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2.

Firenze) Tip. dell'Arte

dell.

Stampa

LIBRO PRIMO

PERCY BYSSHE SHELLEY

PERCY BYSSHE SHELLEY

(i)

e G. B. Niccolini potesse levare

il

capo dalla

tomba,

e vedere

quale stima fanno oggi

g' Inglesi del

loro poeta Shelley, io credo

ch'ei

si

meraviglierebbe non poco del giudizio che

diede

di lui nel
si

suo Discorso sulla tragedia greca;


e

sopiattutto

meraviglierebbe

dorrebbesi d'avere

scritto dello Shelley questo, che

mal

si

pu

dire

i)

Rccords of'Shelley, Byrcn

and

the author,

by

Edward

John Trelawnv. London,


poetica/
revised,

Pickering, 1878. - The complete


Shelley
;

werks of Pcrcy Bysshe


with notes

the text carefully

and a memoir, by W. M. Rossetti. London, Moxon, 1878. - Poesie scelte di Fercy Bysshe Shelley traditone dall' inglese di Erasmo Di Lustro da Eorio.
f

Napoli,

De

Angelis,

1878.

Libro

Primo

se la sua patria

si glori i o si
ei

vergogni di
in

lui,

d'avere scritto eh'


ai suoi concittadini.

cadde meritamente

odio

Ma

quel giudizio e queste pafa,

role erano
il

una cosa naturale trent'anni


le

quando

Niccolini

scrisse; perche' allora l'appellativo

di

satanica dato alla poesia dello Shelley era quali

che cosa che metteva


e

brividi

anche a molta brava

coraggiosa gente.

Quando

lo

Shelley

viveva,

scrive
s'egli

il

Trefosse
altri

lawny, alcuni mi domandavano


il

non

peggiore degli uomini; ora che morto,


s'

mi chieggono
pass pel

egli

non

fu perfetto.

Forse non

mondo

altro poeta, la cui fama, cattiva

e poca mentre fu vivo, andasse tanto portento-

samente mutando

crescendo dopo

la

morte.

Da
che

vivo non conobbero e non apprezzarono lo Shelley

che pochi intimi; egli pubblicava,


aveale
scritte,
le

man mano

opere sue

(le

pubblicava, non

per fama che ne aspettasse o desiderasse,


che',

ma
1

per-

come

scrive al
lo

Trelawny, gli

spiriti eh egli
li

avea evocati

tormentavano fin eh" e 'non

avesse

mandati

al diavolo

da uno stampatore); pochi

per o nessuno

curavasi di leggere ci ch'egli

stampava.
Il

Trelawny avendo incontrato


il

nel 1820 a Loinglese, lo

sanna

gran patriarca

della poesia

Percy Bysshc Shelley

Wordsworth,
Shelley

gli

domand che

cosa pensava delle

come
e

poeta.

Niente,

replic

il

vecchio

bardo:

vedendo a
aggiunse

ci la sorpresa del suo in:

terrogatore,
scritto

Un

poeta

che non ha

un buon poema prima


non pu

dei venticinque

anni, evidente che

farlo, e

non

lo far

mai.

Lo Shelley aveva

allora ventisette anni,


tutte le opere sue

ed avea scritto
principali
;

e pubblicato
lo

ma

Wordsworth, come pi
le

tardi

confess,

non usava leggere

opere de' suoi con-

temporanei, e non avea letto niente dello Shelley.

Fra
e

pochi intimi che conobbero Io Shellev


la
il

ne sentirono

grandezza, chi la senti meglio

d'ogni altro fu

Byron;

il

quale spesso e lun-

gamente

si

consigli con

lui, e

da

lui
;

ebbe

l'ispi-

razione ad alcune delle sue opere

ed

il

Byron,

che allora empiva del suo

nome l'Europa, vedea

con perfetta indifferenza sconosciuto o malconosciuto


1'

amico
il

suo.

Un

giorno

Trelawny, udendo
dello Shelley,

il

Byron

fare

un gran panegirico

si

attent di

osservare eh' egli avrebbe potuto rendere un gran


servigio all'amico con poca fatica, scrivendo nella

sua prossima opera una benevola parola di

lui,

come avea

fatto
affari,

per

autori di
il

minor merito.
i

Tutti

gli

rispose

Byron, hanno

loro

Libro Primo

misteri

se io lodo

un autore popolare, costui

mi

ripaga poi della stessa moneta capitale e in-

teressi;
la

un amico mi pu
prestatagli;

tutto al pi restituire
si

moneta

quando mai

sentito

dire eh'

e' ci

abbia aggiunto gl'interessi?


la

Di que-

ste arti di procacciarsi

fama

lo

Shelley non
e

ne seppu

non ne cur mai niente;


al

sempre

consigliava

Byron
il

di

scrivere per

la

posterit.

Cosi avvenne che

poeta dei poeti, come poi lo


fra gli

chiamarono, pass quasi ignorato


ratori del

ammi-

Byron, dello Wordsworth, del Southey,

del Coleridge, del

Moore

e di

tanti

altri;
si

alla

schiera dei quali l'opinione pubblica non

de-

gnava

di

aggiungerlo neppure
nel

come

ultimo.

quando
fra le

egli

1822. a 29 anni, trov la


eh" era stato

morte

onde del mare,


il

una

delle sue

grandi passioni,

mondo non parve


nome

accorgersi

che un grande

spirito gli fosse


il

mancato.
dello Shelley inil

Ma

d'allora in poi

cominci

a crescere lento e continuo. Allora


al

Byron scriveva

Moore:
il

sul conto del quale


e

Un altr'uomo morto, mondo fu malignamente

ignorantemente e brutalmente incannato. Forse


sar resa giustizia ora che ci non

gli

pu pi
poesie

giovargli.

Allora

lo

Wordsworth,

lette le
il

dello Shelley, consentiva essere egli

pi gran

Pe/ry Bysske Shelley

maestro

di versi

armoniosi nella moderna

lette-

ratura inglese.

La vedova

del poeta, ad ingannare

il

dolor suo,

dedicavasi tutta alla pubblicazione delle opere del

marito: pubblicava prima

gli scritti
le

postumi; poi

raccoglieva e illustrava tutte

opere, sperando

che questa edizione sarebbe

la

prima pietra

del

monumento dovuto
virili

al genio, ai patimenti e alle

dello

Shelley.

la

prima pietra

fu; e

il

monumento

sorse, e sorse tanto alto,

che oggimai

sopravanza quelli
dell'

di tutti gli altri poeti


i

moderni
fe-

Inghilterra. Poi gli amici e

conoscenti
la

cero a gara a narrarne ed illustrarne

vita; e
cre-

l'uomo che dai suoi contemporanei era stato

duto qualche cosa di stranamente perverso e diabolico,


al

apparve essere, come


il

il

Byron scriveva
il

Moore,
il

meno

egoista degli uomini,


il

pi

dolce,

pi tollerante,
il

pi buono. Per tacere


nel 1847
(1);
il

d'altre pubblicazioni,
la

Medwin pubblic
in

sua Vita dello Shelley

due volumi
i

Hogg, un condiscepolo del poeta,


sua nel i858
(2),

due primi
il

della

che rimase incompiuta;

Tre-

(1)

The

li/e

0/ Percy Bysshe

Shelley,

by

Thomas Medwin,

in

two volumes. London; Thomas Cautley Newby, 1847. (2) The li/e ofPir.y Bysshe Shelley, by Thomas Jefferson
in four volumes.

Hogg,

London; Edward Moxon, 1858.

io

Libro Primo

lawny. pure nel

858,

le

sue

Memorie

degli ultimi

giorni dello Shelley e del Bj r ron, che accresciute


di parecchi particolari importanti

o curiosi sono
col titolo da

state ripubblicate nell'

anno scorso

me

indicato

nella

nota in principio di questo

scritto.

Fra

particolari curiosi aggiunti in questa sela storiella della

conda edizione c'


Shelley, di cui
si

morte dello
i

occuparono nel 1875


la

giornali:
il

secondo

la

quale

barca che portava

poeta

da Livorno

alla Spezia

non avrebbe naufragato

per cagione della tempesta,

ma
il

sarebbe stata
1'

af-

fondata da alcuni pescatori, che

assalirono cre-

dendo

si

trovasse in quella

Byron, che voleano


ci

derubare ed uccidere. Nonostante

che

il

nostro

De Gubernatis
lawny Times

(trasformato nel

libro

del

Tre-

in professore

De

Gubernatoris) scrisse nel


a

del

24 dicembre 1875

mostrare chela

storiella

dovea probabilmente essere un canard


di

di

qualche buffone

marinaro,

il

Trelawny

vi

insiste e la tiene e vuol mostrarla per vera.

E
noi

patriottico, egli dice, lo sforzo

che

il

professore

italiano fa di scolpare
inglesi

suoi concittadini:
creduli; noi

ma

non siam tanto

conosciamo

Italia e gl'Italiani

meglio ch'essi non conoscano

noi.

Che

g' Inglesi

conoscano bene

1'

Italia

Percy Bysshd Shelley

gl'Italiani,
i

bench talora sbaglino nello scriverne

nomi,

io

non

vo' metterlo in dubbio:


il

ma

ecco

quali

sono,

secondo nota
i

Rossetti

nella sua

Memoria
la

dello Shelley,

fondamenti su cui riposa

novelletta.

Sir Vincent

Eyre

la senti

raccondella

tare nel

maggio 1S7D da una vecchia amica

famiglia Shelley, che abitava una villa sul golfo


della Spezia; questa vecchia lady diceva di averla

saputa da un nobile italiano dimorante una volta


in quelle vicinanze, e allora

morto; questo nobile


prete; questo prete

italiano l'avea saputa da

un

finalmente l'avea

saputa

in confessione

da uno

dei barcaioli che presero


e

parte all'aggressione;

naturalmente, dice
il

sir

Vincent Eyre,

il

prete

non svel
il

nome

del barcaiolo per non violare

segreto della confessione. Sir Vincent Eyre poi

tenne proposito della


famiglia

cosa con un amico della

Trelawny;

e cosi nel

novembre

del 1873

la storiella

giunse alle orecchie di miss Trelawny,


in

che trovavasi allora


bito al

Roma,

ne scrisse su-

padre suo.

Pu

essere

che gl'Italiani

siano,

come

dice
io
tali

il

Trelawny, pi creduli decrein-

gl'Inglesi;

ma

dicoche sarebbero troppo

duli se sopra

fondamenti accettassero per

dubitabile la storiella narrata e tenuta per vera

da

lui.

Libro Primo

incredibile

1'

ardore col quale

le

opere dello

Shelley incominciarono ad esser


in Inghilterra,

lette e studiate

dopo

1'

edizione compiuta fattane

dalla

vedova

di lui nel

i83o;

ardore che and

sempre crescendo, particolarmente negli ultimi


venti anni passati.

colle opere

si

seguit a stu-

diarne ogni parte della vita; tanto che poterono


essere corretti parecchi errori dei primi biografi
e

messi

in luce

nuovi particolari.
ai critici fu
il

Ma

ci

che

diede pi da fare

testo delle poesie.


il

Parr strano e incredibile, e pure vero;


delle poesie dello Shelley
tici

testo

ha dato da
che
il

fare ai cri-

inglesi

quanto

e piti

testo di

un

clas-

sico greco o latino ai filologi tedeschi. L'edizione


delle poesie dello Shelley fatta dalla

moglie

riusci,

per molte ragioni che qui non accade indagare,

molto scorretta;

il

testo di questa edizione


si

regn

quasi unico in tutte quelle che


fino al
critica
siastici

succedettero

1870. Nel 1870 usci finalmente l'edizione


fatta

da

W.

M.

Rossetti,

uno

dei pi entu-

ammiratori dello Shelley


11

e critico assai

reputato e valente.
di

Rossetti volle tener conto


uscite sul testo dello

tutte

le

note

critiche

Shelley, in alcune delle quali la fantasia dei critici

avea veduto errori e scorrezioni anche dove


di ci,

non erano: ma, anche senza

emendare un

Percy Bysshe Shelley

13

testo fidandosi

interamente all'acume del proprio

ingegno

impresa

molto pericolosa; tanto pi


1'

pericolosa,

quanto

acume

pi
e
si

grande.

Si

comincia

in

Orazio col Bentley,

finisce col

Peerlkamp.
Rossetti;

Non mancarono
ne anche
le

lodi all'edizione del

ma

mancarono

biasimi, e

gravi e giusti, e dagli stessi


Il

amici dell'editore.
di

poeta Swinburne

gli

rimprover

avere spesso

trattato lo Shelley,

come

lo Steevens avea trat-

tato Shakespeare; di avere spesso con arbitrarie


e

non

richieste

correzioni deformato

il

senso e

distrutta la

musica

di versi bellissimi; di avere


di

con una pedantesca riforma

tutta la punteg-

giatura guastato la delicata perfezione dei metri


shclleiani.
il

Un
si

abile
il

maestro

di scrivere

come
bi-

Rossetti, dice
gli

Swinburne, non pu avere


insegni

sogno che
tutta

che tutto un discorso,


colla intrudi

una

strofa

pu essere rovinata

sione o la
virgola;
inglesi fa

soppressione di
falsa

due punti o

una

che una

punteggiatura nei versi


falsa quantit
il

non meno guasto che una

nei latini (1).

In conclusione,

secondo

giudizio

del

Swinburne, l'edizione del Rossetti del 1870,

ottima
(1
)

come

libro

da consultare, riusci
the lexl

tale

che

Swinburne, Notes on
stitdies;

ofShelley,

in

Swinburne,

Essays and

London, Chatto and Windus, 1875.

14

Libro

Primo

ogni amatore delle poesie dello Shelley dovr sempre, dice egli, preferire di leggerle in

una

delle

scorrette edizioni precedenti.


Il

torto

del

Rossetti
in

fu

questo:

di

credersi

autorizzato, anzi

dovere, di

correggere

non

solo gli errori derivati nelle opere dello Shelley

da inavvertenza o imperizia
edizioni,

di chi

cur

le

prime

ma

anche quelli procedenti da trascu-

ratezza del poeta, eh' egli

chiama

scrittore essen-

zialmente impreciso, sempre capace di commettere, e

incapace di evitare errori di grammatica

e di sintassi,

ed altre

sviste,

come rime mancanti


una

o false, e versi fuori di misura.


Il

professore

Thomas

S.

Baynes,

in

critica

dell'edizione del Rossetti, facendo


analisi dell'ingegno dello Shelley,

una finissima
mostr come

quella negligenza di scrittore, quella


di accuratezza nelle

mancanza

minute particolarit del verso

fosse intimamente connessa


della

coW intero

carattere
li-

mente dell'autore,

specialmente con la

rica rapidit e intensit del suo genio poetico (i).

Certe oscurit di parola e certi apparenti


di metrica, che aveano dato tanto da fare

difetti

ai cri-

(i)

Thi Edinburgh Revkw, Aprii 1871. Vedi anche la pre-

fazione di

H. Buxton Forman

alla sua edizione delle

opere

poetiche dello Shelley (London, Reeves and Turner, 1876).

Pircy Bysshc Shelley

tici,

erano, secondo

il

S.

Baynes, segni autentici


le

e indelebili del

modo come

poesie dello Shellev


di lui. Cancellare

erano sbocciate dalla mente


cotesti segni era

dunque cancellare uno

dei traiti
ci

della fisonomia del poeta.

Ad
il

ogni

modo

vuol

poco a capire che,


opere di

fra

1'

editore che pubblica le

un gran
il

poeta, e

professore che in
del suo allievo,

iscuola corregge
c' e ci

componimento

deve essere una bella differenza. Chi non

sa rispettare cotesta differenza,

manca

al

primo

dovere del critico.

Questo dovere seppe

bene adempirlo Harry


e

Buxton Forman, nella nuova

magnifica edi-

zione critica dell'opere poetiche dello Shelley in

quattro volumi da lui pubblicata nel 1876. Egli


si

propose, e osserv fedelmente

il

suo propo-

sito, di ristabilire in

ogni cosa

la

sincera lezione

del suo autore, rispettandone scrupolosamente le


singolarit di
stile, di

metro, di punteggiatura e

d'ortografa, e adottando per principio di

non emen-

dare nel testo

luoghi dubbiosi,

ma

soltanto pro-

porne

in

nota

la

probabile correzione.

Una

gran
l'edi-

parte delle note critiche che

accompagnano

zione del
chi degli

Forman sono
emendamenti

rivolte a

combattere parec-

introdotti dal Rossetti nella


le

sua edizione del 1870, e nove volte sopra dieci

l6

Litro Primo

ragioni addotte dal

Forman

per rigettare l'emen-

damento

del Rossetti e restituire l'antica lezione

sono convincentissime.
Il

Rossetti, da quel

valentuomo ch'egli

tenne

conto di tutte

le critiche fatte al

suo lavoro, spee nella fatta

cialmente delle molte fatte dal Forman,

ristampa della sua edizione dello Shelley,


nel

1878, ha cancellato
lui

non pochi emendamenti


tali

da

riconosciuti irragionevoli, e introdotto


le

modificazioni, per

quali questa

seconda edi-

zione incomparabilmente migliore della prima;


e
si

pu anche
il

dire

eccellente,

ove

gli

si

meni

buono

principio

(nel

quale rimasto fermo,

ma
gere

applicandolo con pi parsimonia) di correggli

errori di

grammatica

e di

metrica del-

l'autore.

Ci che cresce pregio all'edizione del

Rossetti la bella

Memoria che la

precede, scritta
e

con metodo critic ammirabile,

piena di belie
il

osservazioni. Essa indubitabilmente

migliore,

pi esatto, e pi compiuto lavoro che sia stato


scritto finora sulla vita e le

opere dello Shelley.

II

Gli scrittori,

specialmente

poeti, si

possono

dividere in tre grandi categorie: prima, di quelli


nei quali l'ingegno prevale
all'

arte; seconda, di

Percy Bysshe Shelley

quelli nei quali l'ingegno e l'arte

vanno mira-

bilmente d'accordo;

terza, di quelli nei quali l'arte

superiore all'ingegno.

Tanto per ispiegarmi un

po' meglio, dir ch'io metto nella prima categoria Eschilo,


il

Dante,

lo

Shakespeare; nella seconda


il

Goethe,
il

il

Molire,
il

Leopardi; nella terza

il

Pope,

Racine,

Platen.

Aggiunger che metse-

terei piuttosto nella

prima categoria che nella

conda

il

Byron,

1'

Hugo,

il

Swinburne, bench
arte, e neh'
il

negli ultimi

due

ci sia

molta

Hugo
Heine

anche
e
il

artifizio;

che metterei nella seconda

Browning; che metterei nella terza


il

il

Gau-

tier e

Baudelaire.
sta indubitatamente nella

Lo Shelley

prima ca-

tegoria, ci sta pi e

meglio del Byron, dell'Hugo,

del Swinburne, perch in lui pi che negli altri


le

doti naturali del poeta


dell'artista.

prevalgono

alle

qua-

lit

Io

ho

letto

non so quante

definizioni della poesia,

che

tutte

mi son parse vere, quale pi quale meno,


n dopo ci presumer di
:

ma

tutte imperfette;

dare io la perfetta definizione della poesia


dir che

ma
con-

una

delle qualit pi essenziali del poeta,

forse la pi essenziale, per ci

che spetta

al

tenuto dell'opera sua, un

sentimento largo e

profondo della natura. Quanto sar pi grande


2.

Chiarini.

iS

Libro Pruno

la

simpatia del poeta per

le

cose naturali ani-

mate ed inanimate, tanto

egli sar pi

vero e

grande poeta nella sostanza de'suoi pensieri. Due


altre qualit

pure essenziali del poeta, specialmente

del poeta lirico, sono


idealizzare per via d'

una naturale attitudine

a
i

immagini

sentimenti e

pensieri, e la facolt di trasportare a significati

nuovi
di

le

parole gi in uso, e presentarle per via


e felici combinazioni sotto aspetti nuovi,
il

nuove

condensando

maggior numero
di parole possibile.

di pensieri nel
Il

minor numero

Formati vede

in questo processo, ch'egli

chiama polari^ajione

del linguaggio,
fra

il

pi esatto punto di divisione

la poesia e la prosa.

Noialtri che mettiamo in versi pi o

meno ritmici,
realt
poeti,

pi o

meno

rimati, la brutta e

meschina

della nostra vita presente, noi

non siamo
;

nel vero e nobile senso della parola

noialtri scri-

viamo

della prosa pi o

meno

ritmica, pi o

meno

rimata, e spesso pochissimo ritmica e malissimo


rimata,

ma insomma

niente altro che della prosa.

C'

chi fa de' versi

un

po' meglio sonanti, chi sa


;

girare

un po' meglio un periodo ritmico


versi e strofe,
e ci

ma

son

sempre

non

poesia.

noi ci ap-

plaudiamo
seria,

pavoneggiamo

della nostra

mi-

chiamandoci poeti

realisti.

Pircy Byss/ie Shelley

19

Io

non trovo

fra

moderni un

altro poeta

che

possieda in cosi alto grado


tre qualit

come

lo

Shelley quelle
al poeta.

che ho detto essenziali

Egli

il

pi grande (dico pi

grande, non pi pertutta la natura


ei

fetto) lirico

moderno, perche'
il

ha
in

una voce per

suo cuore, ed

vive

come

perfetta corrispondenza di sensi con tutte le cose

animate ed inanimate;

egli

il

pi gran lirico

moderno, perch

il

meno

realista, perche' cio

spazia pi libero e pi lontano col pensiero fuori

dell'angusta cerchia della nostra vita reale. Questa

che dico, parr una solenne eresia

ai trova-

tori del che' a

nuovo realismo poetico;

ma

la

dico per-

me
una

sempre parsa,

e oggi pi

che mai
tale

pare,

verit; e son convinto che


i

sembra

anche a qualcuno che


van comodo

nostri poeti realisti tro-

e bello mettere nel loro branco.


la

Dico

dunque che

pi

vera e grande poesia quella


le

che sa levarsi pi alto sopra


ture della vita
in

miserie e

le

brut-

reale, quella

che sa trasportarci
se-

un mondo d'immagini nuovo, splendente,

reno, non turbato dal fumo

delle nostre passioni

animali; quella che sa ricrearci, idealizzandolo,


ci che

ha
i

di pi bello ed eroico, in tutti

tempi

e in tutti

luoghi, la storia
il

dell'uomo; quella
le

che sa farci battere

cuore per

idee pi no-

20

Lilro Primo

bili

e grandi; quella

che sa per un

momento

in-

namorarci delle generose


che
pi

illusioni; quella

insomma
non

altamente e nobilmente ideale. Cosifpoesia dello Shelley


:

fatta la

ma

cosiffatta

certa poesia realistica de' nostri giorni; e

molto
si

meno

certa sedicente poesia idealistica che

vor-

rebbe a quella contrapporre. Perch l'ideale ha

da rampollare come onda viva dalla mente del


poeta,

ha da essere qualche cosa che


il

gli

s'

im-

pone,

Dio che

lo agita e lo porta, quasi


gli pare.

suo

malgrado, dove e come

Guai

se

l'

ideale
fra le

qualche cosa di faticosamente accattato


convenzionali e spesso
antinaturali

leggi

della

societ

umana

se si vuol farne

come un' appen-

dice e
di

un puntello

di coleste leggi; se un'ideale


fini; se

opportunit e con secondi


di poeti

insomma

un ideale non

ma

di gente utilitaria!

Me-

glio di cotesto ideale vale ogni brutto realismo.

Ci sono nella vita dei popoli alcuni momenti


ne' quali l'ideale
dell'

rampolla dalle condizioni stesse

umano

consorzio; ed allora la poesia sboccia

come un
e

fiore

spontaneo di

fra
la

il

popolo stesso,
e

ad esser poeti basta avere

mente divina
tempi
le

V os

magna sonaturum; ma
come
i

in

di

avan-

zata civilt

nostri,

quando
il

nazioni han

trovato o stan per trovare

loro quieto vivere

Perry Byssht Shelley

materiale,

quando questo quieto vivere


vita,

il

fine

ultimo della loro


pi.

un

ideale

comune non

c'
la

- Qual' ideale ha, o potrebbe avere oggi


italiana?

nazione

-Ed

allora

sorge

spontanea-

mente, come indizio delle impoetiche condizioni


de'tempi, la poesia realistica; e allora per
rito di reazione
ispi-

qualche

uom

semplice, o specus'

latore (speculatore di borsa,

intende), va cer-

cando

tra

le

vecchie

ciarpe qualche brandello

d' ideale logoro e scolorito, e

ne

fa

uno

straccio
;

di bandiera, e corre agitandola per le vie

e la

gente sensata
sibile altro

gli

ride dietro. Allora

non

pos-

idealismo che l'individuale.

allora

se nasce

un poeta

vero, cio altamente e since-

ramente
a'

idealista, gli

accade quel che accadde

suoi tempi allo Shelley, e gli accadrebbe tanto cio

pi oggi se rinascesse, di passare


pazzo, per

per un

un

visionario.

veramente un poeta

idealista nella societ odierna

non

altro

che un

visionario.

Tutte
attestano

le circostanze

della

vita

dello Shelley

come

in lui la poesia, la visione, l'ideatre parole

lismo (adopero queste

come sinonime,

a significare una cosa sola) fossero, pi che un


bisogno dello
spirito,
il

principale elemento co-

stitutivo dell' essere suo. Egli

non era un uomo

22

Llro

Primo

come
rito;

gli altri;

era, pi che

un uomo, uno

spi-

tanto poco avea di corporeo, di materiale.

Diresti che in lui c'era


tanto, e niente di pi,

d'ossa e di polpe quel

che bastava a dar vita a


ritratto dello Shelley:

uno

spirito.

Guardate un

niente di forte e di virile in quel volto; vi pare


il

volto di un fanciullo, di una giovinetta, di

un

serafino.

Quando

si

pensa che cotesto fanciullo,

a 19 anni, nel 1811, fu cacciato dal collegio di

Oxford come autore


sit

di

uno

scritto sulla neces-

deW ateismo, ci pare di trovarci dinanzi a un impossibile; ma questo fatto che pare impossibile
meglio conoscere
e

giova poi a farci

intendere

l'uomo.

Da quando incominci

a pensare, a

me-

ditare, a studiare, la vita dello Shelley fu tutta nel

mondo

dei suoi pensieri,

un mondo

assai diverso,

anzi diametralmente opposto a quello


gli

nel quale

era toccato di vivere col

corpo.
e del

Ma

egli

si

curava ben poco del suo corpo;


teriale si
i

mondo mae

curava solo tanto, quanto credeva che

suoi pensieri avrebbero potuto


I

mutarlo
i

mi-

gliorarlo.

sentimenti,

desiderii,
forti
Il

bisogni che

generalmente sono pi
in lui

in

tutti gli

uomini,

erano quasi

nulli.

sentimento della pro-

pria conservazione,, tanto potente in tutti gli ani-

mali, era in lui cosi debole, ch'e'si metteva con

Pecry Bysshe

Shelley

23

la

massima
vita,

indifferenza nel

pericolo di perdere
I

la

senza farne caso, senza pensarci.

biso-

gni del corpo lo

moveano

si

poco, che quando


si

era

occupato a leggere o a scrivere, spesso


;

dimenticava di mangiare

mangiava sempre
si

pochissimo, e raramente nella stessa ora; n

cibava quasi d' altro che di pane, n altro be-

veva che acqua o


pranzo rispose
nato? Il
:

latte.

Una

volta chiamato a
gi desi-

Come! non abbiamo

denaro, che nella societ moderna rap-

presenta tanta parte dei beni della vita, per lui

non avea quasi

valore: o ne avea solo

quanto

poteva piacere o giovare agli amici suoi.


rioso ci che racconta in questo proposito

E
il

cu-

Tre-

lawny.

Un giorno,

entrando nella libreria del poeta

(a Pisa), egli lo trov

che stava sciogliendo un

sacchetto di scudi che aveva portato da Livorno.


Sciolto
il

sacchetto, lo Shelley lo rovesci sul

tappeto del

cammino

si

diede a raccogliere insi

sieme con

la paletta le

monete, che

erano spar-

pagliate; poi fattone

un mucchio

lo

prem

col

piede, per ispianarlo, e diviselo con la paletta in

due

parti

approssimativamente eguali; divise poi

una

di queste in

due porzioni pi piccole pure


:

eguali, e disse alla moglie

-Quella met servir

per

bisogni di casa e per la pigione -, e accen-

24

Libro

Primo

nando

le

due porzioni pi piccole: - Questa, sog-

giunse, sar per voi, quest' altra per

parl sottovoce alla moglie, in

me -; indi modo che il Treseppe poi dalla


(inli

lawny non potesse udire


signora che
il

ma

egli

marito

le

avea detto: - Questi


avea tenuti per

tendendo dei denari

che

se')

dar

al

povero

Tom

Medwin, che ha bisogno

di

andare a Napoli e non ha quattrini.


L'affezione dell'uomo per gli animali una

cosa
cie
il

tutf altro

che rara:
figli

le

persone

in

ispe-

che non han

concentrano spesso tutto

loro affetto in

qualche animale;

ma

tali affetti

son quasi sempre molto egoistici; chi


uccelli,
lo fa
li

tiene chiusi in gabbia

chi

ama gli ama un cane,


s'

schiavo di s e della catena. Anche

in-

tende

come

agli

animi

gentili ripugni
le bestie.

il

vedere

uccidere e maltrattare

Ma
il

la

simpatia
or-

onde

lo Shelley
l'

abbracciava tutto

mondo
sulla

ganico e

inorganico era qualche cosa di molto


ci.

diverso da tutto

Bene

a ragione

sua

tomba
egli fu
terra.

fu scritto -

Cor cordium-; bene a ragione


il

chiamato
la

poeta panteista
lui,

dell' Inghil-

Tutta

natura viveva per

ed egli sen-

tiva la vita sua congiunta

da legame strettissimo

con quella della universa natura.

La

ragione, la

Pcrcy Bysshe Shelley

25

giustizia, la

libert,

F amore, intesi nel loro

si-

gnificato pi alto e pi largo, senza nessuna delle


ipocrite ed egoistiche
restrizioni

umane, gover-

navano
in

il

mondo

ideale nel quale egli cosi viveva


di fratello e

rapporto

come

d'amico con

tutti

gli altri esseri.

quando, da cotesto
occhi sul

mondo
reale,

ideale

abbassando

gli

mondo

vedeva

regnare in questo l'errore, l'ingiustizia, la schiavit,


1'

egoismo, se ne sdegnava e se ne addoloi

rava

profondamente. Quali
tali le

pensieri e
ai

senti-

menti del poeta,

opere sue; che

pi be-

nevoli parvero e dovevano parere quelle di

un

pazzo.

Le
si

poesie e la vita

dello Shelley s'illudella

strano e

compiono a vicenda. L'apostolo

ragione, della giustizia, della libert, dell'amore,

era necessariamente
oppressioni,
gli oppressi.

un

ribelle contro
e
il

tutte

le

era
Il

l'amico

difensore di tutti
lo spinge a spofiglia di

sentimento che

sare

diciannove anni una giovinetta

un

oste,

che egli forse non amava, che forse per

educazione, per carattere, per sentimenti discor-

dava molto
sottrarla

da

lui,

eh' egli

sposa soltanto per


quel

ad una sognata tirannide paterna,


quale hanno origine
la la

medesimo dal

Queen

Mah,

il

Prometheus unbound,

Beatrice Cenci,

26

Libro

Primo

T Epipsj'chidion.
lista

Il

poeta

come
;

si

vede, idea-

anche nella vita pratica

tutto al contrario

dei saggi idealisti de' nostri giorni.

Se

lo

Shelley fosse sorto quando la letteratura

della nazione era per nascere o ne' primi periodi


di

formazione e di svolgimento,
io credo, a quella

la

fama
dello

di lui

non cederebbe,
speare.

Shake-

Un

gran po^ta (dico veramente grande,


si

cio di potente e indomabile originalit)


in condizioni

trova

molto pi favorevoli
e
la

al

suo ingegno

quando

la

lingua

letteratura

sono ancora
;

nell'infanzia, che

quando sono

gi adulte

moltis-

simo pi favorevoli, che quando hanno gi toccata o passata la maturit.

Perch

le

forme di

una

lingua
si

nascente, essendo ancora incerte e

fluttuanti,

prestano docilissime ad ogni


fantasia
e

esi-

genza della
quasi

del

pensiero,

prendono
dia

spontanee

qualunque atteggiamento
il

loro lo scrittore;

quale pu perci

muoversi
,

in quelle liberissimamente, senza

inciampo

ve-

runo.

Ma
si

quando

l'

opera di uno o pi grandi


la

scrittori passata

sopra

lingua e

le

forme

di

essa

son

venute determinando

e fissando, lo
li-

scrittore che sorge

da poi non ha pi quella

bert

deve
e

conoscere esattamente tutte quelle

forme

per minuta ed attenta analisi essersi reso

Fercy Bysshe Shelley

27

piena ragione di esse


teraria rispettarle
pi atto

deve

nell'

opera sua

let-

scrupolosamente. Al che fare


d'artista,
il

un ingegno

che

un inge-

gno veramente
gnoso
di freni
;

creatore;

quale sempre sde-

nel quale le facolt dell' analisi e

della riflessione son


e soggiogate dalla

sempre

deboli, o

almeno

vinte

potenza creatrice.

Le

qualit che

formano

la

grandezza straor-

dinaria dell' ingegno dello Shelley son quelle

me-

desime da cui derivano

suoi difetti di scrittore.


si

La sua potente
del suo ingegno

originalit

lascia

poco o nulla
poetica

modificare dall'opera altrui; l'intensit


si

lascia

poco o nulla regolare

neh' atto creativo dai freni dell' arte.

Egli
libri;

pi che

un

lettore,

un divoratore

di

la

sua sete di sapere sempre insaziata ed

insaziabile:

ma

le

grandi opere

poetiche ch'ei

pi legge ed ammira, per quanto grande impressione facciano nella sua mente,

non han

virt di

scemarne

l'

originalit.

tragici greci, e fra questi


;

Eschilo, sono gli scrittori suoi prediletti

e sono

anche quelli dei quali tu senti una qualche influenza nelle opere sue:

ma
il

questa influenza non


carattere proprio del-

ha minimamente alterato
l'

ingegno del poeta, e

le

tracce di essa indicano

pi una parentela d'ingegni che una soggezione

28

Libro

Primo

del

moderno
i

agli antichi.

Fra
lo

poeti suoi con-

temporanei
erano
il

due che pi
e
il

Shelley

ammirava

Byron

Keats.

Ma

nell'opera lette-

raria dello Shelley tu

non

senti

nessuna influenza

del Byron;

non

ce la senti, o leggerissima e quasi

impercettibile, del Keats:

mentre

nell'

opera del

Byron l'influenza dell'ingegno shelleiano


tentissima.
Il

pa-

che parmi

documento

singolare

della potente originalit e della sincerit dell' in-

gegno

dello Shelley, originalit superiore

anche

a quella del Byron. Perche' (rammentiamoci) lo

Shelley ed
del

il

Keats erano ignoti, mentre


il

l'

autore

Quid Harold empiva


Il

mondo

della sua

fama.

Keats, altamente

ammirato

dallo Shelley,

e spregiato e schernito

indegnamente dal Byron,

taceva dello Shelley poca stima, e non ne senti


perci
I
l'

influenza.

difetti dello

Shelley

si

riducono, secondo me,

a due: poca sobriet nella composizione, e talora

poca determinatezza di pensiero e


l'atto del

di frase. Nelil

comporre,
i

egli

lascia libero
le

freno

alla fantasia;

pensieri e

immagini

si

succeverti-

dono con una rapidit prodigiosa,


ginosa.
altro
si

talora

Quando
dire,

ti

pare che

il

poeta non abbia


quello che

da

che abbia detto tutto

poteva per dipingerti una persona, per descri-

Pcrcy

Bjiss/ie Shelley

29

verti

un oggetto o un fenomeno, per lumeggiare


t'

un
egli

pensiero, tu seguiti a leggere e

accorgi che

ha appena incominciato. Nel poemetto Epi-

psychidion, versi indirizzati alla nobile e sfortunata giovine Emilia Viviani, rinchiusa dal padre
nel

Convento

di S.

Anna

a Pisa, egli,

dopo averla

chiamata gentile

spirito,

povero augello pri-

gioniero, mio adorato usignolo, alto cuore spi-

ritalmente alato,
del cielo, che
essere cosa

cosi

prosegue:
la

serafino

non puoi per

troppa gentilezza
sotto

umana, che nascondi


di

quella
di luce,

radiante forma

donna

tutto ci
te

che

d'amore,

d'

immortalit in

non sopportabile!
!

dolce benedizione nella eterna maledizione


lata gloria di
fra
le

ve-

questo tenebroso universo! tu luna


tu stella ne la tempesta tu
!

nubi

tu

mera-

viglia, tu belt, tu terrore!

armonia

dell'arte

di natura! tu specchio in cui,

come

nello splen-

dore del sole,

si

riflettono gloriose tutte le


il

forme

sulle quali tu fissi

tuo sguardo!
il

qui creder forse

lettore

che

basti.

Niente

affatto:
nia.

pochi

versi pi gi ricomincia la lita-

Non

sei tu

scevra di malizia
la

un'anima
benedisegreta
e

amante formata per


zione?

tua

l'altrui

una fontana

di suggellata

felicit, le

cui acque sono

come gioconda

luce

30

Libro

Primo

e musica, vincenti la dissonanza e


stella

l'ombra?

che

unica non
sorriso in
fra rozze

si

muove
a

nel moventesi
cipigli?

cielo?
gentil

mezzo
voci?

duri

suono

ben amata luce?


liuto dal quale

solitudine, rifugio, diletto

coloro cui

amore ha insegnato

a toccarlo tragil

gono armonie buone a rasserenare

giorno pi

procelloso e ad addormentare un profondo dolore?


-

sepolto tesoro?
non alato
di

culla di giovani pen-

sieri di

piacere"?

tomba

di affanni

sparsa

viole?

neppur qui

basta al

poeta

ma

basta, e n' avanza,

crediamo, a noi

per mostrare quale miniera inesauribile di poetiche

immagini
male,

fosse la

mente

dell'autore.
dalle

Ho
si

detto

miniera; poich'
i

miniere

traggono fuori faticosamente


dello

metalli: la

mente

Shelley

piuttosto

un vulcano, che apgit-

pena commosso interiormente incomincia a


tare fuori
la

materia poetica,

non

s'

arresta

finche' ce n'.

Anche

nel brevissimo
le

esempio da

me

citato

il

lettore

vede come
1'

immagini ram-

pollino, per cosi dire,

una

dall'altra, e s'inde' razzi in

treccino e
finale di
ci

si

confondano, a

modo
Il

un

fuochi d'artifizio.

qual fenomeno, se

fa

sempre restare ammirati, abbaglia spesso


lettore anzi che produrre

la

mente del

quella

Percy Bysshc Shelley

31

riposata e serena impressione che viene solo da

una bellezza artisticamente

perfetta.
il

Nota Matteo Arnold che per


la

nostro poeta
il

parola

pi
e

un elemento musicale, che


determinato dell'idea.

segno chiaro

E un

fatto

che non rare volte nella poesia dello Shelley tu


vedi
i

concetti e le
t'

immagini come ravvolti

in

una nebbia che


tamente
i

impedisce di scorgerne distin-

contorni;

un

fatto

che qualche rara


ti

volta quella nebbia tanto densa, che

bisogna

piuttosto indovinare ci che


dire,

1'

autore ha voluto
le

che tu noi vegga nettamente attraverso

sue parole;
ley
ti

un
F

fatto

che

la poesia dello

Shel-

fa talora

effetto della

musica, suscita cio


e pensieri, anzi che

nella tua

mente sentimenti
bene
Il

presentarli ad essa
ficio

delineati,

come

1'

uf-

della

parola.

che, se per
di

una parte

vizio,

non manca talora

produrre un grande

effetto poetico.
sta,

L'osservazione dell'Arnold giuintenda con una certa discrezione


;

purch

s'

perch non bisogna


le

credere che per lo Shelley


il

parole non avessero altro valore che

mu-

sicale,

o eh' egli per troppo esagerare questo va-

lore

secondario, tenesse poco o niun conto del

principale;

non bisogna credere ch'egli non


il

co-

noscesse, o conoscesse pochissimo,

valor vero

Libro Primo

dei vocaboli nella sua lingua.

La poca determi-

natezza di espressione che talora incontrasi nelle


poesie dello Shelley, e pi particolarmente nelle
riche, strettamente
li-

collegata

colla natura deldissi,

l'ingegno di

lui,

deriva cio,

come
cosi

da quelle

qualit stesse

che lo fanno

grande poeta.
che solo

Egli usa

le

parole

con quella

libert

pu prendersi impunemente chi


una lingua

scrive

quando
egli nel

ancora nelle sue origini;

calor del comporre non ha


trattenersi a vagliare
i

tempo
I

e pazienza da

vocaboli.

pensieri e le

immagini non
via di

si

formano

nella sua

mente per

una

lenta e faticosa elaborazione,


cosi

ma

vi

balzano,

per

dire,

belle e fatte; e
alla

quelle

forme nelle quali prima appariscono


in quelle

mente

medesime

il

poeta

le fissa

con

la scrit-

tura, senza curarsi di vedere se ci che chia-

rissimo a

lui,

sar ugualmente chiaro al lettore.

Che una

parola o

una

frase abbia, o

non abbia,

neh' uso degli scrittori e del parlare


certo significato, egli

comune un

non

se

ne d pensiero pi

che tanto
e basta.

a lui pare che possa e


ci,

debba averlo,

A
i

credo

io col S.

Baynes, debbono

attribuirsi certe forme, certe espressioni intorno


alle quali
critici
si

sono tanto

affaticati

a ci

Percy Bysshe Shelley

33

quelle

imprecisioni che a torto

il

Rossetti

si

creduto in dovere di correggere.

Ili

Bench

la

fama dello Shelley

sia oggi

tanto

grande nella sua patria, dove

critici e

poeti lo

mettono terzo
essa

collo

Shakespeare e col Milton,


gli

ben lontana dal raggiungere presso


Byron.
,

stranieri la popolarit del

Ed anche
intende

in

Inghilterra lo Shelley

non

nel vero senso della


s'

parola,

popolare; e facilmente
essere. Egli

come
Byron,

non possa
diatissimo,

ammiratissimo e stu-

ammirato

e studiato pi del

ma
e'

solo dalla eletta schiera degli amatori e culvera, della grande poesia.

tori della

Mentre non

opera del

Byron che non abbia


Italia,

in

Germania,
le

in

Francia, in
di

pi traduzioni, e

tradue si

zioni

alcune

opere

sono innumerevoli
lo

ristampano continuamente,

Shelley fuori d'In-

ghilterra conosciuto a pochissimi.


cesi

Che
1'

fran-

ne abbiano una

traduzione io

ho

sentito

dire; stato

ma

per quanto l'abbia cercata, non sono


trovarla. In

buono a
i844

Germania

fu pubblidelle

cata nel
3.

una

traduzione completa

Chiarini.

34

Libro

Primo

poesie dello

Shelley fatta da Julius Seybt

ma

ella incontr cosi

poco

il

favore del pubblico, che


:

oggi

quasi dimenticata

altri

tradussero poi

delle poesie staccate; e finalmente

Adolf Strodt-

mann una
comprese
il

scelta di poesie (i), nella quale

non

Prometeo; che

fu pi tardi, nel 1876,


(2). D'altre tra-

tradotto da Albrecht

Wickenburg
so;

duzioni tedesclu non


dello

credo che queste

Strodtmann

e del

Wickenburg, che mi pa-

iono pregevoli
dalla mirabile
leiani,

per

fedelt,

ma

spesso lontane

armonia ed

agilit dei versi shel-

abbiano bastato a rendere molto generale


la

in

Germania

conoscenza

delle

poesie

dello

Shelley.

La prima traduzione

italiana delle poesie dello


1

Shelley fu pubblicata nel

858 a Milano presso


titolo
:

Lorenzo Sonzogno con questo


tiche scelte di

Opere poe-

Percy Bysshe

Shellej- volte dalil

l'inglese da
la

G.

A.; e comprende
il

Prometeo,

Beatrice Cenci, l'Eliade,

Giuliano e
liriche.

Mad-

dalo,

YAlastor e alcune poche

Questa

(1)

Percy Bysshe Shelley, Ausgcwhlie, Dichtungen,

Deutsch von Adolf Strodtmann, Hildburghausen, 1866.


(2)

Dcr

entfosseltc

Promelheus, Lyrisches

Drama

in vier

Acten von Percy Bysshe Shelley, Deutsch von Albrecht


Graf Wickenburg, Wien, 1876.

Pircy Bysshe Shelley

35

traduzione, bench ottenesse


rini,

le

lodi del

Came-

critico

molto gentile

benevolo, e facile a

lodare molte cose mediocri e

men

che mediocri,

non

tale

davvero

che

possa dare, a chi non


dello Shelley. Se
nell'

sa l'inglese,

una giusta idea


qualche cosa

io dovessi lodar

autore di essa,

non saprei lodare


di
far

altro che la
il

buona intenzione
grande
la lirico in-

conoscere agl'Italiani

glese.

La

poesia,

specialmente

lirica,

e pi

specialmente

l'inglese,

molto

diffcile

a tra-

durre da una

lingua in un' altra, in particolar


nell' italiana
,
;

modo
rattere

dall' inglese

e difficilissima

sopra tutta a tradurre

per
di

il

suo speciale case-

che

io

ho tentato

adombrare nel

condo capitolo
Shelley.
Io

di questo scritto, la poesia dello

non dico che un traduttore debba, per poopera sua, avere


l'

ter riuscire nell'

ingegno me-

desimo dell'autore che traduce. Troppo sarebbe!

Ma

certe qualit

deve averle:

se

no, guai!

Deve

intendere perfettamente
sentirne

l'autore che traduce, e


le

profondamente

qualit

artistiche

deve avere una certa


immagini, a ripensare
pia

facilit a
i

rappresentarsi

le

pensieri di lui nelle forme

corrispondenti e
deve,
se

pi naturali

del

proprio

linguaggio;

traduce

un

poeta, avere

36

Libro Primo

l'orecchio temprato a sentirne

\i

armonie e

ri-

produrle; deve finalmente

conoscere la propria
il

lingua e maneggiarla con sicurezza. Se


traduttore
italiano

primo

dello

Shelley

possedesse la

prima
dirlo;

di queste quattro qualit, io

non saprei

ma mi
l'

piace crederlo, bench' egli talvolta


originale
:

non intenda
tre gli
letta

certo per

che

le altre

facevano
sono

difetto.
la

Onde, quando
traduzione,

io

ebbi

anni

sua

mi persuasi
era

che

una traduzione

italiana dello Shelley

cosa che rimaneva ancora da tentare.

Quando
sato
del signor
rallegrai

poi negli ultimi mesi dell' anno pasnotizia della

mi giunse

nuova traduzione
Forio,

Erasmo Di Lustro da
stesso,
si

me

ne
il

meco

niente
fosse

dubitando che
all'

nuovo traduttore

messo

opera con
il

maggiori forze del primo.


bro, e cominciai

E mi
a

procacciai

li-

subito

leggerlo

con quella

impazienza

che

provo sempre per ogni libro


Cominciai a leggerlo,
e

nuovo
vai...

e desiderato.

tro-

di

quel che trovai non ne parliamo.


al si-

Anzi parliamone, per dare un consiglio


gnor Di Lustro. Chi sa! pu essere che
abbia ancora
libro, e
la

egli

voglia di stampare qualche altro

pu

essere che,
:

bench

scrittore, sia

un

uomo

ragionevole

le

quali due cose accadendo,

Pcrcy Bysshe Shelley

37

pu anche

essere che le dure parole che


il

dobbiamo

dire del suo lavoro e

consiglio che vogliamo


lui,

dargli siano per tornare utili a

alla

repub-

blica letteraria, e a quei disgraziati, che hanno,

come me,

la

debolezza di comprare

libri

nuovi.

Lo vedo anch'io
si

che a questa disgrazia non


ella

pu trovare rimedio; ma
i

pure una gran


le

disgrazia che

libri

nuovi siano come

noci.

Se tu compri
bile,

un

quadro, una statua, un


di
fichi,

mocesti

un

vestito,
;

un paniere

due

d'insalata

tu

li

guardi prima ben bene di sopra e

di sotto e d' ogni lato, per vedere se son buoni,


se
ti

piacciono, se
li

ti

convengono; e solamente
li

quando
li

hai esaminati a tuo agio,

prendi e

paghi:

ma
se,

se

compri un sacco di

noci, tu hai

un

bel guardare;

non vedi mica quel che c'


te le sei portate a

dentro.

quando

casa e

incominci

schiacciarle, trovi

che

la
la

prima
la

bacata, la seconda bacata, e cosi

quarta

quinta e tutte

le

altre
',

fin

che
ti

il

sacco non

vuotato, non vero, di

che

sentiresti

una gran

voglia di correre dal contadino che te le ha vendute, pigliarlo pel collo e dirgli
quattrini eh' io
t'
:

qua, fuori
i

ho sborsato, e

ripigliati

gusci?
il

Ma

cosi

operando

saresti ingiusto; e
:

con-

tadino

potrebbe

risponderti

che

le

ho

38

Libro Primo

fatte io le noci?

o forse c'ero dentro?


le

La vada

a rifarsela
sta

coli'

albero che

ha prodotte.

Quedi
ri-

considerazione filosofica
al libraio
il

mi impedi

mandare

libro del signor


i

Erasmo

Di Lustro,

e richiedergli
il

miei denari.

Evidentemente
sce dello

signor Di Lustro non cono-

Shelley e intorno allo Shelley che la

Scelta di poesie pubblicata nella collezione


chnitz, e ci che del poeta inglese

Tauscritto

hanno

Matilde Blind nella bella


quella Scelt.i, e
il

Memoria che precede


libro

Brandes nel suo

Haupt-

stromungen der Lteratur des neun\ehnten Jahrmnderts.

questo veramente per un traduttore

dello Shelley nell'anno di grazia 1878

veramente
fargli

troppo poco.

Ma

noi

non vogliamo
altri

rim-

provero

di ci: che'

ben

rimproveri abbiamo

da
gli

fargli

per ragioni molto pi gravi.

E neanche
vedere

rimprovereremo
noi,

di aver trascurato quello che,


scrittore, di

secondo

dovere di ogni

cio quel ch'altri

ha

fatto

prima
la

di lui nel

campo

ov' egli

vuole

esercitare

sua operosit. Noi

rimprovereremo puramente
:

semplicemente

al si-

gnor Di Lustro due cose prima, di essersi messo a


tradurre
lirici
il

pi difficile e

il

pi armonioso dei poeti


la

inglesi,

senza

sapere

lingua

italiana,
il

senza avere l'orecchio temprato a sentire

suono

Percy Bysshe

Shelley

39

del verso, e senza sapere

d'inglese

quanto

bi-

sognava a intendere

lo Shelley; seconda, d'aver

sa echeggiato, infiorandola di errori, la bella

Me-

moria della Blind

e di
il

avere saccheggiato, non

sempre

intendendolo,

Brandes; senza

citare

quasi mai n l'ima n l'altro. Cio, una volta


cita la Blind, e tre, se

non

erro,

il

Brandes.
fa della

La

citazione che
:

il

signor

Di Lustro

Blind questa

parlando di Mary Godwin,


egli scrive
fin
:

la

seconda moglie dello Shelley,

Im-

bevuta da principii indipendenti,


zia,

dall' infan-

usa a riguardare
formalit

il

matrimonio, come una

semplice

od una cerimonia, che, se-

condo

la

espressione di Matilde Blind, non avrebbe

santificato l'unione di

due

esseri che

si

amavano
pa-

davvero, ecc.
rola che lasci

Ed

oltre

ci

nemmeno una
che
le

supporre

al lettore

notizie

che

il

signor Di Lustro

della vita
alla

dello

Shelley nel discorso

premesso

sua tradu-

zione, sono tutte cavate di pianta

dalla

Memoria

della Blind.

E non
Blind,

solamente

le

notizie.

Per esempio
predilette

la

parlando

delle

letture

dello

Shelley nel tempo che egli


di Oxford, scrive: Locke,

era alla Universit

Hume,
with

the

French
as

Encyclopaedists,

together

Plato,

yet

40

Libro Pruno

chiefly

known from
in nota:

Dacier's translation, formed

some of the works most eagerly perused.


giunge

agto

French author who seems

have influenced Shelley a good deal was Volney,

whose famous Ruines appear


a great effect
in

to

have produced
lines

upon him. The celebrated

Qiieen

Mah
From an
Ij

eternity of idleness

God, awoke

are almost a literal translation of - Dieu, aprs

avoir passe
enfin
le

une

ternit

sans
le

rien

faire,

prit

dessin

de

produire

monde.
gli

il

signor Di Lustro:
disti,

Locke, Hume,

Enciclope-

Platone (voltato dal Dacier) ne fanno l'ocle

cupazione ordinaria. Volney con


influisce sull'anima di lui.
Il

sue Ruine

passo della Queen

Mah
From an
T,

eternity of idleness

God, awoke

una succosa traduzione


etc.

del

le

Dieu aprs
parole del
si-

avoir

Non

vero

che

gnor Di Lustro paiono una succosa traduzione


di quelle della

Blind

C',

vero,

in

questo

luogo una citazione a pie di pagina nel libro

Percy Bysshe

Shelley

41

del signor Di
dice soltanto:

Lustro; ma, ahim,

la

citazione
123.

Les ruines, chap. XVI, pag


del Brandes
si

Le
gine

citazioni
xii,

trovano

pa-

xxviii e xxx del discorso del signor Di


ri_

Lustro, e sono citazioni di tre passi che egli

porta tradotti, con qualche errore, dall'opera del


critico

danese.

Ma

niuna citazione

si

trova a

pag. xxv, xxvi, xxvii ed altrove, dov'egli ripete

non bene

le

osservazioni del Brandes.


il

Lasciamo queste miserie. Pu parer duro


rimprovero da

me

fatto al signor

Di Lustro; per

mostrare ch'esso meritato,


fare altro

io

non
il

avrei da
libro.

che riportare qui tutto essendo


possibile,

suo

Questo

non

mi

limiter

qualche esempio. Intendiamoci: non eh' io abbia


vuotato
il

sacco e schiacciato
resistito)
;

tutte le noci (la

mia pazienza non ha

ma

ne ho schiac-

ciate quindici, venti, trenta, cercandole pi e pi l; e

qua

non ne ho trovata una mangiabile.

Per esempio, ad uno che scrive un discorso


sullo Shelley

non

lecito ignorare certe circo-

stanze

capitalissime

nella

vita di lui;
altrui

ad uno
lecito

che compila da

un lavoro

non

cadere in errori madornali, che in quel lavoro

non sono. La Blind


Bysshe
in

scrive:

The

death of

sir

January 181 5 materially improved the

4-

Libro Primo

poet's prospects; his father finding

it

prudent

to

make

him,

as

he was next

heir to the estate


it

and might have encumbered


allowance of L. tooo a year.
stro,

with debts,
Jl

an

signor Di Luparole,
e

avendo sotto

gli

occhi queste
Sir

avendo gi detto che


poeta, e che

il

Bysshe era l'avo del

padre
:

si

chiamava Sir Timothy,


differenza di quelli che
(la

capace di scrivere
in povert,

nascono

la

sua
il

povert del poeta)

non dura lungamente,


ed egli entra

che'

padre muore nel i8i5

in possesso di

una

rendita di oltre
dello Shelley,
le
il

a mille sterline.

