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45%
ISSN: 2036-6779
Art 2 comma 20/B - Legge 662/96
Filiale P.T. di Varese. Reg. trib di Milano n. 3 del 14/01/1995
Periodico trimestrale - Euro 30,00
n. 1 Anno 2009
Sommario
Prestazione di servizi
«non di revisione»: informativa
di bilancio e indipendenza
del revisore
di Giuseppe Ianniello
La comunicazione economico-
finanziaria delle P.M.I.
secondo i professionisti contabili.
Un’indagine empirica
di Rosa Vinciguerra e Nadia Cipullo
Sommario
5 Editoriale
di Alberto Quagli
39 La comunicazione economico-finanziaria
delle P.M.I. secondo i professionisti
contabili. Un’indagine empirica
di Rosa Vinciguerra e Nadia Cipullo
79 Rubriche
Audit e professioni contabili
a cura di Alessandro Gaetano
88 Book Review
di Roberto Di Pietra
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Numero 1 - I trimestre 2009
coordinatore scientifico
Alberto Quagli Università di Genova
comitato scientifico
David Alexander The Birmingham Business School
Paolo Andrei Università di Parma
Roberto Di Pietra Università di Siena
Alessandro Gaetano Università di Roma Tor Vergata
Francesco Giunta Università di Firenze
Christopher Nobes Royal Holloway University of London
Tiziano Onesti Università di Roma Tre
Michele Pizzo Seconda Università di Napoli
Alberto Quagli Università di Genova
Ugo Sòstero Università Cà Foscari di Venezia
Claudio Teodori Università di Brescia
Alfredo Viganò Università Bocconi di Milano
Stefano Zambon Università di Ferrara
Direttore responsabile Stampa Spedizione in abb. Postale 45% - art. 2 comma 20/B - Legge 662/96 Autorizzazione
Rita Palumbo Grafica Olona sas filiale p.t. di Varese - Reg. tribunale di Milano n.3 del 14/01/1995 Periodico Trimestrale
Responsabile editoriale IFAF Editore L’abbonamento decorre dal mese di gennaio di ciascun anno. L’abbonamento oltre il
Fabio Lampugnani IFAF BS srl mese di gennaio comporta l’invio degli arretrati. Abbonamento 2009 (4 fascicoli) Italia:
Coordinamento redazionale Largo Schuster, 1 € 115,00 Estero: € 195,00. Numeri arretrati: € 36,00 cad.
Rari Comunicazione 20122 Milano Le richieste vanno indirizzate a: IFAF BS srl Largo I. Schuster, 1 - 20122 Milano
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assegno bancario o circolare non trasferibile intestato a IFAF BS srl, oppure ricevuta
ifaf@raricomunicazione.it di versamento sul c/c postale n. 91684274 intestato a IFAF BS srl.
Progetto grafico I numeri mancanti devono essere richiesti entro 6 mesi dalla data di pubblicazione
Rari Comunicazione (fine trimestre solare).
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Da Revisione Contabile
a Financial Reporting:
un cambiamento sostanziale
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Editoriale
Ringraziamenti ai referees
I referees sono le persone che lavorano dietro le quinte, ma che rappre-
sentano a pieno titolo l’asse portante di una rivista. Già da questo primo
numero hanno interpretato il loro ruolo nel modo migliore, svolgendo la
doppia review. Le schede di referaggio e tutto il materiale attinente al
processo di review sono a disposizione della Presidenza Aidea.
Risposta dell’Editore
Il lavoro dell’Editore è offrire spazi alle idee innovative e ai progetti qua-
lificati, affinché le idee circolino e i progetti cambino il mondo. Nel suo
piccolo, Financial Reporting va proprio in questa direzione. Siamo orgo-
gliosi di sostenere questa nuova avventura scientifica di un importante
gruppo di studiosi italiani. E ci auguriamo di essere in grado presto di
allargare la famiglia delle riviste professionali e scientifiche che dimostra-
no la vitalità della ricerca e la qualità della professionalità italiana.
Fabio Lampugnani
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Prestazione di servizi
«non di revisione»: informativa
di bilancio e indipendenza del revisore
di Giuseppe Ianniello – Università della Tuscia di Viterbo
Abstract
In Italy, as in the international context, recently, new set of rules have
been adopted in order to protect auditor independence that is funda-
mental to add credibility to published annual reports. This paper, after
exploring recent regulatory reforms in Italy, analyzes the first time appli-
cation of mandatory disclosure in annual reports of audit and non-audit
fees. This information can give to the readers of the financial statements
an indication of the auditor independence (in appearance). An empirical
analysis is conducted on the year 2007 annual reports of 83 Italian listed
companies with higher capitalization. The main research objectives are:
(1) to provide a comprehensive description of the relative level of non-
audit fees; (2) to investigate the relation between non-audit services
and the opinion issued by the auditor. In addition, we illustrate some
communicational formats used by the companies to disclose audit and
non-audit fees. The evidence shows that the average ratio of non-audit
fees (further assurance services, tax advisory services, other non-audit
services) to total auditor remuneration is 0.274 (or 37.7% of audit fees).
In particular, there are 15 companies (18.1%) which paid their auditor
more for non-audit services than for audit services; excluding further
assurance services, still there are 7 cases (8.4%) with the ratio of non-
audit fees higher than 0.50. In our sample we observed one qualified
opinion and eighty-two unqualified opinions, as a consequence, we
could not test the second research objective. However the study’s re-
sults show that there is a positive association between the emphasis of
matter paragraph in the auditor’s report and non-audit service provision.
This finding cannot be interpreted as a clear indication of compromised
auditor independence, opening the space to further empirical studies
on the use of emphasis of matter paragraph in the auditor’s report.
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Servizi «non di revisione»
1. Introduzione
La questione riguardante la compatibilità dell’attività di revisione conta-
bile con la prestazione di consulenza nei confronti dello stesso soggetto
revisionato è sicuramente tra i temi che da qualche tempo interessano il
dibattito sull’efficacia e il ruolo svolto dal controllo legale dei conti. In par-
ticolare, tale tema è legato anche all’analisi dell’indipendenza del revisore.
Su quest’ultimo aspetto, la dottrina e la prassi hanno offerto diverse inter-
pretazioni inevitabilmente legate allo scenario economico, sociale e cultu-
rale di riferimento. Una delle prime classificazioni proposte a livello interna-
zionale riguarda la distinzione tra l’indipendenza apparente e reale (Mautz
e Sharaf, 1961). La prima fa riferimento all’immagine che il pubblico ha dei
revisori considerati come gruppo professionale. La seconda fa riferimento
al singolo che, come in altre professioni, dovrebbe esprimere opinioni in
modo autonomo senza la pressione del cliente o di altri soggetti. Sul piano
generale della percezione del ruolo dei revisori contabili in un determinato
contesto socio-economico, assumono rilievo anche i mezzi di comunica-
zione di massa, le opinioni espresse su giornali o riviste. La questione di
fondo riguarda la funzione del controllo contabile percepita come “servizio
pubblico” oppure come “attività imprenditoriale”1.
Un’altra interpretazione del carattere dell’indipendenza, prevalente nei
principi di revisione internazionale e ripresa anche in Italia, sostiene,
con implicito riferimento al “singolo”, che “l’indipendenza” comporta
due diversi profili:
a. “Indipendenza mentale”, da intendersi come l’atteggiamento intel-
lettuale del Revisore nel considerare solo gli elementi rilevanti per
l’esercizio del suo incarico escludendo ogni fattore estraneo.
b. “Indipendenza formale”, da intendersi come la condizione oggettiva
in base alla quale il Revisore sia riconosciuto indipendente, vale a
dire il fatto che il Revisore non debba essere associato a situazioni
o circostanze che siano di rilevanza tale da indurre un Terzo Ragio-
nevole e Informato a mettere in dubbio le capacità del Revisore di
svolgere l’incarico in modo obiettivo (Cspr 2005, §4.2.)2.
1
Ad esempio, Neu e Green (2006) mostrano l’evoluzione di tale duplice profilo nella professione
contabile canadese, analizzando gli editoriali della rivista Canadian Chartered Accountant.
2
Ifac (2006: § 290.8) stabilisce che «independence requires:
Independence of Mind
The state of mind that permits the expression of a conclusion without being affected by influ-
ences that compromise professional judgment, allowing an individual to act with integrity, and
exercise objectivity and professional skepticism.
Independence in Appearance
The avoidance of facts and circumstances that are so significant that a reasonable and in-
formed third party, having knowledge of all relevant information, including safeguards applied,
would reasonably conclude a firm’s, or a member of the assurance team’s, integrity, objectiv-
ity or professional skepticism had been compromised».
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Servizi «non di revisione»
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Servizi «non di revisione»
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Sulle tipologie di giudizio nel contesto italiano, cfr., oltre all’art. 156 del D.Lgs. n. 58/1998,
la Comunicazione Consob n. 99088450 del 1 dicembre 1999, mentre per l’espressione in
lingua inglese dei giudizi, cfr., ad esempio, International Standard on Auditing (ISA) 700 e
701. In sintesi, possiamo avere: giudizio senza rilievi (unqualified opinion), giudizio con rilievi
(qualified opinion), impossibilità di esprimere un giudizio (disclaimer of opinion), giudizio nega-
tivo (adverse opinion). Inoltre, senza impatto sul giudizio espresso, è possibile formulare un
richiamo di informativa o paragrafo d’enfasi (emphasis of matter paragraph).
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Servizi «non di revisione»
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«… there has been growing concern on the part of the Commission and users of financial
statements about the effects on independence when auditors provide both audit and non-audit
services to their audit clients. Dramatic changes in the accounting profession and the types of
services that auditors are providing to their audit clients, as well as increases in the absolute and
relative size of the fees charged for non-audit services, have exacerbated these concerns. As
the Panel on Audit Effectiveness (the “O’Malley Panel”) recently recognized, “The potential effect
of non-audit services on auditor objectivity has long been an area of concern. That concern has
been compounded in recent years by significant increases in the amounts of non-audit services
provided by audit firms.” We considered a full range of alternatives to address these concerns.
Our proposed amendments identified certain non-audit services that, when rendered to an audit
client, impair auditor independence. The proposed restrictions on non-audit services generated
more comments than any other aspect of the proposals», Sec (2000, Executive Summary).
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Ricordiamo, per la rilevanza sulla cultura contabile internazionale, una ricerca promossa
nel 1978 dall’American Institute of Certified Public Accountants (AICPA) in cui si afferma che
«There is no evidence that provision of services other than auditing has actually impaired the
independence of auditors. However, the belief of a significant minority of users that independ-
ence is impaired creates a major problem for the profession. Decisions on the other services
offered and used should be made by individual public accounting firms and boards of direc-
tors of the client», Olson (1982, 215).
6
In una lettera inviata al presidente della Sec Arthur Levitt «… dated April 17, 2000, from the
House Commerce Committee, the signatories (Tauzin, Oxley, and Bliley) threatened hearings
on the SEC proposal if they didn’t get satisfactory answers to a list of 15 multipart, complex
questions such as this one, No. 2: “What empirical evidence, studies or economic analysis
does the SEC possess that demonstrates accounting firms providing tax advice to audit
clients are less independent than those firms that do not provide such advice? Are there any
specific administrative findings that have concluded the provision of tax advice resulted in a
specific audit failure by the same firm?”», Toffler e Reingold (2004, 177-178).
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In merito al controllo delle informazioni contabili nel contesto italiano, cfr., tra gli altri, Bruni (1996),
Campedelli (1996), Catturi (2000), Cavalieri (1999), Coda (1979), Dezzani, Pisoni, Puddu, Cantino
(1998), Di Pietra (2005), Paolone, D’Amico, Consorti (2000), Rossi, Gervasio (2009).
