono dello spazio
pubblico, qui si tratta dell’abbandono della funzione pubblica, dove lo spazio privato viene
creato secondo un’ideale, atto a mantenere pacati gli animi dei telespettatori. In queste
rubriche d’intrattenimento, che spesso basano la loro competizione su discussioni colleriche,
si arriva sempre a delle non-conclusioni, dove spesso gli invitati politici conoscono
preventivamente le domande e gli approfondimenti che verranno trattati e, come dimostra
un’intercettazione telefonica della procura di Potenza, hanno la facoltà di decidere chi, tra
giornalisti e politici di fazione opposta, invitare alle trasmissioni.[14] Ma non è solo la
politica ad usufruire di questo “servizio”, e non è solo l’area liberal-massonica a fornirlo:
nella puntata di Ballarò con ospite Luciano Moggi, dirigente della Juventus, protagonista
unico dello scandalo calciopoli, di fronte ad una domanda scomoda, accenna a Giovanni
Floris di rispettare gli accordi presi, «non si doveva parlare della Gea», il fulcro della
questione.

Nascondere i fatti non vuol dire eliminarli. Si possono celare segreti pur continuando a
mostrarli: ne sono esempio tutte quelle trasmissioni televisive dedicate ad approfondimenti
vari, le affluenze di massa agli spettacoli di Beppe Grillo, testi d’approfondimento
giornalistico.

Ma c’è una piccola imperfezione nelle attività di divulgazione, che condanna ogni notizia a
perire nel nascere, è l’impotenza del cittadino, capace di argomentare solo attraverso il sentito
dire, o per i pochi cartacei, per aver letto. La maggior parte delle volte ci si ferma a queste
sfere, perché le reazioni reali che spaventano un po’ tutti, sono state i disordini delle
manifestazioni no global, che assumono tale denominazione solo nel caso di azioni violente; a
livello globale gli attacchi alle torri gemelle. Inoltre le notizie vengono sempre date
isolandole dal contesto storico. Se Saddam Hussein aveva reso l’Iraq una potenza militare
grazie a finanziamenti statunitensi, e a tecnologie belliche italiane, ogni notizia data sul
pericoloso dittatore, evitava di menzionare tali particolari.

Il flusso continuo della comunicazione umana ci condanna ad ereditare da altri, una


rappresentazione di ciò che sta accadendo. Prendiamo due format completamente differenti,
per intenti e temi. Il primo è un servizio di approfondimento giornalistico su quali sono i ruoli
delle mogli di lavoratori extracomunitari, di cultura islamica, all’interno della famiglia. Si
nota che lo scopo è quello di dipingere negativamente certe abitudini, che gli immigranti
portano con se. La seconda trasmissione è un reality di La7 dal titolo Cambio Moglie, dove
due donne scambiano fra loro le rispettive famiglie, per una settimana. Che cosa differisce tra

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il marito della famiglia meridionale e il venditore ambulante di origini nord africane: entrambi
impongono alla propria moglie di occuparsi della casa e dei figli, vietando loro di lavorare,
entrambi impongono alle proprie figlie di vestire in maniera appropriata. Eppure il primo caso
genera un’opinione, ormai diffusa,che vede nella civiltà islamica arretratezza culturale, il
secondo invece, è folklore italiano: è normale che il maschio del sud Italia si comporti
secondo certi schemi. D’altronde «il monopolio della valutazione del Bene e del Male l’abbiamo
noi»[15]

38
«Io sono il ministro della Paura e, come ben sapete,

senza la paura non si vive! Una società senza paura

è come una casa senza fondamenta:

per questo io ci sarò sempre nel mio uffico bianco ,

con la mia scrivania bianca di fronte al mio poster bianco

…Aah che paura!

Ci sarò sempre con i miei attrezzi del lavoro,

la mia pulsantiera, pulsante giallo, pulsante arancione, pulsante rosso,

rispettivamente poca paura, abbastanza paura, purissima.

E seguendo correttamente questo stato d’animo

io aiuto il mondo a mantenere ordine»[16]

II.3 SULLE PAURE E LE INCERTEZZE.

Le paure hanno caratterizzato le epoche umane. Le società d’ogni tempo hanno sempre
indicato “le radici profonde delle minacce e dei timori” trovando sempre un nemico mistico,
lontano dall’essere concretamente individuabile. Ad ogni male può opporsi un rimedio, che
solitamente ha creato un mercato senza fornire delle soluzioni concrete. Nel caso in cui il
rimedio viene esplicitamente a mancare, ci si è sempre preoccupati di trovare delle giuste
motivazioni. Il mondo esterno e la sua imprevedibilità, ha creato controllo e spazio privato; i
media tradizionali basando la loro produzione su questi temi e su questi scopi, ha da sempre
appoggiato potere economico e potere politico. Il guadagno è sempre la colonna di sostegno,
dove la paura diventa portatrice di capitali. Ne è esempio il caso dell’influenza aviaria che
secondo una certa logica ha fatto guadagnare alla multinazionale farmaceutica Roche circa 50
milioni di euro dalla vendita del Tamiflu, farmaco ritenuto da alcuni ricercatori inefficace,
perché non si conosceva neanche il virus. I telegiornali, e i quotidiani a seguito, non parlarono
d’altro e il 21 febbraio 2006, al Tg5, Lamberto Sposini, dopo tre mesi di bombardamento
mediatico, mangiando del pollo in diretta, si chiede «perché gli italiani si fanno prendere dalla
paura».

