You are on page 1of 224

Digitized by the Internet Archive

in

2011 with funding from


University of Toronto

http://www.archive.org/details/gabrieledannunziOOborg

H V/a.-

CONTEMPORANEI D'ITALIA
II.

DELLO STESSO AUTORE

Storia della Critica romantica in Italia (Napoli


i

Edizioni della

Critica

1905).

La Nuova Germania

(Torino, Bocca, 1909).


(Napoli, Ricciardi)

La Canzone paziente

d'imminente pubblicazione.

Di prossima pubblicazione:

La Falce, tragedia Le trasfigurazioni

in versi.

di

Brunilde, storia

della poesia germanica.

Tbo
G. A.

BORGESE

Gabriele d'Annunzio
CON
BIBLIOGRAFIA,

RITRATTO

AUTOGRAFO

VNoS

ir; RI ym
WgF
,

i^BP
)^s5R^
IL^-5^=r4

NAPOLI
Riccardo Ricciardi editore
1909

PROPRIET LETTERARIA.

Tutti

diritti

di

riproduzione sono riservati.

TIPI

S.MORANO- NAPOLI

A mio

padre

ed air ombra casta di Virgilio

compagna

della

sua solitudine

alpestre.

CHE COS'

IL

DANNUNZIANESIMO?

Ancora fermo
cora lontano
briele
di

sul

culmine della sua operosit, an-

qualche anno dalla cinquantina, Ga-

ininterrotto lavoro. Nel

d'Annunzio pu ripensare a un trentennio di marzo del 1879 si pubblicava giovani Vittorio Gara Prato un opuscolo, ove baglia e Gabriele d'Annunzio facevano augurii e voti all'augusto Sovrano d'Italia Umberto I di Savoia nel... suo giorno natalizio , e vedeva la luce il primo endecasillabo del nuovo poeta
i
:

Lungo

declivi del

romuleo Tebro.

Nel febbraio del 1909


legrafici e telefonici
il

si

propagava lungo
annunzio
di di

fili

te-

lieto

nascita della

tragedia ultimogenita, della Fedra.

Durante quest' ampio intervallo


l'Italia
partiti,
rire

tempo, nel quale

vide sorgere e tramontare fortune politiche e


scorrere di sangue
di
le

strade cittadine e rifio-

una pace carica


di

speranze, balzare da una cuil

pidigia ignorante e perire nel pianto della disfatta

sogno

un impero coloniale; durante questo lentissimo spegnersi d'un secolo vecchio e questo lento

Che cos'

il

dannunzianesimo?

albeggiare d' un secolo e d' una generazione nuova,

che andava seppellendo lentamente superstiti delle guerre e delle congiure tra le quali si fond l'unit e
i

la libert della patria;

attraverso tanto imperversare

di questioni e di passioni

ondeggianti

in

una rapiinfati-

dissima successione di
cabilmente
il

crisi

che mescevano

passato

al futuro;

attraverso tanta irre-

quieta vicenda di uomini e di cose, un sol

uomo

rimasto inamovibile dal primo piano di questa cro-

naca molteplice, che non


storia.

si

fondeva nell'unit della

E queir uomo

era Gabriele d'Annunzio.

Una
si

sola questione, una sola passione, un solo interesse

tornava a

rifluire nell'

anima

italiana,

non appena

fosse placata l'efimera

commozione d'una campagna elettorale, d'uno sciopero agrario, d'un regicidio. E quella inesauribile questione s'aggirava intorno a Gabriele d'Annunzio. Gabriele d'Annunzio o non

un grande poeta? e la sua arte una gloria, che bisogna iscrivere nel libro aureo della nazione, o una macchia da cancellare, una vergogna da espellere? J Sono ora passati trent' anni. Non un anno s'
chiuso, senza che questo idolatrato ed esecrato

nome

tornasse a squillare sulla folla semianomina dei frontispizH allineati nelle vetrine dei librai.
talvolta

Non un mese,

non una settimana,

scivolata nel gurgite del

tempo, senza che agli orecchi ed alla fantasia dei contemporanei non giungesse l'eco fragorosa dell'ultima
avventura spirituale la trama ed il titolo
rale,

di
di

Gabriele

d'

Annunzio. Oggi
scritta

un'opera che non sar


ieri

giammai, domani un duello;


il

un discorso
solo

eletto-

teatro

d'Albano,

la ricetta

d'un nuovo proistante,

fumo, un'amante licenziata.

Non un

Che cos'
durante
tre

il

dannunzianesimo?
,

volte dieci anni

di

concentrazione puin-

dica, di semplice silenzio, di


teriore.

muta elaborazione

Pur

nei rari e brevi intervalli, nei quali della

vita intima ed estrinseca di Gabriele


si

d'Annunzio non propalarono primizie invereconde e ciarlataneschi in ventarli, pareva quasi ch'egli fosse riuscito a rendere
pubblicit la segretezza, fragoroso
il il

silenzio.

Pareva che

popolo italiano soffrisse di questo immeritato abbandono. Che cosa far d'Annunzio, giacch non parla, non telegrafa, non telefona, giacch non diffonde almeno il bollettino delle sue passeggiate a cavallo e non inventa nemmeno una nuova ruota d'automobile? Che cosa cova nell'ombra? Ed il popolo italiano si torceva in una crudele ansiet,

come l'amante,
scuro e con
la

la cui bella si

sia

ritirata

col viso

fronte corrugata senza dargli

un apnessuna

puntamento per il giorno dopo. Nessun sovrano, nemmeno Guglielmo


attrice,

II,

nemmeno
fu

Ccile Sorel, vissuta cos pub-

blicamente ed

apertamente come questo poeta. La

sua casa

di cristallo illuminata da un riflettore elettrico. Chi volle e chi non volle dove apprendere a memoria come dorma e come si svegli
il

come una casa

pi grande poeta dell'Italia contemporanea, in che


le

ora del mattino faccia

sue abluzioni, perch stimi

opportuno astenersi dalle sigarette e dal vino, con che foga faccia all' amore, e dove compri le sue cravatte e quanti levrieri mantenga. Alcune diecine di migliaia sono' le persone che l'hanno conosciuto da vicino;
parecchie centinaia quelle che
gli

dettero

del tu, che

banchettarono con

lui

in

affettuosa dimestichezza, e
di fraterna

udirono dalla sua viva bocca proteste

ami-

6
cizia

Che cos'
e
di

il

dannunzianesimo?
ammirazione.
il

singolare

Ciascheduno

di

questi eletti fu, durante


dine,

suo quarto d'ora

di beatitu-

circondato da un nugolo di tributarii, che, non

potendo attingere alla fonte, chiedevano alla succurbesale, con un fremito di appassionata cupidigia,
i

neficii

dell'intimit.

Ma

quelli,

che rimasero fuori dai

cerchi concentrici delle relazioni personali, nutrirono


la loro

curiosit nei

quotidiani e nelle riviste, per-

corsero interviste e biografie, esplorarono lungamente


i

suoi cento e

cento

ritratti

donde

il

suo sguardo
artista o

vitreo sfuggiva

con l'enimmatica

glacialit della Sfin-

ge. Chi

era

dunque? angelo o demonio?


i

ciurmatore? avventuriero o vate?


Tutti poi lessero e rilessero

suoi romanzi,

man-

darono a mente le sue liriche, applaudirono o fischiasuoi drammi. raro che un pregiudizio o un rono si sia fatto strada neh" anima di un solo itaerrore
i

perch non mai liano per difetto di conoscenza avvenuto in Italia che un artista fosse cos largamente ed esattamente conosciuto come d'Annunzio. Le molte migliaia di copie, nelle quali ciascun libro rappresentano quasi un milione di suo fu diffuso in massima parte non distratti o lettori e lettori fugaci, ma fervidamente curiosi, ardentemente indagatori, usi a tornare sul libro dannunziano gi letto con vigorose discussioni da strada o da caff, con epistole agli amici, con riletture ed urti ed antitesi e sintesi d'impressioni cozzanti. Uscivano articoli e
,
,
;

opuscoli,

si

pronunciavano conferenze
Critici di

e discorsi sul

poeta e sull'uomo.
e d'inesorabile

specchiata imparzialit
saggi, ch'ebbero

acume pubblicarono

volta per volta l'aspetto di un giudizio definitivo.

Che cos'

il

dannunzianesimo?'
il

taluno raggiunse, per conto suo,


tivo,

giudizio definid'

ma

senza riuscire nel compito

imporlo
in

alla

pubblica coscienza. La quale vagola ancora


selva di punti interrogativi.

una

si

rassegna all'incer-

tezza, sbadigliando e rimettendo ai posteri la decisione;

ma

s'affanna vanamente a districarsi dal dub-

in un giudizio enuncon solennit che non ammette repliche, salvo a riprendere il cammino, passando dall'errore superato ad un errore da superare. Tale il fenomeno dannunziano, e non quello che volgarmente si crede. Non sono dannunziani quei quattro o cinque giovincelli, che, dipartendosi da ogni generazione di studenti ed abbandonando il tempio di Minerva diplomata, approdano allo scoglio sirenico di Settignano, imparano a parlare con voce nasale e con giusta dizione, colluttano coi fischiatori al lubbione del teatro d'opera dove nasce con grande frastuono la decima musa, e rimano Paralipomeni delle Citt del Silenzio e imparano a memoria la Prefazione a Pi che l'amore ove s'afferma che dopo Dante Alighieri non c' che Gabriele d'Annunzio. Bisogna

bio, riposando ad ora ad ora


ciato

mitigare l'iniquo disprezzo, che grava su questo fa-

migerato dannunziano,
lato

il

quale pare biondiccio e pe-

anche quand'ha la pelle d'un creolo e la zazzera d'un Assalonne, e pare impubere anche quand' padre di figli, e, giunto sul limitare dei quarant'anni, procrea nella solitudine del suo spirito il progenitore dei superuomini, sfaccettando per un editore, ignoto
di Delfo, le strofe d'un novello Isotperdonare a costui, perch sono danteo. Bisogna lo deridono e l'oltraggiache quelli nunziani anche
il

come

nume

Che cos'

il

dannunzianesimo?
i

direttori di giornali che gano. Sono dannunziani loppano a briglia sciolta dietro la primizia del nuovo poveri diavoli che capolavoro sono dannunziani pagano con un biglietto di medio taglio la poltrona di prima rappresentazione; dannunziani critici che lanciano una catapulta di cinque colonne ad ogni
;

moralisti dell'idolo da infrangere, scomunicano, gli amici trascurati che lo diffamano. Sono insomma dannunziani denigratori non
i

nuovo miracolo
lo

che

meno che gl'idolatri, pappagalli orgogliosi n pi n meno che pappagalli ipocriti definiti esattai i
,

mente dal medesimo d'Annunzio, quando disse che non sapendo aver/o per maestro, /' hanno per padrone e recano in fronte il suo marchio rosso e cercano invano di graffiarlo rompendosi le unghie. Dannunziani coetanei, soffocati dall'incubo di una gloria fragorosa troppo altamente squillante sulle loro vite stentate, che, non sapendo proseguire per un libero cammino, si contorcevano in una grottesca rivalit; e dannunziana la nuova generazione, pi pura
,

ma fiacca inoperosa con una rispettabile ma impotente smorfia di disgusto un edificio di celebrit e di grandezza che fu costrutto con gran fatica di schiena e con grand' impeto di petto. Dannunziani quelli che bociano in una servile frenesia e dannunziani quelli che strillarono di dispetto e d'ira, non escluso il povero Panzacchi, non escluso il poverissimo Chiarini, primo a dar fiato alla tromba dell'elogio (2 maggio 1880) e colto dalla Morte con la frusta del vituperio nel pugno; e dannunziani quelli che consacrano al Gloriosissimo il primo pensiero
di spirito e pi

acuta d'intelietto,

e triste, che spera demolire

Che cos'

il

dannunzianesimo?

mattutino e l'ultimo pensiero serale; e dannunziano


il

Cesareo, che, scrivendo una storia della letterarura

non lo nomina neppure. Giacch essere dannunziano non significa ripetere d'Annunzio e nemmeno adorarlo in una resupina pasitaliana,
sivit.

Significa

ingigantire
lui

V importanza del
o contro di
,

caso

d'Annunzio, pensare per


tregua
e

lui,

senza
sua e
fissa,

senza

della sua
di

dimenticanza persona una specie


si

farsi

dell' arte

di

mana, d'idea

luogo comune, dove


di

rifugia lo spirito nei suoi


in
1'

intervalli

pigrizia.

Ed

questo senso
Italia,

che

il

vero, dannunziana tutta

la

quale, per ra-

gionare e discettare intorno a d'Annunzio, farebbe

un fascio

di

tutte le questioni di politica estera e di

politica interna, di salarii e di scioperi.


,

Perch, se

non fosse dannunziana si sarebbe gi formato un giudizio medio ed equanime dell'uomo e dell'opera; giudizio, per il quale non le mancava n il tempo trent'anni n documenti tutta la vita privata di d'Annunzio, ed in pi la leggenda di questa vita; e tutte le opere, essendo pi che sicuro che non un solo rigo vergato dalla penna d'oca patisce la clorosi del-

l'

inedito

ed,

oltre a tutte le

opere vere, queir

altre
1'

innumerevoli, non mai scritte n pensate, che


tore ha narrate ai reporters dei giornali. pria delle passioni
l'

au-

Ma

pro-

irragionevolezza

sia poi la pasira,

sione amore o sdegno, tenerezza od

ansioso in-

teresse o vuota e dissennata curiosit. Quindi l'uno e l'altro accesso: la nausea per un atto od un libro

dell'individuo d'Annunzio trasportata a tutto l'uomo


e a tutta
1'

opera

1'
;

entusiasmo per una sua

lirica

dolce o solenne generalizzato a tutta l'opera e a tutto

10

Che cos'

il

dannunzianesimo?

l'uomo. La passione non esita nel giudizio, non conma tumultua orgiasticamente da trappesa s ed
i i

una perentoria affermazione ad una negazione furibonda. Tale dunque il fenomeno dannunziano: nuovo pure in una terra, come la nostra, che fu sempre dilacerata dalle contese letterarie. Non ha nulla di simile col marinismo, transitoria effervescenza d'un entusiasmo irragionevole ma concorde; ha poche affinit con la
celebre disputa sul
villosi

Tasso

aggiratasi intorno a ca-

problemi retorici e

alla fittizia rivalit fra

un

grande morto ed un malvivo. Forse siamo vicini ad una soluzione della crisi trentenne; forse va preparandosi
quello
stato
,

di in

pensosa indifferenza
la

di

equanime placidit

cui

giovine

Italia

metter

l'immagine del non pi giovine d'Annunzio al posto che le compete, senz'inazzurrarla d'incenso n co-

Ma, proprio mentre il dannunzianesimo accenna ad esaurirsi, appare pi viva e pi tormentosa all' osservatore la complicata difficolt del fatto storico che si chiude. Come spiegarlo? basta darne la colpa all' inverecondo reclamismo del poeta, che s' fatto commesso viaggiatore della sua
ronarla di spine. poesia, adulando e blandendo, fustigando
i

sensi ed

eccitando

nervi, esibendosi e disparendo al


di

momento
la

opportuno, coronando
nit delle citt

sonetti e di

drammi

va-

suo profitto
il

la

usurpando a funerale od l'ultimo per commozione


morte e delle
citt vive,
altri

subbuglio

generato dal pi recente oltraggio au-

striaco? Altri han tentato d'imitarlo,

l'avevano

preceduto nel metodo; e non rimasero a lungo sulla baster darne il superficie del pubblico interesse.

Che cos'

il

dannunzianesimo?

Il

merito alla sua potenza d'artista? Altri poeti, non

meno
il

grandi e potenti di

lui,

o languirono nell'oscurit, o loro via, senza occupare

fecero tranquillamente

la

posto vuoto, come

la

larva di

Banquo,

alla

colezione

ed

nel

pranzo dei suoi contemporanei. Ci dev'essere suo temperamento qualche cosa di pi alto che non sia l'impostura e qualche cosa di men puro che non sia l'arte; ci dev'essere un nodo assai pi intimo
al

meno banale che non


superandolo,
,

siano

le

solite ricette del

successo. Sciogliere questo nodo significa giustificare,


il

dannunzianesimo, e significa col,

locare

interpretandolo

Gabriele d' Annunzio nella

storia dello spirito

moderno.

IL

LO SPIRITO E L'ARTE DANNUNZIANA NEL LORO SVOLGIMENTO.

J.

La

biografia dell'uomo e dell'artista.


di

Mettete che un biografo


ritagli

aritmetica
d'
,

precisione
in

la vita e
,

l'opera di

Gabriele

Annunzio

tre periodi

di

un

decennio ciascuno
al

dal 1879 al

1889, dal 1889 al 1899, dal 1899

1909.

E mettete
ed edel

che un collaboratore

di

questa
del

insignificante

strinseca biografia noti

come segno prevalente

secondo periodo il romanzo e del terzo il dramma. E che un altro collaboratore osservi come, nel primo decennio d' Annunzio abbia eletto a centro urbano della sua attivit la capitale ed a rifugio campagnuolo di raccoglimento e di lavoro la spiaggia del nativo Abruzzo; come, nel secondo abbia lungamente esitato fra
primo periodo
la
lirica,
, ,

Napoli,

Roma

e Firenze, decidendosi

infine

per

la

campagna toscana, dov'


adolescenza;
cilio

era sbocciata la sua prima

e nel terzo

abbia eletto a suo


e

domiil

lo

sleeping-car dei treni direttissimi

tea-

room

dei

grandi

alberghi internazionali

onorando

la solitaria villa

settignanese di qualche fugace pasdi

saggio nei
nio
le

rari

momenti
facili

sosta. Nel primo decen-

rapide e

conquiste donnesche, nel seconi

do

le

liaisons dangereuses,

durevoli e placidamente

16

Lo spirito

l'arte dannunziana.

confessati matrimonii morganatici nel terzo. Alla ful-

minea fortuna che incoron gi


dine,
il

di

vittoria V esor-

diente seguirono la povert, lo sconforto, la solituridicolo


;

superata

la

decenne
i

crisi

d'

Ansua suo

nunzio abbranc un'


sorte,

altra volta per

capelli la

ottenne V universale

riconoscimento

del

genio, raccolse onori, applausi, vistose mercedi.

Un

avvenimento esteriore separa il primo periodo dal secondo svelando al critico psicologo il segreto della trasformazione. E quest'avvenimento il serprestato dal d' Annunzio a ventisei vizio militare
,
,

composizione del Piacere e quella d Giovanni Episcopo parentesi, che interruppe la gaudiosa vita romano-bizantina e spezz la florida catena dei trionfi. Un altro avvenimento esteriore spiegherebbe la transizione dal secondo al terzo periodo. E quest' altro avvenimento la vita parlamenanni
,

tra

la

tare di Gabriele d'


le

Annunzio,

la

campagna

elettora-

(1897),

il

gesto rivoluzionario di passaggio, anzi


e

di salto, dall'estrema destra all'estrema sinistra (1898),

cui tenne dietro

doveva tener

dietro

La Gloria
le forsi ri-

(1899). Perfino le condizioni di vita pubblica,

tune e

disastri traverso cui

passata
ora

l'Italia

verberano sull' opera del


ora soffondendola
velatura di

poeta,
d'

illuminandola,
e

come

ambigua sofferenza. E

una patina opaca 1' impeto

d'una

irrifles-

sivo e gagliardo della lirica giovanile

concludereb-

nostro immaginario biografo psicologista e tainiano coincide con la folata africanista, con l'imperialismo marittimo di Brin, con 1' orgoglio Crispino,

be

il

col furore affaristico e avventuriero

della terza

Ro-

ma. Mentre l'ansioso e malsicuro raccoglimento, che

La biografia dell' uomo


va dal Giovanni Episcopo
al

dell'artista.

17

alla

periodo disastroso,
il

fra

Dogali ed

Gioconda corrisponde Abba-Carima,


le

fra
la

disavanzo

e le schioppettate; finch, rinnovata

pace

e la fiducia,

Italia

fonda

basi della fu-

tura prosperit, e Gabriele d'Annunzio restaura, dentro


il suo spirito, la gioconda armonia giovanile, sinfonizzandola nella vastit dell' esperienza vissuta e nella ricchezza di un cervello maturo.

Ebbene,
press' a

le

tappe

di

questa biografia esteriore, che


averla

noi ripudiamo,

dopo
le

inventata,
le

coincidono
che
noi

poco con

tappe e con

crisi,

narreremo nello svolgimento interiore dello spirito di Gabriele d'Annunzio. Noi scegliamo un altro metodo, perch crediamo che la vita proceda dal di dentro al di fuori, e non dal di fuori al di dentro, e crediamo che
lo spirito spieghi l'evento e

lo spirito.

cui

non che l'evento spieghi Scomporre d'Annunzio entro una storta, sul fondo si dopositi una certa dose di Abruzzo viorealistico sensuale e coloristico
(di

lento

quel

co-

modo Abruzzo,
incolparono
liani di

inventato dalla critica paesana e poi

giustamente sfruttato dai giornali austriaci,


di

quando
un' altra

metodi abruzzesi

gli studenti ita-

Vienna), mentre dal collo svapora

considerevole dose di quella


intrigante,

Roma sommarughiana
,

e tanlonghiana, spudorata ed affaristica, festaiola ed

che

tutti

sappiamo a memoria

sarebbe
per
chi

un' operazione troppo

comoda

e sbrigativa

vuole arrivare ad altro che a chiacchiere. I fatti see guono lo spirito, come V ombra segue il corpo
;

perci gli somigliano, e perci

narrati

abilmente,
la

sembrano comprendere ed esaurire tutta un uomo e tutta la sostanza di un'opera

vita

di

d'arte, anzi
2

18

Lo spirito

l'arte dannunziana.

di esplorarla nell'intimo e di coglierla in genesi. In


realt,

ma

dati dell' eredit e dell'


il

un temperamento individuale d'artista trasforsecondo la ambiente


,

sua legge e

suo volere.

Non

tutti

figli

della si-

gnora d' Annunzio arrivarono a comporre le Laudi o qualche cosa di simile; n tutti gli abruzzesi furono giovani letterati, che voluttuarii e violenti, n tutti cantarono o circolarono neh' orbita di Sommaruga
i
,

tentarono di attuare

il

poteva a Roma,

oltre

superuomo. Anche nel 1883 si che nella redazione del Ca,

pitan Fracassa e della

vere nei corridoi del


teche; e
gli
si

viCronaca Bizantina musei e nelle sale delle Bibliola

poteva, invece che

Roma
la

pontificia de-

obelischi e delle fontane, amare


e degli archi,

Roma

delle

terme

della forza misurata e della sa-

il

pienza legislatrice. Ed a Firenze si poteva imparare placido ritmo del rinascimento, ed a Napoli la
franca schiettezza d'un riso perpetuo, che sgonfia
le

vesciche verbali ed uccide


e dalle

le

formule inani. Se da

Roma, da Napoli e da Firenze, dalla civilt moderna memorie classiche, da Carducci e da Maupassant, Gabriele d' Annunzio ha imparato certe dealtre

terminate cose e non certe

questo

avvenne,
altre,

perch di quelle determinate cose, e non delle

aveva bisogno La cui vera


zioni etrusche
,

il

suo

spirito.

storia

comincia

non

dalle

immigra-

n da Ovidio Nasone abruzzese n

dalla crisi edilizia romana, e

non si ricerca nella genealogia dei d' Annunzio n in quella dei Rapagnet-

ta,

ma
di

comincia e
Il

medesimo.
finit

d'Annunzio una incause e d'influenze, che nemmeno approssi

ricerca in Gabriele

quale nato cos e cos per

La biografia dell'uomo
simativamente
si

dell'artista.

19

possono discriminare. Ogni


infinite,
le

indivi-

duo
rono

la sintesi delle
alla

cause sua formazione, e


la storia

che

contribututte in se

comprende

stesso.

Ma
fa

e la critica di

quest' individuo

non
rio

si

con un'

analisi arbitraria,

ricercar V infinito.

La

critica

parte da un' altra sintesi.

essendo arbitrauna sintesi che Vogliamo dire che la sua


,
,

opera non procede a ritroso non nunzio cercandone gli elementi nel
nutrice,

giudica

d'

An-

nonno

nella

ria glieP
in
la

lo prende dalla storia cos come la stoha dato, trasforma P intuizione dell' artista coscienza d'arte, e, trasformatala, la supera. E

ma

storia d'un individuo fisico

comincia dal momento

della sua nascita,


ria d' in cui

non un attimo prima; come la stoun temperamento artistico comincia dall'istante questo temperamento divenuto attivo, rivei

landosi in un' opera. Fatta

P unica reale,

con episodii di e con itinerarii pagne elettorali, con aneddoti


I

la storia interiore, che potranno a loro agio illustrarla cacce e cP amori, con serate teatrali di viaggi, con servizii militari e cam-

lettori

e cronologie.
i

decennii,

periodi, le crisi e

rinnovamenti este;

anzi non contraddiranno alla sintesi storica non ne sono mentre parranno tutt' uno con essa,
riori

che

le

pi

facili e visibili
i

esemplificazioni. Perci noi


e
i

trascureremo

fatti,

fatterelli

fattacci della vita

privata e pubblica di Gabriele d'Annunzio.

E non

baderemo che
tistico.
Il

all'

intimo

dramma

del suo spirito ar-

giudizio sull'uomo

se

pur fosse neces-

sario

scaturir

da

s.

20

Lo spirito

l'arte

dannunziana

2.

Origini del temperamento di d'Annunzio*


I di

A Umberto

Savoia (1879)
In

Primo

Vere (1879)

Memoriam

(1880).

sto spirito artistico.

Leggiamo, un momento, la fede di nascita di queLa fede di nascita un piccolo volume in trentaduesimo, stampato sul finire dell'anno 1879, nella tipografia di Giustino Ricci, a Chieti. S' intitola Primo Vere. commovente indugiarsi alquanto fra quelle impacciate fanciullaggini, quando si pensa alla forza e alla gloria che dovevano seguire. L' autore non contava ancora diciassett' anni; e, fuori che la sua vecchia ed umile casa di Pescara e le nude pareti del Collegio Cicognini, non aveva

mondo e meno ancora del bel mondo. La Roma di Sommaruga non esisteva nemmeno in sogno le amanti la gloria la fortuna esistevano in
nulla visto del
;

sogno, come esistono per tutti collegiali nella stanchezza del compito gi scritto e nel disgusto del compito da scrivere. Con quale ambiente di corruzione
i

e di lusso

potrebbe interpretarsi
ridursi all'eredit
Il

il

Primo Vere?

bi-

sognerebbe
fiorentino.

abruzzese con innesto giovinetto dedicava poemi classicheg-

gianti sull'Etna ai cari genitori

Francesco

Luisa

scriveva sonetti
per far piacere
di
ai

in

memoria

professori,
vero che

nonna defunta, e inneggiava ad Umberto


della
I

Savoia.

Non

precoce; la
no, fra
belli
i

d'Annunzio sia stato un massima parte dei ragazzi d'ingegno soi

sedici e

diciassette anni, pi colti, pi

ri-

meno

puerili

che non fosse d'Annunzio nel-

Origini del temperamento di d' Annunzio

21

Tanno suo

di nascita 1879.

Scrivono, per, versi pi

componimenti liceali chiuso il germe d'un temperamento artistico, ed il temperamento gi quello di d'Annunzio. Carducci o Stecbrutti dei suoi. In questi

Leggeva ed imitava l'uno e l'altro, ma cercando se stesso. Gli piaceva di Stecchetti la licenza,
chetti?

gli

ripugnava

la

tenerezza;

goglio, senza capirne l'austerit.

amava di Carducci l'orVagheggi una specon


la

cie di Stecchetti in versi barbari,

sua mollezza
il

scherzevole

divenuta
la

impeto
forma.
Il

affermativo. Simile

contenuto, dissimile

piacere sensuale colto

quasi nella solennit di un dovere morale; non leg-

gerezza,
ciano.

ma

legge;

il

libito

inculcato con l'energica

persuasione e l'alterigia verbale del civismo carduc-

Che

era

il

Carducci, visto da d'Annunzio, se


satiri

non
delle

il

cantore di violenti accoppiamenti fra

ninfe? Indirizza un'ode a Enotrio

Romano, Autore

Odi Barbare
pur
e
la

Musa
il

ne' suoi caldi baci

t'infuse
ti

foco ch'animava Alceo,

ricinse

d'eolie

d'un vapor soave ambrosie?


strofe

Volan

le

come
molli,

saette:

da '1 tuo libro ardite volano con suoni


d' ellenica vita,
:

con

risi

dolci, balzanti

volano, e V alma innamorata cede con disio lento a 7 fascino giocondo.

Carducci divenuto giocondo, molle, dolce, soave.


I

caldi

baci delle

Muse escono

quasi quasi

22
di

Lo spirito

l'arte dannunziana.
la

metafora, e scivolano quasi quasi verso

por-

nografia:

Nude

ne' giri

guizzavan

le

forme

snelle, procaci...

Il

Carducci dei professori, dei carducciani, e fordi

s'

anche

Carducci medesimo
saette
e del

quello

delle strofe
,

volanti

Alceo persiste nella fantasia del giovinetto come un'immagine imparaticela, raccogliticcia, cozzante con quella eh' la sua immagine di Carducci, insita alla sua personalit, consentanea al suo temperamento. Era un Carducci irreale, ma realizzabile: un poeta il quale prenfoco di

come

desse sul serio quel materialismo e quel cinismo, che

non riusciva a prendere


lebrasse la lussuria e
lennit
e ditirambico
la

sul serio Stecchetti

e ce-

violenza con platonica sodi


il temuna cattedrale go-

ardimento. Traslocare

pietto di
tica.

Venere nelP abside


cantate, nel

Primo Vere (l'autore, pi da aragnominava Floro o si Floro Bruzzio), un'Ora tetra, un'Ora soave, un'Ora gioconda, un'Ora satanica, che non sono precisamente le Ore dell' Ufizio. Leggiamo 1' Ora gioconda :

Sono

cade

che da

carducciano

In questi

oceani di rosee luci mi beo: mi beo in queste danze di visioni arcane, e mentre respiro quest' aure portanti profumi una trepida voce suona d'intorno e dice: un riso la vita: l'amore un raggio fecondo;
godi, Floro, la vita; godi l'amore, o Floro
!

Origini del temperamento di d' Annunzio

23

Godimento non sottilmente


fuso d'ideali malinconie:

spiritualizzato, n sof-

Solleva, o Lilia,

il

bianco vel virgineo,


;

apri le braccia ed in un bacio donati


io voglio...

voglio sul tuo seno turgido


!...

morir morire, o Lilia

S'era fatta una figurazione piuttosto ottimistica del

mondo

questo

gaio

giovinetto

quella figurazione

che torner, con un accento d'indiscutibile fede, nel Canto novo:

Oppresso d'amor,
il

di piacere

popol dei

vivi

s'

addorme.

Io

era

dir

ancora pi

tardi, tratteggiando di s
ritratto:

adolescente un felicissimo

Io

era un buon fanciullo: un poco sciocco.


nel petto, di dolcezza
il

M' ardea,
con
la

core;

che non pure una volta aveami tocco

sua lancia

il

cavalier Dolore.

Felicissimo

salvo

in
i

questa inevitabile illusione


quali
la

degli anni pi maturi,


l'indistinto della
rizia tutta

memoria,

quanta festosa e
,

van fabbricando, nelleggenda di una puegioconda. Il dolore acdal primo vagito al-

compagna
conosceva

invece

il

piacere
il

l'ultimo rantolo.

Ed anche

poetino del Primo Vere

l'afflizione, afflizione

vuota com'era vuota

24
la

Lo spirito

V arte dannunziana.
di

sua gioia: questa intessuta


di

sogni, quella della

stanchezza

sognare:
tedio gelato su
in

Un lungo
e

'1

core mi pesa,

l'anima

un

letto di spine giace...

Su

le

vegliate carte la povera

penna mi cade,
i

e indarno, o amico,

sopra

miei carmi sudo...


si

Oh mio Giovanni,
Guarda
in
Ieri

sogni perch

dileguano presto?

poco tempo quale mutanza strana: la vita rise benigna com' alito d' alba, oggi m' appare fosca come piovosa sera.

quando 1' ora tetra indugiava, e, trascorsa che fosse, non le seguiva un'altr'ora gioconda, allora il poeta, pur di non guardare a faccia a faccia il dolore, abbandonava l'anima sua in preda a Satana. Il quale Satana non era quello di Carducci, spirito della
E,

negazione scientifica, e ma un Satana tutto speciale e individuale fabbricato ad uso del giovinetto e studente liceale d'Annunzio, che voleva godersi la vita e conoscere il mondo:
rivoluzione
sociale e
della

nemmeno

quello

del vate Rapisardi


,

No

pi non voglio dolcezze d' amori ideali,

di latte e mele non voglio carmi: non pi carle gentili tra' fiori a '1 tramonto, non pi femminee nenie, non pi languori...
i

pregni

Vola, Satana, vola su

la

grand' ala di foco:

sfammi

a fianco e ispirami: son tutto tuo!


i

Voglio l'ebrezze che prostrano l'anima e sensi, gl'inni ribelli che fan tremare i preti:
voglio ridde infernali con strepiti e grida insensate,
seni d' etre su cui passar le notti
:

Origini del temperamento

di d' Annunzio

25

voglio orgie lunghe con canti d'amore bizzarri;


tra baci e bicchieri

voglio insanire...
grand' ala di foco:
:

Vola, Satana, vola su

la

stammi a fianco

e ispirami

Tema
Per

il

vile

il

futuro su' gelidi

lini

son tutto tuo! de 'Metto..

lui ragli

come una donnaccola, con pentimenti e lai. un requiem co '1 viso compunto il curato
;

e la beghina pia due lagrimette sparga un abatino ponzi per lui un sonetto morale e un santo padre scriva il panegirico... Ma io con la spada ne '1 pugno e di fronte a' nemici con lo scherno su' labbri morr da forte: morr tra' gridi feroci de' vati compagni, tra gli strilli canini de' vinti che fuggono. E l'estrema parola sar una sfida superba, una minaccia atroce sar il mio moto estremo. Su questo corpo esangue gli amici porranno corone, e

fremeran su l'arca

liberi carmi...

Vola, Satana, vola su la grand' ala di foco;

stammi a fianco
Lacerate
la

e ispirami:

son tutto tuo.

finzione anticlericale, con cui

il

nuovo

poeta
pretate
ralit

si

riattaccava artificialmente a Carducci. Inter-

il furore pretofobo come furore contro la moconvenzionale o contro la moralit, sic et simpliciter. Aggiungete una verniciatura semifilosofica, nietzschismo o un che di simile, che l'imberbe scolaro non trovava ancora n sentiva bisogno di cer-

care.

Ed
la

avrete gi bell'e confezionato


il

il

superuomo

con

suo piccolo bagaglio di aforismi: per non dormire, soffrire e far soffrire, navigare necesse est, la saggezza non vai legno fi-

morale eroica e

culno

Rivelando

agi' Italiani

il

nuovo poeta

Giuseppe

26

Lo spirito

l'arte dannunziana.

Chiarini scriveva: C' nel libro del d'Annunzio...


la

ostentazione di sentimenti e desiderii, che mi piace non creder veri. La poesia intitolata Ora satanica una cosa poeticamente e moralmente brutta. Un giovinetto di sedici anni, pieno d'ingegno e di cuore,
d'

pieno

entusiasmo per
il

le

cose belle e per

1'

arte,

come

di certo

nostro poeta, deve desiderare qual-

che cosa di meglio che ridde infernali con strepiti e grida insensate, che seni d'etre su cui passar le notti.
Simili desiderii

suo cervello

in

o poco felice

non possono essere che schiuma del di poco sana ispirazione imitazione. Giuseppe Chiarini era un
un momento
che sfornito
di

onest'uomo,

tutt' altro

senso

critico;

ma
1'

l'onest gli ottundeva qualche volta l'acume del


critico.

senso

Visse abbastanza per accorgersi che

non era una fugace frenesia nel volle persuadersi che bisogna poeti, quando sono poeti, cos come soprendere no, e che queste non fugaci frenesie corrispondevano momenti essenziali nello spirito di Gaad uno fra briele d' Annunzio. Abbiamo voluto discorrere ampiamente intorno a

Ora satanica
i

giovine poeta;

ma non

questo fiacchissimo e
e

fanciullesco tentativo poetico

Primo Vere con pi parole che non spenderemo intorno alle Laudi, appunto per fissare il ritmo del temperamento dannunziano fin dal suo primissimo albeggiare, quando all'orizzonte mentale e morale del poeta non erano apparse n le dame romane n poeti decadenti, n la musica secentesca
parlare del
i

la filosofia di

Nietzsche. In questi
balbettamenti
,

tre malcerti

quasi inarticolati

neh'

Ora gioconda,

nell'Oro tetra e nell'Ora satanica, gi tutta avvi-

Origini del temperamento di d' Annunzio


luppata ed implicita
lettica del
la

27

storia e,

direi quasi,

la

dia-

temperamento. C' una tesi che la gioia, ed una antitesi che la stanchezza di godere. Ma invece della sintesi abituale che sarebbe un sentimento carico di dolore e di gioia commisti ricco insomma di umanit e di quel malinconico ottimismo, che afferma la possibilit di superare il dolore negando la saggezza di rincorrere la gioia, il d'Annunzio forma una falsa sintesi la quale costituisce
,
, ,

lo

specialissimo contenuto della sua arte. Giunti alla


e,

nausea, bisogna tornare indietro alla gioia;

se la

gioia non cede, bisogna sforzarla. Se non nasce da


s, bisogna produrla artificialmente. Nata di nascita non naturale generata dall' acre veleno degli eccitanti, questa seconda gioia non sar limpida e tranquilla. Si conveller negli spasimi, vanegger negli incubi, porter seco nuova sofferenza. Ma questa sof,

ferenza sar preferibile alla prima, ed

il

delirio sar

meno amaro
mentre
lont.
il

del

dolore

perch

il

delirio
,

cieco

dolore illuminato dal rimorso

e questo
la

suscita mentre quello inebbria e

addormenta

vo-

Noi

che non facciamo


,

moralisti a proposito di

poesia

possiamo evitarci la pena di discutere se questo schema di sentimenti sia lo schema dell'uomo probo o dell'egoista e malvagio, se generi una poequasi che alla poesia potesse sia sana e malsana tastarsi il polso per constatare altra sanit che una
,

sanit estetica, cio l'espressione raggiunta, o per

diagnosticare altra malattia che una malattia estetica,


cio l'espressione imperfetta.
sisteva
Il nostro compito conunicamente nel constatare che questo non
,

28
altro,

Lo spirito

V arte dannunziana
dramma

r intimo
in

dramma

dello spirito dannunziano,

e che la linea di questo

era gi nettamente

disegnata

Gabriele d'Annunzio adolescente, ignaro

di letteratura e filosofia

decadente,

immune
,

di vizii
di

vissuti e nutrito di Carducci, di

Stecchetti,

Ora-

zio

di

qualche

altro classico latino


il

nel quale egli

non trovava certamente


volutt volontaria.

disgusto della volutt spon-

tanea soffocato nell'acredine ribollente di una nuova

3.

L'ora gioconda.

Canto novo (1883)


Il

Terra Vergine (1883)

libro delle

Vergini (1884).

Tra il 1879 e il 1883, avvicinandosi ai vent'anni. d'Annunzio ebbe la sua ora gioconda. Libero dalla
disciplina del convitto e dal fastidio dei compiti scolastici,

in

contatto del

monte
degli

e della marina nativa,

vegliato dalla tenerezza orgogliosa dei parenti e dagli

speranzosi
in

vaticinii

amici

egli

conobbe,
la gioia.

non
Era
la

sogno,

ma

in

viva ed effettuale realt,

la fisica

gioia di sentirsi giovane, alacre, forte:

gioia di
terra e

sapere infine
del

che cosa

fosse

il

colore
,

della

mare

lo
il

stormire degli alberi

il

pullulare della primavera,


la felicit di sentirsi

bacio delle donne. Era


vita rigogliosa e sana,

vivo.