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Servizi «non di revisione»
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Ad esempio, si è sostenuto che «l’indipendenza è un atteggiamento morale e di onestà
intellettuale da mantenersi in ogni momento del procedimento della certificazione, atteggia-
mento che può evidentemente esserci o non esserci a prescindere dalle circostanze in cui
uno opera», auspicando un’attenuazione delle «incompatibilità di carattere generale tra re-
visione ed altre attività professionali», R. Caramel, L’indipendenza del certificatore, Prisma,
luglio-sett., 1986, citato in Pauletto (1990, 122).
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Servizi «non di revisione»
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«A distinction should be made within these economies of scope between those that origi-
nate in the transformation process directed toward the production of information and knowl-
edge, often known in accounting literature as knowledge spillovers, and those arising from
making better use of assets or advantages of a contractual nature», Arrunada (1999, 514).
10
Ad esempio, con riferimento al collegio sindacale, è stato scritto che «nella realtà aziendale
i sindaci sono espressi, come è noto, dall’Assemblea dei soci. Hanno infatti la stessa matrice
degli amministratori, dai quali, in molti casi, finiscono per dipendere. Sono quindi dei control-
lori dipendenti. Non hanno cioè quel “distacco” dai responsabili della gestione che il controllo
(amministrativo) richiede, né hanno quella “autonomia” di esercizio di funzione che solo un
diverso meccanismo di nomina può garantire» (Bertini 1996, 13). Lo stesso Autore propone
che il controllo legale dei conti «potrebbe essere affidato a “controllori indipendenti” di nomina
pubblica, completamente svincolati dalla proprietà dell’azienda», (Bertini 1996, 16).
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Servizi «non di revisione»
incarichi che hanno una lunga durata, come può accadere per un lavoro
dipendente, possono trasformare un fornitore di servizi in un elemento
che è in qualche modo parte (integrante) dell’attività aziendale. Anche
l’assegnazione di incarichi aggiuntivi può determinare una forma di in-
tegrazione del revisore in qualche aspetto dell’attività aziendale. In tal
modo, la funzione di revisione si sposterebbe dal mercato verso l’azien-
da, perdendo in modo naturale il principio di indipendenza, ma riducen-
do i costi di transazione (Ianniello 2003: 166-168) e venendo ridefinita
nel suo contenuto (Jeppesen 1998). È evidente che tale situazione non
è accettabile; tuttavia, la difficoltà di misurazione dell’indipendenza e,
quindi, dell’efficacia della funzione del controllo contabile finiscono per
caratterizzare quella medesima funzione come essenzialmente oscura
(the essential obscurity) (Power 1997).
Nonostante l’assenza di concomitanti evidenze empiriche a supporto
dell’idea che la prestazione di servizi non di revisione determini la per-
dita d’indipendenza del revisore, il “senso comune” potrebbe suggerire
che quei servizi minino la “percezione” dell’indipendenza del revisore
da parte di terzi11. Su tale tema, un’altra prospettiva d’indagine tende a
dimostrare che gli utilizzatori del bilancio percepiscono la prestazione
di servizi non di revisione come influente negativamente sull’indipen-
denza del revisore (Beattie, Brandt e Fearnley 1999; Krishnan, Sami e
Zhang 2005). Un’evidenza simile è contenuta in Mishra, Raghunandan e
Rama (2005) con particolare riferimento alla prestazione di consulenza
fiscale e altri servizi non di revisione. Altri contributi evidenziano che
la pubblicazione dei corrispettivi per servizi non di revisione potrebbe
avere anche conseguenze negative, generando valutazioni inaccurate
da parte degli investitori sull’indipendenza del revisore (Dopuch, King e
Schwartz 2003). L’influenza della prestazione di servizi non di revisione
sulla percezione dell’indipendenza del revisore può avere effetti anche
sugli organi di controllo interni (audit committee) nel senso di determi-
nare pareri sfavorevoli in merito all’acquisto di servizi non di revisio-
ne quando queste informazioni devono essere comunicate nei bilanci
aziendali (Gaynor, McDaniel e Neal 2006).
Nell’ambito dell’articolato dibattito appena riportato, è opportuno sot-
tolineare l’idea che comunque il revisore non debba essere coinvolto
nel processo decisionale dell’azienda di cui controlla il bilancio. Per
raggiungere tale scopo, si sostiene che si deve dare all’organismo
11
Ad esempio, Bogle (2005:39) ricorda un episodio relativo ad un’audizione tenuta nel 1998
presso la Sec negli Stati Uniti sulla questione relativa alla prestazione di servizi di revisione e di
consulenza a favore della stessa azienda, scrivendo: «… I was challenged to find a “smoking
gun” in the form of data that linked the provision of consulting services to audit failures. I could
only respond, “sometimes statistics cannot prove what common sense make obvious”».
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Servizi «non di revisione»
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Cspr (2005, §5.7.) prevede che «… In occasione della prestazione di servizi di consulenza
o assistenza da parte del Revisore o di un soggetto appartenente alla sua Rete, questi ultimi
devono fornire all’Alta Direzione Aziendale del Soggetto Sottoposto a Revisione o di una sua
Consociata la possibilità di scegliere tra più alternative ragionevoli.
Tutto ciò al fine di evitare qualunque coinvolgimento del Revisore nel processo decisionale
dell’Alta Direzione Aziendale del Soggetto Sottoposto a Revisione o di una sua Consociata.
In tale ambito, il Revisore o il soggetto appartenente alla sua Rete possono formulare rac-
comandazioni al Soggetto Sottoposto a Revisione o alla sua Consociata. Queste racco-
mandazioni devono in ogni caso essere motivate con analisi obiettive e trasparenti affinché
il Soggetto Sottoposto a Revisione o la sua Consociata possa valutare tali raccomandazioni
prima di assumere la propria decisione».
13
Si ricorda che Enron nel 2000 ha acquisito servizi di revisione contabile per $ 25 milioni e servizi
“non di revisione” per $ 27 milioni dalla società di revisione Arthur Andersen (Hirsch 2002).
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Servizi «non di revisione»
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Si ricorda anche il requisito di «indipendenza, organizzazione e idoneità tecnica» della
società di revisione, in merito al quale la stessa Consob, nella Relazione del 1980 ha affer-
mato che è stata «particolarmente impegnativa … la valutazione globale di merito in ordine
all’indipendenza, organizzazione e idoneità tecnica delle società, una volta completato l’ac-
certamento dell’esistenza dei requisiti di legge. … In qualche caso si è ritenuto di chiedere
ad amministratori o soci la rinuncia a particolari incarichi che destavano perplessità sotto il
profilo della valutazione dell’indipendenza; come pure la rimozione di inconciliabili situazioni di
collegamento tra società di revisione ed altre società», citato in Fortunato (1985, 39-40).
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Tabella 1: INTERVENTI DELLA CONSOB IN MERITO AGLI «INCARICHI AGGIUNTIVI» RISPETTO ALLA REVISIONE CONTABILE
Provvedimento della Consob Contenuto rilevante in merito agli «incarichi aggiuntivi» rispetto alla revisione contabile
Si invitano le società conferenti l’incarico di revisione contabile a non avvalersi della consulenza
Comunicazione
di organismi, società, studi associati o singoli professionisti che intrattengono un rapporto di
n. 87/01002
fatto a carattere continuativo, mediante le prestazioni di consulenze e collaborazioni con le
del 23 gennaio 1987
società di revisione alle quali sia stato conferito l’incarico di certificazione.
Al punto D.3.2 si invitano le società conferenti l’incarico di revisione contabile a non avvalersi
Comunicazione
della consulenza di organismi, società, studi associati o singoli professionisti che intrattengono
n. Dac/Rm/96003558
un rapporto di fatto a carattere continuativo, mediante le prestazioni di consulenze e
del 18 aprile 1996
collaborazioni con le società di revisione alle quali sia stato conferito l’incarico di certificazione.
Comunicazione
n. Dem/1025564
È previsto che la relazione del collegio sindacale fornisca informazioni in merito a:
del 6 aprile 2001
- Ulteriori incarichi conferiti al revisore e relativi costi;
Comunicazione
- Ulteriori incarichi conferiti a società legate al revisore da rapporti continuativi e relativi costi.
n. Dem/3021582
del 4 aprile 2003
Si conferma che la contestuale prestazione nei confronti dello stesso soggetto di servizi
Comunicazione
professionali di auditing e di altra natura da parte della società di revisione incaricata e dei
n. Dem/3030464
soggetti ad essa legati, costituisce un elemento pregiudizievole dell’indipendenza della
del 12 maggio 2003
società di revisione stessa.
Comunicazione n. 15185 Abroga il punto D.3.2 della Comunicazione n. 96003558 del 18 aprile 1996 ed adotta il
del 5 ottobre 2005 documento “principi di indipendenza del revisore” (Cspr, 2005).
Comunicazione È previsto che nella relazione dell’organo di controllo si forniscano informazioni in merito a:
n. Dem/6031329 - Eventuali ulteriori incarichi conferiti al revisore e alla sua “rete”;
del 7 aprile 2006 - Eventuali criticità ed iniziative intraprese per salvaguardare l’indipendenza del revisore.
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Servizi «non di revisione»
Il già menzionato art. 160 del Tuf stabilisce il divieto rivolto alla società
di revisione e alla sua rete di prestare alcuni servizi nei confronti delle
aziende in cui hanno assunto l’incarico di controllare il bilancio. Ripor-
tiamo di seguito l’elenco delle prestazioni che, nell’interpretazione del
legislatore, minano l’indipendenza del revisore:
a) Tenuta dei libri contabili e altri servizi relativi alle registrazioni conta-
bili o alle relazioni di bilancio
b) Progettazione e realizzazione dei sistemi informativi contabili
c) Servizi di valutazione e stima ed emissione di pareri pro veritate
d) Servizi attuariali
e) Gestione esterna dei servizi di controllo interno
f) Consulenza e servizi in materia di organizzazione aziendale diretti
alla selezione, formazione e gestione del personale
g) Intermediazione di titoli, consulenza per l’investimento o servizi ban-
cari d’investimento
h) Prestazione di difesa giudiziale
i) Altri servizi e attività, anche di consulenza, inclusa quella legale, non
collegati alla revisione, individuati dalla Consob con un regolamento.
Tale elenco segna un passo importante nell’incerto processo interpre-
tativo delineato precedentemente, riducendo, in tal modo, il grado di
«plasticità» nella definizione delle attività non erogabili accanto al servi-
zio del controllo legale dei conti.
È opportuno segnalare che l’elenco delle attività vietate è ispirato da
un’analoga disposizione statunitense contenuta nel Sarbanes-Oxley
Act del 200218. A tale proposito, si ricorda che negli Stati Uniti l’obbligo
di fornire informazioni sui compensi per prestazioni di servizi non di re-
visione è sostanzialmente riconducibile ad un intervento regolamentare
della Securities and Exchange Commission del 2000 (Sec 2000)19.
18
La section 201 (Services outside the scope of practice of auditors) del Sarbanes-Oxley Act
riporta il seguente elenco di attività vietate:
(1) Bookkeeping or other services related to the accounting records or financial statements
of the audit client
(2) Financial information systems design and implementation
(3) Appraisal or valuation services, fairness opinions, or contribution-in-kind reports
(4) Actuarial services
(5) Internal audit outsourcing services
(6) Management functions or human resources
(7) Broker or dealer, investment adviser, or investment banking services
(8) Legal services and expert services unrelated to the audit, and
(9) Any other service that the Board determines, by regulation, is impermissible.
19
Un primo obbligo informativo in tal senso è stato introdotto dalla Sec nel 1978 con l’Ac-
counting Series Release (ARS) 250 ed è rimasto in vigore fino al 1982. Con l’ARS 250 viene
proposto anche il calcolo di un indice relativo al peso dei servizi diversi dalla revisione sul
totale dei corrispettivi. Si nota, inoltre, che l’obbligo informativo sui corrispettivi per servizi di
revisione e non di revisione è stato introdotto in Australia nel 1972 e in UK nel 1992.