Bisogna riconoscere nella morte l’archetipo di tutte le paure. La fine delle cose risulta
inaccettabile, eppure rimane l’unica certezza data. Per superare ogni timore, ogni sofferenza,

39
bisogna non pensare alla fine, se è possibile occupare l’intera esistenza alla soddisfazione in
piccole dosi, piuttosto che prendere di petto l’unica nostra certezza. La televisione produce
continuamente pillole emozionali, che si sostituiscono al vissuto, arrivando persino a emulare
nella realtà, l’esperienza virtuale audiovisiva. Sulla paura di perdere una qualche stabilità
individuale o collettiva, giornali e telegiornali, riforniscono quotidianamente elementi di
stimolo mentale. Usufruire di questi mezzi d’informazione è solo una forma rituale che
influenza pesantemente il nostro modo di rapportarci con l’altro. La nostra cultura, ad
esempio, è un frullato fra tradizione e modernità americana, la potenza di turno. Questo
omogeneizzato ci garantisce protezione e sicurezza, almeno come facciata. Dopo di che
avvenimenti del mondo esterno, azioni dell’Altro, come l’attacco alle Twin Towers, rimettono
in tavola la natura umana, mammifero aggressivo e arrivista che teme la fine. La
regolamentazione è figlia della paura. Stabilire un ordine globale, un omogeneizzazione
innaturale, diventa una parola d’ordine davanti alla crescita esponenziale della popolazione.
Si ha paura dell’Altro, più siamo e più pericoli incombono. In un mondo liberale le diversità
vengono divulgate proprio con lo scopo di renderle familiari, così certe culture underground
derivanti da ghetti malfamati come espressione di scontentezze degli afro americani, oggi
sono diventate un trend. È solo una maschera momentanea che fa muovere il mercato globale,
e non urta più come una volta, anzi fa sorridere. Mtv è maestra nel saper ripulire certe
immagini underground, che provengono da quella parte violenta della società americana.

Per attuare l’ordine senza dover impiegare violenza, si è instaurata una gerarchia multilevel,
alchemica e frattale. Dalla scolarizzazione alla famiglia, dall’idea di impiego “regolare” a
quella della felicità come punto d’arrivo, si è instaurata una mercificazione controllata della
vita, divulgata dalla televisione. L’incertezza eliminata crea automi, scelte e idee
preconfezionate e con data di scadenza che ognuno può prendere, se vuole, senza rischio
alcuno. Gli stessi valori etico morali possono piegarsi di fronte all’ordine a al controllo, e si è
sempre pronti a crearne dei nuovi, come ad esempio il concetto di privacy, per adattarsi alle
nuove esperienze, ad accettare ed inglobare forme negative pur di far sfumare il contenuto.
Ogni esperienza emozionale possibile viene proposta come prodotto consumabile, ogni
prodotto consumato promette la risoluzione dei problemi.

40
NOTE

[1] MARCO TRAVAGLIO, La scomparsa dei fatti.

[2] Ibid.

[3] GIANCARLO BOSETTI e MAURO BUONOCORE - a cura di, Giornali e tv negli anni di
Berlusconi,

[4] MARIO PERNIOLA, Contro la comunicazione

[5] “L’elenco delle vittime della censura che non c’è”, la Repubblica 18.03.2004

[6] Fonte Adnkronos tratta da ALICE OXMAN, Sotto Berlusconi

[7] GUY DEBORD, Commentari sulla società dello Spettacolo

[8] Fonte www.wikipedia.it

[9] Fonte Ansa tratto da ALICE OXMAN, Sotto Berlusconi

[10] Fonte www.key4biz.it

[11] Fonte www.wikipedia.it

[12,13] MARCO TRAVAGLIO, La scomparsa dei fatti

[14] Testo dell’intercettazione in Appendice.

[15] JEAN BAUDRILLARD, Power Inferno

[16] Dallo spettacolo ‘Psicoparty’ con Antonio Albanese

41
42
TV, STAMPA, INTERNET E DVB-H.

43
44
III.1 DIFFERENZE E ATTINENZE TRA I MEDIA.

Lo scopo dei media è diffondere, accorciando distanze e tempi; questo caratterizza i nostri
giudizi sulla funzionalità del mezzo. La televisione è sicuramente il mezzo più penetrante e
viene utilizzato dai più come ponte di collegamento con il mondo esterno. Le discussioni tra
familiari e conoscenti sono sempre più spesso improntate secondo un’immagine della realtà
ottenuta attraverso trasmissioni televisive. Ciò che fa funzionare il sistema è il formato
spettacolare, veloce e condensato che tra l’altro ha influenzato in maniera decisiva tutti gli altri
media. I quotidiani fanno molta attenzione ai titoli divulgati dalla televisione, consapevoli del
fatto che molti lettori seguono con costanza almeno un telegiornale, tendendo inoltre ad
inserire sempre più spesso materiale non informativo o spettacolare. Le prime pagine non sono
più in bianco e nero, si prediligono i colori soprattutto per le immagini. La condensazione è un
altro aspetto che ha influito il giornale. Questo storicamente aveva infatti il ruolo di
approfondire gli argomenti, mentre oggi appaiono sempre più spesso dei riquadri che li
sintetizzano. Per quanto riguarda l’informazione in sé, è prassi comune rivolgersi ad un
agenzia di informazione che può dare notizie racchiuse in un singolo enunciato oppure
vendere un intero pacchetto di immagini con commento. La prima prassi è molto diffusa tra i
giornalisti che hanno ormai perso l’abitudine dell’inchiesta su fonte diretta, mentre la seconda
trova una buona clientela tra i Tg che spesso ricoprono il ruolo di pubblicità camuffata per
prodotti farmaceutici, turistici o politici. Internet racchiude assieme testo, immagini, video e
suoni. Velocità, condensazione e spettacolarità, attraverso il www vengono esaltati
all’estremo, sino a far coincidere l’idea di velocità con il mezzo stesso. Vi è da considerare
però che mentre televisione e stampa si caratterizzano attraverso l’unidirezionalità della
comunicazione, internet si basa su un ritorno, dove ogni utente, a diverse percentuali,
contribuisce alla diffusione sia tecnica che concettuale del materiale. In questo caso è stata la
televisione a voler imitare tale peculiarità, intraprendendo una direzione che la porterà a
modificarsi a seconda delle pretese dell’utente, cosa già in uso sia sulla televisione satellitare
che sull’IP/Tv. Dal giugno 2006 è in funzione una tecnologia che permette di scaricare
pacchetti video di produzione televisiva su un supporto mobile. In questo modo si garantisce
realmente il tutto ovunque e sempre. Infine sono da segnalare due realtà importanti spesso
dimenticate quando si parla di alternative al duopolio italiano: la street tv e la web tv. Per la
prima il riferimento italiano è sicuramente il sito internet www.telestreet.it, che tra l’altro
segnala, sparse per il territorio nazionale, una lista di 91 emittenti di quartiere con relative
frequenze di trasmissione. All’interno del sito vi è anche una serie di indicazioni tecnico-