Una

libera di

ansiet e di timori,

non oppressa da lani

la sua immaginazione, come le giuste nozze fecondano fianchi d'una vergine non ancora impallidita dalla lunga

guidezze, fecondava in un ampio sorriso

L'ora gioconda.
attesa n corrotta dalle solitane libidini. Dentro
il

29

suo

animo non v'erano


stanchezze.
Il

non v'erano nemmeno mondo esteriore s, g' imponeva un


contrasti,
,

contrasto. Sotto al sole abruzzese, in riva al velivolo Adriatico


si

torceva molta infelicit


S'egli

pian-

geva molta miseria.

non avesse

letto

Giovanni

Verga, avrebbe anche fatto a

meno

di
,

accorgersene.
e g'

La

letteratura lo costrinse

a guardare

impose

d'impietosirsi.

Era una piet sui generis, se pure piet vogliamo


chiamarla, simile
nario, che
al

sentimento del

non

riesce a capire

come mai

bambino milioil suo com-

pagno
ch
di

di

velluto.

prima elementare vesta di fustagno anziLa piet il sentimento obbligatorio,


,

imposto dai genitori, dai maestri;


cinnato (Terra
sa,

in altri termini,
in

una costrizione sociale. Vedete, per esempio,


Vergine)
il

Cin-

ragazzino beneducato, che

e vuol far sapere, di essere

beneducato:

Dopo

lo rividi spessissimo; quando passava nella via lo chiamavo sempre per dargli del pane. Una volta gli offersi certi soldarelli, che m' avea dati la mamma: lui si fece serio, li respinse con un gesto sdegnoso, e mi volt le spalle. La sera P incontrai fuori di Porta Cincinnato, perdoNuova; mi avvicinai; gli dissi:

nami !

il

Ma

sentimento serio, quello che sinceramente

si

sveglia neh' animo del piccolo d' Annunzio,


di piet,

non
:

ma

di curiosit.

Nemmeno
ilari,

cattiveria

interesse per l'incomprensibile. Giacch incomprensibile

che non

tutti

siano

sani, agiati, felici codi

me

lui.

Quindi una confusione

tendenze imprecise

e cozzanti:

da un

lato

1'

onesta

(in istile

pedagogico

30
si

Lo spirito

l'arte dannunziana.

direbbe commendevole) intenzione di soffrire per sofferenti e la letteraria velleit d'interpretare auste-

ramente

il

dolore,
la

come
sana,

il

Verga; dall'altro

suo maestro Giovanni sebben brutale, indiffeassolu-

renza della creatura perfettamente felice ed

tamente ignara
zare per
il

di

patimento, che non pu simpatiz-

dolore

come V innocente non pu


;

sentire

n indignazione n indulgenza per la colpa


l
1'

pi in
quel-

un qualche segno
osservare
1'

d' infantile

perversit

in

altrui

sofferenza avidamente,
la

come per
coscienza
accetil

servirsene a conquistare, nel contrasto,


della propria felicit.
tato
Il

dolore viene dunque


del

come un abbellimento
in

mondo, ove trova

quanto singolare, bizzarquella diversit, che diciott' anni ro, espressione di pi tardi apparir divinizzata nelle Laudi, e che agisce

suo posto, non solo

come energico

antidoto contro la noia e la


la

ma-

linconia,

ma
la

in

quanto salsisce

gioia,

facendola

Un po' 1' animo frivolo damina del basso impero assisteva alle truculenze del circo pollice verso un po' uno stato
pi saporosa e pungente.

con cui

parallelo alla filosofia dei poveri di spirito

quali

credono che

mascalzoni esistano perch sia possibile decretare un premio di virt alla gente per bene e che l' umana imbecillit serva di sfondo al quadro
i

su cui risaltano

pregi delle persone d' ingegno.

Cos nel
degli
altri

Annunzio di Terra Vergine la miseria d una risonanza al suo godimento, come


d'

un'astinenza morale che stuzzichi l'appetito: Agli sguizzi dell' impiccato, pe '1 silenzio del Venerd
Santo, la Caterina vibr cinque o sei squille improv-

L'ora gioconda,
vise,

31

gaie, argentine,
di

con un luccichio vivo, susciin parte,


il

tando un volo
delle

rondini dalla tettoia nel sole.

Terra Vergine (1883) ed anche,


tiva di

Libro

Vergini (1884) sono, rispetto alla prosa narra-

d'Annunzio, quel che

il

Primo

Vere

(1879)

era rispetto al suo verso lirico. In questo Carducci e


Stecchetti, in quelle

Capuana

e Verga.

La maturit

del prosatore ritarda, abitualmente, di qualche anno


sulla maturit del verseggiatore per la vieta ed ov-

via ragione che pi difficile

esser

liberi

anzich

anche pi difficile acquistare nozione del mondo esterno come materia di narrazione oggettiva anzich ripiegarsi su s medesimo e liricamente sfogarsi. Considerare la vita come un'immensa partita di piacere (oppresso d'amor di piacere il popol de' vivi s'addorme) e il mondo, a somiglianza della Cina nella famosa operetta, come
seguire uno schema.

un

paradiso

di

volutt

impossibile

senza

ca-

dere nel grottesco.

D'altro canto,
se
lo
il

il

d'Annunzio non sapeva ancora


umanit
lo

dramma

della miseria, della malattia, della morte,

colpisse per la sua

per

la

sua

mo-

struosa speciosit.
di questo,

Ma

colpiva frattanto. E, senza


il

non

si

capirebbe

Canto

novo.

Acquichiu-

stare coscienza della propria felicit significa

dere una coscienza, sia pur torbida e implicita, dell' angoscia degli altri. Come colui ch' perfettamente
fettamente ed unicamente felice
tuale.

innocente non ha vita morale; cosi colui eh' pernon ha vita spiriin una taciturna non scrivono versi. Considerate, per un momento,

Prospera

vita

vegetativa.

gli alberi

il

Canto novo, quale

32

Lo spirito

l'arte dannunziana.
nostra
analisi

apparve nel 1883. La

confermata
ai

dalla struttura del libro, nel quale, accanto


veloci, celebranti la natura

ritmi

gaudiosa
di
si

e gl'impeti d'a-

more, abbondano
ficiale

le

poesie miste

tenerezza

arti-

e di

violenza verbale, ove

geme

sulle scia-

gure dei

derelitti:

Godete, godetevi balli e le cene, o felici; sognate entro a' ben caldi letti. Fuori, ne le strade fangose, ne' sozzi angiporti,
i

ne
l

le

soffitte,

ne

le

stamberghe a

'1

buio,

dov' fame, dov' freddo, l dove

si

muore,

a notte un sordo fremito propagasi.

Queste novelle

in

versi,

dove
indi reclina

Toto ascolta anelante;


!a
si

grossa testa;
sente
il

si

fa

bianco bianco;
la

sangue a

gola salire...

dove

il

bastardo Rossaccio pensa:


Io sono un cane; neanche una carezza, Io sono un cane; n anche un bacio
e'

per

me non
e'

non

sono
la

l'

anello di congiunzione fra

il

Canto Novo e
trillanti

Terra Vergine,

come

pezzi di prosa

di

uccelli in

amore,

sfavillanti di

primavere turgide, ui

midi
cioli
Il

di

baci rusticani sono, in Terra Vergine,

tru-

della materia poetica elaborata nel

Canto Novo.

critico migliore di
d'

medesimo
maturit
le

questo primissimo periodo fu il Annunzio, che, raccogliendo nella sua Novelle della Pescara (1902), ripudi tutta

L'ora gioconda.
Terra Vergine e presso che tutto
e,
il

33

libro delle Vergini;

licenziando

1'

edizione definitiva del Canto

Novo
e

(1896), ne espulse tutto ci che non fosse libera ingenua celebrazione di gioia.

Ma

quello che ne rimase rimane anche oggi fra


e

le

cose pi stupende
nunzio.

meno

periture di Gabriele

d'Ancar-

Come

rapidamente

esulato lo spirito

ducciano dai
gravato
d'

ritmi barbari e dalle strofe scalpitanti;

quello spirito carducciano, che giungeva alla natura

una sublime e tuttavia libresca malinconia e, quando v' era giunto, la guardava attraverso un sottilissimo ma illacerabile diaframma
nostalgica,

cartaceo

gite delle cose, ed,


tura,
si

D'Annunzio si tuffa risolutamente nel gurappena in contatto con la nasente natura egli stesso. Le strofe precipi!

tano gorgoglianti e fragorose


di confluire nel
le

come avessero

fretta

mare

dell'essere; le difficolt verbali,

durezze

d' espressione, le

incongruenze

stilistiche,
i

non bastano a raffrenare l' impeto lirico, come ciottoli non arrestano torrenti ma fanno percosse dall'acqua, musiche dolci ed acerbe, e suscitano dali
,
,

l'

urto cascatene scintillanti.


Il

mare,

la selva, la

spiaggia, la

bella frenante la foga dei lombi stupendi


tra le
alta,

prunaie rosse gi per


schiusa
'1

la
1'

china audace,

le

nari feline a

odor de
:

la

selva,

violata da

sole, bella stornellatrice

tutto egli

contempla con
al

lo stesso desiderio, e,
all'

do

egli parla

mare,

Oceano che

gli

quantempra

nervi e canzoni,

non

gli

basta chiamarlo:

Mare

34

Lo spirito
Mare
!

l'arte

dannunziana

O
lo

con

le

grandi sillabe nostre; lo invoca con

strepitoso trisillabo ditirambico dei Greci:

Thneldi

latta!

Thlatta!

e,

l'alcaica ne rimbalza.

Vede

T Oceano
fiori
lini,

infecondo vivere
alighe
in

una

strana

famiglia

violenti, abitare divinit occulte in palazzi

sa-

navigare
si

le

come

bisce.

Le forme della
gli
s

natura
alberi
le

s'

mescono animano
i

improvvisi abbracciamenti, e

nell'ardore del suo respiro,

che

foglie cadute somigliano ad attoniti occhi di grandi

carpe, e
e
i

pioppi sono cinerei boa

eretti sulla

coda,

tronchi dei vetrici sono najadi rosse prese alla


1'

chioma, pendule sopra


rono, quando fra
gli

acqua.

L' unit panica delle cose,


i

che

gli

antichi

intui-

tronchi,

fiumi, le fonti, le stelle,

animali sentirono tale fraternit che uomini e di

passavano

agevolmente

dall'

una neh'
le

altra

forma,
in
,

questo spirito

terribile e dolce,

che accomuna

un

immenso

tremito musicale tutte

era la significazione profonda


dei miti, rivisse nell'

ed cose viventi delle metamorfosi e

anima

di

un poeta fanciullo.

Il

mito non pi mitologia. Egli non s'industria a costringere in versi politi le favole lette nei
libri; egli

narra di s.

narra

come

lo

tenesse

il

sonno, e co-

me, pur non sentendo le mani e il fiato della sua amica carezzevole, sentisse serpere per tutta la percapelli vigoregsona una virt ignota. Ed ecco giano come un cespuglio, nervi si fanno radici, il sangue fibrille, ed ecco dal cuore sale la linfa vermiglia fino alla cima:
i
i

Allor nel sole fuor dalle rosee

gemme proruppe

subita a

1'

aure

L'ora gioconda.
V infanzia gentil de
e
le

35

rame;
i

da

le

rame

le

foglie,

fiori

lucide foglie, oltremirabili


fiori,

corolle

ampie

di

porpora

che ardendo rendevano odore come urne piene di fuoco e aroma.


la sua ombra caprofumi sull'amica del poeta; ed essa, bevendola, cantava in una divina ebriet

E V

albero miracoloso spandeva

rica di

Cantavi come

in

una favola,
I

incoronata d'oro.
d'

miei calici
tua voce.

purpurei s'empivano, come

una rugiada, de
il

la

canto e
il

il

fiore,

prodigio duplice

sagliente,

cielo

Ah, tutta

la gioia

sommo attingevano... del mondo


mio
fiorire
!

ne! tuo cantare, nel

chi T

invocava con tanta puerile esultanza e


la

la

celebrava con cos franca riconoscenza,


gioia, la gioia, la gioia

gioia ( la
!

la

libera donatrice

si

concedeva, senza sussulti e

senza

lussurie

come

una Musa contadina. L'amore di Lalla rimase il pi schietto nell'opera di Gabriele d'Annunzio.

e giocondo,

36

Lo spirito
4.

l'arte dannunziana.

La

crisi

sensuale.

Piacere (1889)

San Pantaleone (1886) L'Isotteo e la Chimera (1890) Elegie Romane (1892) Poema Paradisiaco (1893) Trionfo
Intermezzo di rime (1884)
//

//

della

Morte (1894)

Le

Novelle della Pescara (1902).

Se Gabriele d' Annunzio si fosse fermato a Lalla, sua vena si sarebbe esaurita rapidamente. Egli non era di quelli, che dalla coscienza del piacere traggono una durevole e tranquilla euritmia epicuraica; e, quando imitava P hoc erat in votis oraziano, non dimenticava di aggiungere alle delizie della sua immaginaria villetta sul mare un agile veliero,
la

simbolo e germe dei futuri yachts. Il carattere singosua gioia, quello che, malgrado le metamorfosi e i miti, collocava d'Annunzio agli antipodi della letteratura classica, era un infrenabile anelito
lare della

verso una gioia pi vasta. Dell' amore di Lalla e di questo primo virgineo contatto con la natura e col

mondo
che

egli era esultante

la felicit

siderio e la

maricarsi di

ma non felice, nel senso sembra includere di identit fra il decosa raggiunta. Pur non avendo a ramnulla, sospirava egli nel Canto Novo:

madre, mi chiama un intenso desio di battaglie a genti ignote, lungi, ad ignoto cielo
!

Era dolce P incanto dei sereni occhi materni, una pace nuova si sentiva egli fluire pel sangue, quando, sfinite
dal nuoto
le

membra
alla

dalle corse

folli,

dai galoppi,
il

posava

madre

sulle ginocchia

capo

L a cr isi
riarso, e la sua

sensuale

37

mano

lene gli scorreva entro le

calde.

Ma

bisogna

partire.

chiome Voi presentite gi le in-

vocazioni alla madre, alla casa paterna, alle sorelle che ritroveremo pi tardi nei Poema Paradisiaco e nella Laus Vitae. E le presentite con la medesima motivazione eroica, con cui d'Annunzio giustificher verso il 1900 la sua lontananza dal focolare. Sarebbe
dolce posare sotto
glie
il

tetto

arguto

di rondini, in vista

della placida marina;

ma

un intenso desio

di batta-

sprona lungi il corsiero fremebondo Quale vittoria? quale battaglia?

di vittoria.

Me
ode

attende una torva battaglia, me forte recluta un fratel ritto sovra gli spaldi chiama;
ei

come un
ode
ei

cupi rantoli di strozze fameliche, al fondo brulichio turpe di vermi umani:

singulti di laceri petti, infantili

gemiti, aneliti, misere bestemmie... Non pi sogni, non ozii. L'azza sfavilli nel pugno salda; guardi V occhio vigile a V avvenire.

Anche
fine,
la

questi versi furono soppressi nell'edizione


in

definitiva del

Canto Novo. Erano falsi. Avevano, medesima intonazione dell'Ora satanica:


pi non voglio dolcezze d' amori ideali,
di latte e

No

pregni

mele non voglio

carmi;

ma il d' Annunzio del Primo Vere non mentiva ancora a se stesso, imponendo un contenuto socialistoide e filantropico alla sua vuota e soggettiva libidine di mutamento. In realt egli andava a Roma,
non tanto per redimere
le

plebi,

impresa troppo dura

38

Lo spirito

l'arte

dannunziana
conoscere

per un giovine poeta biondo, quanto


gli

per compiere
volutt

studii universitarii e

per

pi

complicate di quelle che potesse

offrirgli

un villag-

gio abruzzese. Gli studii rimasero incompiuti,

ma

le

volutt non rimasero ignote. Hoc erat in votis: Il poeta poco pi che ventenne ebbe l' indiscutibile virt poetica, giacch noi non discorriamo di vizii
e di virt morali

di

sprofondatisi tutto

quanto,

abbandonando le plebi ad un illacrimato destino. A primi aforismi morali del questo tempo risalgono d'Annunzio, e non somigliano a quelli dei decalogo n suggeriscono insegnamenti di virt di Manzoni
i
,

sociali e civili

La carne

santa.

V immortale rosa

che palpita di suo sangue vermiglia.

la madre dell' uomo ed la figlia. Ed quella che sta sopra ogni cosa.
Giova, o amico, ne 1' anima profonda meditare le dubbie sorti umane,
piangere
il

melancolie

la

tempo, ed oscurar di vane dea Terra feconda ?


lieta

amo

in

questa mia
le

opra fatale

perdere

vertudi ad una ad una.

Tutto ci semplice

preciso

chiaro

scevro

d' infingimenti e libero di velleit.

L'opera che dob,

biamo a questa ispirazione , perci, coerente e, nella massima parte, nettamente poetica. Nel 1884
usc
l'

Intermezzo di Rime (V edizione definitiva apla

parve dieci anni dopo), nel 1890 VIsotteo e

Chi-

La

cr isi

sensuale

39

mera, preparate gi fin dal 1886 con Isaotta Guttadauro ed altre poesie, nel 1892 il fascicolo delle Elegie Romane. La prosa narrativa progred dal Libro
delle

Vergini (1884) alle novelle di

(1886), finch raggiunse l'ampiezza del

San Pantaleone romanzo col


e

Piacere (1889).

Quest' opera multiforme nell'apparenza

mono-

tona nel fondo non

la ripetizione del

Sono

svanite

le

tracce di

dapprima impegnarsi fra gioioso ed un mondo di sofferenze, or si or no intraveduto con un' oscura ed imprecisa velleit di commozione altruistica. La societ degli altri uomini divenuta assolutamente estranea alle preoccupazioni dello spirito dannunziano. Sono del Piacere le famose parole d' insolente disprezzo per le vittime
di di

Canto Novo. quel dramma, che parve un individuo liberamente

Dogali; culmina

in

quelle novelle delle

Vergini e
nella

San Pantaleone, che poi furono riconosciute

raccolta definitiva, queir atroce libidine sadistica del

male

altrui, che in Terra Vergine esitava ancora a prorompere oltre la scolaresca vernice umanitaria. Poich per d'Annunzio non esiste altra gioia che la gioia fisica, cos non esiste altro dolore che lo spasimo corporale. E questo trovate descritto con inaudita perfezione nelle Novelle della Pescara. La contemplazione della ferita cancrenosa, del moncherino la contemplazione flaccido, della piaga purulenta della carne che si dissangua e si affloscia macerata dai veleni del tifo, e poi ripalpita nel tepore umi,

diccio della convalescenza tra

le

esalazioni acide dei

medicinali, esaspera in

lui

la

sensazione delle arterie


turgore
di

vive pulsanti

in

un irrefrenabile

sanit.

40

Lo spirito
il

l'arte
fu

dannunziana.
strettamente
veristico,

Non mai

verismo

cosi

cio rappresentazione esattissima di una verit


e inferiore isolata dal

monca

complesso dell'essere. Lo schema tipico della novella dannunziana si trova nella Veglia funebre, dove la vedova e il fratello del morto s' accoppiano in presenza d' un cadavere che si corrompe. Il laido sfiorato, laddove, come nella Madia, una mendace folata di piet scompagina 1' armonia della concezione feroce. Il capolavoro raggiunto nel Cerusico di mare, dove protagonista del racconto un tumore maligno, e il martirio fisico intuito con una crudelt raccapricciante. I motivi e
le

tracce delle narrazioni, talvolte intere pagine, talprestito


d'

volta quasi tutto era preso, in

in

furto,

da autori
debitore
rie

stranieri.
al

Di molto

il

Annunzio rimase
e d'altre
i

Maupassant. Di queste

pirate-

furono compilati elenchi accuratissimi,

quali ap-

pagano molte

curiosit e non concludono nulla. Quasi nessun poeta rimase cos libero d' imitazioni e d'influenze come il d'Annunzio, e quel che dicemmo, a proposito del Primo Vere, del Canto Novo, di Terra Vergine, intorno ai suoi rapporti con Carducci, con Stecchetti, con Verga, si pu ripetere dei suoi rapporti con Flaubert e con Maupassant, con Baudelaire e con Verlaine, con Dostoiewski e con Wilde.

La

facolt secondaria dell' invenzione negata


egoistici, che, chiusi in s

agli

spiriti

medesimi
esteriore
,

rimane

gono

sordi

al
l'

tumulto del

mondo

non

discernono
motivi, essi

interessante. Per nutrirsi di spunti e di

hanno bisogno dei libri. d' Annunzio fruga dapprima nel verismo italiano, pi tardi nel decadentismo franceQuindi Gabriele

La crisi sensuale.
se,

41
in-

dopo

nel

romanzo russo,
al

infine

nella

lirica

glese e nella tragedia greca.

Ma

tutto

ci

eh' egli

tocca s'incenerisce

contatto. Viene utilizzata, per

il resto svapora acqua caduta sopra una lama rovente. Le rare volte che d' Annunzio ha imitato con spirito imitatore, ne son venute fuori evidenti

P opera nuova,

la

vecchia carcassa:

come una goccia

d'

falsificazioni e quasi dozzinali


rie,

esercitazioni
si

lettera-

che non
il

si

dissimulano, anzi
ai

pavoneggiano,
di

evitando

disturbo

critici

della
le

scuola

Shere

lock Holmes. Tali, per esempio,

dugentesche
:

quattrocentesche colascionate

dell' Isotteo

Dice: Tutto al mondo vano. Ne 1' amore ogni dolcezza.

Torna
Isaotta

in fior di

giovinezza

Blanzesmano.

Ma
di

nelle Novelle della

Maupassant
s'

rimasto.
al

Pescara nemmeno il ricordo Perch il dramma cio


,

P interesse morale
to,

personaggio ed all'avvenimen-

disciolto in

nale. Si

pu

dire dell' autore,

una elementare sensibilit carquando racconta spa-

ventevoli conflitti e mutilazioni ed omicidii, quel che


d' un suo semicomico personaggio (in Turlendana ritorna). Per una naturale benigna incuranza dell' animo e per una fatuit gloriosa, Verdura non era compreso d' altro che della singolarit

P autore dice

dell'avvenimento. Benigna incuranza anche in d'Annunzio, perch senza rimorsi e tormenti, come nel
fanciullo che spennacchia
il

cardellino vivo.
d'

Con

le

novelle

Gabriele

Annunzio chiude

le

42

Lo spirito

l'arte

dannunziana

porte del suo spinto alla simpatia, ed elimina personaggi fittizii patria, plebe, umanit che vivacchiavano, per reminiscenza scolastica, nei suoi componimenti puerili. Il dramma ora tutto quanto coni

chiuso nella personalit individua

del

poeta,

si

combatte

fra

due personaggi

interiori,

che chiamere-

mo, con nomi dannunziani, Andrea Sperelli e la Chimera. La Chimera quella che inspir nell'amante
felice di Lalla un' insaziabile avidit di piaceri, lo

che

strapp alla serenit della gioia e lo tuff nel ferdelle orgie di

mento

Roma.
Chimera il cuor mio torcendo
altri

Sonvi

dicea

la folle

sonvi pi dolci

frutti,

ignorati beni.

Dice ad Andrea Sperelli

la

Chimera:
Vuoi tu pugnare ? sangue ?

Uccidere ? Veder fiumi


gran mucchi
d'

di

oro ? greggi di captive

femmine

tu far vivere

Vuoi un marmo? Ergere un tempio? Comporre un immortale inno? Vuoi (m'odi, giovine, m' odi) vuoi divinamente
? schiavi ? Altre, altre prede ?

amare

non prendeva ancora troppo sul ad uccidere, a veder greggi di captive femmine; ma prendeva sul serio V invito a divinamente amare. E divinamente amare voleva dire, non soltanto descrivere, ma anche realizzare la quando la tredicesima fatica di Ercole. Dapprima felicit del Canto Novo torn a risplendere sulla sua

Andrea
l'

Sperelli

serio

invito a pugnare,

La crisi sensua'i.
vita cittadina, egli
(il
si

43
d'

rituff nei

ricordi

Abruzzo

Peccato di Maggio,
si

Venere a" acqua dolce), poi a


dalle

poco

lasci penetrare

florida

Roma

barocca, e colloc
ville,

immaginazioni della le sue amanti e suoi


i

amori nello scenario delie


cacce alla volpe.
Perfino
i

delle fontane,

delle

Ma

la

gioia

non era pi

quella.

titoli, spiritosi

e sottili, del

Peccato di

Magil

gio e della Venere d'acqua dolce tradiscono


rito

fio-

lenocinlo del bel

mondo. Non

era pi l'allegrezza
il

mattutina del giovinetto centauro, che sentiva

suo

cuore battere

ali'

unisono col vento della foresta,

ma
dia-

una

lieve ebriet cerebrale,

consona

al favellio

scop-

piettante dei salotti e vaporante

come da una

fana porcellana preziosa. Io non dimenticher mai

racconta Edoardo Scarfoglio nel Libro di


sciotte lo stupore che

Don

Chi-

mi fer vedendo la prima volta Gabriele addobbato e azzimato e profumato per una festa. L'anno innanzi non mai lo avevamo potuto indurre a vestirsi altrimenti che d' una giacchetta scura e d' una cravatta di raso bianco spesso anzi, dimenticava anche la cravatta. Ma quella sera che si pranzava abruzzesemente con una compagnia di abruzzesi in casa di Ciccillo Michetti, vedendolo cos lindo e cos studiosamente preoccupato della lindezza sua, mi parve brutto . Forse come uomo come poeta non pare brutto
:

nemmeno dopo
l'

venticinque anni. Quelle cosette del,

azzimate e linde e Intermezzo e della Chimera preoccupate della lindezza loro, addobbate e profumate per la festa, sono piccole cose, ma sicure
e conchiuse nel cerchio della loro breve perfezione.

Saranno l'espressione dello snobismo

di

un parvenu

44
e

spirito
di

l'arte dannunziana.
un provinciale,
il

dell'eleganza

ma

espressione

inarrivabile.

Manca

vigore e
altro.

l'ala del

Canto^Novo,
il

perch
di

il

contenuto un
e

Quello era
,

poema
sono
della

una

giovinezza barbara e forte


i

questi

g' idillii

sonettini d'una giovinezza che in brac-

cio

delle

femmine s'uccide. Sono pervase


imprimono una
vita vanesia

sorridente inquietudine e della sofistica esasperazione


cerebrale, che

ed un pen-

siero superficiale e distratto,

ma

trovano per delineare

queste inquietudini e per aggrovigliare questi sofismi


le

curve pi snelle e

le

appiccature pi leggiadre che

vanti la chincaglieria del decadentismo internazionale:

Quante

volte, in su' mattini


1'

chiari e tiepidi, io

aspetto
letto

Ella ancora ne'

suo

ride ai sogni matutini.

Su
s'
Il

la

piazza Barberini
il

apre

ciel,

zaffiro schietto.
'1

Tritone de
il

Bernini

leva
I

candido suo getto.

nudi olmi a' Cappuccini metton gi qualche rametto; senton giungere il diletto de' meriggi marzolini.

una natura
natura
in

inurbata,
,

incipriata

affiochita

una

tono nninore

soavissima e debolissima.
,

Per ritrovare un d' Annunzio veemente e robusto bisogna trascurare fugaci ritorni dell' ora gioconda, per ascoltarlo neh' ora triste una lunghissima ora che dur circa dieci anni, dall' Intermezzo di Rime
i
.

La
al

e r

si

sensuale
ed
al

45

Poema
si

paradisiaco

(1893)

Trionfo

della

Morte (1894). La veemenza


vero,
st'ora, neir Intermezzo di
l'

e la

robustezza, a dir
istanti di

trovano solamente nei primi

que-

Rime. Non immemore delenergia, con cui aveva pocanzi celebrato la gioia

nel

Canto Novo, atteggi

alla

medesima rude
l dalle

fran-

chezza, appena levigata qua e

delicatezze

la descrizione del suo sgomento. Qual' l'origine del male? La Chimera che sugge il sangue giovine di Andrea Sperelli. impossibile godere quanto Y immaginazione vorrebbe e se pure si raggiunge un vertice o una profondit di godimento (in questo caso il picco e la palude coincidono), sui vertice o nella profondit ma s' incontra il raggiunta non si trova il riposo vento di una libidine che aspira ad un vertice e ad una profondit pi lontana. La lussuria, istruita e disgustata dall' esperienza sazia sempre pi debolmente le cupidige della fantasia. Quindi un'amarezza, che diviene implacabile via via che s' allarga la distanza abissale fra il desiderio che giganteggia e la salute che sfiorisce. Quindi due motivi lirici conla nausea correnti verso la medesima espressione per l'ultima notte d'amore, la speranza di una frenesia ancor pi febbrile: speranza gravata dalla certa previsione del futuro disgusto. Tra Y uno e 1' altro dei due motivi s'interpone un breve momento di fiacca e verbale resispicenza, il rimpianto della sana giovinezza, il buon messaggio alla madre e alle sorelle, il proposito di menare altra vita e di cantare

metropolitane

altre cose.

Tale

la

materia nel libro dannunziano dei Tristia,

46
il

Lo spirito
quale
,

l'arte dannunziana.
brev' ora dall' ilare

interrotto per

ma non
narrato

tranquillo episodio di dilettantismo


nell' Isotteo

mondano

e nella

Chimera, dovrebbe comprendere

l'Intermezzo, le Elegie
siaco. L' ha confessata

Romane
il

il

Poema

paradiin

medesimo d'Annunzio,

poco posteriore all' Intermezzo e pubblicata da Edoardo Scarfoglio nel Libro di Don Chisciotte: Non mi sento ora nel possesso pieno di
una sua
lettera di
tutte le

mie forze fisiche


dai
vita

e intellettuali.

Sono indedalla

bolito dall'amore e

piaceri

dell'amore e

consuetudine

della

orizzontale.

Non ho

pi

quella bella sanit gioconda d' una volta; gli occhi

mi danno spesso fastidio, di occuparmi e mi mette


irosa dei piccoli
tere private
,

il

fastidio

m'impedisce
irrequietezza

nei

nervi

l'

l'

mali . Ma meglio che nelle letha detto nelle sue opere pubbliche e

stampate

la carne immonda, fiamma del desio nel gelo del disgusto si spegne, e nessun velo

Tristezza atroce de
la

quando

d'amor
Era
la

l'inerte nudit circonda!

carne stanca....

Ma
tualit,

non perci desiderosa di abolirsi nella spirianzi bisognosa di nuove e pi vaste lussurie
dal

che valessero a scuoterla


quella che fu

suo
:

letargo.

Amer

da

tutti

posseduta
sue

Quella amer. Su
io

le

membra impure
mondo;

coglier tutto

il
1'

desio terreno,
del

conoscer tutto

amor

La

e r

isi se ns
di

le

47

negli occhi suoi

nembi
il

inseguir; udr sotto

cose oscure suo seno

arido battere

il

suo cuor profondo;...

Giacch

sensi

sono

esausti

bisogna
:

invocare

dalla sorte un qualche

nuovo senso
primavere,

Estati, autunni, inverni,

o vicende costanti, ore infinite,

che stanchezza m' assale s'io vi penso!


d' avere capo il ciel mite ed immite Chi potr darmi un qualche nuovo senso ?
'1

stanchezza indicibile

sempre su

Invocava talvolta

l'

Ideale, considerato anch' esso

come un

diversivo e

come un pungolo
:

di

curiosit

neh' ignominia della sonnolenza

Bere

io

non posso a

la

tua pia fontana,

poi che un crudele bacio m' addolora

questa bocca che molto

t'

anelava.

Ma
mento

dall'assurdo desiderio d'un senso


della sua putredine

nuovo

e d'un

ideale privo di contenuto la carne ripiomba nel fer!

tutto, le

devono, come pure cose


i

corpi,
dell'

come

le

foglie,

come

anima

sfarsi, marcire;

Devi

sogni sciogliersi in putredine. devono tu, uomo, sempre, di ci che ti diede l'ebrezza

assaporare torpido la nausea. Nulla dal fato immune. Nel corpo e nell'anima, tutto,
tutto,

morendo, devesi corrompere.

48

Lo spirito

l'arte
Il

dannunziana

La carne era stanca.


golava

fastidio gli saliva alla gola,

e l'incapacit di superarlo
:

con

1'

astinenza lo stran-

torbido, invincibile, contro di

lei,

dall'

ime

viscere mi sorgeva non so quale odio; moriva

ogni piet di

lei

nel saziato cuore.

Confessioni

di

questo

genere

si

trovano a iosa
quali

nel Piacere e nel

Trionfo della Morte, attribuite ad

Andrea
nunzio,

Sperelli e a Giorgio

Aurispa
di

non

erano che evidenti oggettivazioni

Gabriele d'An-

come

todica collezione dei motivi


dalle liriche solo per
e per
il

romanzi non erano se non una melirici, e si distinguevano


periodo sostituito
Il

alla strofe

un

sottilissimo filo narrativo.


i

Piacere con-

tiene,

insieme commisti,

lascivi tormenti dell'Inter-

mezzo e le graziette ceramiche dell' Isotteo; il Trionfo della Morte rispecchia piuttosto le Elegie e il Poema
paradisiaco, rialzati di parecchi toni dal paesaggio a-

bruzzese
scara.

e dalla

casa paterna immersa nella luce vio-

lenta e crudele che insanguin gi le Novelle della

Sono produzioni accessorie


lirica
si riflette

sfruttamento volontario della


e che
ti.

Pedovute a uno che le precedeva


,

impallidita nelle loro pagine stagnan-

Meritano ammirazione molte stupende

ma

estrin-

seche pagine descrittive, che possono trascinare il lettore ad un' approvazione complessiva per tutta V opera, ed alcune acuminate analisi di psicologia sensuale.

Ma

la

fiamma centrale

fiacca,

somigliando a
brace della

un focherello pertinacemente covato


lirica

tra la

spenta. Andrea Sperelli oscilla tra la salute e la

CL *L U&A&D

>\#tylkfyJLo

Ji|/ CObc

HM0U #/ %\ff

ut

uMjfdii ^UcptAo oMbl

vm

ntf\_

v^

M^d^d
Dalle

"Odi Navali

La
stanchezza, tra

cr isi

sensuale

49
la lussuria

la libidine e la

nausea, tra

ed una impotente

nuova
lit

lussuria, assunta,
Il

superiore.

una non si sa perch, come di quaromanzo finisce con una catastrofe


velleit di purificarla attraverso
altre dello

episodica e insignificante, alla quale molte

stesso genere potranno succedere nella vita del protagonista. Giorgio Aurispa gi pi disfatto e pi
triste,

come

pi disfatto e pi triste

il

poeta del

Poema pa-

radisiaco. La sua fiacchezza senza scampo, altro /che nella morte. Ed alla morte giunge Giorgio Aurispa, trascinandovi anche, in una specie di suicidio forzoso, Ippolita, tiranna dei suoi sensi. Giacch il d'Annunzio, lirico e romanziere, nell'amore un che di combinato fra Caligola e don Giovanni. Vorrebbe prima baciare tutte le donne sulla bocca di una donna sola (Pamphila); vorrebbe poi, con V uccidere in immaginazione una donna, uccidere tutte le donne, non conoscendo altro mezzo di affrancarsi dalla schiavit del

sesso.

Tutto ci che appartiene all' anima intima dei romanzi sembra ottenuto con la stesura degli appunti, che servirono al d'Annunzio per la costruzione delle sue liriche. Dice di Ippolita: Ella era la sovrana Lussuria , un altro nome, il vero nome della Chimera, che ripeteva: Io sono sempre l'invitta... Sono pi forte del tuo pensiero... L'odore della mia pelle pu dissolvere in te un mondo. Dice di Giorgio Aurispa: Un disgusto gagliardo come una nausea e un odio quasi selvaggio gli si levavano dalle radici dell' essere, s' egli pensava che anche per quella notte giacerebbe con la donna sul medesimo guanciale e
ascolterebbe
nell'

insonnio

il

respiro della dormiente

50

Lo spirito
1'

l'arte
e
il

dannunziana.
desiderio e rimar-

e sentirebbe

odore
sotto

contatto della carne accalal

data e soccomberebbe di nuovo

rebbe

di

nuovo

il

peso della bestiale tristezza

e pei s' affaccerebbe di

nuovo

al

giorno,

si

estenue-

rebbe nel consueto ozio


alternative.

fra le torture delle

perpetue

Coincidono dunque, per


libro ideale,
i

la

sostanza, in quest'unico

tre capitoli lirici:

Intermezzo
i

Elegie

Romane, Poema Paradisiaco,

due capitoli narrativi: Piacere e Trionfo della Morte. Progredisce il romanzo dal Piacere, al Trionfo, non solo per una pi ricca complessit sinfonica, ma anche per un pi aue

stero sentimento della miseria carnale.


cettosit della Chimera,

La

frivola condi smalti

che venava ancora

policromi, contraddicendo alle intenzioni di tragedia,


la

trama del Piacere


Il

s'

sciolta in un tono pi

ma-

linconico e solenne.
fu scritto fra
il

Trionfo,
e

pubblicato nel 1894,

in

massima parte
il

concepito integralmente
liriche

1889 e

1890,

qualche tempo innanzi gran


e tutte le

parte delle Elegie


nel
all'

Romane

raccolte

Poema

Paradisiaco. Le quali, invece, paragonate

Intermezzo, rivelano un rapido regresso.

Non

pi

quella fervida concentrazione di vergogna, che nelle


acri confessioni dell' Animai triste
fibra,

dimostra ancora una

pur nella schiavit, maschia;


d'

ma una

languida

volutt nella contemplazione della propria fiacchezza.

Perci
d'

il

Annunzio

di

queir epoca annotava


i

poeti decadenti, e idolatrava

preraffaelliti.

Lo

stato

animo

descritto nel Piacere: Talvolta, in qualegli


si

che stanca ora di solitudine,


dalle profonde viscere
1'

sentiva

salire

amarezza, come una nausea


l

improvvisa; e rimaneva

ad assaporarla, torpida-

La crisi sensuale.
mente, senza aver
la

5i

forza di cacciarla fuori, con una

specie di rassegnazione cupa,

come un malato che


guarire e sia disposto

abbia perduto ogni fiducia

di

a vivere del suo proprio male, a raccogliersi nella sua

sofferenza, a profondarsi nella sua miseria mortale.

Tale
Elegie
siaco.

lo

stato di paralisi,

da cui

sono

nate

le

Romane e, peggio assai, il Poema ParadiNon mancano, nemmen qui, squisitissime cose

(chi non ricorda Villa d'Este?), perch a un temperamento d' artista quale quello del d' Annunzio era negata la possibilit di cadere nel triviale. Prima cadeva nel vuoto che nel triviale. Raccattava studiosamente dal cestino motivi e le situazioni dei volumi precedenti, per riconfezionarle, sciupandole e dissanguandole. Le Elegie Romane, ancora indecise, non trovarono popolarit, e rimasero quasi ignote come nessun' altra cosa di d'Annunzio. Celebri divennero invece le liriche del Poema Paradisiaco, ov'era raggiunto il ne plus ultra dell'impoverimento. La proprii stati d'animo s'era facolt di reagire contro quasi del tutto oscurata; e gli stati d'animo, cui non sottolinea il contrasto, svaniscono in un limbo di
i
i

larve.
rate,

Sono

larve di liriche piuttosto che liriche: evi-

svenevoli, circonfuse di un
si

sudore molle

che

non gocciola n
lo
i

rapprende.

miei passi. Io sono come non odo ombra; il mio dolore come un'ombra. tutta la mia vita come un' ombra vaga, incerta, indistinta, senza nome.
un'

Neir anima vuota del poeta una parola melliflua


ripete in echi successivi, che
s'

si

affievoliscono riman-

52

Lo spirito
1'

l'arte dannunziana.
s

do;

oziosa interrogazione trova ripetendo


la

meil

desima

sua risposta; l'immagine sfilaccicata,

ri-

una miserevole parvenza di continuit. Il pensiero poetico non procede, ma resta viscido e rattrappito, sbavando alcune secrezioni opalescenti. Protoplasma poetico anzich poesia. Un marasmo loquace, un' ebetudine importuna biascicano rosarii fraseologici, dove pure il nesso grammaticale s' sciolto. Un cervello inetto raccoglie,
tornello piagnucoloso offrono

numerandoli,
strofe,

sospiri d'un petto consunto, e

li

in-

volge accuratamente nella

bambagia rosata

d'

una
fi-

ove

versi

s'

assottigliano

come

tentacoli

liformi, e la

rima

s'

accascia stanca e da lungo tempo

prevista.