Uno

studioso

anche senza

avere

sott'

occhio

parole della

Blind, avrebbe dovuto sapere che

padre del poeta

mori soltanto nel


confondere
la

i844;
del

non avrebbe dovuto

morte

nonno con quella

del

padre; non avrebbe dovuto confondere l'assegno


di

mille

sterline

col

patrimonio

avito.

Errori

grossolani
di

come

questi sono indizio

non soltanto

poco sapere,

ma

anche

di

nessuna accura-

tezza nel lavorare.


Il

Prometheus itnbound comincia

cosi:

Proe
si

meteo.
di

monarca

degli Dei

dei
di

Demoni,
uno, che

tutti gli spiriti,

ad eccezione

accalcano su quei lucidi e roteanti


tu ed io soli tra le cose viventi

mondi che

guardiamo con

Percy Bysshe Shelley

43

occhio sempre desto!

ecc.

Il

signor Di Lustro

ha

l'abilit di tradurre:

Unico

sol di

demoni

e di

numi

di spirti

monarca

abitatori

Di purissime

sfere roteanti

cose,

Che noi, fra tutte -- Tu solo ed io


S'egli avesse soltanto

le viventi

fissiam con occhio insonne.


consultato
la

non

bella

traduzione

del

primo traduttore, non avrebbe


il

sbagliato cosi grossolanamente

senso.

Segui-

tiamo, e troveremo di peggio.

sempre

Pro-

metea che parla a Giove,


del signor

il

Prometeo, s'intende,

Di Lustro:

di me, tuo uemico,

Del misero mio stato e della mia

Vendetta inane, a tuo disdoro, hai


Conquista
e

fatto

regno.

Che
non

cos'
e'

questa

roba? dir

il

lettore;

qui

senso. Il

Prometeo

dello

Shelley dice

invece, molto

sensatamente:
nell'

E me che sono
la

tuo nemico, tu cieco


fatto

odio hai, con tuo scorno,

regnare sopra la mia propria miseria e

tua vana vendetta.

Seguitiamo ancora.

Il

Pro-

meteo del signor Di Lustro dice:


Onnipotente

io

mi degnai

lo

scorno

Di tua malvagia tirannia patire

Non fur

sospeso alla

montagna nera,

ecc.

44

Libro

Primo

quello dello Shelley:

Onnipotente, se
la

io

mi

fossi

degnato partecipare

vergogna della tua

malvagia tirannia, non penderei ora qui inchiodato a questa rupe,

ecc. In questo luogo


al

pur

troppo non avrebbe giovato


consultare
il

signor Di Lustro

primo traduttore, che qui sbaglia

anche

lui

il

senso,

ma almeno non
al

sbaglia

tanto

grossolanamente.

Rimproverando
a

Di Lustro

d'essersi
l'

messo
inglese

tradurre

lo

Shelley senza sapere


io

quanto bisognava,

sono stato

troppo indul-

gente: dovevo dire assolutamente


T inglese;

senza sapere

perch qualunque mediocre conoscii

tore di questa lingua avrebbe saputo tradurre


tre

luoghi da lui frantesi, dove

l'intendere didi

pende soltanto da conoscenza

forme gram-

maticali comunissime; e questi tre luoghi sono


nei primi soli diciotto versi del

Prometeo.
esempi
il

Quanto a me,

ce n' d'avanzo negli

recati a mostrare che razza di traduttore sia

signor Di Lustro;

ma
a

perche' altri potrebbe avere

opinione

diversa,

rechiamone
caso fra

ancora qualcun
i

altro; e pigliamolo

molti da

me

segnati leggendo nel libro.


della
io gi

Ecco qui due


di cui

strofe

stupenda ode

La Nuvola,

tentai

una traduzione,

e che stata

poi ritra-

Pcrcy Bysshe Shelley

45

dotta, pi

liberamente e pi felicemente

dallo

Zanella.
Si

rammenta

il

lettore di que' versi

famosi in

un

almanacco del Fanflilla di alcuni anni fa?


Fosti

Umberto esposto

al sole,

alla lun potevi stare,

Senza mai dover tremare,


Perch
il

tuo coraggio gran.

Abbiamo

nel signor Di Lustro

un imitatore

sul

serio di questi versi; egli scrive:


Il

tron del sole in aurea fascia io lego

e pochi versi pi gi, in

scambiando un aggettivo

un

sostantivo, traduce le parole:

Over a

tor-

rent sea (che vo-dion dire, sopra un

mare im-

petuoso, tempestoso), sul torrente del mare.


Io tradussi
i

primi quattro versi dell'ultima


a questo

strofa della

Nuvola quasi letteralmente

modo

De

la terra e

dell'onda io son la
al ciel cara,

figlia,

Grandemente

Passo del mar

fra

pori,

ognor mutabile,

Sempre

di

morte ignara.

dove quel secondo verso prosaico, pesante e

non esattissimo; perch


the nursling

l'inglese, agilissimo,
(la

ha
be-

qf

the

sky

prediletta,

il

46

Libro

Primo

marnino

del

cielo).

Il

signor

Di Lustro ha

il

coraggio civile di tradurre cosi:


Dell' acqua
e della terra

son la suora,

Del

cielo la nutrice,
1'

Traverso

oceano ed ogni gora,


si

Morir non mi

addice.

Trasformare una

figlia,

daughter,

in
i

sorella;

un

barrlbino, nursling, in

una balia;
in

pori del
e tutto

mare, the
questo

pores qf ocean,
quattro

una gora,
di

in soli

versi

una

delle
i

pi

belle liriche dello Shelley, passa

davvero

limiti
di

del

credibile.

Ci dispiace che nel secondo


anche
lo Zanella,

questi errori sia caduto

scam-

biando nursling con nurse, senza accorgersi che


la

nuvola nutrice del cielo

una cosa che non

vuol dir niente.

Voltiamo qualche pagina. Nell'ode La ricordanza,


il

poeta,

lamentando

la fine di

una cara
ha camsulla
bella-

giornata d'amore, dice:


biato
la

Ora

la terra

sua

faccia,

un
il

cipiglio

appare

fronte del cielo.

signor Di Lustro

mente:
La
Il

terra

in iscompiglio,
il

cielo aggrotta
si

ciglio.

Poi, seguitando,

parla di una foresta, che con


lo Shelley dice orlata dalla

pittoresca

immagine

Percy Bysshe Shelley

47

spuma
mette

del

mare:

il

signor di Lustro
la

si

per-

Ji orlare

invece
:

spuma

del

mare

cogli

alberi della foresta

Noi vagavam

fra gli

alberi

Ch' orlan del mar la spuma.

S'

immagini ora
siffatte

il

lettore

come un uomo che


un uomo che per
mutare
in

perpetra

traduzioni;
di

amor

della

rima capace
di
si

bruma

una tempesta,
che lo Shelley

far

guaire l'onde del mare,

era contentato di far susurrare

(whisper), che, sempre per

amor

della rima,
ci

capace di aggiungere un ahi lasso! dove non

ha niente che
instead

fare, di tradurre le parole

smile

(sorridete

invece) con
e

il

cupo affanno

vi affrettate
tate forte)

ad acquetar,
il

wail aloud (lamen-

con sacro

duolo; che capace,


benedetta rima, di

sempre per amore

di quella

mutare
far

il

bianco inverno in verno immoto, e di


la culla di
si

portar via dal vento


il

un bambino,

che
tare,

vento pi discreto
(stir

contentava di agiil

and

sway);
siffatto

s'immagini

lettore,

come un uomo

debba aver conciato,

tra-

ducendola, quella divina ode All'allodola, che

quanto di pi gentile

delicato
la

in

suoni
poesia.

ed immagini abbia l'antica e

moderna

Libro Primo

Io

non ho

il

coraggio di affrontare questo dolo-

roso argomento: e

nemmeno

di

andare avanti.

Finiamola dunque, e diamo


il

al signor

Di Lustro

consiglio

che

gli

abbiamo promesso. Diamo;

glielo,

ce n' davvero bisogno

poich qualche

critico (la critica in

Italia si fa cosi)

ha avuto

il

coraggio di parlare con lode della traduzione del


signor Di Lustro,

ha avuto

il

coraggio di dire
il

presso a poco questo, che

cio

modo

di tra-

durre del signor


poeta

Di Lustro era adattato per un


il

come
si

lo Shelley: e

critico-

che ha detto

questo,

firmava, se ben ricordo, Asper. Chi sa


!

a quali opere riserbi questo critico la sua asprezza


Il

signor Di Lustro

ci fa

sapere che incominci

per passatempo la sua traduzione, che la prosegui

per insistenza

d'amici,

che l'ha pubblicata


dice che
dolente di

per loro impulso.

Anche

aver condisceso a questo impulso. Noi, che par-

tecipiamo vivamente al suo dolore, diremo che

non

ci

voleva poi molto a non


:

condiscendere.

Ecco dunque

se

il

signor Di Lustro ha pro-

priamente voglia

di regalare all' Italia

una

tra-

duzione dello Shelley (poich quella che ha fatto

dobbiamo, per onor suo e delle

lettere italiane,

considerare che non esista), niente di meglio:


dia retta a
noi,

ma
im-

faccia cosi.

Cominci

dall'

Percy Bysslu Shelley

49

parare
e poi

un p meglio, prima
F inglese;
si

la

lingua italiana,

renda,

forza di leggerle e

rileggerle,

familiari le

poesie dello
intese

Shelley,
e

quando sar certo


si

di averle

gustate,
in

provi

darcene

una

traduzione

prosa

letterale; dico

in prosa,

perch

versi

non son

pane per

suoi denti.

Ma, per l'amor

di Dio, si

guardi bene dal far sentire la sua nuova traduzione a que'tali


faccia sentire a

amici o

al

signor Asper

la

qualcun altro (non importa


se

se
in

amico o nemico,
grado

Asper o Dulcis) che

sia

di giudicarla.

1879.

Cll.

AKIN1

ALGERNON CHARLES SWINBURNE

ALGERNON CHARLES SWINBURNE

re scuole, secondo
j

il

Formar)

(i), si divi-

dono oggi

il

campo
prima

della poesia in Inghil-

terra, la idillica, la psicologica, la preraf-

faellesca.

Capo

della

il

poeta

laureato

Alfredo Tennyson, della seconda Roberto Browning, della


Rossetti.
Il

terza

il

poeta pittore Dante Gabriel

Tennyson

ha, per consenso (credo) di tutti

gli scrittori inglesi

contemporanei, meriti grandi


odierna

incontestati

ed

incontestabili verso la

(i)

Our- lvng poels, by

H. Buxton Forman; London,

Tinsley brothers, 1871. Introduction.

54

Libro

Primo

letteratura poetica della sua nazione.

Pur

trat-

tando argomenti da gradire all'universale, allarg


il

campo

della poesia, pieg a

nuove forme

la

lingua, perfezion la struttura del verso e della


strofa,

fu e

rimase e rimane ancora

in

alcune
i

poesie un perfetto modello d'artista. Tutti


tici

cri-

riconoscono
tutti
i

la

sua

influenza
tutte
le

grande
lo

e be-

nefica;

poeti di

scuole

amtutti

mirano

e riveriscono

come maestro, perch


lui

sentono di dovere a
lo

qualche cosa.
il

11

Byron,

Shelley,

il

Wordsworth,

Coleridge, scio-

gliendosi dalle rigide forme

classiche, che ave-

vano

toccato

il

sommo
poesia

della

eccellenza

col

Pope, rimisero

la

inglese

nella via del

naturalismo, dalla quale ogni poesia

involonta-

riamente

quasi fatalmente

si
Il

allontana dopo

un'epoca di grande cultura.


segui letterariamente
decessori,
e,
1"

Tennyson pro-

opera dei suoi grandi preessi per

bench minore ad alcuni di

altezza d'ingegno, seppe perfezionarla.


del

La poesia

Tennyson
Byron,

meno

alta di quella dello Shelley

e del

ma

pi sobria e pi

pura. L'opera

forse pi perfetta del poeta laureato


di piccoli canti scritti

una raccolta
di

per
,

la

morte

un amico

e intitolati In

Memoriam ma non

questa l'opera

che

gli

procacci maggior fama.

La sua immensa

Algemon

Charles Swinlitrne

55

popolarit

il

Tennyson

la

deve

agli Idilli del

Re

(Idylls of the King-), poesie narrative di soggetto


cavalleresco, nelle quali
il

carattere eroico, se

non

manca

affatto, ridotto a

molto piccole proporAchille

zioni. S'

immagini

il

lettore le risse di
lo

e di

Agamennone

raccontate con

stile delle

Bucoliche o delle Georgiche di Virgilio,


un' idea di ci che sono
tici

e
I

avr
cri-

g' Idilli

del Re.

han giustamente notato non pochi

difetti

d'arte nella

Legende des
il

sicles di Victor

Hugo:
per

ma

chi
i

non sente
grandiosi

soffio

epico

spirare

entro

canti del vecchio bardo frangli

cese? chi
brati

non sente che

eroi da lui

celequelli

han pure una qualche parentela con


negli eroi del

d'Omero? Questa parentela

Ten-

nyson manca quasi interamente.


loro genere sono
i

Ma

perfetti nel
d'

veri e propri

Idilli,

argo-

mento
diniere

familiare,
,

come Dora, La figlia


(Dora,

del giar-

77

ruscello

The gardener's
i

daughter, The brook) e simili,

quali

ampia-

mente giustificano

il

nome

di Idillica

dato alla

scuola Tennysoniana.

Ammirato,
ticato

esaltato senza fine dagli uni, crialtri,

acerbamente dagli

Roberto Erowning
pi
;

senza dubbio una delle menti pi vaste,

profonde, pi acute della

moderna Inghilterra

56

Libro Plinio

e l'opera sua poetica

una delle pi sorprendenti


di tutte le

ed originali. L'argomento

sue poesie,

drammi, poemi, una ventina

liriche

(che a quest'ora sono

e pi di
di
i

volumi)

sempre

lo stesso,
tutti

l'uomo; l'uomo
i

tutte le condizioni, di

tempi,

di

tutti

luoghi.

Tutta

la

poesia 'del

Browning
umano,

un largo e profondo
tutte le sue
la

studio dell'animo

in

manifestazioni. Perci,

bench' egli debba per

forma

delle sue poesie,

che nelle liriche e nei poemi


stessa,
il

quasi

sempre

la

monologo,

difettare

necessariamente

di variet,
di lui.

non

e'

forse

un

altro poeta pi vario

La grande

variet gli viene

non pure

dalla

materia,

ma

anche da una straordinaria acutezza


mente, per
la

e perspicacia di

quale egli sa vedere

di

un

fatto tutti gli aspetti

che sfuggono

all'os-

servatore comune, anche pi diligente.


siffatto,

Un

poeta

dottissimo delle antiche letterature, che


lingua,
e co-

possiede perfettamente la propria

nosce

pi riposti segreti

dell' arte,

non poteva

non

esercitare una' grande influenza nella lette-

ratura
fluenza

poetica
,

del

suo

tempo;
il

ma

questa

in-

come osserva

Forman

(i),

molto

di-

versa da quella esercitata dal Tennyson. Mentre

(i) Op.

cit.,

loc.

cit.

Algemon

Charles

Swinlume

57

questi ha formato
poeti,

una vera
la

e propria scuola di
il

che anche

pi numerosa di tutte,

Browning, pi che creare una vera scuola, ha


esercitato la sua influenza sopra tutti
tutte le scuole.
I
i

poeti di

seguaci della scuola psicologica


imitazione del maestro non in

sono pochi; e

la

essi cosi patente

come

nei seguaci del

Tennyson.
si

La

scuola
il

preraffaellesca,

come

propose

nella pittura

ritorno alla pi semplice maniera

degli artisti che precedettero Raffaello, cosi volle


in poesia

romperla

affatto

con ogni maniera

di

convenzionalismo, e tornare alla natura pi cru-

damente che non avessero


teriori e

fatto

poeti

ad essa analtre scuole

non facessero

quelli delle

ad essa contemporanee.
questa scuola
si

Uno

dei

modi

coi quali
il

studi di conseguire

suo

in-

tento, fu di ravvicinare
bile
il

quanto pi fosse
al

possi-

linguaggio della poesia

linguaggio parle

lato,

riproducendo
le

in

essa

tutte

forme

di

questo in tutte
cipio

sue minute particolarit; prin-

buono

in s stesso,

ma

che applicato senza

parsimonia

e senza

discernimento produsse opere

nelle quali, per giudizio del

Forman,

la natura-

lezza

la

semplicit
il

toccano

l'estremo della
alla pi

rozzezza, e

verismo giunge

alta su-

blimit del triviale.

5S

Libro Primo

Come
setti,

il

Tennyson,

cosi

il

Browning
i

il

Ros-

per diversi

che possano parere


altro che

loro inil

tendimenti,

non fecero

proseguire

rinnovamento poetico

iniziato in Inghilterra dai

grandi poeti della prima


seguirlo,

met del secolo; proil

s'intende,

letterariamente, perch

carattere principale della poesia

inglese contem-

poranea
ralmente

letterario.

poeti inglesi viventi, geneartisti

parlando, sono

che

lavorano

pacificamente nel loro studio a fare dei versi con

molta intelligenza

e
i

molto amore, non altrimenti


pittori a fare delle statue e

che
dei

gli

scultori e
I

quadri.

prosecutori dell'opera
del

letteraria

dello

Shelley e

Byron

non sono minima-

mente

turbati dalle idee che agitavano la mente,

dai sensi che

commovevano
per
il

il

petto di
e

que'due

grandi

spiriti:

contenuto

gl'intendi-

menti

poetici, pi

che con

loro, essi

hanno

atti-

nenza col Wordsworth e col Coleridge.

Ma

non

tutti

poeti inglesi viventi sono addetti

ad una delle
addetto
il

tre

scuole da
il

me

accennate.
fa

Non

vi

Swinburne,

quale

parte da s.

Il

Algernon Charles Swinburne


la

secondo me,

natura pi altamente poetica che l'Inghilterra

Afgernoti

Charles Swinbi,rne

59

abbia avuto dopo lo Shelley. Altri sar artista


pi perfetto
egli

di

lui; egli

pi poeta di
il

tutti;

nato poeta.
il

dentro

suo petto

batte

anche un po'

cuore dello Shelley e del Byron.


l'arte

Appassionato per

come

tutti

grandi poeti

suoi contemporanei, egli, in quanto politicamente


e

socialmente rivoluzionario,

il

discendente e
spiriti,

prosecutore legittimo di quei due grandi


coi quali ha

anche comune questa

circostanza

della vita, d'esser nato nella classe aristocratica.


Il

Swinburne ha ora
altri

trentasette anni;

fu,

come

tanti

giovani della sua condizione, allevato

nei collegi di

Eton

e di

Oxford: nel collegio di


scrivevami parecil

Oxford ebbe, come


chi anni
fa,

egli stesso
il

V onore e

piacere di conoscere
il

nostro Aurelio Saffi: conobbe e ador


e adora,
lia,

Mazzini:
l'Ita-

come

tutti

grandi poeti stranieri,

che visit due volte prima del 1872.


il

Pubblic
nel 1860,

suo primo libro a diciotto anni,


e

La regina madre

Rosmonda {The
troppo

oueen mother and Rosamond), due drammi del


genere shakespeariano, nei quali,
fedele
s'

egli

imitatore del suo

modello e non mostra

di possedere

ancora una maniera sua propria di

poetare, pur

non mancano
di

tratti di

molta bele

lezza, annunziatori

un ingegno splendido

60

Libro Fri wo

forte.

Dopo questo primo

saggio,

il

Swinburne

lasci passare cinque anni senza pubblicare niente


altro:

ma

questi cinque anni furono a lui pieni

di lavoro artistico fecondo e potente, attraverso


il

quale

egli

trov

riconobbe

stesso, e al

termine del quale pubblic un lavoro che, per


giudizio dei
critici
piti

autorevoli, rester nella


dei pi grandi

letteratura inglese

come uno

poemi

del secolo.

UAtakmta
mento
lirico.

in

CcOydon

(i).

un dramma greco
predomina
il

di soggetto e di forma, nel quale

l'ele-

C' l'intonazione,

movimento

lo spirito del

dramma

greco, e insieme lo

stampo

di un' opera

moderna ed

originale. L'autore, che


la

conosceva profondamente

lingua e la lettera-

tura degli antichi Greci, che aveva per l'arte greca

l'ammirazione ed
conscio
di

il

culto di
essi

un grande
qualche

artista

avere

con

parentela,

s'era gi formato,

quando

scrisse YAtalanta,

una

maniera
mersi,

tutta sua propria di concepire e d'espri-

era gi

arrivato

alla

perfetta

maturit
di

del suo ingegno. Questo


tratto tutta
la

dramma mostr
tre

un

potenza dei

elementi princi-

(i) Alalanla in Calydon,

by Algernon Charles Swin-

BURXE

London, John Camden Hotten, 1865.

Algernon Charles Swinburne

61

pali dell'ingegno poetico del

Swinburne,

il

dram-

matico,
.

il

lirico,

il

musicale.

Lo

splendore della
la perfezione
i

forma,

la

bellezza dei cori

lirici,

musicale del verso (pi forse ancora che

pregi

drammatici

e l'altezza dei concetti)


il

destarono la

universale ammirazione e posero


tore nel novero
dei

giovane auviventi della


anni, nei

grandi

poeti

nazione.
quali
il

Anche

oggi,

dopo quattordici

Swinburne ha pubblicato
drammatiche

altri sei vo-

lumi

di poesie fra

e liriche,

onde

stata confermata e accresciuta la sua bella


di

fama

poeta,

anche oggi YAtalanta

generalmente

ritenuta

come uno

dei suoi capolavori.

kWAtalanta tennero immediatamente


altro

dietro

un

dramma

(Chastelard) (i) del genere

sha-

kespeariano, o meglio victorhughiano, e un vo-

lume

di poesie liriche

drammatiche, Poemi e
(2).

ballate

(Poems and ballads)


la

U Afa lauta aveva


forma
la

mostrato

potenza e maturit dell'ingegno del


in

Swinburne

una sola forma


i

letteraria, la

della tragedia greca:

due nuovi volumi

mo-

strarono sotto forme nuove e svariatissime. Col

(1)

Cliastdard, a tragedy by Ai.gernon

Charles SwinCharles Swin-

burne; London, 1865.


(2)

Poems and

ballads,

by Ai.geknon

burne; London, 1866.

62

Libro Primo

Chastelard, superiore per forza drammatica

altrat-

VAtalanta, l'autore fe'manifesto ch'ei sapeva


tare

un soggetto moderno,
secondo

cosi

bene come un

antico, e trattarlo
dell'arte,

tutte le

nuove esigenze

facendo opera adattata alla rappresen-

tazione, e al
I

tempo

stesso

altamente originale.

Poemi

e ballate rappresentano quei cinque anni


di

che

dissi

lavoro

artistico,

durante

il

quale

l'autore trov e riconobbe s stesso. In essi vedesi


il

graduale passaggio dalla maniera incerta e non


alla

ancora originale dei due primi drammi,

ma-

niera franca, originalissima, deV Atalanta e del

Chaste'ardA^e prime poesie del volume sono, come


l'autore stesso dice
nella

Dedica

(i),

il

passa:

tempo
le

di

un

fanciullo; le pi vecchie son giovanili

prime sono

scritte a diciassette anni, le pi

vecchie a
i

ventitre'.

Un'altra cosa ancora attestano

Poemi

e ballate, attestano le attitudini svariatis-

sime dell'ingegno poetico dell'autore.


trovare

difficile

un

altro

volume

di

poesie,

dove

ci sia

tanta variet di

forme poetiche, dove


si

le attitu-

dini artistiche dell'autore

mostrino sotto aspetti

tanto diversi.

(i) V. la poesia intitolata Dedication,

in

fine

del

vo-

lume, p. 342.

Algifnon Charles Swinburne

63

III

Alla pubblicazione dei


in Inghilterra,

Poemi

e ballate scoppi

come

dice l'autore, a sudden thun-

der front the serene heavens qf public virtue (1). Gli anonimi custodi della pubblica morale scattaron su,
quali
si

come
il

tanti diavoletti dalle scatole alle

cavi

coperchio, scattaron su dalh Ri-

viste, dai

morale,
il

Magarmi, gridando all'empio, all'imtribunali ordinarono che al pagano. E


i

libro fosse ritirato dalla circolazione. L'autore,


il

pur dichiarando che

verdetto de' suoi giudici era

per
g'

lui

materia d'infinita indifferenza, che poco


agli occhi de' suoi critici,
fu,

importava apparire

morale

immorale, cristiano o pagano,

dice

egli stesso,

costretto da alcune circostanze


la

che

accompagnarono

prima e

la

seconda edizione
cio, git-

del suo libro, a rispondere; e rispose;

tando agli

altri

sarcasmi e disprezzo, rispose ad


riconobbe
es-

uno
sere

dei suoi critici, la cui opera

d'un nemico

si,

ma d'un
il

gentiluomo.

artista,

Nei Poemi e ballate

Swinburne

(1) Notes on poems and rtviews, by Algernon Charles Swinburne; London, 1866; png. 6

64

Libro Fri ino

niente altro

che artista;

e,

come

tale,

non sa
1'

intendere che cosa


le

abbiano che fare con

arte

idee di morale sanzionate dalla societ

umana;

e si meraviglia dello

scandalo prodotto dalle sue


il

poesie; a quel

modo che

Canova, certamente
avrebbe, credo, fatto

non immorale
le

ne' irreligioso,

meraviglie se lo avessero accusato di oltraggio


decenza, perch fece la

alla

sua Venere senza


le

neppure
il

un cencio di

camicia che

coprisse

petto e le coscie.

Come!

dice

il

Swinburne, noi da
costretti,

fanciulli in

Inghilterra

siamo

sotto minaccia di ca-

stighi, a studiare, a spiegare, a

imparare a mente

gl'immortali ed impareggiabili versi di Saffo; parecchi poeti moderni


si

son provati e

si

provano

a tradurre nelle loro lingue quei versi divini, e

non

ci riescono,

perch l'impresa impossibile!


si

come!

tutto ci

fa
si

senza che nessuno gridi


fa

allo scandalo, anzi

come una

cosa bella e

buona; ed

io

dovr essere

vituperato perch,

sentendomi incapace
toria,

di tradurre l'ode

ad Anac-

ho tentato

di scriverne

una parafrasi?

veramente Anactoria, una delle poesie dei


ballads pi incriminate,

Poems and

non

altro

che una parafrasi della notissima ode di Saffo,


tradotta in latino da Catullo, e in italiano dal Fo-

Algemon

Charles Swinburne

65

scolo.

Se

la

rammentano

lettori

questa ode, che

almeno
li

in

qualche traduzione avranno letta? Se


gli effetti
il

rammentano
?

prodotti dalla vista della


della voce,
il

donna amata
giare di

mancar

serpegil

una fiamma

sottile

per
il

le

membra,

fuggire della vista dagli occhi,


orecchi,
il il

tintinnir degli

sudar freddo,

il

tremare, l'impallidire,

venir

meno? Questi
dice

effetti

dell'amore,

come

sono descritti da Saffo nelle quattro strofe che


i

fati e

i cristiani,

il

Swinburne, ci conserlui,

varono, fecero tale impressione nell'animo di


ch'egli volle provarsi,

non

a rifare

il

poema,

ma

a rappresentare

il

poeta
s.
I

come per quei

versi lo

sentiva dentro di

lettori si

immaginan bene
degli

che

io

non voglio
io

fare

l'apologia

amori

saffici e lesbiesi:

voglio solamente dire che

intendo

come un

artista

ammiratore dei Greci

potesse essere tentato da quel soggetto, senz'altro

intendimento che un puro intendimento


senza
e

artistico,

nemmen

sospettare di far cosa indecente

immorale.

Questo del poeta mi


coli'

pare,
il

come accennai
non

gi

esempio del Canova,


pittore,
i

caso medesimo dello


si

scultore o del

quali

sognano
la

nemmeno

di potere offendere

con certe nudit

pubblica morale
5.

la

decenza.

Altrimenti do-

Chiarini.

66

Libro

Primo

manderebbero: perch
nelle

ci

fate studiare

il

nudo
pub-

accademie? perch tenete esposti

al

blico nelle gallerie e nelle piazze certi quadri e

certe

statue?

appunto come
ci

il

Swinburne doscuole
i

mandava: perch
poeti greci e

fate studiare nelle

romani?
impossibile determinare esat-

Aggiungo che
tamente
il

punto nel quale un'opera d'arte pu


un'offesa alla morale;

incominciare a divenire
ci

dipendendo sopra tutto dalla diversa impres-

sione ch'essa

pu

fare nelle

persone che

la

con-

siderano, secondo ch' pi o

meno

gentile e culto

l'animo loro.

Mettete

davanti

alla

Venere del
il

Canova un

artista e

un facchino:

primo

ci
il

vedr una decente

immagine

della bellezza;

secondo una donna ignuda.


diversi
i

certo saran molto

pensieri e

fantasmi che quella mededell'

sima opera far sorgere nella mente


dell' altro. L'artista,

uno

contemplandola, sentir come

allargarsi la forza artistica della sua mente, sentir

soddisfatto

il

suo sentimento del

bello; e
eserfac-

sar grato all'autore che per questo


cit

modo
il

sopra

di

lui

un'influenza morale:

chino, sorridendo bestialmente, penser, e fantasticher....

Veramente non importa molto andar

cercando ci ch'egli penser e fantasticher. Ma,

Algemon

Charles Swinburne

67

lasciando stare

facchini, che colpa

ha

il

povero

Canova

se la sua

Venere sugger ad Enrico Heine

questo pensiero, veramente non troppo pudico:

Der mdrmorsteis^ der Venus \u piatte? (1) Onde non mi


tutti
i

voti

Canova

ist

pare
di

che abbia
certi

torti

il

Swinburne, quando

suoi

critici

scrive

Io

sono incompetente a dichiacerte cose, che


versi.

rare, e
essi

mi ripugna immaginare

han saputo scoprire nei miei


io

Evidensi

temente

non sono virtuoso abbastanza,


e ringrazio
il

ch'io

possa intenderli;

Cielo di non essere.


(2).

Ma

corruption rougirait de leur pudeur

Ma
ticai,

una colpa confessa


la

il

Swinburne
colpa:

d' averla

commessa: eccola qui

sua

Io

dimen-

dice egli, di premettere al


di

mio

libro l'op-

portuno avvertimento
rista:

un gran poeta ed umo-

J'en prviens les mres des familles,

Ce que j'cris n'est pas pour les petites Dont on coup le pain en tartines; mes
Sont des vers de jeune homme.

filles

vers

E soggiunge
dire cacciarlo

che pubblicare un libro non vuol

per for\a

nelle

mani

d"

ogni madre

(1)

Heine, Dichtungen: Lazarus,


on poems
etc.

7.

(2) Notes

pag.,

8.

68

Libro

Primo

d ogni
1

balia del regno,

come

il

cibo pili con-

veniente e necessario alle bambine.

vedere se

un

libro

fa

o non

fa

per lui

ci

pensi
(i).

un poco

chi deve comprarlo.

Caveat emptor

Non
e

voglio per tacere

come un amico

stesso

del poeta,

W.

M.

Ross.tti, che scrisse


ai

un lungo

importante studio critico intorno

Poemi

ballate (2), noti

con un certo senso

di dispiacere

l'assoluta

indipendenza dell'opera poetica del


di

Swinburne da ogni idea


affermi essere la

morale umana, ed
per rispetto alla

mente

di lui,

morale, poco intensamente costituita.

Ma

bisogna,

secondo me, distinguere


che hanno,
per
cosi

fra

le

idee di morale
nella
societ

dire,
si

corso

umana
poeta

e quelle

che

formano nella mente del

del

pensatore.

Non

intendo

insegnar

questo al Rossetti,

che anzi lo insegna a


poeti che

me

quando pone
il

fra

han pi profondo
vituperato
le
i

senso morale
a'

lo Shelley, tanto

come
poesie

immorale

tempi suoi: dico bens che

scritte e pubblicate dal

Swinburne dopo

Poemi

e ballate mostrarono

luminosamente che quel pi

(1)

Op.

cit.,

pag. 14.

(2) Swinburne s poems

and

ballacis,

a Criticismi by Wil-

liam Michael Rossetti; London, 1866.

Algei"non Charles Swnbufne

69

alto senso morale


lui

del

pensatore e del poeta in

non mancava.
il

Capisco fino a un certo segno come


setti,

Ros-

paragonando l'autore dei Poemi e ballate

con Victor Hugo, potesse dire che

la

fonda-

mentah

differenza fra l'opera dell'uno e quella

dell'altro consisteva in ci, che

l'Hugo era una


dominio
in-

delle nature pi intensamente morali nel della poesia,


tensit
affatto

mentre nel Swinburne questa

morale non appariva

ma non

capisco

com'egli potesse aggiungere che

tale

differenza sarebbe apparsa


l'opera d'entrambi fosse

anche maggiore, quando

compiuta

(1).

Come non

vide

egli,

che dovea conoscere l'animo caldo aple ardite

passionato e
sociali

opinioni filosofiche politiche

dell'amico suo,
la

come non vide che un


le

giorno o l'altro
del
lui

Libert (per usare

parole
di

Forman) avrebbe surrogato nell'animo


occupato

Y Amore, che l'ideale Repubblica universale


il

avrebbe

luogo ed acquistata la po-

tenza di Afrodite? (2)

Come non
i

vide nel pail

gano cantore

di

Venere

e Proserpina

futuro
dolo-

poeta della Libert, sotto

nomi

di

Mater

(1) Op. dt, p. 43 e 44(2)

Forman,

op.

cit.,

pag. 359.

7<3

Libro

Primo

rosa

Mater triumphalis,

nei

Songs before

Sii n rise ?

IV
I

Songs before Sunrise

(i

),

canti dell'alba, canti

prenunziatori della nuova luce di civilt che dee

mutare

la faccia del

mondo, distruggendo

l'

ini-

quit, la superstizione, V errore, e fondando, con


la

repubblica universale,

il

regno della giustizia,


io
il

della verit, della libert,


dissi fin d.i

mostrarono quello eh'


il

principio,

che

Swinburne era

discendente e prosecutore legittimo dello Shelley


e del Byron.
Io

non voglio discutere

il

valore

delle idee sociali e politiche del nostro poeta; a

me non

importa ch'elle possano parere, ed anche


a
si

essere, utopie;

me

basta poter affermare che

un poeta che

appassiona per quelle idee, che


canti,

ne toglie argomento ad un volume di


l'arte,

dove

per quanto grande, superata dall'entu-

siasmo, non pu essere accusato di mancare del

senso morale.

Ma

l'alto concetto

morale onde sono

ispirati

Canti dell'alba non poteva troppo gradire all'uni-

(i) Songs before Sunrise, by

Algernon Charles Swin-

burne; London, 1871.

Algernon Charles Swinbume

71

versale; doveva anzi scandalizzare

impaurire

non poche moderate

e pie

anime

di conservatori

in politica e in religione.
lo

Quei Canti

lettori

debbono aver

gi capito
le

sono un' ardita e


di

vigorosa battaglia contro

idee

monarchia

e di religione, in favore delle opposte idee di re-

pubblica e di libert.
mali, vuole per
il

repubblica, osserva

il

For-

nostro poeta significare demo-

crazia nelle sue


libert fino

forme estreme

libert,

una

all'ultimo

grado di affrancamento

politico sociale e religioso (1).

L'Arnold osserva, se ben mi ricordo,

che

il

Byron
idee
l'

e lo Shelley

non esercitarono

colle loro

influenza che avrebbero dovuto sulla na-

zione, perch

non trovarono

in essa

nessuna cor(2). Io

rispondenza simpatica a quelle idee

credo

che del Swinburne possa dirsi lo stesso. Gli uo-

mini d'ingegno,

gli

artisti,

critici,

poeti

am-

mirarono
i

e lodarono,
li

ammireranno
e

loderanno

suoi versi;

difesero

difenderanno ancora,

se occorra, contro gli attacchi della critica gretta


e

ignorante;

ma

tutto

ci

sar affare

d'arte e

niente altro.
(1) Op. cit, loc.

cit.
il

(2) V. nei Saggi di critica (Essays in criticism) su Enrico Heine, verso la fine.

Saggio

72

Libro Primo

Il

poeta in un paese libero padrone di pen-

sare e di dire quel che gli frulla pel capo; e se


lo dice in

un modo nuovo,
ci

bello, magnifico, sor-

prendente, se dicendolo sensazione artistica, noi

fa

provare una grata


le

gli
i

battiamo

mani

gridiamo: bravo!
battere
il

ma

sentimenti che gli fan

cuore generoso potranno forse trovare

eco nell'anima di

qualche pensatore
ne'

solitario;

non faranno n caldo

freddo al maggior nu-

mero

dei

lettori.

Oggi
e

in tutto

quasi

il

mondo

che chiamato
certa

civile,

che

si

governa con una

libert, la letteratura

un passatempo, un
altro. Patria,

trastullo di gente oziosa, e niente


libert,

repubblica,

eguaglianza,

giustizia,

son

belle parole che

possono pi o
liberi e di

meno
buon

essere

am-

mirate dagli uomini

gusto, se

giovano a fare un verso o un periodo armonioso,


a dare
efficacia a

una

frase,

a lumeggiare una

immagine;

ma quando

noi che

abbiamo pi o
pi o

meno
meno

studiato, pi o
sofferto (e se

meno combattuto,
ne'

non abbiamo

studiato, n
fatto),

combattuto, n

sofferto,

non importa gran


il

quando noi insomma, che siamo


nazione, abbiamo
nostre

fiore

della

aperta

la

via allo sfogo delle

ambizioni e cupidigie, tutto va bene; e


il

basta

di pi

roba che pu passare

come

Algeritoti Charles Swhiburne

73

ingrediente in un'opera d'arte,

ma

che non pu

aver presa sugli animi nostri.

Lasciamo

le

considerazioni malinconiche, e sedi poesia.

guitiamo a parlare

Da
i

quel che abbiam

detto parr ai lettori che fra


e
i

Poemi

e ballate

Canti dell'alba
c'.

ci

sia di

mezzo un

abisso:

e non

Anzi un pensiero
la poesia

filosofico collega stret-

tamente

dell'artista

pagano a quella
paganesimo
della

dell'apostolo della
dei

rivoluzione. Nel

Poemi

e ballate c'
dell'

come l'annunzio
nei
to

emancipazione

uomo, celebrata

Canti

deW alba.
dell'uomo

L' Inno a Proserpina


il

{Hymn
preludio

Pro-

serpine) della prima raccolta

sNlnno
il

{Hymn
la

qf man)

della

seconda:

primo

un mesto compianto

sulla caduta degli

Dei pagani,

solenne profezia della


il

caduta

del regno di Cristo;

secondo

l'

inno di gloria

per questa caduta, inno cantato


rante
il

dall'uomo duI

concilio

ecumenico
il

in

Roma.

preti

si

affaticano a puntellare e

vacillante trono di Dio;


e
1'

Dio

intanto
ritorna

si

sta

morendo,
di
il

uomo, suo

schiavo,

padrone
e ballate

s.

Nell'inno pa-

gano dei Poemi

poeta dice con una

specie di dolorosa compiacenza a Proserpina: tu


sei

da pi degli Dei che numerano

giorni della

nostra temporale esistenza; poich essi danno la

74

Libro

Primo

fatica ed
vi ha

il

sonno;

ma

tu dai la morte.... e
:

non

Dio che

sia pi forte di essa (i)

V inno

umano
sopra
il

dei Canti delValba termina

con queste pa-

role: tu sei ferito, o Dio, tu sei ferito; la

morte

di

te,

o Signore, e mentre tu muori,

canto d'amore della terra suona


nell'alto,

Gloria al-

l'uomo
cose.
Glory

poich l'uomo

il

signore delle

to

Man

in the

highest! for

Man

is

the master of things.

In

questo verso e nell'altro del medesimo inno:


God,
if

Biit

God

there be,

is

the substance

ofmen wich

is

man.

il

concetto dei Canti

dell'

alba; la glorificazione,

l'apoteosi dell'uomo, che, scossa ogni servit, ha

finalmente riconquistato l'assoluta signoria di


stesso.

se'

La materia
havvi
pi

dei

Canti sono per

la

maggior

parte idee astratte,


di di

che quanto dire ci che

ribelle alla poesia;

ma come

il

modo

concepire pi naturale al Swinhurne


diverso da quello della prosa,

essenzialmente

essenzialmente poetico, quelle idee passando per


la

sua mente

si

trasmutano

in

fantasmi vivi e

(i) Pocnis

and Ballads,

et, pag. 84.

Algei'non

Charles Swinburne

75

lucenti, starei per

dire palpabili:

onde tutto

in

queste poesie di argomento morale e filosofico

suono

vita e

movimento. La figura che

in

esse

predomina

(s'intende) la personificazione:
il

una

figura della quale

nostro poeta usa molto spesso,


a scapito
delia

per non dire

abusa,

variet

della semplicit.

Qualche
1

critico

ha notato che
d'arte,

Canti delperfetti

l'

alba sono,

come lavoro

meno

elei

Poemi

e ballate.

Noi non possiamo intorno

a ci pronunziare giudizio;

ma

possiamo e voc', in

gliamo dire che


essi

il

manco

d'arte, se

largamente compensato dalla ispirazione pi


concetto pi nobilmente umano.

alta, dal

Io

non ho inteso con questo

scritto di fare

uno

studio delle opere poetiche del Swinburne,

ma

solamente

di

mostrare abbozzato alla


il

meglio,

quasi con pochi segni di cai-bone,

ritratto del
a quelli dei co-

grande poeta, di mostrarlo, s'intende,


miei concittadini
noscessero.

che

per

avventura noi

perci

mi sono

limitato a parlare
caratteri-

delle opere di lui che


stiche, e

mi paiono pi

sufficienti

delinearne la figura.

76

Libro Primo

rendere questo

abbozzo

meno

imperfetto,

ac-

cenner

titoli

delle altre opere del

Swinburne,

cominciando dalle poetiche.


Nel 1874 pubblic un nuovo dramma, o meglio

un gran poema drammatico,


dei quali quasi lungo
alla
fa

in cinque atti, ciascun

quanto un dramma adatto


intitolato

rappresentazione

Bothwell

(1);

seguito al Chastelard,

ed

ha,

come

questo,

scene di un vigore e di un effetto


straordinario. Tutti
a Victor

drammatico
dedicati

due

drammi sono

Hugo;

il

Chastelard con queste parole:


al

Al primo dei poeti viventi;


;

primo drame

maturgo del suo tempo


perci al pi grande

al pi

grande esule,
:

uomo

di

Francia

il

Both-

well con questo sonetto:

Comme

un fleuve qui donne l'ocan son me,

J'apporte au lieu sacre d'o le vers tonne et luit

Mon drame pique plein de tumulte et de O vibre un sicle teint, o flotte un jour
Un Un
peuple qui rugit sous les pieds d'une

fiamme,
qui
fuit.

femme

Passe, et son souffl emplit d'aube et d'ombre et de bruit


ciel

apre et guerrier qui


le

luit

comme

une lame

Sur l'avenir debout, sur

passe dtruit.

(2) Bothwtll,

Tragedy, by Algernon Charles Swin-

burne; London, Chatto and Windus, 1874.

Algernon Charles Swinbufne

77

Au
Une

fond des cieux hagards, par

1'

orage battue,

figure

d'ombre

et

d'toiles vtue

Pleure et

menace

et brille

en s'vanouissant

Eclair d'amour qui blesse et de haine qui tue,

Fleur close au sommet du sicle blouissant,

Rose

tige pineuse et

que rougit

le

sang.

Ho
tori

riportato

il

sonetto,
il

non tanto perch

let-

veggano come

Swinburne scrive
facilit

in franfelicit

cese (e scrive colla


versi greci e latini),

medesima

quanto perch

in esso ac-

cennata con pochi

ma
il

efficaci tratti la figura di

Maria Stuarda, quale


ne' suoi
fatto,

poeta

1'

ha rappresentata

drammi:

di che alcuni critici gli

hanno

non so con quanta

ragione, severo rimpro-

vero.

Nel 1875

il

nostro poeta raccolse e pubblic in


il

un volume

sotto

titolo:

Canti di due nazioni

{Songs of two nations)


composto
e dedicato nel
i

(1)

un Canto
al

d'Italia
(a

1867

Mazzini

cui

son pure dedicati


la

Canti dell'alba), uri Ode per

proclamazione della repubblica francese, imvolta nel

provvisata e pubblicata per la prima

settembre del 1870, e ventiquattro sonetti d'ar-

(1) Songs of two nations, by Algernon Charles Swinburne; London, Chatto and Windus, 1875

78

Libro

Primo

gomento

politico,

Dirne;
e

fieri e

stupendi sonetti,

ammirabili per fattura,


agli
ribili

degni di stare accanto

Chtimeiits di Victor

Hugo

e alle pi ter-

poesie d' argomento politico del Carducci.


l'

L'ira e

imprecazione non aveano, parmi,


inglese

tro-

vato finora nella poesia


perfetta,

una forma

cosi

un' espressione cosi


il

efficace ed intera.

Due
che
cata,
la
il

anni dopo

Bothivell, quasi a mostrare

vena onde usci YAtalanta non era sec-

Swinburne compose
di

pubblic un nuovo

dramma
seconda
Il

soggetto

di
ci.

forma greco,

Ere-

chteus (i); e finalmente


serie di
il

ha dato nel 1878 una

Poemi

e ballate (2).

prosatore e

critico nel

Swinburne degno
pu

del poeta, con

un solo

in

difetto, se difetto si

chiamare; ch'egli
spesso, poeta.

prosa troppo, e troppo

Ma

sotto la

forma soverchiamente
si

immaginosa, e talvolta iperbolica,


grande potenza
chiarezza
e
di

mostra una

scrivere e
di

una straordinaria
critiche.
Il

profondit

vedute

primo
il

scritto col quale egli


,

mostr come

critico

suo valore
(1) Erech/ens,

credo, la prefazione alla scelta

Tragedy, by

Algernon Charles Swin-

burne; London, Chatto and AVindus, 1876.


(2) Poems and ballads, second series, by Algernon Charles Swinburne; London, Chatto and Windus, 1878.

Algirnon Charles Swinburne

79

delle poesie del

Byron pubblicata

nella

colle-

zione

Moxon, Miniature Poets. Questo saggio


parecchi, che gli tennero
dietro,

ed

altri

sopra

Victor

Hugo,
il

il

Coleridge, Dante
dello Shelley,

G. Rossetti,
pubblicati

l'Arnold,

testo

ecc.

prima sparsamente in varie Riviste,


raccolti

furono poi
col
titolo:

nel
e

187D

in

un

volume,

Saggi

studi (Essa/ys

and

studies) (i), e po-

sero meritamente
illustri

l'autore

nel

numero

dei pi

critici

viventi della nazione. Al


altri

volume

tennero
blicati

dietro

due saggi importanti pub,

separatamente
l'altro su

uno

sul

poeta

George

Chapman,
di esso
il

Charlotte

Bronte: prima

poeta avea pubblicato un lungo studio


critico

biografico

sopra William

Blake, pittore
di Giorgio
di
IN,

e poeta repubblicano, del

tempo

uomo

(scrivevami

il

Swinburne)

splendido

ingegno, di carattere purissimo e nobile, che

mantenne intemerata
nel dovere durante

la

sua fede nella libert e


vita di povert e

una lunga

di travagli eroicamente sopportati.

Victor

Hugo

il

Mazzini sono

due uomini
se io

moderni pei quali

il

Swinburne ebbe,

non

(1) Essays

and

studies,

by Algkrnon Charles Swin-

kukne; London, Chatto and Windus, 1875.

8o

Libro Primo

m'inganno, maggiore ammirazione


Victor
quegli

e venerazione:

Hugo

anche

fra

poeti contemporanei
di
lui

ch'esercit sopra
influenza.

l'ingegno

una
e

maggiore
con
lo

con

Victor
egli

Hugo

Shelley

pare a

me

che

abbia, indifetto,

sieme con molti pregi,


forse
il

comune un

che

maggiore

difetto suo,
le

come
che
io

artista; la

poca

sobriet.

Tutte

volte

leggo

le
i

poesie del Swinburne,

mi tornano

in

mente

versi dello Shelley nel canto All'allodola:

Pourest thy

full

heart
art.

In profuse strains of unpremeditated

Togliete

la

parola

unpremeditated,
l'effetto

questi
fa

versi esprimono esattamente

che

in

me

la poesia

del

Swinburne.
d'

C
ma

profusione,
fa

profusione di suoni e

immagini, che vi

am-

mirare

la ricca

vena del poeta,

che spesso
artistica.

nuoce

alla

purezza della impressione

La
e

frase poetica del

Swinburne

sempre densa
il

intensa,

l'immagine sempre

alata,

verso

sempre armonioso;
un'

ma

spesso dove una frase e


egli

immagine basterebbero,

ne accumula due,
lo Shelley
;

tre e pi,

appunto come Victor Hugo e

appunto perch come Victor Hugo


egli

e lo

Shelley

uno

di quei poeti

nei

quali l'ispirazione

Algefno7i

Charles

Swinbufne

8;

e la fantasia

prevalgono

all'arte.

Alcune

delle

poesie del

Swinburne fanno, come giustamente


il

osservava

mio amico Nencioni,

l'

effetto di

belle variazioni sopra bei motivi poetici.

Le vale

riazioni

non sono certo nella musica

opere

pi artisticamente perfette; ma, quando son belle


e

bene eseguite,
Io

si

sta volentieri a sentirle.


di

accennai

un punto

somiglianza
il

fra
:

il

Swinburne ed un poeta
n'

nostro,

Carducci
i

ce

molti
i

altri, e

pi essenziali.

Ambedue

poeti

sono
di

pi illustri rappresentanti nella loro patria


letteraria,

una medesima tendenza


in

politica,
il

filosofica;

ambedue
il

egualmente profondo

sentimento e

culto dell'arte antica; in

am-

bedue
vero,

il

ritorno

all'antico vuol dire ritorno ai

alla

natura.

UInno a Febo
e

Apolline e

V Inno a Satana del Carducci fanno esatto riscontro del


all'

Inno a Proserpina

aWInno deW nomo


luoghi delle

Swinburne:

lo spirito di alcuni

Odi barbare
la

quel medesimo che ha ispirato

poesia intitolata Davanti a un croci/isso. (Be(i).

fore a crucifix)
l'

Al poeta inglese come


volte fiera
ira

aldi

italiano

stata
l'

pi
l'

ispiratrice

fierissimi versi

ira,

contro

medesimi uo-

(i)
6.

Songs

lie/ore Stinrise,

pag. 93.

Chiarini.

8.2

Libro Primo

mini,

contro

le
I

medesime
sonetti del

istituzioni,

contro

medesimi

fatti.

Swinburne
del

intitolati

Dirae rammentano
pudori,
di
li

quelli
e

Carducci

Ehu
poesie

Cesa-ismo,
politico.
fra
i

parecchie altre
le
;

argomento

Queste

rassomiglianze
alle

fondamentali

due poeti

quali po-

trebbe aggiungersi che anche


il

il

Carducci,

come

Swinburne, adopera troppo spesso nella prosa


linguaggio immaginoso della poesia:
dal
!e diffe-

il

renze procedono pi che altro

loro tempei

raniento diverso. Nell'inglese prevalgono

nervi,

neir italiano

muscoli e

il

sangue

la
1

poesia

dell'uno pi concitata; quella dell altro pi

sana; nell'uno prevale l'ispirazione e


nell'altro l'arte e
il

la

musica,
i

pensiero.

Ma ambedue

poeti

sono onore della


gono,

nazione alla quale

apparten-

ambedue lasceranno un nome

glorioso nella

storia della loro letteratura.


1879.

*p^//

DUE POETI INGLESI


GIUDICATI DA UN POETA ITALIANO

DUE POETI INGLESI


GIUDICATI DA UN POETA ITALIANO

n un dotto articolo della


logia

Nuova AntoFoscolo (i)

sopra

Gray ed Ugo
viventi,
al

L^ISL Giacomo Zanella poeta

italiano parla di

due
pare

poeti

inglesi

in

modo che mi
e

poco conforme

vero
il

poco pensato.
dello scrivente
la

L'autorit del giornale e

nome

potrebbero indurre in errore chi non conosce


poesia inglese contemporanea, e

potrebbero far

credere agli stranieri

studiosi delle cose nostre


si

che

in Italia delle cose loro

parla

un po'leg-

(i)

Nuova

Antologia, seconda serie,

voi.

XXV,

fasci-

colo III (i febbraio 1881).

86

Primo Libro

germente anche dalle persone pi

serie,

se ne
;

parla pi secondo passione che secondo ragione

pi ripetendo, senza vagliarli,


a quella passione
si

giudizi altrui che

confanno, che per conoscenza


delle

vera che

si

abbia

cose

di

cui

si

parla.

Ci solo

mi muove

contrapporre
dell' illustre

qualche

osservazione alle parole

Zanella.

L'egregio scrittore, ispirandosi ad un articolo


della

Quarterly Review del gennaio 1876 sopra


e

Wordsworth

Gray, parla

a lungo di poesia e

d'arte, e cosi definisce le scuole poetiche in

cui

(secondo
blica:

egli dice)

ora divisa V opinione pub-

Alcuni affermano che l'essenza della


le

poesia consista nel pensiero del poeta, e che


parole ed
il

metro con

cui

viene esposto quel

pensiero non siano che meri accidenti e di po-

chissimo conto;

altri

sostengono che
sui

il

fine del

linguaggio metrico di produrre


effetto

sensi
la

un

analogo a quello che

la pittura e

mu

sica ottengono per via de' colori e de' suoni.

soggiunge che

Gray

e Foscolo sono

di questa

ultima scuola, e che capitano della scuola contraria in Inghilterra e di l in

Europa fu Guglielmo

Wordsworth.

Le parole con

le

quali lo Zanella definisce


io,

le

due scuole poetiche, che

tanto per dar loro

Due

poeti inglesi

S7

un nome,

chiamer

la

nuova

e l'antica,

sono
il

tradotte dalla Qiiarterly Review: se non che


critico inglese,

men duro
scuola,

dell'italiano verso

poeti della

nuova
le

non dice propriamente


il

che per

essi

parole ed

metro sono meri

accidenti e di pochissimo conto,

ma

meri accidenti

ed aiuti (mere accidents and auxiliaries).

Supposto anche che

la distinzione

delle

due

scuole poetiche fatta dal critico inglese sia vera

ed esatta rispetto alla poesia della sua nazione,


della quale soltanto egli parla, io dubito

molto
cri-

ch'ella possa, secondo

canoni della buona

tica ed un giusto ed intero apprezzamento dei


fatti,

applicarsi senz'altro, senza nessuna

modiin

ficazione

restrizione,

alla

poesia

europea

generale, ed alla italiana in particolare.