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Servizi «non di revisione»
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Servizi «non di revisione»
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Ad esempio, nella Relazione e Bilancio di Esercizio di Enel 2007 (p. 155) è scritto che:
«In aggiunta al divieto relativo alla prestazione di specifiche tipologie di servizi, imposto alle
società di revisione dal Testo Unico della Finanza (con previsioni introdotte alla fine del 2005),
già da tempo il codice etico del Gruppo sancisce l’incompatibilità della revisione contabile del
bilancio della Società e del bilancio consolidato con lo svolgimento di attività di consulenza
prestata in favore di qualsiasi società del Gruppo, estendendosi tale incompatibilità all’intero
network della società di revisione».
21
Mainardi (2004: 148) osserva che «la possibilità di nominare, per la redazione della rela-
zione sulla congruità del rapporto di cambio, la stessa società di revisione incaricata della
revisione del bilancio prospetta un potenziale rischio di auto-revisione (c.d. self review). Infatti,
il revisore si potrebbe trovare, nello svolgimento delle procedure di revisione del bilancio, a
dover attuare verifiche sull’oggetto stesso del proprio lavoro, ingenerando così una situazione
in cui sarebbe difficile rimanere obiettivo».
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Servizi «non di revisione»
I corrispettivi per gli altri servizi diversi dalla revisione vanno ulteriormente
suddivisi per sottocategorie finché le voci comprese in una di esse diffe-
riscono sostanzialmente tra loro. Questa suddivisione in sottocategorie
deve almeno fornire informazioni sui corrispettivi per la fornitura di servizi
relativi ai sistemi informativi-contabili-amministrativi-finanziari, al servi-
zio di revisione interna, alla valutazione, all’assistenza nella risoluzione
di controversie e alla ricerca di personale. Per ogni voce nell’ambito di
una (sotto)categoria va indicato anche l’importo registrato alla voce corri-
spondente per il periodo di riferimento precedente. Inoltre, va presentata
una ripartizione in percentuale delle diverse (sotto)categorie.
Nel caso della revisione legale di un bilancio consolidato, vanno pub-
blicizzati i corrispettivi percepiti dal revisore legale e dagli appartenenti
alla stessa rete per i servizi prestati al cliente e alle sue entità comprese
nel consolidamento.
Nel documento elaborato dalla professione contabile italiana (Cspr
2005), naturalmente ispirato dalla Raccomandazione europea del 2002,
con il termine “Revisione” si intendono:
i) I Servizi di Revisione che comprendono:
a) L’attività di controllo dei conti annuali delle imprese, finalizzata
all’espressione di un giudizio professionale.
b) L’attività di controllo dei conti consolidati di un insieme di imprese,
anch’essa finalizzata all’espressione di un giudizio professionale.
c) L’attività di controllo dei conti infrannuali di un’impresa o di un
insieme di imprese.
ii) I Servizi di Attestazione richiesti dalla legge e da regolamenti o effet-
tuati su base volontaria, aventi ad oggetto informazioni diverse da
quelle di cui ai precedenti punti a), b) e c). Per Servizi di Attestazione
si intendono gli incarichi con cui il Revisore valuta uno specifico ele-
26
Servizi «non di revisione»
Nell’ambito di ogni categoria per ogni voce deve essere indicato anche
l’importo registrato alla voce corrispondente per il periodo di riferimento
precedente. Inoltre, va presentata una ripartizione in percentuale dei
corrispettivi suddivisi tra le diverse categorie22.
Quanto previsto nei documenti citati in precedenza (Ce 2002; Cspr 2005)
non tiene conto dei cambiamenti apportati dalla legge 262/2005 e con-
seguenti regolamenti Consob. Tuttavia, la classificazione di tipo generale
risulta compatibile con il nuovo quadro giuridico. In effetti, anche l’As-
sociazione Italiana Revisori Contabili (Assirevi 2008), per adempiere alla
richiesta dell’art. 149-duodecies del Regolamento Emittenti, suggerisce
un prospetto che prevede la seguente classificazione dei servizi:
■ Revisione contabile
■ Servizi di attestazione
■ Servizi di consulenza fiscale
■ Altri (da dettagliare)
22
A solo titolo esemplificativo, Cspr (2005, §5.7.2.) riporta una serie di servizi diversi dalla
revisione con considerazioni circa la valutazione della significatività della minaccia all’indipen-
denza del revisore:
- Predisposizione delle registrazioni contabili e predisposizione del bilancio
- Progettazione e realizzazione di sistemi informativi-contabili-amministrativi-finanziari
- Servizi di valutazione
- Partecipazione alla revisione interna del soggetto sottoposto a revisione
- Attività di patrocinatore legale e consulente tecnico di parte
- Prestazione di servizi di ricerca di personale dell’alta direzione aziendale.
23
A titolo comparativo si ricorda che la Sec (2003) richiede alle società quotate di distinguere
quattro categorie di compensi: audit fees, audit-related fees, tax fees e other fees.
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Servizi «non di revisione»
5. Verifica empirica
Nei bilanci del 2007 si manifesta sostanzialmente il primo adempimen-
to all’obbligo di pubblicare informazioni sui compensi per incarichi di
revisione contabile e per servizi diversi dalla revisione affidati alla me-
desima società di revisione, secondo quanto previsto dall’art. 149-duo-
decies del Regolamento Emittenti della Consob. Il campione esaminato
è costituito da tutte le società italiane quotate nel segmento blue chip
alla data del 31 dicembre 2007. Il numero degli organismi aziendali è
risultato pari a 8325. La scelta è stata motivata dalla considerazione che
le aziende di maggiori dimensioni quotate in borsa costituiscono un
punto di riferimento nell’evoluzione della comunicazione contabile, ma
anche per la loro rilevanza economica nella raccolta di prime evidenze
empiriche sul fenomeno oggetto di indagine.
Dal punto di vista delle modalità utilizzate per comunicare i corrispettivi
per la revisione contabile e per servizi diversi dalla revisione, la Tabella 2
evidenzia che la quasi totalità delle aziende (95,2%) utilizza un prospet-
to nell’ambito di uno specifico paragrafo della nota integrativa o come
allegato (50,6% + 42,2%). Complessivamente le informazioni vengono
fornite sia nel Bilancio di esercizio che nel Bilancio consolidato (66,3%)
oppure, nel rispetto della lettera della norma, solo nel Bilancio di eser-
cizio (27,7%); in quest’ultimo caso vengono comunque elaborati i dati
relativi alla capogruppo ed all’integro gruppo aziendale. Il suggerimento
derivante da tale osservazione è di ampliare la prassi (già prevalente)
di presentare tali informazioni sia nel bilancio di esercizio che in quel-
lo consolidato. Si segnala la sostanziale assenza di una ripartizione in
termini percentuali tra i diversi tipi di servizi, contrariamente al sugge-
rimento espositivo contenuto in Ce (2002) e Cspr (2005). La presente
indagine non si è soffermata analiticamente sulla tipologia di prospetto
utilizzata, ma tranne poche eccezioni, la forma della tabella utilizzata è
sostanzialmente riconducibile a quella proposta da Assirevi (2008).
24
Si nota che le informazioni disponibili nei bilanci non hanno permesso di «depurare» in
modo analitico e sistematico dai “servizi non di revisione” quelli in qualche modo “obbligati”
da quelli derivanti da una scelta volontaria.
25
Le aziende del campione operano nei seguenti settori: alimentari (2), assicurazioni (7),
auto (2), banche (16), chimici (3), costruzioni (4), elettronici, elettromeccanici (4), finanziarie
di partecipazione (5), immobiliari (4), impianti e macchine (1), media (6), minerali, metallurgici,
petroliferi (3), servizi di pubblica utilità (13), servizi diversi (1), servizi finanziari (1), tessile, abbi-
gliamento, accessori (6), trasporti, turismo (5).
28
Servizi «non di revisione»
N. %
26
Ad esempio, la procedura di gruppo per il conferimento di incarichi a società di revisione
seguita da Fiat S.p.A. – Allegato alla Relazione sulla corporate governance (febbraio 2008),
disponibile su www.fiatgroup.com
29
Servizi «non di revisione»
Tabella 3 - CORRISPETTIVI PER LA REVISIONE CONTABILE E PER SERVIZI DIVERSI DALLA REVISIONE (STATISTICA DESCRITTIVA)
Sezione A (N = 83)
Indice medio
Minimo Massimo Media 1° Quartile 2° Quartile 3° Quartile
dei corrispettivi
Revisione
103.700 25.816.000 2.443.828 0,726 514.000 1.013.000 2.079.000
contabile
Servizi
0 4.000.000 324.466 0,101 3.142 55.000 251.600
di attestazione
Consulenza
0 822.000 42.850 0,013 0 0 17.073
fiscale
Sezione B (N = vari)
30
Servizi «non di revisione»
Tabella 4 - DISTRIBUZIONE DELL’INDICE DEI CORRISPETTIVI PER SERVIZI DIVERSI DALLA REVISIONE
27
Le società di revisione sono tutte appartenenti al gruppo delle cosiddette «big four»; si
riporta di seguito la distribuzione degli incarichi (numero e percentuale) nell’ambito del cam-
pione esaminato: Deloitte & Touche S.p.A. (21, 25%), Kpmg S.p.A. (13, 16%), Pricewate-
rhouseCoopers S.p.A. (24, 29%), Reconta Ernst & Young S.p.A. (25, 30%).
31
Servizi «non di revisione»
28
È stato utilizzato il Test esatto di Fischer, in quanto nella tabella di contingenza ci sono
valori attesi inferiore a 5, situazione che non rende significativamente applicabile il Test del
chi-quadrato.
29
Si nota che nella versione dell’art. 156 del Tuf modificata dal D.Lgs. n. 32/2007 si è espli-
citato che, oltre al giudizio sul bilancio, la relazione del revisore comprende «eventuali richiami
di informativa che il revisore sottopone all’attenzione dei destinatari del bilancio, senza che
essi costituiscano rilievi».
32
Servizi «non di revisione»
Tabella 5 – ASSOCIAZIONE TRA INDICE DEI CORRISPETTIVI PER SERVIZI DIVERSI DALLA REVISIONE E GIUDIZIO
ESPRESSO DALLA SOCIETÀ DI REVISIONE
5. Conclusioni
La ricerca condotta ha mostrato che in Italia, nonostante l’esclusività del-
l’oggetto sociale delle società di revisione, si sono posti problemi inter-
pretativi e regolamentari in merito alla coesistenza di servizi di consulenza
accanto all’attività di revisione contabile. Gli scandali finanziari succedutisi
a partire dal 2001 negli Stati Uniti e in Europa, hanno stimolato interventi re-
golamentari sulla questione dei servizi aggiuntivi. In Italia, oltre al divieto di
alcune attività esplicitamente elencate, uno strumento di controllo è stato
individuato nella pubblicità dei corrispettivi dovuti al revisore per il controllo
dei conti e per servizi diversi dalla revisione. Le prime evidenze raccol-
te sui bilanci di esercizio e consolidati 2007 delle società italiane quotate
a maggiore capitalizzazione, mostrano che la quasi totalità delle aziende
utilizzano un prospetto nell’ambito di uno specifico paragrafo della nota
integrativa o come allegato. Un miglioramento espositivo potrebbe otte-
nersi dalla ripartizione in termini percentuali tra i diversi tipi di servizi e dalla
presentazione di dati comparativi relativi all’anno precedente.