45
pratiche per creare una propria stazione televisiva, spendendo una cifra abbastanza contenuta.
Per parlare invece del caso della web tv, basti citare Arcoiris[1], una televisione gratuita alla
quale si accede attraverso il sito. L’utente è libero di scegliere quale prodotto visionare,
venendo tra l’altro aggiornato, attraverso una mailing list, sulle novità.

46
III.2. TUTTO IN UNO.

«Internet è un insieme di mezzi di comunicazione. È un multimedia, perché sfrutta


contemporaneamente diverse espressioni, come quelle testuali, quelle sonore, quelle video, e quelle di
animazione. Internet è computer, è telefono, è televisione, ed è radio. Ciò che affascina del mondo di
Internet non è tanto la "navigazione" cieca e bieca, quanto la presa di coscienza di come tutti questi
mezzi si siano trasformati. Questa è cultura. Questa ibridazione, questa mescolanza dei media per
arrivare a un nuovo mezzo, rappresentano la nuova forma del “sapere” e della conoscenza. Dobbiamo
smettere di credere che la cultura sia qualcosa di estraneo a questi mezzi. Dobbiamo cominciare a
pensare che questi mezzi sono i portatori di una “nuova cultura” »[2] (Aldo Grasso)

Il www rappresenta ad oggi la possibilità realizzare a livello materiale tutto il sapere umano, e
questo attuato attraverso ogni media, consultabile sempre e ovunque. Con internet si realizza
un’onniscienza virtuale che potenzialmente potrebbe far dimenticare il cartaceo, la radio e la
televisione, così come il telefono ed il servizio postale. Ad oggi il tutto è ancora da
considerarsi in uno stato embrionale; a prescindere, la direzione sembra già delineata. In effetti
il problema fondamentale sta nel avere un mercato della conoscenza che, impunemente
nell’era del capitalismo, dà la possibilità di avere qualcosa gratuitamente. Musica, film, serie
tv e altri prodotti multimediali, il cui consumo si compie attraverso pagamento, sono
scaricabili, o meglio ancora condivisibili, ma illegalmente. La magistratura non riesce ad
intervenire in maniera decisiva sulla questione: l’eterogeneità legislativa internazionale, a
riguardo, spesso impedisce qualsiasi azione legale. Ad esempio ciò che in Italia viene
riconosciuto come reato (scaricare e/o condividere file dalla rete), in Svezia è più che
legittimo. Un’altra pratica diffusa tra i pirati della rete è lo streaming P2P, attività che permette
di visionare i contenuti senza memorizzarli nella macchina, ma diventando parte della
sorgente, in un sistema piramidale. La rete non ha confini. Capita così che Sky Italia, Telecom
e Mediaset, denunciando questi tipi di scambi, trovino difficoltà ad intervenire legalmente
contro le fonti fraudolente, visto che spesso sono collocate in paesi extraeuropei dove non si
ha influenza alcuna. Siti come coolstreaming.it e calciolibero.com, sono stati posti sotto
sequestro, perché fornivano il link diretto per ricevere il flusso di dati attraverso il peer-to-
peer. Nell’aprile del 2007 la corte di cassazione ha emesso una sentenza in base alla quale
scambiare link o informazioni in merito a contenuti legali di cui qualcuno ne detenga i diritti, è
illegale ed è reato. Internet fa nascere e morire migliaia di siti al giorno, nessuno è padrone di
niente, la pubblicità è spesso inglobata dai siti all’interno dei banner, che non detengono
quella spettacolarità delle clip televisive e vengono presi come scenografia della pagina,