Anche dubito che


l'influenza del
lo

sia

un esagerare
il

di

molto

Wordsworth

chiamarlo, come

Zanella

fa,

capitano della

nuova

scuola

in

Europa. Nessun dubbio ch'egli, insieme col Byron, collo Shelley,


terra

col Coleridge, fu

in

Inghil-

uno

dei capi pi illustri di quel

movimento

che, iniziato da Robert Burns e

William Cowper,

contribu grandemente a modificare nella prima

met del secolo

la poesia

europea,

vi

spir

un

alito di vita

nuova;

ma

fuori della Inghilterra

88

Libro Primo

l'influenza di lui fu ben piccola, fu certo minore


di

quella del Byron. L'esagerarla,

come ha
la parte

fatto

lo Zanella,

anche un disconoscere

che

in quel

movimento ebbero, ciascuno pi


ed efficacemente
altri poeti
il

diret-

tamente
nazione,

rispetto alla propria


illustri,
il

non meno

Goethe,
Italia

lo Schiller,

Lamartine, Victor Hugo. In


del

poi l'influenza

Wordsworth mi pare
non
si

tanto vede.

impercettibile, che starei per dire

Se

si

chiedesse allo Zanella di partire

in

due
tutti

schire,
i

secondo

la distinzione

da lui

fatta,

poeti italiani

moderni

di

qualche valore dal

Manzoni in

gi, egli si troverebbe, credo,

non poco

imbrogliato. Le ragioni che dividono in Italia la

scuola nuova dall'antica

sono molto pi com-

plesse e sostanziali di quelle, anzi di quella as-

segnata dallo Zanella: c' (per non dire altro)

qualche poeta che, mentre per

lo spirito e la so-

stanza dell'opera sua appartiene indubitatamente


alla

nuova scuola, d poi tanta importanza

alla

espressione poetica e al metro, che pi non gliene

diedero mai

pi rigidi classicisti.
II

La
sciato

lettura dello scritto dello Zanella

m' ha

la-

questa impressione: eh' egli, fatta la sco-

Due

poeti inglesi

perta delle scellerate

dottrine del

Wordsworth,
lui,

abbia creduto

poter

buttare sulle spalle di

scrittore accurato, e finissimo conoscitore dei se-

greti dell'arte, tutte le colpe di tutti

poeti che

non sanno

scrivere.

Sentano

lettori

come

l'il-

lustre Zanella ragiona.

Parlando del Gray,


egli

il

Wordsworth

dice

che

fu alla testa di que' poeti che co' loro radi allargare lo spazio

gionamenti tentarono

che

corre fra la prosa e la composizione metrica, e


fu pi
ficioso
tica.

che
nella

altro scrittore

studiosamente

arti-

struttura

della

sua dizione poe-

Altrove dice, la poesia non essere altro


lo

che

spontaneo sfogo di una vivida sensa-

zione.

Finalmente raccomanda

ai

poeti,

di

scegliere accidenti e situazioni della vita coe descriverli


il

mune,

per

quanto

si

possa collo

scegliere

linguaggio usato realmente dagli uo-

mini, e nello stesso

tempo

gettare sopra essi

il

colorito dell' immaginazione, per cui le cose or-

dinarie

si

presentino all'altrui mente in aspetto

nuovo.

Riferite e combattute,

con

le

parole

medesime
Zanella
la

del critico inglese,

queste dottrine,

lo

conclude

quale stato abbiano esse ridotta

poesia, visibile

anche

fra noi,

ove non manca

90

Libro Primo

chi
e

si

proponga a modello
la

di bel poetare

Browning
una

Swinburne,

cui poesia

pu

definirsi

prosa in convulsione.
del

Non
un

ripeter

quello che

Browning ha

detto

critico inglese

(Quar-

teria Revieyp, aprile 1869); ch'egli non mette

mai
in

in

carta

un' idea, che possa essere


altri

venuta
difetti
stile

mente ad
ne' suoi e

che a lui;
;

che

grandi
il

sono

poemi rimati

che

suo

ruvido
colpa

inarmonico:

ma

recher l'accusa di

pi

grave che allo Swinburne vien data


rivista inglese
(

da un'altra

Westminster Review,

aprile 1867), co 'P a in alcun

modo
aver

in

cne non P uo essere perdonata vista della eleganza dello stile.


che
ne'

Dopo

di

detto

poemi

di lui v'

poco indizio
che manca

di

meditazione e contemplazione;

in essi la vivacit delle descrizioni, sia

nell'accurata e minuta maniera del


sia nella pi rapida e vigorosa del

Wordsworth,

Byron, accenna

alla

sua propensione
corrotto

di dipingere ci e

che v'ha

di pi basso,

schifoso

nella

umana
scritto

natura, e soggiunge: in tutto


lo

ci che

ha

Swinburne

si

nota

la

mancanza

di fede.

per fede noi


denza,

noti

intendiamo una religiosa cre-

ma

quella morale energia, quel segreto


le

principio che informa la vita e

anioni; sia

pur

fede nel dovere,

nella libert o nella virt. Simil

Due

poeti inglesi

91

fede ha fatto grandi Rousseau, Gcethe, Shelley,


Carlyle e Victor

Hugo, come

in

un

altro

campo
;

Giobbe, Ezechiele, Paolo e Giovanni di

Patmos

ma di questa fede non vestigio

nello

Swinburne.

L'accusa di morale deficienza, che pesa sul Byron, cade in doppia misura sul poeta di Dolores e di
Faustina; accusa che basta a dare
il

crollo alla

sua

fama

poetica.

III

Non
critica
fa,

mio intendimento prendere


lo scrittore della

in

esame

la

che

Qiiarterly

Review

e lo

Zanella ripete, delle dottrine del


io

Word-

sworth:

debbo affrettarmi ad esaminare ci

che esso Zanella ha detto del Browning e del

Swinburne: tuttavia osserver che, anche


scusse scusse
dottrine

cosi

come

le

ho presentate

io,

quelle

non mi sembrano poi

delle eresie.

Che

l'essenza della poesia, per esempio, con-

sista pi nel

pensiero del poeta che nelle parole

e nel metro, invece

d'una eresia

la

credo una

verit:

il

che

non esclude che

io dia al lin-

guaggio metrico un'importanza grandissima; che


io creda, cio,

che

il

poeta dee porre ogni cura


il

affinch esso esprima

pensiero suo nel

modo

92

Libro Primo

pi schietto, pi efficace, pi pieno.


il

Ma quando

poeta cerca e studia

l'

espressione poetica del

suo pensiero, non deve domandarsi, secondo me,

come avrebbero
Dante,
il

espresso
il

quel pensiero Virgilio,


lo

il

Petrarca,

Chaucer,

Shakespeare,

Pope, o chi

altri si sia:

l'espressione deve
il

ram-

pollare

dalla sua testa

come

pensiero stesso;

deve,

come

quello, essere tutta sua: e se d'una

cosa ha da rammentarsi mentre la cerca, s'ha

da

rammentare
e

ch'egli,

uomo

del

suo tempo,

pensa

scrive

per gli uomini del tempo suo.

Anche
l'arte

un'altra cosa: non bisogna confondere


l'artificio,

con

ma

piuttosto rammentarsi

che
l'

il

sommo

dell'arte sia nel

non cadere

nel-

artificio.

Chi ci cade pi facilmente sono

gli scrit-

tori
forte.

nei

quali la potenza del pensiero


scrittore che

men

Lo

tutto pieno del suo pen-

siero, cerca

quasi istintivamente l'espressione pi

semplice, eh' quasi sempre la pi efficace. Quegli


eh' tutto occupato a cercare la frase pi pelle-

grina, d gi con ci ragione di dubitare che

il

suo

pensiero non per lui la cosa pi importante.

Quando

il

Wordsworth chiama

il

Gray

scrit-

tore studiosamente artificioso,

non mi pare che

abbia poi

tutti

torti;

e credo che intenda biaartificio,

simare appunto cotesto

quando parla

Due

poeti inglesi

93

di poeti

che vollero troppo allargare

lo

spazio

che corre fra la prosa e la composizione metrica.

Prima che

il

Wordsworth

e gli altri poeti della

nuova scuola sorgessero,

la

poesia inglese (nosi

nostante l'opera del Burns e del Cowper)

era

quasi immobilizzata, o tendeva ad immobilizzarsi


nelle
detti

forme
buoni

letterarie consacrate dall'uso de' cosi


scrittori
:

la

vera bellezza della espres-

sione poetica, che

sta nella perfetta

rispondenza

di essa col pensiero, si faceva consistere nell'ac-

cozzo fatto pi o
le

meno

sapientemente, secondo

norme
si

degli scrittori antichi, di parole le pi

che

potesse rimote dall'uso.

La

differenza fra

la poesia e la

prosa
del

si

credeva che stsse tutta

nella
forti,
lit,

diversit

linguaggio: e gl'ingegni pi

che non sapevano adattarsi alla


e

immobidi

volevano pur fare qualche cosa


il

nuovo,

esageravano e sforzavano

linguaggio poetico,

allontanandosi a tutto potere dal naturale, e ca-

dendo talora nel barocco


Intanto, assuefatti

e nel contorto.

cercare e
le

riconoscere

il

proprio pensiero a traverso


scrittori

forme

altrui, gli

o ricevevano dalle cose un'impressione


forte,

meno immediata, meno


la
le

meno

personale, o

indebolivano e la sciupavano nel renderla con


parole. Questo,

come

in Inghilterra,

accadeva

94

Libro Pritno

pi o
in

meno, salvo

certe differenze, in

Francia,

Germania,

in Italia. e

Venne un momento,
si

doveva venire,
il

nel quale
gli scrit-

senti quasi istintivamente

bisogno che

tori si

mettessero un po' pi a faccia a faccia colla

natura, la interrogassero francamente e schietta-

mente, senza

intermediari, e

riproducessero a

modo

loro

le

impressioni

che

ne

ricevevano.
sta
il

Neil' aver

sentito e predicato

ci,

merito

vero della nuova scuola;

ma

che tanto nel presi

dicarlo quanto nel metterlo in pratica talora


cedesse, chi lo vorr negare?

ec-

Chi vorr negare


si ri-

che nella furia della reazione non sempre


spettassero, quanto
della lingua e della

pur

si

doveva,

le

tradizioni

letteratura? che

della rea-

zione profittassero tutta quella

gente povera di
alla letteratura,

ingegno

e di studi,

che

si

danno

credendola un mestiere da scansafatiche, ne profittassero, dico,

per bandire colla parola e collo


scrittori

esempio l'assoluto affrancamento degli


dalle regole della

grammatica, della logica, della

retorica

IV

Ma
al

il

modo

di ragionare dello Zanella rispetto

Browning

e al

Swinburne

(diciamolo pure)

Due

poeti inglesi

95

veramente
scrittore,

curioso.

Dunque, secondo
chi
si

l'

illustre

Tesserci in Italia
il

propone a
il

modello di bel poetare

Browning ed

Swin-

burne tutta colpa


wordsworthiane. Se
farei

di quelle scellerate dottrine


lo

Zanella permette, io
di

gli

una domanda:

lo

pregherei

dirmi chi sono

dove sono

in Italia g' imitatori del


io,

Browning
non

e del
li

Swinburne, perche'

dico la verit,

vedo.

Lo

Zanella forse nauseato e indispetquella


il

tito di

tutta

scempiata rimeria italiana,


diceva che un po' di
gli do,

per la quale

Carducci

Melikoff non guasterebbe; e di ci


una,

non

cento

ragioni

ma

mentre

gli

do queste
che
il

cento ragioni, ho l'onore di assicurarlo

Wordsvvorth,

il

Browning ed
lui,

il

Swinburne sono
pi, di quelle

innocentissimi, quanto

se

non

scempiataggini.
Il

Browning

il

Swinburne, per chiunque coopere loro e


la

nosce un poco

le

odierna lette-

ratura inglese, sono incontestabilmente due grandi


poeti
:

non non

e'

oggi

in

Inghilterra

nessuno

(salvo

sia

uno sciocco o un ignorante) che,


le

anche disapprovando
loro,
si

opinioni

e le teoriche

non

parli di loro col rispetto


alti

che sempre

deve agli

ingegni.
fa,

Ma, specialmente qualche


essi

dieci

o venti anni

furono

come quasi

96

sempre
J

al

loro apparire

gli

uomini d'ingegno

escono dalla via comune, o tentano qualche


novit,

ardita
tatti

come

il

Byron,

come

lo Shellev,

segno ad acerbissime critiche.


Inghilterra
i

anche oggi

sono; perche in
...\no.

conservatori abse

sono pi tenaci che altrove:

non

che sta di contro ad essi la parte pi avanzata


e pi eletta dei critici e dei poeti,
i

quali

hanno
di

per

il

Browning

per

il

Svdnburne parole

viva simpatia e di ammirazione.


Io

non so dove
la

lo

Zanella sia andato a pe-

scare

definizione
e

che d della

poesia

del

Browning
prosa
in

del

Swinburne.
e

chiamandola una
so

convulsione,

nemmeno

come

gli

sia saltata in

capo V idea bizzarra

di abbracciare
c-

con essa in un medesimo poco gentile ab;

ciamento due poeti


disparati
chi.

d"

ingegno

di gusto cosi
si

come sono

que" due.
al

Che

direbbe di

volendo biasimare

tempo

stesso la

musica

del

Rossini e del Wagner, dicesse che l'una e


orecchi?

l'altra straziano gli

Lo

Zanella ha. mi

pare, fatto qualche cosa di somigliante.

Vedendo poi
cita

che, a

condannare

il

Browr.
:3..

un

articolo di giornale di tredici anni

uno

di quindici
io

anni

fa a

condannare

il

Swin-

burne,

quasi quasi sarei tentato di credere

Due

focl inglesi

97

eh' egli, senza perdere troppo

tempo

a leggere le
e di

opere loro,
lettura

le quali

veramente sono molte

non molto agevole a un

italiano, abbia

stimato di poterne parlare sulla semplice infor-

mazione

di que'

due

giornali.

Certo

il

modo

sa-

rebbe stato sbrigativo;

ma

sarebbe stato egualsarebbe stato pi

mente giusto

e corretto?

Non

giusto e pi corretto sentire almeno qualche altra

campana? Che direbbe

l'illustre

Zanella se uno

straniero, a giudicare le sue poesie, citasse sol-

tanto ci che di quelle scrisse Vittorio Imbriani?

Quanto

al

Browning, ne parleremo poi; ora

parliamo del Swinburne.


convulsione
la

Chiamare prosa
Swinburne vuol
letta....

in

poesia del
letta,

dire

non averla mai


dir come.

o averla

non saprei

Tanto sarebbe accusare

di prosaica la

poesia dello Shelley e di Victor


i

Hugo, che sono


Swinburne ha

due

poeti

moderni coi quali


Anch'
egli

il

maggiore

affinit.

un poeta immail

ginoso e musicale per eccellenza:

difetto

ca-

pitale della sua poesia la soverchia profusione


d'

immagini
il

e di suoni, che talora offusca e quasi


e

cuopre
7.

pensiero,

nuoce

alla

purezza della

Chiarini.

98

Libro

Primo

composizione. Certe sue poesie sono abbaglianti

come

fuochi d'artifizio, sonore


lo

come un pezzo
vuol

di

musica del Rossini. Se


quanto

Zanella

vedere
si

prosaica la poesia

del Swinburnc,

provi a tradurla in prosa letterale italiana.

Tuttavia quest'appellativo di prosa


vulsione ancora
il

in

con-

meno male;

il

mano
la

male,

dico, rispetto alla logica; perch

almeno

cosa

ch'esso vuol significare


dirla in parte

si

potrebbe, se fosse vera,


delle
scellerate

una conseguenza

dottrine wordsworthiane;

ma
il

che colpa abbiano

queste dottrine

dell' essere

Swinburne un poeta
e
1'

senza fede, immorale, poco meditativo


alla descrizione, dell' essere cio tutto

inetto

opposto
morale,

del

Wordsworth,
e,

il

quale fu credente,

meditativo,

per consenso dello stesso Zanella,


;

vivace e accurato nelle descrizioni


l'avere la poesia del

come

dal-

Swinburne
sia

imitatori in Italia

(dove

io

credo

invece che
si

pochissimo

da
il

pochissimi conosciuta)

possa argomentare

danno che
italiana; le

le

dette dottrine

han

fatto alla poesia


il

son

cose.... cose,

direbbe

Carducci,
quella

che paiono case; case nelle quali

la logica,

almeno che conosco

io,

non ha messo mai piede.


il

Non
tale del

basta.

Fino a tutto
era

1867 l'opera capidi soggetto

Swinburne

un dramma

Due podi

inglesi

99

e di

forma greco, Atalanta

in

Calydon;

molte

delle sue liriche erano, nell'argomento, nello spirito, nella

forma, antiche e pagane, cio tutto l'opil

posto di ci che predicava e faceva

Wordsworth.

Non
rale al

basta ancora. L'accusa di deficienza

mo-

Swinburne, che

si

poteva intendere
si

e scu-

sare nel 1867,

non

intende e non
il

pu scu-

sare
i

oggi,

dopo che

poeta scrisse e pubblic


dell' alba),

Songs before
si

Sunrise (Canti
il

coi

quali

dimostr

discendente
il

prosecutore
ap-

dello Shelley e del

Byron,

propugnatore

passionato ed entusiastico delle idee politiche sociali religiose dell'autore della

Queen Mah

e del
ci

Promethcus nnbound. Quale distanza poi


fra la fede dello

sia

Shelley e quella del Wordsworth,

chi ha letto le opere loro lo sa.

Non
non mi
dello

basta ancora.

Se

il

lume

della ragione

s' affatto spento,


si

parmi che dal discorso


il

Zanella

desuma anche questo; che


le

Swinburne, seguendo
gran banditore
male,
e

dottrine del

Wordsworth,
di

maestro dell'arte

scriver

ma
uno

viceversa descrittore vivace e accurato,

fu viceversa

anche

lui,

bench inetto a descri-

vere,

scrittore

elegante.

Ma come non
i

s'

accorto l'illustre
tici

Zanella che
citati

giudizi dei criai

inglesi

da

lui

facevano

cozzi

fra

ioo

Libro

Primo

loro? e che, a volerli mescolare insieme, non

si

poteva cavarne altro che un grande pasticcio di


contradizioni?

VI
Le qualit poetiche
appare anche dal
quelle che
le

del

Swinburne sono, come

pochissimo che ho detto, di

danno facilmente nell'occhio; perci


i

riconoscono anche
i

pi acerbi fra
il

suoi cri-

tici,

quali biasimano pi che altro


delle sue poesie.

contenuto
dirsi al-

e lo spirito

Non pu
non pu

trettanto del

Browning. L'opera poetica

di lui,

vasta, originale, sorprendente,

essere, e

non

giustamente apprezzata che da un piccolo


artisti e

numero, dagli

dai poeti: la grande

mag-

gioranza del pubblico, anche in Inghilterra, non


la
il

intende e non la gusta.

Con

tutto ci (perch

nome

di vero poeta

oggimai non pu pi darlo

il

popolo) egli riconosciuto per uno dei

mag-

giori poeti del

suo tempo, capo di una scuola

non molto numerosa,


ha, per giudizio di

ma

molto

rispettabile, ed

un

illustre critico,

H. Buxton

Forman,

esercitato un' influenza


i

notevole sopra

quasi tutti

poeti inglesi contemporanei.


si

Ma

lui

almeno

pu, sotto

un

certo rispetto,

considerare

come seguace

delle dottrine del

Word-

Dui

poeti inglesi

sworth; anzi, bench poeta per


diverso, e d'idee

altri rispetti

molto

molto pi larghe,
pi

forse quegli

che

ha

fatto

la

splendida

applicazione di

quelle dottrine; e l'accusa di prosaica data alla

sua poesia almeno

si

capisce.

Anche

si

capisce

che sia stato detto, eh' egli non mette


carta
un''

mai

in

idea che possa essere venuta in mente

ad

altri che

lui;

ma non

si

capisce

come

di ci

gli si

voglia dare biasimo invece che lode. Per


il

capirlo, bisognerebbe essere persuasi che


glior

mi-

modo

di

meritar lode in poesia quello di

rifriggere le idee gi fritte dagli altri.


Il

Browning

fra
il

poeti

moderni

il

pi serena-

mente oggettivo,

pi sinceramente largamente e
ch'io

profondamente umano

mi conosca. Tutta

la

sua poesia un lungo studio ed una schietta rappresentazione dell'uomo interiore, di ogni condizione, di ogni tempo, di ogni luogo.

Dovunque

passato un essere umano,

dovunque ha

lasciato
di

traccia del suo passaggio, ivi

un argomento
il

meditazione, un soggetto di poesia per

Browning.
pitocco,

Che
un

quell' essere sia

un imperatore o un

un eroe o un malfattore
cretino,

volgare, un filosofo
cristiano,

un pagano o un

un antico

o un moderno, un artista famoso od oscuro; che


i

fatti

da

lui

compiuti

sieno

piccoli

o grandi,

102

Libro Primo

conosciuti od ignoti, ci poco importa al poeta:


tutti
i

fatti

umani sono un prodotto


tali,

dello spi-

rito, e,
lui.
Il

come

tutti

hanno un

interesse

per

soggetto del suo maggior

poema

in dodici

canti

un omicidio
libro

volgare, e gli fu suggerito

da un vecchio
la

comprato

Firenze sopra
li

panchina del palazzo Riccardi,


i

da San Lo-

renzo, dove

rivenditori di roba vecchia

tengono

esposta la loro mercanzia.

Come
ossami

al

geologo

bastano poche schegge


la storia di tutto

di

e di sassi

per rifare

un

periodo della vita del nostro globo, cosi al Brow-

ning bastano poche tracce d'azioni umane per


rifare

tutta la storia di un' anima, anzi costrin-

gere cotest' anima a levarsi dal regno dei morti


e

raccontarci

essa

stessa

ci

che

fu,

pens ed

oper. Egli ha guardato cosi addentro nel cuore

umano
i

e nella storia antica e

moderna

di tutti

popoli, che gli

uomini che

fa rivivere

nei suoi
lui,

versi pare
egli

non abbiano avuto


loro

-segreti

per

ed

pare

concittadino

contemporaneo,

tanto ha saputo stampare in essi viva e forte la

impronta del luogo

e del

tempo

in

che vissero.
alla poesia

L'accusa di prosaica, che vien data

del Browning, deriva dalla soverchia semplicit


alla

quale egli talora

si

lascia andare scrivendo,

Due

poeti inglesi

ioj

o che forse cerca deliberatamente per amore di


contrapposti. Io non
se l'accusa
sia,

mi arrogher
no, meritata;

di

giudicare
senta un

ma

po' lo Zanella

come
gli

parla del

Browning taluno
:

dei

critici

che
il

fanno quella accusa

Noi

riconosciamo
cosi

Browning per un genio poetico


che nessuna supedi

superbo

e straordinario,

riorit d'arte, sia


di

pure quella
di

un Tennyson,
altri,

un Swinburne, o

qualunque

nessun
to-

uso poco retto delle sue proprie facolt pu


gliergli

uno

dei primi seggi fra

nostri poeti vitre

venti (i).

Cosi scriveva
critico

W,

M. Rossetti
Zanella,

anni

prima del
cio
il

citato

dallo

quando

Browning non aveva ancora pubblicato


quando non
il

parecchie delle sue opere capitali,

aveva pubblicato

l'opera

sua

capitalissima,

poema
lato

in dodici canti al
il

quale accennai,

intito-

V anello e

libro

(The ring and the baok).


grandi
difetti
il

All'altra accusa, che

sono nei
stile

poemi rimati del Browning; che


vido e inarmonico,

suo

ruil

mi baster contrapporre

giudizio dell'altro critico gi citato da me, H. Br<-

xton Forman. Parlando della innovazione recata

(i) Swinburne' s Poems and ballads, A Criticism by William Michael Rossetti; London, 1866, pag. 49.

104

Lb'o

Primo

nella poesia inglese dal


sta

Browning,

egli dice

Que-

innovazione consiste nel riservare


dei

la poesia
e

alla descrizione
trattarli

moti

dell'

animo umano,

con una minuziosit ed accuratezza

di

analisi affatto

nuova
e

e
il

con una speciale cura di


ritmo
alle

adattare

il

metro

esigenze d'ogni

soggetto
dice

(i).

del

poema

intitolato

Sor dello.

che pieno di squisite beitele, che avvi


di

una esuberante rcchefa


e

sonore espressioni,
shel-

che vi

spira una

fragranza di poesia

lej'ana, rinvigorita dalla


dello stile (2).

grandiosa originalit

Potrei aggiungere

altri giudizi di altri scrittori;

ma

baster.

VII
Baster. Io
del

non ho voluto prendere


e del

la difesa le

Browning

Swinburne contro
due
critici

accuse
quali
in

dello Zanella e dei

inglesi dai

egli si lasciato rimorchiare

(n sento

me
bi-

autorit da ci, n

due grandi poeti hanno

sogno delle mie


dire e

difese); io

ho voluto soltanto
il

provarmi a dimostrare che

giudizio di

(1)
(2)

Forman, Our
Op.
cit.,

living foets; pag.

106.

png.

109.

Due

focti inglesi

105

quei due

critici,

risuscitato dallo Zanella sulle

pagine della

Nuova

Antologia, non
sopra
dire e
il

il

giudizio
il

della nazione inglese

Browning ed

Swinburne; ho voluto
strare che
il

provarmi a dimo-

modo
ai

col quale l'illustre poeta ita-

liano

ha parlato

dei

due poeti

inglesi

non

molto conforme

canoni della buona


di
;

critica.

Per giudicare l'opera

uno

scrittore

non

c'

veramente che un modo


con diligenza

studiarla,

analizzarla
le

e coscienza, e
;

dare poi

ragioni

del biasimo e della lode


nieri,

ma

trattandosi di stra-

se

ne pu ammettere anche un altro; raci

cogliere tutti

giudizi dei critici, cosi favorevoli

come

avversi, e tirarne la conchiusione,

me-

glio, lasciarla al lettore.

L'illustre

Zanella

non ha

fatto,

mi

pare, n

l'una cosa n l'altra; e ha fatto male, mi pare.


18S1.

SU

L'

ATTA TROLL

ENRICO HEINE

SU L'ATTA TROLL
ENRICO HEINE

el luglio del i84i Enrico Heine era a


Cauteretz,
delizioso

villaggio
alti

con sta-

zione di bagni negli

Pirenei. Cost

medit

forse, e

cominci forse a scrivere YAtta

Troll, ch'egli dice avere

composto

sul finire del(i).

l'autunno di quell'anno medesimo


Pochi, credo
la piccola
io,

non conoscono anche


filosofo,

fra noi

epopea dell'orso

che

la

tradu-

zione in prosa francese pubblicata dall'autore ha


reso abbastanza popolare. Atta Troll ballava

un

(l) Alla Troll, Vorrede.

Libro

Primo

giorno sulla piazza di Cauteretz insieme con la

Mumma,

la

sua nera sposa;


di

lui
lei

grave e serio

come un Grande
rammentarle

Spagna,
il

con tanto poca

grazia e decoro, che


a

conduttore era costretto

di tratto in tratto la

decenza con
-

qualche buona frustata: quand'ecco

che

che

non

?-

l'orso
gli

ha spezzato

la

sua catena;

tutti

gentilmente
salto

fanno largo; egli guadagna d'un

l'erme rupi, e scompare nel monte. Atta


la

Troll ritrova ben presto in un orrido burrone

sua tana, ed
i

in questa
vita,
i

figli.

Raccontati ad

essi

casi della

sua

suoi lunghi patimenti, ed


ballare gli avea procacil

grandi successi che

il

ciato fra gli

uomini (perch

vecchio filosofo ha
sua e

pure
il

la

sua vanit
in

d'artista), egli sfoga l'ira


il

suo dolore

amari lamenti contro

genere

umano., che ritiene prigioniera la sua

Mumma,
animali;

che opprime iniquamente


e con calde parole
si

tutti gli altri

studia d' instillare nel cuor

dei

figli

sentimenti di libert, di eguaglianza, e


i

d'infiammarli alla riscossa contro


sori. Figli, egli dice

loro oppres-

un giorno,

figli,

l'avvenire
gli aniil

nostro, solo

che noi vogliamo:


e

tutti

mali

si

uniscano a noi,

cadr ben tosto


il

regno

dei vili usurpatori, e sorger


stizia.

regno della giu-

Una

perfetta eguaglianza sia la legge fon-

Su ? Atta Troll d Enrico Heine

damentale: tutte

le

creature di Dio siano eguali,

senza distinzione di credenze, di pelame, d'odore:


Tasino sia ministro
e

vada a Corte,

il

il

leone vada

col sacco al mulino.


11

figlio

minore, ch'era

prediletto della

mamun

ma, e fu chiamato Unorecchio, perch'essa un


giorno facendo
il

chiasso con

lui

gli

stacc

orecchio

di

netto, quegli a cui

pi

spesso e

pi specialmente
Troll.

sono
il

rivolte le parole di Atta

lui

padre (Kaput Vili) una bel-

lissima lezione di morale religiosa; lui conduce

una

volta a

mezza

notte nella selva degli abeti

(Kaput X),

e lo fa, dinanzi a

una

pietra ove gli

antichi druidi offrivano al cielo sacrifizi di vittime

umane, giurare
uomini.
Intanto
il

odio

eterno

alla

stirpe

degli

poeta, che da un balcone sulla piaz-

zetta di Cauteretz

avea veduto fuggire Atta Troll,

e per quello spirito profetico,

onde
dotati,

tutti

poeti,

un

po' pi

un

po'

meno, sono

avea avuto
lui,

sentore delle

mene

rivoluzionarie di
il

accom-

pagnato da Lascaro,
cui le arti della
rente,
fiero
si

morto

figlio

d'una strega,
vita appa-

madre prestano una


in

mette

viaggio

per

alla

caccia del

nemico del genere

umano. Dopo lunghe


le

peregrinazioni,

sempre seguendo

tracce

di

12

Libro Primo

Atta Troll,

il

poeta e Lascaro arrivano alla ca-

panna
la

della strega,

dove questi

lien consiglio

con
il

madre, del modo onde trarre


orso

in

agguato

ribelle

ed

ucciderlo.

Il

grave e nauseante
la

odore di spezieria ch'empiva

stanza, e

una

lunga

fila

d'uccelli impagliati che pareva al poeta


si

lo guardassero fiso fiso, turbaronlo


gli

fattamente e
si

misero una

tal

confusione nel capo, ch'egli

affacci alla finestra per prendere

un

po' d'aria

intanto che Lascaro e la


al focolare

madre stavano intorno


piombo per
le

struggendo

il

palle che

dovevano uccidere Atta Troll. Era

la notte di

San
il

Silvestro; la luna

splendeva pienissima; e

poeta vede passare nel


la

burrone sotto

la

sua

finestra

lunga processione degli

spiriti

che

escono
(l)

alla caccia selvaggia (i).

la pi strana

La

Caccia selvaggia (Die wilde Jagd) descritta dal

poeta (dice Karl Hillebrand nelle note alla mia traduzione dell'Afta Troll) una vecchia leggenda tedesca molte
volte trattata dai poeti e dai pittori. Ci sarebbe da scri-

vere intorno ad

essa

un volume. La

mitologia tedesca

narra

il

viaggio notturno di

Wodan

a traverso l'aria, se-

guito dalle Valchire [IValkiiren), vergini marziali, che por-

tano via
Il

corpi degli eroi caduti sul

campo
dei

di battaglia.

Cacciatore selvaggio (Der

wilde Jager)
i

tempi
il

cri-

stiani,

che seguito da

tutti

malfattori corre

mondo,
una

dovunque passa porta sventura, non

altro che

tra-

dizione modificata della Wilde Jagd. Questa del Cacciatore

Su l'Atta Troll

d Enrico

He in e

113

compagnia

di

gente

che

si

possa

immaginare:
Francia,
il

accanto a Nembrotte Carlo

di

re

Art

il

danese Ogiero, Goethe, Shakespeare

col suo

commentatore tedesco Francesco Horn,


vien dietro a fatica
la

che

gli

sopra un asinelio,

Diana,

fata

Abonda, Erodiade.
il

Questo

folle

baccanale, in cui

poeta ha voluto rappresen-

tare l'ebbrezza dei suoi propri pensieri (osserva


lo

Schmidt) avrebbe potuto

inventarlo

anche

l'Hoffmann,

ma

nell'Heine quanto pi splen-

dida l'esecuzione!

L'Hoffmann non vede


le

in

una

forma chiara e netta n


stiche,
I

sue immagini fanta-

le

cose reali, di cui vuol fare la satira.


al
e,

fantasmi dell' Heine

contrario balzano fuori


a cosi
dire,

dal

suo

cervello

vivi

palpabili,
ti

e s'intrecciano in leggiadri arabeschi che

fanno
i

mal tuo grado

sorridere

(1).

Un'altra volta

nostri cacciatori dell'orso son sorpresi dalla bufera sopra


il

monte, dove non c'era n un fiacre


tutti inzuppati.

n un albero, e tornano a casa

La
pili

selvaggio forse la leggenda pi generalmente nota e


viva nella
zione,

Germania. L'Heine

stato
tutti

fedele
i

alla tradicri-

mettendo nella Wilde Jagd


tutti

nemici del

stianesimo, o almeno
ispirazione

quelli tra

gli

scrittori la cui

non

fu cristiana.

(1) Julian
seti Lessing's
8.

Schmidt, Geschichle der

de-uischen Literatui'

Tod, Dritter Band, Zweites Buch, 3.

Chiarini.

H4

Libro

Primo

strega asciuga alla meglio

il

poeta, che preso

da

sopore

si

gitta sulla paglia, e cogli occhi aperti

vede intanto ch'essa, mormorando parole inintelligibili,

unge

il

petto ed

il

fianco di Lascaro
sia

con un unguento
sto
il

rosso, e
la

s'immagina che

que-

balsamo onde

strega infonde nel figlio

una

vita

misteriosa. Oppresso

dall'odor grave
il

della stanza, dall' ululare del vento entro

ca-

mino,

e dal terrore

che gl'incutevano
alfine

le
si

sconce
addor-

faccie degli uccelli impagliati,

menta;
danza

sogna,

vede
spettri.

in

sogno una strana

di orsi e di

un

tratto
si

un orso
desta.

villano lo pesta in

un

piede, ed egli
lui,

Atta Troll ha un sogno anche

un sogno

che

gli

predice vicina la sua

fine, e ch'egli rac-

conta non senza lacrime

ai figli.

Non ha

finito

appena

il

racconto, che gli par d'udire la voce

della sua
gli

Mumma:

a quel
giti

suono
letto,

trasalisce, drizza
e

orecchi, salta

dal

come pazzo

corre fuori della caverna gridando:

O Mumma,
n
pi
ne'

o tuia nera

Mumma!

Ahim,

lo sciagurato corera,

reva

alla

morte.

Quella voce
della

meno, un infame tranello

strega.

Mentre

Atta Troll andava fiutando ogni balza della valle

ove credeva poter essere nascosta

la

sua sposa,

Su

l'Alia Troll

ili

Enrico Heine

115

una

palla del fucile di Lascaro, che stava rim-

piattato ad aspettarlo, lo feri proprio nel cuore,


si

che ne sbocc fuori un torrente di sangue. Fece

barcollando due passi, e cadde, cadde col


di

nome

Mumma

su

le

labbra.

L'orso morto viene portato in processione pel


villaggio: indi gli cavata la pelle, che

venduta

all'incanto e divenuta

un tappeto, va finalmente

a cadere nelle

mani

di

un amica

del

poeta.

Il

quale poi passeggiando un giorno con essa nel

Giardino delle piante a Parigi, vede un orso di


Siberia, bianco

come

neve, che faceva la sua corte

ad un'orsa.
era la

E quest'orsa era propriamente lei, Mumma, la vedova di Atta Troll, la figlia

dell'ardente Mezzogiorno, che accettava le galanterie

d'un barbaro del Nord, di un russo.

II

Qual'

la figura reale

che

il

poeta ha voluto

nascondere sotto
Troll?

la pelle dell'orso?

Chi
il

Atta

delineare con pochi tratti


il

carattere

del suo eroe,


gli

poeta

immagina che un giorno


una statua
nel

sar fatta innalzare

Walhalla

1 1

Libro Primo

dal

Re

di Baviera,

con questa epigrafe nello

stile

lapidario proprio di esso re:


Atta Troll, Orsa-tendenza;
Pio,

morale

ardente sposo

Per lo spirito dei tempi


Sanculotto furioso;

Mal danzante;
Convinzioni
in

irsuto petto

s chiudente;

Non

talento,

ma

carattere

Qualche volta un po'

fetente.

Chi

dunque Atta Troll? Atta Troll


amante

il

filisteo

tedesco, virtuoso, liberale,

della patria, che

porta

capelli lunghi, che fa la ginnastica, che

nutre un superbo disprezzo pei popoli corrotti di

sangue

latino,

che

si

guarda con gran cura dal


il

macchiare

di voci straniere

suo nativo idioma.

E come

in

Germania

la scuola

romantica pura

attribu a

se' il

monopolio

della virt, del liberae


i

lismo, dell'amore di patria;

come

purissimi

dei romantici tedeschi furono

poeti svevi; Atta

Troll anche

la satira

del romanticismo tede-

sco in generale, e della scuola sveva in particolare.

Ma
in

(cosa
versi

strana,
dell'

per

la

quale

il

piccolo

poema
bile al
tes)

Heine parmi rassomiglia-

gran poema in prosa di Michele Cervanlo

Atta Troll anche, come

chiama

egli

Su

l'

Aita Troll di Enrico Heine

stesso
tici

il

poeta, l'ultimo libero canto dei

roman(1).

(das letzte freie Waldlied der romantik)

Dopo aver

portato

colpi

pi mortali

(dice

l'autore nelle sue


la

Confessioni) alla passione per

poesia romantica in Germania, fui d'un tratto


io stesso

nuovamente preso

da un

infinito

amore

del fiore azzurro nel paese dei sogni del


ticismo, e tolsi in
tai
le

romancantutte

mano

la lira incantata, e

un

canto, nel quale

mi abbandonai a

meravigliose esagerazioni, a tutta

l'ebbrezza
di quella

del chiaro di luna, a tutta la strana


folle

magia

musa che

io

aveva un

di tanto

amata. Io so

che quello fu l'ultimo canto del vero romantici-

smo, e che
Troll

io

sono l'ultimo suo poeta

(2).

Atta
il

dunque l'ultimo cavaliere

errante,

Don
fatale

Chisciotte del romanticismo tedesco.

per-

ch la satira riuscisse perfetta, era, direi quasi,


che l'autore
dei
la scrivesse nella

quartina ot-

tonaria
glioso

romanzi spagnoli,

in

quel meravialtri

metro romantico, pel quale, come

disse, egli dal racconto comicamente epico aliasi

con tutta facilit e felicit alle volate liriche e


fantastiche
(3).

(1) Aita Troll, (2) H. Heine,


(3)

Kaput XXVIJ.
Gestndnisse.

Za

Vedetta, giornale bolognese,

29 ottobre 1876,

n. 11.

1 1

Libro

Primo

Dopo aver
desco,

detto che Atta Troll


forse inutile

il

filisteo te-

non sar

un

po'di

commento

a questa parola filisteo.


Il

lettore si

rammenter che

Filistei

erano

una piccola nazione


gamente
in

della Siria, la quale fu lunsi

guerra col popolo ebreo;

rammen-

ter eh' erano gente robusta,

ma

grossa di cer-

vello e dura,

mentre

gli

Ebrei, che per ben due

volte furono da loro soggiogati,

ma

seppero laril

gamente vendicare
polo eletto, progresso;
il

le

loro sconfitte, erano

po-

popolo della luce, della

civilt, del

si

rammenter che Sansone con una


si

mascella d'asino ne uccise ben mille;


ter

rammenarme

che
la

il

piccolo David mosse senz'altra


il

che

sua fionda contro

gran

filisteo,

il

gigante

Goliat, e lo atterr, e toltagli la spada, e


gli

mzzoi

con essa

il

capo, torn trionfante tra


gli

suoi.
ri-

queste reminiscenze

faranno, io credo,

fiorire

nell'animo l'immagine d'una razza d'uoe volgare,

mini grossolana

moventesi senza garbo

n grazia, piena di s medesima, ostinata, arrogante, presuntuosa. Pare giusto a

me,

e parr,

credo, anche al lettore, quello che fu, se ben ricordo, osservato da Matteo Arnold
(i)

(i),

che cio
Heinrich

Matthew Arnold,

Essays

in aiticism:

Heine.

Su

l'Atta Troll di Enrico Heine

119

que' coraggiosi

rappresentanti
i

del
si

vero spirito
affidarono di
la

moderno

in

Germania,

quali

combattere e vincere l'usanza con

ragione,

ebbero una felicissima idea, allorch, allargando


il

significato della parola filisteo,

con

la

quale

gi fino da

tempo antichissimo
schernivano
i

gli

studenti delle
lo

universit

giovani provinciali,

affibbiarono ai loro oppositori


in filosofia.

in arte, in politica,

Come
umana
in
bili

in ogni nazione, cosi in ogni ordine della

societ, anzi in

ogni scuola, in ogni

setta,

ogni associazione,

ci

sono

filistei;

riconosci-

facilmente a un certo sussiego, non iscom-

pagnato mai da una certa goffaggine,

che
li

come

a dire, la pelle

onde madre natura


romantici o
classici,

ha

rivestiti.

Sieno

essi o

sieno

liberali

o assolutisti, sieno

progressisti o retro-

gradi, sieno realisti o repubblicani, sieno credenti

o increduli,

essi

son sempre un po' accademici,


po' pedanti; essi sono l'opposto

un

po' arcadi,

un

della disinvoltura, della semplicit, della grazia,

della eleganza; e perci odiano queste qualit e

chiunque

le

possiede

perci

odiano

spesso
le leggi,

l'uomo d'ingegno, che non cura o deride


ond' essi
perci
i

vorrebbero imbavagliare ogni cosa.


filistei

tedeschi

dovevano riguardare con

20

Libro

Primo

un santo orrore Enrico Heine, ingegno indipendente se altro mai, lucido, petulante, aggressivo;
e perci
il

Enrico Heine doveva essere


filistei.

il

pi

fiero,

pi terribile nemico dei

In ci sta forse
letteraria,

l'importanza maggiore dell'opera sua


la

quale,

come

gi
il

not l'Arnold, fu una guerra


filisteismo,

a morte contro

guerra

che dur

quanto

la vita dell'

autore (i).

Delle tre grandi nazioni che tengono oggi nel

mondo
tura

il

primato intellettuale
filisteo

le

due che da natedesca e l'in-

han pi del

sono

la

glese; la francese ne ha

meno

di tutte le altre

nazioni

civili d'

Europa.

Da

ci l'avversione delgli

l'Heine per gl'Inglesi; da ci

avvelenati strali

eh' egli lanci a destra e a sinistra


suoi,

sopra tanti

anche bravi

e stimabili, compatrioti;

da ci

la simpatia di

sua pe' Francesi. L'ingegno e l'animo


fu in verit,

Enrico Heine

non men che

te-

desco, francese. Io per


le ragioni politiche ci

rhe credo che, se furono

che lo fece andare esule

in Francia, ci che poi gli fece adottare questa

come seconda
per tutto
il

patria, ed ivi

fermare la dimora

resto della vita, fu la sua particolar


d' artista,

natura di poeta e

la

quale

col

tro-

(i)

Matthew Arnold,

op.

cit.,

loc. cit.

Su

l'

Atta Troll di Enrico Heine

vavasi

in

un ambiente pi a
egli forse Parigi la
il

confacevole.

Non chiam
lemme,
e
il

nuova Gerusala

Reno

Giordano che divide

confili-

sacrata terra della libert dalla terra dei


stei?
(i).

Se

io

son

riuscito a richi^inare

nella

mente

del lettore un'idea del filisteo, egli gi sente da


s,

senza bisogno

eh' io

mi provi a dimostrarfelicissima incarna-

glielo,

come

l'orso sia

una
Io

zione di cotesta idea.

mi compiaccio a imla

maginare quanto grande dovette essere


dell'artista
la

gioia

prima volta che

egli

vedendo ball,

lare

un orso
l
il

disse a s
filisteo

medesimo: eccolo
;

ec-

colo

mio

gioia

nella
;

quale

non

era niente, o ben poco, d maligno

poich pro-

veniva dal soddisfacimento di un bisogno dello


spirito.

Anche
un

l'

ingegno

un fenomeno come
del

tanti

altri,

fortunato

fenomeno,
la

quale

mostrano
lo

di

non conoscere
in

natura coloro che


assoggettare

vorrebbero

tutto e per tutto

alle leggi della piccola

morale umana; dico pic-

cola,

per distinguerla dalla grande morale della


i

natura, alla quale


altro obbediscono.

grandi ingegni primi d'ogni


ci

Naturalmente
cit.

sono taluni, a

(i) V.

Arnold,

op. cit, loc.

122

Libro Frin

cui quel godimento del poeta cagione di grande


ira e fastidio; e costoro

naturalmente gridano
il

alla

immoralit:
lestia

ma

anche

sole in estate reca


e

moca-

molte persone,

pu

talora esser

gione di morte; ci non per tanto nessuno os


finora accusare d'immoralit
il

sole,

e chiedere

che venisse esiliato dal cielo.


Io l'accennai gi,

non pochi

di

que

filistei

di

cui

il

poeta

fa

la

satira, anzi la

maggior parte

di essi in generale, erano brave e stimabili per-

sone

come avevano

il

loro merito e produssero

letterariamente politicamente e socialmente qual-

che buono

effetto le scuole, alle quali essi


alle quali

apparegli
il

tenevano; ed
poeta, che

appartenne anch'

appunto perci ne conosceva molto

bene

le

debolezze. Ne' vergognavasi d'avervi apanzi non senza

partenuto:
l'ultimo

compiacimento
il

nel-

canto dell'Atta Troll, chiama


dei sopii giovanili ch'ei

suo

poema un eco
a\\urre

faceva

con Chamisso, con Brentano, con Fouqn, nelle


notti ai

raggi

della luna (i).

Ma

quei

compagni

suoi

s'eran

fermati, ed egli avea se-

guitato a camminare.

di

questi e degli

altri

principali poeti romantici, Novalis, Tieck, Eicken-

(i) Atta

Troll,

Kaput XXVII.

Su

l'

Atta Troll di Enrico Beine

123

dorf,

Werner, Arnim, Immermann, Guglielmo


pu disconoscere
i

Mller, nessuno
li

meriti.

Non

disconosce lo stesso Heine, che di molti di loro

parla da critico, ora benevolo, ora malizioso ed


arguto, nel suo libro della Germania.

Ma quando
innanzi,

anche

la

scuola romantica e la poesia sveva non

avessero che
il

un

solo

nome da mettere
tale

nome

di Luigi

Uhland, esso

che basta

ad onorare non pure una scuola ed una provincia,

ma una

nazione.

Il

Goethe, a cui

la

scuola
al-

romantica fu molto antipatica, che diceva


l'

Eckermann:

lochiamo

classico ci che sano,

romantico ci che malaticcio


i

(1),

che

fu

molto severo verso

primi saggi

poetici

del-

l'Uhland, gli rese poi piena giustizia. Nel i832,

biasimando
litica,

il

poeta d'essersi dato alla vita po

diceva allo stesso Eckermann:


dalla
poesia,
e

Ci

lo di-

strarr

sar

una

disgrazia.

La

Svevia non
leale,

manca

di gente clta,

ben pensante?
di

eloquente,

da farne uomini

Stato,

ma

di poeti

come

l'

Uhland non ha che

lui solo (2).

Lo
lui

stesso Heine,

bench nella Germania

parli di

con un tono che certo non dove interamente


Eckermann,
Cotrversations de Goethe, traduites par

(1)

Dlerot.
(2)

Eckermann,

op.

cit.

24

Libro

Primo

piacere ai tedeschi ammiratori del poeta svevo,


bench' dica che
le

donne

cavalieri delle sue

Ro-

manie sono
non
il

d'aria e

non

di carne, bench' lo

chiam i

padre,

ma
ei
(i),

il

figlio della scuola romantica,


riceve'

dalla quale,

dice,

V intonatone,

in-

vece di darla
riconoscere
le

l'Heine

, direi

quasi, costretto a
dell'

grandi qualit poetiche


:

Uhland,

e cosi scrive di lui

Esso l'orgoglio dell'avla

venturata Svevia, e quanti parlano

lingua

te-

desca debbono rallegrarsi di questa nobile anima


di poeta. In lui
si

riassume

il

pi

delle

poesie
il

liriche della scuola

romantica, che ora


in

pub-

blico

pu amare ed onorare

un

sol

uomo.

noi

amiamo ed onoriamo quest'uomo

ora forse
di se-

cosi cordialmente,

perch siamo sul punto

pararci per sempre da lui

(2).

L'Heine scriveva
il

questo quasi

nello

stesso
le

tempo che
parole che

Goethe

diceva
riferite.

all'

Eckermann

ho sopra
vati-

Singolare

coincidenza

e singolare

cinio

Poich

l'

Uhland, bench vivesse ancora

altri trent'anni,

nient'altro scrisse che valesse ad


di poeta.
i

accrescere

il

nome suo

Anche Gustavo
due poeti della

Schwab, anche Giustino Kerner,


(1 )

H. Heine, Uebcr Dcutschland, Die romantische Schuk,


5.

Dritter Buch,
(2)

H. Heine,

op.

cit.,

loc.

cit.

Su

l'

Atta Troll di Enrico Heine

125

scuola sveva che per ingegno e merito artistico

vengono subito appresso


dall'

all'
Il

Uhland, sono lodati


che non
lo
gli

Heine nella Germania.

impedi

di scrivere
sjpiegel,

cinque anni pi tardi


terribile

Schwabensvevi,

quella

satira

dei poeti
Il

nella quale parla di loro cosf:


dei

pi notevole

poeti

svevi l'evangelico
un'aringa in

pastore

Gustavo
al-

Schwab. Esso
tri,

paragone degli

che sono soltanto sardelle, sardelle, s'intende,


sale.

senza

Egli

ha

scritto

alcuni
si

bei

canti e

qualche graziosa ballata;


si

ma
lui

capisce che non

pu paragonare con
(1).

lo Schiller,
il

con

la

grande

balena

Viene appresso
spiriti
al

dottor Giustino
avvelenati,

Kerner,

che vede

biroldi

ed una volta raccont

pubblico
di

con

la

pi

grande
sole,

seriet,

che

un paio

scarpe, affatto

senza aiuto alcuno, andarono adagio adaletto

gio per la stanza fino al

della

profetessa

(1)
di

La prima

volta che lessi e tradussi questo pezzetto


presi
la

prosa heiniana,
il

parola Wallfsch,

che vuol
vuol
;

dire balena, per

nome

di

un poeta. Se
ne

il

lettore

ridere alle mie spalle, rida, che

ha ben

ragione

sappia che io non mi

sono accorto

dell' errore,

finch

un amico non
in

venuto a dirmi ch'esso era stato notato


di

uno

scritto

un

giornale

napoletano, che

non ho

avuto tempo di leggere. Ringrazio lo scrittore gentile del


servizio eh' egli

mi ha

reso.

I2

Libro

Primo

di

Prevorst
i

(i).

Aggiungete, che

la sera

bisogna

che

suoi stivali sieno legati ben forte, affinch

di notte

non vadano dinanzi

al letto di

qualcuno,

declamando con misteriosa voce


sie

di cuoio le poe-

del

signor

Giustino Kerner.

Le ultime

di

queste poesie non sono affatto scellerate; l'uomo


sopratutto

non

lui

senza qualche merito, e


ci

si

po-

trebbe dire di

che Napoleone disse di


il

Murat:

Egli

un gran pazzo, ma

miglior

generale di cavalleria

fra'

(2).

Carlo Mayer e
svevi
quelli,

Gustavo Pfizer sono

poeti
il

sui

quali l'Heine ha versato


e
i

pi dei suoi sarcasmi

pi amari; e son brava gente anche loro,

ma

poeti molto mediocri,

come
la

forse,

ove

si

eccettui

l'Uhland, non va oltre

mediocrit nessuno dei


Il

migliori di questa scuola.

carattere della quale,

dice G. Heinrich,
e tranquilla,
piaceri,

una

certa

bonomia casalinga

un amore

degli onesti e temperati


senti-

un patriottismo calmo e sereno, un


e delicato della

mento vivo

bella

natura, onde

(1)

La

profetessa di Prevorst era

una specie

di son-

nambula, che Giustino Kerner, abbandonata


lo spiritismo,
scrisse poi (2)

la poesia

per

consultava e dirigeva, ed intorno alla quale


libro.
in

un

Heine, Der Schwabenspiegel,

Vermischte Schrifttn,

zweiter Theil.

Su

l'Aita Troll di Enrico Heine

127

sono circondati:
i

ma

il

loro patriottismo

non valica
natura che

confini della loro provincia,

ma

la

essi

amano

ammirano

tutta

chiusa nel loro pic-

colo

Wurtenberg

(1).

facile

immaginare come

ad una scuola
tipatico
;

siffatta
si

dovesse l'Heine riuscire ancru-

ed egli

vendic, talora troppo

delmente, del filisteismo di questa scuola. Chi

vuol sapere come castigasse

il

povero Pfizer di
contro di
lui,
il

non so quali cose che avea


legga
il

scritte

capitolo

XXII oXYAtta

Troll, dove

bardo svevo, trasformato in cane dalla strega,


racconta
le

sue avventure, e com'egli non possa


dall'incantesimo, finch una verle

essere sciolto

gine nella notte di San Silvestro legga tutte

sue poesie senza addormentarsi.

Ili

Anche

negli

episodi

il

poema dell'Heine

come

si

vede,

una

satira del filisteismo.

Con

ci

non voglio escludere che


del

nell'origine delle satire


talvolta

nostro poeta

c'entrasse

anche un

po' di dispetto personale:

ma

non sono d'accordo

(1)

Heinrich,
Ili,

Histoire

di

la

Lit tirature

Allemande^

tom.

L'Ecole

souabe.

128

Libro

Primo

con
l'

lo

Schmidt nell'apprezzamento

ch'egli fa del-

Heine come polemista.


di

L'Heine

(dice egli)
i

aveva un'acutezza

donna per

iscoprire

pic-

coli difetti de' suoi avversari;

ma

nella grandezza

dell'odiare

non

intese nulla; perche'

l'odio sin(i).

cero

nasce dalla fede e dall'amore

Dalle

quali premesse conchiude che le polemiche hei-

niane

contro
ed

il

Menzel,

il

Borne,

il

Platen,

il

Maszmann

altri

sono quanto ha di pi basso

la letteratura,

perch prodotte da vanit offesa

non da una

forte convinzione. Io

non

saprei sot-

toscrivere a questa
di quelle

sentenza.

La maggior
come

parte
satira,

polemiche a

me

paiono,

molto

belle; e credo che siano riuscite tali ap-

punto per quella facolt del poeta, di sapere scoprire con un'acutezza di

donna

piccoli

difetti

dei suoi avversari, congiunta ad un'altra facolt

non meno importante, quella


tutte le cose sotto
il

di vedere subito di

lato

comico, di vedere talvolta

un

aspetto comico e burlesco anche le cose


la

pi serie. In che altro consiste


scrittore

potenza dello
facolt

satirico?

quelle due

furono
la

nclF Heine

grandissime. Qui, pare a me,


e'

po-

tenza d'odiare non

entra.

Le pi grandi

crea^

(i)

Julian Schmidt, op.

cit.,

loc.

citi

Su V Atta Troll

d Enrico Heine

129

zioni satiriche e

comiche che
il

ci

destano una
d'

in-

vincibile ilarit, sono forse

prodotto

un odio

profondo
si

Tutte

le

cose

han qualche parte che

presta al ridicolo:

senza di che non sarebbe

nata la caricatura. L'abilit del caricaturista sta


nel saper

veder subito quelle parti, e vederle

come

attraverso

una

lente d'ingrandimento. S'imalla testa dell'Heine ci fosse


riflettesse

magini che dentro

un piccolo specchio che


i

esagerandoli

difetti

di

tutte le cose o persone

che

ci

pascolla

savan

dinanzi;

s'immagini

che

il

poeta

sua parola di luce e colori fotografasse quelle


figure; e
si

capir subito

come

egli fosse

da naegli

tura

un grande
i

caricaturista.
?