Dal punto di vista quantitativo, il dato medio relativo al campione esami-
nato mette in evidenza un indice dei compensi per servizi non di revisio-
ne (servizi di attestazione, consulenza fiscale, altri servizi) pari a 0,274
(ovvero 37,7% del compenso per attività di revisione contabile). Anche
se non esistono delle soglie di valore generalmente ritenute accettabili
al fine di salvaguardare la percezione di indipendenza, si può ritenere
che tale valore non presenti elementi di criticità, pur essendo superiore
a 0,20 (ovvero 25% dei corrispettivi per revisione contabile) assunto
come valore soglia di attenzione in alcune prassi aziendali. L’analisi in
33
Servizi «non di revisione»
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Servizi «non di revisione»
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La comunicazione economico-finanziaria
delle P.M.I. secondo i professionisti
contabili. Un’indagine empirica
di Rosa Vinciguerra e Nadia Cipullo – Seconda Università degli Studi di Napoli
39
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
Abstract
Financial reporting is of primary importance for all companies, also for
small and medium-sized entities. The last ones, defined using qualitative
and quantitative criteria, present some peculiarities that influence the
purposes of financial reporting, its forms and contents. The purpose of
the empirical research – deductive and descriptive - we carried out has
been to find out the characteristics of accounting information markets
for small companies, addressing our attention to Dottori Commercialisti
category, considered as the best trustee of all the relevant information.
The last one has been divided in three broad categories: research of the
best criteria perceived as useful to class small companies for the pur-
pose of financial reporting; research of small company report users and
their information needs; finally, research of the convenience of the ex-
tension of IAS/IFRS to small entities. Results are quite in line with con-
clusions reached by studies of all the relevant literature, concluding that
the present discipline for small company financial reporting is partially
inadequate. Dottori Commercialisti are mainly against the application of
IAS/IFRS to small companies; they, on the contrary, would promote the
application of a simplified cash flow statement. Moreover, the research
conducted at the knowledge of the importance of additional information
in the notes to financial statements for the benefit of particular users. To
sum up, the research has confirmed the opportunity to use differential
reporting for small and medium-sized entities.
40
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
1
Si parlerà indifferentemente di P.M.I. o di aziende minori, ad indicare comunque una catego-
ria dimensionale di aziende che non si riferisce a quella delle grandi (Marchini 1985).
41
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
2
Quello delle informazioni contabili viene considerato alla stregua di un qualsiasi altro mercato
di beni economici, nel quale si riconoscono il lato della:
- Offerta, rappresentato dalle aziende che producono i documenti contabili di sintesi.
- Domanda, costituito dagli utilizzatori delle informazioni contabili.
Il ragionamento è tratto dalla conceptual Framework del F.A.S.B. In proposito si rimanda ai
seguenti documenti: F.A.S.B. 1978; F.A.S.B. 1980.
3
In verità, differenze si riconoscono anche nel ruolo riconosciuto alla funzione contabile, che
risulta più svilito nelle aziende minori, sia perché essa non è desiderata (l’esperienza aziendale
è vissuta come fatto privato), sia perché non è compresa appieno (è evidente una minore co-
gnizione della materia oggetto d’attenzione nei soggetti coinvolti nell’universo delle P.M.I.).
Sul punto si rimanda a Vinciguerra 2007.
42
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
43
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
4
Interessante in proposito è il contributo di Gigli 2005.
44
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
5
Al pari di qualsiasi altro bene economico anche per le informazioni contabili vale la logica
essenziale, secondo cui, esse saranno auspicabili solo se i benefici che si presume se ne
possano derivare siano maggiori dei costi che si rende necessario sopportare per la loro pro-
duzione. In tal senso anche i principali organismi di statuizione dei princìpi contabili: I.A.S.B.,
1989; F.A.S.B., 1980; A.S.B., 1999; A.A.R.F., 1890; C.I.C.A., 2005.
45
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
6
In realtà, al problema dell’overload contabile non sono estranee le aziende di grandi dimen-
sioni, anche se quelle minori risultano essere ragionevolmente più esposte: A.I.C.P.A., 1981.
Inoltre, contribuiscono al fenomeno altri fattori: Walther 1983; Belkaoui 2004; Thompson e
Hurdman 1983; A.I.C.P.A. 1996.
46
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
7
Sostanzialmente analoga è la logica di comparazione adottata da Paoloni, Demartini, Mo-
neva, Cuellar 2000.
47
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
Tabella 1
Palermo 811
Caserta 928
Firenze 1066
Brescia 1075
Milano 2979
Totale 6859
8
Tabella 2
Palermo 43
Caserta 49
Firenze 56
Brescia 57
Milano 158
Totale 363
8
Gli elenchi degli iscritti, con i relativi indirizzi, sono stati reperiti su internet o inviati diretta-
mente dagli Ordini locali, a seguito di formale richiesta avanzata dal gruppo di ricerca.
9
In merito, si sottolinea come più volte sia stata inoltrata richiesta formale, al Presidente del
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, al fine di conseguire un elenco nazionale, ag-
giornato, degli iscritti all’Ordine. Tuttavia, motivi legati alla privacy hanno impedito la diffusione
di un simile documento, lasciando come alternativa quella adottata in questa sede.
10
Secondo cui, ogni elemento della popolazione ha la medesima probabilità, nota e diversa da zero,
di essere estratto; i risultati delle estrazioni, inoltre, si stabilisce che siano fra loro indipendenti.
48
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
49
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
Dopo 10 giorni dal primo invito ad aderire alla ricerca è stata inviata, a
coloro che non ancora avevano risposto, una lettera di sollecito. Tanto
ha consentito di raggiungere un elevato livello di adesione all’indagine:
250 pareri, corrispondenti ad un tasso del 68,8%.
Tuttavia, le risposte che sono state ritenute valide e che sono state
quindi effettivamente analizzate ammontano a 214 (secondo la numero-
sità esplicitata nella Tabella 3). A tale ammontare si è giunti depurando il
database da 36 risposte, che sono state invalidate, poiché considerate
non significative11.
I dati sono stati quindi elaborati con il supporto di Excel.
Tabella 3
Palermo 20
Caserta 22
Firenze 29
Brescia 52
Milano 91
Totale 214
3. Risultati dell’indagine
11
Non sono state considerate valide le risposte fornite da quegli intervistati che, dopo aver
effettuato l’accesso al database hanno:
- Optato sempre per la risposta nulla
- Espresso la loro opinione solo in merito ad una/due delle domande proposte, annullando,
di fatto, la significatività della loro adesione.
50
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
I risultati cui si è giunti nella prima parte della “Sezione I” possono sin-
tetizzarsi come di seguito:
a) L’“azienda cliente tipo” dei commercialisti intervistati vanta un “li-
vello di dipendenti occupati in media durante l’esercizio” di rado
superiore alle 50 unità; inoltre, si nota anche come la maggior parte
di queste aziende abbia un numero di impiegati compreso nell’inter-
vallo 0-10, piuttosto che in quello 11-50.
Si rimanda al Grafico 1 per il dettaglio delle percentuali.
12
Si veda, in proposito, l’art. 2435-bis del codice civile e la proposta di modifica avanzata
dall’O.I.C. – Organismo Italiano di Contabilità, nel documento: “Ipotesi di attuazione delle Di-
rettive UE 2001/65 e 2003/52, con modifiche al C.C.”, approvato in data 25 ottobre 2006.
In proposito si sappia che, con D.Lgs. 173/2008, la proposta in oggetto è stata adottata ed
ha modificato i limiti quantitativi contenuti nel Codice Civile.
13
Trattasi di una variabile che incide sulla tipologia di user della comunicazione economico-
finanziaria prodotta dall’azienda ed anche sui fabbisogni informativi che essi presentano.
Sul punto si rimanda a Vinciguerra 2007.
51
Comunicazione economico-
finanziaria nelle P.M.I.
d) La maggior parte delle “aziende clienti tipo” (più del 60% dell’intero
campione), ricorre ad una delle “vesti giuridiche” che rientrano nella
categoria delle società di capitali.
Per tale motivo esse sono obbligate a rispettare, nella compilazione
dei documenti di sintesi, la disciplina civilistica, fermo restando il
diritto di avvalersi delle semplificazioni riconosciute dal 2435-bis,
qualora ne ricorrano le condizioni quantitative.
Si rimanda al Grafico 4 per il dettaglio delle percentuali.
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Grafico 3 – FATTURATO
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Nella Sezione I sono state quindi proposte altre domande attraverso le quali
a ciascuno degli intervistati è stato richiesto di esprimersi in merito a:
■ Il tipo di attività svolta in prevalenza per le aziende clienti.
■ L’utilizzo delle semplificazioni riconosciute dal 2435-bis del C.C.
(che disciplina la redazione del Bilancio Abbreviato).
■ I parametri che si reputano più idonei a delimitare i confini fra aziende di
diversa dimensione e, contemporaneamente, a giustificare una diversi-
ficazione della disciplina che guida la compilazione dei loro bilanci.
La prima e l’ultima di queste domande sono state corredate da una
serie di possibili risposte, in merito alle quali agli intervistati è stato
chiesto di indicare il livello di validità di ciascuna delle alternative pro-
poste, secondo una scala di valori che contemplava le seguenti opzioni
di scelta “Alta-Media-Bassa-Nulla”.
Con riferimento alla questione del Bilancio Abbreviato, invece, è stato
chiesto agli intervistati di esprimere la loro adesione (SI-NO) al 2435-bis
C.C., oltre che la percentuale secondo cui essi ritengono di avvalersi
delle semplificazioni ammesse dal legislatore civilistico.
55
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14
Trattasi, in particolare, di quelle società (di capitali) che nel primo esercizio o, successiva-
mente per due esercizi consecutivi, non abbiano superato i limiti fissati rispetto a due dei tre
parametri quantitativi suggeriti – totale attivo dello stato patrimoniale; numero di dipendenti
occupati in media durante l’esercizio; ricavi delle vendite e delle prestazioni.
56
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In assoluto, gli aspetti che vengono ritenuti più rilevanti in tal senso, in
quanto viene loro riconosciuta un’intensità alta/media nel giustificare
una diversificazione del bilancio, sono:
■ “Settore di attività dell’impresa”
■ “Fatturato”
■ “Totale delle attività”
15
Secondo il seguente ordine: turnover – total assets – no. employees. In proposito si con-
sulti Barker P., Noonan C., “Small Company Compliance with Accounting Standards - The
Irish Situation”, DCBUS Research Papers, op. cit., Table 6.
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16
Sul punto si fa notare come questa categoria di utilizzatori non sia stata considerata nella
ricerca condotta in Irlanda. Tuttavia, nell’attuale scenario, caratterizzato dalla disciplina Basi-
lea II, non è possibile prescindere dalla loro considerazione.
17
Si rimanda al primo paragrafo.
59
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18
Questi risultati sono sostanzialmente in linea con quelli conseguiti da una ricerca realizzata
in Italia, nel 1997. L’indagine fu condotta su 250 piccole imprese italiane, da Paoloni e De-
martini e, al pari di quanto effettuato in questo lavoro, i risultati furono confrontati con quelli di
ricerche similari condotte in U.K. Anche in quelle ricerche risultava che le principali categorie
di riferimento delle aziende minori fossero, seppur secondo un ordine diverso, l’amministra-
zione finanziaria, i proprietari coinvolti nella gestione, le banche. Sul punto si rimanda alla
consultazione di Paoloni M., Demartini P., 1998a.
19
Tuttavia, si ritiene che questa categoria sia già compresa in quella delle banche e dei
finanziatori istituzionali.
60
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20
È stata citata letteralmente l’opinione espressa dall’intervistato.
61
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Solo una delle risposte raccolte alla voce “altro”, infine, può ritenersi
significativa ed interessante: il commercialista in questione dichiara che
le banche si avvalgono dei bilanci delle aziende minori, secondo un’in-
tensità alta, per il calcolo del rating.
I risultati sono sostanzialmente in linea con quelli irlandesi. Anche in
quella sede, infatti, la principale finalità per la consultazione del bilancio
da parte delle banche è rappresentata dalla necessità di valutare la
capacità di restituire il prestito, la profittabilità, la sicurezza e, quindi, la
62
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21
Questa domanda, non contemplata nel questionario condotto in Irlanda, riprende invece
una soluzione adottata dal. F.A.S.B. - Financial Accounting Standards Board, nel Financial
Reporting by Private and Small Public Companies - Invitation to Comment, op.cit.