47
proprio come accade per la stampa. Anche per i siti, è il numero degli utenti a stabilire il
valore economico degli spazi, tant’è che piccoli siti, potenzialmente, potrebbero sovrastare la
top ten nel giro di pochi mesi, grazie a piccole idee geniali. Due secondo me sono gli esempi
da ricordare: youtube.com e ebay.com. Uno dà la possibilità di inserire dei filmati di ogni
genere, naturalmente con divieto per certi generi, dando visibilità a chiunque. Un talent show
globale, dove si può trovare sempre dell’ottimo materiale: documentari, lezioni, video arte,
spezzoni di filmati introvabili, ma anche semplici filmati amatoriali privi di qualsiasi senso e/o
fascino. Nell’ottobre del 2006 il sito, che comunque non rendeva grossi introiti e che andrà
sicuramente incontro a problemi riguardanti il copyright, è stato acquistato dal colosso
californiano Google per la modica cifra di 1,65 miliardi di dollari. L’altro invece inizialmente
ha creato un mercato all’asta globale, al di fuori di tasse governative ed intermediari, dove
chiunque poteva vendere e comprare qualunque cosa, realizzando relazioni fra singoli e
sviluppando un mercato fondato sul valore della mutua fiducia e della comunicazione. Ad oggi
si è trasformato in uno sfogo commerciale per molti distributori e grossisti e si allarga
acquistando Skype, società che permette a 54 milioni di utenti di telefonare “via internet”,
scavalcando la tecnologia dei cavi delle compagnie telefoniche e ampliando le relazioni tra le
due comunities. Il sistema d’espansione del web si confronta ultimamente sul piano della
cosiddetta ergonomia cognitiva, materia che lavora a metà tra la psicologia dell’utente e la
funzionalità in termini di reperimento delle informazioni e della velocità di risposta da parte
del sito. Penso che sia inutile voler accennare ad un caso italiano di tale confronto tecnico
psicologico: il web non ha luogo, è ovunque e sempre. Ciò che mi preme è che comunque in
Italia questa materia non è stata ancora proposta come corso di laurea di facoltà di psicologia o
ingegneria, ma da quanto risulta esistono dei master post laurea. I siti internet, i motori di
ricerca, i blog e casi come wikipedia, restituiscono l’essenza iniziale della televisione. Vilèm
Flusser nota che il nome stesso contiene il prefisso “tele” il che avrebbe dovuto avvicinare la
tele-visione al concetto della tele-fonia. Internet non è altro che uno dei due sviluppi che la
televisione ha preso. Infatti è semplicemente uno schermo con una tastiera simile alla
macchina da scrivere, in pratica un telegrafo con uno schermo che dà la possibilità a più utenti
di essere connessi fra loro, di poter scambiare immagini, informazioni e opinioni. Dall’altra
parte abbiamo invece una simbiosi di due tecnologie (DVB-H e UMTS), che permette la
ricezione di programmi televisivi e la video-comunicazione, grazie ad un telefono portatile,
che tra l’altro dà libertà comunque di scambiare e ricevere testi e immagini. Questo modello
viene definito triple play, dando il servizio di telefonia, internet e televisione, su un unico
oggetto. Fastweb e Telecom sono i primi gestori a fornire questo tipo di servizio attraverso
48
internet. Ciò è stato possibile attraverso la digitalizzazione del segnale televisivo, che riduce lo
spazio occupato rispetto al vecchio segnale analogico, e quindi l’opportunità per nuovi
operatori d’inserirsi nel mercato. Ad oggi è ancora in fase sperimentale in due regioni italiane,
ma si prevede l’off a livello nazionale entro il 2012. Il www è sicuramente supportato da
tecnologie più avanzate o maggiormente indicate per rendere responsabili emittenti e
riceventi. Consumatori, quindi, che allo stesso tempo diventano produttori e critici del
materiale scambiato. Il materiale stesso è costantemente vigilato dall’intera comunità.
L’esempio migliore ci è dato da wikipedia, enciclopedia telematica dove i lettori sono anche
gli autori, dove ogni utente può creare nuove voci, aggiungere materiale a quelle esistenti e
addirittura correggere o aggiungere versioni alternative. Un disclaimer generale sottolinea che
nessuno si rende garante della validità delle informazioni, ma la possibilità d’intervento da
parte della comunità stessa, la garantisce in parte. Flusser parlava nel 1974 di una vera e
propria rivoluzione che porterebbe a una televisione a rete aperta, a cui partecipassero
altrettanti partner quanti sono oggi i fruitori della radiotelevisione o gli odierni fruitori delle
reti postali e telefoniche[3], mutando la struttura della società in modo fondamentale.

49
III.3 IL REGALO, L’INGANNO E L’ACCESSO AL SERVIZIO.

Le offerte, gli omaggi e gli sconti possono aiutarci a prevedere i cambiamenti culturali e
sociali che subirà la nostra società. La televisione satellitare in Italia ha potuto incrementare il
numero degli abbonati attraverso l’acquisizione dei diritti di trasmissione delle partite di calcio
del campionato mondiale 2006. Attraverso un contratto economicamente vantaggioso, con
periodi di usufrutto gratuito e incentivi per chi portava un nuovo cliente, Sky Italia si è
assicurata una fetta di utenti che ancora stentavano ad attivare il servizio. In maniera simile si
sono mossi i gestori di telefonia mobile, dove si è arrivati a regalare telefonini
tecnologicamente all’avanguardia, pur di acquisire clienti, come nel caso della H3G, sino a
fornire un computer portatile, ad un quinto del costo di mercato, se si attiva il servizio Adsl
con la Telecom. Il tormentone del canone ad esempio è un po’ più ingannevole: la società di
telecomunicazioni italiana ha da sempre richiesto il pagamento di un canone per utilizzare il
servizio di telefonia, da aggiungere ai costi di consumo. Ad oggi con le privatizzazioni, tutti
gli altri gestori pubblicizzano l’abolizione di questa spesa fissa, ma in realtà vi è solo un
passaggio di capitali, da Tiscali, Libero Adsl, Tele Due e co., alla monopolista Telecom. Di
recente Murdoch acquisisce il 90% di Casa.it attraverso un’operazione da 9,6 milioni euro.
Sky Italia controllerà il 30,6% di Casa.it. inoltre viene firmata «un’intesa con Erif Real Estate,
gruppo immobiliare del Nordovest lombardo per dotare tutte le nuove costruzioni che realizzerà Erif di
un impianto satellitare centralizzato. L’intesa prevede, inoltre, che tutte le abitazioni siano dotate del
decoder Sky di proprietà con un anno di abbonamento gratuito al pacchetto Mondo Sky»[4]. Si
conferma così qualche ipotesi sul nostro prossimo futuro. Pur di possederci, pur di fare della
nostra vita valore economico, ci vengono regalati i beni materiali, gli optional diventano di
serie, l’impossibilità di sfuggire a questo sistema è sempre più palese.