Perche doveva
li

odiare

suoi avversarli

ei

vedeva

ridicoli, e,

come

li

vedeva, dipingevali. Anzi, appunto peralle

ch in fondo

sue satire non

e'

l'odio, noi
ci fa ridere

siamo disposti a perdonargli quando


alle spalle di
Il

gente che

amiamo
che
l'

e stimiamo.

critico francese dice

Heine pass per


i

tutte le scuole,
terarii

appartenne a

tutti

gruppi

let-

politici

del suo tempo, e fini

sempre

col burlarsi di loro e scriverne la cronaca scan-

dalosa

(1).

La

cosa vera,

ma
cit.

detta cosi cruda-

(1) G. Heinrich, op.


9.

cit., loc.

Chiarini.

13

Libro Primo

mente pu spargere una luce troppo


nostro
autore,

sinistra sul

pu

far

parere

effetto di

animo
da
in-

maligno ci che procedeva pi che

altro

gegno liberissimo
scuola

insofferente di freno.

Ogni

letteraria, sia

pure sorta con

g'

intendi-

menti pi
certe

liberi, finisce

sempre
eh'

coli'

imporre a s

leggi, certe

norme;

quanto dire col

cadere nel convenzionale.

La
la

storia della poesia


storia

romantica in Germania,

della

poesia

romantica
sto

in

Francia mostrano

la verit di

que-

ch'io dico. Che importa che Giustino Ker

ner cantasse:

Noi non siamo una scuola

noi

siamo
becco?

uccelli,
(i).

ognuno
I

dei quali canta col proprio


le

fatti

smentiscono

sue parole.

Gl'ingegni mezzani, o che almeno non han troppo


forte
il

sentimento della propria individualit,

si

assoggettano volentieri a quelle leggi; e ci

fa-

cendo credono dar prova d'indipendenza,

quanto

da loro

la

danno;

ma
la

ci

non

possibile alle

menti che hanno viva


periorit; ci

coscienza della loro su-

non era

possibile ad Enrico Hein_\


il

C' per una gran differenza fra


nione,

mutar

d'opi-

come

questi fece, per l'impulso delle nuove


il

idee che via via gli sorgevano nella mente, e

(i)

Kerner,

Gcdichte.

Su r Atta Troll

di

Enrico Heine

mutare

di

certi liberali tedeschi

che poi diven-

tarono servitori umilissimi dell'assolutismo. Dove

splendeva

un'idea nova, ardita, generosa,


d'

ivi

correva pieno

impetuoso ed impaziente ardore

l'ingegno dell'Heine,

ma

con ci

egli

non inten-

deva aggreggiarsi a quella scuola, a quel partito,


da cui quell' idea era levata in alto come bandiera
;

con ci non intendeva abdicare alla pro-

pria libert, alla propria personalit.

perci egli

appartenne alla scuola romantica, fu


fu della
si

egheliano,

Nuova Allemagna,

scrisse versi pei quali


la cri-

potrebbe crederlo socialista, e poi fece

tica dei romantici, degli egheliani, e mise in ca-

ricatura
il

liberali,

sanculotti,

socialisti.

Senta

lettore questa

breve poesia, ch'io, per dispera-

zione di renderla in versi, traduco in prosa quasi


letterale, e

vegga se pittura pi
;

terribile

della

miseria fu fatta mai


socialisti scrisse

vegga se nessuno dei poeti


di simile.

mai nulla

qualche
ossa

cosa che d

brividi, che arriva fino alle


di

meglio coperte di grasso e


Il

muscoli.
l'

vento fischia

di

notte attraverso

abbaino, e due

povere anime stanno distese sul pagliericcio: sono pallide


pallide e macilenti.

Una

delle

due povere anime dice

Cingimi colle

tue braccia, e premi forte la tua bocca sulla


io voglio

mia bocca

che tu mi

riscaldi.

132

Libro Primo

L'altra
la

anima dice:
la

Quando
il

ti

guardo negli occhi,


altri

mia miseria,

fame,

freddo, e tutti gli

miei

mali spariscono.

Esse

si

baciavano molto, piangevano anche pi,


le

si

strin-

gevano sospirando

mani, ridevano talvolta, e cantavano


si
il

anche; e finalmente

tacquero.

La mattina venne
bravo chirurgo,
il

Commissario, e venne con

lui

un

quale constat la morte dei due cadaveri.

canza
lo

La

rigida temperatura, spieg egli, mista alla

man-

di cibo,

ha prodotto

la

morte d'entrambe;

l'ha per

meno accelerata. Quando vengono

geli,

aggiunse, molto necessario


di

coprirsi

bene di lana; raccomand egualmente

mangiare

cibi sani .

Victor

Hugo

scrisse nei suoi


1

Misrables quelle

famose parole:
blic!

Oh
il

la faim, c'est le

crime pu-

che sono
contro
le

grido di una grande coscienza


del

umana
come
dono

fatali ingiustizie

mondo.

Ma

quelle parole sono pallide e slavate in pala

ragone della fredda ironia, con


i

quale

si

chiustesso

versi

dell'Heine!

Eppure questo

Heine, quando vede queste stesse sue idee


date al palio

mandella

con poco garbo dai

filistei

politica e del socialismo, perde la pazienza, non

sa resistere al prurito della satira, e fa

la

cari-

catura di Giorgio
tico

Herweg,

e si

burla del simpa-

generoso Hoffmann

von Fallersleben. E

questo stesso Heine, che dichiara di aver baciato


e venerato

come

reliquie le

catene che strinsero

Su t Atta Troll

di Enrico Hiine

133

polsi del sarto


.sarto

Giovanni Bockhold, quando

s'in-

contra nel

Weitling, capo dei comunisti te-

deschi, che lo tratta da pari a pari e gli racconta


d' essere

stato in prigione, e proprio incatenato,

pu a

fatica contenere la bile.

Che

cosa ci?

Ogni ombra

di volgarit lo rivolta; ogni


se'.

ombra

di filisteismo lo fa uscir fuori di

Gli uomini della opposizione politica in Ger-

mania

che,

come

dice lo

Schmidt

(1),

avevano

levato l'Heine sugli scudi, dovettero ben presto

accorgersi

come

s'

erano ingannati, pigliando per

un uomo

del loro partito chi

non era

altro

che

un poeta, un grande poeta.


naturale,
si

E
le

ben presto, come

vendicarono del loro errore, ripacontumelie e con

gando

gli

scherni di lui con

un

affettato disprezzo.

IV

Quando YAtta Troll

fece la sua

prima com-

parsa, a frammenti, nell'

Eleganten Weit, gior-

nale pubblicato da Enrico Laube, amico del poeta,

ed uno degli addetti

all'

ardito

drappello della
d'in-

Giovine Allemagna,

fu

uno scoppio generale

(1)

Schmidt, op.

cit.,

loc. cit.

134

Libro

Primo

dignazione

fra

liberali tedeschi.

Nessuna accusa,
al

nessuna contumelia fu risparmiata


quale osava deridere
in quelle
i

profano,

il

suoi liberali compatrioti


le loro

che ad

essi

parevano

pi nobili
(dice egli

aspirazioni.
stesso) (i)

Io
la

non avrei mai creduto

che

Germania potesse produrre tante


il

mele marcie, quante allora volarono sopra


capo;
e

mio

soggiunge che quella fu una molto


si

grande sommossa, nella quale

attrupparono

contro di lui nemici di svariatissimo colore.

Ma
in

lasciamo interamente
io

la

parola

al poeta.

Quando
Le Muse

composi l'Atta Troll (scrive


la cosi detta

egli), fioriva

Germania

poesia politica.
di

aveano ricevuto l'ordine severo

non condursi
leggere,

pi d'ora innanzi da sfaccendate e


di mettersi al

ma

servizio della patria, o come vilibert,

vandiere della

o come lavandaie delia

nazionalit cristiana germanica. Sorse allora par-

ticolarmente nella selva dei bardi tedeschi quel

vago

e sterile sentimentalismo,
e

quell'entusiasmo
la

vano

vaporoso, che, disprezzando

morte,

si

precipit in

un mare

di generalit.

Esso mi

fece

tornar sempre in mente quel marinaio americano,


tanto fanatico del generale Jackson, che

una volta

(i) Alla Troll, Vorrede.

Su

l'Atta Troll di Enrico Heine

135

gettassi

in

mare
Io

dalla

cima

di

un albero,

griSi,

dando:

muoio

pel generale Jackson.

bench noi tedeschi non possedessimo ancora una


flotta,

pure avevamo molti marinai


in verso

fanatici,

che

morivano

ed in prosa pel generale Jackallora


il

son. L' ingegno

fu

una dote ben

trista,

poich portava con s

sospetto d'incostanza.
essersi

L'impotenza
anni
la
stillato

invidiosa,
il

dopo

per

mille

cervello, avea finalmente trovato


l'

sua migliore arme contro

insolenza del gefra

nio,
il

avea cio trovato l'antitesi

l'ingegno e
si

carattere.

La grande turba del pubblico

senti

quasi personalmente lusingata, quando udi asseverare:


tivi

La

gente onesta sono in generale cati

musici; per contrario

buoni musici non


tut-

sono ordinariamente se non gente disonesta;


tavia la cosa essenziale
nel

mondo

l'onest,

non

la

musica.

Le

teste

vuote andarono con

ragione baldanzose della pienezza del loro cuore,


e
il

sentimento vinse la partita. Io mi ricordo


scrittore di quel

di

uno

tempo, che

si

attribuiva a

merito particolare di non sapere scrivere, e che


in

ricompensa del suo


di

stile

di

legno ricev

il

dono

una coppa d'argento.


gli
i

Per

Dei immortali
diritti

Trattavasi allora di
dello
spirito

difendere

imprescrittibili

136

Libro Primo

umano, specialmente
fesa fu

in poesia.

Come una
che io
la

tal di-

sempre

la pi

grave occupazione della


possibile
la

mia

vita, cosi

non era

per-

dessi di vista nel

mio nuovo poema,

cui in-

tonazione e la materia furono perci una protesta

contro

plebisciti dei tribuni del giorno.

nel

fatto, fin dalla

pubblicazione dei primi frammenti


la

dell'Alta

Troll, sollevossi

bile
i

de' miei eroi

del carattere, de' miei

Romani:

quali

mi accu-

sarono di reazione, non

soltanto
le

letteraria,

ma
mio

anche
di

sociale,

anzi di tradire
al

pi sante idee

umanit. Quanto
io

pregio artistico del


per
vinto,

poema,

mi

diedi volentieri

come
diletto

faccio anche oggi: io lo scrissi per


e sollievo nella bizzarra

mio

maniera
passai

di quella scuola

romantica, nella quale


della

gli

anni migliori

mia giovinezza,
il

e della

quale ho poi basto-

nato

maestro.

Per questo rispetto


condannata.

la

mia poesia merita

forse

di essere

Ma
il

tu menti, o Bruto, tu

menti, o Cassio, ed anche tu menti, o

Asinio,
colpisce

quando affermate che


quelle idee

mio scherno

che sono una preziosa per


le

eredit del ge-

nere umano, e

quali

io stesso

ho tanto

combattuto
idee

e sofferto.

No

anche quando quelle


loro pi splendida

brillano

costanti

nella

Su

l'

Atta Troll d Enrico Heine

37

luce e grandezza dinanzi alla mente del


egli assalito

poeta,
ri-

da un

irresistibile

bisogno di

dere, allorch' vede

come

esse possano essere roz-

zamente, stupidamente, grossolanamente rappresentate


dalla

meschina societ del suo tempo


cosi,

ed egli scherza allora, per dir

sopra quella
tagliati

temporale pelle dell'orso. Vi sono specchi


cos
essi

male, che

lo

stesso
e ci

Apollo parrebbe
caverebbe a
allora
dell'

in
le

una

caricatura,

forza

risa;

ma

noi

rideremmo

immagine

contraffatta,

non rideremmo del Dio(i).

Giuseppe Hillebrand, nella sua Letteratura


desca dei secoli

te-

X
ma

Vili

XIX,

di

Enrico

Heine

dell'ita Troll un giudizio che mi pare

molto notevole,

eccessivamente severo.
egli)
si

L' Heine (dice

guast nel

contrasto

del carattere

tedesco colla societ francese.

La

delicata pianta della poesia


offesa

non

fu

mai

cosi spesso

con tanta leggerezza ed irriverenza come


Egli sa toccare
delle
le

da
il

lui.

pi delicate corde,

ma
trae

pi

volte

dolci

suoni che

ne

muoiono
egli

stecchiti nel gelo

della fredda ironia;

vita alle pi nobili figure, per poi,


di esse

quando

sono compiute, scagliarsi contro

come un

(1) Alta Troll, Vorrede.

138

Libro

Primo

pazzo e deformarle. Ci eh'


inglese

egli

dice

del poeta
spirito

Byron, che
i

colle

melodie

dello
dirsi
il

offende

pi sacri

fiori della vita,

pu

egual-

mente
sorrise

di lui. L'

Heine un poeta, a cui


fin

molto amicamente
lui

dalla culla,
di

Nume ma il
di

cuore della poesia in


posto

non

rado fuori

Tutto

egli

prende

in ischerno, fuorch la vanit

del suo scherno.

La sua
campi

frivola

musa

si

diverte

a ballare sopra

della religione e dell'arte,

della scienza e della vita, sfiorandone collo sprez-

zante piede

le

cime

calpestandone
sopra
tutto

fiori.

An-

che

la

libert, di cui
le lodi,

egli

sembra

cantare
a niuna

non

sicura dalla
(1).

parodia, che

cosa

e'

risparmia

toccando del

paragone che
l'

altri gi fece dell'

Heine col Byron,

Hillebrand

trova

fra

loro

questa gran diffedell'Inglese

renza; che, mentre


esala

Tamara angoscia
il

da un petto entro

quale batte profondadel

mente un cuore umano, quella

Tedesco

mera apparenza

pura civetteria; che, mentre

(1) Joseph Hilt.ebrand,


ini

Die deutsche Natio ita lliteralur


Dritter

XV11I und

XIX Jakrhundert:

Band, Siebentes

Buch, Zweites Kapit.

Su

l'Atta Troll di Enrico I/cine

139

quegli

si

leva col suo scetticismo alle

somme

al-

tezze, questi vi balla attorno gi al basso, in

com-

pagnia di ci che avvi di pi volgare; che nell'uno signoreggia la potenza del genio demoniaco
nell' altro
l'

ingegno scherza collo splendore dei


nell'uno avvi l'impeto spontaneo

suoi

colori;

della creazione, nell'altro la riflessione siede spesso


alle scaturigini della fantasia, e

ne arresta

la

pura

corrente
stesso

(1).

dell'Atta Troll dice, che l'autore


lo scherno, ond'egli

dove accorgersi come

in quel
la

poema abbandon

al generale disprezzo

sua patria, andasse troppo lontano, poich fu


e'

costretto a dichiarare eh'

non intendeva

di col-

pire con esso le idee di patriottismo e di


nit,

umacon-

ma

soltanto

il

volgare e meschino travesti-

mento che
temporanei

di quelle idee
(2).

facevano

suoi

Mi

sia

permesso

di

temperare

la

severit di

questo giudizio, contrapponendovi quello del valente critico inglese che gi nominai,

Matteo Are l'Heine

nold

:"il

quale nel paragone

fra

il

Byron

la

palma

al poeta tedesco, ed forse troppo

severo col suo compatriota.

(i) J.

HlLLF.BRAND, Op.

dt., loC.
cit.,

cit.

(2)

J.

HlLLEBRAND, Op.

loC. Clt.

14

Libro Primo

Nel movimento
il

letterario dei primi di questo

secolo (dice egli),


alla poesia

primo tentativo
lo spirito

di applicare

inglese

moderno

fu fatto

dal Byron e dallo Shelley;


riusci, ne'

ma

quel tentativo non

poteva riuscire, perche' era troppo grande


incontrarono
nel

la resistenza ch'essi

pubblico,

era troppo grande la


patia che
terra
li

mancanza
li

d'intelligente sim-

guidasse e
la

sorreggesse. L'Inghil-

non aveva n
ne'

ricchezza d' idee dei

Te-

deschi,

l'entusiasmo dei Francesi

nell' appli-

care

le

idee

L' Heine, pi

fortunato, ebbe
la

per

campo

delle

sue operazioni
consiste nella
cessibilit
le

Germania,

il

cui filisteismo

non

mancanza

di idee,

o nella poca ac-

ad

esse, poich'ella

ne rigurgita anzi e
applicazione

ama,

ma

nella debole e paurosa

delle

idee

moderne

alla vita. L' intensa


il

modersuo
di-

nit dell' Heine, la

sua libert assoluta,


e dal tronco
le

staccarsi

completamente
il

classico e

dal romantico,
la luce

suo portare tutte

cose sotto

vera del secolo decimonono, furono dalla


e tol-

Germania, per virt della sua grandissima


lerante potenza intellettuale, compresi, e
le

rima-

sero nel cuore, non


disse ad

meno

di tutto ci
ferirla.

che l'Heine

oltraggiarla e

Alla cultura, al
l'

sentimento, al pensiero tedesco,

Heine uni

lo

Su

l'

Atta Troll di Enrico FIcine

141

spirito e

1'

ardente

modernit dei Francesi. Ci


la

che

lo fa cosi e

grande

sua mirabile chiarezza,

agilit
ria

libert,

congiunte ad

una straordinaampiezza
di

potenza di sentimento ed

ve-

dute.

E
(e

tuttavia, dice l'Arnold

conchiudendo,

l'Heine non fu un adeguato interprete del

mondo
non
berge la

moderno

di

ci

le

ragioni,

che qui

giova ripetere),
sagliere

ma

soltanto

un abilissimo

nella guerra per la liberazione del

nere

umano. Con

tutto

ci,

quale egli

figura incomparabilmente pi grande di tutte le


altre nella poesia

europea

di

quel quarto di secolo


(1).

che segui alla morte del Goethe

V
Io

non ho bisogno

di dire

che

1'

opinion mia

intorno al
il

nostro poeta
del critico

pende molto pi verso


quello
cri-

giudizio

inglese che verso


distanza,
l'

del tedesco.
tici

La grande
dividersi

onde

due

sembrano

uno

dall' altro,

procede

unicamente dal diverso punto


considerano
fisso

di vista, ond'essi

lo scrittore.

Il

critico

inglese tiene
la

lo

sguardo a quella

ch'ei

chiama

cor-

(1) M.

Arnold,

op. cit, loc.

cit.

142

Libro

Primo

rente principale nella


ropa, e deduce
l'

moderna

letteratura d'Eu-

importanza

dell'

opera letteraria
in quella coralle

dell'Heine da ci ch'essa
rente;
il

port

critico tedesco invece

guarda anche

correnti secondarie, preoccupato

dalle idee di
i

morale, di patriottismo, di nazionalit; e perci


fatti

medesimi sono da

lui apprezzati

diversasi

mente.

Che

il

carattere tedesco dell'Heine

gua-

stasse nel contatto colla leggera societ


io

francese,

non

lo credo,

non

lo

credo per tutto quel che


lo credo,

ho gi detto

di lui;

non

perch tengo

giustissima quella opinione universale che lo dice

grande

potente e singolare scrittore per questo

principalmente, ch'egli sa unire tanta spontaneit

d'arguzia a tanta profondit e sincerit di sentimento. Certo nel petto


teva
di Giorgio

Byron

batchi

pi

fortemente un cuore

umano; ma

potr dire sul serio che l'Heine non avesse cuore,

dopo aver

letto certe

sue poesie, dopo aver

letto

quel patetico dialogo, nel quale egli introduce s


parlante, sotto
il

nome

del buffone

Conrad von

der Rosen, con

la

cara sua patria, col suo caro


egli

popolo tedesco, che


tore?
(1)

chiama
il

il

suo impera-

No, non vero che

dolore nei versi

(1)

H. He.ne, Ueber Deuischland.

5?;

l'

Atta Troll di Enrico Heine

143

dell'Heine sia sempre mera apparenza, pura


vetteria
si
:

ci-

anzi talora anche sotto


e

il

riso e la beffa
Il

nasconde un dolor vero

profondo.

poeta

parla egli stesso nella

Germania
di

dei bisogni del

suo humour, dai quali dice


verso
la

essere trascinato

caricatura.

Ma

l'

Hillebrand,
1'

che pur

mostra di pregiare degnamente


lo

Heine, poich

chiama

il

tedesco Aristofane, non tiene conto,


di cotesti bisogni.

secondo me, quanto dovrebbe

pure qual prova maggiore


otto

di essi,

che

gli ul-

timi

anni

di vita

del

poeta?

Ognuno

sa

com'egli in questi ultimi otto anni non fosse altro

veramente che quel che


se',

il

nostro Leopardi

diceva di

un tronco che sente e pena. Per

otto lunghi anni inchiodato su

una poltrona da

una

orribile

infermit,

non pot metter piede


questo tempo, sia pari

fuori di casa; e durante

lando, sia scrivendo,


pensieri,
i

non seppe esprimere

suoi

suoi sentimenti, quasi sotto altra forma

che

il

riso e la celia.

Certo

il

riso e la celia di-

vennero allora molto pi amari e pungenti, come


appare
let^e
dalle

ultime

poesie

(Romancero und
ci

Gedichte);

ma

dico che
il

mostra pi

che ad evidenza come

riso e la celia

non
dei

fos-

sero in lui effetto di riflessione,

ma uno

modi

pi naturali e spontanei di vedere e rappresen-

144

Libro Primo

tare le cose.

La sua

stessa malattia gli era

non

rare volte argomento di motti e facezie. Al

medello
di

dico che

una volta domandavagli

s' ei

potesse

fischiare, rispose:

Neppure una commedia

Scribe;

ad un'altra persona che in tempo

non so quale pubblica mostra era andata a


visita,
si

fargli

diceva conversando:
il

Se

alla esposizione
io potrei

desse
i

premio della miseria,

manla

darvi

miei patimenti, certo che otterrebbero


di

medaglia

prima

classe

(i). Ne'

anche mi par

giusta F accusa, quanto all'Atta Troll, che dalle


dichiarazioni e giustificazioni stesse del poeta rilevisi

com'egli

si

fosse accorto

che

il

suo scherno
si

andava a
dir forse,

ferire

troppo lontano: ci

potrebbe
state

ove quelle dichiarazioni fossero


altro

una excusatio non petita; ma l'Heine


faceva con
tori. I
fatti

non

esse che rispondere ai suoi

accusa-

quali facilmente s'intende come, vedendosi


al

segno dal poeta


e

pubblico

riso,

trovassero
i

molto comodo
suoi medesimi

agevole ritorcere contro di lui

strali,

gridando: Vedete, egli scher-

nisce quelle sacre idee di patria, di libert, di virt,

per

le

quali noi combattiamo.

Accusa questa che

per la stessa sua enormit mostrasi assurda.

(i) V.

M. Arnold, op.

cit.

loc. cit.

Su

l'

Atta Troll di Enrico Heine

145

L'Atta Troll comincia a non avere pi in Ger-

mania quel che oggi

dicesi

una grande

attualit.

La

scuola patriottica dei tedeschissimi (Deutschthmler),

che avea per motto

il

frisch,

fromm, frhil

lich,frei, e della quale era uno dei capi

pail

dre Jahn, erasi gi in parte modificata verso


i84o,

quando

il

Gervinus ed

altri,

rinunziando

a certe ridicolezze di forma e di linguaggio, infu-

sero

nuova

pi seria vita alla tendenza naziolo stesso or-

nale;

bench serbassero poi nel fondo

goglio smisurato, lo stesso sentimento della propria


virt, lo stesso
tine.

disprezzo

per
dirsi

le

nazioni neolari-

Cotesta

scuola

pu

che nel 1866


i

manesse interamente
sen
i

disfatta.
altri

Tuttavia

Momm-

Wais ed

alcuni

non sono, chi ben

guardi, che

una terza metempsicosi dell'orso

immortale.
risse in

Ma

anche quando col tempo spadi patriottico fili-

Germania ogni ombra

steismo, Atta Troll, l'orso filosofo, vivr,

come

il

poeta a lui prediceva,

immortale

(1).

Il

valore

imperituro del piccolo


queste due cose:
a
i

poema
,

sta sopra tutto in


dire, la sin-

ch'esso

per cosi

tesi dell'ingegno, delle passioni, delle opinioni, delle

simpatie di tutta una generazione, e del pi grande

(1

Atta Troll, Kaput XXIV.

10.

Chiarini.

ij.6

Libro Primo

e sincero rappresentante di essa, errori, le

con

tutti

suoi

sue contradizioni,
le

suoi rimpianti del

passato,
forse

sue

aspirazioni

all'

avvenire

che

non

ci

fu poeta da Aristofane in poi che


la

sapesse fondere insieme, cosi perfettamente,


satira e la poesia,
il

sorriso e le lacrime,
l'

il

pi

grossolano realismo e
1877.

idealismo pi puro.

SUL DEUTSCHLAND
ENRICO HEINE

SUL DEUTSCHLAND
ENRICO HEINE

hi

non ricorda

la storia della

rivoluzione

francese del i83o? Chi non ricorda l'agi-

tazione profonda che le famose giornate di

luglio suscitarono in tutta l'Europa? Al leggerne


le notizie

nei giornali parigini del tempo, Enrico

Heine

si

sentiva preso d'una straordinaria esaltase'

zione, e quasi fuori di

gridava

Qua

le

armi,

che mia madre ha benedette con


formule; quale armi;
zione: date
fiori,

le

sue magiche

io

sono

il

figlio della rivolu-

date

fiori; io

voglio coronarne la
a morte!

mia
lira!

testa per

un combattimento
la

qua

la

datemi anche

mia

lira; io

voglio intonare

50

Libro Primo

un canto

di guerra. Io so delle parole ardenti

come
pro-

gli astri, delle

parole buone a incendiare

castelli,
i

a illuminare le

capanne

(i).

dimenticati

ponimenti

di riposo,

che allora allora avea


la

fatti,

non
la

sognava che Lafayette,


Marsigliese.

bandiera tricolore e

Era in questa disposizione d'animo quando, sentendosi poco sicuro in patria, pass nel primo

giorno del maggio


a Parigi; dove,

83

il

Reno

and a

stabilirsi

come

egli scrive agli amici,

una

speciedi fatalit lo chiamava. Lasciamo descrivere


a lui stesso

con quella maniera tutta sua, nella


la seriet e l'arguzia

quale l'ingenuit e la malizia,


s'

intrecciano insieme piacevolmente, e paiono quasi

sbocciare l'una dall'altra, la prima impressione che


fece in lui la capitale della Francia.
egli,

Entrai, dice

per la gran porta del Boulevard Saint-Denis,

che, eretta in

forma d arco

trionfale

ad onore

di

Luigi XIV, era poi destinata ad onorare l'ingresso


di

un poeta

tedesco,

il

mio

ingresso, a Parigi.

Re-

stai

meravigliato a vedere tanta gente per

le strade;

e tutti

erano

vestiti

con molto gusto; parevano

(i)

H. Heine, LtiJwi^ Brne, Zweites Buch, Briefe aus

Helgoland. Lettera del io agosto. (Hamburg, rioffmanii

und Campe, 1868), pag. 8S-S9.

Sul Deutschland di Enrico Heine

151

tanti figurini di

un giornale

di

moie.

Ma

ci che

mi

fece pi impressione che tutti

parlavano franfra le

cese, cosa

che da noi non usa se non

persone
il

dell'alta societ:

dunque,

io pensai,
i

qui tutto

popolo cosi bene educato, come


noi. Gli

nobili presso di

uomini erano

tutti

garbati, le belle

donne

eran tutte sorridenti! Se qualcuno, passando, involontariamente mi urtava, senza poi dirmi subito
:

oh

scusi!, io

poteva scommettere che costui era un


se

mio compatriota;
l'

qualche bella donna aveva

aria

un

po' dispettosa ed arcigna, io poteva esser


il

certo ch'essa o avea mangiato

sauerkraut o saIo

peva leggere Klopstock nell'originale.


tutto bello, tutto piacevole:
e l'aria si dolce,
si
il

trovava

cielo era si azzurro,


l

generosa; qua e
le

brillavano
della

ancora

raggi del sole di luglio;

guance

bella Lutezia

erano ancora rosse dei fiammanti


il

baci di quel sole, e

mazzolino di sposa non era


il

ancora interamente appassito sopra

suo petto.

Sui canti delle strade erano, vero, qua e l cancellate le parole libert, galit, fraternit.
I

giorni

delle nozze,

ahim, passano cosi presto!

(1)

Parigi, la bella, la deliziosa Parigi, questo teatro,

(1)
(Paris,

De

l'

'Allenici gne.

Dixieme

partie.

Aveux de

lauieitr.

Lvy), pag. 265-66.

Ij2

Lib'o

Primo

per usare

le

espressioni stesse dell'Heine, dove


le

si

rappresentano

pi grandi tragedie della storia

universale, questa capitale del

mondo, dove

le ri-

vendugliole parlano francese meglio delle canonichesse tedesche, dove


le

scuse degli uomini che vi

urtan passando suonano pi soavi delle melodie


di Rossini,

dove

le

donne han da

far

molto per
ci

vincere gli

uomini

in civetteria, e

pur

rieil

scono

(i),

Parigi esercit

un

tal fascino

sopra

poeta tedesco, ch'egli vi stabili per sempre la sua

dimora, ed essa divent


patria sua d' adozione.
di s stesso; a Parigi
si

la

sua seconda patria,

la

Parigi ritrov

una met

senti libero; senti di potersi

muovere

a suo agio,
:

come

in

nessuna

citt della

Germania

ci

non pertanto rimase

senti

di

rimanere tedesco. La gentilezza,

la libert, la lin-

gua
lo

e le

donne

di Parigi

non

lo

occuparono, non
il

empirono

tanto, che di tratto in tratto


il

pen-

siero della patria,

pensiero della madre sua non

venissero a battere al suo cuore.


anni, e
dolore.
il

Passavano
il

gli

pensiero diventava desiderio,

desiderio

(i)

Florentinischt Nachte. Zweite Nacht. {Novellistischc

Fralmente. Hamburg, Hoffmann und Campe, 1868), pagine 259-260.

Sul Deittschland di Enrico Heine

53

Odasi con quali accenti di passione vera esprime


cotesto dolore quest'

uomo, che pare solamente

nato a scherzare su tutto e su tutti; quest'uomo


eh' capace di sacrificare

un

alto sentimento,

un

nobile pensiero ad

una facezia; quest'uomo che

preferisce ad ogni cosa la poesia e l'arte, perche'

sopra ogni cosa artista e poeta.

La
e

notte,

quando mi torna
via

in

mente

la

Germania, tosto

il

sonno fugge

da me,

in

non posso pi chiudere

gli occhi,

piango lacrime cocenti.


Gli

anni vengono e passano

Son passati ben dodici


e

anni da che io
il

non ho

pi veduto mia madre;


il

cresce

mio

desiderio, cresce
il

mio dolore.
il

Cresce

mio

desiderio, cresce

mio dolore. La buona

vecchia mi ha stregato. Io penso sempre alla vecchia, alla

buona vecchia; che Dio

la conservi!
:

La buona
scrive io
di

vecchia mi
la

veggo come

ama tanto nelle lettere che mi sua mano trema, come il suo cuore
agitato.

madre

profondamente
sta

La madre mi
eh' io

sempre qui nel pensiero. Dodici lun-

ghi anni sono passati, dodici lunghi anni sono passati da

non

la

ho pi

stretta

sopra

il

mio cuore.
;

La Germania
robusto
tigli.
;

durer eternamente

un paese sano

io la ritrover

sempre con

le

sue querce, co' suoi

Io non arderei tanto di rivedere la Germania, se l non


fosse

mia madre

la patria

non

perir mai,

ma

la

buona

vecchia mi pu morire.

Da

che ho lasciato

il

mio paese, molti

di
io

quelli ch'io
li

amava sono

discesi nella

tomba

quando

conto,

il

cuore mi sanguina.

Ij4

Libro Primo

bisogna pure che


il

io

li

conti.

Cresce,
i

cresce col
si

numero

mio dolore:
il

mi pare che

cadaveri

roto-

lino sopra

mio petto
!

Grazie a Dio
finestra
;

essisi allontanano.

Grazie a Dio

un lucido raggio

di sole francese brilla

entrando per

la

mia

viene la mia donna

bella

come

il

mattino, e scaccia con un sorriso le mie tedesche


(i).

malinconie

Ma

le

scacciava per poco.

Il

poeta componeva

questa poesia nell'anno i843: nello stesso anno


scriveva
al fratello

Massimiliano:
(2):

Io

non torner
il

mai pi

in

Germania

scriveva cosi

12 di

aprile, e agli ultimi d'ottobre era gi in viaggio


alla volta

d'Amburgo.
citt,

Addio, Parigi, cara


Io
ti

noi

dobbiamo oggi

separarci.

lascio in

mezzo
s'

alle delizie e ai piaceri.

D' un tratto mi
sco.

malato nel petto

il

mio cuore tede-

Non

e'

che
al

un medico capace

di guarirlo, e cotesto

medico abita

mio paese, nel Nord.

Lo

guarir in un
:

momento

le

grandi cure da
il

lui fatte

sono famose
de' suoi

per, bisogna che lo confessi,


fa rabbrividire.

pensiero

amari decotti mi

Addio, o giocondo popolo francese, o miei allegri


telli.

fra-

Un

desiderio ardente, un pazzo desiderio mi


;

allon-

tana da voi

ma

torner fra poco.

(1) Nachtgedanken,

in

Heine'

Dichtungen,

Dritter

Theil, Zeitgedichte.
(1)

H. Heine's Leben und Werke von Adolf Strodi(Berlin,

mann.

Duncker,

1874).

Erstes

Buch. pag. 304.

Zweiter Band.

Sul Deittschland d Enrico Heine

155

Immaginate un
le dolci

po', io sospiro

con dolore
il

1'

odor

di torba,

pecore del prato di Liineberg,

sauerkraut e le

rape.

Io sospiro

1'

odor
il

di tabacco,

consiglieri di corte e le

guardie notturne,

dialetto della bassa

Germania, un po'

di rozzezza, e qualche

bionda

figliuola di predicatore.

Confessiamolo pure,
tredici anni che io

io sospiro
pili

anche mia madre. Son

non ho

veduta la mia vecchia madre.


;

Addio, moglie mia, mia bella moglie


il

tu

mio tormento. Io

ti

stringo forte sopra

non puoi il mio


mia
pili

capire
cuore,

eppure debbo abbandonarti.

Quel tormentoso desiderio mi strappa


felicit.

alla

dolce

Bisogna pure
il

che

io

respiri

un po' d'aria tede-

sca; se no, resto soffocato. L' ansia,

tormento,

1'

angoscia crescono fino allo spa1'

simo.

II

mio piede freme per


tedesca.

impazienza di calpestare

la terra

capo d'anno sar tornato


in perfetta
(1).

di

Germania; sar tornato,

credo,

salute,

ti

comprer delle bellissime

strenne

Anche da questo Addio a Parigi, ch'era


gine un capitolo d' introduzione
al

in ori-

poema, dal quale


si

fu poi nella redazione ultima cavato fuori,

sente

che

tredici anni di

dimora

in
l'

Francia nonaveano

smorzato nel cuor del poeta


tria tedesca.

amore

della sua pa-

Ma

cotesta

dimora avea esercitato una

influenza non piccola nell'animo, e pi nell'inge-

(1)

H. Heine, Gedichte
;

und Gedanken (Supplement-

Band)

Hamburg, Hoffmann und Campe, 1869, pag. 61-63.

156

Libro

Primo

gno

di lui.

La sua

naturai disposizione alla satira


in
le

e all'humour s'era venuta di giorno

giorno

eccitando e rafforzando;

suoi gusti e

sue abi-

tudini s'eran venute naturalmente facendo sempre

pi francesi

tanto che le cose che gi gli dispiace-

vano

nella sua patria, ora rivedendole gli faranno


e

una impressione anche pi brutta

disgustosa.
i

cosi quella

Germania che

la notte

turbava

suoi

sonni, che lo facea piangere lacrime cocenti,

non

appena egli
materia
di

ci

avr messo

il

piede, gli fornir

nuova
cari-

arguzie e di derisioni feroci.


il

La

catura che

poeta avea fatto del

filisteo

tedesco

nzYAtta Troll rimarr sbiadita

al confronto.

H
suo poema) era
partii per
il

Era
tristo

(cosi

comincia l'Heine
di

il

il

mese

novembre quand'io
al confine, sentii
gli

la

Germania. Arrivato

cuore bal-

zar pi forte nel petto, sentii

occhi bagnati di
della'

pianto;

ma quando

udii

il

suono
se
il

mia lingua

tedesca, fu proprio

come

cuore mi comin-

ciasse dentro a sanguinare.


Il

poeta avea udito una giovinetta che, accom-

pagnandosi con l'arpa, cantava una pia canzone,

una canzone

di rinunzia ai bassi e tristi piaceri

Sul Dciitschland di Enrico Heine

157

di

questo mondo, di aspirazione


celestiali.

alle gioie puris-

sime

Oh

la conosco, grida egli, quella

canzone! conosco

l'aria,

conosco

il

testo,

ed anche

gli autori; so ch'essi di

nascosto bevevano vino, e

in

pubblico predicavano acqua. Noi vogliamo can-

tare
cit,

un canto migliore,

il

canto della
il

umana

feli-

del regno di Dio sulla terra,

canto di nozze
libert.

della vergine

Europa
i

col

Genio della

il

Al confine

doganieri prussiani
il

gli

visitano

baule; ed egli dice loro: sciocchi,

contrabbando
testa.

che voi cercate l'ho qui dentro

la

Intanto

un viaggiatore
alla

gli

fa

notare eh' erano dinanzi

gran catena doganale della Prussia, allo Zollil

verein; che, dice

viaggiatore, fonder la nostra

nazionalit, raccogliendo in

uno
il

le divise

memil

bra della patria.

Ad

Aquisgrana

poeta rivede

soldato prussiano, di cui fa un'acerbissima caricatura: rivede sull'albergo della posta l'aquila di
Prussia, che gli pianta gli occhi addosso furiosa, e a
cui egli
( facile

immaginarselo) non

fa dei

compli-

menti. Arrivato a Colonia di notte,

mangia una

buona

frittata col prosciutto,

beve delvin del Reno,

ne beve assai, ed esce a passeggiare tutto solo per


le

deserte vie della

citt.

Le case

gli

parea lo guarle

dassero e volessero raccontargli tutte


di

sante glorie
il

Colonia

vede poi

al

lume

della luna

Duomo.


158
Libro

Primo

Esso dovea, dice, essere

la Bastiglia della

ragione;

ma
per
la

venne Lutero,
il

e la fabbrica

rimase interrotta
al

bene della Germania, per attestare


e la

mondo
gran

sua potenza

sua missione protestante. Pasil

seggiando, arriva al ponte del Reno, saluta

fiume ed ha con

lui

un lungo ed affettuoso dialogo,

nel quale ciascun d'essi esprime le sue simpatie pei francesi; poi, ripreso
il

cammino,

si

accorge

d'essere seguito da

un misterioso compagno, Che


il

nascondeva sotto
sei?

mantello una scure.


e quegli risponde
i
:

Io

Chi
sono

gli

domanda;

colui che

manda ad

effetto tutti
il

pensieri che a te

passano pel capo, sono


delle tue sentenze,
Il

cieco e fedele esecutore


sieno.
e

qualunque esse

poeta va a casa, s'addormenta,


gli

sogna; enei

sogno
citt

pare d'andar di nuovo errando per la


della luna, seguito dal

al

lume

suo strano

taciturno

compagno; entrano

nel

Duomo, ch'era
un lungo
rispetto

aperto e buio; arrivano alla cappella dei tre re


rischiarata da ceri ardenti;

uno
ei

dei re fa

discorso per dimostrare eh'


del poeta;
il

meritava

il

poeta

gli

risponde che ire morti hanno


e

da

stare nella

tomba,

che tempo
il

d' uscir di l,

e gli volta le spalle:

intanto

misterioso
i

compagno

percuote con
letri

la

scure ed abbatte
il

miserandi schesi

della superstizione; e

poeta

desta.

Sul Dcutscfdand d Enrico Heine

159

Da Colonia
Mulheim,

il

poeta va ad Hagen, passando per


dov'egli era

citt laboriosa e tranquilla,

stato l'ultima volta nel


vi fiorivano le

maggio del i83i, quando


di

speranze

libert, poi cosi presto

deluse. A.d

Hagen trova

la tavola gi imbandita,

ritrova la sua vecchia cucina tedesca, e

manda dal

cuore un affettuoso saluto


deliziosi

al

dolce sanerkraut dai


della patria

profumi,

ai cari stoccafissi

nuotanti nel burro.

Passando per Ulm, dove risente con piacere

la

blesa parlata dei suoi cari fratelli di Westfalia.


leali,

buoni, coraggiosi, sentimentali, arriva alla

foresta di Teuteberg,
legioni

famosa per

la sconftta delle

romane condotte da Varo. Fortuna per noi,


poeta, che

dice
la

il

Arminio vinse!
;

altrimenti, addio
tanti

nostra libert

oggi

saremmo

Romani;

il

Freiligrath farebbe poesie senza rima,

come Orazio;

ilMaszmann parlerebbe
lio; la

latino,

come Marco Tul-

signora Birch-Pfeiffer berrebbe trementina,

invece di scriver drammi; Schelling morirebbe


filosoficamente,
la

come Seneca;

ecc.

ecc.

Mentre

vettura va balzelloni per la buia foresta, a


si

un

tratto

rompe una

ruota;

il

postiglione
il

salta

gi e corre al villaggio vicino, e

poeta rimasto

solo sente intorno a s degli urli paurosi, che rico-

nosce essere di lupi affamati, e vede brillare come

io

Libro

Primo

fiaccole nel buio

loro occhi.

S'immagina
e gli

ch'essi

abbiano avuto notizia del suo arrivo,

abbiano

preparato una serenata; prende un atteggiamento


solenne, e fa loro

un

bel discorso di ringraziamento;

discorso che, dice, fu poi stampato da

Kolb

nel-

X Aligemerne Zeitung un po' mutilato.


Il

poeta vede levarsi

il

sole a Paderborn, e la
il

vista del sole


di

richiama alla sua mente


gli

ritornello
la

una vecchia canzone, che

cantava spesso
la

nutrice, richiama alla sua


chia, e
bili
le-

mente

buona vec-

molte fiabe

leggende e storie orri-

di fantasime eh' essa gli raccontava. Io, dice

egli,

ratteneva

il

fiato,

quando

essa

con tono

pi grave cominciava a parlarmi del Barbarossa,


del nostro misterioso imperatore
egli
;

mi diceva che
i

non era morto, come credevano

dotti,

ma

vivea nascosto in una


e

immensa

grotta, di molte

ampie

sale,

piene d'armi e d'armati, nel monte

Kiffhuser. I cavalieri dormivano sdraiati per terra;

T imperatore sedeva immobile

muto
il

dinanzi ad

una tavola

di pietra, aspettando

giorno destila

nato per uscire a liberare la Germania,

bella

imperatrice dai ricci biondi, e punire gl'infami

che l'avevano assassinata.


Piove, la vettura seguita
il

suo cammino,

il

poeta

si

addormenta,

dormendo sogna

di tro-

Sul Deutschiattii di Enrico Heine

161

varsi nel Kiffhuser in faccia al Barbarossa.

Se

non che

questi, invece di essere seduto alla sua

tavola di pietra, chiacchiera molto famigliarmente

con

lui,

e
i

va intanto percorrendo
suoi tesori,

le sale e

mo-

strandogli

come un antiquario. L'imun ducato

peratore mette segretamente in tasca a ciascuno


de' suoi dormenti guerriri
di paga)
;

(era

il

giorno
conta

poi giunto nella sala dei cavalli,

li

e riconta, e dice alfine con dolore:

Ahim, non
il

sono abbastanza. Aspetto soltanto che

loro nu-

mero

sia

completo, e poi do
la

il

segnale e corro
e paziente

a liberare

patria e

il

mio buono

popolo tedesco.
se

il

poeta:

Su

via,

che aspetti?
asini.
Il

mancano

cavalli,

prendi degli

Bar-

barossa sorrise, e rispose:

Oh non
e

c' fretta; per


ricordati

ogni
che
il

cosa

ci

vuol

tempo
:

pazienza;

proverbio dice

chi va piano, va sano.


il

Ad una ma subito
riprende
il

scossa della vettura

poeta

si

sveglia

richiude

gli occhi,

si

riaddormenta e

suo sogno. L'imperatore, che da un

gran pezzo non sapeva pi nulla delle cose di


questo mondo,
gli

chiede notizie di Mos

Men-

delssohn, della Karschin, della contessa Dubarry;


e
il

poeta risponde che son tutti morti da molto


e

tempo

che

la

Dubarry mori

ghigliottinata,

come

Luigi decimosesto e Maria Antonietta. L' impeli.

Chiarini.

i62

Libro Fri ino

ratore

domanda

atterrito:
il

Che

cosa questo ghi-

gliottinare? e

quando

poeta gli ha spiegato la

cosa, risponde che legare a un' asse

un

re e

una
eti-

regina contrario ad ogni rispetto e ad ogni


chetta; di che nasce fra loro
del quale
il

un

fiero

diverbio,

poeta svegliatosi

si

duole, e

domanda
sue
il

perdono

al

Barbarossa, ripregandolo
la

che venga
le

a liberare

patria, a ristabilire

con tutte

fanciullaggini con tutte le sue vecchie ciarpe

sacro

romano impero.
castello fortificato della Prussia,

A Minden,
il

ove

poeta fu costretto a pernottare, ebbe un altro ben


:

pi terribile sogno

talora gli parea che la frangia


l'

del suo letto fosse la testa d'un serpente, e


fischiare
girai;

udiva

Tu

sei nella fortezza, e di


si

qui non fug-

talora
i

sentiva strisciare sopra la fronte


la

qualche cosa, come


paralizzava

mano

di

un
si

censore, che

suoi pensieri; poi

vedeva circonspettri,

dato

il

letto

da gendarmi simili a
;

avdelle
tro-

volti in bianchi lenzuoli

udiva

il

cigolio
si

catene;

gli

spettri lo

trascinavan via; e

vava legato
di

in

cima d'una rupe: ed ecco lass


diventando un

nuovo

la frangia del letto, che

avvoltoio, rassomigliante

l'aquila prussiana, gli

rosicava

il

fegato.

Sul Deutschland di Enrico Heine

163

Destatosi, scappa

da
il

Minden
terreno

solamente

quando ha toccato
sente
di

di

Buckeburgo,

respirare

liberamente.

A
il

Buckeburgo
castello;

scende di vettura
ripiglia
il

per

visitare

poi

viaggio per l'Annover, dove arriva a


di

mezzogiorno. Finalmente, dopo poche altre ore

cammino, giunge

alla
le

meta

del suo viaggio, ad


ri-

Amburgo; dove
ceve sono

prime accoglienze ch'egli


affettuosissime
della

quelle

vecchia

madre.

Una

sera

il

suo editore
si

Campe

lo

mena

alla

taverna di Lorenzo, dove

mangiavano

le ostri-

che migliori. L
e

il

poeta trova buona compagnia,

molte vecchie conoscenze.

Campe

era

l'An-

fitrione.

Campe,

dice

il

poeta,

veramente

la perla

degli editori:
di

un

altro

m'avrebbe lasciato morire


bere: oh non lo

fame;

lui
!

mi d anche da

lascer
Il
il

mai

poeta, che ha alzato un po'

il

gomito,

si

sente

petto caldo d' amore, sente bisogno di prender

aria,

ed esce. Egli in uno di quei momenti in

cui tutte le gatte

sembrano
via

bige, tutte le
al

donne

tante Elene. Nella


della luna

Drehbahn vede
di

lume
forme

una donna
Il

alta statura, di

maestose.

viso tondo e fresco, gli occhi

come

164

Libro

Primo

turchine, rosa
ciliege,

le

guance, la bocca del colore delle


il

anche

naso un po' rosso. Aveva in


le

capo un berretto bianco; una tunica bianca


scendeva fino
alle polpe.

La sua

fisonomia era
il

delle pi volgari. Si

avanza verso

poeta, e gli

il

benvenuto;
si

ei le

chiede se pu accompagli dice:

gnarla; ella
gliato, io
la

mette a ridere, e

Hai sba-

non sono una

di quelle, io sono

Ammonia,
ti

Dea

protettrice di

Amburgo;

ora, se

piace,

seguimi pure, e andiamo.


Saliti

per una strettissima scala nella cameretta


la

d'Ammonia,
saltato
il

Dea domanda

al

poeta perch

gli

ticchio di venire in

Germania

nella

cattiva stagione.

Dea,

ei

le

risponde,

m' avea

preso
rio
si

la

nostalgia. L'aria di Francia, d'ordina-

leggera, cominciava a pesarmi, io soffodi

cava; io sentiva bisogno

respirare l'aria tela

desca; io moriva di desiderio di rivedere

mia
dei

vecchia madre;
nostri

io
io

voleva rivedere
volea

il

fumo

camini;

piangere ancora

una

volta dove tante altre volte avea pianto. Questo

pazzo desiderio ci che chiamano, credo, amore


di patria: e questa la

mia malattia;

ma

io

non

amo
le

parlarne.
la

Odio que' pitocchi

che, per

comvia
io

movere

gente, mostrano gridando

sulla

fetenti

piaghe del loro patriottismo.

O Dea,

Sul Deiitschland di Enrico Heine

165

son malato; fammi una tazza

di th, e mettici

un

po' di

rhum.
gli fa
il

Ammonia
siglia e lo

th, e

mentr'ei beve lo conin

prega di non tornare a Parigi,


e perversa,

quella

citt

immorale

ma

di restare in

Ger-

mania;

e per indurlo a ci, gli dice

un mondo
vero che
la seril

di belle cose: che in

Germania non
si

non
vit,

ci

sia libert,

che

pu ben fuggire

come

Roma, ammazzandosi; che

po-

polo gode libert di pensiero, la censura essendo


soltanto pei pochi che scrivono; che nelle prigioni

tedesche nessuno mai morto di fame, ecc. ecc.

finalmente

gli
ti

dice

Se tu non
il

fossi

un chiac-

chierone, io

farei
ti

vedere
farei

futuro nel mio

specchio magico,

vedere quello che non


l'

ho mai
patria.

fatto vedere a nessuno,


Il

avvenire della
il

poeta

promette e giura di serbare


ripiglia
:

silenzio, e la

Dea
il

Mio padre
il

si

chiamava

Carlomagno;

trono ov'ei sedeva


;

giorno della

incoronazione ad Aquisgrana
si

il

seggio di cui

serviva la notte fu ereditato da

mia madre,
l in

che morendo lo lasci a me. Eccolo


canto. Alza
seggio, ficca
il

quel

cuscino

che cuopre
il

il

venerabile

animosamente

capo nella rotonda

apertura eh' sotto, e vedrai l'avvenire, vedrai


1'

avvenire della Germania.

Il

poeta corre, alza

66

Libro

Primo

il

cuscino, e fcea
Io

il

capo dove

la

Dea

gli

ha detto.

Orrore.

non

riveler, dice egli, ci

che

ho veduto; poich giurai di tacere; appena mi


permesso
dire
ci

che ho sentito. Ci eh'

ei

senti fu tal cosa, che gli fece

perdere la conosi

scenza.

Quando

riapre

gli

occhi,
gli fa le

trova nelle

braccia di

Ammonia, che

pi alte e apri-

passionate proteste d' amore, che lo prega di

manere con

lei,

e gli dice: Rimetti

il

coperchio,
gioia
;

affinch quell' odore


resta, resta

non turbi
io
ti

la nostra

con me;

amo come
le

niun' altra

donna am mai un poeta tedesco. Senti tu questo

canto? Mi pare che sieno

guardie

della

citt.
il

Certo

ci

cantano

l'

epitalamio, ci cantano

canto di nozze, o mio dolce compagno.

Quant' altro avvenne in quella notte meravigliosa, dice


il

poeta, io

lo

racconter

un' altra

volta, ai caldi giorni d'estate,

quando

la

vecchia

razza della ipocrisia sar


sorta la
io

sparita,

quando sar

nuova generazione

libera e pura.
;

Ad

essa

dir tutto. Essa sola

pu intendermi
della

essa sola
lira,

degna

di udire
e alle

il

suono

mia
di

cara

alle

Grazie

Muse, come quella

mio padre

Aristofane.

Sul Dmtschland di Enrico Heine

167

III

Tale
pose,

l'

orditura del poema, che l'autore come

appena tornato a Parigi:


alla

torn,

come

aveva promesso
dell'anno.
Il

moglie, prima della fine

20 febbraio

i844
il

egli scriveva al

suo editore Campe:


io

Dopo

mio

ritorno qui,

ho molto lavorato: ho

scritto,

per

esempio,
il

una epopea

di viaggio affatto umoristica,


in

racciclo

conto della mia venuta


di venti poesie rimate

Germania, un

Voi sarete molto contento

di

me,

il

pubblico

mi vedr

nel

mio vero

aspetto.

Queste mie ultime

poesie sono un genere affatto nuovo, de' Reisebilder in versi, e respireranno


alta delle fetide

una

politica pi
(1).

rime politiche del giorno

il

17 aprile, tornando sull'argomento, aggiun:

geva

E un poema,
modo
politico
la

che
pi
ardito
e

riproduce nel
nale tutta

pi

persopaese.

fermentazione del

nostro

E un poema
il

romantico, e dar, spero,

colpo mortale alla prosaica e tronfia poesia di

(1) Brie/e von

Heinrich Heine; Hamburg, Hofrmann

und Campe, 1866; Dritter Theil.

68

Libro Primo

tendenza. Voi sapete ch'io non esagero


delle cose mie,

il

valore

ma

questa volta son certo di aver


far pi furore della
il

composto un'operetta, che

brochure pi popolare, ed avr tuttavia


rito durevole di

me-

una poesia classica (i).


il

Ai primi

di

giugno l'Heine spedi all'editore

manoscritto

pronto per la stampa, raccomandandogli di evitare la censura; e alla proposta, fattagli dall'editore
stesso, di
:

sottoporlo al

sindaco Sieveking,

rispondeva

No no
l'

foss' egli

mio padre, non


(2).

potrebbe accordare

imprimatur

Invece

il

Sieveking lo accord.

Ma

l'

Heine, che intanto


lettera al

aveva

scritto

una seconda
risposta stava,

Campe,

non vedendo
spine,

come

suol

dirsi, sulle

non seppe frenare l'impazienza,


la fine di

e parti di

nuovo verso

luglio alla volta


il

d'Am-

burgo, per assicurarsi che

poema

venisse stam-

pato nella sua integrit.

Come
il

l'Atta

Troll, cosi
di

il

Deutschland nella
alcuni capitoli, che
i

prima edizione mancava

poeta aggiunse pi tardi. In generale


il

poemi

epici, scriveva egli

19 dicembre al suo editore,

vogliono essere

rifusi.

Quante

volte

mut

l'Ario-

(1) Op.
(2) Op.

cit.,

loc.
loc.

cit.

cit.,

cit.

Sul Deutschland di Enrico Heine

169

sto! quante
e
i

il

Tasso!

Il

poeta pur un uomo,

migliori pensieri gli


il

vengono a lavoro

finito.