Si è ritenuto comunque opportuno proporla ai commercialisti italiani poiché lascia spazio,
agli stessi, di esprimere un giudizio fondato sulla loro esperienza, apportando un contributo
utile ad un potenziale ed auspicabile processo di istituzione di una disciplina contabile volta
specificamente all’universo delle aziende minori.
22
Si ritiene poco significativo un confronto fra le risposte raccolte dal F.A.S.B. e quelle fornite dai
commercialisti italiani: le prime sono essenzialmente legate alla disciplina cui erano assoggettate
le private e le small public negli USA all’epoca in cui fu condotta l’indagine. Tuttavia, per un appro-
fondimento si rimanda a F.A.S.B. - Financial Accounting Standards Board, Financial Reporting by
Privately Owned Companies: “Summary of Responses to FASB Invitation to Comment”, op.cit.
63
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Tabella 4
66
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23
Sul punto si nota come appaiano fuori target le risposte fornite dai commercialisti iscritti
all’ordine di Palermo. Si tenga presente, tuttavia, la ridotta numerosità di queste ultime, che
induce a valutare criticamente la loro attendibilità allorquando si discostino in maniera signifi-
cativa dal resto del campione, come accade in questo caso.
67
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Come risulta dal Grafico 16, è altissimo il livello di astensione alla doman-
da; tuttavia, la maggior parte di coloro che hanno risposto (34%) si dichia-
ra favorevole alla compilazione del rendiconto finanziario anche da parte
delle P.M.I.; più contenuta, invece, la percentuale di coloro che sono con-
trari (22% delle risposte esaminate). Il responso rimane sostanzialmente
analogo a quello conseguito dai ricercatori irlandesi, anche se, in quella
sede, il rendiconto finanziario ha guadagnato maggiori consensi che non
in Italia: sono favorevoli ben il 55% e contrari il 38% dei loro intervistati.
68
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24
Per il dettaglio delle percentuali si rimanda al Grafico 18.
Sul punto si tenga presente, inoltre, che sono state analizzate solo le risposte fornite da colo-
ro che avevano dichiarato di avere una conoscenza media o alta dei princìpi IAS/IFRS.
Ne deriva che, se l’intera indagine è stata condotta sulle risposte fornite da 214 Dottori
Commercialisti, al fine di indagare sull’opportunità dell’estensione dei principi contabili anche
all’universo delle P.M.I sono stati eliminati 95 pareri, quelli dei professionisti che:
- Si erano astenuti dal rispondere alla domanda relativa al livello di conoscenza dei principi
contabili internazionali.
- Avevano dichiarato di avere una conoscenza nulla o bassa degli IAS/IFRS.
69
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25
Valgono le stesse osservazioni della precedente nota.
70
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26
È stato infine chiesto agli intervistati se, rispetto ad i principi che essi
ritengono estensibili anche alle aziende minori, giudicano conveniente,
a tal fine, un preventivo procedimento di semplificazione degli stessi27.
La percentuale di adesione alla domanda è stata più bassa rispetto alla
precedente (per il dettaglio si rimanda al Grafico 19): si può immaginare,
infatti, che si siano astenuti dal rispondere coloro che abbiano conside-
rato non estensibili gli IAS/IFRS anche all’universo delle P.M.I. (in linea
generale, infatti, il tasso delle risposte è più basso proprio in corrispon-
denza di quegli standard rispetto ai quali era preponderante il giudizio
di non convenienza dell’estensione).
Tuttavia, prendendo in considerazione i soli principi rispetto ai quali si
26
La selezione dei principi rispetto ai quali valutare l’estensibilità anche alle P.M.I. è stata effet-
tuata considerando la struttura dello Staff Questionnaire emanato nel 2005 dallo I.A.S.B.
Con riferimento ad alcuni dei principi presi in esame, inoltre, le domande sono state formulate
in maniera da indagare specifici argomenti da essi disciplinati, cosicché le lettere che accom-
pagnano alcuni degli IAS/IFRS proposti si riferiscono ai seguenti accadimenti:
- IAS 36 a: Perdita di valore delle attività immateriali a vita utile indefinita (in particolare l’avviamento);
- AS 36 b: Impairment per le immobilizzazioni tecniche;
- IAS 38 a: Revaluation model
- IAS 38 b: Capitalizzazione delle attività di ricerca e sviluppo
- IAS 39 a: Uso dell’effective interest method
- IAS 39 b: Misurazioni al fair value
- IAS 39 c: Contabilizzazione dei contratti a termine in valuta estera
- IAS 39 d: Derecognition e/o accantonamenti di hedge accounting
- IAS 39 e: Strumenti finanziari: derecognition
- IAS 39 f: Strumenti finanziari: hedge accounting.
27
Valgono le medesime osservazioni formulate nella nota n. 26.
71
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Tabella 5
Semplificazione
72
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78
Audit e Professioni Contabili
79
Presentazione Auditing
80
Presentazione Auditing
81
Presentazione Auditing
82
La Commissione “per le norme
ed i principi contabili” del Consiglio
Nazionale dei Dottori Commercialisti
e degli Esperti Contabili
di Gianfranco Capodaglio – Università di Bologna
83
Auditing
1
Principi e raccomandazioni per la redazione, revisione e certificazione dei bilanci. Presenta-
zione ed introduzione. Giuffré, 1977.
2
In quell’occasione io venni nominato componente della Commissione, fra gli iscritti agli albi
dei Dottori commercialisti.
84
Auditing
3. La situazione attuale
Con l’avvento del nuovo millennio, si è aperto in Italia, così come nel
resto dell’Europa, un periodo di grandi mutamenti, connessi con la nor-
mativa europea in materia societaria e di bilancio.
L’Unione europea, infatti, con una serie di regolamenti3, ha obbligato gli
Stati membri ad adottare, a partire dal 1° gennaio 2005 i principi con-
tabili IAS/IFRS per la redazione dei bilanci consolidati delle società i cui
titoli sono trattati su mercati regolamentati4.
Lo Stato italiano, con la legge 31 ottobre 2003 n. 306 (Comunitaria 2003,
pubblicata sulla G.U. n. 266 del 15 novembre 2003) e con il decreto le-
gislativo 28 febbraio 2005, n. 38, ha inteso aderire all’armonizzazione
contabile promossa dall’Unione, andando oltre gli obblighi imposti dal
citato regolamento e prevedendo che, in aggiunta alle imprese indicate
dal regolamento comunitario, dovranno adottare gli IAS/IFRS anche:
1) Le società quotate per la redazione del bilancio d’esercizio
2) Le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico per il
bilancio d’esercizio e consolidato
3) Le banche e gli intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza della
Banca d’Italia, per il bilancio d’esercizio e consolidato
4) Le imprese assicurative per il bilancio consolidato e, se sono quotate
ma non redigono il bilancio consolidato, anche per quello d’esercizio.
3
1606/2002; 1725/2003; 707, 2086, 2236, 2237, 2238 del 2004; 211, 1073, 1751, 1864,
1910, 2106 del 2005; 108, 708, 1329 del 2006.
4
È interessante notare che il Framework non è stato oggetto di omologazione da parte dell’U.
E., pur essendo frequentemente citato dai singoli standard.
85
Auditing
5
Decreto legislativo 17 gennaio 2003, 6, modificato dal decreto legislativo 28 dicembre
2004, n. 310.
86
Auditing
6
La norma si applica ai bilanci dell’esercizio 2008, per le società il cui esercizio coincide
con l’anno solare.
87
Un “quasi” compendio
sul Fair Value
a cura di Roberto Di Pietra – Università degli Studi di Siena
Alcune riflessioni tratte dalla lettura del “The Routledge Companion to Fair Value
and Financial Reporting”, curato da Peter Walton (Routledge, Taylor & Francis
Group 2007, pp. i-xviii, 1- 404).
88
Book Review
A quale “fil rouge” sono legati i 26 saggi che si sviluppano nel volume
pubblicato da Routledge nel corso del 2007?
L’anno di pubblicazione potrebbe costituire un problema di non secon-
daria importanza nell’avvicinarsi al “Companion to Fair Value and Finan-
cial Reporting”. Agli occhi dei lettori e degli studiosi il 2007 può costi-
tuire un periodo già troppo distante dalla fase di recessione economica
mondiale avviatasi almeno tecnicamente nella seconda metà del 2008.
Il virulento manifestarsi di tale recessione (ancora da comprendere nella
sua effettiva estensione e profondità) può porre più di un dubbio sulla
validità delle riflessioni proposte prima del 2008.
Nella stesura di questa book review ho, in più occasioni, avuto il dubbio
se non fosse il caso di procedere alla sua completa riscrittura proprio
per tenere conto delle reazioni convulse che alcuni regolatori sembrano
avere assunto nei confronti del FV.
La transizione alle valutazioni al FV nel contesto dell’Unione europea,
per quanto dibattuta, sembrava ormai avviata al superamento della
fase di sperimentazione. Il contesto europeo è stato, invece, scosso
dalle prime conseguenze della crisi finanziaria, ovvero dalla profonda
volatilità dei valori che assumono gli strumenti finanziari. Molti com-
mentatori hanno ripreso argomentazioni e posizioni critiche proposte
già da alcuni anni, assumendo toni quasi di soddisfazione per l’avere
visto avverarsi i timori ed i rischi paventati. In alcuni settori regolati le
autorità di vigilanza hanno di fatto richiesto il ritorno alle valutazioni al
costo e tutto questo è passato nella lettura popolare come un passo
verso l’abbandono del FV1.
Dunque, cosa può dire di interessante un volume sul FV e sul Financial
Reporting se è stato pensato e pubblicato prima del terremoto del 2008?
La lettura dei contributi che costituiscono il volume curato da Peter Wal-
ton e le riflessioni che esse hanno suscitato consentono di apprezzare la
profondità di un lavoro che, in alcuni casi, è andato talmente in profondità
da riuscire a superare la portata stessa dall’attuale contingenza.
L’idea complessiva in tema di FV che il volume in esame contribuisce ad
avvalorare è che questo concetto risulta ben lontano dall’essere identi-
ficato in modo esaustivo e definitivo. Nei cinque saggi della sezione in-
troduttiva (Section I: Introduction) e nel complesso dei saggi delle altre
due sezioni del volume (Section II: Theroetical analysis e Section III: Fair
value in practice) il FV è stato oggetto di un’indagine teorica ed operativa
1
In Italia nel corso del 2008 l’eccessiva volatilità che ha caratterizzato i valori degli strumenti
finanziari ha creato serissimi problemi sulla possibilità di pervenire alla redazione di Bilanci
contenenti informazioni attendibili. Questo soprattutto nel caso dei Bilanci bancari ha indotto
la Banca d’Italia a sospendere l’utilizzazione del FV per la redazione del Bilancio d’esercizio
relativo al 2008 disponendo in questa fase un ritorno alle valutazioni al costo.
89
Book Review
Fin dai saggi di apertura del volume lo sforzo compiuto dai diversi stu-
diosi coinvolti nella realizzazione dell'opera è stato quello di sgombrare
il campo da tutta una serie di confusioni ed erronee interpretazioni che
hanno circondato il tema del FV. In questo senso possiamo richiama-
re i richiami storici proposti da Peter Walton quando chiarisce come il
termine FV “has been in use for over a century in the U.S. meaning the
value for which an asset could be exchanged between a willing buyer
and willing seller, with knowledge of the market and without compul-
sion”. Nel contempo, lo stesso autore evidenzia come nel contesto del-
l’Europa continentale, il ricorso al valore di mercato è stato ampiamente
utilizzato e questo con particolare riferimento al caso francese (“market
value has a long history in French accounting and was widely used in
bilance sheets in the nineteenth century”, Walton p. 5).