50
NOTE
[1] www.arcoiris.tv
[2] ALDO GRASSO, Storia della televisione italiana.
[3] VILÈM FLUSSER, La cultura dei media.
[4] www.key4biz.it

51
52
CONCLUSIONI

53
54
«Più che conoscere ciò che vediamo,

vediamo ciò che conosciamo»

Johann W. Goethe

Il modello audiovisivo italiano sembra chiaro: abbiamo una classe politica che vive attraverso i
media, una categoria di giornalisti e professionisti dell’informazione che dipendono
economicamente o dallo stato, o da un privato che possiede il più importante partito di centrodestra,
e una società insipiente che vive la propria realtà attraverso uno schermo. D’altro canto la stabilità
di questo sistema è minata da più fronti. Televisione satellitare, Internet ed economia globale,
stanno proponendo alcune alternative a quel monopolio massmediatico che caratterizza l’Italia,
sotto un profilo culturale ed informativo. È naturale pensare che, un po’ per caso, un po’ per
necessità, si è arrivati fino a qui. Ma oggi s’impone una crescita esponenziale, sia delle
informazioni, che delle fonti, auspicando una rete globale, che possa far relazionare ed interagire fra
loro miliardi di individui, che possono portare a conoscenza di molti un’esperienza diretta. Ancora
ci troviamo lontani da questa condizione.

In Italia certe considerazioni vengono divulgate da alcuni canali, influenzati solitamente da quella
parte della sinistra, definita estrema, che additando il consumismo per ragioni etiche, economiche e
ecologiche, sottolineano gli errori dello Stato e delle imprese private: la trasmissione Report,
condotta da «Milena Gabanelli (autrice del programma) dà spazio e tempo a tutti i freelance che lavorano
con la propria telecamera e aspirano ad un giornalismo più impegnato»[1], portando sullo schermo
un’esperienza diretta, che purtroppo subisce, come tutti gli altri, la volontà della produzione. Il
problema è che questo tipo d’informazione, passa comunque attraverso lo spettacolo, basti pensare
alla puntata In Vino Veritas andata in onda il 29 aprile del 2004 su Rai 3, servita per aprire gli occhi
allo spettatore di fronte ad una realtà celata, mentre i telegiornali gareggiavano per inserire spazi
dedicati alla cultura del vino. L’informazione si scontra con la cultura di riferimento, dopodiché
deve affrontare il disinteresse della gente. Secondo Mario Perniola però sono proprio le vecchie
strutture a voler ostacolare le nuove culture, portate avanti dalla new economy, dove la conoscenza
diventa capitale economico e strumento di potere. Dare spazio quindi a freelance, a Blob, a le Iene,
ed in parte a Striscia la notizia, ha il solo scopo di creare delle fessure controllate, dissolvendo i
contenuti informativi in un «caos comunicativo»[2]. Il centro sinistra probabilmente ha avuto intenti
simili quando all’interno della finanziaria del 2006 ha modificato l’articolo 32, che vieta di poter

55
svolgere attività d’informazione attraverso siti Internet, dovendo per forza di cose riconoscere i
diritti all’editore di riferimento, anche perché se non si è iscritti all’albo dei giornalisti non si può
svolgere nessuna attività d’informazione. Le vecchie istituzioni temono il www anche per
l’inversione di rotta che gli investimenti pubblicitari stanno avendo in quest’ultimo periodo. Mentre
la tendenza degli investimenti su radio, tv e stampa è quella di diminuire, Internet vive una
controtendenza, dovuta anche dal fatto che spesso la pubblicità sul web induce direttamente
all’acquisto e che vi è un costo nettamente inferiore rispetto agli spazi televisivi, radiofonici e
cartacei. Si sta in pratica tremando di fronte all’entropia: lo sfacelo e la fine delle cose colpirà
probabilmente anche le istituzioni massmediatiche, che comunque per sopperire a questa svolta
stanno già prendendo provvedimenti, adeguandosi. I quotidiani, che probabilmente abbandoneranno
il formato cartaceo, stanno già preannunciando edizioni esclusivamente elettroniche, e lì dovranno
scontrarsi con tutte quelle realtà di blog e siti d’informazione più o meno alternativa, che popolano
la rete. Di fatto molte notizie che tv, radio e giornali non trasmettono, si trovano spesso su Internet.
Ciò che ad esempio Enrico Mentana ha voluto dibattere all’interno di Matrix, sui dubbi riguardo gli
attentati dell’11 settembre, era già stato più che discusso e documentato su una marea di siti nei
quattro anni precedenti, e quando nell’estate del 2006 le televisioni erano impegnate con i mondiali
di calcio, crebbe il numero di visitatori di siti che approfondivano l’argomento sulla guerra in
Libano. Ciò a cui i media tradizionali tendono, è delegittimare le fonti apprese attraverso i new
media, quando queste divergono dai convincimenti diffusi, o d’altro canto, appoggiarsi proprio
sull’anonimato della fonte, per avvalorare altre tesi.

In un intervista Karl Popper, sostiene che è necessario creare un ordine di professionisti della
televisione, che possa regolamentare il lavoro e la responsabilità di questo settore nel diffondere
immagini violente: «esiste un solo metodo valido: quello della autoregolamentazione, dell'autocensura, non
della censura. Gli irresponsabili devono essere ricusati dai loro colleghi. E' un metodo perfettamente liberale
in una società retta dal diritto e non dal terrore. Ed è una cosa semplice, non ci trovo niente di complicato».
La sua teoria a mio parere cede su più fronti: in primis, pur essendo vero che divulgare certe
immagini, certe notizie è si diseducativo, ma redditizio. Vietarle non porterebbe assolutamente
cambiamenti. Secondo esiste già un ordine dei giornalisti e l’esperienza insegna che tal volta nelle
corporazioni, s’instaurano comunque gerarchie, amicizie e campanilismo. La nostra natura è tale,
l’uomo è crudele per spirito di conservazione, arrivista senza scrupoli, senza distinzioni tra
individui. Anche il più santo tra gli uomini ha raggiunto il proprio stato per carrierismo. Terza
obiezione da fare: se il 20% della popolazione mondiale abita serenamente in una civiltà
regolamentata, lo si deve esclusivamente alla violenza che riversiamo sul resto del mondo.