Anche
presente

Racconto

d'

inverno nella sua forma


di

incompiuto; abbisogna
e ci

migliora-

menti notevoli,
Io

mancano
di

pezzi principali.
scriverli

ho vivissimo desiderio

quanto

prima potr,
edizione del

e pregarvi di preparare

una nuova
accresciuto.

poema

rifuso e molto
cosi

Vedrete

quanto sar

pi

perfetto, e

qual

nuovo

trionfo gli riserbato! (1)


lo

vero quello che osserva

Strodtmann, che
satira

in questo
torit

poema

la

mordace

ha un'audi

morale ed

estetica, poich'
il

non manca
poeta,

un pi
punto
chio

alto punto, dal quale


di

come
il

dal

Archimede, solleva dai cardini


il

vec-

mondo. Questa volta

suo

scherno non

distrugge soltanto per distruggere,

ma

per spaz-

zar via

rottami del passato, per purificare con


l'aria

un temporale

grave e soffocante, per met-

tere in fuga la nebbia dei romantici politici (2).

Nel Deutschland Enrico Heine


figlio,

veramente
il

il

anzi l'apostolo, della rivoluzione,


I

disce-

polo di Kant e di Hegel.

pi audaci

pensieri

(1)
(2)

Op.

cit, loc.

cit.

Strodtmann,

op.

cit.

Zioeiter

Band. pag. 310.

170

Libro

Primo

di rivolta contro

l'

ordine

politico

sociale

reli-

gioso del

tempo suo
ne
fa

gli si affacciano alla

mente,
ne' suoi

ed

ei se

banditore

suggellandoli

versi immortali.

Ma

l'ardito rivoluzionario , s'intende,

un apo-

stolo a

modo

suo; un

apostolo

poeta, e poeta

artista, e

poeta umorista; umorista incorreggibile,

come

altri disse.
il

Ha, non meno dello Strodtmann,

ragione

Saint-Rene' Taillandier quando dice:


soltanto
il

La Germania non

poema

di

una
si

opposizione turbolenta e sarcastica:


burla in esso di tutto e di tutti,

l'Heine

anche
li

di s. Egli

sembra

l'alleato dei democratici, e

cuopre di

ridicolo nel
liberali
tisti;
il

tempo che stende


lui sagrifcati

loro la

mano;

sono da

non meno dei pie-

partito nazionale maltrattato


re Federico
di

non meno

duramente del
tore

Guglielmo IV. L'aututto


il

trova

modo

avvolgere

passato

nella diabolica caricatura ch'egli fa del presente.

Nella caverna del Barbarossa, e sotto


d'

le

querce

Arminio
(1):

egli deride spietatamente l'intera

Ger-

mania

quella

Germania

di cui

pure poteva
fare; la

con piena sincerit dire:

Io

ho un bel

Saint-Ren Taillandier, Ecrivains


1861), pag.

el poeles

pie

dernes (Paris, Lvy,

J2S-129.

Sul Dcutschland d Enrico Heine

i"ji

vecchia Germania sempre


cuore, con tutti
Il
i

in

fondo al mio
filistea.

suoi sentimenti di
le

poeta prevedeva
le

accuse che

gli

sarebbero

piovute addosso, e
prefazione:

preveniva scrivendo nella

Io sento gi le

rauche grida degli

eroici lacch dalla livrea gialla rossa e nera:

Tu

oltraggi la nostra bandiera, o traditore della

patria,

o amico dei Francesi,


libero
la

ai quali
io

tu vuoi cestimer, io
lo

dere

il

Reno!

Calmatevi:
non
sar pi
la

onorer
riter,

vostra
essa

bandiera quando essa

me-

quando

un

trastullo di

oziosi o di schiavi. Piantate

bandiera gialla

rossa e nera in
lo

cima del pensiero tedesco, fatene

stendardo della libera umanit, ed io verser per


il

essa
io

miglior sangue del


la patria

mio cuore. Datevi pace,


:

amo

quanto voi

per questo

amore

io

ho vissuto

tredici

anni della mia vita in esilio;

per questo amore torner nella terra dell'esilio, e


ci

rester forse per sempre, senza piagnucolare,


far le

senza

smorfie d'un martire. Io sono l'amico

dei Francesi,

come sono l'amico


essi

di tutti gli uoe

mini,

quando

sono ragionevoli

buoni; e

perch non sono cosi sciocco o cattivo da desiderare che


i

miei Tedeschi e
della

Francesi,

due

popoli eletti

umanit,

si

diano sul capo


e della

per

il

maggior bene dell'Inghilterra

Rus-

172

Libro Primo

sia, e

per procacciare una gioia maligna a tutto


e
il

il

nobilume
pace, io

pretume

di
il

questo globo. Datevi

non ceder mai

Reno
il

ai

Francesi, per

questa semplice ragione, che


esso

Reno

mio.

Si,

mi

appartiene per inalienabile diritto di na-

scita; poich io

sono del libero Reno

il

figlio

an-

cora pi libero; sulle sue rive

io ebbi la culla; e

non veggo
altri

perche'

il

Reno debba appartenere ad


L'Alsazia e la Lorena
cosi di leg-

che

ai figli del paese.

io

non posso veramente incorporarle

gieri,

come

voi fate, all'Impero germanico; poi-

ch

gli abitanti di

quei paesi sono fortemente at-

taccati alla Francia, a cagione dei diritti ch'essi

hanno guadagnato

nella rivoluzione

francese, a

cagione di quelle leggi d'eguaglianza e di quelle


libere istituzioni, che piacciono

molto

al

gusto

della borghesia,

ma
e

che lasciano ancora

molto

a desiderare allo stomaco delle grandi


dini.
I

moltitu-

Lorenesi

gli

Alsaziani

si

riuniranno

alla

Germania, quando noi compiremo l'opera


i

che

Francesi

han cominciata, quando noi


fatto,

la

proseguiremo col
coi pensieri,

come
la

la

proseguiamo gi
alle

quando noi

proseguiremo fino

ultime sue conseguenze,

quando
all'

noi distrugge-

remo
paro,

la
il

schiavit

fin

dentro

ultimo suo

ri-

cielo,

quando noi solleveremo

dalla sua

Sul Deuts chianti di Enrico Heine

173

degradazione
di noi,

il

Dio che abita sulla terra dentro


la

quando noi renderemo


al
i

sua dignit al

povero popolo diseredato,


bellezza profanata,
stri

genio schernito, alla


nostri grandi
e

come
e

mae-

han predicato

cantato,

come

noi loro

discepoli vogliamo; allora


e la

non solamente l'Alsazia

Lorena verranno a
tutta l'Europa,
il

noi,

ma

tutta la Francia,

ma

mondo

intero.

Si, allora

il

mondo
della
le

intero diventer tedesco! Io la sogno spesso

questa missione, questa universale dominazione

Germania, quando

io

vo passeggiando sotto
(1).

querce.

questo

il

mio patriottismo

Con

queste calde e quasi ispirate parole, che


e

mostrano quale
l'amore

quanta differenza passasse


dell'Heine e quello
liberali,

fra

di patria

dei
egli

suoi
fuori
la
at-

compatrioti anche
il

mandava
tardi,

suo poema. Cinque anni pi

dopo

trista fine dei

moti del i848, gi fieramente

taccato dalla malattia che doveva struggergli a

oncia a oncia
lata

la viti,

scriveva la poesia intitoleggesi sotto


il

NelV ottobre i84g, che


18 nella serie

nu-

mero

La^arus

del

Romanzer, ed
della

aggiunta alla traduzione francese


col titolo

Ger-

mania

Strofe supplementari.

(1)

H. Heine, Deutschland, Vorrede.

174

Libro Primo

torna
si

La gran tempesta si calmata, e tutto a casa nostra quieto come prima; Germania, la gran bambina,
rallegra di

nuovo

de' suoi alberi di Natale.

Noi

ci

rimettiamo a fare la dolce vita di famiglia


felicit,

ci che oltrepassa questa


di pace, che
di casa,

male
il

la

rondine
il

una volta aveva

fatto

nido sotto

tetto

ora torna ad abitarlo.


il

La
mente
colpo
amici.

foresta ed

fiume riposano in una tranquillit sendal


si

timentale,

illuminati

dolce

lume

della

luna: sola-

di tanto in tanto di
fucile?

sente uno

scoppio.

un

Forse

han

fucilato

uno

de' nostri

Forse han trovato quel furibondo colle armi alla mano.

(Non

tutti

hanno

lo spirito di P'iacco, che

si

diede cosi

bravamente

alla fuga).

Un
fizio

altro scoppio.

forse

una

festa,
!

un fuoco
razzi

d' arti-

per F anniversario del Goethe

Son

che salutano

madamigella Sonntag, che


essa tutta la vecchia musica

levasi dalla
!

tomba

e con

Ecco anche Francesco Liszt


guinante in qualche

egli vive,

non giace

san-

campo

di
1'

battaglia

dell'Ungheria;

non un Russo non un Croato

ha ucciso.
l'

E
versa

caduto

l'

ultimo baluardo della libert, e

Ungheria
cavaliere

l'ultima sua goccia di sangue.

Ma

il

Francesco Liszt

rimasto illeso; anche la sua sciabola

le

che sta sempre chiusa nel canterale.


Egli vive, Francesco Liszt, e quando sar vecchio rac-

conter ai suoi nipotini, che


meravigliose
la

gli

faranno intorno corona,

gesta della

guerra

ungherese.

Cosi
scia-

me

passai io, dir egli, e cosi maneggiai la mia

bola.

Quand'io odo
sottoveste

il

nome

dell'Ungheria,

la

mia

tedesca

mi diventa

stretta,

sento agitarsi sott'essa


il

come

un mare, mi sembra d'udire

suono delle trombe!

Sul Dattschland d Enrico Heine

175

Risuonano

di

nuovo

dentro

il
il

mio cuore

le

eroiche

leggende da lungo tempo obliate,


antico,
il

ferreo selvaggio canto

canto della ruina dei Nibelunghi.


eroico
destino,

E
sono

il

medesimo
i

sono

le

medesime an-

tiche storie;
gli

nomi

soltanto sono cambiati,

ma
le

gli eroi

stessi.

Anche

la loro sorte la stessa.

Per quanto

bandiere
l'

sventolino libere
tica usanza,

superbe,

1*

eroe deve,

secondo

an-

soccombere sotto
volta
il

la forza bruta.

questa

toro

ha anche

stretto

alleanza con

l'orso.

Tu

cadi;

ma

consolati, o Magiaro, noialtri te-

deschi abbiam dovuto sorbirci un' onta pi amara.


Rispettabili
affatto
lupi,

bestie sono

almeno quelle che vinsero


il

te

onestamente;

ma

noi passiamo sotto

giogo di

di porci e di cani volgari.


urla,

Ci

grugnisce

ed abbaia.

Io

posso appena

sopportare l'odore dei vincitori.


ste

Ma

silenzio, o poeta; que-

cose

ti

eccitano

tu sei malato e sarebbe pi savia

cosa tacere.

Quanto
versi
bile
tori!
!

dolore,

quanta

amarezza

in

questi
la

che affetto profondo e sincero per

no-

causa de' vinti! che alto disprezzo pe' vinci-

Non mai l'amore

della libert e l'odio della


1'

tirannide, la simpatia per gli oppressi,

abbor-

rimento per
sione

gli oppressori,

trovarono una esprespi


alta.

poetica pi schietta, pi piena,

Quanta

diversit fra questa e la poesia politica


le

che allora correva


lore
e
1'

strade!

Nonostante
l'

il

do-

amarezza, nonostante
il

apparente sco-

raggiamento, forse

poeta

non avea perduto

176

Libro Primo

ancora la fede nel trionfo della

causa della

ri-

voluzione, per la quale avea combattuto e

comche

batteva tuttavia con

le

migliori sue armi.

Ma

avrebbe

egli detto, se gli fosse


altri

accaduto

di vivere

poco pi di
a vedere
il

venti anni?

Che avrebbe
da
lui

detto

soldato prussiano

schernito,

trionfare a

Sadowa

e a Se'dan, e la odiata e

Prussia

divenire oltrapotente,

re

Guglielmo coronarsi

imperatore?

Povero Heine,

egli fu

ottimo poeta,

ma

cattivo

profeta: la grande rivoluzione germanica da lui

sognata non venne e non verr.


tedesco, purch' sia soddisfatto
zionale,
si
il

Il

buon popolo

suo orgoglio na-

contenta facilmente, e rimane e rimarr

ancora per molto tempo uno strumento docile


nelle

mani

dei suoi governanti.

Lo stomaco
e

delle

moltitudini ha ancora, vero, qualche cosa da


desiderare:
tedeschi,

ma

chi lavora, studia


il

sogna come
la

non ha

tempo, e forse neppure

vo-

glia, di fare rivoluzioni.

LIBRO SECONDO

12.

ClllAKINI

GIACOMO LEOPARDI

&* .^S^^":

FRAMMENTO

on c' forse
di

scrittore italiano che al pari


sia stato e sia lo-

Giacomo Leopardi

dato da uomini d'opinioni, letterarie e


filosofiche, pi disparate, e intorno
stati proferiti,

cui siano

anche dagli amici ed ammiratori

suoi, giudizi pi opposti. Perch,


se'

amando

1'

uomo

sopra
i

tutti,

pregiando sopra quelli di ogni

altro

pensieri suoi, accade che parecchi trovino


,

nel Leopardi, oltre ci che vi

anche

ci che vi

mette

la loro fantasia.

Quelli che

ammirano l'ingegno

del Leopardi

e ne disapprovano le opinioni, vogliono persuadersi ch'egli sarebbe stato dei loro, se


le
tali

non erano

tali

altre

circostanze

che

lo sviarono.

182

Libro Secondo

chi attribuisce alla perniciosa influenza d'un


le

amico

qualit dei suoi pensieri e ragionamenti,

e chi alle malattie che gli fecero


la

lunga di dolori
gli

vita breve; non

si

accorgendo

uni che per


essere

quella guisa riducono

un grande uomo ad

poco meno che un bambino, mostrando

gli altri,

non so con quanta generosit,

di

negar fede

alle

solenni dichiarazioni dello scrittore.

Gi fino del i832 s'era

in

un giornale

di Stutt-

gard recato in mezzo cotesto argomento dell'infelicit a

spiegare la filosofia del Leopardi.

Il

quale

scriveva subito al

De

Sinner, che aveagli

manque

dato a leggere

il

loglio.

Quels que soient mes


propos d'taler
et

malheurs, qu'on a jug


peut-tre on a
j'ai

un peu exagrs dans ce

journal,

eu assez de courage pour ne pas chercher


les

en diminuer

poids ni

par

de

frivoles

esp-

rances d'une pretendile flicit future et inconnue,


ni par
la

une lche rsignation. Mes sentimens envers


e'te'

destine ont

et

sont toujours ceux que

j'ai

exprims dans Bruto Minore. C'a t par suite

de ce

mme

courage, qu'e'tant

amene par mes


je n'ai

recherches une philosophie dsespe'rante,


pas
he'site'

l'embrasser toute entire

tandis que
effet

de l'autre cot ce n'a t que par


lchet des

de

la

hommes, qui ont besoin

d'tre per-

Giacomo Leopardi

183

suads du mrite de l'existence, que Ton a voulu


considrer
le rsultat

mes opinions phllosophiques

cornine
et

de mes souffrances particulires,

que

l'on s'obstine attribuer


te'rielles

mes circonstances ma-

ce qu'on ne doit qu'


je

mon

entendement.
contre
cette

Avant de mourir

vais

protester

invention de la faiblesse et de la vulgarit, et


prier

mes

lecteurs de s'attacher

de'truire

mes
que

observations et d'accuser

mes raisonnements
(1).

plutt

mes maladies

Ma

che importa di ci a quei pietosi, che han

decretato doversi ammirare l'ingegno e compassionare la filosofia del Leopardi? Essi non rico-

noscono

al

poeta la facolt
de' suoi

di

giudicare s stesso,

e dare ragione

pensieri.
ne'

costoro

po-

trebbe rispondersi che


del corpo e
felici

tutti gli

uomini sani
contra-

ragionarono in

modo

rio al Leopardi, n tutti gli

ammalati

e miseri,

come

lui.

Il

Voltaire ed

il

Byron, che nella vita


poeta,

esteriore furono molto diversi dal nostro

s'incontrano

con esso in molti pensieri.

da

Giob

fino all'autore delle

Mie

prigioni, quanti

non trassero dalle sciagure della loro vita ar-

(1) Leopardi, Epistolario; Firenze,


voi.
II,

Le Monnier, 1864;

pag.

191.

84

Libro Secondo

gomenti a
credere?
Io,

farsi

pi

accesi

perseveranti

nel

che fra

le qualit

pi pregevoli del
sincerit,

Leopardi scrittore ammiro


intera alle parole di lui; e
col pi leggero

la

do

fede

mi parrebbe

di fare

dubbio onta gravissima

alla singo-

lare eccellenza di quella mente, alla rara bont di

quell'animo.

Nondimeno credo che un'influenza


ne' ragionamenti di lui
le

non leggera
citato

abbiano eser-

anche

miserie
essi

sue fisiche;

ma

la ra-

gione prima di

ha da cercarsi nelle qualit

della sua mente.

L'ingegno
le

l'animo, e per conseguenza anche


il

opere che da quelli procedono, sono


della organazione del corpo e

risul-

tamene
le

di tutte

circostanze

materiali e morali che nella vita


le quali,

lo

vengono modificando;

come ognuno

intende, producono effetti diversi, secondo che sono

diversamente organati

corpi sui quali operano.

Quelle medesime circostanze che fecero di Malebranche un celebre visionario, di Napoleone uno
sfrenato ambizioso, avrebbero d'altre tempre di

uomini potuto

fare

un Voltaire, un Washington;
il

come

il

Voltaire ed

Washington

il

Leopardi
quegli

non sarebbero certamente


uomini che furono,

stati in tutto

se altre fossero state le cir-

costanze della loro vita.

Ma

ne'

il

Washington

Giacomo Leopardi

185

avrebbe potuto facilmente essere un Napoleone,


n
il

Voltaire r

il

Leopardi un Malebranche.
il

Osserva giustamente
il

signor Joubert (1) che


alla

Leopardi stesso
le

ci

permette di credere

influenza che

sue malattie dovettero

avere
attri-

sopra
buisce

suoi

scritti

quando

nell'

Ottonieri

l'origine della filosofia socratica al naso


al

rincagnato e

viso

da

satiro di

un uomo

ec-

cellente d'ingegno e ardentissimo di cuore.

De-

terminare esattamente quanto delle azioni e dei


pensieri di

un uomo debba

riferirsi

alla

natura

sua

quanto

alle circostanze

della

vita,

im-

possibile.

Pure,

rispetto ai

mali

fisici

del Leo-

pardi, direi che essi, pi

che

modificare la soinfluirono
sulle

stanza dei

suoi

ragionamenti,

disperate conseguenze che ne


zioni che ne fece alla vita.

tir,

sulle applica-

Quasi non imporla avvertire che quelli che

ammirano l'ingegno

biasimano

la filosofia del

Leopardi reputano questa molto dannosa; e per


ci principalmente la dicono falsa.

sentir loro,

per poco la societ


le

umana non

si

disfarebbe, se

dottrine del Leopardi prevalessero; e chi narra

(1) Essais de critique el d'histoire


Paris,

par

Leo Joubert;

Didot,

1863; pag. 353.

i86

Libro Secondo

d'un giovane che s'anneg,


dosso
il

e gli fu trovato

in

libro del disperato filosofo; e chi altre


cose. Io potrei

terribili

invece

narrare

di

non
di-

pochi,

quali professano dottrine

non molto

verse

nella

sostanza

dalle

leopardiane, e sono

uomini
glia,

quieti e tranquilli,
cittadini.

buoni padri
piuttosto

di fami-

onesti

Ma

dir

come
dan-

non manchi

chi,

pur mostrando

di credere
sia

nose quelle dottrine, stima che,

pel

modo
quello

come T autore
di
lui,

le

espone, sia pel nobile carattere


l'effetto
il

producano
si

contrario

ch'egli
il

propose.

Che

Leopardi tifa desiderare


ti
il

miglioramento degli uomini, che


che
ti

fa

amare

la libert,

accende
gloria,

in

petto

desiderio

dell'amore,

della

della

virt,

che

non non

puoi lasciarlo puoi

senza
a

sentirti
lui

migliore, che

avvicinarti

se

prima

non

cerchi

di raccoglierti e di purificarti per

non avere ad
verissimo.
coli' illustre

arrossire al suo cospetto (i), per

me

Ma

dove non consento interamente


che afferma cotesti nobili

critico

effetti

della

filosi

sofia leopardiana, nel credere

che l'autore

fosse proposto gli effetti contrari.


Io so

bene che l'ultima conseguenza

logica

(i)

De

Sanctis, Saggi critici; Napoli, 1S66; pag. 338.

Giacomo Leo[-ardi

187

delle dottrine del nostro autore in queste pa-

role ch'egli scriveva al Giordani:


i

piaceri e
tra-

dolori

umani essendo meri

inganni, quel

vaglio che deriva dalla certezza della nullit delle

cose sempre e solamente

giusto e vero.
la

se

bene regolando tutta quanta

nostra vita seil

condo

il

sentimento di questa nullit finirebbe


e giustamente

mondo,
ogni

saremmo chiamati

pazzi, in

modo formalmente
le

certo che questa sarebbe

una pazzia ragionevole per ogni verso, anzi che


a petto suo tutte

saviezze

sarebbero pazzie,
si

giacch tutto a questo


plice e continua

mondo

fa

per la sem-

dimenticanza

di
(1).

questa verit

universale, che tutto nulla

Ma

forse
gli

il

Leopardi vuole coi suoi


mini a governare
egli

scritti

indurre

uo-

la loro vita

secondo questo che


della ragione
?

chiama barbaro insegnamento


l'

E
la
io,

ce ne d forse egli stesso

esempio?

Immenso

il

dissidio che la natura pose fra

ragione ed

il

sentimento; e in nessuno,

credo

cotesto dissidio fu

maggiore che nel nostro,


la

ch'ebbe grandi egualmente

potenza di ragio-

nare e la forza del sentimento. Chi vede in lui


soltanto
il

filosofo,

non vede che una met

del-

(1) Leopardi, Epistolario, ed. cit; voi.

I,

pag. 181.

Libro Secondo

uomo,

non pu quindi n intenderlo n giuEgli ragiona

dicarlo dirittamente.

come

porta la

sua mente, misurandosi ardito coi pi gravi problemi


dell'esistenza
e

guardando

in

faccia le

verit pi sconsolanti;
gli

ma

freddi raziocini

non
i

mutano

il

cuore. Possono dimostrargli che


illusioni;

suoi

pi nobili sentimenti sono

non

valgono a strapparglieli dal petto: anzi


che quanto
tanto
tale,

diresti

pi

il
li

poeta ne
ami.

scorge

la vanit,

pi

forte

E
si

in questo

amore
nei
effetti

fa-

che dal cuore di lui


il

trasfonde

suoi

versi, sta

grande segreto dei nobili

che

produce

la lettura di quelli.
il

Se talora

egli

mo-

strer di credere che

suo cuore

morto, sar

breve

inganno.
lui.

Esso vive, e

non pu morire
colla

che con
all'Italia

Cominci a poetare
bollente
di

canzone
finir

tutta

nobili affetti;

colla fredda satira dei

Paralipomeni ;

ma

anche

qui, gi vecchio a trentanove anni, mostrer che


le

sue gentili illusioni durano ancora, scrivendo

quella nobile invocazione alla virt nella fine del

Canto V. Alle parole


riferite

di lui al
e

Giordani

sopra
al

sono commento

compimento queste
quc
la

Jacopsen.

Je conviendrai

vertu,

comme
tait

tout ce qui est beau et tout ce qui est grand, ne


sDt

qu'une

illusion.

Mais

si

cette

illusion

Giacomo Leopardi

89

commune,si tous
tre vertueux,
sans, gnreux,

les

hommes croyaieni et voulaient


taient compatissans, bienfai-

s'ils

magnanimes, pleins d'enthousiassi

me; en un mot,
(car
je

tout le

monde
de

e'tait

sensible

ne

fais

aucune

diffe'rence

la sensibilit

ce

qu'on

appelle

vertu), n'en

serait-on

pas

plus heureux?

Chaque individu ne
socie'te'
?

trouverait-il

pas mille ressources dans la


devrait-elle

Celle-ci
les

ne

pas

s'appliquer

raliser

illu-

sions autant qu'il lui serait possible, puisque le

bonheur de
qui est

l'

homme
(1)

ne peut consister dans ce

re'el?

Chi meglio d'ogni


e giudic
il

altro ai suoi

tempi conobbe

Leopardi fu Pietro Giordani, che


all'Italia

primo

lo

conobbe ed annunzi

per un

miracolo d'erudizione e d'ingegno, e primo sce^e

con

la

sua benefica parola a confortare


portentoso
giovinetto.

solitari

studi del

il

Giordani
Leopardi,

comprese prima e meglio d'ogni altro


perch ebbe con
lui

il

molta conformit

di pensieri,
il

come lui grande e

lucida la mente, e nobile


i

cuore.

Io vorrei che tutti

giovani leggessero
il

mV? Epi-

stolario del Leopardi

carteggio dei due amici,


dalla

perch son certo

che

corrispondenza di

(1)

Leopardi, Epistolario;

ed.

cit,

voi.

I,

pag. 319.

190

Libro Secondo

affetti

e di pensieri di quelle
utili

due nobili

anime

trarrebbero molti

insegnamenti e molte ra-

gioni di confortarsi nella et

matura

delle molte

bassezze

vigliaccherie

che

incontreranno nel

mondo. L'amicizia

e la virt

sono ancora

illu-

sioni alle quali lecito credere


in tratto
il

finche' di tratto

appariscono sulla terra uomini che, come


la

Giordani, pongono ogni studio e

pi cara

soddisfazione dell'animo nel procacciare onore,

non a
tonio
vita
5

s,

ma

ad

altrui;

uomini che, come Anil

Ranieri,

cercano

miglior pregio della

nel consacrarla alla vita di 181 7 in cui la

un amico! Dal

marzo

prima

lettera del Gioril

dani and a Recanati a trovare

Leopardi, noi
pi
solle-

vediamo
cito,

il

Giordani

di

nient' altro

che della gloria e della salute dell'amico;


si

al

quale non

stanca di raccomandare che non


fatiche,

gli

ammali,
lui e

colle soverchie

quel per-

fetto scrittore italiano che la natura ha creato


in
.eli!

egli ha

in

grandissima parte lavesua


vita

rato, che conservi

la

come

se l'avesse

in
si

deposito

dall'Italia, e

come

se nel

deposito

conservassero grandissime sperante di gloria

e di felicit nazionale (1).


(1) V. Lettere del
lario del

E quando
al

scrive agli
Episto-

Giordani
voi. II,

Leopardi

nell'

Leopardi

pag. 302.

Giacomo Leopardi

19 1

amici e conoscenti suoi, parla del Leopardi con

un entusiasmo che oggi pu parere, anzi


esagerazione.

pare,

II

Il

Leopardi era nel i833 a Firenze, dove qual-

che anno avanti avea conosciuto Antonio Ranieri

napoletano:
poeta,
si

il

quale non
legato

si

tosto vide l'infelice

senti

lui

d'ammirazione

d'affetto cosi grandi,

che quasi parve non avere


alla

da quel punto proposto

sua vita altro scopo


le

che di contrastare con tutte

sue forze

ai

mali

onde

la

natura ed

il

ramente l'amico suo.

mondo flagellavano miseEd oh come dovette esser


gli riusci di

contento quando in quell'anno

per-

suaderlo d'andare con lui a Napoli, ove molti spe-

ravano che
gate
le

l'aria

nuova

e salubre

avrebbe miti-

sue infermit! Quattro anni dur ancora

la vita al

Leopardi
per
lui

nei

quali che cosa fossero e


la sorella

facessero

Antonio e

Paolina
dire.

Ranieri,

men

difficile

immaginare che
al

colla

morte dell'amico cessarono

Ranieri

gli uffici dell'amicizia.


(egli, e

Egli privato e non ricco

non

l'Italia) fece

porre un
e,

marmo

sopra

le

ceneri del grande

uomo,

monumento ben

192

Libro Secondo

pi

durevole ne raccolse in due volumi e pub-

blic nel i845 a Firenze le Opere.

Non

possibile a chi scrive di


i

Giacomo Leo-

pardi tacere

nomi
due

del Giordani e del Ranieri.


egregi, l'amicizia dei quali fu
lui,
si

Ma anche questi
diversi,

tanta parte nella vita di

mostrarono assai
e nell' amarlo,

non dir nel giudicarlo

ma

nelle opinioni che tennero in ordine ai suoi

scritti.

Non appena

egli

fu morto, ecco

il

Giorle

dani darsi attorno cercando con affetto d'amante


reliquie tutte del

grande ingegno, e raccomandare

convive

e continue istanze agli amici e conoscenti

suoi che lo aiutassero


cogliere e pubblicare
delle

all'opera
tutto

pietosa di racnella

che

edizione

Opere
i

fosse stato

omesso dal Ranieri. Cosi,


da questo, usci
in

dopo

due volumi

editi

Fi-

renze per opera di esso Giordani e di Pietro Pellegrini

un terzo volume, degli Studi giovanili di filoil

logia; e successivamente

Saggio sugli errori

popolari degli antichi

l'Epistolario, pubblicati

da Prospero Viani.

Ci

parve

al

Ranieri poco
delle

meno che una profanazione. Fedele esecutore


nei

ultime volont del Leopardi, egli avea raccolto

due volumi

dell'

Opere

tutti

gli

scritti

ap-

provati dall'autore: ogni rimanente avrebbe voluto


si

condannasse

all'oblio.

Per

la

lunga consuetu-

Gioco ino Leofar Ji

193

dine e la strettissima intimit avuta

coli'

amico

suo
di

egli s'era

formato

di lui

come l'immagine
un perfettissimo
nel-

una perfettissima bont

e di

ingegno; e questa

custodiva gelosamente
cosa.

l'animo quasi sacra

Ora, qualunque im-

pressione venisse a guastargliela, egli se ne afflig-

geva

e se

ne adirava altamente.
di ci,

Un

giorno, mentre

ragionavami

ed io pendeva curioso ed ata

tento dalla sua

bocca,

un

tratto

esaltandosi
il

proruppe:

Io

ho bisogno

di

adorare

mio

Leopardi, quale l'ho conosciuto. Guai a me, se

qualcuno valesse a distruggermi cotesto ideale

mi

ucciderei.

Io

ammiro questa
il

religione dell'amicizia, e ri-

spetto
al

sentimento delicato pe'l quale dispiace


dell'

Ranieri vedere divulgate

amico suo

scrit-

ture giovanili e per ci solo

non

perfette; e tutti
delle
scrit-

debbono

essergli grati, se nei

due volumi
il

Opere
tore,

ci

rappresent fedelmente

Leopardi
al

quale egli voleva mostrarsi


il

mondo. Ma,

intendendo e ammirando
stato fatto

Ranieri, lodo che sia


a lui parve

da

altri

quello che

non

dover

fare.

dir,

che per

la lettura degli scritti

pubblicati dal Giordani dal Pellegrini e dal Viani

non

si

scem niente

affatto in

me

la

reverenza
in

e l'affetto al
13.

Leopardi.

Che m'importa che

Chiarini.

194

Libro Secaaio

cotesti

scritti

sieno delle

imperfezioni?

Alcuni

per l'et dell'autore sono meravigliosi: ed an-

che in quelli che non son

tali

mi

piace e

mi

giova ricercare lo svolgimento dell'ingegno dello


scrittore.

Ma

perche',

dicono alcuni, mettere

il

Leopardi

in contradizione con s stesso, mostrandocelo che

inneggia alla religione, che


cristiani e

fa

un progetto d'inni

che scrive a suo padre d'avere ademle

piuto non so quali pratiche cristiane secondo


intenzioni
di

lui?

Oh non

abbiate paura:

gli

uomini veramente grandi non possono rimpiccolire,

perche' altri mostri tutta intera la loro vita.


esser vera,

Pu

ma pu

essere

anche solamente
'1

speciosa quella sentenza, che pe


ci

cameriere non

sono

eroi.

Si sa che gli atti d'eroismo

non

si

compiono

in

camera;

e a

me

sarebbe
tutti
i

un eroe
piccoli

molto sospetto quegli che in

pi

momenti

della sua vita

si

mostrasse eguale semal tutto

pre a s stesso, e

immune

dalle

deboal

lezze della nostra natura.

poi,

perch fare

pi grande e pi sincero amico della verit questo grandissimo torto, di credere che la vita di
lui

tema

la

luce? Io affermo sicurissimamente che


il

chi pensa di potere accusare

Leopardi di con-

tradizione per ci che sta scritto nel

Saggio sugli

Giacomo Leofar di

195

errori popolari

nell'

Epistolario,
il

pensa

una

grande sciocchezza. Certo


anni era religioso.

Leopardi a diciotto

che per ci? Vorreste forse

domandar conto
anche

all'autore della Ginestra di ci


alla

che pensava e operava in ordine

religione

nella et di cinque e dieci anni?


le

cin-

que anni avr recitato


mattina e della sera alla

sue preghiere della


e al Signore,

Madonna
la-

e a dieci avr forse fatto

prima comunione;

niente sospettando che, quaranta o cinquantanni

dopo, un critico religioso e

sottile, raccolta in

qual-

che parte questa peregrina notizia, sarebbe venuto


fuori

tutto

raggiante

di

gioia,

fregandosi

le

mani,

farci
si

sapere

che

quell'incredulo
il

del

Leopardi
nella

comunicava. L'essere

Leopardi

prima et stato religioso anzi una prova

di pi della sincerit delle opinioni che profess

di poi.

Ha
di

gi

quasi

dell'incredibile

che nei primi

questo secolo, da

una

citt

come Recanati

da una famiglia come quella del conte Moil

naldo,

nostro

uscisse poco

dopo

vent'anni

poeta e filosofo di liberissimi sensi.


se in quella et in

Oh

pensate

cui

l'uomo sente pi quasi

che non ragioni, e vive de' pensieri altrui pi che


dei propri, egli

non uscito mai

di casa,

educato

196

Libro Secondo

dai genitori e da due preti, poteva essere incre-

dulo!
e
si

Come
in

quando

si

volgesse
lo

pensare
egli

affezionasse

alla filosofia,

narra

stesso

quelle
al

brevi

notizie

della

sua

vita

che

mand

conte Carlo Pepoli

Bologna

nel 1826 (t).

Chi poi vuol giudicare


privata di

tutti gli atti della vita

un uomo senza tener conto


li

delle ra-

gioni e dei sentimnti che


fa distinzione fra le

produssero, e non

parole che l'uomo divulg

colla

stampa

e quelle

che consegn in una


il

let-

tera familiare, costui preghi o che


di giudicare

suo

modo
c'
ci

non prevalga, o che a nessuno venga


fatti

mai

talento di occuparsi dei


al

suoi.

Non
tutto

uomo

mondo

che, giudicato sopra

ch'egli scrisse nella sua corrispondenza epistolare,

non possa

essere colto, pi

d'una

volta, e e

pi

di dieci, in contradizione di pensieri

d'opere

con s stesso: o se
forse spregevole,

cotest'

uomo

c',

un uomo

certamente poco amabile e poco

amato.
Il

Leopardi era lontano dalla casa paterna. Rigli

ceve una lettera del padre, che

annunzia

la

(1) V. Epistolario

di

G.

Leopardi,

ed.

cit.;

voi.

I,

pag. 487.

Giacomo Leopardi

197

morte

di

un

fratellino,

e lo

prega

che

voglia

adempiere anch'

egli certe pratiche di religione,

nelle quali l'addolorata famiglia cercava

un con-

forto alla sventura domestica. Io dico che sarebbe stata cosa

ben

trista

il

far

pompa

di filosofia in

questa occasione; e l'anima


di

alta, gentile e

pura

Giacomo doveva rifuggire da cotesto eroismo

vigliacco, da cotesta franchezza d'


rato. e

uomo
il

snatu-

Tanto diverso
in

dal padre, egli lo

amava pure;
dolore di

non vedeva
il

questo punto che


famiglia,
il

lui,

dolore della

suo proprio do-

lore.

Qual cosa non avrebbe


ai

fatto,

che stimasse
ri-

poter gradire
spose,
al

suoi
il

cari e consolarli? Egli


e

mostrando

suo cuore lacerato,


i

dicendo

padre:

Ho

ricevuti

SS. Sacramenti colla

intenzione ch'ella sa

(1).

Ignoro se
sto genere

altri trovi altre

contradizioni di que-

fra

il

Leopardi

uomo

il

Leopardi

filosofo, fra gli scritti e le lettere familiari di lui.

Sar cosa molto probabile.

Giacomo aveva provato gravissimo


impedire non

il

peso del-

l'autorit paterna, che paurosa e dolente cercava


si

radicassero e svolgessero in lui

(1)

Leopardi, Epistolario,

ed.

cit.

voi.

IT,

pag. 85.

198

Libro Secondo

opinioni liberali e irreligiose; e qualche volta


figlio

il

prorompe sdegnato contro

cotesta autorit
il

che vorrebbe comprimere e opprimere


siero gi

suo pen-

grande

sdegnoso di
al

freni.

Ma

s'egli

non

pu
al

non deve piegare

giogo

l'alto intelletto,
il

suo cuore

per puntura acutissima


le

dolore
lascia

che danno al padre


l'ingegno

sue opinioni.
il

E mentre

correre libero

suo

fatale
e

cammino,

vuole come pu lenir quel dolore

procacciare al-

meno che non

s'irriti.

Da

ci lo studio continuo

che apparisce nelle lettere di Giacomo al padre, di


nascondere, non dir s stesso,
suoi pensieri che pi sa

ma

quella parte dei


malgraditi.
Il

essergli

quale studio ben lungi dall' essere una volgare


finzione:
il

e,

quando

si
il

tratta di

conservare intero

proprio carattere,
col padre.

Leopardi sa essere franco

anche
Il

conte Monaldo avea pubblicato

famosi Dia-

lo ghetti sulle

materie correnti nel

83 1,

opuscolo
lo at-

di politica legittimista e pretesca.

Parecchi
il

tribuivano, pur sapendone autore

padre,

al figlio

Giacomo, che dicevano


il

essersi

convertito

come

Monti ed
istante

altri

bravi uomini. Egli non dubit


per le stampe s non
:

un

di

dichiarare

essere autore dell'opuscolo, e di scrivere al padre

Giacomo Leopardi

199

Il

mio onore esigeva ch'io

dichiarassi di

non

aver punto mutato opinione.

Mi

sia
il

lecito notare

un

altro fatto, che giova a

spiegare

carattere del nostro poeta. Deliberato di

viver lungi da Recanati, costretto ad umili e faticosi lavori per procacciarsene


il

modo,

pur sem-

pre incerto del domani, riceve dalla famiglia l'offerta di


rifiuta,

un Beneficio
perch
gli

ecclesiastico, e la rifiuta.
gli

La

ripugna di accettare

obblighi

del Beneficio; e pi gli ripugna accettarli e

non

adempirli. Ci che alla maggior parte degli uomini


quasi la

prima regola

della vita, venire a patti con

la coscienza, alla nobile

anima

di

Giacomo Leolettere con

pardi un impossibile.
le

Ma

anche nelle

quali costretto a parlare francamente al padre

apparisce lo studio di non dispiacergli, anzi vi apparisce maggiore che nelle altre.

questo, che

pur troppo

il

contrario di quella espansione di


altres

animo che nasce da una piena confidenza,


per

me
al

il

segno pi chiaro

dell' affetto di

Gia-

como

suo genitore e della delicatezza de' suoi

sentimenti.

La ragione
il

di quella

poca confidenza
la

la

dice
e

Leopardi da
chi?

s;

dice,

sapete

dove

La

dice in

una

lettera

molto affettuosa

a suo padre, che gli avea fatto dolce rimprovero

Libro Secondo

dell' aridit delle

sue

lettere.

La carissima sua

ultima, scrive Giacomo, non ha lasciato di contristarmi sensibilmente coi rimproveri, quantun-

que amorosi, che


dell'aridit delle

essa contiene. Ella

mi riprende

mie

lettere; la

quale derivada
a tutte
le

mancanza
lettere

di materia,

ed

comune
vita

mie

perch

la

mia

monotona

senza
il

novit. Ella desidererebbe che io vedessi


solo,

suo cuore per un

momento;

e a questo

proposito
testa

mi permetta che

io le faccia
la

una pro-

una dichiarazione,
le

quale da ora in-

nanzi per sempre

possa servir di lume sul mio

modo
le

di sentire verso di lei.

Le dico dunque

protesto con tutta la possibile verit, innanzi

a Dio, che io
o
il

l'amo tanto teneramente quanto


possibile a figlio
io

fu

mai

alcuno di amare

suo padre; che

conosco chiarissimamente
porta, e che
io
a'

l'

amore che
alla

ella

mi

suoi benefzi

sua tenerezza

sento

una gratitudine

tanto intima e viva, quanto


titudine
il

pu mai essere gralei

umana; che
amore,

darei volentieri a

tutto

mio sangue, non per

solo sentimento di do-

vere,

ma

di

o,

in altri termini,

non per

sola riflessione,

ma

per efficacissimo sentimento.

Se poi

ella desidera

qualche volta in

me

pi di

confidenza e pi dimostrazioni d'intimit verso

Giacomo Leopardi

201

di

lei,

la

mancanza

di

queste cose non procede

da altro che dall'abitudine contratta sino dalla


infanzia, abitudine imperiosa e invincibile,

perch
(i).

troppo antica e cominciata troppo per tempo


1869.

Ili

Quand'io scriveva
capitoli di questo
dall'

tredici anni fa

due primi

frammento, ero ben lontano


altre e
fatte
al

immaginarmi che
sarebbero state

ben pi gravi acLeopardi,

cuse

che

si

sarebbe arrivati a dipingerlo, se non addirittura


a chiamarlo,

un

ipocrita,

un

egoista,

un

ingrato.

Altro che

disfare

l'ideale dell'amico

Ranieri!
e
i

chi poi m'avesse


alle

detto

che
si

l'occasione

documenti

nuove accuse

sarebbero
e
il

tro-

vati negli scritti dei

due migliori

pi

caldi

amici del poeta,

il

Ranieri stesso e

Giordani,

avrei domandato, credo, s'egli

era pazzo, o so-

gnava.

Da un volume
inedite, del

di oltre

600

lettere, la pi parte

Giordani

al Brighenti,

Domenico Gnoli
non
si

citava nel 1880 (2) alcuni luoghi che

pu

(1)

Leopardi, Epistolario, ed.

cit;
1

voi.
5

II,

pag. 61.

(2) Nuova Antologia,

fascicolo del

gennaio 1880.

Libro Secondo

negare abbiano una certa apparenza

di gravit.

Quando

il

Leopardi (scriveva

il

Giordani al

Brighenti nel 1839) cominci ad essere conosciuto

non mi

scrisse pi;

quando

in

Firenze

andavo

a trovarlo, non

mi
di

parlava. Nelle sue scritture

ha posto molti,
il

me non mai

parola. Pare che


Altri
fa

cuore
l'

non corrispondesse all'ingegno. han detto ingrato.


in

ancora
nulla.

Ma

questo non

una

lettera

del

4o diceva:
fosse

Io

credo che originalmente


affettuoso,

Giacomo
si

buono ed
molto

egoista. Per

ma credo che poi me pass dalle

fosse fatto

smanie amorose a

il

pi che indifferenza, ed ebbe torto.

Quando
pubblic
fresco
i

poi nello stesso

anno 1880
(1),

Ranieri

Sette anni di sodalizio

lo Gnoli,

ancora della impressione ricevuta dalle

lettere del Giordani, vide in quel deplorabile libro


la

prova provata della

falsit,

dell'

egoismo, della

ingratitudine di
Il

Giacomo Leopardi.
cui

Leopardi,
il

al

mantenimento provvedeva

largamente

Ranieri,

non facendogli mancare


giovargli o piacergli, e

nulla di quanto potesse

chiamando a curarlo
veva da
(1)

medici pi rinomati, scrialla

Roma

da Napoli
Sette

famiglia

come

Antonio Ranieri,

anni di sodalizio con Gia-

como Leonardi ; Napoli, 1880.

Giacomo Leopardi

203

se

dovesse pensare da s a
che
chieder

farsi le spese, e

non
lo

facea

quattrini. Scriveva,

dice

Gnoli, di ritrovarsi coli' acqua alla gola, d'aver


fatto dire tridui e
la

novene per ottenere da Dio


di

grazia

di

morire,

non poter consultare

medici, perch ogni visita nella


a Torre

campagna vicina
era,

del Greco,

dov'egli

costava non
il

meno

di quindici ducati;

dipingeva

suo stato

come fosse sul punto di morire


poi (prosegue lo Gnoli)

di fame.
il

Dove

mettesse

denaro che

pure, quantunque non molto, traeva dalla famiglia, e

come

si

trovasse in

tali

strette

da trarre

una cambiale

di dodici ducati sul

Bunsen, non

facile indovinare dalla narrazione del Ranieri,

dove non appariscono una gran passione

altre spese di

lui se

non

pe' gelati.

Ma, quel

eh' peggio,

mentre
si

il
il

Ranieri con grave spesa ed incomodo


pensiero di soddisfare alle sue
difficili

dava

voglie, e
lui, e la

un cuoco stava
gli

la

notte in piedi per


gli

buona Paolina
il

leggeva e

faceva da

infermiera, vincendo
il

disgusto della malattia e


il

pericolo della propria salute, e

Margaris ed
egli intanto

altri

venivano a tenergli compagnia,

scriveva al padre che aveva bisogno di fuggire

da questi la\\aroni e pulcinelli nobili


tutti ladri e b.

e plebei di

f. degnissimi di spagnuoli e

204

Libro Secondo

forche

(i).

qui lo Gnoli soggiunge:


nella

Questo
datagli

almeno non era compreso

facolt

dall'amico Ranieri; e veramente unpo'troppo.

A
tarsi

proposito di questa facolt bisogna


(lo
il

rammen-

narra ingenuamente

il

Ranieri stesso)
si

che

Leopardi, non volendo che a Recanati


niente
dei
fatti

sapesse

suoi,

aveva messo per

condizione ad accettare la
di

proposta dell'amico,

menarlo con

s a Napoli,

che questi lo lasciasse

liberissimo di inventare favole e romanzi quanti

voleva circa

il

suo andare
il

rimanere a Napoli

con

lui; libert che

Ranieri aveva conceduta

pienissima.

Anch'io
lizio

alla lettura dei

Sette

anni di soda-

provai una strana e dolorosa sorpresa,

ma

dolorosa rispetto al Ranieri, non rispetto al Leopardi


l'
:

dopo
l'

la lettura

mi rimase

inalterata nel-

animo
si

immagine

del grande e sfortunato poeta,

vi

offusc la dolce figura dell'amico consolatore.


i

Narrando

patimenti

fisici

degli

ultimi anni

della vita del Leopardi, senza risparmiare al lettore nessuno dei


colari,
l'

pi minuti e disgustosi partici

il

Ranieri
la

mostra che

la infelicit del-

amico suo,

quale sapevamo grandissima, fu

(i)

Leopardi, Epistolario,

voi.

II,

pag. 216.

Giacomo Leopardi

maggiore

di ci

che sapevamo, di ci che poteil

vamo immaginarci: narrando


egli e la

moltissimo che
i

sua Paolina fecero per alleviare


la

dolori

del

povero infermo,

sollecitudine affettuosa
i

colla quale cercarono sodisfare e prevenire


siderii di lui, la

de-

pazienza con
i

la
i

quale ne sop-

portarono

fastidi,

disgusti,

capricci,

poco o
ci

niente aggiunge a ci che

sapevamo, o

era-

vamo immaginati,
amicizia.

della

sua veramente eroica

Ma

se dinanzi allo spettacolo di quella

incredibile

miseria di
il

uno

spirito

altissimo ci

sentiamo stringere
in

cuore, e sentiamo crescere


se,

noi con la compassione l'affetto;

dinanzi a

quell'eroismo d'un' amicizia piuttosto unica che


rara, ci
ci

sentiamo compresi d'ammirazione, non


affatto disposti a chieder
fastidi,

sentiamo niente

conto

a un cosi grande infelice de'suoi


disgusti, de'suoi capricci; e ci fa

de'suoi

una ben dolol'aria


di

rosa
di

impressione
ora,

l'amico

che

ha quasi

venir lui

dopo un
a

nobile

silenzio

oltre

quarant' anni,
distesa
la
lista

chiedere
de' benefizi

cotesto
e

conto,

che,

de' sacrifizi

suoi, la

mette sotto
del

gli

occhi degli amici ed

am-

miratori

Leopardi,

dicendo

guardate qua

tutto quello ch'io feci per lui, e la bella

ricom-

pensa che n'ebbi.

2o6

Libro Secondo

Ma
col

la

ricompensa

egli

l'

ebbe,

1'

ebbe,

non dir

Piergili(i), nelle carte

del Leopardi da lui

ereditate,

ma

nell'affetto e nella gratitudine del-

l'amico, della quale non parve

dubitare finche'

quegli visse; l'ebbe nella gratitudine e nell'affetto di tutte le

anime grandi

e gentili, la quale

certo

non venne meno per

la lettura dell'episto-

lario leopardiano.

Fu un
il

errore,

un grande errore

del Ranieri

credere che qualche frase delle lettere dell'amico

suo, scritta forse in

un momento

di

umor

nero,
i

e certamente col pensiero a tutt' altre cose che

benefizi e le cure ond'egli lo circondava, potesse

sonare offesa
scritte dal

per

lui,

il

credere che

le

favole

Leopardi alla famiglia, per darle ad


che
a

intendere
potessero
il

Napoli

si

manteneva da

se',

menomare

nella opinione

degli onesti

pregio altissimo di ci ch'egli era stato e avea

fatto per l'infelice poeta.

Quando
vole,
tarle

egli lesse
si

altri gli

riferi

quelle fa-

come non

ricord della libert d'inven-

concessa all'amico suo?

Come

pot poi

pensare e scrivere che cotesta libert dovea pur


(i) Nuovi documenti intorno Giacomo Leopardi, raccolti e
alla vita e

agli

scritti di

pubblicati

da

Giuseppe

Piergiu; Firenze, Lemonnier, 1882, pag. LVI.

Giacomo Leopardi

207

avere dei confini, s'egli nel

concederla non ve
pot in
e in

ne avea

posto

nessuno?

Come

quelle

sciagurate

parole sui napoletani,

qualche

altro luogo simile delle lettere, vedere un'offesa

personale
chi

per

se'?

Come

pot non pensare che


era l'amico suo,
la

scrisse quelle parole

mae

ttissimo

ed

infelicissimo, e per

malattia

l'infelicit irritabilissimo,

e forse irritato chi sa

da

che, o per che?

Certo

una maggiore delicatezza

dell'editore
al

avrebbe potuto facilmente evitare


dispiacere di

Ranieri

il

leggere

quelle ed altre

simili pa-

role (che piacere si capisce


fatto);

non

gli

debbono aver

ma

forse

non sarebbe nemmen giusto


editore, o

sospettare

che

l'

chi

diede a

lui

da

stampare

le lettere

ove erano quelle parole, in-

tendessero, o anche soltanto pensassero, al dispiacere che ne avrebbe

avuto

il

Ranieri.
il

Ad

ogni

modo che
potr

cosa c'entra in ci

Leopardi?

si

fargli

una

colpa del

non aver pensato,


in

mentre scriveva quelle parole

una

lettera pri-

vatissima, che forse un giorno avrebbero potuto essere pubblicate, e lette dal Ranieri, e dispiacergli?

Non
disse,

scrisse forse

il

Leopardi dure e ingiuste


e
de'

parole anche de' fiorentini

romani? Non
uomini sono

scrivendo al padre, che

gli

2o8

Libro Secondo

sempre

e dappertutto

uomini,

cio

traditori, e

vigliaccamente malvagi?
fiorentino,

dovr per ci ogni


gli

ogni romano, ogni uomo, che

fu

amico

e gli fece dei benefizi,

leggendo quelle pa-

role leggerci un'offesa per

se'?
si

E
tutti

strano, poi, che

il

Ranieri

meravigli e

si

dolga di non trovare perfetta corrispondenza


i

fra

pensieri e le opere del Leopardi e

le

cose

da

lui dette

nell'epistolario, egli che scrisse let-

tere affettuose a quel

Monaldo pe '1 quale non


che
si

senti

mai molto
e si

affetto (i); pi strano

meravigli
le

dolga della pubblicazione delle lettere con


il

quali

Leopardi chiedeva denari

ai

suoi e inven-

tava loro delle favole intorno alle spese della sua

dimora
provato

in Napoli, egli che,


il

come recentemente ha

Piergili (2), spesse volte riscosse per lui

quei denari e scrisse sotto dettatura dell'amico

una

di quelle lettere favolose.

Ma

pi strano di

tutto ch'egli abbia potuto dubitare della bont

del suo povero amico, e porgere ai critici argo-

mento a negarla,
d'ogni
altro, egli

egli

che dove conoscerlo meglio

che fu per sette anni spettatore


le lettere

(1) Vedi, nei citati


nieri a

(2)

Nuovi documenti, Monaldo Leopardi, a pag. 235 Nuovi documenti ecc. pag. LI e

del

Ra-

e seg.
seg.

Giacomo Leopardi

209

e consolatore delle ineffabili miserie di lui, egli che

per sette anni contese eroicamente


quella infelice e preziosa esistenza.

alla

morte

Quanto
a nozze

ai critici cercatori di fatti,

quali

vanno
falsa

quando credono poter dimostrare

un'opinione da lungo tempo accettata (non escludo

me

dal bel numero), voglio pur dire ch'essi


il

hanno

spesso e volentieri un gran torto;

torto di guarfatti

dare un po' troppo attentamente

nuovi

perdere intanto di vista

gli antichi.

Anche lo Gnoli,
ebbe un
po',

scrittore accurato e coscienzioso,

secondo me, questo torto. Secondo


alle

me, egli diede un po' troppo peso

parole del

Giordani e del Ranieri. Accettando, senza sottoporli ad


fatti in

un esame abbastanza

diligente,

nuovi

esse affermati, e considerandoli troppo isoil

latamente da tutto
egli si affrett

resto della vita del Leopardi,


il

troppo a concludere che oggi

Leopardi
si

ci

apparisce un

diverso,

per quanto

voglia tener conto

della

sua infermit, da
i

quello che,
ci

leggendo a quindici anni

suoi versi,

eravamo immaginato; che oggi ricerchiamo

inutilmente quelP
l'

innata ed angelica bont del-

animo suo

di cui in altro

tempo

ci

parlava
il

il

Ranieri stesso, e che insomma avea ragione


14.

Chiarini.

Libro secondo

Giordani quando diceva che col tempo


fatto molto egoista
(i).

egli si era

Quelle parole, per quanto


della

si

voglia tener conto


lo

sua infermit, mostrano che


l'

Gnoli aveva

sentito che

infermit dovea pur contar qualche

cosa

nelle colpe

novamente

attribuite al

Leoil

pardi;

ma

egli
si

non ne

tenne, secondo me, tutto

conto che

doveva.

Prima

di pronunziare la sentenza contro la sin-

cerit e la

bont del Leopardi,


la

lo Gnoli,

che fece

cosi

bene

parte di oratore della legge,

come

si

direbbe in linguaggio forense,

avrebbe dovuto

anche un po' fare

la parte del difensore.