90
Book Review
91
Book Review
2
Sulla determinazione di valori fair in presenza di mercati dei capitali molto instabili può essere di par-
ticolare interesse il saggio di George Benston che offre una lettura del caso Enron dal punto di vista
contabile. Nelle sue conclusioni l’autore afferma, infatti, che: “The Enron experience should give the
FASB, IASB, and others who would permit (indeed mandate) level 3 fair value accounting, wherein
the numbers are not well grounded in relevant market prices, reason to be cautious. One Enron was
permitted to use fair values for energy contracts it extended revaluations to a wide and increasing
range of assets, …. The result was overstatement of revenue and net income and structuring trans-
actions to present cash flows from operations rather than from financing” (Benston p. 245).
92
Book Review
93
Dal fair value al fairy value: coerenza
concettuale e condizioni di impiego
del fair value negli IFRS
di Alberto Quagli – Università degli Studi di Genova
Prendendo spunto dalle critiche mosse a seguito della crisi finanziaria, in questo
contributo si valutano le problematiche applicative della logica del fair value nel corpus
dei principi IASB avendo riguardo al modo con il quale gli standard internazionali
lo hanno implementato nelle valutazioni di bilancio. In particolare, si cerca dapprima
di definire la coerenza applicativa di tale approccio valutativo e i vincoli che ne limitano
la concreta applicabilità per fornire in chiave normativa una proposta di miglioramento
dell’informativa di bilancio. Per l’Italia, tali riflessioni sono molto importanti
se si considera il progetto di riforma del Codice Civile secondo la bozza OIC per la parte
che riguarda il bilancio di esercizio, con il quale il fair value estende la propria portata
anche al mondo, ben più popolato, delle società non quotate.
Abstract
The recent financial crisis has cast some doubts on the use of fair value
in financial statements and refreshed a theoretical debate concerning the
pros and cons of this method, together with a sharper definition of its
capability to satisfy the objectives of financial reports. Moving from this
stream of literature, this paper (1) analyses the implementation of fair value
method over the corpus of IAS/IFRS in order to evaluate the coherence of
its application and (2) tries to define the stability of markets as a necessary
premise for fair value adoption. From a normative perspective, finally, the
paper proposes a more informative disclosure for the financial statement
users, based on the uncertainties of fair value implementation.
94
Fair value-fairy value
Per l’Italia, tali riflessioni sono ancora più importanti se si considera il pro-
getto di riforma del Codice Civile secondo la bozza OIC per la parte che
riguarda il bilancio di esercizio, con il quale il fair value estende la propria
portata anche al mondo, ben più popolato, delle società non quotate.
Queste riflessioni muovono da un acceso dibattito recente sul ruolo del
fair value alla luce della recente crisi economica, che mettono in dubbio
l’utilità di questo criterio nelle valutazioni di bilancio. È a partire da que-
sta discussione che svolgeremo le nostre considerazioni.
95
Fair value-fairy value
96
Fair value-fairy value
97
Fair value-fairy value
L’OIC, inoltre, ricorda (OIC 2008) che sono sul tavolo di discussione pro-
poste volte a eliminare la tainting rule prevista dallo IAS 39 o a limitare la
svalutazione delle attività finanziarie solo nei casi di perdita durevole.
Per capire ancora meglio il clima di questo periodo, infine si ricorda che
il Governo italiano ha in via eccezionale permesso alle aziende che non
98
Fair value-fairy value
2
L’art. 15, comma 13, del Decreto Legge 28 novembre 2008 cita: “Considerata l’eccezionale
situazione di turbolenza nei mercati finanziari, i soggetti che non adottano i principi contabili
internazionali, nell’esercizio in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, pos-
sono valutare i titoli non destinati a permanere durevolmente nel loro patrimonio in base al
loro valore di iscrizione così come risultante dall’ultimo bilancio o, ove disponibile, dall’ultima
relazione semestrale regolarmente approvati anziché al valore di realizzazione desumibile dal-
l’andamento del mercato, fatta eccezione per le perdite di carattere durevole. Tale misura, in
relazione all’evoluzione della situazione di turbolenza dei mercati finanziari, può essere estesa
all’esercizio successivo con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze”.
3
Così si conclude la lettera della Commissione Europea: “There may be a need to adjust the
timetable of ongoing project to reflect the immediate needs of the current crisis.”
99
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Sia ben chiaro che questa dicotomia nel legame fini del bilancio – logiche
di valutazione è fin troppo marcata; entro certi limiti comunque il fair value
permette di valutare i manager circa la loro capacità di accrescere il valore
dell’azienda (Bradbury 2008), come è pure vero che il modello del costo
tramite analisi del conto economico permette di inferire il valore dell’azien-
da (si veda l’esempio Coca – Cola descritto da Penman 2006).
Rimane tuttavia vero che i due metodi si prestano meglio per uno dei
due scopi. E il sopravvento del fair value riflette una finanziarizzazione
dell’economia, conferendo ampio credito alla capacità valutativa dei
mercati finanziari. Il fair value sottende in sostanza una specifica pro-
spettiva di analisi dell’azienda, quella di un investimento finanziario.
Lo scenario ideale di applicazione del fair value è caratterizzato da
mercati efficienti, ed in particolare mercati finanziari, che incorpora-
no nei prezzi le informazioni riferite all’evoluzione futura delle aziende
e dove investitori razionali cercano di massimizzare il valore dei loro
investimenti, spostandoli secondo convenienza da un impiego all’al-
tro. I diritti di proprietà sulle aziende sono un investimento come altri
strumenti finanziari per loro disponibili. La rapida circolazione di tali
diritti rende il mercato attivo e origina dei fair value significativi. Tali
investitori non sono particolarmente affezionati a nessun impiego in
particolare. Se il valore di un certo impiego, date certe risorse, è in-
feriore a quello di un impiego alternativo, in teoria essi dovrebbero
secondo logica cedere il primo per passare al secondo. Solo con que-
sta prospettiva si può capire il senso profondo dello IAS 36 secondo
il quale il valore recuperabile di una cash generating unit (un negozio,
uno stabilimento produttivo) è pari al maggiore tra “fair value less cost
to sell” (valore di realizzo diretto) e “value in use” (valore di realizzo
indiretto). Questa definizione sposa la prospettiva di un imprenditore-
investitore razionale secondo il quale se il mercato offre un prezzo di
acquisto superiore al valore intrinseco del ramo di azienda quale de-
riva dall’attualizzazione dei flussi di cassa futuri, il valore dell’azienda
è quello derivante della cessione e riguardo ad esso si confrontano i
valori contabili per decidere se svalutare oppure no. In sostanza, la
decisione se continuare la gestione idealmente è successiva alla de-
cisione circa la miglior collocazione delle risorse da investire.
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5
In questo senso è stato di recente riproposto (Andrei, 2008) per salvaguardare contempo-
raneamente l’attendibilità e la significatività dei bilanci, di adottare un modello basato sui costi
storici, salvo poi procedere sporadicamente ad adeguamenti di valore sintetici, quando le
quote di costo inviate a conto economico, specialmente da parte dei beni pluriennali, perdo-
no significatività nel loro confronto con ricavi espressi a valori correnti.
104
Fair value-fairy value
sono la tipica misura della sua performance e tale valore dipende dagli
investimenti operati sui mercati mobiliari, sistematicamente adeguati ai
corsi di borsa. In sostanza, per tale operatore, è il suo stato patrimo-
niale il documento principale di misurazione delle prospettive. Ma è un
gestore di patrimoni creati da altri.
Per un’azienda industriale che vive di prodotti da collocare a consuma-
tori, la capacità di creare ricchezza per i suoi azionisti (o valore, che dir
si voglia) e la conseguente informazione critica per gli investitori, dipen-
de non dal valore corrente dei suoi investimenti ma dalla capacità di
competere efficacemente, che non si incorpora in nessun investimento
in particolare, a meno di voler esprimere a bilancio le idee imprendito-
riali o il bagaglio di conoscenze acquisite. La si può valutare bene solo
a consuntivo, guardando i risultati maturati a conto economico, quanto
ha venduto rispetto a quanto è costato produrre e vendere. Il proprio
stato patrimoniale, se potesse, sarebbe desolatamente vuoto e niente
minerebbe il giudizio circa la validità delle proprie prospettive reddituali.
Costringere tali aziende a valutare i loro investimenti a fair value secon-
do la logica “pura”, ammesso che sia facilmente determinabile tale im-
porto, con invio sistematico delle variazioni a conto economico, implica
“sporcare” il conto economico di elementi che hanno meno a che vede-
re con la capacità competitiva e che anzi, andrebbero in qualche modo
isolati per evitare che investitori poco accorti si basino su tali valori.
Un esempio emblematico ci è offerto dalle compagnie petrolifere. Stori-
camente le aziende italiane di questo settore hanno adottato il LIFO quale
criterio di valutazione delle rimanenze. In presenza di livelli stabili di scorte
il magazzino risultava valutato ad un valore parimenti stabile. Passando
agli IAS e dovendo lasciare il LIFO si sono orientate verso il criterio del
costo medio ponderato. Per cui anche a parità di quantitativi in scorta, il
solo mutare dei prezzi di mercato del petrolio e dei suoi derivati, particolar-
mente mutevole in questi ultimi anni, ha determinato una forte oscillazione
del valore del magazzino che risulta adesso valutato a prezzi più recenti ri-
spetto alla logica LIFO. In tempi di rapido incremento del prezzo del petro-
lio, tali aziende “facevano utili” semplicemente sul magazzino. Ma proprio
per segnalare agli investitori quanto del risultato economico complessivo
era da ascriversi alla loro gestione competitiva, esse, nelle presentazioni
alla comunità finanziaria, sono solite presentare (a puro titolo di esempio si
prenda la presentazione della terza trimestrale 2008 dell’ENI) un risultato
operativo al lordo e al netto dell’effetto variazione prezzi sul magazzino,
effetto in alcuni molto rilevante (anche un terzo del risultato economico
complessivo). E nessun principio contabile li obbligava a ciò.
In questo senso si vuol rilevare che dal punto di vista della capacità in-
formativa del bilancio non è il caso di nominare dei vinti o dei vincitori. Il
105
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fair value nella versione pura o il modello del costo offrono entrambi dei
dati significativi ma se applicati a contesti diversi. Per un’azienda che
gestisce investimenti finanziari, i cui mercati sono tradizionali esempi di
efficienza allocativa, il fair value ci sembra molto significativo e funziona
bene come parametro di performance con mercati sviluppati ed efficien-
ti. Per un’azienda che vende prodotti ad un mercato di consumatori, se
applicato sistematicamente agli elementi principali del patrimonio, que-
sto modello forse funziona meno bene e inquina il conto economico di
effetti congiunturali oscurando la performance competitiva dell’azienda.
Diverso, almeno in linea puramente teorica considerando le regole
attualmente esistenti, sarebbe, come sostengono Barth – Landsman
(1995), se fosse possibile rappresentare nello stato patrimoniale tutte le
risorse a disposizione dell’azienda comprese gli skills imprenditoriali, la
forza competitiva, il patrimonio conoscitivo e relazionale, le opzioni di
crescita. In quel caso il fair value dello stato patrimoniale esprimerebbe
una misura molto vicina al capitale economico e possiederebbe un’ele-
vata capacità informativa (a prescindere dalla sua affidabilità) anche in
aziende industriali, dove gli assets sono impiegabili in modo strettamen-
te congiunto e privi di un autonomo mercato attivo dove sono venduti.
Ma a quel punto la questione si sposta su un altro piano, quello del fair
value delle risorse sviluppate internamente, di cui le aziende industriali
sono ben più ricche rispetto ad un’istituzione finanziaria.
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6
Come ben affermato da Pizzo (Pizzo 2000; si veda anche Penman 2006), per gli elementi
destinati ad un utilizzo interno, come input di processi produttivi complessi richiedenti il con-
corso combinato di molti fattori, è il value in use il criterio che più approssima il valore fair, e
necessariamente tale value in use discende dalla attualizzazione dei flussi di cassa frutto di
elaborate stime aziendali.