56
Qualsiasi economista può confermare che l’economia occidentale necessita di una quarantina di
conflitti annui; non mostrare queste immagini alla televisione che, come afferma giustamente
Popper, abituano la gente alla violenza, d’altro canto non creerebbe quella coscienza critica, che
muove una buona parte di quel movimento accusatorio che tenta per lo meno di mostrare alla massa
le ingiustizie globali. Se bisogna educare le masse, cosa che Popper propone in antitesi al volerle
informare, bisognerebbe indicare i metodi per riconoscere false testimonianze audiovisive,
bisognerebbe educare al dubbio, cosa abbastanza difficile da accettare in una società che campa di
dogmi e morale. Perché credere alle rivendicazioni di atti terroristici su siti Internet, video di
decapitazioni, interviste con volto e voce camuffate, o anche a quelle a viso scoperto dei giornalisti,
dei politici o degli esperti? L’audiovisivo in genere dà un senso di tangibilità, concretezza e
ufficialità, ma di certo è un appropriazione illecita. Anche se tutti i telegiornali, o trasmissioni come
Porta a Porta, Ballarò, Matrix, Report, le Iene o Striscia la notizia, e quant’altro, ci comunicano
dei fatti, ci rendono partecipi a discussioni tra politici ed esperti, purtroppo non consegnano allo
spazio privato l’ufficialità, ma basano piuttosto la produzione sull’ufficiosità. Per questo il dubbio
rimane un sano fenomeno per trasportarsi nell’oceano della conoscenza. È, per quanto mi riguarda,
una prevenzione utile a liberare la propria mente e a creare una distanza tra sistema dottrinale ed
esperienza, trovando nel fiasco di ogni speculazione umana, motivo di letizia.

57
NOTE
[1] www.rai.report.it

[2]MARIO PERNIOLA, Contro la comunicazione.

58
APPENDICE

59
60
Due estratti dal film Network, Quinto potere (1976) di Sidney Lumet con Peter Finch, William
Holden, Faye Dunaway, Robert Duvall

Testo 1

«In te non è rimasto niente con cui possa vivere, tu sei uno degli umanoidi di Howard, e se resto
con te verrò distrutto,[…] come tutto quello che tu e l’istituzione della televisione toccate viene
distrutto. Tu sei la televisione incarnata Diane, indifferente alla sofferenza, insensibile alla gioia,
tutta la vita si riduce ad un cumulo informe di banalità: guerre, morte e delitti, sono uguali per voi
come bottiglie di birra, e il quotidiano svolgimento della vita è solo un orribile commedia; tu
frantumi anche le sensazioni di tempo e di spazio in frazione di secondo e lunghezza di segmento,
sei la pazzia Diane, pazzia furiosa e tutto quello che tocchi, muore con te. Ma non io, non finché
potrò provare piacere, sofferenza e amore. [Lui si prepara ad uscire] Ed ecco il lieto fine: marito
ribelle si ravvede e torna dalla moglie con la quale ha stabilito un lungo e duraturo amore. Donna
giovane e senza cuore abbandonata alla sua antica solitudine. La musica aumenta trionfalmente.
Pubblicità finale. Ed ecco alcune scene del film della prossima settimana». [Lui esce , lei rimane
seduta nel silenzio, sola]

Testo 2

«Lei ha osato interferire con le forze primordiali della natura sig. Bill, ed io non lo ammetto! È
chiaro? Lei crede di aver fermato solo una trattativa d’affari, ma invece non è così. Gli arabi hanno
portato miliardi di dollari fuori da questo paese ed ora ce li devono riportare. È il flusso ed il
riflusso, l’alta e la bassa marea, è il giusto equilibrio ecologico. Lei è un vecchio che pensa in
termini di nazioni e di popoli. Non vi sono nazioni, non vi sono popoli, non vi sono russi, non vi
sono arabi, non vi sono terzi mondi, non c’è nessun Ovest. Esiste soltanto un unico, un solo sistema
di sistemi: Uno, vasto e immane, interdipendente, intrecciato, multivariato, multinazionale dominio
dei dollari. Petroldollari, elettrodollari, multidollari, reich mark, sterline, rubli, franchi […]. È il
sistema internazionale valutario che determina la totalità della vita su questo pianeta. Questo è
l’ordine naturale delle cose oggi, questa è l’atomica, è la subatomica e galattica struttura delle cose
oggigiorno. E lei ha interferito con le primordiali forze della natura, e lei dovrà espiare. Capisce

61
quello che le dico sig. Bill? Lei si mette sul suo piccolo schermo da 21 pollici e sbraita, parlando
d’America e di democrazia. Non esiste l’America, non esiste la democrazia! Esistono solo l’IBM,
ITT, TNT, DuPont, DOW, […] , EXXON. Sono queste le nazioni del mondo oggi. Di cosa crede
che parlino i russi ai loro consigli di stato, di Karl Marx? Tirano fuori diagrammi di
programmazione lineare, le teorie di decisione statistica, le probabili soluzioni, e computano i
probabili prezzi e costi delle loro transazioni e dei loro investimenti, proprio come noi. Non
viviamo più in un mondo di nazioni e d’ideologie sig. Bill, il mondo è un insieme di corporazioni,
inesorabilmente regolato dalle immutabili, spietate leggi del business. Il mondo è un business sig.
Bill. Lo è stato sin da quando l’uomo è uscito dal magma, e i nostri figli vivranno, sig. Bill, per
vedere quel mondo perfetto in cui non ci saranno né guerra, né fame, né oppressione e, né brutalità.
Una vasta ed ecumenica società finanziaria, per la quale tutti gli uomini lavoreranno per creare un
profitto comune, nella quale tutti avranno una partecipazione azionaria, e ogni necessità sarà
soddisfatta, ogni angoscia tranquillizzata, ogni noia superata e io ho scelto lei sig. Bill per predicare
questo vangelo!»