Non

si

condanna un accusato, senza dargli un po'


difesa.

di

Un
se per

difensore, per esempio, avrebbe considerato

avventura

il

Giordani non s'ingann


dell'

attri-

buendo a mutazione d'animo


dezza
di lui,

amico

la fred-

che poteva forse essere pi apparente

che reale, che poteva unicamente, o almeno in


grandissima parte, derivare dalle deplorabili condizioni sue cosi fisiche

come
il

morali. Chi

ama

come

il

Giordani amava

Leopardi, sempre,
po' sospettoso e ge-

anche senza avvedersene, un

Nuova

Antologia, fase.

cit.

Giacomo Leopardi

loso, e

quindi facilissimo ad attribuire a diminui

zione d'affetto dell'amico tutti

menomi

atti

che

ne hanno l'apparenza: ed
in

il

Giordani, per quanto

ci si sentisse e si dicesse, e
altri, in

realmente

fosse,

molto diverso dagli


lui, e

fondo era

uomo anche
Leopardi
lui

poteva, per troppo affetto, ingannarsi.

buon conto

egli si
scritti

lagna che

il

abbia posto ne' suoi

molte persone e di

non una parola;

si

lagna che negli ultimi anni non

gli scrivesse pi; e, se la


il
il

memoria non m'inganna,


scritti

Leopardi mise ne' suoi

una

sola persona,

Ranieri, nel iv dei Pensieri; e negli ultimi sette


pot'

anni pochissime lettere

scrivere,

queste

quasi tutte alla famiglia, o lettere

d' affari

o di

convenienza; e da alcuna
apparisce che
dani. Jn
si

di

queste e dalle ultime

ricordava sempre del suo Gior-

una

lettera ad

Adelaide Maestri,
ch'egli morisse),
il

scritta

nel i836 (un


ch'egli

anno avanti
al

si

legge

avea mandato

Giordani

primo volume
in

delle sue opere


stesso, e
si

stampato a Napoli

quell'anno

leggono queste parole:

inutile,

piuttosto impossibile ch'io vi dica quante cose io

desidero che diciate per

me

al

pap, alla

mamma

ed

al

mio Giordani,

alla

memoria

affettuosa dei

quali vi pregodi
(i
)

raccomandarmi

(i).

Certo que-

Leopardi, Epistolario,

voi. II, pag.

226.

Libro Secondo

ste
il

non erano

le

smanie amorose
era

delle quali parla

Giordani,

ma non
li)

nemmeno pi

che indiffe-

renza,

come

egli dice: e

bisogna non dimenticarsi


il

(siamo sempre

che a 38 anni

Leopardi non

era pi giovine, era decrepito e moribondo: quel

poco che

gli

restava di vitalit era interamente

occupato dal sentimento e dal pensiero de' suoi


dolori.

Se

si

vuol chiamare egoista un

uomo

che,

consumato e invecchiato anzi tempo dal male, non


sente e non opera in tutto

come

se fosse giovine e

sano, che punto e irritato continuamente dal dolore,

pensa pi a
il

se'

che ad

altrui, si
lo

chiami pure

egoista

Leopardi; cio

chiami chi vuole,

non

io.

Un
strato

difensore, per quanto ingegnoso ed acuto,

non poteva certo indovinare quello che ha dimoil

Piergili,

che cio

al Ranieri

non erano
il

ignote le somministrazioni di denaro che

Leole

pardi riceveva dalla famiglia, non erano ignote

famose favole ch'egli scriveva della sua vita napoletana


(il

che diminuisce molto


;

la gravit e l'im-

portanza di quelle favole)

ma

non era

diffcile

pensare, anche prima del Piergili (i), che quelle

parole di

Giacomo

sui napoletani, nella lettera al

(i)

Nuovi documenti

ecc.,

pag. LVI.

Giacomo Leopardi

21 3

padre del

febbraio

83
al

5,

dovevano probabilai suoi,

mente

riferirsi,

non gi

Ranieri ed

ma

a quella trista gente dalla quale, secondo che narra


il

Ranieri stesso,

il

Leopardi
difficile

si

lasciava facilmente

raggirare:

non era

ravvicinare e contrapil

porre a quelle parole ci che


nell'ottobre dello stesso

Leopardi scriveva
1

anno

835

al

De

Sinner,

che solo
tanare
il

il

fulmine di Giove avrebbe potuto allonil

Ranieri da lui(\)\

che basta, parmi,


la

a dimostrare ch'egli sentiva tutta

importanza

ed

il

pregio dei benefizi dell'amico.

Il

Leopardi, per quanto risoluto di vivere ad

ogni costo, finch potesse, lontano da Recanati,

che a torto o a ragione considerava come


fonte della sua infelicit,

la

prima

quando scriveva

alla fail

miglia sentiva naturalmente

rinascere in s

desiderio di rivederla; e poich anche lontano da

Recanati
desiderio

si
si

sentiva infelice, all'espressione di quel

mesceva

talora l'odio e lo sdegno condi

tro tutto ci

che anche fuori

Recanati

gli

fa-

ceva dolore e dispetto. Forse scriveva spesso

ai

suoi di voler tornare fra loro, per timore che noi

(1) Appendice all' Epistolario

agli scritti giovanili di

Giacomo Leopardi, per


Barbra,

cura di Prospero Viani; Firenze,

1878, pag.

182.

214

Libro Secondo

credessero disamorato;

ma

diceva di andare, e
ora

non

si

moveva,
non
si

allegando

una

scusa
si

ora
sen-

un'altra;
tiva

moveva,
al

perche' in l'ondo

oramai legato

Ranieri dall'amicizia, dalla

gratitudine, dal bisogno istintivo di conservare

finch potesse quel

filo

di vita che gli restava.


il

Un
(lo

difensore avrebbe osservato che


scrisse
i

Ranieri,

quando

Sette

anni di sodalizio, non era

confessa quasi egli stesso) in quella perfetta


della quale

serenit d' animo, fuori

non

si

pu

dare giudizio rettissimo delle azioni altrui; avrebbe


osservato che, se
gli
il

Leopardi scrivendo

al

padre

parla talvolta

il

linguaggio dell'uomo religioso,

egli

mosso

a ci dal desiderio, tutt' altro che biail

simevole, di fargli cosa grata e conservarsi


affetto,

suo

dal desiderio di
la

non accrescere maggior-

mente

distanza gi grande che per dato e fatto


li

delle opinioni

separava. In una lettera privata


di colui che la scrive,

non c' soltanto l'animo


c'

anche un po'quello

di colui
il

che

la riceve:

per

giudicarla quindi secondo

suo giusto valore,

bisogna tener conto dei sentimenti di ambedue e


delle loro

relazioni d' amicizia o di parentela o


si

quali altre

siano.

Del resto

il

Leopardi, quando
al padre,

crede di dover parlare francamente

seppe

ben

farlo.

Giacomo Leopardi

215

Un
ai fatti

difensore avrebbe finalmente contrapposto

nuovi

gli antichi.
le

Le

parole scritte dal Giordani al Brighenti,

cose dette dal Ranieri nei Sette anni di sodalizio,


e

qualche frase di qualche

lettera

del Leopardi,

potranno mostrare

tutt'al pi

che l'infelice poeta


della

non and

affatto

immune

dalle debolezze

nostra natura.
pot'

Ma

ch'egli n'andasse

immune

chi

crederlo mai? e lo crede forse, o volle farcelo

credere egli stesso? Egli, 'che pure chiam alta


gentile e
nella

pura V anima
si

sua, egli e da giovine e

virilit

senti e si lasci

conoscere

nei

suoi scritti
Me,

uomo
sol,

quant'

altri

mai.

s'io

non ho gi presso

L'estremo
Imbratter

me

di sua

pece amara

la

velenosa etade,

questo core istesso

Fia di malizia spreco e di viltade(i).

Cosi cantava a ventun

anno;

e verso

trenta,
:

nella trista solitudine di Recanati, ripeteva

Qui

di piet

mi spoglio

e di virtudi,

sprezzator degli uomini

mi rendo,
(2).

Per la greggia ch'ho appresso

(1) Appendice
(2)

cit.

pag. 228.
;

Leopardi, Opere, edizione curata dal Ranieri


75-

voi.

I,

P a g-

21

Libro Secondo

Chi studi attentamente

il

Leopardi

si

persua-

der facilmente ch'egli non volle mostrarsi negli


scritti

diverso

da quel
i

ch'era, che egli anzi

uno

degli scrittori
e pi
si

quali dipinsero pi sinceras


stessi
fatti

mente
loro;

interamente
i

nelle opere

persuader che

nuovi

non valgono

a distruggere l'antica opinione della bont di lui,

che ha fondamento saldissimo ne' suoi


nelle sue prose.

Canti e

N
stra

si

opponga

la

volgare osservazione
si

che

l'uomo

negli scritti destinati al pubblico

mofa-

quale vuole esser creduto, nelle lettere


privata qual'.
intera

miliari e nella vita

L'anima
negli

di

un grande

scrittore tutta

scritti

suoi meditati, non nelle piccole miserie

della
il

sua

vita.

pensieri

di

un

grande

scrittore,

frutto de' suoi studi e delle sue meditazioni

non

sono forse
dire, pi

la

parte migliore, la sostanza, per cosi

intima e vera dell'essere suo? non sono


c'
la

quello
inalza

che
sopra
valer

in

lui di divino, quello

che lo
ci

schiera

volgare?
essere

tutto

dovr

meno, potr

menomato o

distrutto

da

qualche atto o pensiero della sua

vita privata?
Il

filosofo,

il

poeta, l'eroe,

quando compiono
la

quelle opere che,

formando
diletto,

nostra

ammiraai

zione

il

nostro

ci

sollevano

pi

Giacomo Leopardi

217

nobili ideali della vita,

quali forse senza

loro

ci sarebbero ignoti, allora

veramente son loro,


loro.

allora

veramente esprimono l'animo

il

vedere ch'essi son pure creature umane come


noi,

che partecipano

alle

infermit nostre, deve

piuttosto

accrescere che

scemare

il

pregio che

noi facciamo delle loro virt. Perche' in fin dei

conti le debolezze che

li

accomunano
il

a noi ci

danno

in certo

qual

modo

diritto di

non ver-

gognarci d'essere uomini.

Concludiamo. Anche dopo


dani al Brighenti, dopo

le

parole del Giordel Ranieri,

le rivelazioni

dopo

le

osservazioni dello Gnoli, l'immagine del

Leopardi

uomo
lui

rimase nell'animo

mio quella
lettura degli

stessa che vi s'era formata per la


scritti di

fatta nella

mia giovent. Accenquali ci avvenne, io


vita delil

nando

le

ragioni

per

le

non ho inteso
l'infelice poeta,

di fare l'apologia della

ma

solamente esprimere

dubbio

che

la critica si

sia

troppo affrettata a pronun-

ziare la sentenza contro la sincerit e bont di lui,

ed esporre alcuni dei motivi pei quali mi pare


di poter chiedere

che venga cassata quella senprocesso.

tenza e rifatto
1882.

il

FRAMMENTO

II

'uomo, considerando

medesimo

le

altre opere della natura, vide in esse

uno

strano accozzamento di beni e di mali,


cosi fra loro collegati e commisti, che talora ci

che bene ad una cosa male ad un'altra, talora

un bene

cagione,

talora conseguenza

di

un male. La prima idea del male venne,


all'

io credo,

uomo
non

dal dolore

fisico.

Ma

bene e male non

sono che idee


se

umane:
e

in

natura non vi hanno

leggi

fenomeni.
alle

un

semplice fenodalla

meno, conforme
scienza
il

leggi

riconosciute
in

fisica,

il

congelarsi dell'acqua
in

neve,

cadere di

questa
e
il

larghissima copia sulle


in

alte

montagne

formarsi

valanga, che dalle

Libro Secondo

cime precipita

al

piede ruinosa.

Ma

se cotesta

valanga nel suo

cadere

schiaccia e cuopre la
il

casa del povero villano e travolge con s


giatore,
il

viag-

villano

il

viaggiatore dicono che ci

male. Sono fenomeni naturali una eruzione vulcanica,

un terremoto; ma quando distruggono


l'

le

intere citt,

uomo

dice che sono

un male. Una
dall'alto
alla

pietra
di

mal commessa, che staccandosi


precipita
al

una casa

suolo, obbedisce

legge di gravit,
seggero,
il

ma

se

cade sul capo

al pasfatto,

passeggero

trova

che cotesto
Il

naturalissimo, a lui male.


l'agnello e se lo mangia,
il
il

lupo

che uccide

gatto che acchiappa


si si

topo e prima di mangiarlo


il

diverte a farlo

soffrire,

pesce

grosso
si

che
pasce

nutre

del pic-

colo,

il

ragno che
all'istinto,

della

mosca, oblegge di
cosa,

bediscono

che

pure una
la

natura, e sodisfanno

un bisogno;

qual

secondo
bene.
e la

il

nostro

modo

di vedere,
il

per loro un
il

Ma

il

povero agnello,

topo,

pesciolino
fisico e la

mosca, cui ci reca un

dolore

morte;, se potessero ragionare, direbbero

che co-

testo male.

L'uomo, che per vendetta o per

l'acquisto di

un bene uccide
dell'

l'altro

uomo, segue un moto

animo, eh' quanto dire adempie anch' esso

Giacomo Leopardi

una legge

di

natura. Se
la

non che avendogli


e,

la

natura dato pure che non ami


il

facolt di ragionare,

pi

piacere,

fuggendo

egli

il

dolore,

ha sentito che per forza

di reciprocit gli bisofare altrui

gnava imporsi
non voleva

di

non

quello che

fosse fatto a s; e per ha stabilito

che l'offendere

un uomo

nella persona male,

ed ha minacciato pene agli operatori di questo

male. Perch non ha stabilito essere ugualmente

male offendere

gli altri

animali? Perch

fa

ci

tutto di con la maggiore indifferenza, sia privandoli della libert,


sia

ammazzandoli, o per ci-

barsene, o anche

per

mero

diletto?

Se l'uomo

volesse esser logico e sincero, dovrebbe in questo

riconoscersi peggiore dei bruti

quali, se ucci-

dono,

non sanno o non hanno decretato che

l'uccidere

male.

Con
la

tutto ci noi parliamo

di morale, e

vogliamo
cielo.

morale nostra

far di-

scendere dal
confessare

Sarebbe assai meno ignobile


ch'essa

francamente
dagli

tutta

cosa

umana, cio creata


sivo vantaggio,
e

uomini per loro esclusolo

fondata nel diritto che


il

governa

il

mondo,

diritto

della

forza. Io

mi

rammento che leggendo, molti anni


nell'issopo, doversi

addietro,

punire di morte
fosse

il

bue che

cozzando un

uomo

questo cagione di

Libro Secondo

morte, pensai che forse


scrisse quel
libro,

1'

antichissimo savio che


fatto

in

questo

del
fra

togliere

altrui la vita

non faceva distinzione

animali

ragionevoli e non ragionevoli.

veramente, se una

distinzione avesse a farsi, essa dovrebbe, per onore

del genere
bruti.

umano,

essere tutta in vantaggio dei

Onde mi
doversi

aspettava che seguitando

avrei

trovato,
di

punire di egual pena,

se

non

maggiore, l'uomo che uccidesse un bue;

ma

arrivai in fine del libro, e di ci fu niente.

Scontento della brutta e dolorosa realt delle


cose,

scontento di s medesimo,

neh" ora che


i

rei pensieri
l'

tacevano

favellavano

generosi,

uomo

si

compiacque a correggere
al

colla

mente

mali della natura;


d' idee

mondo

reale ne contrap-

pose uno
tasia.

trovate da lui con la sua fanle

Di qui tutte

generose illusioni, che sono

la
il

miglior parte della vita delle anime grandi e


principale

movente

delle opere

virtuose;

di

qui la religione e la poesia.


celebri le geste degli

canti d'amore, o

Dei
si

e degli eroi,

o aspiri ad

una

felicit
il

che non
vizio,

trova, o esalti la virt


il

e vituperi

o cerchi

vero e derida l'er-

rore,

il

poeta sempre mosso dal medesimo biil

sogno di fuggire
quello
dei

mondo

reale e riposarsi in

fantasmi.

Omero che

canta l'ira di

Giacomo Leopardi

223

Achille,

Dante che nel suo mistico viaggio


il

si fa

puro

e disposto a salire alle stelle,


gli

Leopardi che

deridendo
fine di

errori

umani

si

scalda all'eroica

Rubatocchi, obbediscono a un medesimo

sentimento, quel sentimento per cui la vecchierella sta

lunghe ore inginocchiata davanti a un


che non intende.

altare, bisbigliando parole

Derivata

da

uno

stesso bisogno dello spirito

umano,

la poesia fu

naturalmente

in

principio

una cosa

sola con la religione.


le

trovare questa

bastarono anche

menti pi rozze: quella, pro-

priamente parlando,
gli

non surse
clti

se

non quando

uomini furono pi
fu

e ingegnosi. Perci

la religione

prima della
si

poesia.

Ma

le

reli-

gioni passano e

trasformano, e forse cadranno


scienza
:

dinanzi alla luce della


e vivr

la

poesia

vive
le re-

quanto

il

genere umano. Cadendo


la

ligioni, ella gi
lersi

mostr divinare

scienza e vo-

alleare con essa.

11

Capo della

poesia antica

Omero.

poemi

di lui

sono la gran sorgente da cui deriva tutta

la lettela

ratura greca e romana. Nei tempi anteomerici

prima religione dei Greci fu

il

culto della natura.

224

Libro Secondo

Nati sopra un suolo

fertile e ridente, sotto


altr' arte
i

un

cielo

purissimo, non conoscendo

che l'agricol-

tura e la pastorizia, essi in tutti


terra videro
in

fenomeni della
il

un

Dio. Divinizzarono

cielo o la luce

Zeus,

in

Era

o Demeter
il

la terra, in

Poseidon
le

l'acqua, in Hefaistos
altre deit subalterne,

fuoco.

Ma

queste e

che tutte avevano un'at-

tinenza con la natura, e


nelle

come

tali

erano celebrate
nei

loro

feste,

andarono soggette

canti
tra-

omerici

una grande

trasformazione, la

sformazione stessa avvenuta nella societ, dove


agli agricoltori e ai pastori

erano succeduti
ai

cit-

tadini e gli eroi.

Accomodata

nuovi tempi, la rende imla vita

famiglia degli Dei descritta da

Omero

magine della reggia d'Agamennone.


dei Greci ora tutta nelle armi

Come

e nella tratta-

zione dei pubblici

affari, cosi

gli

Dei sono quasi


di-

a dire umanati e vivono

nell'

Olimpo poco

versamente dagli uomini nel mondo,

e partecipano

in questo alle passioni e alle opere loro.

Era non
moglie

pi la terra,
di

ma

la riottosa e litigiosa
il

Zeus

protettrice dei Greci, e

Dio del fuoco


di

diventato

un industre fabbricatore
provvede
gli

armi,

delle quali
essi

Dei

e gli eroi

che ad

son

cari.

La macchina

mitologica parte

grandissima dei canti omerici, e quella che pi

Giacomo Leopardi

225

dov conferir loro del meraviglioso;


costituisce la vera
il

ma
i

ci che

importanza di

essi

l'avere
il

poeta

rappresentato fedelmente

costumi,

carattere e le aspirazioni de' suoi concittadini, e

quasi direi suggellato la greca nazionalit.

Corrompendosi

coli'

andar del tempo

la reli-

gione, specialmente per opera dei sacerdoti, che


la

facevano

servire

alle

ree voglie loro


e

dei

potenti che
in alcuni

amavano

gratificarsi,

ragionando
vero, non

eletti
i

ingegni l'amore

del

manc
tivo di
alla

fra

poeti dell'antichit
le

qualche tenta-

abbandonare

favole e sposare la poesia

scienza.

Ma
si

la

scienza era bambina: e se

qualche verit
veniva pi per

trovava da qualcuno, ci avdel

effetto

ragionamento purasi

mente speculativo che degli studi che oggi


dicono sperimentali.
di

Discepolo

d'

Empedocle
i

Parmenide, Lucrezio os abbandonare

ve-

stigi del

gran padre dell'epopea e trarre materia

al canto,

non

dalle imprese degli eroi,


le

ma

dalle

opere della natura. Spodestate


egli

antiche deit,

canta con nobile ardimento:

Humana
Quae caput

ante oculos foede cura vita iaceret

In terris oppressa gravi sub relligione,


a coeli regionibus ostendebat

Horribili super aspectu mortalibus instans;


15.

Chiarini.

226

Libro Secondo

Primum Graius homo

mortaleis tollere contra

Est oculos ausus, primusque obsistere contra:

Quem

nec fama Dem, nec fulmina nec minitanti

Murmure compressit coelum, sed eo magis acrem


Virtutem
irritt

animi, confringere ut arcta

Naturae primus portarmi! claustra cupiret.

Ci
dell'

fu

grande

e bella novit,
ci

che nella storia

epopea antica

costringe a soffermarci da-

vanti a questo poeta e sceverarlo dalla turba dei

continuatori ed imitatori
ch'egli,

d'Omero. Nonostante
la

pi

che cantare
e

natura delle cose ;


di

esponga

un sistema,

nonostante l'aridit

questo sistema, riuscito a mettere tanto calore


di vita nel

suo lavoro, che anche oggi esercita

in chi lo legge
io

una grande

attrattiva.

Poche cose

trovo in tutta la poesia latina che tanto vivadescri-

mente mi tocchino quanto quella stupenda

zione ch'ei fa nel quinto libro, de' primi uomini


i

quali lottando con

le

forze
1'

della natura

ab-

bandonano a poco a poco

aspra
il

selvaggia
ci-

loro vita e riescono a stabilire


vile.

consorzio

Anche dopo Omero, Lucrezio mi pare poeta


il

grandissimo e originale, certo


dei
il

pi

originale-

romani

mi pare

(se cosi

posso esprimermi)

precursore della poesia della scienza. Aggiungasi


a lui fra gli antichi, e

un pregio specialissimo

Giacomo Leopardi

227

nel quale, se fu agguagliato, certo

non fu vinto
esprimere col

da nessuno dei moderni, quello


linguaggio
filosofici.

di

della

poesia

severi

ragionamenti
i

Fatta

una eccezione per Lucrezio,

poeti dell' antichit furono tutti, con pi o

meno
la-

ingegno, se greci, continuatori d'Omero, se


tini,

imitatori dei

greci.

Bench

Virgilio

abbia

ritratto nel

suo poema tanta parte dei sentimenti


italiani,

e dei

costumi dei popoli

bench

suoi

personaggi sian pi moderni che antichi (Didone


pi
alla

Erminia che Andromaca),


e allo spirito del
sia

tuttavia,

quanto

macchina

poema, che cosa


o nel-

nell'
1'

Eneide che non

nell' Iliade

Odissea ?
Inarrivabile

come

arte,

potente

come

valor

personale e

come sentimento

patrio, osservabile
stati,

come
nella

legge e ordinamento di parte morale e

ma

difettiva

nella scientifica, cadde, e

perci cadde, l'antica civilt.


notte del

Successe a

lei

la

medio evo;

e in quel

lungo rimescolarsi

d'elementi diversi che nella storia conosciuto


sotto
si
il

nome

d'invasioni dei barbari, l'Europa

trasform compiutamente; tanto che, quando

surse in Italia l'Alighieri, una nuova lingua so-

nava agile ed armoniosa


e

nella
si

bocca del popolo,

una nuova religione

era potentemente so-

228

Libro Secondo

vrapposta all'antica, fondando una civilt nuova.

Chi vuol giudicare di quanto


mutati
dagli
antichi,

nuovi tempi sieno


che
le

paragoni, meglio
la

storie e le cronache,

Divina

Commedia
la

al-

V Iliade, imperocch, come questa


tica,

civilt an-

quella rappresenta in gran parte la nuova.

La

civilt

romana, come

la letteratura,
civilt,
, si

che

la

pi fedele espressione della

procede

in

gran parte dalla greca, anzi


la

potrebbe dire,

contiuazione di essa. Per la parentela delle

lingue, deriva in gran parte dalle antiche la let-

teratura italiana,

ma

la civilt

ch'essa destinata

a rappresentare essenzialmente diversa: perci,

mentre
latina,
si

la

lingua italiana non tanto dissimile dalla

quanto questa dalla greca, e mentre Dante

professa discepolo di Virgilio,

vediamo tanto

scosi

starsi la

Commedia

dall'

Eneide, quanto questa

avvicina all'Iliade. Nel greco e nel latino non altro

che geste portentose d'eroi


che tutto
:

l'

uomo
e

fisico

presso

prediletti agli

Dei son coloro che ma-

neggiano aste pi poderose

mandano

all'orco

maggior numero d'anime

e la protezione degli

Dei

regolata da' loro affetti particolari,

non da una
la

legge
forza,
stizia.

suprema

e invariabile.

Onde onnipotente

muta

la

ragione, imperfetta l'idea di giuil

Purch'

valor greco

si

dimostri ed

Ilio

Giacomo Leopardi

229

cada, che importa che

greci eroi

sieri

crudeli

ed ingiusti? Purch

il

pio

Enea giunga
che
si

fonla

dare

il

regno di Lavinio,

importa che

povera Didone prode Turno

sia tradita e

uccida, e che al

sia tolta la vita e la

sposa?
il

Ben

altro lo spirito,

ben

pi alto

fine del

poema

dantesco. Tutta la scienza e la dottrina


Padri,

dei Santi

che

la scienza e la dottrina

del

medio

evo, fu

una

terribile battaglia contro


si

le idee del
l'

paganesimo; pure ad essa


Il

deve se

arte antica giunse fino a noi.

poeta cristiano

che, pieno della scienza e della dottrina dei Padri,

non conobbe

altra

arte

fuori
la

della latina,

non isdegna come strumento

mitologia,

ma

inventa altre favole, accetta quelle della nuova


religione, trae

da questa

la

macchina del poema,


alcune no-

pur togliendo dalle

istorie antiche

bilissime figure da introdurre in esso, piglia dal

cristianesimo e dal
teria.

tempo suo

la

principale
e

manon

Qui non

risse di principi

d'eroi,

fiere battaglie,

non prodigi

di valore,

ma l'uomo

de'

nuovi tempi,
i

in tutte le condizioni della vita,


le

in tutti

gradi sociali, con

sue rare e spesso


vizi,

false virt,

con

molti e veri suoi

con

le

sue infinite miserie; barattieri e ladri, uomini di


corrucci e di sangue,
frati

che diedero

frodo-

230

Libro Secondo

lenti

consigli,

pontefici
le

che per oro e per ar-

gento adulterarono
re

cose di Dio, consiglieri di

che

la invidia dei cortigiani e la

ingratitudine

dei padroni fece ingiusti contra s giusti; filosofi,


poeti, cantori, cui la scienza e l'arte divina

non

tolse

che

si

macchiassero
si

di

qualche
ai

umana
quali

colpa,
l'

donne che

scaldarono

raggi delai
il

amore umano

e del divino,
la

uomini
povert,

fu ricchezza e
tirio,

bene verace

mar-

la

contemplazione; e sopra questo


opera e prega,

mondo
giustie le

di vivi, che

ama

e odia, benefica

e uccide, severa e
zia,

immutabile
i

la divina
i

che comparte secondo

meriti

premi
al

pene.
la

Qui

al

valore preposta
la forza

la virt,

corpo
la

mente; qui contro

osa accamparsi

ragione.
le favole,

Meno

leggiadre e ridenti delle antiche,

sulle quali posa l'edificio della poesia

dantesca,

hanno un senso pi

nobile;

ma come
il

favole, anch' esse son destinate a cedere

luogo

ad

altre,

o a cadere davanti alla luce della scienza.

Perci la civilt rappresentata da cotesta poesia,

bench superiore all'antica,


perfetta.

pur sempre

im-

Giacomo Leofanti

231

III

Poesia atta a civilt vera sar quella che, svincolatasi dall'assurdo, dalle metafisiche e dalle su-

perstizioni, cercher

coraggiosamente

il

vero se-

condo scienza
l'

e ragione, e in ordine
la

ad esso canter
voi

uomo

il

mondo

natura.

Ma dunque

volete tarpare le ali all'ingegno, volete nei

campi

interminati delle idee segnare dei confini?

Io

credo col Giordani che l'errore sia sempre dannoso, perch l'uomo che lo accetta in una cosa,
vizia gi la sua mente, e
costretto,
si

dispone, e talora
altre.

ad accettarlo

in

molte
le

Per qual

ragione, se

non per questa,


al

religioni

furono
verit

causa di tanti mali

genere

umano? La

pu parervi
fatto

trista

e brutta:

ma,

se siete assue-

con

essa,

vi

impedir di ingannare e di

essere ingannato, non vi lascer essere n mal-

vagio n sciocco.

il

vietare alla poesia l'as-

surdo un volerla rimpiccolire; volere ch'essa


resti

sempre umana, cio ragionevole,

volere

che sia educatrice, non corruttrice, della mente


e dell'animo.

Non neghiamo
di cercare
le

alla poesia l'ideale


illusioni,

all'

uomo

beate

ma

232

Libro Secondo

neghiamo che quello

e queste sieno in contradi-

zione colla scienza e col vero.


fatti

Anco dentro
il

sif-

confini

rester

larghissimo

campo

e la

materia

ai poeti.

Iniziatore di questa poesia della scienza e del

vero mi pare in

Italia

il

Leopardi. Mentre

la

poesia

omerica

e la dantesca
la

rappresentano fedelmente,

come

dissi,

civilt del loro

tempo,

la leopar-

diana sembra precorrere quella che dovrebbe,

secondo me, essere

la migliore

civilt del

genere

umano. Le

idee religiose
i

d'Omero

e di

Dante erano

quelle di tutti
fiche del

loro contemporanei; le idee filosoagli

Leopardi appartengono soltanto

uo-

mini della scienza; potranno forse diventare,

ma
ha

non sono popolari.

S' intende
la

che

il

Leopardi non
ci

invent tutta di pianta


dato.

nuova poesia che

Come

pensiero, essa procede in gran parte


;

dalla filosofa del secolo passato

procede da Luricongiunge
i

crezio stesso fra gli antichi poeti, e si


col Goethe, collo Shelley, col

Byron

fra
si

moderni.

Ma

forse in nessuno quel pensiero

svolge cosi

limpido e scevro d'ogni materia eterogenea, come


nel poeta italiano;

perch nessuno come


il

lui si

rinchiuse tutto entro

nuovo mondo poetico

della

verit e della scienza.

Che

cosa V

uomo

a s stesso? che al

mondo

Giacomo Leopardi

233

alla

all'
il

natura? Che uomo ? Che sono la


il

il

mondo, che

la
il

natura

vita e la morte,

bene e
pr' ai

male,

piacere,

il

dolore, la noia?

Qual

mortali di tanto affaticarsi, di tanto piangere, di


tanto operare?
Il

genere

umano
la

si

era fatto fino


vi
il

da antico queste domande; e quasi sempre


risposto

avea
desi-

come
il

gli

dettavano

superbia e

derio suo:
g'

nostro poeta
li

si

propose di nuovo

insoluti problemi,

studi sotto ogni aspetto,

fermo

di

risolverli
le

secondo ragione, accett,


conseguenze

senza sgomentarsi,
voli e pi opposte
dotti e

meno

piace-

agl'inveterati pregiudizi dei

del

volgo.

Cominci

dal
e la

considerare

l'uomo

in ordine alla natura,


e,

natura nelle

sue leggi;
gli

derisa la vana superbia


fine all'universo,
atti

onde que-

poneva s

mostrato che

da questa

Altro negli
si

suoi

Che nostro male o

nostro ben

cura

conchiuse alla infinita vanit


era logica,

d'ogni cosa.

La conclusione

ma non

necessaria;

rispondeva pi alla particolare


e al

infelicit del

poeta

modo suo

di sentire,

il

quale poteva essere


all'essenza vera

comune

a molti altri, che

non

delle cose, alla universa vita del

mondo;

era

una

delle spiegazioni

del

gran mistero dell'essere,


la

non

la sola.

Ma

perch

scienza, che

dopo

234

Libro Secondo

tempi del Leopardi ha

seguitato a progredire,

cerchi oggi ai problemi della vita risposte

meno

sconsolate e sconsolanti, non perci negheremo


all' infelice

recanatese d' essere stato in Italia

il

primo poeta del vero.

1869.

SU L'APPRESSAMENTO DELLA MORTE


E LE DUE ELEGIE

l signor avvocato Zanino Volta, vicebibliotecario reggente nella R. Universit di

Pavia, raspando nell'anno di grazia 1862


fra certe carte straccie e libri vecchi

ammontic-

chiati in alcune stanze

umide

della sua casa pa-

terna in

Como, trov un quadernetto


sulla

perfetta-

mente conservato,
stava scritto
tica di
:

prima carta del quale


della morte,

Appressamento

Can-

Giacomo Leopardi, 18 16.

Un

altr'uomo qualunque, che avesse avuto


poesie del

qualche conoscenza delle

Leopardi,

letta la cantica, e riconosciutala subito per

opera

del Recanatese, l'avrebbe

subito fatta vedere e

Libro Secondo

pubblicata.

Pognamo che

il

ritrovatore fosse stato


e avesse voluto, oltre

un uomo molto meticoloso,


la

prova intrinseca, anche una prova estrinseca

dell'autenticit della poesia: che avrebbe fatto?

Avrebbe cercato un
del

altro autografo leopardiano


e

medesimo tempo,

confrontatolo col suo,


la

avrebbe subito avuta anche


della

prova materiale

desiderata

autenticit.

il

Ma

se

il

ritro-

vatore fosse stato,

come

era

signor Zanino,

un
i

giovinetto di quindici anni, che faceva allora

suoi studi di quinta ginnasiale, o di prima di


?

liceo

Ebbene,

cotesto

giovinetto
e

avrebbe

probabilmente avuto

la felicissima
il

non molto

peregrina idea di portare

quadernetto al suo

maestro di scuola
lecito supporre)

e questi, se fosse stato

(come
e di

un uomo
letteraria,

di
gli

buon senso
avrebbe
cantica

qualche

cultura

detto:

va' l, che

questa proprio
il

la

leopar-

diana di cui parla


tutti
i

Giordani nell'epistolario. In

casi

l'accertamento dell'autenticit della

poesia sarebbe stato,

come ognun

vede, l'affare

di pochi giorni, anzi di

poche ore; e nello stesso

anno

862, o poco dopo, la cantica avrebbe po-

tuto essere pubblicata.

Ma

il

signor Zanino

un

di

quegli

uomini
si

nella cui testa

non entra

che- certe cose

pos-

Giacomo Leopardi

237

sano fare cosi

alla
il

lesta:

il

signor

Zanino sa

molto bene che


va sano: e
in

proverbio dice: chi va piano

questa

faccenda ha avuto tanta


altri

cura dell'andar sano, che, a fare quel che

avrebbe fatto

in

poche

ore, ci

ha messo

la bel-

lezza di diciotto anni.

Chi vuol sapere come

fece

il

signor Zanino

a mettere diciotto anni a certificarsi dell'autenticit della


le

cantica, legga, se

ha molta pazienza,
di

ultime

sessanta

pagine della prefazione;


la

sulla quale egli

ha avuto
la

poco

felice idea di

presentare al

mondo

malcapitata poesia leo-

pardiana.

Quelle sessanta pagine sono qualche

cosa

d'incredibile;

sono

la

conseguenza

la
:

spiegazione di

un curioso fenomeno

psicologico

non

poteva

scrivere

quelle sessanta pagine se


diciotto

non chi avea impiegato

anni a

certifi-

carsi dell'autenticit della

cantica;

non poteva

dubitare per diciotto anni di cotesta autenticit,


se

non

chi era capace di scrivere quelle sessanta

pagine.

Esse comprendono quattro capitoli autenticit,


;

storia, importanza, pubblicazione della poesia.

Chi desidera qualche saggio

delle rilevanti cose


il

che sa dire in quelle sessanta pagine


Zanino, eccogliene. Dice che trov
il

signore

manoscritto

Libro Secondo

Como,

e ci fa sapere
le

che

Como

delle
;

citt

lombarde tra
che lo
pere

pi vicine
casa
casa,

alla principale

dice
sa-

trov
in

nella

paterna,

ci

fa

che

quella

dove nacque

mori
lui

l'avo suo Alessandro, nacque

ma

non morir
il

medesimo; parla del modo come ritrov


noscritto, e ci fa sapere

ma-

qualmence

egli

fin da

giovinetto amasse confinarsi nelle ore libere dai

doveri della

scuola

in

quelle

suddette

stanze

umide,
volumi,

rovistando

con pa\ien\a

quei fracidi

que' fogli rosicchiati, strappati, spesso


e

inintelligibili,

qualmente accarezzasse anche


ancora questo costume
in

dopo

e accarezzi

casa

sua e fuori.

Lasciamo
suo costume,

il

signore Zanino ad accarezzare


e

il

parliamo della Cantica.

If

Poche

e confuse notizie si

avevano

di essa, le

quali per bastavano a farne desiderabile e desi-

derata la pubblicazione. Sapevasi ch'era

un lungo quando

componimento

in terzine scritto nel 1816,

cio l'autore, giovine di diciotto anni, era ancora

credente; sapevasi che

il

Giordani, pur notandovi


trovato saggi di f-

delle imperfezioni, vi avea

Giacomo Leopardi

239

licissimo ingegno, e che


dell'autore,
la

il

conte Carlo, fratello

diceva

una poesia importante,

meritevole di essere conosciuta.

Fra

le carte del

Leopardi che appartennero

al

De Sinner furono
cristiani;

trovati alcuni progetti cf Inni


si

ma

poesie propriamente dove


religioso

espli-

casse

il

sentimento
:

non

ne

avevamo
si

prima

di questa

anzi possiamo dire che, ove


//

eccettui la poesia in terzine intitolata

primo
che

amore,

e la

Elegia

Dove son? dove


181 7,
si

fui?

m'addolora?

composte nel

della

prima

giovinezza dell'autore quasi non


originali

avevano poesie

molto

rilevanti.

La

cantica ora pubblicata riempie

dunque un

vuoto non piccolo nella storia delle manifestazioni dell'ingegno poetico del Leopardi;
stra quali fossero e
ci

moun

come

si

esplicassero, in

lavoro abbastanza lungo,


di lui giovinetto,

le

altitudini artistiche
in lui fosse, e qual

che cosa
il

fonte d' ispirazione poetica,

sentimento religioso.
poesia
del

Appunto perch
Leopardi

tutta

la

posteriore

in opposizione col pensiero religioso,


le

sono importanti a studiare

manifestazioni di

cotesto pensiero in questi versi giovanili.

Ma

diciamo subito

la nostra opinione:

mentre

nell'invocazione alla religione, con la quale chi-

240

Libro Secondo

desi

il

libro degli errori popolari,


e

e'

l'accento

dell'uomo schiettamente
vinto
della

profondamente
il

con-

verit della religione,

sentimento

religioso, a giudicarne

da questi

versi,

pare nel
:

giovine Leopardi ben poca e leggiera cosa

pi

che avere salde radici nell'animo suo, pare un


che
si

di

accidentale

di

sovrapposto

ad esso;
si

direbbe

una

veste pesante eh' egli

trov
ai

avere in dosso nel gennaio della vita, e che

primi

soli di

giugno
del

senti

il

bisogno di gittar

via.

La macchina
sioni, pi

poema
copiate

una

delle solite vi-

meno

dalla

Commedia
Il

di
si

Dante

dai

Trionfi del

Petrarca.

poeta
gli

trova di notte in
risce,

mezzo ad una landa:

appa-

mandato

dalla

Madonna, l'Angiolo custode,


la

ad annunziargli prossima

sua morte, e
la

fargli

vedere una ammiranda visione, per

quale non

dovr dolergli di lasciare questa


l'Avarizia,
l'

vita.

L'Amore,

Errore, la Guerra, la Tirannia (al-

trettante

personificazioni) passano

dinanzi agli
illu-

occhi del poeta, con un corteggio delle pi


stri
l'

vittime che fecero sulla terra: vien dopo esse

Oblio, ad ammaestrarlo

che anche la gloria,


gli

tanto da lui sospirata, una vanit: poi

ap-

pare

in

una parte

del

cielo

un meraviglioso

splendore.

Giacomo Leopardi

24.1

Qui vengon manco


Ch'i' vidi cose in

al ver le

mie

parole,

mezzo a quel
'1

fulgore,.

Cui dir non pu la lingua, e


Vidi distesa piaggia onde
'1

pensier vuole.

colore

'1

fiorire

'1

gioire a la beltate
e dilatarmi
il

M" aprir
Canti

la
s'

mente
udian
si

core.

dolci, che di state

Men
Udir

caro sul meriggio in riva a un fiume


gli augelli
l'

l'

aure innamorate.
si

Splendean

erbette di

vago lume,

Che

luccicar

men

vaghi a la mattina

I rugiadosi prati

han per costume.


che la brina

E
Al

la luce era tanta,

sol

men
al

chiaro splende, e
sol

men

raggiante

Splende

bianca neve in piaggia alpina.

l'Angel disse: mira, ed

i'

levai

Lo sguardo
Alme

un'altra volta, e vidi quanto

Nostra sola virt non vide mai.


vestite di lucido

manto

Ivan per quelle vie del Paradiso,


Sciolte le labbra al sempiterno canto.

Oh che soavi lumi, oh che bel viso, Oh che dolci atti in quel beato stuolo, Oh che voci, oh che gioia, oh che sorriso!
Poi s'apre
il

cielo pi
la

addentro e

gli

appari-

scono Cristo e

Vergine.

Ora
il

hai veduto, gli dice l'Angelo, che cosa


la

mondo; hai veduto

beatitudine celeste; preti

parati a morire, che questa

attende.

Tutte
f,.

belle cose;
Chiarini.

ma

il

poeta prorompe:

242

Libro Secondo

Dunque morir bisogna,


Venti volte gravar neve
Venti
rifar le
'1

e ancor

non

vidi

mio
nidi?

tetto,

rondinelle

Morir quand'anco in terra orma non stampo?

di

me

lascer vestigio al

mondo
aria

Maggior

eh' in

acqua

soffio, in

lampo ?
?

Che non

scesi

bambin gi

nel profondo
ir

E
Fu

a che, se tutto di qua suso


lo

deggio,
?

materno sen

di

me

fecondo

Se non che
si

il

poeta

si

ricorda d' esser cristiano,

ricorda

la

celeste visione, e ripiglia:

Eterno Dio, per

te

son nato,

il

veggio

Che non
Per
te

per quaggi lo spirto mio,


l'

son nato e per


tu rivolgi lo

eterno seggio.

Deh

basso desio

In ver lo santo regno, in ver lo porto.

Che

diversit d'accento
!

fra la

domanda

e la

risposta

Come

si

sente,

anche attraverso

la frase

un po'impacciata, che

quella

prorompe

dal cuore,

che questo non se non l'adempimento di un


dovere!

il

cuore riprende subito

le

sue ra-

dolci studi, o care muse, addio.

Addio speranze, addio vago conforto


3el poco viver

mio che gi trapassa:


i'

Itene ad

altri

pur com'

sia

morto.

Giacomo Leopardi

243

E E

tu pur, gloria, addio, che gi e

s'

abbassa

Mio tenebroso giorno,


mia
vita sul

cade

ornai,
lassa.

mondo ombra non

Anche

nella invocazione
la

ultima a Dio e alla


il

Madonna, con
che
la

quale

finisce

poema,

si

sente
il

preoccupazione principale del poeta


di lasciarla

dispiacere di lasciar la vita,

prima

d'aver potuto compire quelle opere delle quali


sente in
se'

la potenza.

Questo dispiacere

pare

a noi, l'unico

sentimento vero che traspira da


Il

tutta la cantica.

pensiero di Dio, di un'altra

vita libera dalle miserie


titudine, stan l
essere,

mondane

e piena di beaci

come qualche

cosa che

deve

che

il

poeta non ha

la forza di discutere

e di negare,

ma

che non ha per lui nessuna at-

trattiva, quell'attrattiva
dall' esser vere e reali,

che

le

cose

acquistano

o dalla fede

che

si

ha

nella loro realt.

Per entro

la

macchina
il

allegorica, che natural-

mente inceppa
le

pensiero del poeta, fra mezzo


classiche,
fra

reminiscenze

mezzo

le

forme

arcaiche ed ellittiche dure e ineleganti, cercate


forse

come

eleganze,

ci
il

sono

in

questa cantica

dei tratti che rivelano

poeta vero e originale,


il

per

quanto immaturo e inesperto. Quando

sentimento scoppia sincero dall'animo dello

scrit-

244

Libro Secondo

tore,

anche

la

forma

pi

schietta,

pi

disin-

volta e

omogenea.
dolci studi, o care muse, addio,

Addio, speranze, ecc.

La

parte

per pi bella e
le

pi

notevole del

poema sono
c'

descrizioni e le similitudini: qui

veramente l'osservatore

attento

sincero

della natura,

che vede nettamente,


nell'animo
le

e serba for-

temente

fedelmente

impressioni
sa

delle cose e dei

fenomeni osservati, e
ritrarli.

forte-

mente
zioni

fedelmente

Una

delle

descriil

pi belle

quella

con cui
il

comincia

poema, che poi corretta divent

trentanovesimo
Il

dei canti nella raccolta delle poesie.


delle

paragone

due lezioni

argomento

di bello studio a

chi

ama

e intende l'arte; e

mostra quanto l'au-

tore seppe

col

tempo
la

perfezionarsi.

Ma

anche

nella

prima lezione

descrizione della procella

tal cosa

che basta a dimostrare qual potenza


giovinetto
di

di scrittore fosse in quel

diciotto

anni. L'impressione

dal vero, e resa con verit

ed efficacia mirabili, e con molta forza di colorito.

Un nugol
Che non
s

torbo padre di procella


ai

Sorgea di dietro

monti, e crescea tanto


pili

vedea

luna n

stella.

Giacomo Leopardi

245

E
Ver

la

nube crescendo
si

in gi calava
l'

la marina,
i

che
1'

un suo lembo
il

Toccava
Dentro

monti, e

altro

mar toccava.

le

nubi in paurosa foggia


gli occhi,

Guizzavan lampi, e mi fean batter

n'era
I'

'1

terren tristo e l'aria roggia.


i

sentia gi scrollarmisi
i

ginocchi,

Ch'

tuoni brontolavano a quel metro


torrente vicin che gi trabocchi.
i'

Che

Talora

mi sostava,

l'

aer tetro

Guardava spaurato,
Si eh'
i

e poi correa

panni

e le

chiome ivano addietro.

'1

duro vento col petto rompea,


l'aria nera

Che gocce fredde gi per


Soffiando sopra
'1

volto

mi spignea.

N men
Come
Sul

bella e vera questa similitudine:


di state
la notte

dopo

'1

nembo pare

mar

luce di baleno,
e

Che lambe l'acqua

l'ombre fa pi rare;

O come
Dopo
la

ride striscia di sereno

pioggia sopra la montagna,


'1

Allor che

turbo placasi e vien meno.

quest'altra:
Allor eh' a un tratto
si

come

si

vede
sole,
;

Campo
Quand'

di secche
e'

canne incontr'al
il

co' rossi raggi a sera

fiede

O
Il

come andar
stuol,

tra noi di

faci
il

suole
feretro,

Notturno

di Cristo

appo
ciel

di che di sua

morte

il

si

duole.

246

Libro Secondo

Certamente, non tutto perfetto nei versi da


noi citati:

ma

quanti

poeti

a diciott' anni

son

capaci di scriverne de' somiglianti?

Ili

Prima che
da
tutti,

fosse pubblicata la Cantica,

si

crede

per alcune

parole di

Carlo Leopardi

forse frantese dal Viani, che la poesia in terzine


//

primo amore,

e l'elegia

Dove

son, dove fui,


della

che m' addolora ?

fossero

due frammenti

Cantica

stessa.

pure, chi avesse considerato

bene, la cosa

non dovea parere molto probabile; perch quelle


due poesie, pubblicate dall'autore nel 1826
titolo di

col

Elegie, V una di sguito all'altra,

come

legate insieme, a leggerle

attentamente appari-

scono,

come veramente

sono,

due poesie com-

piute; e la seconda, a chi


si

ne indaghi l'origine,

mostra composta negli ultimi del 181 7; men-

tre si

sapeva

il

manoscritto della Cantica essere


al libraio
Il

stato

mandato dall'autore

Stella fino

dai primi dell'anno stesso.

signor Zanino per

non

si

confonde: per lui V ipse dixit deve aver


il

sempre un valore:

Viani disse che


Cantica;

le

due poesie
frammenti

erano frammenti della

ma

Giacomo Leopardi

247

della

Cantica non sono (sfido io a crederlo anlui,

cora!); dunque.... dunque, dice

saranno framcosa
sia

menti di qualche
questo qualche

cos'altro. e
il

Che
se

poi

sia

cos'altro,

mai

stato

scritto dal Leopardi, di ci


si

signor Zanino non

occupa.
Io credo che le

due

elegie

si

riferiscano
il

en-

trambe

allo stesso

primo amore che


il

Leopardi

prov (come gi discorse

Mestica) per la sua

bella cugina Geltrude Gassi di Pesaro: credo che


la

prima

si

riferisca alla

prima

gita della Cassi


la
Il

Recanati

nel

dicembre dei 181 6,


nell'anno
di

seconda
Mestica

alla

seconda gita

poi.

dice essergli stato assever antemente affermato da

Carlo Leopardi, che quando seconda volta a Recanati


nel

la

Cassi

torn la

18 17,

l'amore di
invece

Giacomo per
s'

essa era gi spento, e che


lui stesso
si

innamor Carlo
che

della cugina.

Ma

io

credo

Carlo non
il

rammentasse bene,

non sapesse bene


mazione
le

vero, perch contro l'affer-

di lui attestano, pare a


di

me, chiaramente
i

parole stesse

Giacomo, cio

versi

della

seconda elegia.

Che

le

due elegie sono entrambe dell'anno 1817


data appostavi dall'autore nella
che
si

accertato dalla

prima edizione

riferiscono tutte

due

allo

248

Libro Secondo

stesso

amore

evidente,

ed riconosciuto anche

dal Mestica, che cita alcuni versi della seconda


elegia

come

riferentisi alla Cassi.

Anzi non arrivo

a capire com'egli, accortosi che la seconda ele-

gia

si

riferiva alla Cassi,

non

si

accorgesse anche
lei

che riferivasi alla seconda gita di


nati, e

Reca-

quindi
la

contradiceva

all'affermazione di

Carlo circa

durata dell'amore di suo fratello

per la cugina.

Un

breve esame del contenuto delle due elegie

baster a mostrare se vero quello ch'io ne penso.

Nella prima

il

poeta descrive

gli effetti

del suo

primo innamorarsi,
e al pensiero

ci ch'egli sentiva alla vista

della

donna amata; narra come

giacesse desto nel letto la mattina eh' essa dovea


partire,

ci che provasse all'udire la cara

voce
di-

di lei, all'udire lo scalpito

dei

cavalli
il

gi

nanzi all'uscio di casa; qual fosse

suo sbigote

timento e

il

suo dolore poich'essa fu partita;

conchiude:
Al Cielo, a
voi,

gentili

anime,

io

giuro

Che voglia non m'entr bassa nel


Ch'arsi di foco intaminato e puro.

petto,

Vive quel foco ancor, vive

l'affetto,

Spira nel pensier mio la bella imago,

Da cui, se non celeste, altro Giammai non ebbi, e sol

diletto
di
lei

m'appago.

Giacomo Leopardi

249

Questa chiusa,

il

principio della poesia Torla battaglia

nami a mente
la

il

di

che

D'amor
il

sentii

prima volta

mostrano che quando

poeta

torn col pensiero al suo primo amore per cantarlo, era gi

passato qualche tempo, non certo

brevissimo, dal giorno del suo

innamoramento.
durava ancora:

Quando cant l'amor

suo, questo

mettiamo pure che dopo qualche mese abbia


cominciato a raffreddarsi: intanto
il

si

avvicinava
e

tempo che

la

cugina stava per ritornare;

mi

par naturale supporre che l'annunzio del ritorno

dovesse bastare esso solo a ravvivare


s'

la

fiamma,
le

anche era vicina a spegnersi.

Ma

lasciamo
il

supposizioni, e sentiamo che cosa dice

poeta.

Dove son? dove fui? che m'addolora? Ahim eh' io la rividi, e che giammai

Non

avr pace

al

mondo

insin ch'io mora.

seguita dicendo che sarebbe stato meglio che

fosse

morto prima

di

rivederla,

perche'

almeno

sarebbe morto tranquillo, mentre ora sente che


al

suo male non


desidera,

c' altro

rimedio che
spaventa
e
il

la

morte,

e la

ma

pur

lo

morire;

dice che,

dopo avere notte


'1

giorno sospirato e

pianto pe

desiderio di rivederla, ora che l'ha sente pi infelice di prima, perch sa

riveduta

si

250

Libro Secondo

che dovr perderla di nuovo; e descrive


stanze della partenza di
lei,

le circo-

che sono altre da

quelle della partenza descritta nella prima elegia.

Sentendo

il

vento muggire nella foresta e


il

il

tuono
la

fra le nubi,

poeta invoca

un temporale che

trattenga.

care nubi,

o cielo, o terra, o piante,


;

Parte la

donna mia

piet,

se trova

Pietate al

mondo un

infelice amante.

Or prorompi, o

procella, or fate prova

Di sommergermi, o nembi, insino a tanto

Che
S'

'1

sole ad altre terre


il

il

di'

rinnova.
in

apre
1'

ciel,

cade
le

il

soffio,

ogni canto

Posan

erbe e
il

frondi, e m' abbarbaglia


di

Le

luci

crudo sol pregne

pianto.

Tale essendo

il

contenuto delle due elegie, mi


si

pare evidente che la seconda


dissi,

riferisca,

come

alla

seconda andata della Cassi a Recanati,

e quindi che sia stata

composta

sulla fine del 18 17,


la

e quindi che l'amore di

Giacomo per

cugina

abbia durato almeno fino a quel tempo.

Fra
rentela

le elegie e la
:

Cantica c' strettissima pad'

si

sente che son figlie

un medesimo

padre; bench quelle, nate un anno dopo, quando


la

facolt

generatrice
la

era

pi

forte,

concedi

pite,

specialmente

prima, in un

momento

migliore ispirazione, abbiano un organismo pi

Giacomo Leopardi

251

sano. Si mostra anche nelle elegie quella


facolt del giovine poeta, che gi

medesima
nella
i

notammo
le

Cantica, di osservare schiettamente

scene e

fenomeni naturali
forte e

e e
le

riceverne
renderla
descrizioni

un' impressione

immediata,

con molta evie


le

denza.

Anche qui

similitu-

dini prese dal vero rivelano

una
:

facolt poetica

non comune
la

in tanta giovinezza

basti per tutte


le

notissima e bellissima quanto


e di qualsiasi altro poeta:

pi belle di

Dante

lunga doglia

il

sen mi ricercava,

Com' quando

a distesa
e
i

Olimpo piove
lava.

Malinconicamente

campi

Ma
mente
con
la

il

pregio principale delle

elegie,

special-

della prima, sta nella sincerit e nella forza

quale espressa

la passione,

una passione

fortemente e sinceramente sentita.

ma,

con ragione famosa l'ode


se

di Saffo

All'amata:
n so

non

fosse quella
terrore,

specie

di sacro,

quanto giusto,
gonare
alle

che

ci trattiene

dal para-

opere dell'arte

antica, specialmente

della greca, le
gli effetti

moderne,

vorrei quasi

dire

che

dell'amore non mi paiono

men

bene,
in

cio

veramente ed efficacemente, rappresentati

questi versi del giovinetto recanatese.