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flesso del criterio della prudenza ispirato alla logica della realizzazione
finanziaria dei ricavi, che forse suona familiare per gli aziendalisti italia-
ni, ma non al Framework dello IASB.
Insomma la prospettiva di valutazione privilegiata è quella di un osser-
vatore esterno. Siamo ovviamente ben distanti dalla logica tipica della
dottrina economico-aziendale italiana che dà ben più peso agli inten-
dimenti del soggetto economico. Ma forse diverso è anche il contesto
storico nel quale si formano i principi dello IASB, sia come sviluppo dei
mercati, ben più globalizzati e quindi generanti valori più significativi,
sia come interessi gravitanti attorno all’azienda, sempre meno “fatto
privato” e quindi tale da rendere la prospettiva del management una
prospettiva possibile tra le molte.
Questi due riferimenti, significatività e affidabilità, finiscono però per
negare una portata generale al fair value e impedire quindi un sistema
deduttivo di criteri di valutazione incentrati su di esso. Il fair value nei
principi dello IASB è per definizione affidabile, ma non significativo per
i casi nei quali il contributo dell’elemento patrimoniale dipenderà es-
senzialmente dai piani futuri del management. E un’azienda industriale
normalmente possiede una struttura produttiva naturalmente orientata
al lungo termine, difficilmente riorientabile nel breve, e nella quale buo-
na parte degli investimenti possono essere valutati significativamente
solo analizzando i piani soggettivi della direzione.
La consapevolezza da parte dello IASB che il modello del fair value non
può avere valenza universale per ogni classe di investimenti (e quindi per
ogni categoria di aziende), si ritrova nella varietà dei criteri di valutazione
applicabili alle diverse voci di bilancio. Tendenzialmente le valutazioni di
elementi concernenti la gestione caratteristica delle aziende industriali
sono più ancorate al criterio del costo, dove il fair value di un elemento
patrimoniale non è ottenibile tramite osservazioni di prezzi mercato ma
dipende dalle modalità di impiego future previste nei piani aziendali.
Consegue che il concetto di fair value come valore corrente derivabile dai
prezzi scambiati nei mercati può essere efficace solo se riferito agli inve-
stimenti accessori per i quali siano ipotizzabili transazioni dirette di com-
pravendita su mercati attivi. Si finisce quindi per circoscrivere il fair value
ad alcune categorie di strumenti finanziari e ad alcune categorie di immo-
bili, quelli rientranti nella categoria investment property. Ovviamente per
le aziende “finanziarie” questi elementi rappresenteranno una parte ben
più cospicua del loro patrimonio e saranno quindi ben più condizionate
dagli andamenti del mercato nelle loro valutazioni di bilancio.
Quindi, nonostante il fair value rappresenti il principio ispiratore del-
la recente attività dello IASB, nel concreto coesistono molti criteri che
109
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8
Dalla citata indagine Mediobanca, il risultato economico aggregato del gruppo di venti ban-
che europee è passato dai 71 miliardi di Euro del 1° semestre 2007 ai 29 miliardi del 1° seme-
stre 2008. Scomponendolo, il livello di margine di interesse registra addirittura un incremento
(da 98 a 111 miliardi), compensato dai risultati del trading (da + 53 a – 16 miliardi di Euro) e
delle svalutazioni dei crediti (da -14 miliardi a – 25).
9
Volatility lab (http://vlab.stern.nyu.edu), centro di ricerca della Stern School of Business
della New York University stima nel mese di marzo 2009 la volatilità dell’indice S&P500 del-
le azioni americane pari al 42,12% (che significa una deviazione standard dell’andamento
dell’indice di circa il 3%) quando prima dello scoppio della crisi dei mutui subprime, era ben
più bassa, attorno al 10%.
10
“The Chicago School of Economics has been telling us for a century that price and value
are identical, i.e. that they are the same number... If we do not recognize the fundamental
difference that exists between price and value, then we are doomed.” (Raines 2007).
112
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11
È interessante notare, peraltro, che questa Interpretazione adotta la definizione di fair value
contenuta nello SFAS 157 (price at which an orderly transaction would take place between
market participants at the measurement date), nonostante questa nuova definizione di fair
value sia ancora ufficialmente in discussione con il progetto “Fair value measurements” (pro-
getto non ancora concluso: dopo aver raccolto i commenti al Discussion Paper, si attende
infatti un nuovo documento per il 2009).
12
Afferma così il paragrafo 17: “There is no bright line between active markets and inactive mar-
kets. However, the biggest distinction between prices observed in active markets and prices
observed in inactive markets is typically that, for inactive markets, an entity needs to put more
work into the valuation process to gain assurance that the transaction price provides evidence
of fair value or to determine the adjustments to transaction prices that are necessary to meas-
ure the fair value of the instrument. The issue to be addressed, therefore, is not about market
activity per se, but about whether the transaction price observed represents fair value”.
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tabilizzati al costo (come nel caso degli immobili IAS 40 valutati al costo
o dei titoli che sono stati riclassificati dalla classe Fair Value Through
Profit and Loss alle categorie Held-To-Maturity o Loans & Receivables
ai sensi della recente modifica dello IAS 39).
Ad avviso di chi scrive, il problema di una disclosure siffatta consiste
nella mancanza di sintesi. In questo senso ci pare utile la predisposi-
zione di un prospetto riepilogativo a tre colonne, che mostri sulle gran-
dezze complessive di bilancio, patrimonio netto e risultato economico,
l’effetto causato dalle problematiche di valutazione al valore corrente
riferibili alle diverse classi di elementi componenti il capitale.
116
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5. Conclusioni
In questo lavoro si è preso spunto dal dibattito sorto a seguito della recente
crisi finanziaria per esaminare la coerenza concettuale del modello del fair
value nei principi dello IASB, le premesse logiche dalle quali scaturisce e le
condizioni operative che permettono una sua efficace applicazione.
In conclusione, il modello del fair value presuppone una certa prospettiva
di analisi delle aziende, quella di investimenti finanziari e si basa sull’esi-
stenza di mercati (finanziari e non) efficienti dal punto di vista informativo
e allocativo. Ha quindi un campo di azione privilegiato per gli elementi
patrimoniali che sono scambiati in mercati attivi e, in quanto tale, mal
si presta, o comunque è meno significativo nel valutare le performance
delle aziende industriali, sia come flussi trascorsi, sia come potenzialità di
flussi futuri, mutando i risultati a cui giunge anche in funzione del percor-
so di sviluppo aziendale (interno/esterno). La ricerca dell’affidabilità porta
a privilegiare una prospettiva “esterna” di osservazione dell’azienda, cer-
cando di ridurre le valutazioni entity specific, pur con qualche sacrificio
in termini di significatività dei valori rappresentati e le condizioni esterne
divengono quindi ancora più importanti per le valutazioni di bilancio.
La concreta applicabilità del fair value richiede infatti non solo la “atti-
vità” dei mercati ma anche la loro stabilità, intesa non tanto come sta-
ticità ma come chiarezza della tendenza evolutiva (rialzista, ribassista).
Altrimenti il fair value sfuma nel fairy value. In questo senso è un metodo
contabile che dai primi esiti di questa crisi potenzia significativamente
il collegamento bidirezionale tra risultati di bilancio e andamenti ma-
croeconomici, esaltandone la reciproca influenza.
E forse questa forza che si è mostrata adesso in tutta la sua irruenza
sta inducendo i regulators ad attenuare la portata di questo criterio. E
le alternative di valutazione al fair value lasciate dallo IASB, previste in
alcuni casi come momenti di passaggio come per abituare le aziende
con la pratica del fair value14, adesso come mai prima mostrano appie-
no la loro utilità.
Entro la cornice concettuale di tale modello, un miglioramento dell’infor-
mativa del bilancio non può che passare da una disclosure più ampia ma
soprattutto più capace di mostrare l’effetto complessivo delle incertezze
dovute all’impiego di valori correnti, che lasci quindi al lettore esterno del
bilancio il compito di apprezzare la fairness dei valori rappresentati.
14
Nelle Basis for conclusions dello IAS 40 è proprio questo il motivo addotto per lasciare
ancora in vita l’alternativa del costo.
118
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120
Interessenze di controllo.
Recenti linee evolutive e profili
di criticità delle regole internazionali
di accounting e reporting finanziario
di Marco Taliento – Università degli Studi di Foggia
Abstract
The article points out the main accounting and financial reporting
changes introduced through the (once more) revised Ias 27, trying to
find the relating theorical and operational paradigma and criticisms.
Among the major aspects of the present analysis (whose approach is
both retrospective and perspective, in order to focus the dynamics in
recent evolution lines for consolidated and separate statements), there
are: criteria for exemption from preparing consolidated financial state-
ments; exemptions based on temporary control (or scope exclusion);
existence of several accounting methods for separate statements and
121
Interessenze di controllo
1. Premesse
Il presente articolo esamina le principali problematiche legate alla con-
tabilizzazione nei bilanci annuali (di gruppo e separati) delle parteci-
pazioni detenute in società controllate (subsidiary), in considerazione
dello Ias n. 27 “Consolidated and Separate Financial Statements”.
Quest’ultimo è scrutato alla luce delle sue recenti (e tuttora vigenti, nei
limiti specificati) modifiche (revision 2003) e, incidentalmente, dell’Ifrs
n. 5 “Non-current Assets Held for Sale and Discontinued Operations” (in
forza dal 2005); alcuni importanti profili di rilievo qui in commento sono
stati peraltro successivamente (ri)toccati a mezzo degli amendment del
gennaio 2008 e del maggio 2008 (in connessione alla first time adop-
tion), efficaci rispettivamente dal luglio e gennaio 2009 (salvo libero, ma
limitato, impiego anticipato)1. Pure, come è facile appurare, assai note-
voli sono le interrelazioni con l’Ifrs n. 3 “Business Combinations” 2.
Scopo del presente scritto è, in breve, quello di percorrere in chiave sia
retrospettiva che prospettica l’insieme delle modifiche dianzi richiama-
te, ritraendone il relativo (e per alcuni versi mutevole) paradigma conta-
1
Lo Ias n. 27 è stato adottato in ambito europeo con il Reg. (CE) n. 2238/2004, poi modifica-
to con i Regolamenti n. 2236/2004 e 1358/2007; valga, da ultimo, il Reg. (CE) n. 1126/2008,
come modificato con Reg. (CE) n. 69/2009 e n. 70/2009.
2
Acquisire una partecipazione di controllo significa acquisire – in tutto o in parte – un’azienda
in funzionamento. In tale ottica, la partecipazione si configura come un bene di secondo
grado (Onesti 1990).
122
Interessenze di controllo
123
Interessenze di controllo
124
Interessenze di controllo
5
Il Sic-12 “Consolidamento - Società a Destinazione Specifica (società veicolo)” integra le regole
dello Ias 27, soffermandosi sul consolidamento delle special purpose entity, costituite per raggiun-
gere un obiettivo limitato e ben definito (per esempio, realizzare un contratto di leasing, attività di ri-
cerca e sviluppo o una cartolarizzazione di attività finanziarie). Va notato che una SDS deve essere
consolidata quando la sostanza della relazione tra un’impresa e una SDS indica che quest’ultima
è controllata dall’impresa. Si ricorda che l’Organismo internazionale ha sviluppato il progetto Con-
solidation – Including Special Purpose Entities (confluito nella bozza di principio ED 10).
6
Cfr. Prencipe e Tettamanzi (2005).
125
Interessenze di controllo
braio 2007, n. 32, art. 3, esse dovevano essere escluse dal perimetro di
consolidamento in virtù dell’art. 28, comma 1, del decreto 1277).
■ I casi di esclusione obbligatoria fanno in un primo momento richia-
mo a un controllo temporaneo o soggetto a restrizioni (così fino al
31.12.2004). Si precisa che detta previsione rappresenta ipotesi di
esclusione facoltativa nel nostro Paese.