«Perché io?»

«Perché lei parla alla televisione, sciocco! Sessanta milioni di persone la ascoltano ogni sera della
settimana, dal lunedì al venerdì».

«Io ho visto il volto di Dio».

«Potrebbe anche essere vero sig. Bill».

62
Articolo estrapolato da l’Unità del 3 gennaio 2006 di Sergio Bellucci, massmediologo, saggista,
responsabile della comunicazione e della innovazione tecnologica Prc.

"Cosa dovrà essere un servizio pubblico radiotelevisivo alla fine di questo decennio?".

«Credo che questo sia il più importante interrogativo utile da sciogliere il nodo – centrale per una
democrazia compiuta – della qualità del flusso comunicativo, della sua libertà e pluralità. Bene
hanno fatto, a mio avviso, il Presidente Petruccioli e i consiglieri Curzi e Rognoni, a porre, in
questo periodo e in differenti tempi, la questione nei nuovi termini con la quale va posta e che
possono essere indagati lungo due direttrici fondamentali: quella dei nuovi bisogni comunicativi
che emergono dalla e nella società e quella delle nuove qualità della tecnica introdotte dalla
rivoluzione digitale. L’Unione deve affrontare entrambe le questioni e porre le basi per un futuro
governo innovativo della comunicazione e dell'informazione. Da un lato, infatti, la massiccia dose
di trasformazioni della comunicazione in pura merce (che spesso ha contaminato profondamente
anche le prassi dell'azienda di servizio pubblico) sembra mostrare la corda. Una sorta di
assuefazione passiva al modello della televisione commerciale serpeggia nel profondo dei
comportamenti e lascia insonni molti osservatori attenti e interessati. Basterebbe indagare,
seriamente, i comportamenti delle fasce di età fino ai 25-30 anni per capire lo stato reale delle cose.
Il modello, importato nel nostro Paese dalle televisioni del cavaliere di Arcore un quarto di secolo
fa, scricchiola paurosamente e lo stesso Berlusconi si è ormai lanciato nello spezzettamento del
pubblico, nella rincorsa alla vendita di eventi (meglio se sportivi) o di film. Sotto questa ondata,
l’intera struttura radiotelevisiva degli ultimi vent'anni oscilla paurosamente. Accanto a ciò, inoltre,
nuovi bisogni comunicativi e nuove necessità di condivisione dei contenuti prodotti, emergono
prepotentemente. Migliaia di giovani si attivano, quotidianamente e in maniera spontanea,
producendo contenuti, microfilm, inchieste, documentari e, puntualmente, non trovano le modalità
per rendere questi contenuti disponibili. Anzi, pur quando la tecnica consentirebbe loro di trovare
degli spazi, le leggi italiane (ad iniziare dalla legge Gasparri) impediscono la vita di esperienze
autoprodotte e “senza fine di lucro”, come le Telestreet. Da qui deve ripartire, a mio avviso, la
politica. Qual era la motivazione che portò alla nascita dei servizi pubblici radiotelevisivi? La
necessità di concretizzare, anche per le tecnologie radiotelevisive allora costose e ingombranti, i
diritti a comunicare e ad essere informati sanciti dalla nostra Costituzione ai cittadini. Il servizio
pubblico era quella sfera di diritti (o almeno avrebbe dovuto esserlo...). Oggi quella sfera va
ripensata a partire dalla consapevolezza che la comunicazione è un bene pubblico e, come tale,
necessita di una struttura di welfare per renderlo concretamente agibile. Questo significa nuova
missione per la RAI, la possibilità di avere risorse tecnologiche diffuse nei territori per la
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produzione di contenuti e la loro diffusione, nuove norme antitrust per rompere le concentrazioni di
risorse pubblicitarie, di frequenze, di diritti. Qui si incontra il secondo punto, quello delle
trasformazioni tecnologiche. Io credo arretrato il dibattito intorno al ripensamento della struttura
della RAI legato al numero dei canali analogici. Dall’avvento della Gasparri lo sbilanciamento
anche in questo settore, a favore del gruppo Mediaset si è acuito, ma i terreni strategici sono il
posizionamento e gli intrecci delle televisioni con i gruppi di telecomunicazione. È urgente, in
questo settore così delicato, produrre una netta separazione tra chi detiene la capacità trasmissiva e
chi produce contenuti. In altre parole, bisogna accelerare la transizione al digitale per indirizzarla, al
contrario di quanto fatto da questo governo, verso l'acquisizione del pluralismo. La RAI, allora,
deve diventare il nuovo laboratorio culturale, comunicativo, informativo e tecnologico dal quale
ripartire. Serve un progetto alto, che poggi non sugli equilibri del passato, sulle logiche clientelari e
l'intromissione delle segreterie dei partiti, ma sull’idea-forza che in pochi anni va rifondata l'idea
stessa di servizio pubblico, una rifondazione che passa si per gli adeguamenti tecnologici, ma ha il
cuore e lo spirito nella ricostruzione di un sentire comune con i bisogni di una società che cambia».

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Intercettazione del 4 maggio 2005, di una telefonata tra Salvatore Sottile, portaborse di Gianfrarnco
Fini, e Bruno Vespa conduttore della rubrica serale Porta a Porta su Rai Uno. Testo tratto da:
MARCO TRAVAGLIO, La scomparsa dei fatti.