252

Libro Secondo

dove

io

tristo

ed affannato e stanco

Gli occhi al sonno chiudea,

come per

febre

Rotto e deliro

il

sonno venia manco.

Oh come

viva in mezzo a le tenebre


gli

Sorgea la dolce imago, e

occhi chiusi
!

La contemplavan
Senza sonno
io

sotto a le palpebre

giacea sul di novello,

destrier che
la

dovean farmi deserto


sotto al patrio ostello.

Battean

zampa

Ed
Ver

io

timido e cheto ed inesperto


al

lo

balcone

buio protendea
l'

L' orecchio avido e

occhio indarno aperto,


se

La voce ad La
Il

ascoltar,
uscir,
il

ne dovea

Di quelle labbra
voce, eh' altro

ch'ultima fosse;
ahi,

fato,

mi

togliea.

Quante volte plebea voce percosse


dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
'1

E
La

core in forse a palpitar

si

mosse

E E
de

poi che finalmente mi discese


cara voce al core, e de' cavai
le

rote

il

fragon'o
allor,

s'

intese;

Orbo rimasi

mi rannicchiai
e,

Palpitando nel letto


Strinsi
il

chiusi gli occhi,

cor con la mano, e sospirai.

Nonostante che

il

seconde

l'ultimo
1

verso

della terzina quinta

siano un p
il

deboli,

nono-

stante que' cavai, che

poeta avrebbe certo stac-

cati dalla carrozza per metterci de' cavalli interi,

se

non l'avesse impedito

la

rima iniqua,

io

non

mi pento di aver osato paragonare questi versi

Giacomo Leopardi

253

all'ode di Saffo; e dico che sono


di poesia

il

primo pezzo

vera dal quale

si

poteva argomentare

fino dal

1817
pi

la
e

potenza dell'ingegno poetico del

Leopardi;

meglio

che

dalle

due prime

canzoni composte l'anno dipoi, nelle quali pur

troppo c' della rettorica: e forse per questo

la

prima, ch' quella dove ce n' pi,


del

la sola poesia

Leopardi che

sia riportata in tutte le Antologie.

Fra l'anno 1817


composte
cate,
il

in

cui

le

due

elegie furono

l'anno

1826 in cui furono pubbli-

poeta, instancabile correttore delle cose

sue,

dove certo correggerle molto;


quante
si

ma

le

cor-

rezioni, quali e

fossero,
1'

non poterono

mutare
dei

la

parte sostanziale,

essenza, dir cosi,


sta
la

componimenti, nella quale appunto


il

superiorit loro rispetto alla Cantica;


principale di questa
nella
tivo,

difetto
e

essendo nella ispirazione


l'

composizione, assente
architettata
l'altra

una

dall'atto crea-

sopra vecchi modelli e

con vecchi materiali, non rispondenti a nessun


sentimento vero dell'autore ed aventi soltanto

un

significato convenzionale.

UGO FOSCOLO

LA TERESA DELL'JACOPO ORTIS

l Foscolo, ragionando dell' origine del suo

romanzo

nella lettera al Bartholdy, dice

ch'egli fu tratto a meditare e scrivere in-

torno

al suicidio dalla

morte

di

Jacopo Ortis

friu-

lano, studente nell'Universit di Padova, uccisosi


di

due pugnalate

nel fiore della giovent, senza


la

che se ne sapesse

cagione.

Lessi, scrive egli,

propugnatori
tutti,

e g'

impugnatori del suicidio

non

perch io allora appena intendeva l'italiano

il

latino

e l'amore
mano
la

del proprio parere, con-

giunto

all'ignoranza e alla baldanza giovanile,


in

mi pose

penna, presumendo che tanta


ne'

questione non fosse ancora

ordinatamente

ne'

pienamente
17.

trattata.

Ma

la logica e lo stile

non

Chiarini.

258

Libro Secondo

corrispondevano

all'

intento

per riserbai

la

pub-

blicazione delle mie meditazioni ad et pi


tura.
le

ma-

perch anche in que' tempi


i

nostri libri,

nostre carte e

nostri pensieri correvano


feci

sempre

pericolo d'inquisizione,
scartafaccio
in

ricopiare quel
e le

mio

forma

di

lettere,

intitolai

Ultime lettere di Jacopo Ortis.

Non molto tempo


e

dopo, viaggiando per


bello,

l'Ita-

lia

fermandomi nel suo paese pi


il

amai
gli

quanto

mio cuore poteva amare,

quanto

bisognava per distogliersi, almeno per poco, dalle


sciagure della mia patria. Scriveva allora e spe-

diva alcune delle mie lettere d'amore che

si

leg-

gono

nell' Ortis,

ma

ricopiandole sempre, perche'

io scrivo tardo, a stento e di carattere quasi illeggibile.

Conservava quegli abbozzi,


tra
i

diligentedi
altri

mente involgendoli
manoscritti;

quinternetti

il

cuore

fa tesoro di ci

che pro-

duce mentre

egli regna,

presentendo che con l'anil

dare del tempo la ragione ripiglier


e

suo impero,

render

il

cuore

sterile

muto:

ma, n

scrivendo n rileggendo quelle lettere, mi venne

mai

la tentazione di pubblicarle.

Rifeci ben si verso quel

tempo

le

lettere del-

l'Ortis,

ed erano tutte disquisizioni filosofiche sul

suicidio.

Cominciai

stamparle e, pentito di nuovo,

Ugo Foscolo

259

interruppi l'edizione, contentandomi d'avere scritto


quelle lezioni per valermene contro
tuna.

l'ira della for-

Mentre

io col

mio reggimento partiva


e
i

d'Italia,

affidai le

mie carte

miei

libri

ad un ospite

che, minacciato dagli editti degli Austro-Russi e


dalle inquisizioni di

nuovi magistrati, cerc di

provvedere a
dolo ad un

se'

stesso ed al deposito, consegnan-

uomo meno
fantasie,

osservato. Quest'
si

uomo
me,

era autore, e giovane, e povero; e


le

lusing che

mie meste

scritte

per
altri,

me
e

e a

potessero

piacere

anche

agli

che egli
il

avrebbe potuto
libraio
i

farle piacere

ancor pi, e che

che vedeva infruttuosi nel suo magazzino


fogli

pochi

da

me

fatti

stampare, l'avrebbe

ricompensato. Per estraendo da' miei scartafacci


e dagli abbozzi delle

mie

lettere

molti squarci

di filosofia, di politica, di

amore, e raccozzandoli

all'edizione interrotta, e annacquandoli con molte


note, acciocch
e

non offendessero chi governava,


sua,
parte,
vi ag-

rimpastandoli a una istoria tutta


del

giunse
versi e
la

proprio una

seconda

mezza

mezza

prosa, e pubblic in
di

due volumetti

Vera storia

due amatiti

infelici, ossia ul-

time lettere di Jacopo Ortis.

Ripatriato, vidi correre per

l'Italia e

spacciarsi

26o

Libro Secondo

con un mio

ritratto nel frontespizio quel libro;

onde, pi per fuggire infamia che per acquistarmi


onore, tornai per la terza volta ad attendere alle

Ultime lettere

di

Jacopo Ortis
del

(i).

La

lettera al

Bartholdy

1808. Sei anni

pi tardi, tornando sull'argomento della prima


edizione delle

Ultime

lettere,

il

Foscolo scriveva
all'

nella Notizia bibliografica,

premessa

edizione

dell'Ora, con
a

la

data di

Londra

MDCCCXIV:
delle

Verso

la fine del

1799 Jacopo Marsili libraio


la

cominci
lettere; se

in

Bologna
il

edizione

Ultime

non che
di

depositario degli originali,

pentitosi forse

pubblicare

un

libro

politica-

mente pericoloso

agli editori, e forse

moralmente

a'iettori, si parti; e

lasci
il

neppur mezzo stam-

pato

il

volume. Bensi
fece

libraio per cavarne uti-

lit lo

continuare
il

da

un Angelo

Sassoli,

giovine letterato,
quelle
lettere

quale,

non avvedendosi che


erano state
scritte

da

principio

senza animo di pubblicarle, e scritte da tale che

aveva
e

sortito dalla natura

un

carattere d'animo,

modo

di sentire, e opinioni, e passioni, e quindi

stile

tutto suo proprio, v'aggiunse assai cose che

(1) Epistolario di

Ugo Foscolo;

Firenze,

Le Mounier,

1854;

voi.

I,

pag. 149.

Ugo Foscolo

261

potevano

allettare

la

comune
a'

deflettori; molte

altre, le quali

rincrescevano

governi, lev di

pianta; ad altre appose annotazioni e le confut;

mut

in

parte

le

circostanze di alcuni

fatti,

segnatamente del principale che concerne l'amore


dell'Ortis,
affine

di

non offendere individui

famiglie viventi: e compil due volumetti, dove

appena

un terzo

si

trova di

scritto dal

primo

autore, e nulla che


e n'usci
il

non

sia

guasto e interpolato;

romanzo
iti/elici,

col titolo:
ossia,

Vera

istoria di

due amanti

ultime lettere di JaIl

copo Ortis; con un

ritratto di profilo.

depot8oo,

sitario degli autografi, ne'

primi mesi del

smenti nella Gaietta di Firenze questa edizione


apocrifa

(1).

In queste
il

faccende

letterarie e bibliografiche

Foscolo

non

era,

pare, di

troppo

felice

me-

moria.

La

dichiarazione, con la quale egli smen-

tiva l'edizione bolognese delle


le altre

Ultime
le

lettere

due edizioni che subito

tennero dietro,

non
naio

dei primi mesi

del 1800,

ma

del

2 gen-

1801.

In

essa

egli

dichiara solennemente

coteste edizioni apocrife tutte e adulterate dalla

(1) Prose letterarie di


nier,

Ugo Foscolo

Firenze,

Le Mon-

1850;

voi. I,

pag. 167.

22

Libro Secondo

vilt o
il

dalla

fame. Non

isfuggir poi a nessuno


il

poco accordo che

vi fra ci che

Foscolo

dice nella Lettera al Bartholdy e ci che nella

Notizia bib Ho grafica: in quella afferma che


lettere

le

cominciate a stampare a Bologna erano


disquisizioni filosofiche, in questa

tutte

che

il

libro poteva

essere politicamente pericoloso agli


il

editori; in quella che

pensiero di continuarlo

venne

al giovine nelle cui

mani erano caduti


il

manoscritti, in questa che fu


lo fece continuare.

libraio quegli che

Ma
ha

chi conosce

un

po' la vita del Foscolo, e


e Y

letto la

Vera storia

Jacopo Ortis del 1802,

oltre queste piccole contradizioni, noter nei

due

passi foscoliani da noi riportati qualche cosa di

peggio, vi noter delle gravi inesattezze di

fatti.

Lasciamo

stare che, secondo

il

racconto di Pro-

spero Viani, riferito dagli editori dell'Epistolario


in

nota alla lettera al

Bartholdy,

la

faccenda

della continuazione delle lettere non sarebbe an-

data in nessuna delle due

maniere narrate dal


pregato
il il

Foscolo,

ma

avrebbe

egli stesso

giola-

vine autore a seguitare e finire

romanzo;

sciamo

star ci, perch niente importa all'assunto

di questo discorso, e

perch neppure

il

racconto

del Viani

si

mostra privo d'inesattezze. Lasciamo

Ugo Foscolo

263

anche stare che non sembra conforme

al

vero

la

circostanza affermata nella lettera al Bartholdy,

che
tere,

il

Foscolo interrompesse

la

stampa

delle Let-

perch costretto a partire

cC Italia

col suo

reggimento;

non sapendosi finora ch'egli da

militare lasciasse l'Italia


e

prima del giugno i8o4;


la detta

lasciamo star finalmente che

circo-

stanza non confermata,

ma

piuttosto

pu parer

contradetta, dalle parole del Foscolo stesso nella

Notizia bibliografica, ove dice che si parti da

Bologna pentitosi forse


Lasciamo

di pubblicare

il

libro.
le

stare tutto ci, ed

esaminiamo

pa-

role del Foscolo in quello solamente che importa

all'argomento del nostro discorso.

Secondo

le

parole del Foscolo, tre sarebbero

momenti
romanzo;

di
il

concezione ed elaborazione del suo

primo determinato dalla morte dello


il

studente friulano,

secondo dall'amore per

la

giovinetta incontrata in

Toscana

(la

quale non
il

pu

essere se

non

Isabella
le tre

Rondoni),

terzo dal

bisogno di rifiutare

prime edizioni dell'Ora

e contrapporre all'opera apocrifa la genuina.

Che
del

momenti

di

concezione ed elaborazione
che due, io non ho

romanzo siano

tre invece

nessuna ragione per contrastarlo;


credo, facile dimostrare

ma mi

sar,

che

il

Foscolo poco

264

Libro Secondo

esatto nella determinazione del secondo

momento;

ed apparir, credo, dal sguito del mio discorso

che

il

primo momento ed

il

secondo possono
solo,

considerarsi
tato dalla
Il

come

legati in

uno

rappresen-

Vera

storia.
le

Foscolo avrebbe, a quanto egli dice, messo


la

mani per

seconda volta nelle Lettere dell'Ortis,

e avrebbe cominciato a stamparle a Bologna,


il

dopo

suo incontro ed innamoramento con

la

Ron-

doni; dal che dovrebbesi dedurre che


di quelle lettere la

la

Teresa
ci ap-

Rondoni

stessa.

punto studiasi

il

Foscolo di

far credere ai lettori

del suo romanzo, sia dicendo nella lettera al Bar-

tholdy che

il

continuatore
i

della

edizione bolo-

gnese rimpast

frammenti foscoliani ad una

istoria tutta sua, sia ripetendo nella notizia bi-

bliografica che

mut

in

parte

le

circostante di

alcuni fatti, e segnatamente del principale che

concerne V amore dell Ortis.

Ma

ci

appunto

io

non credo

non mi

riesce di crederlo, perche'

tanto questa che


fa al

le altre

accuse che

il

Foscolo

suo continuatore bolognese, non solo non

sono confermate,
Il

ma

sono contradette dai


il

fatti.

Foscolo accusa

suo continuatore d'avere

estratto dai suoi scartafacci molti squarci di filosofia, di politica, di amore', e di

politica

nella

Ugo Foscolo

265

prima parte
rola
;

della

Vera storia non

e'

una pa-

lo

accusa di avere annacquato quelli squarci


le

con molte note, e tutte


della

note della prima parte


si

Vera

storia sono dieci e


lo

racchiudono

in

due piccole paginette;

accusa di avere ag-

giunto del proprio una seconda parte metfa prosa


e

me\\a

versi, e tutti

versi sparsi nella seconda


tre

parte, messi insieme,

prendono appena
la

pagine

delle

centoventiquattro onde

parte stessa

composta.

Quanto poi all'accusa


mutato
le

capitalissima

d'

aver

circostante del fatto principale che condell' Ortis,


1

cerne V amore

non ha quasi bisogno

d'essere dimostrata falsa. Basta leggere la prima

parte della

Vera storia per convincersi che


che
le

la

sostanza di essa tutta foscoliana,

ag-

giunte del continuatore, quali e quante esse fossero (ed io credo fossero ben poche)

non

la

mu-

tarono affatto;

basta

paragonare questa prima


coli'

parte della Vera storia

Jacopo Ortis quale

fu rifatto e pubblicato nel 1802, per convincersi

che

le differenze

fra

personaggi del primo ro-

manzo

e quelli del secondo

non possono

essere

opera d'altri che del Foscolo. Tuttavia c', e ben


chiara,

una prova

di fatto della falsit di

quel-

P accusa.

La

pi

notevole

di

quelle differenze

266

Libro Secondo

sta in ci, che la

Teresa della Vera storia una


dell'

vedova, e la Teresa
cato nel 1802,

Jacopo

Ortis

pubbli-

una

giovinetta.
si

Or

bene, la prima
di

parte della

Vera storia

compone

i32 pa-

gine;

il

Foscolo dice

che,

quand'egli parti da
il

Bologna, lasci neppur me\\o stampato

volume:

mettiamo che ne

lasciasse

stampato un terzo;
ci fa 33 pa-

mettiamo anche meno, un quarto;


gine precise; per fare
e
il

numero

pari,

diciamo 32;
sfo-

quando abbiamo

detto 32,

cominciamo a

gliare.
la

Apro a pag.

i3 e leggo:

Ho

recapitato
di ....

tua lettera a Teresa


basti:

vedova

Mi pare che

ma

se a

qualcuno non baalla

stasse, sguiti a leggere, e

prima d'arrivare
i

pag. 32 trover descritti tutti

personaggi del
ch'io dissi
il

romanzo con quelle


personaggi
Posto
dell'

differenze

dai

Jacopo Ortis pubblicato


in

1802.

dunque
,

sodo che
ai
fatti

la

Teresa della

Vera storia

quanto

e alle circostanze

esteriori della vita e della persona, tutta

opera

foscoliana

non meno
(1), e

della

Teresa del secondo

Jacopo Ortis

supposto che anche in quella

(1)

Nella prima stampa questo passo diceva, con poca,

anzi punta, precisione cosi:


la

Posto dunque in sodo che

Teresa delia Vera Storia una creazione foscoliana


della Teresa dell' Jacopo
Ortis,
ecc.,

non meno

vediamo

Ugo Foscolo

267

sia

adombrata una donna reale amata dall'autore,


se

vediamo
stessa del

cotesta

donna possa

essere
la

quella

secondo romanzo, cio

Rondoni.

ecc.

Debbo

l'aver corretto (n so se
al professore

avr corretto ab-

bastanza bene)

Bonaventura Zumbini.
32, io set-

Appena

uscito nella
il

Domenica Letteraria (N.

tembre 1882)

primo capitolo

di questo scritto, l'egre-

gio e carissimo amico


il

mio pubblic nel giornale


ad

politico
ri-

Roma

(N. 256,

15 settembre 1882) un articolo di


critica,

sposta, o
le

meglio di

esso.

Ma

dove

io

limitava

mie umili ricerche

al

substrato storico della eroina del


pare,

romanzo foscoliano, substrato che mi pareva, e mi


nelle

due redazioni diverso,

egli, portato dalla natura del


critica,

suo ingegno a spaziare nelle pi alte regioni della


si

ferm pi particolarmente a parlare del tipo ideale, o


si

estetico che dir

voglia, della Teresa, tipo che con molta

ragione not non essere in quelle due redazioni


zialmente diverso.

essen-

Quella infelice espressione che ho corretta,


se

non

so
io,

anche qualche
la

altra,

fece credere allo

Zumbini che

confondendo

ricerca del

substrato

storico
estetico

con quella
di Teresa,
ci

della fonte vera del carattere e tipo


la

chiamassi creazione foscoliana per quel che

poteva

essere in lei di storico; mentre io, ritenendo per provata

largamente

dall'

amico mio

la

derivazione

dell' Ortis
il

dal
tipo

Werther, e ammettendo quindi, senza discuterlo, che


ideale di Teresa fosse modellato

su

quello

di

Carlotta,

intendevo (come mi pare che almeno ora debba capirsi)


di dire

con quelle parole

tutt'

altra cosa.

Lo Zumbini
mio
scritto

parve anche

sospettare per la

lettura del
lui

ch'io avessi dubitato

non essere da

state

268

Libro Secondo

Un

primo indizio che non pu


fatta dal
le

essere, lo ab-

biamo nell'accusa stessa

Foscolo

al

suo

continuatore, di aver mutato

circostante del
dell'

fatto principale concernente l'amore


di avergli cio sfigurato
Il
l'

Ortis,

immagine

di Teresa.
la

Foscolo sapeva meglio d'ogni altro che

sua

prima Teresa era molto diversa dalla seconda,


e poich' gli

premea

di farle passare per

una

sola

e identica persona,

qual cosa pi
la

facile e pi

comoda che buttare

colpa della diversit ad-

notate
dell'

le differenze fra la

Teresa della Vera Storia e quella poteva


io dubitare di ci, sa-

Jacopo Ortis.
eh' egli

Ma come
stato
il

pendo
poteva
preso

era

primo a parlare largamente

della Vera Storia in riscontro coli' Ortis del 1802?

Come
avea

dubitarne
le

io,

che

appunto dal suo

scritto

mosse
io,

alle

mie ricerche sulla Teresa

de'

due ro-

manzi?;
ne' suoi
critici (e

che

fino

da

quando imparai

conoscerlo
de' migliori

scritti,

l'ho

sempre stimato per uno


italiani) del

non intendo solamente

tempo nostro?
nella
pili

Intanto anche l'amico


ipotesi che la Teresa

mio iucontravasi con me


Vera
di

della
la

Storia

adombrasse

meno lontanamente
che neppure
io

moglie

Vincenzo Monti; ipoaltri

tesi

so se fosse stata fatta da

prima

di noi;

ma

so ch'era facilissima a farsi da chiunque, cola vita del


il

noscendo un po'

Foscolo e

la

prima redazione

del suo romanzo, cercasse

substrato storico di questo.

N
sti,

la ipotesi perde niente della sua probabilit dall' es-

sere contradetta

da Cesare

Cantii, anzi

mi pare ne acqui-

come accenno

nella nota a pag. 2S0-S1.

Ugo

Foscolo

269

dosso

all'

innocente continuatore e raffazzonatore

del suo primo lavoro? Dal

momento che egli avea

protestato contro la pubblicazione di questo la-

voro, dichiarandolo apocrifo e adulterato dalla


vilt

dalla

fame,

chi potea dire

o cercare che

quanto

vi fosse d'

opera propriamente sua?

La Teresa
una vedova,

della
la

Vera storia
di

come

dissi,

vedova
lei, al

un uomo che avea


si

venti anni pi di

quale

spos per com-

piacere

il

padre suo moribondo: ha di quel primo


di

marito una figliuoletta

quattro anni, per

nome

Giovannina;

sta per rimaritarsi


lei

con Odoardo, giole

vine pittore da

amato avanti

prime nozze;

di capelli neri.

La Teresa

dell'

Jacopo Ortis

pubblicato nel
fiore degli

802

una giovinetta nel primo


ad un vecchio patrizio
1'

anni;

figlia

alquanto scaduto nei beni di fortuna, che


perci fidanzata ad

ha

un giovine

patrizio

ricchis-

simo; ha una sorellina di quattro anni per


Isabella; di
lesti;

nome

chiome biondissime

e di occhi ce-

simile in tutte queste circostanze della vita

e della persona ad Isabella


il

Rondoni,

della quale
del

Foscolo

innamor

nella

prima met

1799

e
io

da cui

si

divise nei primi giorni del 1801,

come

credo d'aver dimostrato nella mia prefazione

alle poesie foscoliane.

Che

cosa c'

dunque

di

270

Libro Secondo

comune

fra la
?

Teresa del primo romanzo

e quella

del secondo

egli possibile

che

la

donna

reale

che

lo scrittore

ebbe dinanzi agli occhi della mente

nel foggiare quelle due ligure fosse la stessa?


possibile che la

Teresa della Vera storia

sia la

Rondoni? La
mente che

risposta a queste

domande non mi
poco esatto

par dubbia, e mi pare che dimostri assai chiarail

Foscolo
il

fu,

come

io dissi,

nel determinare

secondo momento di elabora-

zione del suo romanzo.


strata
Il

La

qual cosa dimo-

anche da un

altro fatto.

Foscolo, partendosi dalla Roncioni nei primj


1

del

801, le scriveva la lettera d'addio che leg-

gesi nel

primo volume

dell'epistolario a pag. 12

con
che

la falsa

data dell'anno 1799. Quella lettera,

fu

poi

con parecchie mutazioni stampata


del
la
si

nell'Ora
contenuto e

1802,

si

rassomiglia
alla

molto pel

intonazione

Lettera

XL V,

con

la

quale

chiude
la

la

prima parte della Vera


fu pubblicata

storia. Ora,

poich

Vera storia

nel

1799, e le lettere foscoliane

che servirono ad

essa dovettero necessariamente essere scritte in-

nanzi, com'

possibile

supporre che

il

Foscolo,

scrivendo quell'ultima lettera della prima parte


della

Vera

storia, avesse

l'animo

alla

Roncioni?

Non

invece naturale, anzi necessario, supporre

Ugo Foscolo

271

ch'egli, trovandosi realmente nel


scrisse la lettera d'addio
alla

1801,

quando
in

Rondoni,

una

condizione

d'

animo,

se

non

identica,

molto sosi

migliante a quella nella quale trovavasi, o


posto idealmente, allorch scrisse
della
la lettera

era

XLV

Vera

storia, gli venisse fatto quasi incon-

sciamente di ripetere in un atto della vita reale


ci

che avea

scritto
il

da romanziere? Nel Foscolo


e lo scrittore
egli por-

la vita reale e
si

romanzo, l'uomo
e

confondevano insieme;

non tanto

tava nel romanzo la vita reale, che non portasse

pi spesso nella vita reale

il

romanzo.
storia, se

Ma

la

Teresa

della

Vera

non

la

Rondoni,

chi ella
parte,

dunque?

e che cosa ? ,

almeno

in

un

essere reale, o solamente


dir

immaginazione,
dello scrittore?

per
la

meglio
dell'

imitazione,

Teresa

Ortis del 1802

poi

veramente, senza nessun dubbio, Isabella

Roncioni?

E come

si

spiega la diversit delle due

Terese?
dere,

queste

domande
rifare,

tenter di rispon-

provandomi a

quale a

me

par di vedi

derla, la storia dei

due principali momenti

con-

cezione ed elaborazione del romanzo foscoliano.

272

Libro Secondo

li

E
il

difficile,

credo, stabilire con esattezza


la

quando

Foscolo pensasse propriamente

prima volta

al

suo romanzo, e

lo

cominciasse a scrivere;

ma

forse

non

difficile rintracciare e seguire lo svol-

gimento di quel primo pensiero fino all'ultima


e

compiuta sua espressione

nell'

Ortis del 1802.


in

L'idea di scrivere un romanzo

lettere

il

Foscolo l'ebbe fino dal 1796, e forse prima. Nel

Piano di Studi

citato dal Carrer nella Vita del

Foscolo, e pubblicato recentemente dal signor

Leo

Benvenuti, fra

le

opere originali in prosa ideate


si

o cominciate dall'autore

notano queste due,


opera ripetuta,

che probabilmente sono

la stessa
,

Lettere ad una fanciulla

e pi sotto

Laura,

Lettere ; con la seguente annotazione:


libro

Questo
l'autore

non

interamente compiuto,

ma

costretto a dargli l'ultima


ei

mano quando anche


,

noi volesse

La Laura

credo, quella stessa

ricordata nelle due poesie giovanili, V Eie gi, e


le

Rimembrante:

le

lettere

diventarono

forse

la

Storia di Lauretta

nell' Ortis.
1'

Stando a ci che dice


Bartholdy,
il

autore nella lettera


a

al

primo impulso

scrivere

l'

Ortis

'

F-'scolo

273

gli

sarebbe
dell'

venuto dal suicidio dello studente


Universit di

friulano

Padova, che aveva


io

appunto quel cognome; ed

aggiungerei, dalla

lettura del Werther, che a quel

tempo

il

Foscolo

dovea certamente aver


Afferma
tra le
il

fatta.
il

Foscolo, che

Werther

gli capit egli

mani solamente

nel 1802,

quando

dava

l'ultima occhiata al manoscritto dell' Ortis:


chi,

ma

avendo

letto

il

Werther

e Y Ortis,
il

pu avergli

prestato fede?
nasse, e lo

Anche prima che

Suster accendi
fatti e

Zumbini con molta copia


di

molto vigore

ragionamenti recasse in mezzo

le

prove che smentiscono quella affermazione, chi


per lo
si

meno non dubit

eh' ella fosse sincera

Non
Fo-

tratta soltanto della conformit,

come

dice

il

scolo, nel
si

carattere e nello scopo dei due libri,

tratta di

ben

altro, e di

molto pi:

si

tratta

della quasi identit dei

due protagonisti,

si

tratta

di tutta l'invenzione, di tutta l'ossatura del rac-

conto, che ne' due libri la stessa.

Poco monta

che

ci sia

qualche differenza nel carattere e nelle


di

circostanze

qualche personaggio, e qualche

diversit negli episodi.


Il

Foscolo probabilmente avea

letto

il

Werther
il

fino dal 1796, e forse prima,

come nota

Suster,

assegnandone
18.

le ragioni,

che a

me

paiono molto

Chiarini.

274

Libro Sci onda

probabili.

Poco dopo, probabilmente nella seconda


1797,

met

del

come parmi
storia,

raccogliere da alcuni
il

indizi della

Vera

avvenne, credo,

sui-

cidio dello studente della Universit


e

padovana;

come

la

morte del giovane Je'rusalem, uccisosi

colle pistole prestategli dal Kestner, sugger forse


al

Goethe

la catastrofe, eh' la parte

men

bella,

perch

meno

vera,
forse

del

suo romanzo, cosi quel


al

suicidio fece

venire

Foscolo l'idea di
del

scrivere

anch' egli
o, la

un romanzo

medesimo

genere;

se

quell'idea gli vagava gi per la


e la

mente,
perche'

determin meglio,

rafferm.
ci

Ma

l'

idea potesse tradursi in fatto,


fornisse la materia del
il

voleva

un amore che

romanzo;
pensiero

giacch al Foscolo doveva sorridere


di
ritrarre
fatto
si

in
il

parte

stesso nell' Ortis,

come

avea

Goethe nel Werther. amori giovanili, per non dir


la

Poco

sa degli

fanciulleschi,

d'Ugo, precedenti
il

sua andata a

Milano;

ma

poco che se ne sa basta a farmi


d' essi

credere che niun

potesse servire di fondaIl

mento

al

romanzo ch'ei vagamente meditava.


si

suicidio dello studente friulano

combin

forse
;

con quell'andata, che avvenne agli ultimi del 1 797


la

precede, cio, o la segui di poco tempo. Arrivato


il

a Milano,

Foscolo s'innamor della Pickler, mo-

go Foscolo

275

glie di

Vincenzo Monti;
Pieri e, ci

fatto

che

ci

attestato

da

Mario
stesso.

che pi importa, dal Foscolo

Parlando di una
riceve uscendo

visita

fatta al
il

Monti, che lo

dal bagno,

Pieri scrive nella

sua Vita,
stirsi,

Io

mi

ritrassi

per dargli agio di rive-

e fare le sue faccende; e passai dalla sua


e bella

donna, dall'amabile

Teresina, nata Pickler,

a cui egli volle che mi presentassi a


e la quale

nome

di lui,

mi

favell fra le altre cose della infelice

passione che senti

Ugo Foscolo
si
il

per

lei

(1).

An-

che nelle

Memorie, che

conservano inedite
Pieri torna a parla
il

nella Riccardiana a Firenze,


lare della passione del

Foscolo per
lei

Monti, e

dice d'aver saputo da

stessa

che

Foscolo
gli

aveva minacciato
retta, e,

di uccidersi s'ella essa,

non

dava

non credendogli

era

arrivato ad
lo

inghiottire

una gran dose d'oppio che


al servo,

avrebbe
tutti

realmente ucciso, se
1

che comperava

giorni l'oppio da differenti speziali,


(2).
Il

non

fosse
scri-

venuto qualche sospetto

Foscolo poi

(1)

Della vita di Alarlo Pieri,

scritta

da

lui

medesimo;
a

Firenze,
(2)

Le Mounier;
lo

voi.

I,

pag.

173.

Vedi

scritto di

Guido

Biagi,
della

Seconda

visita

Vincenzo
5 ottobre

Monti,
1879.

nel

Fanfiilla

Domenica, N. II,

276

Libro Secondo

vendo da Milano
Dionigi Strocchi
ti

in

data del 9

luglio

1798

Faenza,

gli

dice:

Monti
io

saluta.

La Teresina .... Veramente


sempre

sono

in assoluta necessit di partire.

Per Dio! amare,

tacere,

discorrere

di

un altro per non


affet-

annoiarla; lodarlo; piangere in segreto ed


tare

giocondit.

Siam troppo
a

innanzi.

Doman
fratello:

l'altro corro a
di l a

Modena

trovare

mio

Bologna.

poi? Chi sa!


allo

Poco prima
stesso:
la-

avea scritto da

Bologna

Strocchi

Mille

disavventure

mi hanno forzato a
in

sciare
e

Milano

cercare

Bologna salute
paese
la

tranquillit. ...

in questo

forfosse,

tuna

mi

arride.

Credeva
alle

che

Bologna
che

come prima, amica


per

lettere, e

io potessi

mezzo

di

qualche stampatore provvedere


tutto vano.

alla

necessit:

(1)

Tra

quelle mille

disavventure

possiamo

molto
la

ragionevolmente
Teresina: nella

mettere l'infelice amore per

speranza di guadagnare con qualche stampatore

possiamo ben vederci

il

principio

della

prima

edizione delie Ultime lettere di Jacopo Ortis.

(1) Lettere di

professione politica,

Ugo Foscolo, in Ugo Foscolo e la sua per Francesco Trevisan, Mantova,

1872, pag.

150.

UgO Foscolo

2JJ

Difatti io
il

credo ch'egli cominciasse a scrivere

romanzo

nella
lo

prima met del 1798, non prima,


nella

a Milano,

seguitasse

seconda met a

Bologna
ultimi

e quivi

cominciasse a stamparlo negli


stesso, o nei

dell'

anno

primi del 1799,


nella

non

gi verso la fine, com' egli dice

No-

tizia bibliografica (1).

Non

pot' certo

cominciare

a stamparlo verso la fine del 1799, poich' dopo


la battaglia

di

Novi, avvenuta
si

ai

i5 agosto di

quell'anno, alla quale egli


tano,

trov

come

capi-

sembra

certo

che riparasse con

gli altri

Cisalpini sbandati nella Liguria, dove

sappiamo

indubitatamente ch'egli stette dai primi di ottobre


fino al

4 giugno 1800. Non par probabile che


dopo
l'aprile,

cominciasse a stamparlo
dagli ultimi di questo

perch

mese

fino ai

i5

d'agosto
e nel-

err sempre combattendo nelle

Romagne

l'Emilia. Aggiungasi che, interrotta improvvisa-

mente per
la

la

partenza del

Foscolo da Bologna
di

stampa del romanzo, un po'


il

tempo dovette
il

correre avanti che

continuatore,
il

quale do-

veva mettere insieme


e scrivere
la

resto della

prima parte
quella

seconda, potesse ripigliare

(1) V. Prose letterarie di


nier;
voi. I, pag.

Ugo Foscolo,

ed.

Le Mon-

167.

278

Libro Secondo

stampa

compirla; e che, ambedue


state

le parti

del

romanzo essendo

pubblicate con

la

data

dell'anno 1799, anche ci conferma chela stampa


di esso dove'

cominciare

per lo

meno

ai

primi

di quell'anno.

Stabilito

che

il

Foscolo

scrisse

il

suo primo

Ortis nel 1798, mi pare probabilissimo, per non


dire certo, che, s'egli volle

adombrare
la

in esso

una

sua passione vera, questa fosse

passione ch'egli

prov per

la

Monti.
le

Si paragonino

circostanze

principali della
del Foscolo

Vera storia con quelle dell'amore


per la Monti, sempre

avendo

di

mira gl'intenil

dimenti dell'autore nello scrivere


e

suo romanzo,

rammentando che

il

primo impulso a scriverlo


e

gli

venne dal suicidio dello studente friulano

dalla lettura del

Werther;

si

faccia questo pale

ragone, e

si

scorgeranno facilmente, non dico

somiglianze,

ma

le

coincidenze, che

non

si

pos-

sono credere tutte


nata e la vera
;

fortuite, fra la storia


il

immagiGoethe

ed anche fra

romanzo

del

e quello del Foscolo.


Il

Goethe pone
in

la

scena degli amori del suo


la

Werther
scrittore

un'amena campagna,

quale allo

argomento
la

di osservazioni e descrizioni,

che sono

parte pi

bella

del

romanzo;

in

Ugo Foscolo

279

un'amena campagna, che

offre le

medesime ocil

casioni di osservare e descrivere, pone


la

Foscolo

scena degli amori


i

dell' Ortis.
i

Questa campapi vicini


la
al

gna sono
luogo ove
e

colli

euganei,

colli

egli

avea conosciuto e amato

Monti;
di

non sono, per esempio, gli aerei poggi


la

Bellosguardo, che
sima, non sono
veti,
le

luna veste di luce limpidisd'oli-

con valli popolate di case e

che

mandano
cio

al cielo mille incensi di fiori,


vicine
alla
citt

le

campagne
la

ov'egli

coil

nobbe

Roncioni; non sono, perche' quando


il

Foscolo scrisse
stato a Firenze,

primo Ortis non era ancora

non aveva ancora conosciuto

amato

la

bella giovine pisana.


al

Fondamento
trasto

romanzo
del

del Goethe

il

con-

che
nella

l'amore

Werther per Carlotta


di
lei,

trova

condizione

di fidanzata

ad

Alberto; ed egual contrasto, anzi maggiore, trov


il

Foscolo all'amor suo per


lei,

la

Monti nella conaltro.

dizione di

di sposa
si

d'un

Ma

questa

condizione non

poteva per due buone ragioni


la

conservare nel romanzo;


facile

prima, che troppo


i

sarebbe stato riconoscere sotto


i

personaggi

immaginati

veri; la seconda, che l'amore per


si

una donna maritata non


quale
il

prestava

al

romanzo

Foscolo l'aveva immaginato sull'esem-

280

Libro Secondo

pio del Werther.

Che

fare

dunque?

Il

ripiegosi

presentava

facilissimo:

ammazzare l'incomodo

marito, e farlo rinascere sotto forma di amico, di


confidente, di sposo futuro.
rito,

Ammazzato

il

ma-

non c'era bisogno d'ammazzare


la

altri; anzi

la

Costanzina,

rigliuoletta di quattro
la ai

o cinque

anni che aveva

Monti,
fratellini

faceva nel romanzo


e
alle

ottimo riscontro
Carlotta nel

sorelline di

Werther.
la

Cosi nacque
somigliante,
lotta;

Teresa della Vera storia, molto


nell' esser

salvo

vedova, alla Carneri,

nacque con occhi

e capelli

simili a

quelli che ebbe la

Monti (i); nacque col nome

medesimo
letta di

della Monti;

nacque con una


la

rigliuo-

quattro anni,

come aveva
il

Monti. Con-

servato nel

romanzo

nome

di Teresa, la pi
gli altri,

volgare prudenza consigliava di mutare

e cosi la Costanzina divent Giovannina, e l'amico


il

confidente lo sposo futuro di Teresa


(2).

si

chiam

Odoardo

(1)

V.

il

libro di

Leone
le

Vicchi, Saggio d'un lilro inlettere


e

titolalo,

Vincenzo

Monti,

la poltica

in Italia
5,

dal
fa
il

1750

al iSjo. Faenza, Conti, 1879, a pag.

dove

si

ritratto della

Teresa Fickler.
di Teresa Monti, nel libro

(2)

Cesare Cant, parlando


e

Monti

l'et

die

fu sua,

pag. 67 annota:

Fu anche

Ugo

Foscolo

281

Vediamo ora come


storia
si

la

prima parte della Vera


del 1802.

trasformasse

nell'Ora

Ili

Nel 1799, probabilmente


certo

fra

il

marzo

e l'aprile,

non pi
io

tardi dell'agosto o del settembre,


di

come

tentai
il

dimostrare in un altro mio

scritto (1),

Foscolo recatosi da Bologna a Fi-

essa tra le amate da

Ugo

Foscolo,

ma

a torto creduta

l'eroina deli' Jacopo Ortis. In

queste

parole

c',

se

io

non m' inganno, un argomento


ipotesi. Il

di pi a favore della

mia

Cant parlando dell'Iacopo

Ortis, intende certo

parlare di quello del 1802, la cui eroina

egli probabilfar

mente crede
credere,

coi pi essere quella che

il

Foscolo volle
altri,

cio la

Rondoni.
della

Io

non

so se

scrivendo

dell' Ortis,

abbia,

prima dello Zumbini


Monti
le
:

e di

me,

messo
che

innanzi
il

il

nome

credo
parole

pi probabile
contradire

Cant voglia

con

sue

un'opigli

nione forse comune in Lombardia

(dov'erano noti

amori del Foscolo per


in cui fu pubblicata la

la

Monti) formatasi fino dal tempo


opinione che
le

Vera Storia,

di-

chiarazioni del Foscolo intorno a quel libro e la pubbli-

cazione
tutto, e

dell' Ortis del

802 non valsero a distruggere del


Il

che forse dur per un bel pezzo.

qual fatto

si

accorderebbe perfettamente col resultato delle mie ricerche


intorno al diverso substrato storico del primo e del secondo

romanzo foscoliano,
(1
)

ne sarebbe anzi

la

conferma.

Vedi

la

prefazione alla mia edizione critica delle Poesie


1S82), png.

di

Ugo Foscolo, (Livorno, Vigo,

xxvn

e seg.

282

Lilro Secondo

renze,

vi

conobbe

Isabella

Rondoni,

se

ne

innamor, e l'am, com'egli stesso dice, quanto


il

suo cuore poteva amare. La Rondoni


lei,

era,

cio suo padre per

in

trattative

di

matri-

monio con un marchese Bartolommei


era,

fiorentino;
fiore della
celesti

come

gi

sappiamo, sul primo

giovinezza;

era

bellissima; aveva occhi

e capelli biondi;

avea nell'aspetto e nella figura

quell'ingenuo candore, quel dolce abbandono, che

son tanto pericolosi per


del

gli

uomini della tempra


sguardi del
la

Foscolo;

e forse

agli

giovine

innamoralo non rispose con


indifferenza della

fredda e superba

Monti.

Tutto ci

commosse
tal

profondamente
di

il

Foscolo, facilissimo a
e
gli

genere

commozioni;

fece

rifiorire

nell'animo,

anzi nella realt della vita, pi vivo, pi fresco,

pi intero,

il

suo malinconico e dolce romanzo.

Egli senti che Jacopo aveva trovato ora soltanto


.la

sua vera Teresa, a petto

alla

quale

la

prima

diventava quasi un'ombra, un fantoccio (se cosi


posso esprimermi) preso in mancanza di meglio
per la necessit del racconto.
Il

Foscolo non

pot' trattenersi

lungamente

in

Toscana, chiamato ben presto altrove dai doveri


della milizia:

ma

il

breve tempo ch'egli vi

stette

bast a far divampare in incendio la sua

fiamma

Ugo Foscolo

283

amorosa. Ch'egli anche lontano mantenesse qualche corrispondenza, almeno indiretta, con
la

sua

donna, mi pare probabile;


tano, scrivesse veramente a
delle lettere che,
io

ma
lei

se,

o vicino o lonaltri

o ad

alcune

come

dice,

stamp

nel

romanzo,

non saprei

ne'

confermare n negare: noter

soltanto che, salvo la lettera per Teresa, scritta

poco prima del

suicidio,

nel

romanzo non
la lettera

e'

altra lettera diretta a lei

che

d'addio

consegnata da Jacopo all'ortolano prima

di partire

dai colli euganei; lettera che corrisponde, ed in

alcune parti quasi

identica,
alla

quella

scritta

veramente dal Foscolo

Rondoni,

e stampata,

come

accennai, a pag. 12 del primo

volume

del-

l'epistolario.
in

Che

poi durante la lontananza, ed


della
milizia,
il

mezzo

ai

disagi e pericoli

Foscolo alimentasse amorosamente nel cuore


sua fiamma per
la

la

Roncioni, cosa indubitabile.


seguirono,

e confermata, oltre che dai fatti che

da ci ch'egli scriveva poetando nella Liguria.


Sperai, poi che mi

han

tratto

uomini e Dei

In lungo esilio fra spergiure genti

Dal bel paese ove or meni

si

rei,

Me

sospirando,
il

tuoi giorni fiorenti;


e
i

Sperai che

tempo

duri casi e queste


e
1'

Rupi
Ov'
io

eh' io varco anelando,

eterne,

qual fiera dormo, alte foreste,

2S4

Libro Secondo

Sarien ristoro al mio cor sanguinante

Ahi vota speme

Amor

fra

1'

ombre

inferne

Seguirammi immortale onnipotente.

Tornato a Milano dopo

l'assedio di

Genova,
con

e addetto alla divisione del generale Pino,

cui

fece

la

campagna

di

Toscana,

Ugo ebbe
ma-

forse occasione di andare nell'agosto a Firenze


e rivedervi la

Rondoni,

le

cui trattative di

trimonio col Bartolommei forse erano gi state


concluse. Intanto spargevasi per l'Italia la Vera
storia di due
sigli;

amanti

infelici,

pubblicata dal Mar-

ma

forse

Ugo non

ne ebbe notizia e non


Nella nota ap-

la

vide che sul finire del 1800.

posta dagli editori alla lettera al Bartholdy(i)


detto ch'egli
si

rec nella

bottega del Marsigii

a protestare e strepitare per quella pubblicazione

nell'autunno del detto anno; e veramente nell'ottobre


il

Foscolo fu

a Bologna:

ma, ove

si

consideri che la dichiarazione con la quale rifiu-

tava

il

libro,

pubblicata nel Monitore bolognese,


del 2 Gennaio

porta la data
probabile

1801,

non parr

ch'egli

aspettasse

tanto a protestare

pubblicamente, e parr quindi pi naturale sup-

(1) Epistolario
voi.
I,

di

Ugo Foscolo;

ed.

Le Monnier,

pag.

151.

Ugo Foscolo

285

porre che la scena in bottega del Marsigli avvenisse negli ultimi giorni di dicembre,

quando

il

Foscolo pass
a Firenze.
Si capisce
il

di

nuovo da Bologna per tornare

come

alla lettura della

Vera storia

Foscolo dovesse altamente sdegnarsi:


cagioni
dello

ma

fra

le

sdegno,

oltre

quelle d'autore

assegnate

dal

Foscolo

stesso,

esagerando alcun

poco
bini,

fatti,

oltre
la

quella sospettata dallo

Zum-

che cio

pubblicazione della Vera storia

rivelava appieno la derivazione dell' Jacopo Ortis


dal
tosi

Werther, derivazione che

il

Foscolo, accor-

che sarebbe stata facilmente notata, voleva


dal

fare sparire

suo lavoro

(e

perci lo aveva
la

interrotto), io sospetto ce

ne fosse un'altra. Se

Vera storia
scevano

fosse stata letta

da quelli che conoFoscolo

la passione

che

il

aveva pro-

vato per la Monti, da quelli che conoscevano la


pi recente e pi
forte

passione

di

lui

per

la

Rondoni
lui

se fosse stata letta dalle

due donne da
quelli,

amate;

che avrebbero pensato


Il

che

avrebbero pensato queste?

Foscolo non pot

non

farsi tale

domanda:

e poich ora

nell'animo
la

suo la vera Teresa del suo romanzo era


cioni, e questo gli

Ron-

premeva

di

persuadere a s
tr

e a tutti, egli

dovea naturalmente cercare di

286

Libro Secondo

via ogni pi lontano sospetto che nel


fosse

primo Ortis

adombrato un

altro suo
le

amore qualunque.

Da

ci,

almeno

in parte,

sue ire e proteste in


dichiarazione
il

bottega

Marsigli;

da
la

ci

la

del

gennaio 1801, con

quale diceva che

prez-

zolato continuatore del suo lavoro avea convertito le lettere calde,

originali, italiane delP Ortis

in

un centone

di follie
il

romanzesche.
si

La cura che
nella lettera al

Foscolo

prende
il

di dichiarare

Bartholdy che

racconto della

Vera storia
e,

tutto invenzione del continuatore,

nella

Notizia bibliografica, che questi mut

le

circostante di alcuni fatti, e segnatamente del

principale che concerne l'amore

deW Ortis
al

(cosa
vero),

che vedemmo

perfettamente contraria

se conforta l'opinione dello

Zumbini

circa

una

delle pi forti cagioni dello sdegno del Foscolo


al

leggere la

Vera

storia,

conforta non

meno

la

mia
Il

circa l'altra cagione da

me

sospettata.
il

26 dicembre del 1800,


il

quando

Foscolo

giunse a Firenze,
col

matrimonio della Rondoni


gi stabilito, e
il

Bartolommei era
quindi
per

imminente:
che
il

stava

chiudersi

romanzo,
cura

nostro

autore

avea

con

tanta

nutrito e

accarezzato nel cuore.

facile

immaginarsi quale

dovesse essere in quei giorni l'esaltazione della

Ugo Foscolo

28

sua mente

ne

abbiamo un segno, meglio che


volte citata

nelle lettere dell' Ortis, nella tante


lettera,

che allora appunto scrisse alla Rondoni,

e nell' altra

ad Eleonora Nencini, ristampate da


lettera della

me con una
una

Nencini

al

Foscolo in

delle appendici alla prefazione del

mio

re-

cente volume foscoliano.

Ugo

si

trattenne in
1

Firenze

fin

verso

la

fine

di febbraio del

801

e forse in quei giorni

medit

di riprendere, rifare e

compire

il

romanzo, ag-

giungendovi, come gi not lo Zumbini, un ele-

mento che

nella

prima redazione mancava,

l'ele-

mento

politico.

probabile che l'intendimento

dell'autore nell' aggiungere questo elemento fosse,

come crede

lo

Zumbini

stesso, di

rendere

meno

visibile l'imitazione

goethiana;

ma

anche vero

che, se con quel

nuovo elemento scem, come


suo romanzo, divi-

parve a taluno,

l'effetto del

dendo sopra due


lettore

oggetti
in

diversi l'interesse del

prima raccolto

uno

solo, dipinse

per

pi interamente s stesso nella figura dell'Ortis.

Come
il

il

Werther

salvo

il

suicidio,

un vivo
,

ritratto del

Goethe, cosi l'Ortis del 1802

salvo

suicidio,

un vivo
1799

ritratto del Foscolo,

mentre

l'Ortis del

poco pi che una pallida copia

del

Werther.

288

Libro Secondo

Tornato
febbraio e

il

Foscolo a

Milano

tra

la

fine di

il

principio del marzo, e rimessosi a


(se

lavorare al

romanzo

pure non

ci

si

era gi
le

rimesso a Firenze), rifece di sana pianta


lettere, e rifuse,

prime

modificandole, nel nuovo lavoro

pi che met delle lettere della prima parte della

Vera
di

storia. Moltissime delle modificazioni

sono

pura forma,
frasi,

sono

cio

correzioni di parole,

di

di

periodi, che l'autore, tornato sopra

l'opera sua
senti

pi

maturo d'ingegno

di studi,

di

poter

migliorare; non

sono,

come po-

trebbe credersi per ci che egli dice, restituzioni


di

forme adulterate dal continuatore.

chi legga

e confronti, ci parr evidentissimo: tuttavia ne

dar un
della

esempio.

A
si

pag.

della

prima parte
avrei

Vera storia

legge:

ch'io non

preso mai per la cameriera, se non mi s'avesse

appalesata ella stessa

Neil' Ortis del

1802

il

luogo corretto cosi:

ch'io non avrei mai presa

per cameriera se non mi si fosse appalesata ella


stessa
.

In tutti

casi simili a questo, di verbi


nei

che,
posti

adoperati

riflessivamente,

tempi comsi

prendono nell'uso

l'ausiliare essere,
il

trova
al

sempre nella
quale
poi

Vera storia
sempre

verbo
il

avere;

sostituito

verbo essere
si

nell'Ora

del 1802. Tali diversit, che

spie-

C\;o Foscolo

2S<j

gano naturalmente come correzioni del Foscolo,

non

si

spiegherebbero affatto come alterazioni

del continuatore della


si

Vera

storia.

Nel Foscolo

spiegano tanto bene, che in


al

altri scritti di lui

anteriori
l'

1799 trovasi

il

medesimo uso
forme

del-

ausiliare avere nelle accennate

di verbi,

uso che cessa

affatto negli scritti posteriori.

Parliamo delle modificazioni


al nostro discorso

di

sostanza, che
pi. Lasciata

importano molto

da parte

la principale,
la

cio la introduzione del-

l'elemento politico,

quale non ha stretta rela-

zione coli' argomento del nostro discorso, pigliamo

ad esame qualcuna delle

altre.

Vedemmo
storia

gi che Teresa, la quale nella

Vera

vedova ed ha occhi e

capelli neri, di-

venta neh' Ortis del 1802 una giovinetta dagli


occhi
azzurri e dalle

chiome biondissime; vela figlioletta di

demmo
nella

che Giovannina,
storia,
si

Teresa
del

Vera
in

trasforma
per

nell'

Ortis

1802

una

sorellina

nome
si

Isabella; ve-

demmo
giovine
rentina;

che Odoardo
signore
della

l'artista

muta

in

un
fio-

vecchia

aristocrazia

vedemmo
si

finalmente

che

nell'

Ortis
nella

del 1802

aggiunge un personaggio che


il

Vera storia mancava,


dubitare
19.

padre

di

Teresa.

Come
siano

che tutte queste


Chiarini.

modificazioni

290

Libro Secondo

state fatte per altra ragione,

che per accomodare


in origine

alla

Rondoni

il

romanzo, che

non
le

fu

scritto per lei

Come
altra

dubitarne, se tutte

cir-

costanze dei personaggi del primo romanzo con-

vengono ad un'

donna, e tutte quelle dei


Roncini? Aggiun-

personaggi del secondo alla


gasi

che

tutte

le

particolarit pi

minute del
riferivano a

racconto,

che in

qualche modo

si

quelle modificazioni, furono modificate anch'esse

con una esattezza


dubitabilmente
la

e sicurezza,

che rivelano

in-

mano
la

dell'autor vero del libro.


dell'

Aggiungasi che

mano

autore

si

rivela

anche

in altre modificazioni,

consigliate

da
si

ra-

gioni d'arte e di studio che troppo bene

ad-

dicono

al

Foscolo.

Nella Lettera XVII della Vera storia,

con

la

quale Jacopo racconta


signora padovana, che

la

visita

da

lui fatta alla

lo

riceve

uscendo tutta

rugiadosa

e olezzante dalla la

sua camera, in abito


contrapposto a

da mattina,
Teresa,
i

signora
:

ha, per

capelli biondi

nella stessa lettera, ri1

messa con poche modificazioni nell'Ora del 802,


i

capelli della signora, per serbare

il

contrapposto,

diventano neri.
storia

Nella

prima parte della


citati versi

Vera

sono pi volte

dell'Ossian, e

a pagina \\o

Omero, Ossian

Dante sono chia-

)o

/'osculo

291

mati

tre maestri di tutti gli

ingegni sovrani:

neW Ortis

del 1802 sono levate via le citazioni


all'

ossianesche, e nella triade poetica


sostituito lo

Ossian

Shahspeare. Le citazioni dell'Ossian


di

erano un altro punto


storia col

somiglianza della Vera


il

Werther,

e perci

Foscolo

le

lev

via: la sostituzione dello Shakspear e

aW Ossian

segno del giudizio

dell'

autore fattosi pi ma-

turo con tre anni di meditazione e di studi.