■ È ammesso il consolidamento con data differente (purché la diffe-
renza non superi i tre mesi), mentre in Italia - più rigorosamente - ciò
non è consentito.
■ Il PN di terzi è indicato distintamente sia dal PN del gruppo sia dalle
passività (dal luglio 2009 le interessenze non di controllo vanno però
esposte come parte, pur separata, dell’equity). In Italia, il PN di terzi
è incluso in una voce del PN.
■ Si lascia in un certo senso più spazio alla possibilità di utilizzare cri-
teri di valutazione difformi anche da quelli della capogruppo (salve
poi le necessarie rettifiche di preconsolidamento per la redazione del
bilancio consolidato).
Nel bilancio consolidato, com’è noto, vanno integrati i bilanci delle control-
late “voce per voce” sommando i valori dell’attivo, del passivo, del patri-
monio netto, dei ricavi e dei costi, tra loro e con quelli della capogruppo o
parent (metodo del consolidamento integrale)8. In questo approccio sono
indispensabili operazioni rettificative del seguente tenore (par. 22 ss.):
■ Il valore contabile delle partecipazioni della capogruppo in ciascuna
controllata e la corrispondente frazione del patrimonio netto pos-
seduta dalla holding devono essere cancellati, allo scopo di evitare
fenomeni di duplicazione o annacquamento (Azzali 2003)9.
■ Occorre individuare la quota di pertinenza di terzi al valore dell’utile
(o perdita) d’esercizio delle controllate consolidate.
■ La quota del capitale e delle riserve di pertinenza di terzi nelle control-
late va identificata separatamente dal patrimonio netto di tali imprese
afferenti al gruppo (si intende sia il valore di quelle interessenze di terzi
alla data dell’acquisto della partecipazione, sia la quota di pertinenza di
terzi delle variazioni nel patrimonio netto dalla data di acquisizione).
7
L’Oic (2005) auspica che vengano escluse le imprese quando esse operino per conto di un’im-
presa, diversa da quelle incluse nel consolidamento, la quale goda della maggior parte dei benefici
e sopporti la maggior parte degli oneri o dei rischi che derivano dalla loro attività. Dai casi di esclu-
sione si differenziano i casi di esenzione ai sensi dell’art. 27 del decreto 127 (limiti dimensionali).
8
Le imprese a controllo congiunto sono invece oggetto di consolidamento proporzionale o,
in alternativa, sintetico (equity method); ma nel bilancio separato sono iscritte al costo o al fair
value. In merito alla teoria della proprietà sottostante alla tecnica del pro-rata consolidation, v.
Baker et al. (1993, 140-141). Si rinvia inoltre a D’Amico (2007).
9
In particolare, p. 103. Cfr. anche Lai (2003, 178) e Zattoni (2000, 124).
126
Interessenze di controllo
10
I saldi e le operazioni infragruppo, compresi i ricavi, i costi e i dividendi, sono integralmente
elisi. Così, gli utili e le perdite derivanti da operazioni infragruppo compresi nel valore contabile
di attività, quali le rimanenze e le immobilizzazioni, sono integralmente eliminati. Ove le perdite
infragruppo però segnalassero una necessaria riduzione di valore, in tal caso la rettifica dei
margini negativi infragruppo non sarebbe opportuna. Infine, per quanto concerne le differenze
temporanee derivanti dall’eliminazione di utili e perdite originate da operazioni infragruppo,
valga lo Ias 12 (Ias 27, par. 25).
127
Interessenze di controllo
Non va sottaciuto che lo Iasb, già con la revisione del dicembre 2003,
optava nello Ias 27 per l’eliminazione del requisito di cui sub b), eviden-
temente nel convincimento che le dette restrizioni finissero con il non
precludere l’effettiva capacità di controllo (invero, lo Iasb all’epoca pre-
vedeva ancora di escludere il consolidamento di entità dove la direzione
aziendale fosse attivamente alla ricerca di un acquirente); con riferimen-
to al requisito di cui sub a), invece, sostituiva l’espressione poco chiara
(quindi suscettibile di evitabili fraintendimenti di sorta) “in un prossimo
futuro” (in the near future) con “entro 12 mesi” (within 12 months)11.
Tra le regole previste nella versione successivamente emendata dal-
l’appendice c dell’Ifrs n. 5 (del marzo 2004), che è la versione vigente
dello Ias 2712, risulta invece prescritto al nuovo paragrafo 12 senza am-
biguità: “Consolidated financial statements shall include all subsidiaries
of the parent”. Lo stesso par. 16 dello Ias 27, dinanzi citato, relativo
all’esclusione del consolidamento, è stato abrogato.
Ne deriva inequivocabilmente che finanche l’esclusione di scopo di cui
al revised punto a) – e cioè lo scopo di rivendita – è oramai venuta
meno: dunque, dal 2005, nel bilancio di gruppo Ias-Ifrs vanno consoli-
date tutte le partecipazioni di controllo senza esclusione alcuna (fatta
ovviamente salva l’ipotesi di sopravvenuta perdita di controllo – peraltro
possibile anche a prescindere da mutamenti negli assetti proprietari13
– con naturale fuoriuscita dal perimetro di consolidamento).
Va da sé che qualora una subsidiary fosse classificata “as held for sale”
ai sensi dell’Ifrs 5 (ove acquisita con l’intenzione di cederla entro l’anno,
ovvero se ne fosse pianificata la vendita e fossero iniziate le attività per
individuare a breve un acquirente), i suoi risultati economici e net as-
set andrebbero senz’altro consolidati, tuttavia, detta subsidiary sarebbe
trattata (anche nel profilo della disclosure) ai sensi l’Ifrs 5.
È superfluo dire che tutte le sopracitate problematiche di rappresentazio-
ne concernenti i bilanci consolidati non hanno ragion d’essere laddove
operino, a monte, i casi di esonero previsti (ove esercitati). E, nella pro-
spettiva internazionale, le ipotesi di esenzione del bilancio consolidato per
una controllante sono cristallizzate nel par. 10 dello Ias 27 (una controllante
non è tenuta alla presentazione del bilancio consolidato se e soltanto se):
i) La controllante stessa è a sua volta una società interamente control-
lata (dunque una sub-holding), o parzialmente controllata, da un’al-
11
Analogamente, l’Oic propone l’esclusione dal consolidamento di imprese le cui azioni o
quote siano possedute al solo scopo della successiva alienazione “entro dodici mesi dalla
fine dell’esercizio; se l’alienazione nel tempo indicato non è avvenuta, l’impresa deve essere
inclusa nel consolidamento”. Oic (2006a, 4).
12
Salvo quanto si dirà in tema di Ifrs 1.
13
Si pensi al subentro di un organo di controllo esterno di natura pubblica (organo di gover-
no, tribunale, ecc.).
128
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tra entità, e gli azionisti terzi, inclusi i non aventi diritto di voto, sono
stati informati del fatto che la controllante non redige un bilancio
consolidato e non oppongono alcuna obiezione.
ii) Gli strumenti rappresentativi di debito o di capitale non sono quotati
in un mercato regolamentato (in una borsa valori nazionale o estera
ovvero in un mercato ristretto, compresi i mercati locali o regionali).
iii) La controllante non ha depositato, né è in procinto di farlo, il proprio
bilancio presso una commissione per la borsa valori o altro organi-
smo di regolamentazione al fine di emettere una qualsiasi classe di
strumenti finanziari sui mercati regolamentati.
iv) La capogruppo o controllante principale o qualsiasi controllante in-
termedia redige un bilancio consolidato rivolto al pubblico che risulti
conforme (compliant) agli Ias o Ifrs.
14
Il bilancio individuale è invece il bilancio di una società che possiede solo partecipazioni in
imprese collegate (e quindi non redige il bilancio consolidato) e che, inoltre, non ha una con-
trollante (di primo o successivo livello) che pubblica un bilancio consolidato.
15
Ma derivando da utili conseguiti ante combinazione esso andrebbe scomputato dall’in-
teressenza. È stato altresì cancellato, nelle definizioni dello Ias 27, il parallelo riferimento al
metodo del costo.
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130
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Da ciò, è di tutta evidenza come giovi sia sul piano cognitivo che su
quello pragmatico-operativo esaminare accuratamente e in ottica evo-
lutiva le varie problematiche - ricomponendole a sistema - afferenti alla
valutazione delle partecipazioni in società controllate, oggetto d’aggre-
gazione, alla luce dei mutevoli e in certo modo fluidi standard internazio-
nali, soprattutto in considerazione delle revisioni e degli emendamenti
via via apportati, e che tuttora continuano a essere presentati.
In special modo, è possibile – come visto – individuare una prima re-
cente transizione dalla versione dello Ias 27 in vigore fino al 31.12.2004,
a quella revised dec. 2003 efficace dal 2005 (ancora vigente ma con
parziali modifiche ulteriormente intervenute), passando per gli amend-
ment introdotti con l’Ifrs n. 5 e, infine, approdando al perfezionamento
della phase II delle business combination avvenuta nel gennaio 2008 ed
efficace dal luglio 2009.
È da dire che in relazione alle partecipazioni non consolidabili iscritte
anteriormente al 2005, se nel bilancio separato valeva alternativamen-
te il criterio del costo, il metodo del patrimonio netto, o il criterio del
fair value, nel bilancio consolidato occorreva adottare il solo criterio del
“valore equo”. Tuttavia, come anticipato, con l’applicazione delle regole
veicolate mediante l’Ifrs n. 5 non ha più senso oggi distinguere con-
trollate consolidabili da controllate non consolidabili (Nobes e Parker
2008), secondo un’impostazione che può ritenersi condivisibile fintan-
toché siano fornite adeguate informazioni con le note al bilancio, pena
la non realizzazione della true and fair view.
131
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16
Si rinvia al recente contributo di Romano (2007).
17
Esistono approcci diretti e indiretti di determinazione del goodwill. Peraltro, sotto talune
condivisibili condizioni valutative, la tecnica di stima autonoma e quella residuale possono
convergere (Haaker 2008; Taliento 2006).
18
Cfr. sull’argomento Gelmini (2007), Romano e Taliento (2006).
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133
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19
È previsto nell’ipotesi di nuovo articolato Oic che: “5) le partecipazioni in società controllate […],
possono essere iscritte […], secondo il metodo del patrimonio netto […].”. Oic (2006b, 12).
20
L’Oic puntualizza, in generale, che la valutazione al FVTPL (Fair Value rilevato a conto eco-
nomico) è applicabile alle partecipazioni solo se le relative azioni sono quotate in un “mercato
attivo” o il relativo fair value è determinabile attendibilmente. Oic (2005, 82; 2008, 101 ss.).
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5. Osservazioni finali
Da quanto riportato nei paragrafi precedenti, oltre a vari punti di differenzia-
zione rispetto all’attuale trattamento contabile italiano (peraltro destinati ad
essere presto assorbiti perlomeno parzialmente mediante attuazione – rec-
tius: recepimento – del processo di modernizzazione a valere sulle direttive
comunitarie, settima e quarta, in materia di bilanci societari), si evincono age-
volmente importanti elementi di novità nel trattamento contabile internazio-
nale delle subsidiary entity, di seguito riassunto in breve forma tabellare.
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23
Si rinvia al documento dell’Oic, “Il fair value e la crisi dei mercati finanziari”, emanato nel-
l’ottobre 2008.
24
A onor del vero, a quest’ultimo riguardo, l’Organismo internazionale ha adottato – sul
finire del 2008 – un provvedimento eccezionale (emendamento allo Ias 39 immediatamente
omologato con Reg. CE 1004/2008) che consente in rare circostanze (come ad esempio in
corso di una crisi finanziaria su larga scala) di riclassificare i titoli detenuti per la negoziazione
(trading o vendita) valutati al fair value con rilevazione di utili e perdite a conto economico (Fair
Value through Profit and Loss) alla (più rassicurante) categoria dei finanziamenti e dei crediti
(LR, Loans and Receivables), invece valutati al costo ammortizzato.
139
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