Dov'
!

colui

che gridava: Plaudite plaual

dite plaudite,
line.,

come un popolo

circo, piante, col-

mare

?
la

giovinezza, ahim,

tua corona
sfiorita.

su la mia fronte gi quasi

Auscultando

il

palpito sfuggevole di questa

Musa
un

invertebrata, pare di cogliere l'estremo anelito di

temperamento poetico che

si

spenga.

5.

La

crisi

morale.

Giovanni Episcopo (1892)

L'Innocente (1892).

cui

temperamento artistico moribondo era quello da sgorg il Canto Novo e quello da cui dovevano prorompere le Laudi. E perci, udendo la storia di
Il

La

e r

isi

mo
si

ale

53

questa pericolosa avventura,

trattiene

il

respiro co-

me
pi

alla

narrazione del rischio corso da una persona


alla maturit del

cara.

Giunto
tardi,

suo genio, dieci anni


in

Gabriele d'Annunzio rievoc,


il

alcune

strofe

d'impetuosa commozione,
:

suo lungo e di-

sperato soffrire

Congiunto

fui

alla

colpa

come

la

vertebra congiunta

alla vertebra nella schiena

che rabbrividisce di gelo funebre alla carezza acuta.


Vidi nelle aperte pupille

uno sguardo pi fiso che il ferreo sguardo del Fato. E le labbra nel mio viso non potevan pi ridere e gli occhi non potevan pi piangere, o Amore
Ahim, non la bianca pruina, non la rugiada tremante,
n
la

scaturiggine chiara,

n alcuna gelida cosa

poteva guarire

il

mio male.
privata, scritta suin parte

bito

Sembra un' eco di quella lettera dopo V Intermezzo e che gi


Sai

riportam-

mo:

che vorrei ? Vorrei qui della gran neve e

del gran freddo che mi sforzasse all'esercizio e alle

lunghe passeggiate e alle larghe respirazioni delOh, se venisse la neve dalla Majella l' aria salutare. o da Montecorno Verr; la invocher con tanta pas!

54

Lo spirito

l'arte dannunziana.

sione di amante, che verr.


della Majella a guarirlo.

Ma

non bast

la

neve

Come
nell'

in

nero marmo, sepolto

orrore dei miei pensieri,

io sentii

venire di lunge, sorgere sentii dal profondo

il

pianto che agli occhi non giunge.

Supino giacente il mio corpo non avea pi ombra nel mondo. L' immobilit del dolore era la mia sola grandezza.

Come fece il d' Annunzio ad uscire da questa tenebrosa immobilit, a guarire il suo male, a ricuperare la nativa robustezza del suo temperamento? Il
primo tentativo consistette nello sforzare il pianto perch giungesse fino agli occhi, nel cercar d'acquistare un'

ombra

nel

mondo;

in altri termini,

nel rin-

novato desiderio

di uscire dalla

sua ingorda indivi-

dualit egoistica e di simpatizzare col genere

umano.

La

puerile e fugace velleit, che deturpava le poesie

spurie del Canto Novo, risorge, rinvigorita dalla fu-

nesta esperienza.
razione,

Non potendo

trovare in s

la

libe-

Gabriele d'

Annunzio doveva chiederla a un


;

e la letteratura di letteratura dissimile dal suo tempo, quando non era sensuale e decadente, era umanitaria ed evangelica. Comincia a penetrare in Italia, per il tramite francese, l'opera di Leone Tol-

genere

del

stoi e degli altri russi.

egli

Prima di partire per il servizio militare (1889-1890) aveva gi scritto gran parte delle Elegie Romane

la crisi morale.
e del Trionfo della Morte.

55

Una

fra le ultime

voci vive

della sua coscienza

si

trova nelle terzine dedicate ad

Andrea

Sperelli,

protagonista del Piacere:


tuo cor profondo

Sperelli, piange ne
1'

'1

Anima al fine disperata e sola ? Fa che raccolga ogni dolor del mondo.

La poesia era cos commentata nelle note: Andrea ammalato di egoismo estetico... dall'esaurimento stesso del Piacere e dalle amarezze che gli lascia nelP anima e dalle stanchezze onde gli affatica
Sperelli,
il

corpo, ne intende

la

vanit e

la

miseria, e

si

sente

attratto

grande salvezza di questi anacoreti della societ moderna, verso la Vita multipla e mulverso
la

tiforme, vibrante, sonante,

trascinante

verso

la

grande Arte rispecchiatrice dei fenomeni


sioni del
Il

e delle

pas-

mondo. programma era dunque intravveduto. Tornato


l'

dalla schiavit militare, parve

avesse rinfrancato
e

il

continuo contatto con uomini


dalle

diversi

l'astinenza

mondane
al

prefazione

leccornie. Cosi parve almeno dalla Giovanni Episcopo (1892), scritto nel
lettera dedicatoria a
la

gennaio del 1891. Nella


Serao
il

Matilde

poeta

in crisi
,

affermava

necessit di rinil

novarsi o morire

e dichiarava che

metodo per
uomini e

rinnovarsi consiste nello studiare

gli

le

cose direttamente, senza trasposizione alcuna. Per costringersi ad uscire da s medesimo


guarire
il

per
ai
ri-

suo male
lui

d'Annunzio

s'appigli

medii pi eroici. Scelse


incontrato da

un protagonista realmente

nella sua vita

romana;

e lo scelse

56

Lo spirito

l'arte dannunziana.
vile,

di tal natura, cos

miserevole e ributtante e
nell'

quasi

affogato nel vino e

onta della sua moglie balil

dracca, da poter evitare con certezza


ricadere nella
lirica,

pericolo di

narrando se stesso sotto mentite spoglie. Per colmo di precauzione, cur che Giovanni Episcopo (ed anche Tullio Hermil, dell' Innocente,

poco pi

tardi) narrasse
cftl

da s
s

le

sue sventure.

Poneva

cos le basi

suo futuro

stile

drammatico.
s'affa-

Ancora non sicuro

di fuggire

medesimo,
il

tic a rosicchiare la

sua prosa, a slabbrare

suo peaccor-

riodo, a introdurre singulti e contraddizioni nevroti-

che nel racconto.


di contraddirsi

Ma
di

Giovanni Episcopo
vaneggiare,
il

si

geva troppo spesso


,

di

confondersi e
di

sentiva
la

bisogno

ripeterlo,

quasi per raffermare


lare alla

sua persuasione di non parSperelli. In realt,


il

maniera

di

Andrea

rac-

conto

fila

lucidamente logico e corre tranquillo co-

me

l'olio,

malgrado questi procurati ingorghi,


,

quali

somigliano agli accidenti idrografici


sassolini che
i

originati
al

dai
riga-

fanciulli
Il

collocano

in

mezzo

gnolo
e
nell'

dell' orto.

tentativo della

spasmodica

fu presto

abbandonato,

prosa convulsiva e non riapparve

Innocente.

Giovanni Episcopo paragonato al Christus patiens, e la sua confessione lardellata di apostrofi untuose: Conoscete voi la fame ? Avete mai guardato un uomo mezzo morto di fame?... E non vi
s'

strutto

il

cuore, di tristezza, di tenerezza ?


di

Il

poveraccio
cielo.

convinto

chiudere in fondo

tesori di tenerezza e di bont.


il

Abbiamo

meritato
il

Ges, Ges, non abbiamo

meritato

tuo

cielo?.

Ma

la verit

che Giovanni Episcopo ha

La crisi morale.

57

sposato Ginevra per lussuria, che ha tollerato F ignominia per vilt, che ha amato F ubbriacone Battista

per

affinit

elettiva,

come ha amato
Cristo, che,

il

suo fanCristo.

ciullo per istinto. Egli

un bruto, non un

Tanto bruto
pugnalare
glie,

e tanto

poco

quando pu

alla

schiena F ultimo amante di sua


di

moqui,

lo

pugnala. L' interesse

d'Annunzio

come

nelle Novelle della Pescara, volto tutto intero

alla sensualit della sofferenza: alla piaga, al tumore,


alla ferita.

Giovanni Episcopo parla

reva d'essere circondato


colare che m' isolasse dal

cos: Mi pacome d' un'atmosfera partimondo esterno. E questa mia


,

sensazione era non soltanto visuale

ma

cutanea.

Solo che, a differenza delle novelle, il Giovanni Episcopo brutto, essendo la crudelt sensuale falsificata

da un volontario impietosimento,
altri
fini,

e trascinando

quello stesso parlare in prima persona, ch'era stato

escogitato per

il

d'

Annunzio a un lirismo

autobiografico, che s'insinua inevitabile nel sedicente


Il fondo dell' esistenza umana il studio diretto fondo di tutte le preoccupazioni umane una laidezza (cio la sensualit). Ella mangiava un frutto con quella sensualit provocante eh' ella metteva in
: ,

tutti

suoi atti.

Ah,

signore, che piet!


si

L'uomo

divorato dal vizio, l'uomo che

dibatte nelle bran-

che del vizio e

si sente divorare e si vede perduto pu salvarsi... Che cosa pi non non vuole, e delle ginocchia che triste delle mani che tremano,

vacillano, delle labbra che

si

torcono,

di

tutto
d'

essere che spasima nel bisogno


sola sensazione?

implacabile

un una

Questo

d'

Annunzio

non

Giovanni Episcopo,

58

Lo spirito

l'arte

dannunziana.

che parla di s medesimo, il d'Annunzio <z\Y Intermezzo e del Trionfo; e 1' ubbriachezza non che lo pseudonimo della libidine. Ma d' Annunzio vorrebb' essere un altro, vorrebbe almeno nella sua tri,

Ed ecco Giovanni Episcopo che continua per conto deli' autore: E... vedere, intendete?, vedere in ciascun uomo la sofferenza, e comprendere, comprendere sempre, e avere una misericordia fraterna per ogni trastezza, dolorare per tutto V

uman

genere.

viato, per ogni addolorato, e sentire nell'intimo della

propria sostanza la voce di questa grande fraternit umana, e non considerare su la via nessun uomo come uno sconosciuto... V Innocente, scritto pochi mesi dopo il Giovanni Episcopo (aprile-luglio 1891), e annunziato nella lettera a Matilde

Serao

come
il

il

metodo con

cui fu scritto

perfezionamento del Giovanni Episcopo, ne


Giorgio

contiene invece implicita


mil fratello di
rispa,
e

la

negazione. Tullio Her-

Andrea

Sperelli e di

Au-

chiude nella sua vita immaginaria un' auto-

biografia esagerata dell' autore, che giunge all'infanticidio,

come

quella di Giorgio giunge all'assassinio

e al suicidio.

Somiglia anche a Giovanni Episcopo,


,

come

afflitta signora somiGinevra per un certo piccolo segno bruno che tutte e due hanno sul collo. E il piccolo segno bruno dei due protagonisti la vilt;

Giuliana, la nobile ed

glia alla meretrice

quella vilt per cui, udita la narrazione dell'adulterio,

Tullio Hermil scoppia in dirotto


il

pianto,

e,

u-

dito

nome

dell'

amante, sfoga
vilt,

la

sua bestiale lusin

suria sulla

moglie colpevole e proprio

quel

mo-

mento confessa; quella

per cui, invece di scac-

La crisi morale.
ciare la moglie (necessaria al suo priapismo, che
,

59
si

compiace di incrudelire contro una malata utilizzando come un afrodisiaco il pericolo di ucciderla con l'eccesso di venere), o invece di strangolare l'infamatore della sua famiglia e dei suo nome, questo ripugnante farabutto gode bassamente nell'apprendere
P inguaribile malattia del suo
l'

rivale, e si

vendica deldel Gio-

adulterio, assassinando

l'

innocente creatura che

nata frattanto dalla colpa.

Ma

la

menzogna

vanni Episcopo eliminata. E nucleo della narrazione


ritorna quello che era, prima ed allora, nucleo della

produzione
resistere
all'

lirica:

1'

angoscia
sessuale.

istinto

d' un uomo che non sa Andrea Sperelli, Gior-

gio Aurispa. Tullio Hermil pi


cepito in un

vile, perch conminore gagliardia, e di poco antecedente al rammollimento del Poema Paradisiaco. Non giunto all' atassia n alla balbuzie ma un velo di diffuso languore estenua il tono della prosa.

momento

di

Il vano ed inascoltato ammonimento della coscienza assume qui veste umanitaria e slavizzante. Imitata da

Dostoiewski

l'

introduzione

al

racconto;

lettori di

Tolstoi sono Tullio e Giuliana; tolstoiani vorrebbero

essere Federico e

il

contadino Giovanni

di

Scordio,
si-

che rimangono invece esanimi figure decorative,


mili nella struttura al

Messia dell'Abruzzo {Trionfo

della Morte) o alle canefore della Figlia di Iorio.

Da

insegnamento morale che Tullio Hermil vorrebbe eleggere a fondamento della sua vita: La tua vista spirituale si ripieghi sul tuo essere interiore. Domanda a te stesso se tu sei contento di te stesso. A qual esito sei giunto avendo
Tolstoi infine

deriva

1'

per unica guida

il

tuo intelletto

Voi

siete

giovine.

60

Lo spirito

l'arte dannunziana.

voi siete ricco, voi siete intelligente.


di
tutti

Che avete

fatto

questi doni ? Siete contento di voi stesso e

della vostra esistenza?

anima

di Tullio

ricolma

d'

piet intenzionali,

non troppo

dissimili

una bont e d'una da quelle di


e versicoli ver-

Giovanni Episcopo. Motti tolstoiani


lainiani
si

alternano sulle sue labbra esangui:

Cocom-

me

sentii

che nulla

al
!

mondo
>

vale la semplice

mozione

della bont

Allez, rien n' est meilleur a

1'

me
!

que de

faire

une me moins

triste

Ma

la

bellezza dell' Innocente consiste nella

luci-

dit intellettuale del protagonista

che non

sarebbe,

a rigor di termini, indispensabile


l'

in

quella del-

autore che

difetta

non
1'

s'

, senza dubbio, indispensabile e che negli altri romanzi dannunziani. Tullio Hermil illude sulla sua bont, sulla sua piet, sulle
1'

sue conversioni, e

autore

meno
con

di lui.

Concordi,

uno

e T altro districano,
il

scia,

viluppo

di

queste inette

una crudele ambaipocrisie, e denu-

dano l'incorreggibile bassezza dall'involucro di menzogne convenzionali in cui sperava di celarsi. Tullio Hermil non ignora che la sua gelosia soltanto sensuale,

come

soltanto sensuale la sua passione

ri-

fiorente per Giuliana e impregnato di sensualit perfino


1'

amore per

le

sue creature:

Strane voglie mi

venivano di baciare il guanciale, di sentire se il solco era ancora tiepido. Non il talamo d' un'amante, ma il lettuccio di una piccola figliuola. Una sterile, ma illuminata coscienza vigila gli avvolgimenti tor-

La crisi morale.
tuosi dei sentimenti mendaci.

61

trascurata e conculcata emerge a

amore per la moglie poco a poco dalle


triste

lacrime e dalle tenerezze nella sua


libidine sadica per

realt

di

una malata,

di fantasticheria

in-

cestuosa per una che Tullio s' era compiaciuto di chiamare sorella. E chi s' indugiava in queste miserabili sottigliezze era
1'

uomo medesimo che poche


il

ore innanzi aveva sentito

suo cuore tremare nella

al lume di un sorimpreveduto . Giuliana convulsa dalla passione e dal rimorso gli prende la mano per fargli sentire battito veemente e malaticcio del suo cuore Pi il battiti del suo cuore io sentii la mollezza del che

semplice commozione della bont,


riso

suo seno a traverso

la
s'

stoffa .

Poche

parole, che

allargano nella vastit di un


lui,

simbolo. Tullio Hermil, e d' Annunzio con

non

pu

sentire che la mollezza della carne.

Il

cuore

in un impenetrabile ebbi piet di velame di sensualit. Mi ammollii me, ebbi piet di Giuliana.... In realt, ebbe piet solamente di se stesso. In questo ammollimento maturavano le liriche del Poema Paradisiaco. La fine di tutti gli sforzi una stanchezza vacua, il sentimento della forza che si disperde e del tempo che
;

lontano e taciturno, avviluppato

si

dilegua.

La confessione
dialettica, agitata

della disfatta viva,

drammatica,
e

da un pathos commovente
che
l'

sonel

lenne.

Questo

fa s

Innocente
e
il

collocato

tempo
colta,

fra le Elegie

Romane

Poema
la

Paradisiaco,
n
sta-

superi di gran lunga in bellezza l'una e l'altra rac-

perch non fluttuante come

prima

zionario ed apatico

come

la

seconda. l'unico caso

62
nel

Lo spirito
quale un libro
di

l'arte

dannunziana.
gemella. La

di

prosa, nell' opera dannunziana,


lirica

emerga

valore sulla produzione

superba disfida:
degli uomini
terra

Non posso

n voglio. La giustizia
della

non mi tocca. Nessun tribunale


brutta

saprebbe giudicarmi
sostanza del
si

perch contradsociali e

dittoria alla

libro, nel
i

quale Tullio Her,

mil

sforza di riconoscere

legami
la

ad
pa-

ogni modo, riesce a riconoscere

sua propria

vilt.

Sono

brutte, perch estrinseche e manierate,

le

rentesi e le figure umanitarie,

rusticane,
e

semislave:
consimili.

Federico Hermil, Giovanni di Scordio

Ma,

nel

suo complesso,

l'

Innocente non

soltanto

un magnifico romanzo; esso , malgrado lo splendore dei particolari che tutti ammiriamo nel Trionfo
della Morte, V unico
e,

romanzo
quel

di

Gabriele d'Annunzio
rester
della

press' a poco, tutto

che

sua

prosa insieme ad alcune novelle e ad un' antologia di pagine scelte. un' opera d'arte, perch un velo
di

retorica e di tronfiezza
1'

non

si

frappone

tra

il

sog-

getto e
la

oggetto; perch Tullio Hermil non idolatra

sua malattia
n
s'

come Andrea
in
:

Sperelli e Giorgio

An-

posa eroica, come Claudio Cantelmo e Stelio Effrena ma, pur fra le squisitezze dell' estetismo, riconosce e compiange 1' abiezione della sua disfatta, e non si dissimula la lugubre inrispa;

immortala

feriorit dell' esser suo.

Con

l'Innocente termina la breve crisi


Il

morale

di

Gabriele d' Annunzio.

suo temperamento ha ripor-

tato vittoria sulla sua coscienza.

Ed un temperamento dissanguato ed esausto. La fine di tutti gli sforzi una stanchezza vacua, il sentimento della forza che si disperde e del tempo che si dilegua.

L'avvento del superuomo.

63

dio cronico

La sofferenza acuta passa rapidamente ad uno sta(Poema Paradisaco), ove si compiace di s medesima, in una grottesca vanit. Anche il Poema Paradisaco si conchiude con un proposito di

resipiscenza.
Dileguali
le

tue brevi ultime aurore,

o Giovinezza; tacciono le rive

poi che

il

tonante vortice dispare.

Odo
Vedo
in

altro

suono, vedo altro bagliore.

occhi fraterni ardere vive

lagrime, odo fraterni petti ausare.

Ma nemmeno
6

d'Annunzio

ci

credeva ormai

pi.

L'avvento del superuomo.

Allegoria dell'Autunno (1895) Odi Navali (1893) Sogno di un matLe Vergini delle Rocce (1896) Sogno di un tramonto di tino di primavera (1897) autunno (\898) La Citt Morta (1898) La Gloria // Fuoco La Gioconda (1899) (1899) (1900).

rire.

Poich non era possibile rinnoversi bisognava moCome riusc dunque Gabriele d'Annunzio a salNel numero del 9 settembre 1892

varsi ?
il Mattino di Nauna breve odicina Per la festa navale nelle acque di Genova. Lo stesso giornale, il pubblicava un articolo di Gabriele 25 settembre La bestia elettiva. Vi si pard' Annunzio intitolato lava, per la prima volta, di Federico Nietzsche.

poli

dava

alla luce

64
Il

Lo spirito

l'arte dannunziana.

26 novembre del medesimo anno moriva TarnIl

miraglio Saint-Bon.

d'

Annunzio pubblic subito


marinaresche e
altre,

dopo una collana


rono quel fascicolo

di bellicose liriche

irredentiste, le quali, unite a


di

pochissime

forma-

Odi navali che l'anno seguente, 1893, furono pubblicate in coda al Poema Paradicol tono fiacco e mellifluo del libro.
alle

siaco, sebbene, e forse perch, discordavano aspra-

mente

Nel 1894 fu licenziato

stampe
in

il

Trionfo della
spirito di-

Morte, concepito cinque anni prima

uno

verso non solo da quello delle Odi navali,

ma

anaf-

che da quello

dell' Innocente, e

contemporaneo ed
generato
il

fine allo spirito in cui era stato

Piacere.

La

lettera dedicatoria a F.
,

P. Michetti, datata nel

concludeva con questo pe Noi tendiamo l'orecchio alla voce del mariodetto gnanimo Zarathustra, o Cenobiarca; e prepariamo nell' arte con sicura fede V avvento dell' Uebermensch, del Superuomo. Queste parole non illustracalen d'aprile del 1894
:

no, in alcun senso,

il

Trionfo della Morte, ove, piutto-

fitta

Superuomo, si narra la sconun miserabile ma rivelano che il travaglio interiore, iniziato con le Odi navali, non s'era arrestato. Nel 1895 apparve di Gabriele d'Annunzio solo
sto che l'avvento del
di
;
.

una conferenza, intitolata l'Allegora dell' Autunno Era una celebrazione retorica della Venezia cinquecentesca, come citt di dominazione e di piacere. Finiva con una profezia imperialistica, e conteneva apofVenezia tegmi filosofico-morali di questo calibro ci persuade ogni giorno l'atto che la genesi stessa
:

di nostra specie:

lo sforzo di

sorpassar s medesimo
la possibilit di

senza tregua;

ella ci

mostra

un do-

L'avvento del superuomo.

65

lore tramutato nella pi efficace energia stimolatrice

c'insegna che il piacere il pi certo mezzo di conoscimento offertoci dalla Natura e che colui il quale molto ha sofferto men sapiente di colui il quale molto ha gioito. Da questo silenzio vennero fuori, nel 1896, le Vergini delle Rocce. Il voto fatto al Cenobiarca era sciolto. Assistevamo finalmente all'avvento del Superuomo. Non che nascesse d' improvviso. Il cervello poetico di Gabriele d'Annunzio ne aveva, per lunghissimi anni, nutrito il germe. Ma il nascituro non si chiamava superuomo: si chiamava eroe. Ne troviamo qualche traccia perfino nel Canto Novo, nell'epicedio per un amico morto affogato. L'amico era un eroe. E il suo eroismo consisteva, a quel che sembra, nella persistenza con cui
ella

/{

sognava gagliardi abbracciamenti


e ignote volutt tra le

profonde

selve vive di fosfori e d'amori.

Eroe,

in altro

senso, l'Unmalido delle Novelle della


il

Pescara, che offre

suo moncherino sanguinoso a San


eroica velleit turba di tanto

Consalvo.
in tanto la

Una qualche

lussuriosa melensaggine di Andrea Sperelli


si

e di Giorgio Aurispa. Tullio Hermil

ricorda,
di

non
quel

so a che proposito, d'essere

discendente
alla
gli

Raimondo Hermil de Penedo che


prodigi di valore e di ferocia sotto

Goletta oper
occhi di Carlo

Quinto . L'ideale dannunziano si andava formulando in un ricco ed ozioso gentiluomo, proprietario di


5

66

Lo spirito

l'arte dannunziana.

feudi e di cavalli, sovraccarico di blasoni, pronipote


di

un condottiero che scann molti nemici e stupr


imitare
le

molte vergini, e tutto concentrato nel rammarico di

non potere
licoso

gesta bellicose ed erotiche del


bellicose ed erotiche,

suo progenitore.

Non
o,

ma
e

bel-

erotiche,

come

dice chiaramente V Inter-

mezzo, erotica-heroica.

Questi languidi

facili

amori sono fastidiosi, dice il primo sonetto. Il secondo sonetto dice un tempo fui principe ed amai donne possenti.
:

fui

pugnace; ed
ai

infiniti
le

mali
;

addussi

vinti

ne
la

e pi d'un

rogo
le

mie contese mia mano accese

per l'orgia ne

sere trionfali.

Pare impossibile che un simile eroe sia disceso vili lussurie del bel mondo romano.

alle

Dove

quando pot, de
al

l'ostil

sangue
guerra

deterso,

Ietto

suo preda

di

trarre, o dio Sole, l'ultima tua figlia?

Voi riconoscete
co e guerresco
della

l'ora

satanica

il

terzo

momento
la

uello spirito di Gabriele d'Annunzio. L'elemento eroi-

una droga afrodisiaca.


della
la

Come

con-

templazione della malattia e


Pescara) esaspera
il

miseria

(Novelle
,

sensazione della sanit

cos

sogno

la lussuria.

sangue moltiplica Una fanciulla rapita con grande clamore


della violenza e del
1'

d'armi e struprata fra

ululo dei vinti offre


di quella

certa-

mente una volutt pi profonda

che possa

L'avvento del superuomo.


offrire

67

una dama romana sedotta


scarlatto.
il

fra

cuscini di un

canap
di

Perci

d'Annunzio

dell'

ora satanica sogna


la

compiere,
fatica.

in qualit di

Ercole redivivo,

tredi-

cesima

Ma, poich bisogna


il

collocare, un po'

meno
/(

nello spazio,

nel tempo e d'Annunzio diviene patriotta e imperialista. Nel 1888 egli pubblica un opuscolo: l'Armata d'Italia, sull'amministrazione della marina italiana al tempo del ministro Brin. Benedetto Croce

arbitrariamente, quest'ambizione

ne

cita,
Il

a questo proposito, alcune parole significapatriotta parla del compito, che in

una prossima guerra sar affidato ai marinai delle torpediniere: S'avvicineranno essi alla gran nave nemica sotto la grandine incessante delle mitragliatrici e dei cannoni a tiro continuo, capaci di dare pi che seicento colpi al minuto con incredibile sicurezza. S'avvicineranno
tive.

a quattrocento metri: a
possibile.

men

di

quattrocento se sar

Lanceranno il primo siluro; lanceranno il secondo. E nessuna gioia umana eguaglier la loro, se potranno vedere la mostruosa corazzata nemica
in

inclinarsi

sul

fianco,

volgere

al

cielo

le

inutili

bocche dei suoi cannoni da cento, e rapidamente scomparire, con le sue torri e con le sue batterie Quel po' di sentimento in un gorgo smisurato nazionalista, che poteva serpeggiare nelle vene delItalia fu rapidamente usurpato da Gabriele l' umile d'Annunzio, il quale, volendo sognare carneficine e saccheggi, doveva necessariamente abbandonare il
!

nale

suo solitario individualismo antisociale e antinazio(cf. il Piacere) o mascherarlo con un qualsivo-

68
glia

Lo spirito

l'arte dannunziana.
il

programma. Abbranc
si

primo che a

lui,

ita-

liano,

presentasse.
il

Ed

era l'irredentismo e

furore antiaustriaco, con

qualche folata africanista e qualche vernice garibaldina. Tutte le scarse ed equivoche velleit della terza
Italia

conglomerate

in

una.

L'irredentismo

apparve

nelle

Odi Navali, sempre come pretesto per sensuali descrizioni d'immaginarie battaglie. Ma la nave qualcos'altro oltre che strumento di guerra. La nave l'esploratrice. Ora confluiva nella stessa corrente la puerile ansiet, non celata nemmeno nel Canto Novo, di salpare verso gl'ignoti cieli, verso le patrie

lontane.
e quasi

Viaggiare significa sciogliersi nettamente


materialmente dai legami sociali, nutrire
di

esotiche

visioni la propria febbre sensuale, possedere

donne
il

barbariche. Qui un'altra origine dell'africanismo dan-

nunziano. Tutte insieme venivano


particolare imperialismo. Ideale

a formare

suo
gran

umano diveniva un
la

crudele e fortissimo tiranno, che, soggiogata


Bestia,
il

popolo

italiano, si facesse

coronare impe-

ratore in

Roma, fabbricasse navi

e cannoni, battesse

l'Austria, percorresse l'orbe terraqueo in

una corsa

fulminea di conquista. Tra l'uno e l'altro macello l'imperatore avrebbe stuprato


le

figlie dei re prigionieri.

Respice finem.

Questo
nitarii

ideal tipo latino

non poteva venire

alla

luce in un d'Annunzio tormentato dai pregiudizii


e morali e

umainter-

cupido, sia pure nelle rare

mittenze della sua vigoria fisiologica, di convertire


in

bont

la

menzogna.

Il

sua lussuria. Egli era conscio allora della bellicoso imperialismo, avulso da una

L'avvento del superuomo.


base nazionale o
sociale,
si

69

cerit di furore sadico, e le

rivelava nella sua singenerose imprese si ridi

ducevano

al

lubrico

sogno

strozzare

un'

amante

per liberarsi dalla

schiavit carnale e per

sfogarsi,

Ma Tullio Hermil non si faceva Ideava un sotterfugio per nobilitare la feroce vilt, con cui aveva perseguitato la moglie Giuliana. La grandezza morale risultando dalla violenza dei
magari, sul cadavere.
illusioni.

dolori superati, perch ella avesse

occasione

d'es-

sere eroica era necessario ch'ella soffrisse quel ch'io


le

ho

fatto soffrire .

gio, la coscienza lo

Ma, appena ideato il sotterfuammoniva: Questo assioma, con


i

cui molte volte ero riuscito a placare

miei rimorsi,

profondamente radicato nel mio spirito generandovi un fantasma ideale della parte migliore di me assunta in una specie di culto platonico. Tutto il mio vizio, tutta la mia miseria e tutta la mia debolezza si appoggiavano a questa illusione . Sapeva che la virt la virt dannunziana era un fantasma, e sapeva che un fantasma della sensualit era l'eroismo dannunziano: Ed io pensai, curioso e perverso, che avrei veduto la debole vita della convalescente ardere e struggersi sotto la mia carezza; e pensai che la volutt avrebbe avuto quasi un sapore d'incesto. Se ella ne morisse ? pensai. Certe parole del chirurgo mi tornarono alla memoria, sinistre. E, per quella crudelt che in fondo a tutti gli uomini sensuali, il pericolo non mi spavent ma mi attrasse . Ecco la base dell'eroismo. Nemmeno al pi robusto temperamento, nemmeno a Gabriele d'Annunzio, riesce di staccarsi definitivamente dalla storia. Se nello svolgimento dell'umanit,
s'era

70

Lo spirito

l'arte

dannunziana.
procreando una

all'alba dei

tempi o nel cuore della foresta africana,


preoccupazioni religiose e
quel

fosse mai vissuta guerreggiando e


trib affatto libera di
rali;

mo-

se in quella trib e in

tempo fosse crei

sciuto Gabriele d'Annunzio, egli avrebbe, senza an-

gosce

senza tormenti, cantato


la

suoi

canti

di fe-

rocia e di libidine, anzi di feroce libidine. Nato nel-

l'Europa moderna, svoltosi tra


principio del

fine

del

XIX
la

il

XX

secolo, egli

doveva subire

ne-

cessit d'inquadrarsi nella storia del


del suo tempo.

Superando

il

suo popolo e suo temperamento e svi-

luppando
la

sentimenti ch'erano rimasti in atrofia?

Lo

sforzo fu tentato, ed abort. Confessando, col disparire,

sua propria

inferiorit,

la

sua propria disfatta ?


suoi

questa soluzione s'avvicinava, col


la

Poema Paradisiaco,
momenti
infrequenti

pi che decenne

crisi,

la quale, nei

di

maggiore chiarezza, aveva dato non


di bellezza poetica.

lampi

La

lettura di

Federico

Nietzsche

(1892-1894)

lo

strapp alla rovina.

Non

discutiamo ora se d'Annun-

zio abbia capito Nietzsche. L'ha falsificato, in

buo-

nissima fede, per


egli
l'istinto

suoi bisogni personali. In Nietzsche


di capir,

ha capito, o creduto
il

quanto segue: che

una mendominio l'unica legge, che, avvicinandosi alla belva, l'uomo supera l'uomo, s'accosta al ^superuomo, realizza l'eroe. Questa lettura coincideva, a un di presso, con alcuni avvenimenti propizii: la definitiva separazione dalla moglie scioglieva il poeta dagli ultimi vincoli sociali, mentre il consolidamento fisiologico della maturit risolveva la crisi sensuale l'implacabilit della libidine e l'insufficienza del corpo
la sola verit, che la morale

zogna, che

L'avvento del superuomo.

71

all'implacabile libidine nelle cui disperate contorsioni

Gabriele d'Annunzio s'era risoluto a quel


tativo di inquadrarsi nella storia
tato
>,

folle ten-

ch'

documen-

nel

Giovanni Episcopo
crisi.
,

e nell' Innocente.

Nelle
il

Vergini delle Rocce Claudio Cantelmo espone

superamento della

Domati

necessarii tumulti

della prima giovinezza

battute le bramosie
all'

troppo

veementi e discordi

posto un argine

irrompere

confuso e innumerevole delle sensazioni, nel


gato se per

momenun

taneo silenzio della mia coscienza io aveva investi-

avventura

la vita

potesse

divenire

esercizio diverso da quello consueto delle facolt ac-

comodative

nel continuo variar dei casi . L' esercizio


1'

diverso consisteva, precisamente, nel creare


tipo latino,
1'

ideal
di

imperatore o

re,

che

dir si voglia,

Roma
in

la

bestia eroica.

Da

questo

momento

sparisce

Gabriele d'Annunzio ogni incertezza, e quindi ogni

chiarezza, di coscienza. Egli ormai sicuro di s.


la

Ma

sicurezza
e

artificiale,

ottenuta

dopo

dieci anni di

crisi

con

l'aiuto

di

un filosofo frainteso. Egli non

celebra la franca e libera animalit, in quanto animanel qual caso potrebbe scrivere poesie belle come Canto Novo e pi belle del Canto Novo. Celebra un' animalit pavesata di bandieruole eroiche, intrulit,
il

un frasario ideologico e idealistico. la belva che si arroga, a modo suo, ia funzione di redimere patria ed umanit. Quindi una belva sapiente ed eloquente e perci esteticamente laida. D'Annunzio, moribondo nel Poema Paradigliata
di

belva,

ma una

siaco,

non muore; ma sopravvive a se stesso, sfreuna invereconda truccatura. La vena poetica da giato s' esaurita con le Odi Navali. Per cinque anni d'An-

72

Lo spirito

l'arte dannunziana.
di

nunzio mette fuori un torrente


bosa, ove
il

prosa bolsa e ver-

ghirigoro di stucco decora orgogliosai

mente

il

vuoto, e

sonagli delle frasi concinne scamgli

panellano assordando

orecchi che vorrebbero per-

cepire la fievole voce della coscienza soffocata.

Claudio Cantelmo
gio,

vile

come

Tullio,

ma

lui,

come Andrea, come Giorn l'autore hanno Coil

scienza della sua


delle

vilt:

da ci

brutto nelle Vergini

Rocce. Claudio gi superuomo. Anch' egli


di feroci e lussuriosi avventurieri
;

discendente

ma,
,

a differenza di Andrea, di Giorgio,

di

Tullio

la-

una progressiva e volontaria individuazione verso un ideal tipo latino . E Pi volte, dopo una meditazione esallavora cos tante, divorato da un furioso bisogno di prove, lanvora con
tutta seriet a
:

e,

il suo cavallo contro una troppo alta maceria superando il pericolo, sente che sempre e dovunque saprebbe morire, in realt non muore in nessun posto n mai; ma, oltre a coltivare con grande

cia

amore
sofi

il

nobile sport dell' equitazione, legge


il

filo-

greci, e trova

modo

d' interpretare

Socrate

avrebbe bisogno di contemporanea vile e corrotta, non glien' offre il mezzo. Roma, la terza Roma, non nemmeno attraversata dalla fiamma d' un' ambizione perversa , n dal lampo di un Borboni non vale la bel delitto. Di restaurare

come un

satiro libidinoso. Egli

grandi gesta;

ma

la societ

pena, perch Francesco

II

fu

tanto
di

miserabile
lo

che

nemmeno

gli

effluvii del golfo

Napoli

spinsero

ad una grande impresa.


golfo di Napoli ?

Che dico gli effluvii del Neppure valsero a infondergli


spettacolo e
1'

ardore d' eroismo

lo

odore della pu-

L'avvento del superuomo.


tredine
,

73

del disfatto cadavere paterno,


i

potentis-

simi per eccitare

grandi pensieri

Le

belle e lus-

suriose tirannidi

si

sono spente. Lo stesso Czar non


di

ha

nemmeno

il

gusto

contrapporre
ribelli

alle

piccole

una qualche magnifica strage ad arme bianca per irrigare e concimare le sue terre isterilite . Il mondo dunque in decadenza. Che pu fare un eroe come Claudio Cantelmo?
formule chimiche dei suoi
Il

demonico,

lo

spirito interiore,

gli dice:
tutti
l'
i

Goditi...

la

tua primavera; rimani aperto a


tutti
i

soffii, lasciati

penetrare da

germi; accogli
altro
ti

ignoto e

V im-

preveduto e quanto
lisci

recher

l'evento; abo-

ogni divieto . Questo, Claudio Cantelmo lo fa, senza lasciarselo dire due volte; ma abolire ogni dicarabivieto impossibile, fin quando ci saranno nieri. Forse in America sar un' altra cosa. Non cani

tava

il

poeta

alla

nave nuova salpante

verso

A-

tlantide:

Va, va, o Nave, secura oltre tutte

le

Sirti

dove, fuor d'ogni giogo e fuor d'ogni vincolo, ognuno

espande il poter che in s chiude; dove ognuno in s stesso sovrano,


ha
ha
in in

le

sue leggi,
il

s la sua forza e

suo sogno ?

Ma a

quel che sembra Claudio Cantelmo ha nozioni

pi precise di Gabriele d'Annunzio intorno alla legi-

slazione americana.
Italia.

frattanto costretto a vivere in

Che cosa

far per assurgere al


il

piuto eroe? Triplice

suo compito

grado di comCondurre con

74

Lo spirito
metodo
il

l'arte dannunziana.
alla perfetta integrit del

diritto

suo essere

tipo latino, adunare la pi pura essenza del suo spirito

profonda visione del suo uniuna sola e suprema opera d' arte; preservare le ricchezze ideali della sua stirpe e le sue proprie conquiste in un figliuolo che, sotto P insegnamento
e riprodurre la pi
in

verso

paterno,

le

riconosca e

le

coordini in s per sentirsi


di

degno d'aspirare all'attuazione


mettere
in
al

possibilit

sem-

pre pi elevate. Di questi tre compiti

l'ultimo

e,

mondo un
il
,

figliuolo

il

pi preciso

un certo senso,

pi

comodo.

Ragion

per
1'

cui
at-

Claudio Cantelmo

sospesa provvisoriamente
si

tuazione dei primi due,

propone di dare opera al terzo. Ma, giacch senza una collaboratrice nemmeno Claudio Cantelmo capace di fare un figliuolo, bisogna scegliere la sposa. Quale delle tre principesse ? Violante,
eroi

Anatolia

Massimilla ?
tutte e tre:

Claudio

Cantelmo preferirebbe averle


lis

tantae

mo-

romanum condere regem. Ma


un' abolizione di divieti

arrivare alla po-

ligamia sembra, nelle presenti sciagurate condizioni


sociali,

non esente da qualtormenta


la

che

difficolt. Frattanto

Claudio, giustificato dal grandelie

de compito
sensualit
e

di rigenerare la stirpe latina,


la

sentimentalit
ufo;

tre

giovinette,

nella cui villa

mangia a
la

milla persiste neh' intenzione di farsi

Anatolia respinge

Massie che sua mano, Claudio sembra l l


poi, visto che

monaca

per decidersi a sposare Violante.