VESPA: Pronto?

SOTTILE: Bruno? Salvatore.

VESPA: Ehi!

SOTTILE: Come è strutturata la trasmissione?

VESPA: E niente, dipende da voi.

SOTTILE: No, aspetta […]

VESPA: Gliela strutturiamo, gliela confezioniamo addosso.

SOTTILE: Che fai, fai una…una ricostruzione sui documenti che ci sono?

VESPA: No no, allora lo, ti facciamo, il Berlusconi in Parlamento.

SOTTILE: Berlusconi in Parlamento.

VESPA: Perfetto.

SOTTILE: Uhm.

VESPA: Poi i due rapporti insieme

SOTTILE: I due rapporti insieme.

VESPA: Poi un pezzo sull’inchiesta di Ionta eehh [Franco Ionta è il pm romano che indaga sul
terrorismo islamico].

SOTTILE: Un pezzo sull’inchiesta di Ionta.

VESPA: Esattamente, e basta insomma. E poi facciamo un pezzettino… niente domani viene a fare
una conferenza stampa l’avvocato di Saddam Hussein.

SOTTILE: Uhm.
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VESPA: E se a lui facesse piacere lo potremmo invitare, ma sennò facciamo un pezzettino…

SOTTILE: uhm, uhm.

VESPA: ...quello che dice nella conferenza stampa.

SOTTILE: Ma vabbè, fai un pezzettino della confere…

VESPA: Come contraddittore?

SOTTILE: Eh, eee…non so, tu chi c’hai, Fassino, chi c’hai?

VESPA: Non lo so, no, uno che, che proponevamo noi se lui non ha niente in contrario sarebbe
Rutelli.

SOTTILE: Uhm.

VESPA: Non gli va? […]

SOTTILE: Non lo so, no…n…non lo so, aspetta un attimo […]. E di altre persone chi c’è? Chi c’è
in più?

VESPA: Di alte persone ci sarebbero Mario Arpino.

SOTTILE: Mario Arpino.

VESPA: Mario Arpino, eee, Martelletti eventualmente…

SOTTILE: Martelletti, ho capito.

VESPA: E poi in collegamento Luttwak e Rula [Rula Jebreal, la giornalista palestinese di La7].

SOTTILE: Mischia!

VESPA: Ma se li volete, eh!

SOTTILE: E Ru…gente che ci va in punta di vanga[…].

VESPA: Sì, sì, sì.

SOTTILE: Sì sì, ecco. (ride)

VESPA: Sento però cenni di assenso, da parte del tuo principale.

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SOTTILE: No, non senti nessun segno di assenso […].

VESPA: (ride)

SOTTILE: Siccome sa che tu sei un pessimo giornalista.

VESPA: E che, infatti. Allora chi… allora, che facciamo, proviamo con Rutelli?

SOTTILE: Gianfranco, che dici Rutelli?

VESPA: Proviamo.

SOTTILE: Oooo, proviamo a Fassino?

VESPA: È che Fassino è venuto molto spesso, capisci? È venuto sempre lui.

SOTTILE: […] Uno vale l’altro mi ha detto.

VESPA: L’uno vale l’altro. Dabbene. Alle 18.00 va bene?

SOTTILE: Alle 18.00 ti va bene? Prima, prima, prima.

VESPA: Dimmi a che ora?

SOTTILE: Prima, eee… […] 16.30.

VESPA: 16.30.

SOTTILE: Sì.

VESPA: Benissimo, domani.

SOTTILE: Domani alle 16.30

VESPA: Aggiudicato.

SOTTILE: Vabbuò, ciao.

VESPA: Ciao, ciao.

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BIBLIOGRAFIA

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TESTI

GIANCARLO BOSETTI e MAURO BUONOCORE - a cura di, Giornali e tv negli anni di Berlusconi,
Marsilio Editori s.p.a., Venezia 2005.

GUY-ERNEST DEBORD, La società dello spettacolo, a cura di Pasquale Stanziale, Massari Editore,
2002, senza copyright. Traduzione di Pasquale Stanziale (2002). Edizione originale: Guy-Ernest
Debord, La Société du spectacle. Buchet/Chastel, Paris 1967.

VILÉM FLUSSER, La cultura dei media, Paravia Bruno Mondadori Editori. Edizione pubblicata con
l’accordo dell’agenzia letteraria Eulama, Roma 2004. Titolo originale: Medienkultur.

JEAN BAUDRILLARD, Il patto di lucidità o l’intelligenza del male, Raffaello Cortina Editore, Milano
2006. Traduzione di Alessandro Serra. Edizione originale: Jean Baudrillard, Le Pacte de lucidità ou
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ALDO GRASSO, Storia della televisione italiana, 1° edizione Garzanti Editore s.p.a., Milano 1992,
ultima edizione: Garzanti Libri s.p.a., Milano 2004. Sottotitolo: I 50 anni della televisione.

MARCO TRAVAGLIO, La scomparsa dei fatti, Gruppo Editoriale il Saggiatore s.p.a., Milano 2006.
Sottotitolo: si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni.

MARIO PERNIOLA, Contro la comunicazione, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 2004.

ALICE OXMAN, Sotto Berlusconi, Editori Riuniti di The Media Factory srl, Roma 2007.

JEAN BAUDRILLARD, Power Inferno, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003. Traduzione di
Alessandro Serra. Edizione originale: Jean Baudrillard, Power Inferno, Èditions Galilée, Paris 2002.

ZYGMUNT BAUMAN, La società dell’incertezza, Società Editrice il Mulino, Bologna 1999.


Traduzione di Roberto Marchisio e Savina Neirotti.

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SITOGRAFIA

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