Non aveva ormai


pre-

pi l'imbarazzo della scelta. Tuttavia la narrazione

autobiografica, ornata di squisiti atteggiamenti


raffaellitici

e di

superbe pagine descrittive,

si

chiude

L'avvento del superuomo.


quando
eroi
il

75

fidanzamento non ancora concluso. Gli


riflettere.

dannunziani prendono sempre tempo a

Questo singolarissimo spirito politico non era esaurito con le Vergini delle Rocce. Avendo creduto per un momento di poterlo attuare nella vita oltre che celebrarlo nei periodi e nelle strofe, Gabriele d'Annunzio consenti a farsi nominar deputato (1897). Pronunci discorsi elettorali, scrisse articoli sulla sua legislatura , e, arrivato alla Camera, sedette nel settore di estrema destra, come a un propugnatore della tirannide si conveniva. Ma, venuto in contatto con dell' Italia contemporao malviva la realt viva nea, l'amarezza di Claudio Cantelmo divenne ancora pi inesorabile. Era veramente impossibile reBorboni o la monarchia despotica di distaurare ritto divino. La speranza della bella carneficina, da

questo

lato,

svaniva.

Ma

ricompariva dall'altro.

Non

era probabile che divampasse da un giorno all'altro


la

rivoluzione?

E
i

la

rivoluzione non appicca


citt,

g' in-

cendii,

non devasta le letti gue, non viola


dal seno dei popoli

delle

non spande fiumi di sanminorenni ? non sorge


il

convulsi
suoi

bellissimo

tiranno
e

fiammeggiante, coi

le

g^ggi

di

gran mucchi tumulti captive femmine ?


I

d'oro

del 1898 e

sanguinose chiassate
veniva
la strage,
il

di

Milano splendettero
l

dacar-

vanti alla sua fantasia


di l

come una
di

subita rivelazione:
volutt

l'inaudita

nale.
dall'

Clamorosamente
estrema destra
la

deputato della Bellezza salt

all'

estrema
la

sinistra

Io

vado

verso

Vita

la Vita,

quale consiste nella carla

neficina e nello stupro,

come

Bellezza nasce dal

76

Lo spirito
di

l'arte dannunziana.
Fu accusato d'istrionismo.
se stesso.

sogno

una

siffatta Vita.

torto.

Non mai uomo

fu pi coerente a

Dal famoso gesto politico nacque la Gloria (1899), ove l'eroe Ruggero Fiamma strappa all'eroe Cesare Bronte la potenza e 1' amante gran baldracla

ca erede d'un nome


si

imperiale,

Anna Comnena,
agraria
confini,
,

mette alla testa di una rivolta


ai

escogita

meravigliose guerre sul mare e


d'

ma, prima
perisorella

aver compiuto alcuna gesta degna

di nota,

sce vittima della baldracca. La quale una


di Ippolita,

una nuova incarnazione della Lussuria, Nemica; ma, invece di chiamarsi Chimera, battezzata la Gloria. Le convinzioni politiche e sociali di questo conquistatore sono riepilogate nelle parole di Giordano Fauro, le quali sembrano la professione di fede di Gabriele d'Annunzio deputato di estrema sinistra: dovunque, in qualunque campo, ogni segno di energia virile, di volont maschia e calma, di sincerit rude, mi solleva il cuore . La sua forza eroica definita dalle parole della Comnena Se le mie mani ti toccano, se le mie braccia ti prendono, se la mia bocca t'invita, non si dissolve il mondo per te come una nuvola? . E un debole anch' egli, una vittima della lussuria, un consanguineo di Giorgio Aurispa. Ma Ruggero Fiamma non conosce la sua debolezza, e si crede un eroe per davvero. N d' Annunzio lo contraddice. La pace sociale fu rapidamente restaurata in Italia, e la speranza della rivoluzione esul dal cuore di Gabriele d' Annunzio. Meglio era abbandonare per un istante 1' eroismo patriottico e starsene paghi all' eroismo individuale. Il poeta si ripieg su se stesdella bellissima
:

L'avvento del superuomo.


so, e scrisse
il

77

Fuoco (1900). Questo romanzo


in

dela

rivava da due drammi


Citt

quattro e

cinque

atti:

morta (1898) e la Gioconda (1899); come questi due drammi erano preceduti e preparati dai due primi tentativi drammatici, in un atto, il Sogno d'un mattino di primavera (1897) e il Sogno d' un tracompiti di Claudio monto d' autunno (1898). Fra Cantelmo non erada dimenticare il secondo: adunare la pi pura essenza del suo universo in una sola e suprema opera d'arte. Anche per raggiungere quedivieti , cio a dire sto fine bisognava abolire conquistar la potenza d' immaginare liberamente il delittuoso e lo sconcio, senza turbare 1' immaginazione con pregiudizii morali. Nel sogno primaverile T animo del poeta occupato dal pensiero fisso delche stringe sulla sua nudit il nudo e sanl' amante, guinoso cadavere dell' amato; nel sogno autunnale
i

la

cortigiana che perisce tra


i

sua libidine sferzata dallo spettacolo sadico della le fiamme.

primi pallidissimi esperimenti. Altra bisoErano gna lo urgeva. Un nastro sottile percorreva, ora spa-

rendo ora ricomparendo,


ginazione dell'incesto.
il

tutta

1'

opera sua: l'imma-

La

libidine ereditaria dice

Trionfo della Morte scoppiava ancora una volta, con invincibile furia, in quel delicato amante, che si avido di piaceva di chiamar sorella la sua amata comunioni spirituali . Pensai dice V Innocente che la volutt avrebbe avuto quasi un sapore d'incesto . Un'immaginazione crudele si mesceva all'immaginazione oscena: l'assassinio dell'amante: Io penso che morta ella raggiunger la suprema espres,

sione della sua bellezza

78

Lo spirito

l'arte

dannunziana.
d'

Nel mio pensiero, quasi nel guizzo lampo,


stesa tra
'1

un
la vidi

io

umile sanguinare, umile boccheggiare

sangue, e alzare

le

supplici

mani dal rosso


lago...

Chiodo caccia chiodo, dicono


davere non eccita pi
inspirato dalla lussuria,
la la libidine;

trivialmente.

Il

ca-

quindi l'assassinio,

sopprime la lussuria, distruge 1' un delitto sembra pu1' Morta rificare ed assolvere altro delitto E s' ella morisse ? Ella diventerebbe materia di pensiero, una pura idealit. Io l'amerei oltre la vita, senza gelosia, con un dolore pagato ed eguale . Questa

ge

fantasia incestuosa,

perversa e

sottile dialettica

dell' incesto

dell'

as-

sassinio guizzava finora irresoluta ed alcun

gognosa
tea,

di

s.

Nella leggenda di

poco verUmbelino e Pan-

incastrata nelle
si

Vergini delle Rocce, l'atroce fan-

tasia

vela di un delicato fascino malinconico; nella


alla luce.

tesa fatalit della tragedia greca,

La frainmal rediviva, nobilita la schiavit sensuale di Leonardo. E, quand'egli ha soffocato la sorella Bianca Maria, le sue parole
Citt
:

Morta prorompe orgogliosa

io sono quelle d' un eroe trionfatore del mondo sono puro: sono tutto puro... esclama l'incestuoso; chi, chi avrebbe fatto per lei quel che io ho fatto? prosegue 1' assassino ogni macchia scomparsa dalla mia anima; io sono divenuto puro, tutto puro . La donna del romanzo e della lirica dannunziana era una cortigiana o una schiava, che poi fa lo stes;

so.

Come

Ippolita, essa fustigava la libidine del pr-

L'avvento del superuomo.


tagonista
,

79

trascinandolo nella essa annebbiava


la

crisi

sensuale
di
l'

come
Tullio

Giuliana

coscienza
rimorsi

Hermil

suscitandovi

larve di

per
di

iniquo

martirio cui soggiaceva quella

creatura

perfetta

bont. Nella logica del temperamento dannunziano,


la crisi

sensuale doveva superarsi con


all'

1'

assassinio

della cortigiana, ridotta cos


cere,

impossibilit di nuo-

mentre 1' amante, uccidendola, ne cava un' estrema e tremenda volutt. La crisi morale doveva
superarsi con V eroica convinzione che la sofferenza
dell'

essere debole

giusta

necessaria.
le

Quando

Tullio Hermil, per giustificare

sue crudelt contro

Giuliana, pensa che, la grandezza morale risultando


dalla violenza dei dolori morali superati, perch ella avesse occasione d'essere eroica era necessario ch'ella soffrisse

quel eh' egli

le

ha

fatto soffrire ,
e

s'

ac-

corge immediatamente del sofisma,

ne soffre.

Ma

Lucio Settala vive nel sofisma promosso a dignit di legge, e la Gioconda ha ragione contro Silvia, Per riscattarsi da un sorella di Giuliana Hermil
:

ma non da quello che mi legava a lui: da un altro, dal vostro, da quello che gli imponeva la vostra virt o la vostra legge e che lo faceva soffrire intollerabilmente.
vincolo egli ha voluto morire,

La Gioconda,

la

femmina perversa,
si

la Bellezza,
l'i-

l'inspirazione procreatrice del capolavoro. Cos

deale di Claudio Cantelmo

limitava, precisandosi.

L'eroe dannunziano, la belva perfetta, non chiedeva ormai pi 1' abolizione dei divieti per generare il re di Roma o per condurre alla perfezione un ideal tipo latino. Egli eleggeva il secondo compito: adunare
la pi

pura essenza del suo spirito e

riprodurre

la

80

Lo spirito

l'arte dannunziana.

pi profonda visione del suo universo in una sola e suprema opera d' arte. Fra Ruggero Fiamma e Lucio Settla, Stelio Effrena, respinto dalla vita
tica e

poli-

deluso nell'aspettazione del sangue cittadino,

preferiva somigliare allo statuario anzich al

demail

gogo

tiranno.
il

Da

questa

deliberazione

nacque

Fuoco, ove

poeta, agnominato Stelio Effrena, tutto


la

invasato dalla frenesia di risuscitare


per restaurare
le

tragedia greca

virt della stirpe latina contro l'ol-

trecotanza dei Barbari, crede suo irrefutabile diritto


e

suo imprescindibile dovere tormentare


di

la

dolcisla

sima amante Foscarina e tentar


gliore amica, Donatella Arvale.

sedurne
gi

mi-

Come
;

Claudio

Cantelmo per mettere al mondo il re di Roma aveva bisogno di tutte e tre le principesse cos Stelio Effrena chiedeva che due donne, la cantatrice e V atpartorissero trice, imparzialmente fecondate da lui
,

in

collaborazione
gli

la

nuova tragedia
il

Straordinarie

promiscuit

fingeva

desiderio, le quali egli cre-

deva potessero avverarsi con la facilit dei sogni e con la solennit delle cerimonie liturgiche . Malgrado le divine pagine dei levrieri, del labirinto, della pazza, dell'aurora veneziana, dell'Avemaria

sulla

laguna

previsioni liriche di

cui sussulta

romanzo faticoso, incoerente, sconnesso, non immune qua e l di fastidio per quelle gonfie e puerili discettazioni di arte e di filosofia. Si pu dire del Fuoco quello che l'autore dice, una volta,
la

prosa

il

role

Parlando egli s'accorse che le sue paavevano un suono falso, che la sua disinvoltura contrastava troppo crudamente con l'ombra mortale che occupava la faccia velata dell'amante. O, medi

Stelio:

L*

avvento del superuomo.

81

glio, si pu ripetere quello che Claudio Cantelmo osservava alla villa di Trigento: E nulla poteva eguagliare in desolazione il contrasto tra la realt mise-

revole e

pomposi fantasmi espressi


fantasmi.

dal cervello del

demente.

Pomposi
rificava s

Ma

il

poeta, che nel 1900 glo-

medesimo, elevandosi un monumento di parole, era ben diverso da quello che nel 1893 aveva
pubblicato
il

Poema

Paradisiaco

Protagonista im-

mutabile
egli

di tutta la

sua vita e

di tutta la

sua opera,

aveva preso sul serio la triviale sinonimia, che fa tutt'uno di protagonista e di eroe . Aveva battezzato superuomo la creatura inferiore, incapace di dominio morale; aveva travisato in energia virile
l'

incontrollabile ed anarchico sfrenamento


;

delle cudi

pidige

cavato dalla fiacchezza una larva


i

eroi-

smo, diffuso
s'

gigli dell'amor sororale sul

convulso
lungo
idoli

ventre delle amanti.

Non sapendo
;

trasformar se stesso,
sconfitto
nei

era innamorato di se stesso


della

dibattito

sua coscienza

contro

la

sua imma-

ginazione,

diffondeva
e,

V incenso

davanti agli

dell'immaginazione,

piuttosto che confessarsi schia-

vo del suo temperamento tiranno, deificava il tiranno, organizzando il vizio come un rito religioso e vestendo
largava
il

servaggio
in

di

paramenti sacerdotali. L' ora

satanica era scoccata.

Il tempietto di Venere s'aluna cattedrale gotica. La necessit dive-

niva virt.

L'opera d'arte
l'artista era

risonava
e

di

sofistica

vacuit.

Ma
e di

orgoglioso
le
:

contento

del

mondo

Negando modo, le crisi


s.

crisi,

egli

aveva superato, a suo

sensuale e morale.

E tornava

fresco

82-

Lo spirito

l'arte dannunziana.

gli

ed ardente come quando sulle rosse labbra ventenni gorgogli il Canto Novo.

Oh

inni squillanti dal petto per

l'

ima boscaglia

tra l'alenare di mille verdi vite!

7.

La

vittoria.

Francesca
di Jorio

da Rimini (1902)
I.

Laudi
II.

del cielo del

mare
Figlia

della terra e degli eroi:

(1903);

(1904)
il

La

(1904)

La Fiaccola

sotto

moggio

(1905).

La vena poetica, esaurita con le Odi navali, tornava a gonfiarsi di nuova linfa. Il 16 novembre 1899 la Nuova Antologia pubblicava il primo saggio di un libro di versi intitolato Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi. Erano semiritmi, strofe ondose e multiformi, un compromesso fra il verso e la
prosa dannunziana, come
sussultante di
il

periodo del Fuoco, gi


d' incontri
sillabici,

accenti e canoro

sembrava un compromesso tra la prosa ed il verso dannunziano. Mail compromesso delle Laudi faceva gi presentire la sintesi, l'armonia definitiva ove si
fondesse
metro.
nella
libert del

periodo

la

rigidezza del

Un anno dopo veniva alla luce il Fuoco, con l'annunzio orgoglioso della rinnovata tragedia greca. Ed ecco che, invece della tragedia, prorompe ancora
una volta
tista,

la

lirica.

L'

onda, a lungo
scroscia con

trattenuta nel

buio, affluisce da mille sorgenti allo spirito dell' ar-

ne spezza

le

pareti,

immenso im-

La
peto

ittor a

83

in cascate ruinose. Dal 1900 al 1905 Gabriele Annunzio non scrisse che versi circa ventimila nei due volumi delle Laudi, almeno dodicimila tra Francesca da Rimini, Figlia di Jorio e Fiaccola sotto il moggio. Un tale furore di creazione non s' era da gran tempo visto in Europa. La sua foga ci riportava alle immagini leggendarie degli epici indiani. La storia estrinseca, la cronologia di questo pe-

d'

si riassume in quattro date: 1902 Francesca da Rimini; 1903 (primavera) Laudi del cielo del mare

riodo

della terra e

degli eroi, voi.


voi.

libro
libri
;

I,

Maia (Laus
e
III

Vitae); (autunno) Laudi,

II,

II

(Elettra

e Alcione); 1904 Figlia di Jorio


il

1905 Fiaccola sotto

moggio. La storia intima e reale alquanto diversa. Le prime ispirazioni sono patriottiche e nazionaliste. Si percepisce un filo di continuit con con le Odi Navali, con le Vergini delle Rocce, con la Gloria, ed una memore persistenza dei programmi elettorali e dei gesti parlamentari. Il poeta assume la funzione di vate. Egli riprende ancora una volta il motivo ammonitore, con cui si chiudeva il Poema Paradisiaco
:

Quando

poeti al

mondo canteranno
:

su corde

d'oro l'inno concorde

O voi,

che il sangue opprime, Uomini, su le cime splende l'Alba sublime


!

Questo

fittizio

umanitarismo,

come

gli

permise di

mettere una larva di

contenuto nel suo gesto rivo-

luzionario, cos gli permette ora d'intonare un inno

84

Lo spirito
il

l'arte

dannunziana

per

gio).

Ma,

primo maggio (Canto di festa per calendimagin realt, agli operai Gabriele d'Annunzio
la

non chiede che

Bellezza:

Glorificate in voi la vita bella

La quale

vita bella

non

considerata nella genesi

dannunziana, che un'inversione della bella vita; come mondo, che cos spesso nominato e invocato il
nella prosa e nel verso di d'Annunzio, sembra l'antomasia del bel mondo. Il canto di festa fu preso sul serio per una poesia socialista. Mentre le velleit democratiche di d'Annunzio erano spente ancora

prima

di

nascere.

Quel che gli stava a cuore, ora come prima, era l'immagine del bel tiranno e della guerra considerata

come

spettacolo.

Ma
le

questa libidine, nutrita per


per oggetti-

trent'anni in un
varsi,

sogno assumendo tutte

solitario, finiva

ben

feroce e primitivo

parvenze d'un vero, sebpatriottismo. Claudio Can-

telmo non aspirava pi a generare e tanto


diventare
il

meno

re di

Roma; ma sperava

di

assistere
e si-

all'avvento di un re di

Roma
:

fatto a

immagine

miglianza del suo sogno


Cos veda
di

ti:

un giorno

il

mare

latino coprirsi

strage alla tua guerra.

Vittorio

Emanuele

III

consigliava:

Tendi

l'arco, accendi la face,

colpisci, illumina, eroe latino!

La
Venera
il

v iti o r

ia
il

85
!

lauro, esalta

forte

Apri alla nostra virt


dei dominii futuri
!

le

porte

Ricordiamo il programma elettorale del 1897: L'idi conservazione e' induce ad affermare e a difendere l'integrit della nostra persona e del nostro bene; l'istinto di predominio c'induce ad aumentare la nostra conquista sviluppando le nostre energie fino al grado supremo .
stinto

Che, se

il

danno

e la

vergogna

duri,

quando
i

l'ora sia venuta,

tra ribelli vedrai da vicino anche colui che oggi ti saluta.

Ultimo guizzo della svanita personalit

di

Ruggero

Fiamma.
11 poeta patriottico e non pi ribelle ora che la pace sociale e il progressivo arricchimento dell' Italia rendevano pi probabile lo spettacolo della guerra

all'estero anzi che della rivoluzione

all'

interno

cer-

cava con avidit gli argomenti eroici. Celebrava la memoria di Narciso e di Pilade Bronzetti, piangeva marinai italiani caduti in Cina, s' indignava della
i

presente miseria, vaticinando


versale di

il

futuro
il

imperio

uni-

Roma. Finalmente osava


gli

poema

epico.
se

E
la

quale materia
gesta

offriva

V
il

Italia

moderna
la

non

garibaldina?
del

Cos

poeta del bel tiranno


camicia rossa;

cantava, senza nessuna incoerenza,

come
telino,

l'apologeta

semiborbonico Claudio

Cau-

arrivato alla Camera,

diveniva, anche allora

86

Lo spirito

l'arte dannunziana.

senz'alcuna incoerenza, rivoluzionario. Perch anche


della gesta garibaldina lo

commoveva unicamente
il

lo

spettacolo di strage e di sangue. Solo


fu scritto
:

terzo canto

La notte di Caprera. La bont dell' eroe rimaneva un elemento puramente decorativo di contrasto, all'incirca come lo spirito d'abnegazione delle eroine dannunziane. Vi sono versi sfolgoranti di battaglia,
il

sublimi descrizioni materiali e un episodio

banchetto dell'eroe

ove
Il

il

raccapriccio fisico del

cacio stantio e dell'acqua putrida supera perfin l'e-

videnza

di episodii simili nelle

Novelle della Pescara.

Ma

lo

spirito era fiacco.

d'Annunzio abbandon
e perci
di

l'opera appena cominciata.

Un

progresso

di

sincerit

bellezza
la

era gi raggiunto,

quando

il

poeta, lasciata

cele-

brazione degli eroi


tar le laudi

militari e politici,

passava a canpoeti.

dei musici, dei pittori e dei

il

medesimo progresso che osservammo


paragone
delle

nel

Fuoco

in

Vergini delle

Rocce: giacch Stelio

Effrena sente, se pur torbida e confusa, la coscienza


del capolavoro, mentre Claudio
e finge d'ignorare,
il

Cantelmo non ignora,

l'assurdit di mettere al

re di

Roma.

In

questo secondo

momento

mondo mo-

mento non cronologico, ma psicologico il d'Annunzio canta inni di gloria per Giuseppe Verdi, per Vincenzo Bellini, per Giovanni Segantini, per Leonardo da Vinci, per Victor Hugo, per Dante Alighieri. L'ispirazione affine a quella delle ultime

pagine del
in

Fuoco, ove una solenne marcia funebre

compagna

prosa acsalma di Riccardo Wagner. Ed anche qui rumoreggiano strofe impetuose, si allargano lala

pidarie epigrafi ritmate.

Ma

un

sottile filtro di

men-

La vittoria

87

zogna attossica tutto l'organismo dell'ode. E questa menzogna una fiacca e vuota ideologia
paludata
di

sonore astrazioni con gran copia


:

d'iniziali

ma-

iuscole

ma lo specchio dell' Ideale, o Poeti, la misura degli Eroi, la somma dell'Arte


il
il

vertice del Pensiero e del Mistero, segno visibile dell' Immortale


pi.

muore, o Poeti, non

La peggiore ideologia restava senza dubbio quella della stirpe, della razza, del sangue latino: l'ideo-

Ma v'era una salvezza: celebrare suoi bei monti e il suo bel mare, incoronare di fantasia le citt silenziose e turrite, tradurre parole sonanti le sue tele e suoi marmi profondare, insomma, il sentimento
l'Italia

logia patriottica.

per

patriottico
il

in

una

sensualit

patriottica e

sommergere

vaticinio del

futuro in una disinteressata contemplazione della storia


i

spenta e dell'arte immortale.

Da

questo nacquero

sonetti e le canzoni delle Citt del Silenzio, bellissime nei frequenti casi, ove non sono fredde e pompose versificazioni del Baedeker e dove non le dett
la gelida ambizione di completar la ghirlanda. Sono quasi tutte citt del Kinascimento, ove vissero uomini non troppo dissimili dall'ideale

di

Claudio Can-

potenamatore. In cosiffatta compagnia la musa dannunziana, sciolta dall' increscioso dovere di redimere l'Italia moderna, genera
:

telmo

il

tiranno

crudele,

raffinato

artista e

tissimo

meraviglie. La pi

88

Lo spirito
fra

l'arte dannunziana.
le

lunga canzone,
cesca
pi
bella,

Citt
in

del Silenzio, la Fran-

da Rimini, tragedia
insieme
ai

atti.

Ed
alla

anche

la

quattordici

sonetti

su Prato.

Non
alla
si

somiglia per nulla alla


Citt
vi
si

Gloria,

Gioconda,
tesi,

morta: non decide un dibattito

difende una

fra la moralit

n vi convenzionale
gi

e la moralit eroica.
le

E non ha

niente che vedere con

terzine dantesche, le

quali servirono

troppe

volte di paragone a detrattori e ad idolatri.


la fantasia

Secondo

dannunziana,
egli

la

moralit

convenzionale

era stata abolita dal prerinascimento. Liberamente e


la Rimini dugentesca, somarmi, voluttuosa per femmine discinte. La passione fondamentale dell'arte dannuziana, la lussuria, vi si sfrena selvaggiamente e non d di cozzo che contro la violenza, sua primogenita e legittima figliuola. I personaggi, tutti d'un pezzo, non hanno crisi interne: sono voluttuosi come

gioiosamente

rievoca
di

nante d'armi, splendida

selvaggi prePaolo o selvaggi come Gianciotto. valgono sui voluttuosi. Gabriele d'Annunzio, scrivendo, non ignorava tutto ci, e chiamava la sua tragedia un poema di sangue e di lussuria . Non si lasci turbare da quei problemi morali, di cui nel lungo travaglio che va dalle Vergini al Fuoco dimostr studiosamente a se stesso l'inanit. Fu dunque scevro d'ambagi e di menzogna, e scrisse cosa bel

lissima.

Orgoglioso
tregua
al

d'aver

raggiunto

l'espressione
il

ade-

guata del sentimento eroico (Elettra),

poeta chiede

suo demone (Alcione)

La vittoria

89

O magnanimo
al

despota, concedi
del lauro,

buon combattitor l'ombra


i

ch'ei senta l'erba sotto

nudi piedi,

ch'ei consacri

il

alla forza dei


ei

conosca

la

suo bel cavallo sauro Fiumi e in su l'aurora gioia del Centauro.

Despota, or tu concedigli che allenti il nervo ed abbandoni gli ebri spirti


alle voraci

melodie dei venti.

Da

questa tregua, nella certezza e nel

suo temperamento trionfatore


polla

di tutte le crisi,

gaudio del ram-

il nuovo Canto novo. una seconda pubert. D'Annunzio torna qual era nei suoi diciott'anni, quan-

do, vedendolo cavalcare sulla riva marittima


Salute

al

mattino
!

dicean
c'

gli

alberi

o Centauro

Di mutato non
la

che

la

decuplata vigoria cerebrale,


la

lunga esperienza d'arte,

commozione

della vit-

toria.

Dimentico degli

eroi e delle volont, egli ri-

torna a guardar la natura con occhi fervidamente e

liberamente sensuali.
tro fine

Non
dire

si

propone
:

in

Alcione alestate. Vi

che quello

di

per dire
della sua

di cantare per

cantare,

come

la

cicala

bella

sono poesie delicate e poesie veementi. Le delicate colli di Quiesa: sono soavi come
i

E
tu

quella lor soavit, sospesa


i

fra

cieli chiari e

l'acque trasparenti,

non la vedi quasi, ma la senti come una gioia che non si palesa.

90

Lo spirito
:

l'arte dannunziana.
si

Cos
lit

la

percezione
in tal

fatta acuta e la

forma
il

tra-

sparente

modo
Con

che sembra cantata

la spiritua-

del senso.

la

sola dovizia sensuale

d'An-

nunzio

giunto a quella immaterialit dell'espressione


in

che credevamo unica

Shelley. Ci accade talvolta


nel pineto o Albasia o L'isola

mormorando La pioggia

di Progne, di dubitare se quei palpiti impercettibili,

quegli attimi inafferrabili, quelle emozioni inviolabili

siano espresse con

le

parole usate o non


d'arte,

piuttosto
ci

con qualche misteriosa materia


e e' illuda. luce,
il

che

sfugga
fa
li-

La materia si fa profumo, il colore si suono si fa aria. La parola diviene cos


limpida

quida
pestri,

e cos

come

l'acque di certe fonti ru-

delle quali dubitiamo finch


le

non

vi

siano im-

merse
Il

mani.
la

poeta sembra oltrepassare

potenza sensuale
si-

dell'

uomo
come

pare che taluni sensi egli abbia resi


dei felini, altri acuti

curi

quelli

come

quelli dei
,

Si fa centauro per godere dei fiumi si fa Glauco per godere della salsedine, Icaro per volare. Ed esprime pur le minime sue percezioni in ritmi che hanno tutti sapori e tutti gli odori, nelle quartine dell'Off ove l'asprezza della prugnola si mesce al

rapaci.

miele del fico, negli accordi delle Stirpi canore talsilenziosi come voli d' insetti nell'afa. Non v' pi la parola ma la frase; non pi verso ma la strofe. Ed ogni strofe congiunta all'altra, come nuvola a nuvola, per aerei legami. impos-

volta quasi

il

sibile

isolare e incastrare fra

critica

due periodi di prosa un verso della Pioggia nel pineto o una quarVersilia.
di

tina di

Ritmi

segreto impenetrabile, poesie dedalee che

La
ci

tto ria

91

chiudono

in

ambagi

voluttuose.
;

quasi che dicano, che vogliano

Non sappiamo non sappiamo donde


affascinano in labi-

comincino
rinti

dove

finiscano. Ci

una fluida continuit senza pause. Talvolta sembra che il ritorno di una parola, il riapparire di un'immagine congiunga le cose pi fugaci e pi lontane, come un solo spillo segreto raccoglie un velo intorno a un molle corpo. Sono
di labili

sogni, in

come
fra
i

le

liane

delle
le

foreste,

come
le

le

tele dei ragni

rami,

come

alghe fluttuanti.

ci

prendono
le tele

in

un

intrico
le

impervio,

come

liane

come
!

come
P

alghe. Chi sa dove, chi sa

dove
pi

quel-

intrico di

melodie

infinite talora

dolce dei

sogni erranti nei dormiveglia crepuscoli, cos dolce

che

fa lacrimare di

volutt:

D'una soavit che

il

cor dilania.

L' intensit

di

questa volutt era

tale che,
il

come
poeta
:

l'amante nel corpo dell'amata, cos sentiva

confondersi e perdersi nella sostanza dell'universo

E
gli

tutta la vita in noi fresca

nel petto

occhi

alvoli

intatta come psca son come polle tra l'erbe, son come mandorle intatte

ardente
tra le

il

cuor

palpebre

denti negli

mia forza supina stampa nell'arena, diffondesi nel mare e il fiume la mia vena, il monte la mia fronte, la selva la mia pube
la
si
;

92

Lo spirito
la

l'arte dannunziana.
il

nube

mio sudore.

Non ho
tra gli

pi

nome n
;

sorte

uomini ma il mio nome Meriggio. In tutto io vivo tacito come la Morte. E la mia vita divina.

Questo

il

particolare panteismo dannunziano.

Non

ch'egli senta nel suo io finito e contingente palpitare l'infinito e l'universale;

ma ha
il

ridotto l'infinito

suo spirito pu comprendere ed esaurire senza margine. Ci che non intende e non sente addirittura obliterato dal mondo, senza curiosit e senza rimorsi con la perfetta e tranquilla ignoranza della bestia la quale almeno in questo identica a Dio che esclude perentoriamente
e l'universale alle proporzioni che
,
:

le

cose viventi

oltre la

sua bestialit, come l'idea


l'

di

Dio esclude implicitamente


trascendano
la

ipotesi di esistenze che

divinit. Quindi, nel


il

d'Annunzio marinneartisti

turo e completo,

mancando nume ignoto o gato che oscura con la sua ombra l'opera degli
(Zola, p.
li

brutali

e.

o,
il

in

un' altra direzione, Wilde)

quasi

tormentasse

sentimento di non potere ol-

trepassare se stessi, la fusione tra soggetto ed oggetto definitiva e perfetta. Tutto ci ch'egli vede
e

conosce nel mondo veduto e conosciuto con una immersione ove lo spirito creatore e la materia assi

sunta non
e
l'

distinguono pi; ci che egli non vede


assente,

non conosce
Innocente
il

come

se nello scrittore del-

sospetto di un pi

che se
la

fosse albeggiato giammai.

Chi legge

stesso non Laus Vitae

La vittoria
vive nel centro d'un cerchio,
il

93

di l dal quale non v' Vive dunque nel capolavoro. Nella cronologia editoriale la Laus Vitae anteriore ad Elettra e ad Alcione; nella biografia di d'Annunzio, oltre che nella storia del suo spirito, postequattro quinti delle riore. Egli aveva forse scritto odi raccolte nel secondo volume, quando pens di pubblicarle con un lungo prologo (vasto preludio

che

buio ed

il

nulla.

del

suo nuovo canto). composto d'un fiato


;

Il

prologo,

la

Laus

Vitae, fu

dalla correzione

delle

bozze

(primavera del 1903) usc pi che raddoppiato di mole. Pure il poema serb una approssimativa unit di
struttura.
I

tre
il

primi canti

ci

narrano

come

il

poeta,

attra-

verso

piacere, giungesse a trasfigurar se

medesimo

ed a vivere nel mito.


narrato nel
il

Il primo ed il pi lungo viaggio poema, che occupa dodici canti, dunque

viaggio alla ricerca del mito, verso l'Eliade santa.


canto nono, con
l'

Il

inno ad Ermes,

il

pi

moderno

commerci, Macchinatore, Costruttore, Pellegrino, ad Ermes, che sotto il nome di Vita, di Scienza, d'Impero, di Progresso ancora il dio conduttore degl' infaticabili mortali, d il presentimento musicale della seconda parte. Roma, l'altra patria, il secondo viaggio, il figli legittimi della regno della vita. I Latini sono Grecia, e ad essi il poeta canta. j3ouXou.ac Ttateaatv
fra gli dei

della Grecia, maestro di

EXXva)v. Sono celebrate

le citt

terribili, le citt

del

sangue della fame e della frode, ricche della gloria d'una vita immensa, le citt febbrose che hanno la sera ebbra e la notte infame, e sono sacre alla grande alba, al risveglio dell'Uomo eletto al dominio del

94

Lo spirito

l'arte
la

dannunziana

mondo

cantata

brutalit dell'animale
urla,

umano,

che divora, s'accoppia,


di

combatte, uccide, pro-

genitore dell'invincibile forza che fece la grandezza

Roma;
il

cantata la e tetra,

strada

sozza come
tale

budello
vi

bovino, funebre
apparire

ma

pur

che

dio ignoto e vi possa procedere un

debba nuovo
pur

trionfo latino; e la plebe folle e infeconda

ma

balenante talvolta di una inattesa bellezza. All'eroe

precursore fiorir prima che agli umili


la
4

suoi

fratelli

nuova primavera. Dalla campagna deserta giunge un profumo di fieno e di libert, quasi un fiato
.

panico

Ma Roma

chiude

in

s un

altro

deserto,

un culmine inaccessibile,
gelo dipinse
la vittoria

la Sistina,

ove Michelantende
il

finale

cui

nuovo

lo conil deserto libico poeta. L'ultimo viaggio Nelsolitudine trionfale. alla Paradiso, duce al suo

l'immensa
giunge
ta.

aridit

pura
il

senza vie e

senz' oasi

gli

col vento
egli

messaggio
putredine

ultimo della

liber-

Ivi

seppellisce la Sfinge, e seppellisce pure

gli

avelli
le

con

la

lor

inclusa

Ivi

egli

adora

quattro divinit alitanti dal suo petto,


1'

Vol'o-

lont Volutt Orgoglio Istinto,


tutte, dio

Istinto superiore a

certo nel tempio carnale.


il

Compiuta

pera immensa,
,

suo spirto liberato il poeta pu render grazie della sua e liberatore vita alla madre mortale ed alla gran madre immor
al

monumento

tale,

alla

Natura armoniosa;

al

padre morto ed

al

pa-

dre che non morr, Giusu Carducci, dai quali egli

ebbe tempra

dura. E pu, con l'encomio del-

l'opera, sciogliere

un inno

al

suo inno.
ha

Nel quale Gabriele d'Annunzio

mantenuto
la

la

promessa

di

Claudio

Cantelmo

adunare

pi

L a

itto

ia

95

pura essenza del suo spirito e riprodurre la pi profonda visione del suo universo in una sola e suprema opera d'arte . Con un processo che sembrerebbe
miracoloso,
tenne,
fragili

se

non fosse

la

subitanea

esplosione

preparata da un'acre e dolorosa fermentazione ventutti


i

motivi dannunziani, spogliati delle loro

scorie,

vina sincerit.

prorompono al sole lucidi di una diE vivono animati da un unico e vio-

lentissimo sentimento perpetuamente rinnovantesi nella spettacolo immensit del libro. Qui v' un uomo stupefacente acceso d'incoercibile odio contro l'umanit: non contro suoi simili, ma contro ci che di umano era nello spirito suo e nello spirito dei

suoi simili. Vivere e vincere significa per


l'umanit, trasgredire senza

lui

abolire

rimorso
i

divieti,

sop-

primere

la

coscienza, eliminare
primigenia.
Il

dissidii, profondarsi

nella natura

mito nel suo

pensiero

l'espressione della originaria brutalit,

identica nel-

l'atomo e nell'eroe conquistatore;


la civilt

il

cristianesimo e
conflitti

moderna sono decadenza, perch

di spirito e materia

ed elevazione dello spirito sulla

materia e irriducibile antinomia e inesauribile dolore.


quest'abisso, ove V istinto freme soffocato ma non spento, sorger il nuovo mito, la lontana libert,

Da

la futura purit. Gli

uomini torneranno a sommergersi

nel gurgite delle cose, nell'anima di

Pan orgiaste

sonoro, donde uscirono per sentirsi miserabili e fiacchi.

Cos nella Laus Viiae che superer l'uomo.


zio

profetato

l'avvento di colui

Quando, quattro anni pi tardi, Gabriele d'Annunparagonava la Laus Vitae alla Divina Commedia, obbediva a un'oscura coscienza del vero. Se non

96

Lo spirito
il

l'arte dannunziana.
per
1'

regge
spirito,

parallelo,

regge
il

antitesi.

Come

la

Divina Commedia
cos la

pi

sublime

proclama

dello

Laus Vitae

la pi colossale dichia-

razione dei diritti della materia^.


vina
rature

Essa una Didelle


lette-

Commedia capovolta
la

nella

storia

moderne essa occupa incontestabilmente


debole
;

l'altro

polo. Poich

religione che l'inspira infinitamente


il

pi bassa, cos infinitamente pi


di

senso
storia,

venerazione che incute


contraddice
al al

al

lettore

e,

poich questa
della

religione

movimento

manc
e

poeta

il

sentimento del consenso universale;

da questa solitudine nacque cosa anche esteticamente non paragonabile al poema cui misero mano
cielo e terra e collaborarono, taciturne
tutte le

ma

presenti,

epoche dell' umanit. Ma, data la materia, il d'Annunzio ne ha creato 1' insuperabile espressione. Lo poteva ormai, perch era ormai giunto a uno stato di convinzione che pu
nazioni e tutte
le

senz'ironia chiamarsi religioso.


spirito l'offende

Tutta

la vita

dello

acerbamente come un peccato contro natura; e, nel divinizzare l'arbitrio, ch'egli chiama legge, di quella ch'egli chiama natura, l'empito del suo canto raggiunge il sublime. La sua bestemmia gareggia in fervore col tono della pi pura preghiera. Le strofe ov' egli ricorda le crisi superate sono

immense

come

s'

egli narrasse gli


si

ultimi

contrasti

del peccatore che

pente ed esce dalla selva tanto

amara che poco


si

pi morte. Invece
alla materia

non
,

lo
la

spirito

pentiva

di

soggiacere

ma
:

carne

doleva d'aver ceduto per un momento allo spirito. E, quando il vittorioso esulta cantando
si

dissi al

mio cuore

il

mio nome

La

itio

ia

97
il

Noi crediamo per un attimo


perfezione.

di ritrovare

rimbrotdella

to di Virgiiio al traviato esitante sul

cammino

E crediamo

per un

istante che Gabriele

filosofico,

d'Annunzio sia divenuto un idealista, nel significato quando in cospetto degli eroi michelangioleschi esclama
:

Ciascuno la sua ossatura creato avea dall' interno del suo spirto, artefice ardente del suo simulacro vitale
;

la

compagine era eloquente


spirto che parli con un fremito d' ale
il

come uno
di s
s

che

triste

pondo animale

in

verbo mutavasi eterno.

L' illusione dura un attimo solo

del

poema

e verso il termine sguscia, franca di sua nudit, la confes;

sione finale:

Ed ebbi

cos nel

mio sguardo

V inconsapevolezza
della purit bestiale.

La

vittoria dello spirito

dunque

nel suicidio dello

spirito,
rito,

e purit

sinonimo

di bestialit.

Ma

lo spi-

anche a dispetto di se medesimo, rimane quello che e, mentre aspira alla soppressione di se stesso, se vi aspira con convinzione e con passione profonde, fa opera di poesia, opera perci su;

premamente

spirituale,

dando testimonianza

di

s
7

98

Lo spirito

l'arte dannunziana.

nelP atto stesso in cui

zione implica
di

in

se
il

un dramma,

si rinnega. Giacch la negamedesima, come le due persone soggetto che nega e la cosa che

viene negata.

La schiettezza e la violenza di questa negazione generarono il capolavoro dannunziano. Ben lungi dal gareggiare con la Divina Commedia, la Laus Vitae V amplificazione di un qualche gruppetto
di terzine

che
:

si

pu scegliere a caso neh' Inferno


di quel-

dantesco
la

il

racconto di Ulisse impoverito

angosciosa ansiet d' infinito, la bestemmia di Capaneo senza il divino pathos della sconfitta, il gesto di Vanni Fucci, purificato della sua plateale lubricit. Ma nessuno fino allora s' era sentito con
di orgoglio personaggio paragone della Laus Vitae le solite apologie dell' immoralismo sono fiacchi atteggiamenti snobistici. E nel poema dannunziano non v' nemmeno V ultimo vestigio del bel gesto e della posa da viveur pirgopolinice. Esaltazione della stirpe e programmi politici, celebrazione reclamistico-egoistica e paludamento archeologico, invocazioni platoniche alla madre e alle sorelle ed esibizione di sadici furori, Fuoco ed Intermezzo, Vergini e Poema Paradisiaco, Odi Navali e Citt Morta

cos incredibile
dell'

veemenza
In

Inferno dantesco.

nulla eliminato,

tutti

triti

motivi dannunziani

ri-

tornano a galla dal loro vecchio fondo miasmatico.


vortice.
circolare di un Le impurit si sono disperse come sotto la sferza di un temporale fragoroso, e attraverso l'involucro putrido di una materia stanta venuto alla luce un nocciolo d'insospettata lucidit. Per la prima

Ma

ritornano trasportati dall' ansito

La vittoria
volta

99

velleit di essere

Canto Novo d' Annunzio non pi la qualche cosa d' Annunzio qualche cosa. Ed egli ancora il d' Annunzio del Canto
il
:

dopo

Novo
con

il

barbaro giovinetto sensuale e violento


franca,
recisa,

impetuosa negazione di tutto ci che contraddice al Canto Novo. Il poema dell' adolescenza era la tesi, ove con tranquilla e gaudiosa ingenuit s' affermava un temperamento
in

pi la

immune

di storia, un'originaria materia

d'umanit

non segnata
al

dal solco delle istituzioni civili e del

dall' Intermezzo Canto di festa per Calendimaggio e all' inno pel re che viene dal mare, l'antitesi laboriosa, nella quale il temperamento barbarico in attrito con la storia percepisce confusamente la sua

sentimento sociale. L'opera, che va

Fuoco,

al

inferiorit (Trionfo della Morte),

o tenta fiaccamente
delle Rocce).

di assorbire la storia

(/'

Innocente), o con cattiva co-

scienza

le

si

contrappone (Vergini
e
la
il

Le

odi

naturalistiche

Laus
in

Vitae sono la sintesi

vittoriosa, nella quale

sofista

selvaggio,
la

assunta
gli

l'immortalit dell'istinto

natura e

persistenza
eterni
,

della barbarie nel cuore dell'


caratteri della storia
storia,
e,
,

uomo come
,

domina
s'

bestemmiandola

la

violentandola, vi
la

incorpora.
in perfet-

Poich

bestemmia assoluta non dura


che neh' attimo preciso
al

ta sincerit

in cui

viene pro-

nunciata, poich

gesto

di

Capaneo segue immela

diatamente

il

fulmine distruttore, e

sua immobilit,

neh' Inferno dantesco, un simbolo statuario


un' azione continua, cos
tata
tisse
la

ma non Laus Vitae sembra detquasi che


il

da una
della

furia

strepitosa,
di
finir

poeta pa-

necessit

presto per timore che

100
al

Lo spirito
suo

l'arte dannunziana.
Scritta

impeto

venisse a mancare la foga.


nel

sublimemente vertiginosa nel ritmo. Pi sostanzialmente che l'altre opere dannunziane, essa ha una struttura musimotivi cale. In ogni parte del poema serpeggiano
precipitosamente

tempo,

essa

annunziatori

della

parte

seguente,

come
i

spunti di

una melodia che balzer intera quando sensi e l'anima dell' ascoltatore saranno pronti a riceverla con
viduale che nel concetto

un fremito. L' esaltazione della sfrenata libert indisi manifesta anche nella
:

forma
la

la

pindarica strofe di

ventun

versi,

rapida

come un galoppo
tale

serrato, rapinosa

come un
le

torrente,
al

quale col suo battito violento imprime

poema
roto-

una strepitosa velocit che perfin

lunghissi-

me enumerazioni
lano
della

e le quasi indiane verbosit


e gli

come valanghe
Laude
,

ottomilaquattrocento versi
la felina

si

slanciano verso la fine con


dieci strofe
di

snellezza
I

delle

un inno
alle

guerresco.
sillabe ed

versi

varianti

dalle cinque

nove

ancor pi dissimili nell'accento, sono come una materia infiammata in formazione che tenda come a sua

forma
che

cristallina
la

verso

il

novenario, da cui spesso

conchiusa
fissi
il

strofe

come da una semplice melodia


di vita

caos sinfonico donde fu generata. Saglienti,

palpitanti,

feconde

sono

le

parole, scelte nella

lingua viva e nei monumenti arcaici, nei classici


nei vocabolarii di arti e mestieri,

e
in

ma

affratellate

un

soffio ardente
il

che elimina
della

tutte le contraddizioni

come

vigore creativo

tutte le tinte.

gianti di

magini

armonizza fiammeguna fulminea percezione delle cose le impari nello stupefacente unisono della creaprimavera
Dritto e fugace
il

periodo;

La vittoria.
tura

101

con
le

la

natura creatrice
le strofe,
i i

ai

pi divini canti di Al-

cione
le

pagine,

singoli versi

nubi,

gemono

venti, palpitano le erbe,

Y occhiuto fior della fava nel pioggia e chiaria . In questo negator dello spirito tace il cuore dell'uomo. Ma la materia del cosmo 10 elesse profeta.

ove viaggiano guarda mese di marzo tra

Compiuto il capolavoro, Y artista si ripos spogliandosi della sua personalit per rientrare nel mondo oggettivo. Vent' anni prima, al Canto Novo erano immediatamente seguite le Novelle della Pescara. Non per puro caso le Novelle della Pescara furono defipubblicate al tempo stesso Laudi (1902). Ora al nuovo Canto Novo, alla Laus Vitae, tenevano dietro le nuove Novelle della
delle

nitivamente raccolte e

Pescara, intitolate La figlia di Iorio, tragedia pastorale in tre atti (1904), e

La

fiaccola sotto

il

moggio,

tragedia

in

quattro

atti

(1905).

Siamo ancora una

volta nell'
rusico di

Abruzzo miticamente popolaresco del Cemare o nella fosca provincia borbonica


barbarica
e

della Contessa di Amalfi,


nella plebe primigenia
11

sanguinaria

come

nella nobilt decaduta.

pastore Aligi salva, nel giorno medesimo delle sue

nozze con Vienda, la cortigiana campestre Mila di Codra dal furore lussurioso dei mietitori avvinazzati, e, sconvolto da un accesso di mistico amore, abbandona la casa e la sposa e conduce la donna impura nella pura solitudine alpestre. Quivi lo raggiunge il violento suo padre, Lazaro di Roio, invasato da un' acre libidine per Mila. Aligi per proteggere la donna si fa parricida, e, trascinato al villaggio nativo, consegnato al carnefice che deve

102

Lo spirito

l'arte dannunziana.

chiuderlo in un sacco con un grande mastino e buttarlo nel fiume.

Ma

sopraggiunge

la
si

courtisane a-

moureuse, che con eroica menzogna

dennnzia per
gridando
:

maga

e per assassina, salva Aligi, e,


bella!,

la

fiamma

ascende il rogo sul quale perir. Il conte Tibaldo de Sangro, vescica di grassume smorto, ha sposato la lurida serva Angizia, assassina della perita per contessa Monica sua rivale e padrona
,

una violenza identica a quella del fratricidio nelle Novelle della Pescara (la Madia). Gigliola, figlia di Tibaldo e di Monica, vendica la madre assassinata, mentre tutta la sua famiglia, colpita dalla decadenza fisica e morale, perisce in una lugubre catastrofe. La fiaccola sotto il moggio La figlia di Iorio capovolta:
il

quintetto Tibaldo-Angizia-Gigliola-Simonet-

to-donna Aldegrina parla e vive secondo il tema rovesciato del quintetto Aligi-Mila-Lazaro-Ornella-Canmedesimi dia della Leonessa. Sono medesimi fatti e
i

sentimenti che la scarsa facolt inventiva di Gabriele

Annunzio elesse fin dalla sua prima giovinezza: amori selvaggi, vendette spietate, padri nemici dei
d'
figli,

amanti ammazzate sgozzate


idolatria

o
,

bruciate

vive,
di

costumi paesani,

cattolica

macchiette
Fiaccola

stregoni e di fanatici. La
della Figlia di Iorio
si
;

materia

della

ritrova tutta quanta nei Violenti

ed

e non era mai stata messa in in San Pantaleone completa dimenticanza. Ecco nel Trionfo della Morte
il

chiassoso Abruzzo folkloristico del pellegrinaggio

a Casalbordino e del

nuovo Messia; ecco


che
per

nella

Paterna

il

rancore

domestico

poco

Casa non

arma
delle

il

fratricidio e
il

Rocce

parricidio; ecco nelle Vergini il consunto e cariato blasone borbonico,

La
la

Uxoria.
;

103

nobile famiglia impazzata e abbrutita ecco nel Tramonto d' autunno la bella cortigiana data in preda alle fiamme; e in tutte l'opere della crisi sensuale il

come una cosa pugno della femmina prava. Ci che seduce ora come allora d' Annunzio lo spettacolo scenolibertino impenitente ed afflosciato
vile dal

grafico del popolo vestito di stoffe luminose e


sto di chi stupra ed uccide.

il

ge-

Manca

per fortuna, cola

me manc
stampo
rati,

alle

Novelle della Pescara,

maschera edi

roica del delitto. In


la

compenso

pure

vecchio

bont assoluta,

la virt di

ventiquattro ca-

la purit sine labe di

Ornella, di Simonetto, di
di

Gigliola. Avviene ai poeti amanti

carnose e vi-

gorose rappresentazioni sensuali che, se una volta carpiscono una particella dell' interno teroro spirituale, pervenuta che questa in contatto del loro
clima poetico, precipita improvvisamente,
rigida e

facendosi

opaca come un
lo
in

sale al

fondo

di

un liquido
le

che non
per
le

sciolga. Ci avviene per gli individui e

epoche:

epoche

di

corruzione

rappree

melodrammatiche (il dramma pastorale, la comdie larmoyante, la pittura preraffaellita); in epoche di rinnovamento morale le rappresentazioni del vizio sono grossolane o barocche (i padri della Chiesa, V Innominato). Nell'opera del d'Annunzio questi precipitati di candore
si

sentazioni della purit sono trascendentali

susseguirono senza interruzione

Maria Ferres del Piacere alla Giuliana dellV/znocente, dalla Silvia della Gioconda alla Bianca Maria della Citt Morta, dalla Foscarina ad Ornella, da Gigliola alla Maria Vesta di Pi che V amore. Di nuovo sviluppo s' arricchisce invece nelle due tradalla

104

Lo spirito
il

l'arte dannunziana.

gedie gemelle
liturgico allo

tipo della

madre nobile

della ve-

neranda ed oziosa genitrice, che assiste con gesto


sfacelo della famiglia. Candia della Leonessa nacque da un impasto della madre dannunziana {Canto Novo, Trionfo, Poema Paradisiaco, Laus Vita) con la donna Aldoina delle Vergini delle

Rocce. Poi s' stereotipata nei nomi di


degrina, della diaconessa
{Fedra).

donna Ale
di

Ema

(la

Nave)

Etra

Per

le

medesime ragioni per

cui

son belle molte


la Figlia

fra le novelle della

Pescara bellissima

di

Iorio; la quale sta ai racconti della giovinezza pro-

come la Laus Vitae sta alle liriche prime. La medesima ispirazione in una forma d'ingigantita poprio

tenza. In quel ritmo sciolto e veloce

sentiamo

an-

cora

il

vastissimo soffio delle Laudi; nel primo atto,

interamente occupato da una rappresentazione folkloristica,

troviamo una misura ed

un

equilibrio

di

costruzione che solamente quella volta d' Annunzio,


quasi sempre incomposto e disordinato, ha raggiunto.
Il

resto

non

privo

di

elementi

melodrammatici
i

di

simmetriche stilizzazioni nelle quali

personaggi

sembrano vivere amare e morire danzando. Ma, anche dove si sente V artificio, l'artificio nobilitato da una indefinibile leggiadria. come se d'Annunzio, elevatosi al grado di nume nella Laus Vitae, guardasse
i

dolori e
dall' alto

le gioie, le

contese e

le

passioni degli uomini


i

di un monte inaccessibile. Considera suoi con moltissima curiosit, con viva simpatia di ricercatore, con nessunissima compartecipazione alMettiamo che qualcuno abbia scritto la l' esser loro. vie des hommes con uno spirito non lontano da quello

simili

La vittoria.

105

con cui Maeterlinck scrisse la vie des abeilles; e avremo la Figlia di Iorio. Il nuovo d'Annunzio il d' Annunzio fermamente persuaso della sua oltreumana superiorit, non parteggia per la virt contro il delitto, come n' ebbe voglia nell' Innocente, e nem,

meno

per

il

delitto contro la virt,


1'

come
Il

fece nelle

molte opere che segnarono

avvento del

superuovizio e la

mo. Egli
virt,

disinteressato
il

ed imparziale.
realt,

la purit e

delitto lo interessano

come
schi.

aspetti di

una lontana

egualmente estremamente poelementi


pittore-

vera di significato ed arciricca di

Esamina

gli

Abruzzi con un buon binocolo da

campagna
esaminava
rito

press'a poco
la terra dei

come

il

capitano Pierre Loti


di

paraventi di lacca e

Ma-

dame Chrysanthme.
rare ed ingenue.
I

nella Figlia di Iorio lo spi-

studioso e paziente di un collezionista di stampe

gano

piangono

si

personaggi s'inginocchiano, prescannano diretti dai fili di un


,

artista burattinaio,

meticoloso
o

come un monaco

scul-

tore di sacri avorii

come un vecchio

orologiaio
loro im-

fabbricante di orologi musicali, ed amoroso dei suoi


deliziosi

maginarie sventure.

pupazzi fino ad intenerirsi per Un pittore, Adolfo

le

De

Karolis,

interpret con meravigliosa lucidit la Figlia di Iorio,


eh' egli abbell di decorazioni in stile

popolaresco ed
Tutta
la

arcaico, tra

commovente

e grottesco.

Figlia

di Iorio un fregio decorativo, di una delicatezza e


di

una grazia inaudite. C' un parricidio

e un'esecuvi fa
,

zione capitale. Eppure, pensata nel suo insieme,


sorridere

con
il

una lacrimetta

fra pelle e pelle

se

volete

come

dramma

di Pierrot.

Tutta quell'umadi pie-

nit sofferente sospira

con un sospiro che sa

106

Lo spirito

l'arte dannunziana.
fievoli, simile a

nilunio e di strane

musiche

una fugca-

gevole favola nordica con fate benigne e


pricciosi che fingono di far
,

folletti

possibile che Lazaro sia

male ma non fanno. morto per davvero e che

Mila non debba risorgere dalle ceneri, come l'araba


Fenice, per salire sui gradini di
di un'isola fiorita fino in

sar re e
si

un trono, regina cima alle rupi, ove Aligi pecoraio ? Questa meravigliosa fiaba che
la

chiama

Figlia

di Iorio la
sia

pi

bella descri-

mai stata compiuta da chi conosce l'umanit solamente di vista e di saluto. Ma la Fiaccola sotto il moggio non n un dramma n un fregio n una fiaba n nulla: somigliante nella materia alla Figlia di Iorio e nella forma alla Figlia di Iorio e alla Francesca e nei motivi a tutte le ozione dell'umanit che
pere dannunziane, non somiglia
in in nessun punto ed nessuna figura a se stessa. una tragedia combinata a ricetta. La verbale violenza dei personaggi non diventa mai ruggito di passione; la descrizione

dell'ambiente di una lacrimevole

secchezza. La

decadenza
lante,
il

della nobilt e della razza, la casa crol-

dissolvimento vorace di tutta


Difettano persino, se

una
si

vita ed

un' epoca spesso nelle parole, raramente nello spirito

della tragedia.

toglie la
quali

bella scena del serparo, le oasi

liriche, alle

soleva dissetarsi dannunziani.

il

viandante nei drammatici deserti

V azione

schematica e dura come


Il

in

una cattiva tragedia

alfieriana.

verso estrinseco ed
scarno ed esangue,
,

arbitrariamente spezzato, lo

stile

ove

la

sobriet era

finalmente
la
,

raggiunta
chi per

ma

ragil

giunta

come raggiunge

virt

evitare

peccato rinuncia ad agire

rivelano

apertamente

le

La vittoria.
condizioni di stanchezza mentale
fu pensata e scritta.
in

107
cui la tragedia

nella storia dello spirito

del

mezza dozzina di artisti, umano, raggiunta la vetta capolavoro, ebbero braccia e polmoni per ediuna
casa ed aspettare sul vertice
la

Forse neanche

ficarvi la

morte.

8.

Decadenza.
uomini oscuri (1906) Pi Fedra (1909).

Vite

di

uomini

illustri e di

che

V amore (1907)
lirica
i

La
,

Nave (1908)

Dalla
pi tardi

giovanile nacquero prima


infine

le

novelle,

drammi. La gloriosa lirica della maturit non gener che drammi. L' esclusione delle altre forme si deve in parte a
romanzi
romanzi
e

motivi d' ordine ideale

l'

inesausto e

insoddisfatto
;

bisogno
di

di

uscire

dalia

personalit

soggettiva
:

in

prevalenza, a motivi d' ordine pratico

la

necessit

guadagnare rapidamente
crisi

danaro. Anche nella


Iorio

crisi

moltissimo segue alla Figlia di non pi sensuale n morale, ma purae facilmente

che

mente

estetica

il

si

pu

rintracciare

biografica, simile, per la sua

una coincidenza enorme importanza apreale, al servizio


all' altre

parente e per
militare
,

suo scarso valore

alla vita politica

ed

cui di

sfug-

accennammo. Durante l'ascensione dal Sogno primaverile alla Laus Vitae d'Annunzio fu sorretto da una grandiosa amicizia: quella di Eleonora Duse. Compiuta la Figlia di Iorio, le due potenze alleate
gita
si staccarono; e da quel punto comincia la decadenza. Le opere seguenti sembrano dettate da un' in-

108

Lo spirito

l'arte dannunziana.

composta

furia affaristica,
dell'

come
in

se

d'Annunzio
,

vi-

vesse undici mesi


volto da intrighi

anno

un torbido ozio sconfino al


agli

amatorii e

mondani
far

mo-

impegni economici urga alla sua porta. Sembra allora che egli convochi disperatamente le sue forze superstiti; serri usci ed imposte; scelga ciecamente una fra le mille ispirazioni confuse e abortive, che sciamarono dal suo cervello distratto durante le sieste o le cala

mento ove

necessit di

fronte

valcate, la maturi forzosamente, ed espella dal suo


scrittoio l'opera
fretta

ancora umidiccia d'inchiostro con

affannosa e

gione

non

sia gi

con trepida paura che la statroppo inoltrata per la speranza


volta

dei lauti incassi.

Ed anche questa
schere
dell'

motivi esteriori sono

ma-

capolavoro non si ripete che in rarissimi casi di miracolosa forza creativa; non si ripete giammai quando sorto in quella che chiamavano l'ora satanica. Se la negazione e la bestemmia avessero prodotto, come altre volte produssero nel ventennio precedente, un'opera esteticamente fiacca, d'Annunzio si sarebbe ancora una
intima legge.
Il

volta ripiegato su se stesso a rielaborar la materia.

Ma, la Laus Vitae essendo un capolavoro, Gabriele d'Annunzio smunto di forze ed incapace di generare un altro capolavoro spasmodico, era anche immune di rimorsi artistici e per conseguenza incapace di un rinnovamento. La Fiaccola sotto il moggio con paralipomena della Figlia di Iorio tiene le opere successive contengono paralipomena delle Laudi. Sono, in altri termini, riproduzioni dello stato d'animo che prepar l'avvento del capolavoro; con
,

Decadenza.
l'aggravante che vengon dopo. Abbiamo ancora
volte l'apologia
della

109
tre

morale eroica,
di

la
al

comparsa
tribunale

conclusionale
della societ.

del

superuomo
dalla

fronte

Prima a germogliare
l'

sua

mente stracca

fu

idea della

Nave

laida

sorella della
la

Francesca da
celebrazione,

Rimini, perch anch'essa


citt del silenzio.

celebrazione d'una
la

Ma

laida,

perch

non esteticamente disinteressata, si pavoneggia di falsi furori patriottici. Se nella Gloria messa alla

gogna la politica interna di d'Annunzio, nella Nave messa alla gogna la sua politica estera. Venezia,
simbolo della futura
origini.
di
Italia

imperatrice dei mari e dinelle

voratrice dell'Austria, glorificata

sue prime

Ed ecco che cosa succede


:

nelle gloriose origini

Venezia la fazione grecanica, partigiana della sommissione a Bisanzio, combatte contro la fazione

gratica, propugnatrice dell'indipendenza, servendosi


di

una lurida cortigiana, Basiliola Faledra,


divinamente
bella, che,
alla

la

quale

cos

quando

si

spoglia, nes-

sun animo eroico resiste


si

sua nudit. E Basiliola

spoglia liberalmente, e balla sontuosamente, trasci-

nando ad una collettiva follia priapica il generoso popolo veneziano, e seducendo l'uno e l'altro capo della fazione gratica, Sergio e Marco, fratelli. Acceso di gelosia, Marco Gratico scanna il vescovo fratello;
ma, stanco
di

lussuria

come un antenato
alla

di

Giorgio

Aurispa, decide d'inchiodare Basiliola


periplo. Raschiata
rivela
il

prua della

nave, e di partire, a mo' d'espiazione, per un eroico


V ipocrita vernice
di vilt

patriottica,

si

un dramma

cui nucleo e la

morale e di libidine sadica, cui ragion prima nell'immagine

110

Lo spirito

l'arte dannunziana.
si

della cortigiana,

che

esercita nel tiro al piccione

contro

prigionieri della

Fossa Fuia,

e,

servire da figura di prua, perisce nelle


le

pur di non fiamme come

protagoniste del Sogno

autunnale e della Figlia


e
di lussuria;

di Iorio.

Poema

di

sangue
e

ma

a cui

conseguenza la bellezza della Francesca. Gli eroi protagonisti sono bestiali briganti, nel cui corpo la libidine contrasta con la violenza, e il cui supremo ideale consiste nel menar le mani poco importa contro chi ed in favore di
la

manca

sincerit

per

che

nel navigare alla ventura,


la

salpando verso

il

mondo,

qual navigazione di gran lunga pi cola

moda

che

navigazione propriamente eroica, consu-

sistendo questa nel salpare verso un punto determi-

nato della carta geografica e nel raggiungerlo,


perato qualunque ostacolo e patimento. L'eroe

Marco
sempre me-

Gratico

ha

l'aria

di

partir

per

la

guerra
di

solo o quasi solo,

come una specie


volta

Ercole

dievale, per imprese di cui

l'urgenza e che qualche

non sempre si capisce sembrano compiute


delle

soltanto per evitare la noia

Quando non ha
ma. appena
la
gli

altro
si

lunghe giornate. va a far la guerra presenti una femmina seminuda,

da

fare,

sua forza
il

eroica

si

affloscia.

Simile
di bruti

ai

suoi eroi

popolo veneziano: un'orda

che fa pen-

sare ad un'utopistica repubblica mulatta durante una

invasione tartarica

una plebe feroce

e corrotta,

lubile e fanatica, religiosa solo per avere

voun pretesto

a pi
forte.

alti

schiamazzi, insaziabile di crapule e d'o-

ad applaudire in ogni occasione il pi Questa la tragedia della folla, nescio quid maius della sua progenitrice, la Gloria giacch per
scenit, pronta
;

Decadenza
d'Annunzio
il

Ili

popolo sinonimo
tipi

di folla, e,

lando per corifei n per

rappresentativi

non pardeve
,

necessariamente

manifestarsi

per

urli

elementari e

ripete esattamente l'interiezione del

simmetricamente disposti, nei quali ciaschedun bruto suo vicino. Pail

drone

d'Annunzio
artista,

di

ma pessimo

non vedere altro nel popolo; quando s'illude di rappresentare


contaminati
di

con un branco
minare
la
il

di facchini

lussuria

estetica la sostanza di

una nazione destinata a domondo. Se vero che le patrie valgono per

d' ideale che contenuta nel loro vessillo, bisogna chiedersi come si figurasse d'Annunzio gli Schiavoni e Bizantini, giacch la sua turpe e briaca Venezia aveva da Domeneddio la missione di sottoi

somma

metterli e di purificare

/'

Adriatico.

primo disegno della Nave (1905) e il suo varo (1908), d'Annunzio ritent la prosa. Sostanzialmente pensate in prosa, quantunque scritte o a dir meglio stampate in versi, sono tutte le tragedie dalla

Tra

il

Fiaccola
i

in

poi. Nella Fiaccola,

come

nella

Fedra,

settenarii e gli endecasillabi

sono

sillabe ordinate a

schiere di sette e

di

undici,

arbitrariamente. Quasi
il
il

ciaschedun verso finisce troppo tardi per


della prima proposizione, troppo presto per

senso
senso

della seconda. L'ultima parola sta per ragion di disciplina nel verso
,
,

quasi

ansiosa di

saltar nel see

condo mandando in malora la metrica omaggio alla logica. Si prova un senso

rendendo

di fastidio,
il

come quando, vestendoci

in fretta,

ci

s'abbottona

primo bottone col secondo occhiello e si prosegue sbagliando, ed alla fine il vestito fa due goffe pieghe semiconiche, che e' imbarazzano gonfiandosi al pi

112

Lo spirito

l'arte dannunziana.
quanta
in

leggero movimento. La Nave tutta


decasillabi, centinaia dei
:

enin

quali

finiscono in pi,

ma, in n, in non serie casuali di sillabe, intonate con un accento casuale, che potrebbero cedere il posto a una qualunque altra forma prosodica. Non indispensabile che
la struttura

metrica risponda alla strut-

tura del pensiero


di Iorio
;

con

la

mirabile concordia della Figlia

ma, quando costantemente le contraddice, segno che la forma non s'addice al suo contenuto e non gli nacque gemella. Il d'Annunzio trov gli schemi estrinseci beli' e fatti nella Francesca da Rimini (endecasillabi misti a settenarii) e nel Canto di festa per calendimaggio (endecasillabo sociale, patriottico, profetico). Li impose per forza alle sue nuove tragedie, che li subirono di mala grazia.

Ma
rica

1'

abitudine lo costringeva a versificare invita


la tronfia e reto-

Minerva. Di prosa non scrisse che


Vita di Cola di Rienzi (1906),
delle
scuri,

promesse
ultimo
;

Vite di

uomini

illustri e di

prima ed unica uomini odi

guizzo

dell' esaurito

patriottismo

Elettra

due episodii Pi che /' amore. Qui, segnatamente nella bella scena iniziale del secondo episodio tra Corrado Brando e Maria Vesta, la prosa di gran lunga pi poetica che la solita fiacca ed errabonda versificazione. Ma il dramma vai meno delle Citt Morte e delle Gioconde, cui da vicino somiglia. Corrado Brando
e la tragedia

moderna

in

un' esploratore africano


prire

un eroe, perch vuole scose l'Omo appartenga al sistema del Nilo o sbocchi nel lago Rodolfo. Stanley fece molto di pi senza incorrere nel codice penale, e, poich non
;

credette indispensabile

all'

esplorazione

dell'

Africa

Decadenza.
tenebrosa n
abbattere
i

113

la

capacit di fare anche

il

male, di

termini, di mettersi fuori della

ci

legge

la

ferma convinzione che


corporali

la

peggiore delle faai

talit

quella che

lega

consangui-

possiamo anche perdonargli, se sulla gobba del suo cammello non caric fatti d'Alessandro Magno, Dante, Erodoto, V Odissea, Rime e lettere di Michelangelo. Corrado Brando non fece in tempo ad apprendere da questi spiriti magni l'eroismo apprese bens da costoro, e perfino da Beethoven, secondo ci eh' egli, se Dio glielo perdoni, asserisce, che nel mondo degli eroi non si combina nulla, se non si calpesta la cosiddetta bont e la cosiddetta giustizia. Anch'egli, come due fratelli Gratici e l'altra numerosa superumana progenie di euritmico nome e cognome che gli era prenata e premorta ai tempi del re di Roma e del tribuno agrario Ruggero Fiamma, un fervoroso praticante dela vanvera. L' eroe proclama nella l' eroismo
nei ,
i
;

ciarlatanesca prefazione apologetica l'autore, V e-

roe diffonde e perpetua intorno a s la sua volont eroica,

che
Il

la

colpa non pu distruggere n me;

nomare.
si

che sar magari vero


1'

ma

purch non
auto-

dimentichi che

eroe eroe, non gi per


si

definizione, n per le imprese eh' egli

crede ca-

pace di compiere, ma per le azioni che ha effettualmente compiute non per le sue colpe, sibbene malgrado le sue colpe. Chiunque possegga s per
;

essersi conquistato a

prezzo
il

di

travagli, considera

come suo
grazia,
e

privilegio

diritto

di punirsi

o di farsi

questo

non lo concede ad altri. Sofisma: se chiunque pu riconoscersi meritevole di

114

Lo spirito

l'arte dannunziana.

autopunizione, vale a dire che pu riconoscere di aver peccato, cio di non aver saputo dominarsi, di non essere ancora riuscito a compiutamente possedersi. Cade dunque nel vuoto il suo presunto diritto.

Chi, se avesse un rimasuglio di

pudore,

do-

vrebbe astenersi dal parlare di self-government, precisamente l'aspirante eroe Corrado Brando. Una nobile e platonica ambizione geografica lo autorizza a tutte le infamie. Giuoca disperatamente, e,
poich non
rarsi

vince

al

giuoco, assassina e svaligia

un vecchio milionario, col futile pretesto di


i

procumezzi necessarii all'esplorazione dell'Omo.


al

Disgraziato

giuoco, fortunato
la

in

amore

ragion

per cui seduce ed ingravida


gliore amico.
cui
sta

sorella del suo

mi-

Quand'ecco, proprio nel momento in per farsi uccel di bosco, imbarcando per
equatoriale,
al

l'Africa

sicuro

dall'estradizione,

il

suo bottino, ed abbandonando a


incinta,
i

Roma

la

fanciulla

vili

sgherri della vilissima terza

Roma

o-

sano penetrare nel santuario per arrestare quel magnanimo. Cos finisce la tragedia n il poeta ci dice se da Maria Vesta, pi fortunata delle vergini
;

delle

rocce,

sia

per nascere
Il

il

piccolo Brando, re

della quarta

Roma.

frenetico

megalomane
la

finir,

a quel che sembra, per tirarsi un colpo di revolver,

non senza aver


colpevoli
agenti

fatto
di

pagar cara
pubblica

sua pelle agl'in-

Anche da poteva cavare un bel dramma, se il poeta avesse osato guardar dentro la vacuit del suo eroismo come altra volta os guardar dentro la vacuit del moralismo di Tullio Hermil che, non dissimile da Corrado Brando pronunciasicurezza.

Corrado Brando

si

Decadenza.
va
1'

115

incompetenza dei tribunali a giudicare


il

il

suo

crimine.

Quando
tro parole:

servo Rudu dice

al

suo padrone Cor-

rado: tu vinci sempre, Corrado risponde con quatterpretate


sempre, ma nel deserto le quali, incon leggera malizia, sembrerebbero simbo;

liche e conclusive per tutto

ziano.

Vivono

nel deserto, o,

quanto l'eroismo dannunvincono gli eroi dannunziani, ma diciamo meglio, nel vuoto, ove morte
di contrarii coincidenti,

e vita, sconfitta e vittoria sono formule inani, soggetti

senza oggetti, contrasti


si

serpenti verbali che

la coda. Sembrerebbero conclusive quelle quattro parole, e non sono.

mordono

Mancava
romismo

all'eroismo dannunziano l'eroina,


la

al

supe-

superdonna.

A poco

a poco, pur di ge-

nerarla, la squisita cortigiana andava mescendosi in un mostruoso connubio con la folle Chimera. La nuova creatura giunta quasi a maturit in Basiliola Faledra, che a Marco Gratico dona il suo corpo e promette l' impero dei mari di Levante. E viene final-

mente
rebbe
e,

alla luce col

nome
lo

di Fedra, la

quale fa o vor-

far le

medesime cose
di

col purissimo Ippolito;

non riuscendovi,

calunnia e lo fa perire di morte

violenta.
colti

Dopo

che, in cospetto dei parenti rac-

a piangere la vittima con molta erudizione miai

tologico-archeologica, rubata di peso


delle Laudi,

due volumi
la

Fedra

indimenticabile

perpetrando

pi turpe contraffazione del sublime gesto di Brunilde

davanti

al

cadavere
la

di

Sifrido,

glorifica
delitto.

l'amor suo

per Ippolito e

santit del

volta la Grecia della Citt

Ancora una Morta, con la medesima


suo
il

catastrofe e di mutato solamente

sesso dei prota-

116

Lo spirito

l'arte dannunziana.
la vittoriosa debellatrice della

gonisti.

Anche Fedra
la purit

moralit convenzionale, colei che, assassinando, rag-

giunge

per

la

dove

si

sazia la fame dei vermi

non complicata ragione che la sete si spegne


ineffabile
:

della libidine.

il

suo nome
di chi

come

il

nome

sovverte antiche

leggi per porre una sua legge arcana.

Il

d'Annunzio

dunque tornato

sui suoi passi.

Per

anni ed anni egli ha ricucinato in una salsa stanta


la

materia, che cinque o dieci anni primi era servita

all'elaborazione delle opere, ove, prima delle Laudi,


fu

triottismo

proclamato l'avvento del superuomo col suo pacannibalico e la sua moralit incestuosa,

fagi

omicida e scassinatrice di casseforti. Quasi antropoaddirittura autofago divenuto personaggi


i
:

l'autore.

Flaccida per decrepitudine

la

materia; stracirritante

ca, afosa,

opprimente

di

languore ed

per

arida e slombata violenza, la forma.

Poich non nostro compito scrivere il necrologio d'un artista vivo e verde e nel pieno vigore degli anni, non nostro compito profetare se da questa oscurit sia o non sia per prorompere un'altra crisi ed una terza primavera di artistica grandezza. Il pubblico, che, fino alle Laudi, derisa ed oltraggi le dannunzianeggianti aristocrazie
intellettuali,

dichiaratosi
la

unanime per

il

d'Annunzio subito dopo


si

Figlia di

Jorio, ora che le aristocrazie intellettuali

abbandonano

sazie l'artista indebolito, gli

mantiene fedele mal-

grado

la la

dopo

clamorosa caduta Nave, anche dopo

di
la

Pi che l'amore, anche Fedra. I giovani impa-

Decadenza.
zienti e maligni

117

bestemmiano

la

troppo diuturna
la

ti-

rannide;

critici inflessibili

protestano contro

cieca

ostinazione dei plaudenti.


Iniquit o ingenuit.

troppo

giusto che chi

com-

batt strenuamente per la gloria ne porti cinta la testa anche

quando

le

sue braccia son divenute troppo

fiacche per riconquistarla ogni giorno.

Ed

neces-

saria espiazione che la plebe letteraria, pertinace nel

negare
tista

il

trionfo

all'

artista

che

lo

merit,

pentitasi
l'ar-

troppo tardi della sua balorda severit, compensi

perseverando ad onorarlo

di trionfi, ch'egli

non

merita pi.

III.

BELLO E BRUTTO NELL'ARTE DEL D'ANNUNZIO.

J.

Gli elementi intellettuali nell'arte dannunziana.

Loro scarsa importanza


critica di

Cultura di G. d'Annunzio
-

Suo

principale carattere; non disinteressata

L' intelligenza

G. d'Annunzio

Tracce di scienza positivistica.

Un giudizio complessivo su Gabriele d'Annunzio molto semplificato dalla purit estetica dell'opera
una strana eliminazione,
altri

sua. Per

di

cui

non

si

cose

noscono
si

esempii fra

grandi poeti
il

italiani,

esclude Lodovico Ariosto,


si

cervello del

d'Annunmedita-

zio

mantenne quasi immune da leghe


critica,

di

il

poco un'epoca nella quale l'indagine degli astratti penetra pure temperamenti pi alieni dall'esercizio del raziocinio. Chi lo conobbe intimamente sa come la sua conversazione, sfavillante d'immagini ed ebra di una instancabile sensibilit, tronchi con una aforistica conclusione il filo appena iniziato del pensiero. Ricchissimo di genialit, egli difetta di quella pi comune virt, che per una comoda antitesi potremo chiamare intelligenza. A che si riduca il suo programma politico ed il suo credo filosofico e morale abbiamo ampiamente mostrato, tracciando la
zione filosofica o
realizzando
press'a
tipo astratto del puro poeta in
i

122

L'arte di

d'

Annunzio

storia del suo spirito.

La sua appariscente

cultura

si

rivela senza lacune dalla lettura dei suoi libri: un'ec-

cellente

conoscenza

di

letteratura italiana e di lette-

rature straniere modernissime, molto studio dei tragici e dei lirici greci,

qualche svogliata scorribanda


nei reper-

nella poesia
torii

romana, molte opime razzie

mitologici archeologici ed araldici, nomenclature

botaniche, una fuggevole infarinatura di storia per uso


retorico, letture di Nietzsche, di Platone, di qualche
libro biblico

una larga e vivace curiosit infinitamente pi fresca ed immediata che non sia di solito fra gli uomini di lettere, per la pittura per la scultura e per la musica. Questo ricettario di dottrina, escogitato dal d' Annunzio trov grande fortuna fra le
,

signore.

Manca
la

dell'essenziale carattere, che contrad1'


:

distingue
il

vera dottrina, la vera cultura


i

intimit,
letti,

disinteresse. Tutti

libri

che d'Annunzio ha

tutte le

opere d'arte che ha ammirate, furono imme-

diatamente decorate dal timbro, non gi d'una personalit

inconsapevolmente assimilatrice,

ma

d'un'enerdi

gica volont infaticabilmente


teriali

raccoglitrice

ma-

per
le

il

solo libro, per la sola opera che veil

ramente

stesse a cuore:

suo
gli

libro, la

sua opera.
gi

Le creature del genio

altrui

erano care non

come monumenti

dello spirito universale,

ma come

pietre miliari del suo spirito egocentrico. L'impressio-

ne predominante, che
precisamente
il

gli lasci la

Divina Commedia,

ricordo degli olivi di Corf, alla cui

ombra

prima volta la comprese. Le pagine somigliano alle pietre di Colossei sgretolati o da sgretolare per metter su un ediegli per la

e le linee dei capolavori

ficio

novello.

Elementi intellettuali
Tutte
le

123

menti attive, leggendo, trovano s medeil

sime;

ma

d'Annunzio non
fratelli

si

trov,

si

cerc nelle
di

opere dei suoi


s'egli abbia

maggiori. Incapace

accumu-

lare e di digerire l'esperienza della cultura, pare

come

immediatamente speso, per il dramma o per il romanzo d' imminente pubblicazione , il danaro contante guadagnato alla pi recente lettura. Pare anzi eh' egli abbia letto solamente per nutrirsi in vista del prossimo sforzo, quasi per prepararsi ad un esame. Medita la Francesca da Rimini: s' impadronisce della lirica dugentesca. Escogita la Fedra: sfoglia tutti
i

resoconti degli scavi archeologici cretesi.

Sebbene queste preparazioni erudite consistano di


consultazioni pi che di letture
e
le

loro
dalla

difficolt

siano quasi completamente

spianate

diligente

collaborazione degli amici bibliotecarii, innegabile

una
alla

certa coscienziosit,

tutta

quanta esteriore

del

resto,

ed intesa
quel

alla volutt

scenografica anzi

che

penetrazione della sostanza.

Ma
d'

che

soprattutto importa notare che

il

Annunzio non legge e non studia per 1' amor dello studio, e che, se improvvisamente venisse a mancreatrice,
1'

cargli la frenesia

gli

si

estinguerebbe

di

colpo anche
percorrere un

la

pazienza e

attenzione necessarie a
di

volume. Manca

dottrina occulta

manca, in una parola, di quelle letture e di quelle contemplazioni inutili, cio non premeditate ad un fine, che poi sono le pi fertili e feconde. La sua cultura un
di capitali nascosti, di chilificazioni inconscie;

arsenale di arnesi
calcolabile,

del

mestiere:
di

visibile,

palpabile,

numerabile
cassa
in

prim' acchito,
Il

come un

fondo

di

metallo sonante.

che non ha

124

L'arte di
con
la

a"

Annuzio

nulla a vedere

tediosa
che,

questione
se
in

dei

plagi
rara

dannunziani.

verissimo

qualche

Canto novo, ed in molte cose del libro di Alcione il d'Annunzio riuscito a poetare in immediato e fulmineo contatto della sua materia, nelV enorme maggioranza dei casi ha concepito 1' opera sua marginalmente ed interlinearmente ai libri letti. Ma questa constatazione non ha nessun significato critico. L' originalit di un poeta consiste nella robustezza del suo temperamento. taluno che, non
poesia del

avendo mai copiato un rigo


e servile imitatore
:

resta

un

pedissequo

e v' talaltro che,


i

avendo cod'Annunzio
la

piato ogni cosa


l'

impeto

di

annega una vorticosa


,

suoi

furti

innocenti nelIl

originalit.

ha rubato spunti, materie, strofe, periodi, situazioni,


tutto fuorch

V intonazione

ed

il

tono che fa

canzone. Provatevi a dire


pore
di
stile,

che manca un certo


e preciso colore di
di

sa-

un definibile

com-

posizione che possa, senza timore


ner nell'istante
cui

equivoci, chia-

marsi dannunziano. La vostra coscienza vi condanin

pronunciate

un' iniquit, la
chi

quale, per altro, non

commuove energicamente
si

non

tralascia occasione di protestare contro l'abuso,


fa del criterio di

che nella critica odierna


nalit.

origi-

Negare

1'

originalit
l'

del

plagiario d'
dei

Annun,

zio

significa

ammettere

identit

plagiati

la

somiglianza di Verlaine con Pindaro, di Maeterlinck con Eschilo. Poich il d'Annunzio ha saccheggiato
indifferentemente
i

poeti pi opposti e le ispirazioni

pi contraddittorie, vale a dire che la sua


personalit
le

violenta

ha

tutte

quante

falsificate e corrose.

Leggendo Dante

e Tolstoi,

gl'inni

della

Chiesa e

Elementi intellettuali

125

Baudelaire, egli ha automaticamente espulso dal suo


cervello tutto ci che
al

suo cervello non era o non


di

poteva,

con un marchio
Perfino

contraffazione,
,

rendersi
delle

somigliante.

Platone

nelle

Vergini

Rocce, dannunzianamente truccato. Questo metodo


tirannico ed usuraio
di

lettura

non

toglie

pregio,

come pretendono gli Thovez fra loro, che


ed acuto,
cultura
all'

esploratori di fonti

ed Enrico
la

senza dubbio
spoglia
di

il

pi diligente

opera

ma

ogni seriet

del

d'

Annunzio.

Esponendo la sua maniera di conoscimento, abbiamo dato implicito un giudizio delle sue facolt
critiche.

Non

critico

quegli

che,

cupido

unica-

mente d'intensificare
dividualit, rinuncia
sieri

e di sottolineare la propria ini

discordi e

le

ad allargarla, accettando penforme aliene. La famosa interpre-

tazione del Tristano di


se,

Wagner (Trionfo della Morte), come prosa poetica, rivela una squisita sensibilit, come prosa critica non si allontana dalla convenzionale analisi tematica. Wagner giudicato da
un wagneriano,
intenda

non da una mente superiore,


attraverso
frequenti

che

Wagner
di

un' estetica universale e

monda

formule settarie. Le
scuola

digressioni

intorno a sculture della

fiorentina, a pitture

della scuola veneta, a capolavori

michelangioleschi

sono deliziose divagazioni e traduzioni letterarie. Anche il d'Annunzio, come la massima parte dei cosiddetti critici d'arte, non pu intendere la plastica, se prima non l'ha distillata e volatizzata in poesia. Resterebbe la scienza. Fiorito primamente sotto la costellazione della letteratura positivistica, attratto dalle

simpatie del suo temperamento verso un naturalismo

126

L'arte di d'Annunzio.

materialistico, bisognava che anche il d'Annunzio cadesse nell'agguato che a tutti gli arruffoni tendeva
la

pedestre scienza parolaia dei suoi tempi:

E t'inviluppi, germe inviolato, monade pura, ne' riflusso immenso de la materia che giammai non muore.
1

Non aveva

letto

il

gran libro del Bchner l'adole-

scente poeta del Canto


sie , finch a

Novo?

Nel Giovanni Episcopo


e diseste-

parla molto di non quali parestesie

un certo punto prorompe in questa nervi dellapalissiana esclamazione Che mistero, l'uomo Ed ecco finalmente un prezioso excursus psico-patologico dal Trionfo della Morte : La vi:

sione dell'amplesso

gli

diede un urto cos


tutta la

violento

che

il

corpo fu attraversato per

sua lunghezza

da un sussulto simile a quello prodotto da una scarica di elettricit. Avveniva in lui quel terribile fe-

nomeno

fisico delle cui tirannie egli era vittima


il

difesa. Tutta la sua conscienza era sotto

senza dominio

del desiderio

poich tutte

le

ripercussioni che inva-

devano i suoi nervi, di attimo in attimo, valevano a muovere quel punto del centro cerebrale che il periodo di riposo anteriore aveva portato a un grado estremo
molecolare . Simili ridicolezze sono molto rare nel d'Annunzio; il suo buon gusto salv la decima Musa dell'amplesso di Cesare Lombroso.
a" instabilit

77

mondo

di

d'Annunzio.

127

2. Il

mondo

di Gabriele d'

Annunzio.

Confo consuntivo della sua opera


simpatia
-

Angustia

Paesaggi

- Mancanza d' umanit e di monotonia del suo mondo fantastico personaggi dannunziani - Il labirinto di specchi.

caratteri

intellettuali

dell'

opera

dannunziana

si
il

riducono dunque a un residuo infinitesimo. Tutto


resto pura fantasia. Arte o

non arte? moda o bele per

lezza? Abbiamo visto quali siano,


gioni,

quali

ra-

da considerar durature pagine che il d'Annunzio ha

fra le dieci e diecimila


scritte e
il

Laus Vitae;

stampate: la Canto Novo nell'edizione definitiva; un'antologia lirica scelta con abbondanza dall' Intermezzo e dalla Chimera, con parsimonia dal libro di Elettra, con avarizia dallVil

libro di Alcione;

sotteo,

dalle Elegie,

dal

Poema

Paradisiaco,
;

dalle

Odi Navali, dalle tragedie sbagliate la Francesca da Rimini; la Figlia di Jorio; V Innocente; molte fra
le

Novelle della Pescara; un'antologia di prose scelte,

assai

meno persuasiva che

l'antologia lirica.

Non

un manipolo, un esercito di periodi e di strofe, e vi son cose immortali. Pure, quando il conto consuntivo chiuso e non resterebbe che firmarlo se il critico si vede sfilare innanzi le bellezze vittoriose, eh' egli ha assolte scernendole dalle consanguinee brutture, un sottile rimorso lo prende, come se fosse necessario un processo d'appello, nel quale un pi acuto e penetrante avvocato fiscale perori contro l'opera superstite e il migliore d'Annunzio. Qualche voce nell'aula commenta sfavorevolmente
,

128
la finale

L'arte di d'Annunzio.
apologia
dell'artista,

che esce immune


il

da

una lunga indagine,

nella quale

giudice entusiala

stico e spietato svel

con pugno fermo

piaga in-

confessabile, coron con

mano

palpitante la bellezza.

Questa voce partita dalla folla, che cede ai sentimenti non ne penetra motivi, dice che, pur dove l'arte del d'Annunzio grande, non ci persuade senza resistenza dove forza la nostra ammirazione, non
e
i
;

conquista

la

nostra simpatia. Ora l'avvocato fiscale

sa quale oscuro malessere della sua sensibilit voglia esprimere V incontentabile.


Il

un poeta da capezzale, non


dormire sotto
strada faticosa,
il

di quelli

d'Annunzio non che possano


gli sterpi della

guanciale del pensatore o dell'eroe,

n che possano far compagnia, lungo


al

mediocre uomo d'azione, che cerca in qualche raro e grande libro una parola di consolazione, di coraggio e di riposo. Guido Mazzoni accenn con accorata sottigliezza all'incessante esitazione del lettore, che dall'entusiasmo cade nella pigra saziet, dalla saziet risale a un impeto di franco ma non duraturo consenso. vero per rileggere il d'Annunzio bisogna trovarsi in uno stato d' animo, che quella rilettura pu intensificare ma non per forza propria generare. Si riprende nelle mani un volume del d'Annunzio, quan:

do, per una combinazione di eventi nostri,

abbiamo
dan-

riconosciuto in noi medesimi qualche cosa di

nunziano
trice in

orgoglio

di

felicit fisiologica, orgiastico

gaudio per la natura irrompente, solitudine spregiauna dura coscienza delle nostre forze. Quicquid humani a me alienimi puto. Allora il d'Annunzio la mano ardente un ospite desiderato e invocato
;

//
di chi

mondo

>

di

d'Annunzio.

129

da lungo tempo non aveva percorso le sue volumi derelitti nello scaffale, li fruga con cupidigia, si ferma sulla strofe che la nostra voce rotonda declamer per la volutt dell' animo
pagine, cerca
i

nostro oltracotante.
ciali

Ma,
in

se g' infiniti
in

filamenti
in

so-

che

ci

legano
alle

odio e

amore,

rancore e

in

desiderio,

cose del

mondo

e della vita ci

fanno sentire con un impercettibile e pur doloroso


strappo
la

nostra quotidiana
fati

responsabilit
e dei fatti,

Y in-

scindibile continuit dei

se Y aliquid

humani trepida
ansiosa, allora
il

nella

nostra coscienza operosa ed

d'Annunzio
gli

un visitatore imporcui
si

tuno, un chiacchieratore vanesio e prolisso,

chiudono

le

porte e

orecchi. Se

non siamo
ci

di-

sposti a sentirlo, la sua parola non

vince. Ospite

padre, non non amico e nemmeno nemico. Se Y amiamo, percepiamo come un' ombra Y imminente stan-

sempre, bene accetto od inviso

ma non

fratello,

chezza se lo respingiamo, lo respingiamo come conti domauno con cui non sia necessario fare dalla nostra vita senza ni, che si possa espellere rimorso, che si possa radiare, senza perdita, dalla
;

storia.

Non
,

n la fecondit n

il

matrimonio;
la
;

l'arte

del

d'Annunzio
la

un' avventura galante del nostro


,

spirito

pi

frusciante di sete

pi

densa

di

profumi, la pi spasimante di volutt


sterile

di tutte la pi

ed amara.

ch un

La sua fantasia troppo chiusa ed angusta peruomo vi possa respirare. Vi entrate sbadatamente, per la prima volta, con Y animo disposto a spaziare e ad acclamare. Ecco infiniti paesi e lon-

130

L'arte di d'Annunzio.

tananze sfolgoranti ed ombre di mistero ed uomini, donne, fanciulli nei pi diversi atteggiamenti della
sofferenza e del tripudio, della vittoria
sfatta,

della

di-

della vita e della morte.

Una nuova Comme-

o, poich non dantesca n una Commedia dannunziana, non divina non umana , la Commedia eroica"? tutto un universo di natura e di creature ? La vostra ammirazione davanti a quella mutevole immensit diviene ponderata cupidigia di disamina. Guardate pi maturamente le cose vicine. Cinque mirabili quadri, di-

dia,

divina od umana,

balzacchiana,

sposti

come

perfetti diorami,

attraggono sul princicitt

pio la vostra entusiastica curiosit. Neil' uno fiorisce


di

fontane e
:

di

volute marmoree una


gli

fascina-

trice
in

Roma

? Le terme e
;

archi

si

raggricciano

gli

uno sfondo malcerto ma di l dalle terme e daarchi biondeggia di ristoppie e di febbre la campagna. Un cavaliere, emergendo da un nembo di polvere, galoppa verso V orizzonte nel primo piano sale, molleggiandosi, una procace magrezza velata per un'ampia scalea, da una piazza scintillante di acque verso una chiesa coronata d' azzurro. Nel secondo quadro, un fiume, gi stanco del suo lungo cammino, traversa la pineta. Ride prossimo il mare; pascolano le cavalle sfrenate tra le macchie basse, in vista dell' Alpe Apuana rosea di tramonto. Un altro mare splende pi cupo ed austero, nella terza
;

pittura

paranze

di vele scarlatte di

dormono
;

sull'

on-

da

biancheggia
in

contro

la

Maiella

s'
i

assiapano
popolani,

sulla riva, vestiti di colori

sgargianti

urlando

un rito religioso che somiglia a un baccanale. Ed ecco ancora il mare nel penultimo qua-

//

mondo

di G.

d'Annunzio.

131

dro,
coli.

ma immobile come uno


cielo violento
;

specchio velato dai seautunnale

La laguna. Vaste nuvole porporine pendono


il

da un

sole

dardeggia

nel biondore di grandi

femmine opulente. Roma papale, l'Abruzzo, Venezia, Bocca d'Arno; quando mai s' erano viste dipinte con siffatta bravura di mas
s

no, con
lore,
Il

profonda penetrazione del

lor giusto

cocor-

con

felice scelta del loro istante

simbolico ?
se
le

vostro occhio penetra nei quadri, dischiuse su


pi

come

nici fossero finestre

paradisi tangibili.

colonne spezzate e cima a nude acropoli spopolate le larve degli dei sull' Olimpo. Remota nello deserto il sfondo una chiazza d' oro abbagliante con le piramidi e la Sfinge, e, dove la cornice si chiude, in una fosca macchia di verde inestricabile, il primo sentore dell' Africa tenebrosa. Nient' altro ? Certo, tutte le patrie degli uomini e dei miti splenandremo pi dono in quelle favolose lontananze quelle che paiono tardi. Ma vicino a noi nuli' altro
L' ultima

pittura

scarna

fronti cieche di templi in


;

finestre

sono pesanti cortinaggi di velluto superbamente panneggiati al limitare del carcere. La fantama mondo di sia dannunziana tutto un mondo guardare aluscire n lecito sortilegio, onde non
;

trove.

Guardiamo dunque

un' altra volta la dovizia


;

profusa avanti agli occhi nostri


le statue.

non pi

quadri,

Dove

batte pi viva la luce, la Forza, col

pugno chiuso

e col

duro cipiglio, raccoglie

il

fascio

dei suoi muscoli contratti per

uno slancio
in

di assalto

e di corsa, mentre nell'angolo pi buio la

ginocchiata accoppia

le

palme

Bont inun atto d' implo-

razione suprema, rassegnata a soccombere tacendo,

132

L'arte di d'Annunzio.
il

Una madre veneranda, appoggiata mento sulla mano scarna, medita sull'inevitabile destino; e, non
un giovinetto bellissimo, dalle chiome il carnoso corimbo del piacere, e gi reclina la testa, ove la saziet scava, presso alla bocca libidinosa, una ruga precoce. Altre ancora. Ecco un mistico pastore, grasorretto il vate le spalle da un agnello dormente corpo giovanile da una lunga croce, volge estatici gli occhi al cielo, mentre dall' altra estremit par si avanzi danzando incontro ai due cedevoli imberbi
lungi da
lei,

ricciute,

sfoglia fra le dita languide

immagine vivente della Bellezza, la cortigiana seraccolti fra le dita minuda dai seni prorompenti
1'
,

lunghe
pini le

lembi del velo fuggevole, coronata


nell' orbite

di

pamdel-

chiome, affondate

cave
la

le

pupille

devastatrici.
l'

E accanto
la

alla

Chimera

statua

Odio

fratricida,

simile nelle fattezze

all' atleta

che

rappresenta
tale
il l'

forza eroica,
i

ma con un ghigno mor;

che gli discopre denti e dietro alla Chimera simbolo dell'Incesto, dagli occhi esterrefatti, dalidre guizzanti fra capelli sconvolti e sul basai
;

mento donde si svincolano le membra della bellissima nemica un bassorilievo, dov' ella, ignuda sul rogo, trasale di gioia sovrumana, sentendo le fiamme salire lambendole il ventre. E tutt' intorno alla sala un fregio di schiettissima grazia, ove innumerevoli giovinette, simili l'una all'altra nel volto, prosui capo canestre di spighe. Magnifico e ancora pi stupendo sar quello che ci promettono vagamente le crepuscolari lontananze che si stendono, invitandoci, davanti ai nostri occhi.
!

cedono recando

Facciamo dunque qualche passo pi

in l

lasciamo

//

"-mondo

>

di

d'Annunzio.

133

Venezia e Bocca d' Arno, la madre veneranda e il melodioso pastore. iWa ecco un improvviso ostacolo ci arresta. Non si passa di l. E nemmeno dall'altro lato. E neanche dal terzo. Dovunque ci volgiamo, il nostro capo sbatte contro una muraglia. La quale uno specchio. Guardiamo con ansiet nelle vaghe e fantastiche lontananze sono medesimi quadri, le medesime statue, medesimi gruppi infinitamente ripetuti, con multiple rifrazioni ed inversioni e giochi di luce per un mirabile sistema di
:

spiragli

e
1'

di

riflessi

artificiosi

proiettati
d'

dall'

uno
la

contro

altro cristallo.
il

Venezia, Bocca

Arno,

campagna romana,
neranda,
la

pastore mistico,
il

la

madre vecupido

cortigiana che brucia,


:

fratello

della sorella

dovunque, a destra

sinistra,

da

presso e lontano, neh' ombra e nel sole. L' universo

dannunziano
segnati
all'

un piccolo labirinto

di

specchi. Ras-

angustia del luogo chiuso, che

libero e vasto

come

il

credemmo mondo, torniamo ad ammiun tedio


sottile

rare le

immagini note.
ci

Ma

insensisi

bilmente

sale dai precordii.

Quella Forza, che


crollare al

scaglia in un perenne furore di conquista, pare che


scricchioli sul

basamento per

Quella Bont, cos serafica nel dolore, piangere ed implorare


nell' inerzia.

primo urto. non sa che La madre venesalvi dal peri-

randa incapace
colo
il

d'

una volont che


il

figliuolo,

giovinetto lascivo ha paura

della meretrice, e la meretrice, cupida di portare alla

rovina

tutti

gli

uomini, danza, vanitosa


e

di

s,

non

sapendo quale abbrancare,


forza d' uccidere e
le
l'

l'Odio non ha quasi


Frattanto
e le canefore

Incesto impotente.

fiamme rugghiano dal bassorilievo,

134

L'arte di a" Annunzio


senza

girano

mai

fine.

Non

avverr

dunque mai

nulla fra tutte queste passioni scatenate? Ma le passioni si muovono in leggiadre figure coreografiche
;

cos leggiadre e precise che

non

s'

urtano mai, fin-

ch

danza si compongono in un gruppo Forza si slancia ancora ed ancora la Bont procombe e la madre piange e il pastore guarda il cielo e il giovinetto sfoglia il suo corimbo. Non verr dunque un gran colpo di vento
alla fine della

decorativo, ove

la

a sovvertire quest' ordine soffocante? Tutto chiuso

ed opaco. Non un grano


sui simulacri preziosi.
tra
di

di

polvere sulle pitture e

v' assedia le nari

un tanfo
e di pro-

museo
;

e d' alcova, di vernice e vi

nuova
lo

fumi stappati
di

ronza sui timpani

strascico
!

confuse musiche svanite. Quale caldo rappreso quale languore snervante! Chi direbbe che a pochi
passi di l tumultua
il

mondo

e gorgoglia la vita?

Ancora qualche

invisibile carceriere vi uccide lentamente

ove un con esalazioni di narcotici perversi, e voi sfonderete con l'impeto del vostro cranio le pareti di vetro. Per sanistante di questa prigionia,

guinare
chi d'

all'

aria libera.

E
sul

per vedere, alla libera luce,


fossero

se quelle statue e quelle pitture non

giuo-

ombre magiche

muro,

febbrili frenesie dei

vostri occhi allucinati.

Forma, lingua

stile.

135

3.

Forma, lingua
e di

e stile.

Impressione di fatica

stento -Valore limitato e preciso

delle sue creature - Differenza

fra classico e dannunziano

Incapacit di costruzione-Caratteri della lingua dannunziana -

Grammatica e

sintassi- D'Annunzio e la questione della lingua.

Un

iniquo disgusto vi rende intolleranti. Oppressi

dalla fatica di leggere, vi pare

che

le

opere sottogenerate con


delle loro

poste alla

vostra

lettura siano

state

grande stento

e dolore.

Nella rigidezza

pieghe, nell'imbarazzata compostezza dei loro movimenti, esse tradiscono lo sforzo creativo. Le creature

dannunziane, araldi
stanche di vivere
fin

di

gioia e di forza, sembrano,

dalla nascita, invocare

con pein

noso anelito la fine del dramma o del cui vivono per sommergersi nel mondo
de
la

romanzo
larvale,

donIl

mano
il

del

poeta

le

ha

riluttanti

suscitate.

gesto che

tirannico creatore ha imposto alle loro

figure troppo

incomodo ed

innaturale

perch sia

loro possibile di muoversi libere e gaie.


ballerini
strette
,

Sono come

che

come
Il

debbano danzare con scarpe troppo oratori che debbano pronunciare un


fra la lingua

grande discorso, tenendo un sassolino


e
il

palato.

poeta, inflessibile
le

come un pedagogo
dal primo al-

o un impresario,
l'ultimo

tiene

per mano,
all'

passo, dalla prima

ultima

parola.

Non

contento di averle create, quasi che della sua forza


creativa

non fosse intimamente persuaso,


le

le

accom-

pagna

e le dirige istante per istante, e

nemmeno un

solo istante

abbandona

medesime. La sua

136

L'arte di d'Annunzio.

volont costantemente pi energica della sua fan-

son tronfii come chi una lezione, ed impacciati come chi delle sue azioni debba senza scampo render conto a un padrone. Immancabilmente il d'Annunzio sa quel che le sue creature fanno e debbono fare, dicono e debbono dire, non come un dio che per infinita prescienza conosca il partito che gli uomini trarranno dal loro libero arbitrio, ma come un meccanico il quale non ignori che, se la sua mano cade per un attimo stanca, la vita riflessa del suo schiavo microcosmo s'arresta. Eroi ed eroine egli tiene per le tiranti. E non gli sfuggono. Quel che pensino e se pensino quel che sentano e se sentano egli non
tasia.

Perci quei personaggi


recitare

debba

sa n chiede:

mancano

affatto di vita

intima,

come

schiavi considerati dal punto di vista dell'aguzzino;

mancano
tuali.

di riflessione,

di

dubbii, di
si

Al d'Annunzio basta che

meandri spiricomportino visisi maSono traduQuando par-

bilmente secondo un certo schema, basta che


nifestino

secondo
s e s,

il

gesto prestabilito.

zioni verbali di atteggiamenti statuarii.

lano fra

quando

si

raccolgono

nel

loro

dramma
illude
il

segreto, parlano con la voce del d'Annunzio

falsificata

invano,

come

quella del

pubblico di discutere
le narici,

mentre, contratte
in

trasformista, che con un avversario, discute con se medesimo,

timbro leggermente pi nasale. L'orizzonte cos

angusto che la mano del poeta pu sempre raggiungere il limite per acciuffare un personaggio ribelle al

dunque

le

regolamento e rimetterlo in fila. Mancano ombre, gli sfondi, le multiple possibilit

d'interpretazioni.

Manca

alle creature di

quest' arte

F o r ma
la libert,

lingua

stile

137

gilio largirono
in

che Shakspeare e Balzac, Eschilo e Vircreature, poich, createle alle loro


di

gran foga

giovinezza,

le

sentirono cos robu-

da lanciarle nel mondo a farsi strada da s, ad amare a lottare a morire secondo la loro quali, usciti dal cervello gagliardia ed il loro sogno, dell' arte, parvero all' arte troppo stupendi perch valesse la pena di regolarne isocronicamente palpiti
ste

ed

alacri

come
latta

fa

1'

orologiaio

ai

lucidi strumenti appesi

tutal-

t'intorno nella sua bottega. L'arte

dannunziana

un interminabile puerperio; e nessuna cresce cos forte che possa staccarsi dal seno materno balbettando: ora vado da me. Nessuna creatura del d' Annunzio trascende il suo creatore; nessuna proietta la sua ombra oltre
invece
le

sue creature

in

limiti del finito.

Chiuse da un inesorabile contorno,

esse portano sulla bocca,


della pittura

come

le

figure allegoriche
Il

arcaica,

il

loro

significato.
di

lettore

non

mai chiamato a quel lavoro


il

collaborazione,
di

che estende sino all'infinito


d'arte.

valore

un'opera

dramma o un romanzo dannunziano diversamente da come il d' An


impossibile
capire un

nunzio V ha capito scrivendolo


zio

perch

il

d'

Annuncento

sempre

ad impedirvelo.

S' egli

fra

nessuno gli darebbe la sorpresa che a Dante redivivo avrebbe dato il De Sanctis, che a Sofocle redivivo darebbe egli stesso, d'Annunzio.
anni risuscitasse,

La sua

arte esattamente

imbottigliata,
ci

sigillata e

numerata.

Ne

varietur.

E
nel

che

non

varia

nel
si

flusso della

vita,

varia

flusso della morte:

corrompe e perisce. Se un'opera perfettamente chiara per

l'artista e

138

L'arte di d'Annunzio.
i

per

suoi contemporanei, se chi la scrisse ne esaur,


tutti
i

scrivendola,

significati, ai

posteri quell'opera

trificate

Le materie piesono impenetrabili, ed il futuro non le scava per deponi suoi germi. Solo ci che trascende l'individuo e la contingenza sacro alla storia. E il capolavoro classico definito dalla coesistenza di qualit, solo in apparenza contraddittorie esattamente limitato nella forma, illimitato nella fluidit
sar perfettamente incomprensibile.
i
:

degli elementi che lo

compongono; sfericamente
i

e-

satto nella quantit e nel ritmo,

perpetuamente mute-

vole nella capacit di

che nascono

riflettere vastissimi mondi muoiono contemplandosi dentro il

suo specchio. Finito ed infinito, costante ed iridescente come una perfetta goccia d'acqua. Tra classico e dannunziano passa la stessa differenza che passa
il

tra
il

cristallino e cristallizzato.

Dove

grande

poeta,

vero

classico, illimitato, cio

nell'estensione del sentimento e nella molteplicit del

simbolo,
tornato;

ivi

il

d'Annunzio
il

troppo limitato e consimmetri-

dove

classico infallibilmente
il

co, cio nella quantit e nel ritmo, ivi


si

d'Annunzio
suoi coe-

dilata capriccioso

Manca
tanei,

al

d'

ed errabondo. Annunzio, come agli


che sembra
siasi

altri

una
le

virt

estinta col poeta


classicis-

del Clitanno e della Chiesa di Polenta: la

sima, fra

classiche, virt del costruttore. Tale de-

ficienza pi evidente,

come

pi

evidenti sono

le

forze dell'arte dannunziana, in quello che definimmo

suo capolavoro: nella Laus Vitae. Malgrado la trinitaria armonia dell'ispirazione, vi si percepisce facilmente un certo disordine d'esecuzione, un perico-

Forma, lingua
convulso come
sero
al

stile.

139

loso squilibrio delle parti, un che di affrettato e di


in
le

un edificio ove
scale
si

le

scuderie fos-

soffitto,
le
si

bipartissero ad ogni pias'

nerottolo,
bifore, l

finestre

qua

accoppiassero quasi
materiale

in

distaccassero lasciando
il

frammezzo un
;

largo

muro vuoto. Eccellente


babelico
il

sublime

T altezza;

disegno.

Non

crolla,

ma

par

debba crollare come una torre da secoli pericolante. Se togliete il primo atto della Figlia di Jorio, un piccolo gruppo di liriche quadrangolari nel libro di Alcione (La Morte del Cervo, L'Otre, Versilia, Undulna, qualche altra) fors'anche le Vergini delle Rocce, tutta l'opera dannunziana soffre di squilibrio, di
,

irregolarit

di

proporzioni

casuali

ed arrischiate.
del

Quando

quest' architetto

contento

suo primo
largo del

piano, ve ne fabbrica sopra un altro, che non sem-

pre necessario

e troppo

spesso

pi

primo, di
in

modo

che

lo

copre

d'ombra

e ne

mette

rischio la solidit.

La sua invenzione procede per


Dei
classici,

via di parentesi e di associazioni d' idee, che talora


si

prolungano

in

prolissit filiformi.
gli

che

egli filialmente

am,

manca un'essenziale
il

virt:

quella di scoprire con impetuosa sicurezza


dell'ispirazione e di costruirgli

nucleo

intorno simmetrica-

mente

le

parti.

Difetta,
di

per

dirla

retoricamente
e di fine.

ed

orazianamente,
materia
gli
si

principio, di

mezzo

La

precipita dal cervello in

istato di in-

nel suo procedere, di costiun nucleo intorno al quale organizzarsi. Ma talvolta l'opera compiuta prima che sia compiuto questo processo di raffreddamento e di condensamento stilistico, che il poeta non ebbe la forte pa-

candescenza, e cerca,
tuirsi

140

L'arte

di

d'Annunzio.

zienza di attendere senza por mano alla penna. Quindi tutto gli par buono nel suo cammino; e si

sovraccarica di elementi
dentali,
di

spurii,

di

analogie

acci-

digressioni esagerate, di incontri fortuiti.

Si trascina dietro

come
troppo
la

la

piena

forte,

un codazzo d'immagini e di cose, un torrente lungo un declivio come una banda musicale in una citt
di

disoccupata.

Non

sceglie e

non elimina. Non

pi

nebulosa informe, ma non ancora V astro cristallino, di misura geometrica e di splendore concentrato.

la

cometa che sfugge a malincuore dal

cerchio entro cui vorrebbe roteare, e viaggia accom-

pagnata da un gravame d'imprecisi fulgori. La forma sinceramente espressiva di questa mentalit la strofe della Laus Vitae. Continuamente prossima al ritmo, alla rima, all' equilibrio strutturale, essa non raggiunge mai V adamantina simmetria,

ed appena l l per toccarla gorgoglia in un nuovo singulto che sconvolge l'iniziato processo di
ossificazione. Questa forma alata

coglie la materia

ebolliente nell'istante fuggevole in cui


si

si rapprende e congeda. La lunghezza della strofe permette qualunque ampliamento della cornice ov' chiuso il pe-

riodo, ed

ammette
;

lo

sbrigliamento della fantasia enufissit


,

meratrice

ma

la

sua approssimativa

(ventun
le

versi) ripiglia

infallibilmente le redini

raccoglie

forze, le riordina

rapidamente

per

un nuovo volo

che sar disorientato

ma non

pazzesco,
all'

come

sadel

rebbe se

la

misura

fosse lasciata

arbitrio

momento. Anche da questo punto di vista, superficiale in apparenza, la Laus Vitae il capolavoro. Le rare volte che il d'Annunzio s'abbandona risoluta-

Forma, lingua
mente
te
al

stile.

141

verso libero,

gli

capita di sfuggire
in

per la

tangente;

quando poi s'esprime


spesso
s'egli,
i

metri rigidamen-

ordinati, troppo

in

contraddizione con
sforzi di

se stesso.

Pare come
entro

conscio del ribelle tufantasmi,


si

multo

in

cui s'agitano

suoi

tenerli prigioni

un carcere granitico. Questo

esercizio di tirannide su se

medesimo

gli riesce

per-

fettamente
tissimi,
I

e in questo

senso

anche
le

in

altri

mol-

del resto

egli
le

uno stupefacente
fra
i

stilista.

suoi endecasillabi, suoi periodi non

sue terzine,

sue quartine,
pi perfetti

sono soltanto

che
al

la perfettissima letteratura italiana

abbia messi
i

media, sono terminologia una pi meravigliosi. Se fosse che nesdiremmo questioni d'arte, in da computisti peruna vantare pu prosatore nessun poeta, sun centuale cos bassa di periodi sciatti e di versi scadenti. Forse Sofocle. Forse Orazio. Lo stesso Pe-

mondo; ma,

considerati

nella lor
lecita

trarca, lo stesso

Foscolo sono zoppicanti al paradopo, pare un operaio cui la fuliggine dell' officina si sia imscamiciato pressa sul volto e sul petto velloso. Le parole e le frasi dannunziane somigliano a un felice popolo utopistico, senza cenciosi, senza mendicanti, senza
gone; Carducci,
,

letto subito

analfabeti
lionaria.

tutto

quanto aristocrazia blasonata e mial

virt

ed colpa

tempo stesso
eccezione un

splendore

e noia; magnificenza e monotonia.

Se

in

un

altro

poeta

incontriamo

per

verso od

un

periodo di quella qualit che nel d'Annunzio la regola: uno di quei periodi esattamente circolari che
si

cavano

fuori dal

contesto

come una gemma

si

142

L'arie di d'Annunzio.
,

cava dal castone

uno

di

quegli
si

endecasillabi ove

Tarsi e la tesi dell' accento

equilibrano in partita

perfettamente pari ed un'immagine esaurita senza margine, noi siamo pronti ad esclamare: ecco una parola eterna! E l'impariamo spontaneamente a memoria per non dimenticarla mai pi. Ma il d'Annunzio s' imprime con estrema facilit e con maggiore
facilit
si cancella. Non per la vilissima ragione anche le cose supremamente belle se troppo abbondanti, vengono a noia, come la caccia preli-

che

bata stanc la gola di quella signora, che alla fine

proruppe

nel

famoso grido: tonjours perdrix

Ma
La

perch quella solenne perfezione non sempre necessaria e connaturata alla materia che esprime.
fantasia di un artista tutto

un mondo,
canicolare
si

nel

quale

non sempre dardeggia


o
si

il

sole

l'uragano sublime, n sempre

o reboa coronano monarchi

conduce

in

processione

il

Santissimo.

Un monla variet

do, reale o fantastico, non vive


dei suoi valori;
e,

che per

come

inconcepibile

una nazio-

ne tutta

quanta aristocratica

od un

esercito tutto

quanto di marescialli, cos assurda una fantasia perennemente sublime, salvo che non sia esclusivamente lirica, quasi sterile, e che non dia suono se non quando la sua corda pi acuta scossa da un' ispirazione frenetica. Ma la musa dannunziana non solamente lirica, ed dotata di considerevole fecondit. E, poich non n pu essere costantemente in uno stato di pathos dionisiaco, vale a dire periodi che l'artista ha camuffato artificiosamente umili ed versi di seconda qualit. La societ dei suoi fantasmi non tutta quanta aristocratica, come a
i i

Forma, lingua
prima vista sembrava,
ristocrazia:

stile
di

143
di

ma
e gli

mista
vi

plebe e

aat-

solo che la plebe


le
Il

scimmiotta
di

gli

teggiamenti,

partengono.

non le apuna immensa parata ha mascherato da principi anche ciabattini.


vesti

stemmi, che

poeta

desideroso

Da

ci quell'incertezza d'impressione
in

e quell'ansia

continua
l'arte

chi lo studia:

di

sua un convegno

sublime o grottesco? e monarchi o una carnee grottesco

valata strepitosa ?
nell'arte sua vi

sublime

insieme; e
d' oro e di

acciaio

sono monarchi rutilanti confusi in una folla di coristi


metafora
periodi e versi

goffamente
per par-

decorati di cartapesta e di latta. Vi sono,


lare fuori
,

sontuosamente perfetti per l'afflato creatore dell'ispirazione gigantesca da cui procedono; ve ne sono altri che sembrano e non sono perfetti, perch la loro perfezione uno schema convenzionale imposto pigramente ad una materia discorde. Si troppo spesso derivato il verso del d'Annunzio dal verso dei Parnassiani,
il

periodo del d'An-

nunzio dal periodo del Flaubert. In realt, dai suoi maestri francesi egli impar se pur d'insegnamenti

forestieri v'era assoluta necessit

l'amore della palinguistici

rola schietta e precisa, la ripugnanza per le licenze

poetiche e per
nella scelta
di

gli

arbitrii

grammaticali, l'eclettismo
dai

delle parole

monumenti

formazione di termini nuovi, la religiosa accuratezza nell'evitare spiacevoli incontri fonici e neh' alternare sillabe di vocali diverse e nel provvedere a che la rima coincidesse col senso invece di poggiare casualmente su
nella sapiente

ogni tempo e

parole di

secondaria importanza.

Non bisogna

di-

144

L'arte di d'Annunzio.
di

menticare un immenso merito

Gabriele d'Annunitaliana:

zio nella vita e nella letteratura

astenutosi

saggiamente
l'unica forza

dal del

teorizzare

egli
la

ha risoluto, con
famigerata que-

suo esempio,

stione della lingua. Lingua parlata o lingua scritta?


sintassi rigorosa e rettilinea o grammatica arcaica? La formula imposta dal d'Annunzio suona presso a poco cos: libero vocabolario in grammatica schiava. L'ordinamento normale delle parole, secondo lo schema approssimativo della sintassi contemporanea, pu esprimere tutti gli atteggiamenti di pensiero: al contrario non possibile fissare un numero di parole sufficiente al poeta, poich non nem-

materia questo poeta Se egli ha V intuizione di un particolare, che l'uomo medio suo contemporaneo non intuisce e di cui manca perci il termine nella lingua parlata, il poeta ha non solamente il diritto di estrarre una parola arcaica dall' oblio secolare, ma anche di prenderla a prestito da una lingua antica o moderna e perfin di foggiarsela, non arbitrariamente, da s. Il modello linguistico nella coscienza individuale del poeta, non neh' uso fiorentino e nemmeno nella lingua aulica ed accademica. Pu sembrare contraddittorio questo liberismo lessicale con l'assolutismo grammaticale. Ma il d'Annunzio ha respinto la massima parte delle inversiocompiaceva la lingua ni e dei capricci in cui si letteraria italiana non per ossequio pedantesco alle capricci, da leggi, sibbene perch le inversioni e
possibile

meno

fissare quale

voglia e debba esprimere.

qualche secolo

in

qua, non erano che volgari espe-

dienti di pigrizia in servigio della rima e del ritmo.

Forma, lingua
In

stile.

145

riguarda

questo senso, egli assolutista anche per ci che il vocabolario. Se credesse che la parola

speme ha un' intonazione diversa dalla parola speranza e che la parola umile ha una sfumatura di significato che la distingue dalla parola mile, il d'Annunzio le adoprerebbe a dispetto dei manzoniani. Ma, poich non lo crede o non lo sente, ha eliminato dalla sua arte le parole e le licenze cosiddette poetiche, non per far comodo ai manzoniani, ma perch la sua coscienza estetica non vi passerebbe su senza rimorso. Il suo stile detestali sotterfugio; e in questo senso non supera soltanto di mille miglia lo stile carducciamo, ma, insieme al manzoniano,
il

pi bello e perfetto di cui la


si

moderna

lette-

ratura italiana

vanti.

Con questo ancora

a suo

vantaggio: che
gici,

mentre

il

te la teoria di

il Manzoni obbediva a canoni illod'Annunzio, precorrendo praticamenBenedetto Croce, non obbediva che

canone solo: quello dell'impressione che cerca la sua espressione. Purismo e neologismo, Crusca e ribobolo rivoluzione e pedanteria venivano egualmente negate e superate. La materia verbale del d'Annunzio ne risulta fusa, compatta, armoniosa, esente di tumori e di ingorghi tutta una pasta calda ed omogenea. Ha avuto il successo che meritava, parendo impeccabile agli accademici e diventando in brevissimo tempo popolarissima. Per questo lato, tutti quelli che son venuti dopo il d'Annunzio sono e vogliono essere dannunziani e la apparizione del suo stile segna un momento decisivo nella storia della nostra letteratura. Senza colpo ferire e senza scrivere neanche un opuscolo di poleliberamente
,
:

a un

10

146

L'arte di d'Annunzio.
il

mica,

d'Annunzio ha risoluto
al

la

questione della
g'

lin-

gua, collocandosi fuori e


tizioni
fra

di

sopra delle compeincensatori

gl'idolatri della

regola e

dell'uso.

4.

Analisi della malattia dannunziana.


schema stilistico - Il segreto del periodo danL 'Immaginifico - Assenza di spirito comico ed umoLe malattie della forma in relazione al contenuto.
-

Falsit dello

nunziano
ristico -

Tale
senso.

il

dannunzianesimo

stilistico, nel

suo miglior

Che cosa intendiamo dunque

dire,

quando

respingiamo con saziet una strofe od un periodo, asserendo, nel peggior senso, che quella strofe o
quel periodo dannunziano? Vogliamo dire ch'esso

una speciale falsit, ove la pompa estenasconde con cattiva coscienza la miseria della cosa detta. La falsit non viene dal di fuori, come nei poeti che, scrivendo, si piegano forzosamente a di lingua e criterii convenzionali di grammatica viene dal didentro, cio dall'ostinazione con cui il d'Annunzio impone un certo suo ritmo e fraseggiamento tipico a qualunque bazzecola gli passi per il capo. Il suo verso non deriva nel tono e nel ritmo tanto dal verso parnassiano quanto dall' ideale cui tendeva la tecnica della pi antica poesia italiana,
falso di
riore
;

sopratutto

in

Petrarca. Nei grandi

lirici

del trecento

quest'ideale di endecasillabo era qualche volta, quasi

per sorpresa, raggiunto


abitudine
per
il

nel d'

maniera. Egli

Annunzio divenuto non ha nessuna simpatia

verso parabolico, ad accento sagliente e di-

Analisi della malattia dannunziana.


scendente, con quell'impetuosa cesura nel

147

mezzo so-

migliante all'impennata d'un focoso cavai di razza,

che piacque molto a Vincenzo Monti e ad Ugo Foscolo e al Leopardi di Consalvo. Il suo endecasillabo di prosapia pi nobile e pi antica: martellato accuratamente su ogni sillaba, alternato di sdrucciole e di piane, ordinato nella successione delle vocali, ma rettilineo nelP accento, precisamente inquadrato nell'immagine e tale che

con un tono
piuttosto

di

si possa pronunciare voce quasi eguale dalla prima fino

all'ultima sillaba.

piuttosto solenne che reboante,


:

sferico e non luminoso che iridescente sfaccettato, sostenuto, ma senza salti di ostacoli eleganti. Anch'esso pu sonar falso. Ma nella poesia dove l'esaltazione che genera il verso perfetto pi

frequente e dove

il

periodo, fidandosi nella rima e


pi rara

nel ritmo, corre pi libero e pi spezzato, l'impres-

sione

di

saziet di gran lunga

che nella

prosa. Qui la monotonia dello schema diviene soffocante. Per dire ogni cosa in stile sublime

zio s' foggiato un periodo canoro,

il d'Annunnon lungo e non

complicato,

ma

tutto

compreso

nel

tono e neh' ac-

cento della dignit di ci che dice. Anche qui la derivazione dal Flaubert non sostanziale. I parnassiani e
il

Flaubert cercavano,

come

il

d'Annunzio,

la

parola schietta e di primissima qualit;


la strofe

ma

stendevano
di

ed
Il

il

periodo con un' intenzione

lucida

freddezza.

segreto dannunziano consiste invece nel

calcare l'accento sulla prima o sulle


role del periodo, in

primissime pasia

modo

che

il

lettore

subito

affascinato dalla

gigantesca importanza delle cose,


si

che nel

sguito

diranno.

Grandissimo

era

il

148

L'arte di d'Annunzio.

silenzio, nella pausa: tale che nel percepirlo io mi sgomentai davanti all'immensit delle cose mute che esso abbracciava. Voi sentite che la prima parola, grandissimo, dovrebb'essere stampata in maiuscole e che un sapiente dicitore, leggendo ad alta voce periodo, deve concentrare lo sforzo della sua voil
;

ce ascendente su
subito

quel superlativo,

per discendere

dopo ad un tono d'ombra


al
si

e di

roco mistero
e

perdurante sino

termine del giro verbale. La cosa


se

da

dire

fa

aralda di
la

medesima,

prende

la

rincorsa,

annunciando

sua imminente ed
la

imman-

cabile vittoria.
drini

Un

retore seguace dei retori alessan-

troverebbe

facilmente

formula

del periodo

dannunziano, con le successioni di accenti dattilici e spondaici e con la sua chiusura, che in innumerevoli casi suona come la chiusura dell' esametro. Non importa. Importa notare che il d'Annunzio concepisce il periodo come un'unit vivente in solitudine, accovacciata in se stessa ed agganciata con mezzi puramente esteriori all'unit precedente e seguente. Ortografia ed analisi grammaticale sono ferree ed assolute. E quasi assoluto anche lo stampo ritmico, nel quale il d'Annunzio pigia o pi spesso diluisce la sua materia. Quindi 1' enorme moltitudine le parole di sillabe vaganti, bonnes tool faire; che esasperano anche nulla, giammai e consimili,
fuor di proposito
tivi e di
il

significato
ibile,

l'abuso di

superla-

aggettivi in

che servono comodamente


la

alla

costruzione delle armonie dattiliche;


di

consue-

tudine

mandare ogni

sostantivo

accompagnato
non meno

dal suo epiteto


la

come un

galeotto col suo carceriere;


di altre

frequenza della particella ora e

Analisi della malattia dannunziana.


insignificanti
la

149

come
di

nessi fra l'uno e l'altro periodo


in

successione

ondate interrogative
asseriscono; e
Il
i

pagine, che

alla fin dei conti


le

sinonimi oziosi e
per paralledi

enumerazioni superflue.
antitesi,

d'Annunzio non procepen-

de per
lismi,

per contrapposizioni o

come

poeti che

pensano o s'illudono

sare;

ma

per giustaposizioni, per serie associative e

per immagini comparative.

Quando

il

pu

sfrenarsi,

come

nella strofe della

d'Annunzio non Laus Vitae, la

tendenza del suo spirito anticristiano, e perci nemico di ogni dualismo, lo porta in generale alla giustaposizione di tre immagini simili. Immaginifico
fra le

rapporti d'identit veramente: nel cogliere cose lontane, nell'asserire l'unit della materia di fronte alla diversit delle apparenze, insuperabile di dovizia e di precisione. Tuttavia strano che il
egli
i

nesso comparativo come sia quasi pi frequente nella sua prosa che nel suo verso. Anch'esso un espeper riempirne la diente per rimpolpare il periodo carcassa prestabilita. A questo modo il suo stile diventa tronfio e lungagginoso; e quel suo periodo,
;

che a prima vista sembra un


di

miracolo
pi

di

dirittura,

logica e di forza,

considerato

rivela
inerte,

troppo

spesso

da vicino si adiposo ed carname un per

scarso di giunture e d'ossa, incapace di reggersi in piedi e studiosamente arrotondato con un grassume molle, che tappa tutti buchi e biancheggia
i

d'uno splendore che non


di snellezza,

forza
di

n salute.

Manca

di asciuttezza,

rapidit.

E, veden-

dolo cos florido ed impettito per la mal celata difficolt che ha di procedere e di muoversi, voi desiderate qualche volta il fervido anacoluto di Cellini,

150

L'arte di

d'

Annuzio
la

il

ritmo zoppicante di Machiavelli,


la

durezza gra-

nitica di Alfieri,

bonomia quasi
di

sciatta di

Man-

zoni, la

magrezza sanguigna

Leopardi.

Anche qui la malattia verbale non che un sintomo dell'ispirazione malata. Come nelF ispirazione
la vilt la libidine animada eroismo, cos nel suo stile si drappeggiano di paludamenti grandiosi anche le cose pi viete e pi semplici. Come un certo tipo di bel tiranno e una certa immaginazione sadico-guerresca domina con la fissit di una mania il suo cer-

del

d'Annunzio

il

crimine

lesca

camuffata

vello, cos
di

un certo ideale determinato


il

di

periodo e
tutte

verso tronca

respiro alla libert

del suo stile.

avvenuto
le

press'a poco nello

stesso

modo

volte che s' dichiarata una malattia letteraria

od

estetica.

Osservate ancora un
riso,
di

altro

sintomo dannun-

ziano: l'impossibilit del

l'assenza di gaiezza,

d'umorismo,
deficienza

scherzosa ironia.
all'

Da

un

lato,

questa

Poich il riso superiorit spirituale e violenta negazione dell'inferiore, non possibile che scoppii in un artista, il quale, malgrado tutte le illusioni, deve oscuramente sentire che l'arte sua non celebra un supeconnaturata
ispirazione.

ramento,

ma

tenta con retorica fiacchezza di negar


i

certi valori morali,

quali,

malgrado

la

negazione,

restano superiori alla volutt e all'istinto. Boccaccio,

che sente prevalere

la libera cultura sull'astuzia del

frate e sulla stupidit del villano,

sghignazza; Cere la

vantes, che vede permanere


vali
si

le

vecchie fole medie-

mentre
della

il

feudo

si

scompone

monarchia
i

consolida, ride crudelmente del passato; anche

Padri

Chiesa

sbeffeggiavano

qualche volta,

Analisi della malattia dannunziana.


indignandosi,
la

151

superstite idolatria:

Nietzsche,
di

religiosamente persuaso del superuomo, bersaglia

frecce ironiche la morale dell'uomo che scomparir.

Ma

il

d'Annunzio, se togliete
Vitae,

punti culminanti della


stato religioso. Soffoin
lui

Laus
cata,

non raggiunge
Quindi
che

lo

ma

pur palpitante, vive


rinnega,
e

la

coscienza di
di

Tullio Hermil.
valori morali

non ha forza
li

deridere

assalta

irosamente

ringhiando come nemici troppo odiati e robusti. Perci


il

non

ride pubblicamente:
lo

il

suo grande avversario,

cuore dell'uomo, non

sollazza,

ma

lo

esaspera

per quella sua cocciuta

ostinazione di esistere. Egli


di un' immobile una volta sorride, par che

maschera dunque maschera tragica;


vi

la
e,

sua inferiorit
se

eccezionale degnazione, e sorride con una compostezza musona, d' un riso che pu contrarre muscoli faciali ma non vibra nell'intimo. Quasi teme, ridendo, di spogliarsi della sua dignit
faccia notare
1'
i

sacerdotale. L'analisi regge, se, dall'ispirazione, voi


la

traducete per ci che riguarda lo

stile.

Una pa-

gina comica pu seguire senza pericolo ad una pagina

grandiosa
, i

in

Balzac

quali

Shakspeare o in Ariosto o in non diventano grandiosi se non


tono
perentoriamente lo cograndioso e solenne una che viene dall'esterno, asso-

quando la loro manda. Ma, se


imposizione
luta necessit

ispirazione
il

stilistica

mente

al

che questo tono si mantenga perennemedesimo pathos. Basterebbe un solo pediscorsivo

riodo semplice o gaio o

scherzevole

per generare fulmineamente, nello spirito del lettore,


il

paragone

fra la

materia

di

quel periodo e

la

ma-

teria,

nient'affatto pi nobile, di tante altre

pagine e

152

L'arte di d'Annunzio.
a sublimit. Sarebbe

periodi atteggiati
trata

come V en-

un servo di scena prima che il sipario calasse sulla scena madre di un dramma sentimentale, o come Carlo Magno che scoppiasse a ridere sul pi bello d'una mascherata storica. Si dice volgarmente che l'illusione svanisce.
prematura
di

5.

Il

D'Annunzio

nella storia della letteratura italiana*

Origine retorica della malattia dannunziana


giudizio demagogico dell' eloquenza
zio
e

Suoi rapporti
- Il

col boccaccismo, col petrarchismo e con l'Arcadia


-

pre-

Relazioni del d'Annun-

coi

Parnassiani
veneziana

e
-

con Flaubert
Influenza

Pittura preraffaellita

pittura
il

dell' 'enfasi

wagneriana

Perch

d'Annunzio non

un decadente n un secentista.
artefatta gravit,

Schematismo
tutte
le

stilistico,

conven-

zionale compostezza: sono sintomi comuni a quasi


malattie
letterarie,

che

si

sono succedute

nella nostra tradizione.

boccaccevolmente ? plicato e macchinoso di periodo anche per un' ideuzza quotidiana o per un ovvio nesso logico, che potrebbe esprimersi in quattro e quattr'otto. Essere un petrarchista ? gonfiare fino all' immensit della passione senza scampo una qualsiasi frivolezza galante o, perfino, una scipita immaginazione scolastica. Un arcade ? prendere sul serio un arbitrario e leggiadro giocherello di fantasia, esagerandolo fino al grado di sentimento austero e di utopia sociale. Direttamente il boccaccismo, indirettamente le altre

Che cosa vuol dire scrivere adoperare un congegno com-

D'Annunzio nella storia.


sica,

153

malattie ripetono la loro origine dalla retorica clasi

cui

precetti erano

estremamente numerosi
si

discordi, ma, guardati bene negli occhi,


:

riducono

te

retori, l'opera d'arad uno persuadere. Secondo non consisteva nel comunicare una rappresentai

zione,

ma

nel

trascinare

ad un' azione.
l'on.

Quindi

la

bellezza culminava nell'eloquenza, e prosa e poesia


si

riducevano,
parlare

come direbbe
in

Majorana,
alla

all'

ar-

te di

pubblico

L' intimit

era negata

all'artista.

Questo pregiudizio portava


Il

supervatutti

lutazione di due generi letterarii in paragone di


gli
altri:

l'ode civile e l'orazione.

poeta inspirava
palestrita e

sensi di

nobile

ardire
i

nella

giovent

guerresca, ed infocava
delle patrie

suoi concittadini alla difesa

mura od

alla

conquista delle terre barla folla

bariche;

il

prosatore incitava

indecisa verso

la deliberazione pi proficua al

che se scriveva

storie,

bene pubblico. Anrimaneva oratore. strano che

questa falsificazione pratica dell'attivit estetica, sorta


per uno spirito schiettamente statale e demagogico, sia

sopravvissuta allo sfacelo


latine.

delle

Gli scrittori classicisti,


di

democrazie grecoanche se producevas'inspiravano

no per un pubblico
allo stile di

amici

letterati,

Cicerone,

come

se le loro esercitazioni

dovessero decidere, contro Catilina ed Antonio, inalle sorti della Repubblica e del Senato. Cicerone fu, in tutte le malattie della letturatura itatorno
liana

fu,

la

quale, essendo robustissima ed operosismolti temperamenti energici, soggetta

sima,

come
crisi

a gravi

periodiche

Egli suggeriva uno

schema
gli

tondo, atto ad illudere

modello della prosa. periodo canoro e roascoltanti con l'armonia


il

di

54

L'arie di d'Annunzio.
fraseggiamento

del

quando

non

bastava

il

rigore

della

deduzione

e la forza del sentimento,

inviolabile

nella struttura e nel ritmo, mentre sulle


e sul

proporzioni

nesso del pensiero da esprimere l'oratore poteva permettersi qualunque arbitrio pur di obbedire allo

schema. Meglio dir bene che dir qualche cosa. Non pensava cos Demostene ma Cicerone pi era un che uomo di passione di parte e di patria avvocato, il quale aveva bisogno di montarsi, e non osava presentare il suo animo in nudit, perch della sua nudit non era sinceramente persuaso. Quindi
;

s'imitava facilmente,
smorfie: di qui
la

come s'imitano

facilmente

le

sua immensa fortuna

nei secoli.

Quando
donare

il

sentimento della vita cominci ad abbanletteratura italiana,

la

divenimmo
il

ciceroniani.

Certo, sarebbe

esagerato

cercar

Cicerone nel pepetrarchista parlava

trarchismo e nell'Arcadia;
alla

ma

se

donna amata e l'arcade all'Accademia, come la degna signora o il simposio di parrucconi


legislativa

fosse un'assemblea
di
il

chiamata a decidere
umanit. Anch'essi

cose urgenti per

la storia dell'

petrarchista, l'arcade, lo scrittore di canzoni civili


ricetta

combinate a

non

volevano rappresentare,
,

ma

convincere un immaginario avversario


L' eloquenza,

esaltare

un seguace immaginario.
dalla

che eruppe
fra

piazza assolata, strombonava

assordante

quattro pareti. Diveniva un'eloquenza solitaria, dell'oratore a tu per tu


tivo

con se medesimo. Anche

il

cat-

d'Annunzio

e dei

quello delle apostrofi patriottiche sofismi morali spregiatore della folla ed apoil

logeta del bel tiranno,

Anche

suo

stile

un oratore senza piazza. dominato dal pregiudizio dema-

D'Annunzio nella storia.

155

gogico della facondia reboante. Ed il tono del suo periodo deriva dai precetti e dagli esempii dell' Orator. dunque. 1 suggerimenti Malattia tutta nostrana che venivano dall' estero non gli erano discari, quando favorivano la sua individuale tendenza. Moltissimo
,

pi eloquente ed enfatico tra colui che, come il d'Annunzio, prei grandi musicisti, annunzia la grandiosit del prossimo momento creagli

piacque Wagner,

il

tivo,

ed imprime con violenza l'accento sulle prime battute della frase musicale. Ma un esempio non
veneziana, si trovava nella gloriosa pittura d'AnGabriele da amata entusiasticamente essa anch' di nunzio, anch' essa grave di sontuoso eroismo
dissimile
,

pompa
cupida
la

celebratoria
di luci

di

gesti

definitivi;

anch'essa

rotondit formale.

ed ombre veementi e di abbondevole Non per questo neg il d'Annunzio


curiosit alla
alle
lirica

sua attenta ed intelligente

pittura
li-

preraffaellita, alla scultura arcaica,

melodie

turgiche,

come non

la

neg

alla

dugentesca.

Ma

erano queste le Bianche Marie, le Silvie Settale, assolute, scarne le Omelie della sua cultura: purit capricci sorti manierata, virt una personificazioni d'

dall'amore dei contrasti. Se

si

fermava con ammi,

davanti rativo stupore davanti alle tele di Rossetti preraffaellita, virgo gelida Penuele, de May Liliana a

che tiene un giglio fra

le

ceree dita,

pareva

si

fer-

intensificare la sua libidine dell' per ed aromatica che gli stava veramente a cuore, Veronese del tornare con nuova delizia alla carnalit qualche ed all'enfasi del Tintoretto. Ammirava, e, in 1' esangue scimmiottava momento di dilettantismo,

masse per

arte pingue

poesia dugentesca

ma

subito

dopo

si

rimetteva, tutto

156

L'arte di
in

d'

Annunzio

chiuso

s,

ad ascoltare l'onda della prosa cicero-

niana, r impeto sagliente della strofe pindarica.

Lasciamo star Cicerone. Ma, per collocare storicamente la malattia dannunziana, abbiamo citato nientemeno che Pindaro, l'oratoria classica, Boccaccio,
la
al

pittura veneziana,

nato

petrarchismo e

all'

Wagner. Abbiamo accenArcadia e non abbiamo


;

tenuto parola,
atteso, del

come qualunque
e del
gli sforzi

lettore

si

questo

il

marinismo punto dove

decadentismo.

sarebbe Ebbene,

dell'avvocato fiscale,

anche
si

in

quello che

chiamavamo processo d'appello,

arte.

rompono contro l'innegabile realt della grande Con tutte le sue debolezze, l'opera di d'Analla

nunzio appartiene

storia

dell'arte,

e per

conse-

guenza

alla storia seria

dello spirito,

dotica delle parodie che lo spirito

non all'anedtent di s me-

desimo. Ma il decadentismo e il secentismo, o almeno ci che comunemente s' intende con queste movimenti consimili nelle arti figudue parole, e rative e nella musica, sono oziosi esperimenti dello spirito ripiegato su se stesso e trastullantesi con se
i

stesso

come
il

il

proverbiale

fanciullo

annoiato

che

sciupa

balocco per veder com'


si

fatto. In letteratura,

questi vizii

manifestano per un carattere comune


che
la
la

ed

infallibile,

mancanza

di

rispetto

per

la

forma prestabilita in continuo disaccordo con la materia da esprimere; nel decadente, il conflitto definitivamente eliminato, essendo il contenuto puramente arbitrario. Il decadente ed in modo diverso, il secentista, considerano la parola come fine a se stessa, come un giuoco di suoni appena sostenuto da qualche larva d'immagine. Il deparola. Nel retore,
,

D'Annunzio nella storia.


cadente languido, mentre
in
il

157

secentista festevole;

realt,

scherzano l'uno
e

e l'altro. Si
la

divertono con

l'espressione vuotata,

fanno
d.

rimbalzare

come

capita per sentire che tonfo

Fanno freddure o

sinfonie di vocali e di consonanti,


ridere

le quali ci fanno con ilare disgusto, come avviene per le freddure, non appena percepiamo 1' assurda scomposizione meccanica delle parole, disarticolate nel loro organismo e falsate nel loro significato secondo una accidentale somiglianza di suono. Il decadente non un artista; un letterato a riposo che passa il tempo a far mille ghiribizzi con gli strumenti del mestiere che non gli servono pi. Ma il d'Annunzio non s' lasciato sedurre da queste perversioni che nel pi triste momento della sua vita, nel Poema Paradisiaco (e nelle cose peggiori di questo, non in Olimene, n nell'altre belle). Indegnamente paragonato ai

secentisti e ai

decadenti, egli giusto

1'

antitesi

di

costoro
di

artista di tale probit

che

il

suo senti-

mento
date
le

fronte alla parola quasi religioso. Ricor-

stupende strofe della Laus Vitae :

parole, mitica forza

della stirpe fertile in opre


e acerrima in armi, per entro
alle fortune degli evi

fermata

in

sillabe eterne

parole, corrotte da labbra


pestilenti d' ulceri tetre,

ammollite dalla balbuzie


senile, o italici segni
;

rivendicarvi io seppi
nella vostra vergine gloria
!

158

L'arte

di

d'Annunzio.
mano

Io vi trassi

con

casta e robusta dal gorgo


della

prima origine, fresche


le

come

corolle del

contrttili

che

il

mare novo lume

indicibilmente colora.
Io vi

disposi nei modi

dell' arte cos

che
le

la

vita

vostra rivel
radici, le

segrete
fibre

innmere

che legano tutta


alla
Io feci

la stirpe

Natura sonora.
apparire tra
i

I'

una

1'

altra sillaba

mille

volti del

Passato tremendi
di

come sembianze
Io dal

morti

che un' anima sbita inondi.


vostro cozzo faville
sprigionai, baleni d'

che illuminarono
del futuro

1'

amore ombra
mondi.

pregna

di

Splendete e sonate, o parole,


in

questo Inno che


io v'

il

vasto

preludio del mio novo canto.

Converse
in

ho novamente
in

sostanza umana,

viva
pianto.

polpa, in carne della mia carne,


in

vene

di

sangue

e di

Qui

la

commozione

dell' artista,

che riconosce giula

stamente s medesimo, raggiunge


blime.

forza del

su-

qui ciaschedun lettore dannunziano; per-

ch

ciascheduno

deve

redentrice dell' arte dannunziana sulla lingua,

ammettere questa missione sog-

D'Annunzio nella storia.


getta prima di
lui,

159
al

malgrado
al

il

Carducci,

clas-

sicismo dei Cruscanti e


terelli,

manzonismo

degli Sten-

e,

per conseguenza indiretta, sullo spirito


le

italiano.

Se, redente

parole, egli le sottopose ad

una nuova schiavit,


listico

al

giogo del suo schema

sti-

prestabilito,

questo un sintomo

di malattia,

non una rivelazione


nunziana
teria;

di abitudini viziose. L' arte

dan-

libidinosa,
si

ed usa violenza sulla sua maa sfoghi

solitarii.

ma non

abbandona
il

Da-

vanti alla poesia,


la

d'Annunzio

puro e potente; ha

mano
6.

casta e robusta.

Sintesi della malattia dannunziana.

i grandi artisti sono malati - Relazioni del d'Annunzio col pensiero europeo e con la coscienza italiana

In che senso

dei suoi tempi

Superiorit dell'arte dannunziana sull'epoca


-

che rappresenta

La formula

del suo

dramma

interiore -

L'esaltazione della barbarie nel d'Annunzio e nel Kipling.

Constatare
il

la

sua malattia, non significa deprimere

valore della sua opera.


letto

Lo sanno
saggio del

tutti

quelli

che

hanno

meditato
e

il

De

Sanctis sul

Petrarca. Artisti di limpida e luminosa sanit,

come
con-

Omero, Giotto
ceptae,
tista

Bach, opere

d' arte sine labe

sono apparizioni miracolose. Un grande arcrea per solito una specie di grandezza e, con-

genita ad essa,
alla

una specie

di

corruzione,

intorno

quale

si

esercita la ricerca dello storico,

per negare V artista,


tis,

ma

per superarne

la

non forma men-

collocandola nello svolgimento dello spirito. Ora,

quale punto della storia contrassegna V apparizione

160

L'arte di d'Annunzio.

dannunziana? di quale crisi sono espresda noi analizzate, della sua immaginazione e del suo stile? Bisogna pensare che Gabriele d' Annunzio, italiano ed europeo del secolo XIX volgente al suo tramonto, nato es' svolto in un momento di stanchezza storica. Era stanca P Europa
dell'arte

sive

le

malattie,

del gigantesco battagliar di

sistemi

d' idee

che

aveva rintronato
e di misticismo,

in

Germania
;

e tutt' intorno per cen-

t'anni di metafisiche contese


di

stanca di romanticismo

musica

e d' utopia.

chi

popoli di quell' affannoso

sperimentar
alla

Erano standi goed

verni, di quella
alla felicit,
di

pazzesca rincorsa
anni
fatto

giustizia

quel rullo di tamburi che da Parigi


sussultare
il

aveva ogni
stanca P

dieci

mondo
la

Italia delle

amarezze, del sangue e del coai

raggio eh' era costata


della nazione.

padri P unit

libert

Lo

spirito, affranto
si

da una spaventosa

ubbriacatura di pensiero,

rifugiava nella grottesca

ma comoda
i

miseria del positivismo e del darvinismo;

consolavano di troppe delusioni mirando malvaceo dell' automatica saggezza britannica P Italia, pazzamente e allegramente sicura di s, pensava d'imbandire un luculliano festino commemorativo delle battaglie franco-piemontesi e delle forche austriache. La terza Roma, Depretis, Sommaruga, la crisi edilizia, Tanlongo, Dogali. Carducci sbraitava: Bisanzio essi ci han dato . Il d'Annunzio e suoi fratelli d'arme scrivevano le Cronache Bizantine . Nell'arte del d'Annunzio ha tropopoli
si

all'

ideale
;

vato

la

sua perfetta espressione questo

momento

di

scarsa coscienza, di debole cervello, di spensierata

negazione

contrapposta

con

gaia

impertinenza

al

Sintesi della malattia dannunziana


duro lavoro ideale dei millennii.

161

Che cosa poteva

essere la poesia di un poeta impregnato, a sua insaputa, di darvinismo e di materialismo ?

Una

ce-

lebrazione edonistica della vita, una riduzione deilo


spirito alla materia, dell'

uomo

alla cellula. L' afflato


,

panico

il

panteismo dannunziano
il

guardato bene che

addentro, rivela
nelle

pi brutale materialismo. L'accento

della sua credenza

non poggia
della

sulla persuasione
il

forme

inferiori

natura palpita

germe
natura.

dello spirito,

ma

sulla persuasione
le

che nello spirito


della

pi alto persistono

forme

inferiori

, per cos dire, l'afflato panico risucchiato dal mondo anzi che respirato sul mondo il rovescio,
;

la

fodera del panteismo. Quindi


il

le

funzioni animali
riprodursi,

prendevano

sopravvento

nutrirsi,
!)
;

go-

dere fisicamente (o gioire o morire

e le percezioni
il pensiero. Per d'Annunzio era

sensuali detronizzavano la ragione e

esprimere questo stato d'animo,

il

mirabilmente dotato, fornito com' era d' un' ardentissima libidine e d' una inaudita raffinatezza di sensi. Poich non gli era possibile distruggere in s definitivamente
1'

uomo, cerc
lui

di fabbricare

1'

uomo

pi
:

vicino o che a

parve pi vicino

alla

natura

il

barbaro lussurioso e crudele.

Ma

questa lussuria raffinata

questa crudelt

Qui il ncciolo dell' intimo dramma del d'Annunzio, qui la sintesi della sua malattia. Lontano da lui nello spazio, vicino a lui per il tempo, lavorava un altro grande artista, Rudyard Kipling. In molte cose dei Kipling troviamo un' ispirazione gemella a quella del d'Ansadica, cio raffinata anch' essa.

nunzio

1'

esaltazione della barbara

natura

della
i

162

L'arte di d'Annunzio.
Ma,
in

naturale barbarie.

paragone del
vantaggi
:

d'

Annunzio,

godeva

il

Kipling

di tre

egli era figlio di

un popolo infinitamente meno carico di storia che italiano, conosceva de visu e di persobarbari e le belve, fondava la sua nale simpatia celebrazione della forza non sopra un sogno vuoto ma sopra il fatto dell'imperialismo britannico. Quindi non pens una barbarie sensuale e complicata e comp un' opera di gran lunga pi vera e pi sana.

non fosse V

Anche meno

significativa e

meno

potente, per.

Il

significato e la potenza dell' arte

vuno appunto da morso ed arrovellio di contraddizione, donde vano anche le sue falsit e le sue malattie.

dannunziana deriqueir incessante spasimo di rideri-

Quell'abbassamento dello spirito era definitivo o almeno duraturo? Il d'Annunzio sentiva confusamente
la

sua inferiorit di fronte

alla storia.

Perci

la

sua

immaginazione torbida; perci il suo stile affannoso. Ma anche perci la sua opera grande. Quando l'auriga-aedo della Fedra iniziale sue rapsodie, cantando: Cuore, narrami l'uomo... e subito dopo aggiunge: narrami il fuoco e il sangue, noi subiamo la tentazione di strappar quelle frasi dal contesto e d'intrometterci protestando. No, quest'arte

non pu invo-

care ad ispiratore
di quelle che

il

cuore, n pu prometterci di nar-

rare l'uomo. Ignora l'uomo, e

non ha cuore; manca umilmente si chiamano doti di simpatia e d'umanit e che, per non cadere nel triviale, possono chiamarsi doti d'intelligenza storica e d'anima sociale. Il fuoco e il sangue, la lussuria e la violenza sono le abiette sue muse. Nel mondo egli non vede che la materia, nell'uomo altro che l'animalit. Ma,

Sintesi della malattia dannunziana.

163

subita questa tentazione, siamo colti da un turbamento

d'incertezza e dalla necessit di superarlo. Se l'arte

dannunziana fosse una pura

e semplice rappresenta-

zione di animalit, sarebbe piccola e perfetta, ammirabile nella storia dell'arte e trascurabile nella storia

dello spirito. Invece

non n piccola n perfetta. Ci che v' di pi singolare nell'animalit dannunziana


animalesco,

l'incessante, e tutt'altro che


di

bisogno

andar
si

oltre.

L'artista scontento di s.

che

riassume

in

Questo il suo dramma una formula definitiva: una bardi ritorno alla

barie gravata ed oppressa di cultura.

Quanto pi ardente divien l'impeto


natura, tanto pi lacerante divien
la

coscienza che

non esistono
la terra,

ritorni.

Lo stesso
la

furore di passione per


il

per l'acqua, per

materia bruta tradisce


la

cittadino, che vuole e

non pu dimenticare
il

soma
che

ereditaria del consorzio sociale. Rifabbrica

barbaro;

ma

questo barbaro cos poco persuaso

di s

cerca ad ogni costo di riconoscersi nella civilt pi


gloriose, e

paganeggia
la

e filosofeggia e interpreta a

modo
rito;

suo

Grecia,

Roma, Michelangelo, Beetho-

ven. Restando natura, vuol parere da pi dello spi-

scendendo al di sotto dell'uomo, si proclama superuomo. barbarie, s ma barbarie, che si sente chiusa in una gabbia d'oro, e tenta irosamente le sbarre e s'illude di respirare a pieni polmoni nella
;

foresta intravveduta attraverso l'invincibile inferriata.

La sua gabbia

il

suo

stile

il

duro schema

lette-

rario e tradizionale di periodo e di verso, che con-

trasta singolarmente

con

la

volont di esprimervi un'aalle

nima primigenia, superiore ed anteriore

leggi:

il

164

L' arte di d'


la

Annunzio
della

quale contrasto
ziana.
Si

chiave

malattia dannun-

pu negare

la storia,

tornando per davvero allo


scrivendo

renza sulla vita interiore:

con festevole indiffele Barrack-room Ballads del Kipling o le poesie umoristiche di Lorenzo Stecchetti. La superiorit e l'originalit del d'Annunzio consiste nell'aver trovato una terza strada: negare la
stato di barbarie o scherzando
storia,

sentendone l'ostinata resistenza

di

nemica. Ce-

lebratore d'una concezione materialistica, egli perce-

pisce l'ombra dell'ideale, e ne soffre acerbamente. Lo spirito rinnegato si vendica, cospirando controia gioia

della carne vittoriosa. Cos gli accaduto di rapin

presentar tutto l'uomo, mentre

conosceva che
l'arte sua, sotto

la parte deteriore,

apparenza non ne introducendo nele di

forma d'inquietudine

angoscia,

quello che non vi entrava come sostanza direttamente sentita e voluta. Egli ha eletto a sua ispiratrice la

materia del cosmo;


bile e presente,

ma

lo

spirito universale,
la

invisie,

ha intorbidato

sua ispirazione,

intorbidandola, l'ha ingigantita. Perdendo


zione, in chiarezza, in euritmia,

in perfe-

il d'Annunzio ha guadagnato in vastit: ed, esprimendo quello che chiamavamo un momento di debolezza storica, si raccomanda all'avvenire non come documento ove si possa

studiare con fredda curiosit quel

periodo

di

stasi,

ma come
la

testimonianza dell'immortale anima umana,

quale palpita indimenticabile nell'arte pi rappre-

sentativa dell'epoca che pi duramente la rinneg.

Significato dell' opera dannunziana.

165

7.

Significato definitivo dell'opera dannunziana


- Il

Spiritualit ed universalit del d'Annunzio

cavaliere er -

rante della materia

Sublimit

dell'

ora satanica
-

Tra-

gedia

e follia nella sensualit


-

dannunziana

Lussuria mistica

e lussuria eroica

Mila di Codro, simbolo di quest'arte.


l'universalit del d'Annund'Annunzio voluttuario e sencomincia quando si tratta di distinil

Tale
zio.

la spiritualit e

facile dire
il

che

suale;
guere..

difficile

questa

sensualit tranquilla epicuraica, spen-

sierata? vi lascia questo celebratore della gioia, quan-

do ripensate
del

a tutta l'opera

sua, un'impressione di
la libidine

frivola giocondit ? Si

paragona facilmente

d'Annunzio alla libidine di Maupassant;si nota facilmente che nel d'Annunzio manca quel doloroso ardore spirituale dell'amore che fugge. Ma anche il sentimento della gioia che non si afferra spiritualit
,

d'altro genere.

Ed

spiritualit quello stancarsi del

desiderio realizzato e quel non stancarsi mai del desi-

derare e quel por meta

al

desiderio l'irraggiungibile

e sia magari un' orgia irraggiungibile


in

quel
di

perdersi

vuote ed immense fantasmagorie

conquiste di

viaggi e di lussurie, quel penoso aspirare a un godimento sempre pi sottile e complicato, ad una volutt

che

che a poco a poco diviene puramente cerebrale, fisica negli elementi che la compongono, ma
la fisica
,

trascende

nemmeno
lit,

perch nessun essere naturale d'Annunzio, l'ha mai provata. spirituafinalmente, quel non contentarsi del Canto Novo,
il

quella sterile volont di rinnovarsi e di ampliarsi, quel

166

L'arte di d'Annunzio.

fragoroso battagliare contro l'inesorabile realt, quella donchisciottesca frenesia in servizio d'una causa perduta. Lanciarsi a carriera sfrenata contro
i

mulini a

vento della propria idealistica immaginazione grandioso e pazzesco; ma non men grandioso e paz-

zesco spendere tro l'anima che

la vita
ci

menar botte

e fendenti

con-

freme nel sangue e che nessun no-

stro fendente varr

ad uccidere, nessun nostro scon-

giuro baster ad esorcizzare.

Anche

il

materialismo

ha avuto

il

suo cavaliere e martire. Malgrado tanta

compostezza di parola e di stile, malgrado tanta eleganza di pose mondane, un vento di dolorosa folla si sprigiona dalle ben verniciate pagine dannunziane. Venne un giorno che questo vento di follia eruppe
dalla piacevole vernice, e
dia.
si

diffuse gonfio di trage-

Nacquero

materia,

il don dopo aver combattuto contro

le

Laudi, ove

Chisciotte della
i

mulini a vento,

cavalcava tutto trionfante

di

un immaginario trofeo.
dello spi-

A
pi

questo non giunsero

don Chisciotte

rito, e
;

questo era troppo. Gli avversarli non capirono


seguaci guardarono stupiti e malcerti.

Pote-

vano vano
altri

fargli

compagnia neh'
all'

sforzarsi

unisono

ora gioconda ; poteneh' ora triste ma,

per tenergli dietro neh' ora satanica

ci

volevano

polmoni.

Ed

capolavori restarono quasi ignoti,

raggiunti a mala pena da una debole folata di quella

tumultuosa popolarit che s'assiepava intorno all'opere

minori. Cos il d'Annunzio soverchiava di tutta la grandezza della sua passione l'epoca, che si riconobbe nell'arte sua solo finch l'arte sua diguazz negli equivoci e nei compromessi. Quando emerse

Significato dell' opera dannunziana.


nella furibonda sincerit della sua
i

167

follia e del suo contemporanei se ne ritrassero spaventati. Ho detto nella sincerit del suo dolore . E veramente l'amore carnale, che presiede, suprema

dolore,

divinit,

all'arte

di di

Gabriele d'Annunzio,
rose.

non

un idolo coronato
P<xp>

NOv eyvwv xv

"Eptoxoc

0sg 4 Eros,

e di Orazio, ne

il

non il roseo fanciullo d'Anacreonte Cupido bendato degli Arcadi, ma

un funesto e terribile Iddio. Non vi accade mai , chiede Giovanni Episcopo guardando a lungo una donna, di smarrire d' un tratto ogni nozione della sua umanit, del suo stato sociale, dei legami che vi avvincono a lei e di vedere, con una evidenza che vi atterrisce, la bestia, la femmina, 1' aperta brutalit del sesso? Anche il d'Annunzio pu ripetere, In tutti miei ricordi.... con Giovanni Episcopo
:

e'

un po'

di sole,

qualche riga

gialla,

come

intorno

alle coltri

mortuarie

perch

in tutta la

sua opera

l'Amore fratello carnale della Morte. E tutta la sua opera ripete la disperata bestemmia di Fedra contro
la tirannia di

Venere.

Il

fremito della volutt somiglia,


dell'

per

lui,

allo

spasimo
la
;

agonia.
al

Cede

alla

tenta-

zione

come

vittima cede
s' offre,

carnefice.

Si
;

dibatte
ed, ab-

debolmente
tire,

poi

pallido e

inerme

battuto dal bellissimo nemico, invano tenta di

men-

celebrando

la sconfitta
i

come una

gloriosa vit-

toria.

Non cantano ma dannunziana vampiro


;

rosignuoli nei mirteti della Citer

vi

svolazza

sopra cupamente

il

Ed ecco supine
distendo
al

le

membra

richiamo dei sogni...

168

L'arte di d'Annunzio.
Oh, vienmi sul petto, gentile vampiro; dono il mio sangue, la mia giovent.

ti

Quando la lussuria ha raggiunto questo tragico non si sfoga in madrigali scherzosi od in pathos svenevolezze galanti od in amene turpitudini. L'in,

vincibile libidine spinse le sue vittime talora al suicidio, talaltra alla rinunzia ascetica.
resistere al male,
i

Per incapacit

di

pi deboli fuggirono la vita nella

pi forti fuggirono il mondo nella santit. Incontrammo, nel Trionfo, la larva del suicidio; e fa capolino, qua e l, nel Trionfo ed altrove, la larva

morte,

del misticismo.

Non mancano

accenni, confusi di sin-

cerit e d' artificio, alla

francescana,
gl' istanti

all'

estasi dei penitenti.

pace conventuale, all'umilt Abbondano quementre rimangono sensuali,


della
la

transitorii, che,

anelano verso una trasfigurazione

sensualit.

Giorgio riconosceva

la

divina

incomparabile

bocca, quella bocca che tante volte egli aveva creduto sentire appoggiata su la superficie dell'anima,

come per un gaudio che


carnale e
si

oltrepassasse la sensibilit

comunicasse a un elemento oltrasensibile dell' essere interno *. Dice Tullio Hermil, avvicinandosi 1' ora del gaudioso convegno: stavo per girare la chiave col tremito del devoto che apre il reliquiario. Non mi sorprenderebbe punto, se da un giorno all'altro il d'Annunzio si facesse frate. Ma il d'Annunzio non sparito nel suicidio n nel convento, perch il suo temperamento artistico era troppo forte per rassegnarsi a perire con l' individuo cui la natura 1' aveva affidato; perch la sua sofferenza, violentissima a tratti, non era cos tenace e continua da

Significato dell' opera dannunziana.


trascinarlo a
vita

169
nella

una risoluzione

radicale;

perch

moderna manca queir

afflato di universale reli-

giosit, che in altri tempi


tate alla rinunzia.

decideva
e

le

anime tormenil il

Discussione

inutile e, quasi quasi,

umoristica.

Non volendo

tipo del lussurioso-mistico,


tipo del lussurioso-eroico.

il

non potendo ripetere d'Annunzio ha creato

Come Marco

Gratico in-

sofferente della carnale schiavit cui lo sottometteva

d'Annunzio scuote il giogo della guerra o sognando di andare alla guerra, un po' per procurarsi nuove ed inaudite volutt, un po' per uscire dall' afa soffocante del
Basiliola Faledra,
libidine
il

andando

alla

vecchio vizio: debella


sale
i

popoli, rinnova

regni,

riil

fiumi

dell' Africa

tenebrosa

salpa

verso
il

mondo, sgozza,

incendia, saccheggia.

Quando

d'An-

nunzio ascendeva, V ipocrita e dolciastra morale borghese declinava verso il suo disfacimento. Nietzschiani e stirneriani, anarchici e sindacalisti sono oggi
d' accordo, per motivi diversi, nel

propugnare

la

vio-

lenza rigeneratrice delle societ stagnanti.

Ma, an-

che

in questo, il d'Annunzio fu donchisciottesco. Non propugn la violenza in servizio dell'avvenire, ma in omaggio di pallide larve del passato del tirannello mecenate e frodolento o della smidollata ari:

stocrazia borbonica. Perci nessuno vorrebbe citare


il

nome

di

Gabriele d'Annunzio accanto a quello di

Giorgio Sorel. E la violenza dannunziana resta, malgrado qualche segno dei tempi, un capriccio individuale ed un pseudonimo della lussuria.

Tutto dunque, neh' arte dannunziana,


sensualit ed a lussuria.

si

riduce

a
ri-

bisogna concludere, petendo che questa sensualit non turpiloquio

Ma

170

L'arte di d'Annunzio.
;

sconcezza ma dolore ed ansiosa volont di superamento. Questa tragica lussuria si presenta al giudizio della storia purificata dal suo medesimo ardore. E, in questo senso, diventa una figura altamente simbolica la meretrice dannunziana, Mila o Basiliola gridando nella sua bella che perisce trasfigurata
,
,

fiamma.

IV.

CHE COS'

IL

DANNUNZIANESIMO,

sta

Che cos' dunque il dannunzianesimo? Con quedomanda abbiamo iniziata la nostra ricerca. Con-

chiuderemo con la risposta. Oltre che un grande artista, il d'Annunzio il rappresentante e 1' apologeta d' una generazione inferiore, nella quale era decaduto il pensiero, s'era infiacchita la coscienza e
l'

Italia

dilapidava

il

patrimo-

mio ideale
quasi
tutti

lasciatole in eredit dagli eroi delle conI

contemporanei si riconobbero e chi vi riconobbe le sue palesi cupidigie, chi le sue celate magagne. Furono dannunziani gli uni e gli altri: secondi, avversarii inconciliabili del d' Annunzio, contro cui menavano pugnalate critiche e bombe polemiche a ripetizione, non mai persuasi d' aver distrutto il nemico, perch il nemico era anche dentro l'animo loro; primi, dannunziagiure e delle guerre.
in

queir

arte;

ni in

senso

stretto,

sfegatati ammiratori ed imitatori.

Altri elementi di

clamoroso e non

letterario

suc-

cesso erano nell'opera e nella vita del d' Annunzio. Lasciamo stare il cosiddetto reclamismo. Se il d'An-

nunzio

s'

pubblicit, la colpa

abbandon a queir invereconda furia non fu tutta sua molta fu


:

di

dei

174

Che cos'

il

dannunzianesimo
quali, ritrovando nei

suoi contemporanei,
nisti

protago-

dannunziani
di

le

loro confessate aspirazioni o le

loro segrete vergogne, in ogni caso,

dunque

una
il

gran parte

s medesimi,

si

torcevano nella matta

curiosit di conoscere che gesta avrebbe compiute

od esecrabili tripudii consumasse la sua vita l'autore. Volevano sapere fatti suoi, e il d'Annunzio li content. Anche senza il reclamismo, c'era neh' arte dannunprossimo protagonista ed
in quali invidiabili
i

quattro quinti della gente ziana di che far delirare che consuma carta stampata: le donne e gli adolescenti. Le donne ci trovavano la lussuria attillata in vesti d' irreprensibile eleganza, l'odore di mondanit
i

peccaminosa,

il

dolce deliquio dei sensi che divenin

tava colpa veniale

nome

della letteratura,

una cul-

tura modernissima, tutta quanta ridotta in dosi per-

fettamente assimilabili, smagliante di novit

come un

vieni de paraitre, verniciata di facili sofismi che pa-

revano filosofica profondit, fatti proprio per mandarsi a mente con qualche opportuna variante e per
brillare nei
salotti intellettuali.

Gli adolescenti poi vi

trovavano

tutto

il

loro paradiso.

L' adolescente

reazionario, che dir


egli nello stato

o un sempre un rivoluzionario In qualunque epoca si voglia. d' animo in cui era la societ bor-

ghese, adolescente e adulta, sul finire del secolo XIX:


stanca di pensiero, di legge, di vincoli e d' ideale.

L'adolescente, a dir vero, non ce l'ha con tafisica tedesca e con l'imperativo di Kant;
1'

la

mece

ma

ha con V odiosa disciplina imposta dai genitori e dai professori. Vorrebbe vivere secondo la sacra leg-

ge

dell'istinto; e vivere in natura significa per lui:

Che cos'
fumare
fare
le
i

il

dannunzianesimo.

175

ma

non ha

quattrini; divertirsi
;

ma
donne

deve

compiti scolastici

sfogarsi con

le

ma
i

donne non lo vogliono ancora. Salvo il fumo, del d'Annunzio gli danno tutto questo e molt'altro ancora: ville sul mare, passeggiate a cavallo,
libri

vestiti d' ultimo figurino, successi mondani. Gli danno cortigiane famose, scenarii luminosi, immagini di terre lontane. Per giunta, gli danno ragione: gli dicon che ha ragion lui, l'adolescente, a volersi emancipare, a volere abolire divieti , e che hanno torto genitori e professori a tenerlo in gabbia. Le ore
i i
i

neghittose della torbida pubert suggeriscono sogni


bislacchi:
i

fogli dell' atlante geografico s'imbrattano

d'itinerarii,

che descrivono interminabili viaggi,

e di

linee e convergenti e divergenti, lungo le quali l'e-

sercito del futuro

Napoleone d

di

cozzo contro
di

le

schiere nemiche
le

e,

dopo

tre giorni

stratagemmi,

mette

fini.

in fuga, fondando imperi di sterminati conQualcuno s'abbandona magari all'innocuo ca-

priccio di disegnar penisole ed isole pi frastagliate


e pittoresche d' aspetto che

non siano V

isole

le
li-

penisole di

questo basso mondo. Anche

queste

bidini trovano sfogo nella fantasia dannunziana: splen-

dide tirannidi, viaggi senza meta, conquiste fulminee


e figlie di re barbari stuprate. chi

Che
i
i

volete
i

di

pi ?
diciot-

non

stato
Il

un Ulisside

fra

tredici e

t'anni?

Tempietto di Venere e

Figli del capitano

Grant non bastavano a tanta sete: bisognava trovare un libro che non solo soddisfacesse alle immaginarie cupidigie dell' adolescente, ma, aureolando di un nimbo eroico la sua libidine solitaria e la sua inerte e sfaccendata ambizione, le facesse sacre. Bisognava

176

Che cos'

il

dannunzianesimo.

trovare un libro che glorificasse piacevolmente e so-

lennemento l'Istinto; e di questi libri ce n' parecchi neir opera dannunziana. Non le Laudi, intendiamoci bene ossa troppo dure per cos giovani ganasce. Ma fra le cose minori c' di che esaltarsi
:

nelle ore gioconde,

di

che consolarsi nei momenti di


sia,

vizioso languore.

Mettete poi

che l'adolescente
in

com' quasi
detto

sempre, un

letterato

erba.

Chi

l'ha

che,

per essere letterato, bisogna lavorare e studiare? I professori e genitori. Basta invece leggere il d'Ani

nunzio;

c' tutto l'onniscibile, antico e moderno, concentrato: Grecia, Roma, Rinascimento, letteral

tura francese,
la pittura

romanzi

russi,
la

Shelley,

preraffaelliti,

veneziana,
dire

musica tedesca,

la glittica

ateniese e l'architettura barocca.


sofia.

perfin la filo-

Senza

scrivere.

uno schema
pi,
e
si

che col d'Annunzio s' impara a fisso di periodo e di verso,


e,

che
vi

vi

ronza neh' orecchio

abbandona
il

ripete a volont.

una volta carpito, non Bisogna

d'Annunzio, ed essere celebri come lui, pi genitori che la vita dei poeti celebri di lui. Dicono l'ha detto anche il d'Ansa da cani. Si vita una vincoli familiari sono un castigo di Dio, nunzio
imitare
i

superuomo. Tra 1' altre cose, genitori non punto vero. poeti fanno una vita da cani ? Guardate dunque il d'Annunzio. Guardate Stelio Effrena. Guadagnano un sacco di quattrini, piacciono alle belle donne, viaggiano in automobile e in yacht, lavorano poco, e splendono in cospetto del pubblico come un immenso fal di gloria e di fortuna mondana. Certo,
sono
la

rovina

del

quello

che dicono

Che cos'
prima d'ora
cioso.
il
il

il

dannunzianesimo.

177

letterato italiano era

un figuro stomasciupava

chevole: pedante, erudito, occhialuto, goffo e cen-

Sapeva una quantit di cose inutili tempo a sgobbare su libri polverosi


;

e
di

in furia
lario.

per una questione di metrica o

montava vocabo-

Di buono non aveva che la sua adamantina la sua sdegnosa indifferenza intorno a tutto ci che non fosse la prosodia d' Orazio e il Forcellini. Anche il letterato di tipo dannunziano
ignoranza e

non sa con precisione che cosa


filosofia, la

sia
il

la

scienza,

la

storia, la

religione,
il

socialismo,
il

la

borghesia,
l'avvenire.

l'educazione,

passato,

presente e
guastarsi

Ma

ne parla a proposito e a sproposito,


d'altronde

e finge d'infervorarcisi, senza


il

sangue, n trasgredire, salvo che con vituperii le regole della buona di puro stampo umanistico creanza. comodo ed economico. Senza dire che soprattutto elegante per essere letterato di tipo dan,
:

nunziano non necessario essere pedante, occhialuto, goffo e cencioso come queir insopportabile professore di letteratura italiana, che d sempre cinque ai componimenti del futuro poeta. Anzi necessario esser proprio il contrario. Molto chic, con un sorrisetto canzonatorio a fior di labbra e una strizzatina di precoce miopia dietro la lucida caramella.

Cos

il

dannunzianesimo era organizzato come una


i

giovinetti, specie di leva nazionale, che reclutava La forza lubbioni. dei conquista alla li lanciava e

del pubblico entusiasmo


si

si

manteneva costante, come

mantiene costante il contingente dell'esercito, quantunque una nuova generazione soppianti d'anno in

anno

la

precedente. Via via che

gli

adolescenti

ma.12

178

Che cos'
si

il

dannunzianesimo.
i

turavano,

placavano

bollori dei primi anni.

Ta-

luni si straniavano affatto dalla letteratura, e, divenuti padri di famiglia,


in

scomunicavano
;

il

nome

della moralit
fra
il

pigri dilettanti
il

d'Annunzio pencolavano
artista,

perpetuamente

ed

ma

(grande

pec-

cato che...; magnifico romanziere,


vai nulla; bell'ingegno, se
letterati

ma

pel teatro

non
i

non fosse cos

falso);

gradatamente antidannunziani naturale avversione della sua (quanti?) per qualcuno libera personalit contro la forte personalit avverdivenivano
:

stiere.

impotente gelosia di metrovano forse pi antidannunziani che dannunziani: e fanno pi schifo quelli di;questi. Fra
saria;
i

pi, per turpe ed


si

Oggi

grandi poeti, che Y

Italia aspetta,

maltrattati n offesi in altro

ve n' molti, non che nella loro flaccida


morir
;

vanit,

quali volentieri vedrebbero

d' acci-

dente
fosse

il

despota della letteratura italiana


quei

e,

se

non

per

benedetti

divieti

che

nemmeno

brerebbero senz' altro

Corrado Brando pot impunemente trasgredire, viil pugnale di Armodio e di Ari-

stogitone in difesa della violata repubblica letteraria.

Credono, poveretti, ciascheduno per conto suo, che,


sparito l'usurpatore,
nit,

a un di loro l'alto seggio


di

debba toccare, per diritto d'anzia. E qualcuno non ha


in

vergogna

confessare pubblicamente,

prosa o

in

versi, la sua laida invidia e la sua ridevole speranza.

Non

questo antidannunzianesimo,

come non

per altre ragioni, l'antidannunzianesimo dei padri di


famiglia o la convenzionale giustizia degli ignoranti
quello stato di pensosa indifferenza e di equanime
placidit , che invocavamo sul nuova coscienza va formandosi
principio. Forse la
in
certi
strati

del-

Che cos'

il

dannunzianesimo.
non vengono facilmente

179
alla

l'opinion pubblica, che

luce; forse

si

diffonder facilmente fra gli uomini di


s'

pensiero; certo,
di lettere

imporr con gran fatica agli uomini


poeti.

ed agli aspiranti

illusione

nella speranza

che questo

La mia pi dolce mio saggio

valga a suggerire un giudizio non iniquo n idolatrico ai bene intenzionati.


Il

momento

di

stanchezza storica, da cui nacque


superato. Ri-

l'arte

dannunziana, definitivamente

palpita l'ala del pensiero, cui


tivistico

dopo
le

l'oltraggio posi-

crebbero un'altra volta


delle
;

penne; riemergono
affaristiche
i

dallo stagno

transigenze

grandi

una generazione intellettualmente pi austera, moralmente pi sobria. , dunque, superato il dannunzianesimo. necessario, dunque, superare V antidannunzianesimo. Bisogna cio riconoscere che Gabriele d'Annunzio rimane il pi grande artista che l'epoca sua abbia dato ed il pi grande che la mentalit dell'epoca sua potesse dare bisogna
problemi
storici

sale

riconoscere

la vastit del

suo sforzo,

la

sua religiosa

probit di fronte all'arte, l'inaudita potenza del suo

sentimento di fronte alla natura. Bisogna anche smettere di


bili
s

paragonarlo col Pascoli o con

altri,
;

ma

episodici e secondarli, poeti

ammiranon sar

inutile persuadersi,

qualunque

sia la nostra

umana

italiana preferenza per la poesia del

Carducci,

che,

nella storia dello spirito,

Carducci di gran lunga scolaro. Non so degenere meno significativo del suo dannunzianesimo malanno il un tutto sia stato in se certo, sarebbero stati malanni peggiori il pascolismo
il
;

ed

il

generazioni

fogazzarismo, che avrebbero educato le future al rammollimento sentimentale ed alla ca-

180

Che cos'
Il

il

dannunzianesimo.
la

suistica bigotta.

d'Annunzio non incute


i

veneradi

zione che incutono

grandi maestri

maestro

mestiere letterario pi che di vita e d' anima totale.

Forse un ostacolo sulla via della tradizione, come

un gran masso collocato nel cammino della


sulla via della tradizione e nel

storia;

ma

cammino

della storia,

spaventarsi davanti all' ostacolo, n ci deve mettere a sedere sul masso, eh' nel mezzo della via. Bisogna scavalcarlo di buon animo, e andar oltre. Ma, quando s' oltrepassato l'ostacolo, un ozioso e odioso capriccio vendicarsene tirandogli un calcio; ed una ingenerosa menzogna negare al d'Annunzio il suo grande posto nella strada maestra della
si

Non bisogna

letteratura italiana. Egli schiettamente italiano,

come

non
era
il

per esempio,

il

Fogazzaro o

il

suo rivale Ar-

turo Graf; ed , senza limiti, universale,

come non

Carducci, n, tanto meno, Giovanni Pascoli.


secolare

grande gloria del d'Annunzio avere strappato


teratura italiana dal quasi

la let-

isolamento,

nel

quale, ignorata, languiva, e averla

ricondotta a re-

spirare la grande aria dello stadio in cui gareggiano


le

nazioni. Poich' egli seppe


di tutta

rappresentare

l'anima

malata

un'epoca, con l'opprimente gravame

del passato, col confuso sentore dell'avvenire.

Se noi, uscendo dalla crisi che ebbe in Gabriele d'Annunzio il suo complice, la sua vittima e il suo poeta, desideriamo ed invochiamo un'altra anima storica ed un altro spirito poetico V ardore della nostra speranza non basta a disperdere la tristezza, che ci coglie, quando pensiamo come le cose intorno
,

alle quali rote

il

vortice dei nostri primi entusiasmi

siano gi divenute materia di matura ponderazione,

Che cos'
di

il

dannunzianesimo

181

ragionata analisi, di freddo giudizio che respinge senza incrudelire od accetta senza abbandonarsi. Il d'Annunzio, che dieci anni fa, che cinque anni fa era T oggi e il domani della nostra insaziabile e innarico,

morata fantasia, s' gi trasformato in un fatto stoche c'ingombra il tavolino e la mente, e che bisogna togliere di l per collocarlo in uno scaffale,
proprio nel posto che
gli

compete, dopo averlo de-

bitamente classificato e contrassegnato nel catalogo


delle nostre cognizioni. Allora, se ritorniamo per
istante

un

con

la

memoria
le

alle

ore d'indicibile frenesia


le

che

ci

diedero anche

pagine e
al

opere del d'An-

convulso sfogliammo le pagine del nuovo poema, chiesto quasi in elemosina per ventiquattr' ore soltanto, ad un amico pi ricco, o al singulto che spesso c'interruppe durante la declamazione in un
nunzio da noi oggi rinnegate,
cui

fremito

con

cerchio d' amici che trattenevano, ascoltando,


spiro e
s'

il

re-

affocavan nelle guance; allora una


il

filiale

gratitudine c'inonda

cuore per

l'artista

che pass
largo fiume
giunti un

davanti alla nostra adolescenza


di felicit.

come un

Svanisce
di

il

freddo orgoglio d' essere dinoi stessi,


d' esser

venuti storiografi

chilometro pi innanzi sulla via della storia, di poter

dannunzianesimo come ad un piccolo passato. E, e si pur ripigliando lentamente il cammino, susurriamo alla sorte una goethiana preghiera
guardare

Annunzio guarda a un grande


al d'

e al

Gib meine Jugend mir zurck.


Restituiscimi la mia giovinezza, pur con
i

suoi dis-

sennati furori, pur con


Napoli, febbraio

le

sue pazze idolatrie.

Torino, maggio 1909.

NOTA,

Non

questa la

prima volta che parlo

pubblicamente

intorno all'opera di Gabriele d'Annunzio. Anzi, cominciai troppo presto. Appena diciassettenne, sotto l'impressione
delle opere

qui raggruppate

nel

capitolo

L'avvento del

superuomo (cf. p. 63 sgg.), pubblicai un mente antidannunziano:


1.

articolo, pueril-

Il

principio della fine, firmato Syrius, nella rivista


>

di Palermo (anno I, n. 1, 5 marzo 1900). opere comprese nel capitoletto La vittoria (cf. diconobbi allora personalmente il poeta p. 82 sgg.) scorsi ripetute volte in tono apologetico. Credo presso

-La

Scintilla

Delle

che irreperibili due miei


cesca, pubblicati coi titoli
2.
3.

articoli, a
:

proposito della Fran-

Francesca di G. d'A., e

La
la

critica dei confronti (contro

il

malvezzo

di frain-

tendere

tragedia dannunziana, paragonandola alle ter

zine dantesche), nella


13 aprile, n.
13,

Medusa

>

di

Firenze, anno

I,

n. 11,

27 aprile 1902.
:

Sulla Laus Vitae apparve un mio lunghissimo saggio


4.

L'opera poetica di Gabriele d'Annunzio, nella


(1

<-

Nuova

Antologia
Vitae
1'

16 settembre 1903).

Fin d'allora
il

(cf.

qui p. 92 sgg.) riconoscevo nella Laus

pi puro capolavoro dannunziano. Esagerai nella

interpretazione, e credetti sul serio che

concezione

di

Gabriele d'Annunzio potesse intendersi idealisticamente.

186
In

Nota.

sguito ad alcune osservazioni di Benedetto Croce, tem-

il mio pensiero ed espressi il mio parravvedimento in un articolo, pi equilibrato nel tono, sebbene egualmente entusiastico nella sostanza, che pub-

perai d'un poco


ziale

blicai su
5. Le nuove Laudi, nell' Illustrazione Italiana (27 dicembre 1903). La seconda annata della Critica pubblic il saggio di Benedetto Croce sull'opera dannunziana (1904, gennaio e marzo, p. 1-28 e 85-110). Si deve al Croce, finora, il pi bello e compiuto ed equanime giudizio complessivo sul d'A., come al Croce si deve la magnifica bibliografia dannunziana (cf. La Critica, II, pp. 169-190, III, pp. 437-480,

VI, pp. 256-262), sulla quale fu compilato

il

rapido elenco

d'A., che bisogna aspettare con molta speranza, ha compiuto e dar fra non molto alle stampe Alfredo Gargiulo. Le analisi pi acute del verso e dello stile dannunziano si trovano di negli articoli purtroppo non raccolti in volume Francesco Pastonchi. Benedetto Croce polemizzava gentilmente contro di me, rifiutando la mia interpretazione idealistica dell' opera dannunziana. Ho dovuto accettare la sua opinione. In quel tempo si pubblicava a Firenze una rivista, Hermes , intorno alla quale si raggrupp l' ultimo considerevole movimento dannunziano della giovent letterata italiana (cf. qui p. 171 sgg.). Se ne pu leggere il proclama nel-

che chiude

il

nostro libro.

Un

altro libro sul

l'anonima,
6.

ma

da me scritta:

(Hermes, fascicolo 1), ove si sonon contraddetta, d' altronde, in questo libro essere d'Annunzio sulla via della tradizione italiana ed essere magari necessario oltrepassarlo ma a patto d'averlo prima compreso e assimilato. L' Hermes non mor dannunziano. Pochi mesi dopo la sua comparsa, pubblicai un lungo scritto:
Prefazione
stiene una tesi
:

Nota.
7.

187

Resurrezioni

Hermes

marzo-aprile

1904)

malgrado la non rinnegata ammirazione per l'artista, la mia antipatia per l'enfasi dannunziana e la mia diffidenza per il dannunziano paganeggiamento. Tradussi allora in versi siciliani, mantenendomi strettamente fedele alla metrica del testo, la Figlia di Jorio. La traduzione fu messa in prova nel maggio; fu recitata a Roma, dalla compagnia di Giovanni Grasso, il 17 settembre 1904. Qualche frammento fu pubblicato allora sul

dove

evidente,

Giornale

a" Italia

e sulla

Tribuna.
si

opere della decadenza, miei articoli negativi su

Per

le

possono vedere due

8.

rino, 28

La Fiaccola sotto il moggio (nel maggio e 4 giugno 1905);

Campo

->

di

To-

ed un articolo negativo, a proposito della Fedra: 9. / rimasugli del d'Annunzio (nella Stampa * di Torino, 5

maggio
i

1909).
il

Per

rapporti fra

d'Annunzio

giovani, vedi
,15

10. Il poeta Coselschi (nella

Stampa

maggio

1909).

Maturando questo

libro,

ho mantenuto nella linea ge-

nerale gran parte dei giudizii, che nel corso di nove anni
Altri giudizii miei

avevo saltuariamente espressi su riviste e su giornali. ho modificati o temperati o esacerbati o addirittura sovvertiti. Ed ho compilato questa nota per offrire un divertimento a coloro, che amano mettere cricome tici in contraddizione con s medesimi: persuaso sono che il primo dovere d'un uomo pensante non coni

siste nel

mantenersi grettamente fedele

al

suo pensiero
per raggiun-

passato,
del vero.

ma

nel ripensarlo rielaborandolo

gere una sintesi

pi

alta

ed un pi maschio possesso

BIBLIOGRAFIA DANNUNZIANA

Nota
il

biografica.
12

Gabriele d'Annunzio, n. a Pescara (prov.

di Chieti)

marzo

1863.

I.

OPERE DEL D'ANNUNZIO.


1.

All'angusto Sovrano d'Italia Umberto I di Savoia


del

XVI marzo
gurii e voti

MDCCCLXXIX

suo giorno natalizio. Au-

dei

giovani Vittorio Garbaglia e Gabriele

d'Annunzio. Prato, Tip. Giacchetti, 1879.


2.

Primo Vere

liriche di

Gabriele d'Annunzio (Floro).

Chieti, Tip. Giustino Ricci, 1879.


3.

In

Memoriam

versi

di

Gabriele d'Annunzio (Floro

Bruzio). Pistoia, Tip. Nicolai, 1880.


4.

Primo Vere

Seconda

edizione corretta con penna

e fuoco, ed aumentata. Lanciano, Carabba, 1880.


5.

Canto Novo

Roma,

Sommaruga,

1882.

Oltre l'edizione grande, con disegno di F. P. Michetti, ve ne ha una

economica
6.

nella Collezione

Sommaruga,

n. I,

pi volte ristampata.

Terra Vergine
di

Roma,
si

Sommaruga,

1882.
Colle-

Anche

questa raccolta
n.
2.

ha una edizione economica nella

zione Sommaruga,
7.

Intermezzo di rime

Roma,

Sommaruga,

1884.

192
8. 9.
//

Bibliografia.
libro delle

Vergini Roma, Sommaruga,

1384.

San Pantaleone

Firenze,

Barbera, 1886.
,

10. Isotta

Guttaduro

ed altre poesie

con disegni di
Cellini,

Vincenzo Cabianca, Onorato Carlandi, Giuseppe

Enrico Coleman, Mario de Maria, Cesare Formilli, Ales-

sandro Morani, Alfredo Ricci,


Ed. La Tribuna,
11.
12.
Il

G. A. Sartorio

Roma

1886.

Piacere,

romanzo

Milano,
10.

Treves, 1889.

L'Isoiteo,

La Chimera (1885-1888) Milano, Tre-

ves, 1890. Ristampa del n.


13. Elegie

Romane
ediz.,

(1887-1891)

Bologna, N. Zanichelli,
C,
1906, con

1892.

Nuova

Milano, T. Antongini e
de Titta.

versione latina
14.
15.

di C.

Giovanni Episcopo
L' Innocente,

Napoli, romanzo Con


in 4

L. Pierro,

1892.
di

un disegno

G. A.

Sartorio. Napoli, F. Bideri, 1892.


Se ne ha anche una tiratura
del disegno del Sartorio.

grande su carta a mano, priva per

16.

Poema

Paradisiaco, Odi Navali (1891-1893)

Milano,
:

Treves, 1893.
Delle Odi Navali una parte era stata pubblicata in un opuscolo
Al-

l'armata d'Italia per

la

morte dell'ammiraglio Saint Bon, Odi

navali.

Napoli, F. Bideri, 1892.


17.

Intermezzo

Con un disegno

di F.

P. Michetti

Napoli, F. Bideri, 1894.


Edizione assai accresciuta, dalla quale, per altro, sono escluse alcune
delle poesie

comprese

nell'ediz. segn. al n. 7.

18.

Trionfo della Morte,

romanzo Milano, Treves,

1894.

Bibliografia
19.

193
offerto

L'Allegoria
d'

dell'

Autunno

Omaggio
1895.

a Ve-

nezia da G.
20.

A.

Firenze, Paggi,
Rocce
,

Le Vergini

delle

romanzo

di

Milano

Tre-

ves, 1896.
Compiuto questo
Rosa
ai tre
:

libro,

il

d' A.

dette

il

nome

Romanzi

della

//

Piacere, L'Innocente e Trionfo della Morte; e con Le

Vergini delle Rocce apri la serie dei


altri

Romanzi

del Giglio

dei quali gli


stati
fi-

due annunziati

La Grazia

L'Annunziazione, non sono

nora pubblicati.

21.

Conto novo

Intermezzo (1881-1883) Edizione

de-

finitivaMilano, Treves, 1896.


Il

Canto novo
5,

vi

compone

qui di poche delle liriche, compresa nell'ediz.


:

segn. al n.

quasi tutte assai corrette

ve ne ha qualcuna nuova.

22.

Sogno d'un mattino


1897.

di

primavera

Roma

Ita-

lia-,

Ristampata a Milano, Treves,


23.

1898.

La Parabola

delle

Vergini fatue e delle Vergini pru-

denti (nella
24.

Nuova

Antologia, 16 dicembre 1897).


dell'

La Parabola

Uomo
1

ricco e del

povero Lazaro

(nella
25.

Nuova Antologia, La Parabola

gennaio 1898).

del Figliuol prodigo (nel Mattino di

NaI,

poli del 1898; ristampata ne\V Hermes di Firenze,

anno

1904, n.
26.

1).

La

Citt Morta, tragedia


d'

Milano,
autunno,

Treves,

1898.

27.

Sogno

un tramonto

a"

poema

tragico

Milano, Treves, 1898.

il

secondo dei Sogni delle Stagioni.

Cfr. n. 22.

28.

La Gioconda, tragedia

Milano,

Treves, 1899.
13

194
29.

Bibliografia.
La
Gloria, tragedia

30. // Fuoco,

Milano, Treves, 1899. Milano, Treves, 1898. romanzo


di

31.

La Canzone

Garibaldi Milano, Treves,

1901.

32. In

morte di Giuseppe Verdi, canzone preceduta da


ai

un'orazione
33.

Giovani

Milano, Treves, 1901.

Francesca da Rimini, tragedia Milano, Treves, 1902.


un' edizione economica, Milano, Treves, 1903, dove appare I Malatesti
e
,

Ve ne ha
il

titolo generale:

trilogia della

quale

le

altre

due parti

dovrebbero essere: Parisina


blicate.

Sigismondo Malatesta, finora non pub-

34.

Canzone a Victor Hugo

Per

il

centenario di Victor

Hugo, 1802-1902
35.

Milano,

Treves, 1902.

Le novelle della Pescara


le

Milano,
(v.

Treves, 1902.
n. 9),
//

Contiene tutte

novelle del

San Pantaleone
parte del

meno due

//

Commiato

(che entrata a far


I

romanzo

Piacere) e San

Laino navigatore.

titoli

sono spesso mutati. Vi

aggiunta col titolo


(v.

La Vergine Orsola,

la

prima del Libro delle Vergini

n. 8).

Sono

aggiunte anche La morte del duca d' Ofena e La madia, che, insieme
col Martirio di Galluca (intitolato II martire), furono

prima raccolte

in

un volumetto
lezione

col titolo: I Violenti, Napoli, L. Pierro, 1892, nella


n. 18. In

Col-

Minima,

quella stessa collezione, n.

19,

furono ristam-

pate, col titolo: Gli idolatri, tre delle novelle del

San Pantaleone.
e degli

36.

Laudi del Cielo del Mare della Terra

Eroi

Milano, Treves, 1903.

il

primo

libro col titolo

Maia

e contiene la

Laus

Vitae.

37.

Laudi del Cielo del Mare


II,

della Terra e degli Eroi

Voi.

Milano, Treves, 1904.


i

Comprende
mente

libri II e III:

Elettra ed Alcione, con

le

poesie sparsa-

edite e alcune inedite,

composte

nel

decennio 1894-1904.

Bibliografia
38.

195

La figlia
1904.

di Iorio, tragedia pastorale

Milano,
D'A., musica

Tre-

ves,

Se ne ha
Franchetti

anche un libretto, fatto

dallo stesso

di

A.

Milano,

Ricordi, 1906.

39. 40.

La Fiaccola
Vite di

sotto

il

moggio

Milano,
di

Treves, 1905.

uomini

illustri e di

uomini oscuri. La Vita di

Cola di Rienzo (nel


IV.

Rinascimento
1905 5

Milano, nn.

II.

III.

10 dicembre

gennaio 1906).

41. Prose scelte


42. Pi che

Milano, Treves, 1906.

l'amore, tragedia moderna, preceduta da

un discorso e accresciuta d'un preludio, d'un intermezzo e d'un esordio


43.

Milano,

Treves, 1907.

Canzone

orazione per la morte di G. Carducci

Milano, Treves, 1907.


44.

La Nave, tragedia

Milano, Treves, 1908.

45. Fedra, tragedia

Milano,
II.

Treves, 1909.

SCRITTI DI ARTE
1.

POLITICA.

F. P. Michetti: nella Tribuna Illustrata del 1891.


//

2.

romanzo futuro, frammento d'uno studio su V Arte


del

Nuova: nella Domenica


naio 1892.
3.

don Marzio,

di

Napoli, 31 gen-

Articoli su E. Zola, nella Tribuna di


193.

Roma

del 1893,

nn. 181, 188,


4.
Il

libro di

Angelo Conti

La Beata

riva, trattato del-

l'oblio,

Milano, Treves, 1900, preceduto da un ragio-

196

Bibliogr afia.
di

namento

Gabriele

d'

Annunzio

che va da pag.

pag. XLVIII e

del quale un frammento fu prima pubbli1895.

cato nel Convito,

5. Gli Studi di letteratura italiana di Enrico

Nencioni,

Firenze, Le Monnier, 1898, sono preceduti da un discorso


di

G.
6.

d'

A.

gi edito nella Tribuna.

Una

serie di articoli del

d'Annunzio concernenti

la

marina da guerra italiana, pubblicati nella Tribuna, furono


riuniti

nel

volumetto

L'

Armata

d' Italia

(capitoli

estratti dal giornale

La Tribuna)

Roma,

Stab. tip. della

Tribuna, 1888.
7.
i

Il

discorso elettorale del 1897 fu riprodotto da

tutti

principali giornali del tempo.


Alcuni
di questi scritti

sono ristampati

nelle

Prose scelte

(v. s.).

II.

STUDI CRITICI

INTORNO AL D'ANNUNZIO.
Il

catalogo, che
;

precede,
e

come

si

detto (p.
le

186),

molto sommario

anche pi rapide saranno

indica-

zioni relative alla letteratura intorno al D'A., rimandandosi


alla citata Bibliografia

dannunziana, che accompagna


(voi.

lo stu-

dio del

Croce

sul

d'Annunzio, nella Critica


italiani

II, III,

VI).

Dei lavori
gli articoli

critici

sono da ricordare anche

(oltre

gi accennati, del Pastonchi, nel Corriere della

sera), quelli di Luigi

Capuana,

nei voli.
>

Per

l'arte,

Caivi,

tania

Giannotta

1885, Gli

ismi

contemporanei,

Bibliografia.
1898, e nella
Rivista d'Italia, 15

197
di

marzo 1900;
,

Dino

Mantovani
Roux
(articoli nel

Letteratura

contemporanea

Torino-Roma,

e Viarengo, 1903, pp. 331-394; e di G. S.

Gargano
dome-

Marzocco), Il primo

articolo, dedicato al D'A.,


della

fu scritto

da Giuseppe Chiarini, nel Fanfulla


(v.

nica, 2

maggio 1880

estratti in

Critica,

II,

pp. 164-6).

Come documento
dannunziana
metto
:

dello scandalo, suscitato dalla poesia

dell'

Intermezzo , da vedere

il

volu-

Alla ricerca della verecondia,


,

Roma, Sommaruga,
Nencioni e Panzac(Guerrini-Ricci). La

1884, con scritti di Chiarini


chi
,

Lodi

sonetti di
sui

Marco Balossardi
si

polemica
zetta

plagi

svolse principalmente nella Gaz-

letteraria di
I

Milano del 1895-1896, per opera del


essa
si

Thovez.

risultati di

vedano, ora, insieme con


della
Critica,

altre notizie consimili, nel fascicolo

del 20

maggio 1909
Vogu, La
mond.es,
1

(VII,

pp.

165-177).
in

Dei lavori stranieri,

prima

linea,

1'

articolo del

De

renaissance latine, G. d'A., in Revue des deux


e, poi, quelli di

gennaio 1895;

R.

Doumic,

nel voi.

Les jeunes, Paris, Perrin, 1896;


dies,

di

Ouida,
di

in Criticai Stu-

London, Fisher Unwin, 1900;

V.

CRAWFORD,
,

in

Studies in foreign Literature,


di A.

London, Duckworth

1899;

VON Plttkammer

G. d'A., nella collezione Die

Dichtung, ed. da P. Remer, 1905; di E. Tissot, Les sept


plaies et les sept beauts de
nella
l'Italie,

Paris, Perrin, 1900, e

Grande

revue, 25 gennaio 1908.

INDICE.

CHE COS'

IL

DANNUNZIANESIMO?
pag.

LO SPIRITO E L'ARTE DANNUNZIANA NEL LORO SVOLGIMENTO.


1.

2.

LA BIOGRAFIA DELL'UOMO E DELL'ARTISTA ORIGINI DEL TEMPERAMENTO DI D'AN-

NUNZIO
3.L'ORA GIOCONDA
4.

20

28
36

5.
6.

LA CRISI SENSUALE LA CRISI MORALE

52 63
82
107

7.
8.

L'AVVENTO DEL SUPERUOMO LA VI TTORIA DECADENZA

BELLO
1.

BRUTTO NELL'ARTE DEL D'ANNUNZIO


*

GLI

ELEMENTI INTELLETTUALI DELL'AR121

TE DANNUNZIANA

202
2.

Indice

IL

MONDO

DI

GABRIELE D'ANNUNZIO...
E

pag.

127

3.

4.
5.

6.

7.

FORMA. LINGUA ANALISI DELLA MALATTIA DANNUNZIANA D'ANNUNZIO NELLA STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA SINTESI DELLA MALATTIA DANNUNZIANA SIGNIFICATO DEFINITIVO DELL'OPERA

STILE

135 146

152

159

DANNUNZIANA
IV.

165

CHE COS'

IL

DANNUNZIANESIMO
171

NOTA.
183

BIBLIOGRAFIA DANNUNZIANA

"jiL*auvi

^cc

ui;

k{

o isog

co LO

T3

You might also like