Le correzioni di questo genere nell'Ora del 1 802


sono molte; anzi quasi tutte
quelle che
principali,
I

le

modificazioni, oltre

mutano

le

circostanze dei personaggi

sono correzioni di questo genere.


di

nomi

Teresa

e dell'Ortis

erano gi noti

e consacrati dal

Foscolo nel suo romanzo anche


si

prima che questo


definitiva;
e,

pubblicasse nella sua forma

pi per compiacere all'animo suo


in s e per
il

che per

il

romanzo

pubblico, egli

aveva col

nome

di la

Teresa identificato oramai


Roncioni. Que'due nomi non

l'amor suo per


si

potevano dunque

mutare:

ma

il

nome vero
rosorel-

della

donna amata non dovea mancare nel


egli perci
Il

manzo, ed
lina di
lei.

chiam

Isabella la

Foscolo prov poi sempre una par-

ticolare

compiacenza, e mise anche (diciamolo

pure) un po' di civetteria, tanto prima che dopo

292

Libro Seconda

la

pubblicazione autentica del suo romanzo, nel

chiamarsi e lasciarsi chiamare Jacopo Ortis, nel

chiamare

e lasciar
lui;

chiamare Teresa
si

la

giovinetta

amata da

egli

compiacque poi sempre


di

anche negli anni

maturi

quel

romanzesco

amore

della sua giovent. Queste son cose che


l'

a chi ha letto

Epistolario del Foscolo non han

bisogno di essere dimostrate.

Dopo
Le

tutto ci egli possibile dubitare che la


sia la

Teresa del secondo Jacopo Ortis

Rondoni?

circostanze dei principali personaggi del ro-

manzo corrispondono
mo,
a quelle dei

esattamente,

come vedemfurono
fatte

personaggi

reali, cio

corrispondere nella seconda redazione di esso: ed


a notare

una

cosa, che

mentre

l'autore, rifonsi

dendo

il

suo lavoro, da una parte

adoperava

a renderlo quanto pi poteva dissomigliante da

quello

del

Goethe

coli'

introdurvi

1'

elemento
inevitai

politico, dall'altra parte

ne accresceva

bilmente

la

somiglianza per avvicinare

perso-

naggi all'ultima realt storica che voleva adombrare in esso. Avrebbe egli della prima

Teresa

vedova

fatto

una Teresa

giovinetta,

com'era

Carlotta, le avrebbe dato

un padre, come aveva

Carlotta, se proprio non avea davanti agli occhi

Ugo Foscolo

293

della

mente

la

figura della

Rondoni che

l'ob-

bligava a quei cambiamenti?

Tutte queste, obietter qualcuno, sono chiacchiere, le quali possono far parere pi o

meno

pro-

babile l'opinione vostra;


di fatto la

ma insomma una

prova

che

la

Teresa

dell'

Jacopo Ortis del 1802

Rondoni

voi non l'avete data.

vero:

ma

anche vero che mi pareva d'averla data


fin

da un pezzo;

da

quando

cio

ristampai,

nell'Appendice Vili (1) della mia edizione delle


poesie
alla

d'Ugo,

le

lettere di lui alla

Rondoni

Nencini, e vi aggiunsi
al

la lettera inedita della

Nencini

poeta, con in fine poche righe della

(1) Poesie di
e seg.

Ugo Foscolo;

Livorno, Vigo, 18S2;

p.

CCV

Nei Ragguagli intorno

Ugo

Foscolo, scritti da

Michele Leoni,

e stampati anonimi a

Lugano

nel 1829 da
la parte

G. Ruggia, leggesi quanto segue:

voce che

amatoria di simigliante romanzo (V Ortis) avesse un certo


leggiero fondamento di realt, e che
all'

autore

ne por-

gesse occasione una leggiadra e nobil giovanetta di Pisa,


il

fiore delle

creature gentili.

noi

udimmo da

lei,

che

pur

sempre vivente, essere

in parte sua la lettera intro-

dotta quivi dal Foscolo in data del 17 settembre del 1798,

come
alle

scritta a

Jacopo da Teresa.
lei

La Roncioni alludeva
Foscolo

poche righe da

scritte

al
:

in

fondo

alla

lettera della Nencini, che


la vostra

dicono

La

vostra delicatezza,
alle

onest mi costringono a cedere

premure
poche

della vostra e

mia amica, per l'aggiunta

di queste

294

Libro Secondo

Roncioni. Se quella mia fosse stata un'illusione,

avr caro che chi pu

me

lo mostri.

righe

alla sua

lettera.

ogni

Siate

persuaso che non siete

solo infelice...
vi assicuro

Vi prego

di voler rispettare le circostanze....


;

di

una vera stima ed amicizia


d'

questi

due sen-

timenti pi durevoli

altro....

saranno incancellabili
.

nel cuore della vostra Isabella Roncioni


rina, nel passare dal
scritto

Questa

lette-

romanzo

della vita reale al

romanzo
tra-

veniva dalla

fantasia e dal cuore del


cosi.

poeta
alla

sformata e abbellita
vita; ve

Abbiate rispetto

vostra

ne scongiuro per le nostre disgrazie.


infelici.

Non siamo
ri-

noi due soli

Avrete
e

il

mio

ritratto

quando potr.

Mio padre piange con me;


sponda
pur
al

non

gli

rincresce ch'io

biglietto che
le

mi ha recapitato da parte

vostra

con

sue

lagrime a

me

pare che tacitamente

mi
lo

proibisca di scrivervi

d'ora innanzi, ed io piangendo


l'

prometto

e vi scrivo forse per

ultima volta, piangendo,


d'

perch io

non potr pi confessare


.

amarvi,

fuorch

davanti a Dio solo

DUE AMORI

j"^g*/^jiRE che nel Foscolo,


il

come

la

mente, cosi

cuore non poteva stare un


dir poco.

momento
mente

wR\ inoperoso,
i

Come
i

nella

pensieri,

fantasmi poetici e

disegni di opere

si

affollavano,

s'intrecciavano,

s'inseguivano,

cosi nel cuore gli amori.

La

bellezza, la grazia femminile

hanno
tutti,

aspetti

infiniti; e

molti di

essi,

per non dir

face-

vano viva impressione neh' animo

del poeta. Per

non ammirare

tutte le belle
in

donne ch'ebbe ocnegli anni


di una,

casione di avvicinare
dal 1806 al 181
il

Lombardia

2,

per non

amarne pi

Foscolo avrebbe dovuto, invece che vivere a


ritirarsi
in

Milano,

un eremo.

296

Libro Secondo

Molta parte dell'anno


in Brescia,

1807
al

il

poeta
carro,

la

pass
pen(1).

non dir legato

ma

dente dai bruni occhi della bella Martinengo

Tornato nell'ottobre a Milano, non dimentic


gentile persona;

la

ma quando
io

nel luglio dell

anno

dipoi

scriveva al Pindemonte:

poesie e versi
(2),

medito sempre perche'


rola

amo
si

questa pa-

amo

probabilmente non
si

riferiva pi alla

Martinengo, o almeno non

riferiva a lei sola.


la gio-

Sono

noti gli

amori del Foscolo con

vinetta Francesca Giovio, e con

Maddalena Bilui

gnami. Chi non ha


la bella lettera alla scritta

letto nell'epistolario di

giovine signora F. Giovio,


il

da

Borgo Vico

16 agosto

1809? Chi

non ha

letto le tre lettere scritte alla signora L.

segnate dei numeri 3o3, 335 e 3yi, scritte negli

anni 1812 e i8i3?


figlie

La Giovio

era
le

una

delle tre

del

conte

Giambattista,

quali, se

dodel
:

vessimo dar retta a

quella cattiva lingua

Cant

(3),

furono amate tutte dal nostro poeta

(1) Marzia Martinengo Cesaresco, nata Provaglia. Vedi

Epistolario di

Ugo Foscolo,
I,

ed.

Lemonnier;
125.

voi.

I,

p. 90.

(2) Epistolario^ voi.


(3)

pag.

Cant, Monti

l'et eh:

fu

sua; Milano,

T'reves,

1879; pag. 177.

Ugo Fosco/o

297

la

Bignami era

figlia

di

Rocco Marliani
al

di

quell'Amalia che fu tanto cara


Della Giovio

Parini.

pare che

il

Foscolo

s'innamo-

rasse nell'agosto del 1808, mentre andava pere-

grinando sul lago di Como.

C era
s, e

andato, scrive,

per vivere,
Nane

solo,

con s e per

tentando

veterani libris,
solliciiae

mene sonino

et inertibus horis

Ducere

jueanda

oblivia vitae (1).

Forse anche, penso


care

io,

c'era andato
la

per cer-

una distrazione all'amore per

Bignami,

che forse a quest' ora

cominciava a diventargli
vero, fug-

tormentoso; ma, se ci che penso

gendo

Scilla
in

aveva urtato

in Cariddi. Ne'

sempre
chiodo
il
:

avviene

amore che chiodo


volta nel cuore
fece

scacci

anzi questa

del

Foscolo

se-

condo chiodo non


dentro
il

che

conficcare pi ad-

primo.
gli

Nella sua peregrinazione sul lago


la

apparve

vergine innamorata che volgea gli occhi vereil

condi e

desiderio alla luna (2); e quella gentile


fece vibrar

immagine

dolcemente tutte

le fibre

(:) Epistolario, voi.


(2) V.

I,

pag.

135.

Lezioni

di

eloquenza (orazione inaugurale) nel


ed.

voi. II delle

Prose letterarie del Foscolo,

Lemonnier;

p.

16.

298

Libro Secando

del suo cuore, e gli s'impresse forte nell'animo;

non tanto
l'altra

forte

per,

che
gi

potesse
vi
si

cancellarvi

immagine che
la

era

impressa.

L'amore per

Giovio non fu nel Foscolo


per

che
la

una

specie

d'intermezzo della passione


fu
il

Bignami: questa

dramma,

quello l'idillio;

questa una procella,

quello una vaga meteora.

Quando
e

il

Foscolo s'innamorasse della Bignami


palesasse l'amor suo, non

quando

le

mi
181 3

riuegli

scito di
le

stabilirlo

con esattezza. Nel

scriveva di averla

amata per pi

di sette

anni

in

segreto (1):

ma

alle

parole dei poeti e degli

innamorati un po' di tara bisogna farcela sempre.

Probabilmente

egli la

conobbe dopo

il

suo ritorno

di Francia nel i8o5: probabilmente la incontr

pi

volte

ai

teatri, alle

feste

conversazioni

alle quali

usava, ve la incontr

splendente

di

quella grazia e bellezza, per le quali fu procla-

mata

dall'

imperatore

Napoleone
il

alla

festa di

ballo della
la

Canobbiana

17 dicembre del 1807

plus

belle

panni

tant de belles (2): e vederla


lui

ammirarla ed amarla dovette essere per

una

(i) V. Epistolario, voi. (2) V.


bre).

I,

pag. 535.

Corriere milanese del

1807

'76,

18

dicem-

Uqo Foscolo

299

cosa sola. Poi


presto, se gi

l'

autore famoso

dell'

Ortis divenne

non

era, familiare in casa del ricco

banchiere suocero della signora,

quivi ebbe

agio di vederla, apprezzarla, ammirarla ed inna-

morarsene sempre
Alla fine
di

pi.

novembre

del
la

1808

il

Foscolo

and a Pavia ad occuparvi


quenza, alla quale era stato
l'anno:

cattedra di elo-

nominato in quelIl

ma

vi si trattenne

ben poco.

22 genil

naio del 1809 lesse l'orazione inaugurale,


il

2 e

febbraio fece

le

due prime

lezioni,
la

poi

scapp subito a Milano per istamparvi


sione.

prolu-

Appena

arrivato scriveva all'amico suo Giulio

Montevecchio, col quale aveva preso casa in-

sieme a

Pavia:

Milano non mi trovo pi


di

bene: dicono che l'amore passione


e che l'ambizione ci coglie
i

giovent,

dopo

trent'anni;

ma
le

trent'

anni sono gi fuggiti per me, e non mi che un tesoro di rimembranze;


il

lasciano

ma

rimembranze non bastano. Eppure

mio cuore
affligge

che mi parla sempre e domanda e


non cura
stati
le lodi e gli

si

onori, che pur sono acqui-

lealmente. Io sto freddo e

muto

alle

con-

gratulazioni ed agli
schietti; e solo

applausi

che mi sembrano
bisogno
dentro

sento un fatale

300

Libro Secondo

di

me

d'esser riamato; e questa passione di giosi

vent non stata mai

possente dentro di me,

n mi nutri l'anima di tanta mestizia quanto in


questi ultimi giorni
.
.

Io era in casa

Bignami:

il

carnevale e

la

convalescenza della gentile persona fanno pi

frequente di prima quella conversazione; ed io taciturno, noiato quasi,

ma

col

cuore tutto pieno, e


. .

senza poterlo sfogare con una sola parola

sono

tornato

a casa; e

ti

scrivo

sarei gi partito (da Milano)

con

le

viscere lacese
il

rate

forse,

ma

sarei

certamente partito,
la

dovere di pubblicare

prolusione non mi vin

colasse in questa citt (i).


sto dovere fosse

possibile che que-

una scusa

che, quasi senza avvese'

dersene,

il Il

Foscolo
fatto

trovava a

per restare

Milano?
fin
Il

che

egli

non torn a Pavia

dopo

la

met

d'aprile.

4 marzo
la

fece

una

visita

ai

Giovio a Como,

dopo

quale scriveva

al

Montevecchio:

Io pen-

sava alla tenera giovinetta quando


citai,

scrissi e re-

che alla luna

si

volgono gli occhi vere^

cond della vergine innamorata.

si

volgeranno

(t)

Epistolario,

I,

pag. si 3,

Ugo Foscolo

301

forse

quando nelP
le

estate la luna illuminer

coi
e gli

suoi raggi

onde limpidissime del lago;

occhi suoi lacrimosi mi cercheranno, mi cerche-

ranno dov'

io promisi, dov' ella


-

sperava di rive-

dermi per lungo tempo.

Ed

io la

cercher-

(1).

Ai primi

d" aprile

torn a

Como

e in casa Giovio,
la Cecchino,

e trov (scrive al

Montevecchio)

pi

riservata,

il

padre pi amoroso,

la

madre pi
ch'io

contegnosa;
vidi,

davvero,

soggiunge,

mi

non so come,
si

assai perplesso
e

Parlai

nondimeno

chiaramente,

mi

contenni in

maniera da levare ogni sospetto


ogni lusinga alla giovinetta
-

ai parenti,

ed

il

e a

me

stesso

- (2).

Ma

nelle cose

d'amore l'uomo propone,

e Dio,

giovinetto Dio cieco ed alato, dispone.

Tornato
poeta ebbe

a
il

mezzo
21 di

aprile

Pavia,

il

nostro

maggio una

visita della Biei

gnami.
scrive

Il

Montevecchio non c'era; ed


lettera,

gliene

una

che

vai

bene

una poesia:

Giulio mio, la Lenina stata qui dalla mattina

di

domenica sino

al

dopo pranzo

di lunedi

Sono due giorni ch'io non vivo

se

non aggi-

(1)
1

Epistolario,

I, l,

pag. 220.
pag. 246.

Epistolario,

Libro Secondo

randomi qua
con
in
le

l,

parlando col mio desiderio e


bella persona lasci

memorie che quella

ogni luogo di queste stanze.


della

Oh come

io

mi

compiaccio

mia

buona memoria! Ed

pure in queste amarezze di un qualche conforto:


quasi tutti
i

poeti che

ho

letto

mi mandano un
mio cuore,

verso, e mille pensieri che stanno nel

ma

che nelle loro poesie sono espressi con mag-

giore dolcezza.

Non sono
di

tre giorni eh' io

ti

reci-

tava quel

sonetto del Petrarca, e la

combina-

zione ha fatto piene


quelle parole -

armonia

e di soavit tutte e

ma

di

un'armonia

d'una soavit

che

io

posso sentire e gustare,

ma

che non saprei

n spiegartela n fartela immaginare.


Qui cant dolcemente, Qui Qui
si

vero.

e qui
il

s'

assise,

rivolse,

e qui ritenne

passo,
il

co' begli

occhi mi trafisse

core

Qui disse una parola,


Qui cangi
Notte
e
di'

e qui sorrise,

il

viso: in questi pensier, lasso!


il

tienmi

Signor nostro, Amore.


ti

se tu fossi

con me,
ogni

mostrerei ogni luogo,

ogni

sedia,

stanza,

che

mi pare ancor

bella (i).

La dimora
volta
fu

del Foscolo a Pavia anche questa


a 6
di

breve:

giugno recit l'ultima

(i) Epistolario,

I,

pag. 275.

Ugo Foscolo

303

lezione, e torn subito a

Milano per

finirvi

la

edizione delle opere del Montecuccoli, alla quale

da un pezzo attendeva,

andar poi a passare

una parte

dell'estate e dell'autunno sul lago di

Como
vi
si

col suo Montevecchio. Agli ultimi di giu-

gno and a

Como

per

fissare

l'appartamento;

trattenne ventiquattr'ore, e rivide la tenera


rivide, e si

giovinetta; la
lei

dimenticarono, pare,
ch'egli avea
fatto,

e lui dei chiari discorsi

tre

mesi innanzi, per togliere ogni lusinga


se'

alla

giovinetta e a

stesso; o forse quei discorsi


chiari,

non

erano
al

stati

abbastanza
il

com' era sembrato


Dio cieco ed
cura
de' savi

poeta: o piuttosto

piccioletto
e
si

alato,

che poco

si

sgomenta

propositi umani, volle che, in onta a que' chiari


discorsi,
il

poeta e

la

tenera giovinetta seguitas-

sero la incominciata trama del loro idillio


roso.
Il

amo-

Foscolo torn a Milano col cuore e


e

la testa

in

grande agitazione;

appena tornato

ricev,
(1),

credo, la lettera della Giovio da

me

pubblicata

con

la

quale essa confessandogli di avere, dopo


e

molte resistenze

molti

rifiuti,

accettato final-

(1)
di

Nell'appendice Vili

alla

mia prefazione

alle Poesie

Ugo

Foscolo; Livorno, Vigo, 1882.

304

Libro Secondo

mente

la

proposta di matrimonio fattale da suo


il

padre, gli confermava

suo amore. Sono note-

voli nella lettera questi

due passi

La

mamma
niente

non mi parl mai direttamente

delle

mie future

nozze, m' accorsi per eh' essa non


1

amava

ch'io diventassi la moglie d un ufficiale, molto

meno

d'

un

ufficiale francese; ella

avrebbe amato

moltissimo di mettermi
io,

in casa Belgioioso,
di

ma
tro-

mio caro amico, ho sempre tremato

varmi nel paese ove tu dimori, moglie d'un

altro.
ri-

Mi
fiutai,

proposero degli

altri partiti,

ed io

gli

dicendo che preferiva Vautr (quello pro-

postole dal padre), e lo preferiva infatti per fuggirti,

troppo amabile amico!

Non vedendo

pi

tue lettere al pap, io credeva che tu m' avessi

dimenticata, e forse non amata mai quant'io

ti

aveva amato;
felicit,

sperava di trovare una sorta di


il

unendo

mio destino a quello


;

di

una
t'ho
te-

persona, a cui devo della riconoscenza


riveduto, oh
!

ma

mio amico
e

t'

ho riveduto pi

nero

di

prima,

non ho pi

forze bastanti per

desiderare ancora di fuggirti

se tu sapessi

quanta pena, quanta compassione

mi

facevi iersera vedendoti gli occhi

sempre pieni

Ugo Foscolo

305

di lagrime! Io

non so com' abbia potuto reggermi

in piedi, sentendo la tua

mano

che tremava nella


il

mia

si

fortemente

quante volte ho avuto

pen-

siero di dirti di trovarti in bastione, che dal giar-

dino del prefetto lo potevi, ch'io t'avrei aspettato tutta la notte in giardino;

ma ho
io

avuto

il

coraggio

di

tacertelo, ed

meglio

cosi,

perche'

potr rivederti senza arrossire, ed


rivederti presto: questa speranza

spero di

m'

necessaria.

Ugo

si

sfog al solito scrivendo al suo


:

Monte-

vecchio
di

Io

non sono pi padrone, n memore


di

me

temo

trovarmi solo
:

le

idee

mi

vacil-

lano nel cervello


palpiti

il

cuore mi batte sempre a

immensi

la

penna mi trema

nella

mano

raccorr tutte

le forze

dell'anima. Ci vedremo:
e

saprai tutto; vi

una vittima

un

sacrifizio:
di dirti

saprai tutto,

s'

io

avr tanto vigore

ci

che vorrei tacere a


sta lettera
il

me

stesso (1).

Spedita queil

primo

di luglio, e
all'

7 non ve:

dendo

risposta,

riscrisse

amico

Bada

di

riavere la

mia
ti

lettera ch'io sino

da sabato

i di

questo mese

ho spedita: non vorrei che

fosse

veduta da occhio vivente; v' un'espressione che

(1) Epistolario,
20.

I,

pag. 287.

Chiarini.

306

Libro Secondo

mi
Gli

fa

tremare pel segreto del mio cuore pazzo.

uomini ne riderebbero, ma una persona, una


persona,
se
lo risapesse, avrebbe, e

disgraziata

ingiustamente certo,
apparenti di odiarmi
ste lettere di

ma
(i).

avrebbe mille ragioni

Mentre mandava quesi

fuoco al Montevecchio, non

di-

menticava, scrivendo nello stesso giorno all'Arrivabene, di inviare saluti e parole affettuose alla

Marzia

(2).

Non

difficile

indovinare chi

sia quella di-

sgraziata

persona

che avrebbe avuto mille rail

gioni apparenti di odiare

poeta risapendo quella


lettera
al

espressione

sfuggitagli
i luglio:
il

nella

Monte-

vecchio del

non

diffcile indovinarlo,

chi sappia che

3o di quel mese di luglio la


della

quiete e la
al

fama

Bignami avevano
lei,

chiuse

poeta

le

porte della casa di


alla contessa
la

coni' egli scri;

veva pi tardi

d'Albany

chi sappia

che a quel tempo

passione del

poeta per la
lui,

Bignami

era,

per confessione di
(3).

diventata

ulcera antica

Ai primi

d'

agosto

il

Foscolo and nella ca-

setta sul lago di

Como

ad aspettarvi l'amico suo

(1) Epistolario,

I,

pag. 288.
I,

(2) V. Epistolario,

pag. li

Epistolario, (3)

I,

pag. 542.

Ugo Foscolo

307

Montevecchio
senti
senti,

rivide naturalmente la Giovio, e


l'

che bisognava terminare


credo,

idillio,

perche'

che
le

il

dramma

lo

urgeva. L'aver

chiuso
stava
a

se'

porte di casa Bignami non bal'

guarire
le

ulcera antica:

non bastava

aver

chiuso
Il

porte

quando

bovi erano gi

scappati.

poeta prese pertanto un' eroica risoil

luzione, e
lettera

19 d'agosto scrisse alla


eh' io

Giovio

la

famosa
scritto.

accennai

in

principio

di

questo

Giover riferirne alcuni periodi.


la lettera, ch'io e

un anno oramai, comincia


sopporto
le

angosce del silenzio,


che
ci

eh' io

mi
e

struggo nell'ardore secreto

consuma,

che sar di rimorso e di lagrime a tutta la vita

che mi rimane: un anno


tendo

ch'io

vo combatdi

me

stesso; e forse la
a'

lunga abitudine
all'

sacrificarmi

miei principii e

altrui

pace,

m' avrebbe conceduto


io

di vincermi.

Ma come

potr

obbedire

a'

miei

doveri,

lasciarvi

ad

un

tempo

nel dubbio eh' io vi

ho abbandonata pi

per indifferenza che per virt, e ch'io pago di


ingratitudine
sionato e
si

un cuore che mi
nobile
?

si

mostra
:

si

pasvi

no,

mia cara amica

non

lascer senza

prima accertarvi che voi

siete ria-

mata

amata caldamente, teneramente. La


a'

rico-

noscenza

vostri sentimenti spontanei verso di

308

Libro Secondo

me,
alle

la

piet

per la

vostra giovent, la stima

doti

dell'animo vostro, fanno puri ed ar-

denti, faranno sacri e perpetui quei palpiti,


la vostra bellezza e le vostre grazie

che

mi hanno
vi

eccitato

nel

cuore dal primo giorno che

ho

veduta

E come

chiedervi in moglie,
?

come

sperarvi
e

dai vostri parenti

Io

non sono

nobile,

voi

vedete quanto profonda sia nella vostra famiglia,

quanto
ogni

superstiziosa

invincibile

la

stima a
;

titolo,

a ogni idolo, a ogni

ombra
si

di nobilt
1'

ostacoli insormontabili, a cui

aggiunge

av-

versione di vostro padre e della contessa


principii religiosi e politici.

a'

miei

Rido spesso

delle opialtri

nioni mortali, e talora


e in

le

compiango negli

me

stesso;

ma

in questo caso io

mi vedo

in

obbligo di rispettarle, perche affliggerei persone

che in
felicit,

siffatte

opinioni ripongono tutta la


le

loro

perch parrebbe ch'io non

combat-

tessi

che per mio proprio interesse

Addio: ascoltate per carit

consigli del vostro

misero amico; abbiate piet delle sue preghiere;


obbedite
a' vostri genitori,

che non vorranno mai

farvi infelice; sacrificatevi alla virt, unica conso-

Ugo Foscolo

309

lazione delle disavventure:

le

passioni passano,
;

ma
e se

le

sciagure restano perpetue nella nostra vita


evitarle,

non possiamo

non dobbiamo almeno

esacerbarle co' nostri rimorsi, e renderle irremediabili. Io vi

amer sempre, ve

lo

giuro dal pro-

fondo del cuore, vi amer sino all'estremo sospiro:


e

giuro sull'onor mio di non ammogliarmi, finch


l'

voi non sarete d'altri. Se


se gli accidenti vi

infermit, se gli anni,


la belt e gli

rapiranno

agi; se

sarete padrona di voi, se sarete disgraziata, se vi

mancasse nel mondo un marito, un amico,


ler a voi
tello.
:

io

vo-

io vi

sar marito, padre, amico, fra-

Ma non sarete

mia moglie,

finche'

potr comi

parire vile dinanzi a

me, seduttore verso

vostri

parenti, e crudele con voi.

Addio con

tutta l'anima,

addio

1 ).

Dopo questa

lettera

e lo

scambio

di qualche

altro biglietto, la gentile giovinetta fini col seguire


il

consiglio datole dall'amico suo;


;

si

rassegn e

spos un altro

spos

1'

uomo
di

propostole da suo

padre, col quale visse lungamente felice a Parigi,

dove cambi

il

nome suo

Francesca

in quello

di Antoinelte.

Prima

di tornare a Milano,

il

Foscolo scrisse

il

(i) Epistolario,

I,

pag. 296 e seg.

3 io

labro Secondo

12 ottobre a

Teresa Bignami,

la

suocera della gio-

vine sposa
lano, e

Io devo fra
le

non molto tornare a Mimie povere faccende, ed non devo pi


salire

fermarmivi per

esiliarmi da casa Bignami;


in

una casa dove ad ogni scalino dovr temere


altri, e di

d'inquietare gli

umiliare
1

me

stesso: ri-

spetto le altrui ragioni, e

io

ho pur qualche

colpa, nell'allontanarmi dalle persone che


care,

mi sono

pago

pagher per gran tempo un'amaris

sima pena

(i).

Se

il

poeta mantenesse
in casa
di

il

propolo

sito fatto, di

non andare pi
parte

Bignami,

vedremo

nella seconda

questo

scritto.

Per ora permesso

ai lettori di

dubitarne.

II

Il 5

agosto 1812,

Ugo Foscolo
fra

scriveva al conte

Giambattista Giovio che


partito per la

pochi giorni sarebbe


(2).

Toscana, a cercarvi salute


di febbri.

Era da
che

qualche tempo malato

Ma
il

la lettera

appena arrivato a Firenze


in risposta

scrisse alla

Bignami,

ad una

di lei ricevuta

giorno stesso

dell'arrivo,

mi

fa

dubitare che ci che lo indus-

( 1 )

Epistolario,

I, I,

pag. 315.
pag. 413.

(2) Epistolario,

go Foscolo

se a fuggir

da Milano non fossero

le

febbri sol-

tanto.

necessario,

amica mia,

le

rispondeva

egli,

necessario che tu spenga dentro al

tuo cuore
la

qualunque

scintilla d'

amore, e perfino

dolce e

falsa illusione

che l'amor nostro possa contenersi


e

nei limiti di

una religiosa donna

cauta amicizia.

tu

devi, tu puoi, tu,

di spiriti religiosi e deli-

catissimi, saprai vincerti; t'aiuter a vincerti io


stesso.
io

Ma non

v' oggimai che un unico mezzo;

tremo gemendo nel suggerirtelo,

ma

non

v'

che l'unico mezzo di non vederci mai pi

(i).

Se anche, dopo
del 1809,
il

il

ritorno da

Como

nell'ottobre

poeta non and pi in casa della Bidi lui per lei, di lei

gnami, certo che l'amore


per
lui,

non solo non

si

raffredd,
gli

ma

s'infiamm

pi che mai; certo che


vedersi, e
si

amanti seguitarono a

scrissero; certo che

prima

della par-

tenza del poeta per Firenze doveva essere nato


dal loro

amore qualche cosa

di grave, di

tanto

grave, da aver forse non poca parte nella risolu-

zione del Foscolo di abbandonare Milano.

Per qual via

due amanti arrivassero, nello

spazio di circa tre anni, al punto eh' egli dovesse


allontanarsi da
lei e

pregarla di spenger dentro


421.

al

(1)

Epistolario, I, pag.

312

Libro Secondo

suo cuore ogni

scintilla

d'amore,

io

non

lo so:

ma da alcune lettere
in

del Foscolo, che credo scritte


il

quel tempo, mi par di capire che

sentimento

del dovere e la lotta fra questo e l'amore trava-

gliavano pi la donna che

il

poeta.

Quando

essa

tentava di fare a s schermo della virt contro la


passione di lui e protestava che non sarebbe sua,
e gli
ficile

rammentava

loro patti (patti che non


si

dif-

indovinare), egli talvolta irritavasi e

ribel-

lava. In

una

di coteste occasioni ch'essa gli

rammie

mentava que' patti


lettere;
Il

e scriveva:

Leggete

le

dicono tutte

lo stesso, egli le rispose:

mio

biglietto dettato dall'amore, dalla lealt

e dal rispetto

non meritava quest'asciutto Hai protestato che non

e ripe-

tuto consiglio.
te

sarai
i

mia;
miei

l'ho promesso,

ma

vuoi anche soffocare


ti

gemiti?

Tu

desideri ch'io

scriva, e poi m'accusi


e

ch'io t'abbia descritta la

mia passione,
t'

mi

dui

una

risposta,

come

s'

io

avessi scritto coli' in-

tenzione di un seduttore: tu vuoi ch'io t'ami,


e

mi contendi

le

speranze e

le illusioni, e

im-

poni dei limiti a una passione eh' io vorrei distruggere, distruggendomi:


stato

sia:

ma

questo

degno almeno

di piet: e tu invece, per

tutto conforto, per tutta ricompensa, per tutto ri-

medio, mi richiami freddamente a que' patti: non

Ugo Foscolo

li

violer;

ma

voglio esserne persuaso dall'amor


virt.

tuo, e

non mai tiranneggiato dalla tua

Tu
del

dovevi aspettarti ogni sacrifcio dalla nobilt

mio amore; ma non dettarmi


e

leggi assolute

non ne impongo

non ne

ricevo. Le tue poal

che parole di domenica sera presso

caminetto
esagero;

m'hanno

laceratole viscere: non


e

te lo

grondano sangue

gronderanno: pure

te

ne rinneces-

grazio, ringraziane

anche

te

stessa: era

sario questo colpo crudele perch'io


tutte le

raccogliessi

mie

forze,

mi confermassi

nelle

mie pre-

dizioni e formassi la salda decisione di liberarti


di

me.

Anch' io ho scritto
Da

sempre
credi

lo stesso, ri-

petendoti in mille modi:

Tu

d'amarmi

illudi.
ti

quella tua breve risposta m'accorgo

che

sei

ravveduta

insensibilmente;

bench

tuoi sguardi mi mostrino amore; o amica mia! tu temi di


ginazione....

rompermi
e

il

velo.

Credimi,

Pimmati

non so qual
filo

altro

sentimento

tengono con debolissimo


sciolgo:
ti

legata a

me:

te

ne
e

risparmio

la

pena della confessione;


perche'
ti

non devi avere rimorsi,


riamente ingannata
:

sei involonta:

la colpa

mia

m' apro

io

medesimo

gli

occhi alla funerea luce del disin-

ganno: sar vittima dimenticata;

ma non

sar

schiavo deluso: sar carnefice e vittima di

me

14

Libro Secondo

stesso.

non mi conosci tu da

tanti anni, da

sapere eh' io non posso amare debolmente n ser-

vilmente? non vedevi che una passione ostina-

tamente repressa scoppia tremenda


de' lunghi ostacoli; e se viene

e si

vendica

prima

allettata e

poscia inasprita, diventa delirante e mortale?


lo ridico: la colpa

Ma

mia

tutta:

tu

ti

sei fidata

nella forza dell'

anima mia, nell'esperienza lun-

ghissima
avevi a
cato da
i

della
tutti
i

mia tenerezza,
miei
sacrifici.

ne' diritti che

Io

mi sono acceche solo

me

medesimo;

io

che vedeva

caratteri forti sentono le forti passioni, resistono

fino all'estremo, e per questo

appunto soccom-

bono senza risorgere

ed ho sentito, ed ora assai


le

pi, che l'amore strascina

anime pi

alte ai

lamenti, e le menti pi vigorose al delirio.

Camlo co-

mino, credimi, su l'orlo del precipizio:

ma

nosco pur tanto da preservartene


verso
sia

la fiducia

tua

me non
il

sar tutta delusa; ogni sciagura


si

mia;

dolore

consumer, o mi consumer;
tu sarai fuor di pericolo, ed io

poi tutt'uno:

ma

almeno senza rimorsi.

Non

ti

verr innanzi se
stato servile;

non raramente
le

e sforzato dal

mio

tue lettere saranno distrutte;


i

mi rimarranno

soltanto

tuoi pochi capelli uniti a quelli di G....

Ugo Foscolo

ed a'miei: nessuno
gi disposti in
sepolti

li

conoscerebbe: e poi

li

ho

modo

che sieno necessariamente

(non ora) con me.

verr presto

il

giorno

ch'io, sostenendo la vita mia, sar

ad ogni
:

modo
mi
di-

come morto

per

te.

Tu

amerai

n temerai

nemmeno

rimproveri, del mio silenzio;

menticherai, e lo desidero ardentemente, perch


il

tuo cuore affettuoso


ti

e leale

ricordandoti

il

nome

mio

darebbe de' rimorsi amari ed ingiusti. Che


i

colpa hai tu se
l'

tuoi doveri sono maggiori del-

amor
tu

tuo, e

s'io

t'amo pi che non deggio?

Ma
non
che

un giorno amerai.

Di

me

pi oggimai

pigliarti pensiero: t'ho gi detto altra volta


la

mia passione era come una


i

di quelle

lam-

pade che stanno sopra

sepolcri

ardono

di luce

vana

e funerea: e desidero

che

si

estingua nel-

l'oscurit,

nella

solitudine e nell' oblio. Morrei


farti

oggi, se potessi

dimenticare
il

quanto

t'

ho

amato, e

farti

ignorare perfino

luogo della mia

sepoltura.

te

Ma

che pr questo lungo scrivere


e

ormai?

non pu parere che esagerato:

non m'hai tu per

quell'altro biglietto accusato

indirettamente da seduttore?

Ah

L...;
il

questa

non

ferita,

veleno che

stilla

sopra

mio cuore;
altre

eppure mi conosci da tanto tempo!

Tu avevi

3 16

Libro Secondo

vie da calmarmi, ed

hai

preferita

quella della

disperazione.

Ma

sia cosi (i).

Ma
tono.

il

poeta non dur molto a scrivere su questo


un'altra lettera della Bignami che diceva:

Potrei mai credere d'essere da voi veramente

amata, se mi esponeste a farmi dimenticare....


doveri?

miei

egli rispose: Ripetetele (queste parole)

in tutte le altre lettere,

non

ripetetele, sar

sem-

pre tutt'uno; sono gi scolpite incancellabilmente

dentro di me, e l'anima mia


e

le

ripete a s stessa,

non penser a

voi,

che queste parole non mi

siano soggetto perpetuo di

amare meditazioni.

al

consiglio che essa gli dava, di


lei,

amare qual

che altra donna e dimenticar

replicava:

Co-

mandate

in ci
:

che vi spetta, e sarete religiosa-

mente obbedita
in caso

ma

al

mio cuore non


ne'

siete
v'

pi

di
ne'

dar

consigli

leggi:

non

pi
la

ragione
forza di

prudenza umana che

lo diriga,

ma

una funesta
la

necessit (2).
fu
il

L'

amore per
amore

Bignami

pi profondo e

costante

del Foscolo, fu quello che agit

pi a lungo e pi forte

l'animo di

lui;

bench

(1)

(2)

Da Da

lettere inedite.

un frammento

di

lettera inedito.

Ugo Foscolo

317

egli

portasse sempre con s


ai

una grande medi-

cina

mali d'amore, l'amore. Nel viaggio da


si

Milano a Firenze
la Martinetti, la

ferm a Bologna, ove rivide


Cornelia,
tanto

bella e fredda

cara al

Canova

e ai pi illustri

uomini del tempo


lei

suo;

la rivide nel

suo bel giardino, fece con

chi sa che pazzi e malinconici e galanti discorsi,


dei quali ella rise; ed appena arrivato a Firenze
le scrisse

in

breve tempo
:

sei lettere.

In

una

di esse le dice

Tutto quello che pu

essermi
fuggirete

caro mi

s'accosta e

mi sfugge;

e voi

dinanzi a

me

di tal guisa che io po-

veretto, malinconico e infermo,

non potr rag-

giungervi mai; e vi vedr pur sempre. Vi dilungherete da


e

me

e vi

vedr; vi perder dagli occhi,


vi

pur

gli

occhi

miei

vedranno. Davvero vi

voglio bene, davvero; e


vervi, cerco di

quando penso
solo, e

di

scri-

rimanermi tutto

chiudo
accioc-

a chiave la porta, e spalanco

le finestre,

ch la vista amena de'


sorge dall'Arno
lettera

colli e

l'aria vivace

che

mi

rallegri alquanto,

onde

la

mia
da
si

non m'esca dall'animo

tutta

tinta

quella

melanconia taciturna, che da pi di


e

corica a letto

s'alza all'alba con me.

so

perch.

Dio

t'aiuti,

povero Foscolo! se tu

fossi

3 18

Libro Secondo

qui mia, forse


reno:

il

cielo

mi parrebbe

assai pi se-

ma

chi sa forse? - (i)

presso a poco
Sigi(la

nello stesso

tempo scriveva all'amico suo

smondo Trecbi:
Bignami),

Dopo

la

pallida
le

persona

la Martinetti

che

somiglia

moltis-

simo

la

donna pi pericolosa
il

eh' io m'abbia

veduto mai. Se non che

suo troppo buon umore con una


certa

e quegli occhi che dardeggiano

prepotenza sono

men da

temersi da noi
Isabella

(2).

Firenze

il

poeta rivide
gli

Roncionil'

Bartolommei, quella che


copo Ortis; rivide
fidente de' loro
la

aveva ispirato

Ja-

Nencini, ch'era stata con-

amori giovanili; conobbe Quirina


gentile,

Magiotti, la
la

Donna

che

fu poi

sempre
;

sua pi calda

e sincera e

generosa amica

vide in casa della contessa d'Albany, alle cui conversazioni era assiduo, molte altre belle signore,
e fra
le le

molte un'altera e disdegnosa, di quelle

come

amava
vinse

il

Petrarca, che (scrive

al

Cico-

gnara)
tanti,
lati

lo

(3).

Quando non

s'

merca-

soldati,

preti,

n ambiziosi, n gelettera
al

(scriveva

nella

citata

Trechi),

(1) Epistolario, (2) Lettere di

I,

pag. 433.
Parigi,

Ugo Foscolo a Sigismondo Trechi;


ir.

Lacroix,

1875; pag.
I,

(3) Epistolario,

pag. 405.

Ugo Foscolo

319

quando
pu
vero
e
si

s'

ha un'anima, mio caro Trechi, non

si

vivere, no, senza


i

un amico che

stimi dav-

tuoi pregi, che compatisca le tue debolezze


ti

che

consigli ne' dubbi casi della vita;

non
ti

pu vivere senza una donna che t'ami, che

inondi l'anima di volutt con un bacio, che

ali

menti nel cuore

la

generosit e la
le

dolcezza.

Ma
le

le

Grafie fiorentine, com'ei

chiamava,
fargli

distrazioni e gli studi


la

non bastarono a
il

dimenticare

Bignami,

cui pensiero lo assa-

liva spesso dolorosamente.

Ch'

egli era

andato a

Firenze per distaccarsi

da

lei,

apparisce anche

da queste parole di un'altra

lettera al

Trechi:

All' altra signora pallida

rispondi in

mio

nome,

che non sono sicuro se ci rivedremo;


-

ma

sono sicurissimo che non ci guarderemo.


-

Dille:

che ornai, ornai da gran tempo

io

ho

co-

perta la sua divina bellezza di un velo nero; e

che se talvolta ritorno a guardarla, rifuggo

triste

ed atterrito da un certo ribrezzo, e da un'avversione mista di piet - da una perturbazione in-

somma
vere
(1).

che io sento,

che non posso descri-

La sventura

una

terribile

alleata d'amore.

(1) Lettere al Trechi, pag. 21-22.

32o

Libro Secondo

Nella seconda met di maggio del i8i3


riceve' la notizia

il

Foscolo
fallita,

che

la

Ditta

Bignami era

che uno dei

fratelli,

non potendo sopportare

la

rovina della famiglia,


balen, credo, nella
a Milano.
Il

si

era ucciso. Fin d' allora


del poeta di tornare

mente

io giugno scriveva al Trechi:


sai,

Io

ho una ragione capitale che tu non

per

cui

almeno per ora non voglio


a

ne'

sosterrei di stare

dimora a Milano;
gran parte del

tornando nel regno, mi verno


a

star

Venezia,

la

state in

campagna

sul lago o altrove. Vedi


di l

dunque
le

ch'io sto pi di
babilit:

qua che

con tutte

pro-

potrebbe

nondimeno anche
di

darsi che

un unico impulso

un attimo mi

facesse

pas-

sar l'Appennino (i).

Queste ultime parole sono per

me

molto

signifi-

canti; e credo di non sbagliare leggendo in esse la

cagione riposta ed intima della partenza del poeta.


Parti ai

24

di luglio;

e,

congedandosi per lettera


:

dall' Albany, le

scriveva
i

Parto per {sventare

le

trame dei malevoli,


la

quali hanno fatto proibire


di

Ricciarda,

accusandola

essere una

tela

tessuta d' impolitica e di atrocit (2).

Che

nella

(1) Lettere al

Trechi, pag. 37.


I,

(2) V. Epistolario,

pag. 478.

Ugo Foscolo

32

sua partenza
questo
credo,

e'

entrasse per qualche cosa anche

fatto, probabile;

ma

suppergi c'entr,
della

come

nel 1809 la

stampa

Orazione

inaugurale era cagione del suo rimanere lontano

da Pavia.

Appena

arrivato a Milano, scrisse

all'Albany

che la Ricciarda era stata ribenedetta, e che sa-

rebbe tornato a Firenze a sacrificare


alle

alle

Muse,

Grafie

e a lei (1)

qualche giorno dopo:


al-

Le Grazie lombarde non mi compensano:


di

cune

quelle

alle

quali

io

aveva nel dolce

tempo

della

prima

etade sacrificato, o sono in

campagna o

villeggiano a

Monza; ed una

sola

che in Milano mi piangerebbe, e sola m'amerebbe

vecchio e

infelice, la

vedo, vero, ogni giorno,

ma
e

per doverla

compiangere amarissimamente,
sterminata-

non

potere, quand' anche io fossi


ricco, aiutarla (2).

mente

Parlando del proposito


di

fatto dal
in casa

poeta nel 1809

non mettere pi piede

Bignami, ave-

vamo
la

ragione di dubitare eh' egli avrebbe avuto

forza di mantenerlo.

Questo rivedersi ogni giorno non giov certo

(1) Epistolario, I, pag.

482.

(2) Epistolario,
21.

I,

pag. 490.

Chiarini.

Libro Secondo

a smorzare la passione de' due amanti

infelici.

Agli

ultimi

d'

agosto la
il

Bignami and a Erba


Foscolo
le

sul lago di Pusiano, e

corse dietro

anche

l;

ma quando
(i).

lui arriv, lei


egli,

era gi tor-

nata a Milano

Intanto

sollecitato dalla

Magiotti a tornare a Firenze,

le

scriveva

Sono

andato ramingo nudici giorni pei

laghi, e

per

un affare venutomi fra capo


tenermi di pi
si

e collo dovr tratdi


fatta

(2).

Pure

ai

primi
e,

settembre
il

dispose a tornare in Toscana:

io

una

visita di poche ore alla sua famiglia in Venezia,


1'

11, credo, parti per

Bologna, ove

si

trattenne

alcuni giorni per la recita della Ricciarda.


Il

12

scriveva

da Bologna all'Albany:
partita per Parigi....
a visitare
il

La
vo-

bella Martinetti

Ho

luto ad ogni

modo andare
casa
della

bel giar;

dino e

la

bella

bella

Martinetti

bench' io

non

abbia

sospirato - oggimai

non

posso sospirare che per una sola persona - m'


tuttavia rincresciuto di
gentile.

non trovarvi

la

persona

L'altra

Grafia, di cui ella mi dice


in

che

sarebbe

venuta

Bologna, non
ci

s'

per
io

anche lasciata vedere, n

verr, a

quanto

(1) V. Epistolario,

I,

pag. 502.
pag. 499.

(2) V. Epistolario,

I,

Ujjo Foscolo

323

credo:

ma quand'anche mi
galanteria.

capitasse innanzi,

non mi farebbe n bene n male; non ho l'animo


disposto alla
uscir
di

Poche

ore prima di

Milano ebbi un lungo colloquio con

la B., e

mi parve pi
(1).

infelice e pi virtuosa

pi bella che mai

Nello stesso giorno

scri-

veva

alla

Bignami:

S'io dovessi e potessi scri-

vervi tutte le idee che

mi sono passate per

la

mente dalle ore 3 di venerd scorso sino a questo

momento,

io riempirei venti fogli;

e vi lascerei

nondimeno

nella stessa confusione in cui


si

mi trovo
sem-

dentro di me. Gli occhi miei


pre e
si

sono

fissati

fissano in quel pezzetto di carta scritta

col lapis: o

amica mia; voi non

ci

avete scritto

scritta

che una sola parola -piangere, -

ma

da

voi,

mentr'io vedeva

gli

occhi vostri ba-

gnati di pianto.

in
in

questo unico

pensiero
io

che voi piangerete, e


vostro amico,

questo rimorso che

vostro unico

consolatore, vostro
fatale e colpe-

confidente, che io vi

ho per mia

vole imprudenza sforzata alle lacrime, in questo

rimorso finiscono, in questo rimorso ricominciano


tutte le

mie

triste
si

meditazioni sopra una pas-

sione che, se non

poteva impedirle di nascere,

(1) Epistolario,

I,

pag. 507.

324

Libro Secondo

doveva si

io

doveva, io solo doveva - vietare


:

che non

palesasse mai, mai

ed

io stesso

pi

volte, molti

anni addietro, rimproverava, sdegnato


i

contro di me,

sentimenti che secretamente na:

scevano nel mio cuore


scale

io

nel salire
la

le

vostre
in

cercava di comporre

mia fsonomia

modo che non


rola d'amore.
volte, e

poteste avvedervene, e

mi

sarei

soffocato anzich' lasciarmi uscire di bocca la pa-

Vi ricordate voi quante

quante

con che fermo aspetto

vi dissi di' io

non

ho mai sentito amore per voi?

vi
le

confesso

anche che quelle parole mi erano

pi

volte

dettate dalla certezza in cui io era, che voi

non

mi avreste amato mai


anche
la

e dal
s'

timore di perdere

vostra stima,

io avessi

mostrata una

amicizia cosi interessata.

Ma
se

oggimai non posso,

non potr pi parlarvi

non d'amore; verr


eh' io

tempo che

voi

non vorrete pi udirmi,


;

non potr pi vedervi


prego
il

e voi forse, voi stessa - e

cielo

che in quel

momento mi
mio

tolga la

vita - voi stessa vi pentirete de' vostri sentimenti;

m'udrete freddamente;
le

il

silenzio v'adirer;

mie lacrime

vi

saranno noiose -

ma

non

te-

mete, non v'annoier mai; e se non ho saputo


celarvi
il

mio amore, sapr da

perche' questo diil

pende

in tutto

me

- sapr trovare

modo

che

Ugo Foscolo

325

non

vi

sembri spregevole. Questo,


deliri

in tanti ragio-

namenti e

sullo

stato

del

nostro cuore,

questo timore che voi non possiate amarmi,


il

tormento pi amaro della mia


te stessa,

vita.

Doman-

dalo a

rendi conto esatto alla tua ra-

gione, se la
le

tua

tenerezza

le

tue lacrime, e

tue parole

derivavano dall'amore;
si

credimi:
gravolta

l'amore spesso

nasconde sotto

la piet, la

titudine, e l'amicizia;

ma

qualche altra

succede che

si

piglia per

amore que' sentimenti

che non sono amore davvero. Io non esigo nes-

suna dichiarazione

(1).
il

Due
che
di
gli

giorni dopo,

i4,

rispondendo all'Albany,

dava notizie

forse

poco lusinghiere per

lui

una

bella signora fiorentina (credo la Nencini,


lui

forse

da

corteggiata

in

Firenze),

scriveva:
pi

Se

la bella

persona ha trovato cavaliere


di

fedele di gnit,

me, non posso, senza rimorso


sia

mali-

presupporre ch'egli

pi felice; n io
la

per altro lo invidierei, tanto pi ch'egli per

sua fedelt
io

lo

meriterebbe assai pi di me.

Ed

posso forse essere fortunato per pochi giorni,

(1) Lettere
l'

di

Ugo Foscolo a Maddalena


alla

B'Ignavi

i,

Del-

appendice Vili

mia prefazione

alle

Poesie del Fo-

scolo, ed. Vigo, Livorno,

1882; pag. CCXXII.

326
IJ/''o

Secondo

ma oramai non
se

potrei essere pi felice

se

non
poter

con una sola donna, che sola

io sento di

amare, e sono anzi forzato ad amarla per non


so

quale

fatalit

perche'

spesso e lungamente

ripenso a questa mia disgraziata passione, e mi

convinco
n

che

non c'entra n l'amor proprio,


n
la gelosia,
altri

la galanteria,

la

vanit, n

la sensualit,

n tanti

ingredienti

che for-

mano
bel

quasi sempre la
nobilitata dal

universale passione del

mondo
non

nome d'amore.

Forse,

s'io

l'avessi

riveduta-

e in quello stato

forse avrei corsi de'

nuovi pencoli;

ma

ora sto
star

cosi male, che nessun' altra

donna pu farmi

peggio, ed tal piaga che ricusa balsamo d'altra

mano
tire
;

n so come io mi

sia deliberato

a par-

n so

se potr stare, bench'io lo tenter


forza,

con ogni mia


altri

star
(1).

immobile per alcuni

mesi a Firenze

III

Tornato
ci

a Firenze

dopo

il

20 settembre

(2),

stette,

ma come
I,

sulle spine,

men

di

due mesi.

(1) Epistolario,

pag. 509.

(2) Vedi Lettere inedite di

Ugo Foscolo,

Torino, Vac-

enrino,

1S73: pag. 63.

Ugo Foscolo

327

Egli era, lo scrisse

alla

Magiotti, funestamente

impazzito
bre;
di
il

(1).

Riparti dopo la met di

novemarrivava

18

era a

Bologna
(3).

(2);

il

19

nuovo a Milano

Arrivato....

quel
lui

che

avvenne sentiamolo

raccontare

da

stesso,

come

lo scriveva circa

un mese dopo

all'Albany.

Appena

giunsi, fui bene


tre

accolto anche dal


il

marito;
figliuoli

ma

giorni

dopo

maggiore dei
prodotta
dai

ebbe una specie

d' apoplessia,

da

una febbre

perniciosa,

mal conosciuta

medici che dissanguarono quell'innocente creatura a salassi, e lo consegnarono ai preti; se non

che

lo salv la disperazione, e fu

con contrario
e a china,

metodo

trattato ad oppio, a

muschio

per sottrattivi,

per cui quel ragazzo riebbe la

parola dopo quattro giorni di letargo, e la vita;

ed era convalescente.
notti

S'

immagini
e

ella allora

che

amare, che lunghe veglie

quante lagrime

disperate

Ma come
e
il

fu guarito

il

ragazzo, la

mia

assiduit
in

vedere eh' io per ora stava risolutamente

(1) V. Epistolario,

I, I,

pag. 576. pag. 524.

(2) V. Epistolario,
(3) Vedi
F,

et ter e inedite

ec, pag. 66.

32S

Libro Secondo

Milano e presso

il

ministero della guerra,

infe-

roci l'antica gelosia del marito, che divenne

muto,
essere

vigilante ed in

uno

stato deplorabile

l'

egli infelicissimo, e

imprigionato volontariamente
i

in

casa

della
i

sua passata calamit, accrebbe


e le

rimorsi,

doveri

angosce della moglie:

con

le
s'

angosce un tremendo terrore perpetuo,

che

immedicabilmente innestato nelle mie

viscere.
tito

Ho dunque
al

dovuto rassegnarmi
di

al pario

di

non rivederla mai pi:


marito,

parlare

stesso

che

mi

confess la sua fatai

gelosia, e

parve acquetato dalla mia promessa di

esiliarmi

perpetuamente dalla casa per ora,


potr, dalla
citt

poscia,
ter (i).

quando

eh' egli

abi-

Pochi giorni innanzi di mandare questa


tere all'Albany,

let-

avea scritto

alla

Bignami

la let-

tera che leggesi a pagina 532 del


stolario sotto
riferire

il

volume

dell'epi-

numero
frasi.

871, della quale baster

alcune
vedi,

Tu

mia cara amica,

a che precipizio

tu sei; e

non poteva allontanarcene


di

se

non

il

primo partito

non rivederci mai pi.


io

Tu

non

potevi reggere a questo pensiero; ed

che do-

(1) Epistolario,

I,

pag. 543.

Uj'o Foscolo

329

veva pur essere pi previdente


avere piet di noi
due,
io

e pi saldo

ed
la-

stesso

mi sono

sciato trascinare dal

mio cuore,
altro,

illuso dalla spe-

ranza di piangere, se non

vicino a

te.

Ma

anche
dirti;

le

lagrime pi innocenti possono oggi trafarti

ed un solo mio sguardo pu

irrevo-

cabilmente infelice

bisogna pur

eh' io

ti
il

perda. Rester orribile

la

mia

vita,

ma

senza

rimorso

d' averti

turbata

nel tuo santuario domestico, ove tu devi prepa-

rare a

te

stessa

una tranquilla

felicit

Per salvarti da' terrori domestici, e per non offendere


i

tuoi principii,

ho risoluto

di

strapparmi

dalle viscere

anche
ricorro

la

speranza di godere della


al

tua vista,

gemendo
te,

primo

partito,

all'unico salutare per

di esiliarmi perpetua-

mente da

1'

te (1).

Questa

lettera,
ti

soggiungeva
:

il

poeta, sar forse


fu.
Il

ultima che

scrivo
i

ma non

carteggio

seguit ancora fra


e appassionato,

due amanti, tanto pi caldo,

quanto pi disperato. Ecco da


Foscolo,
ch'io credo della se-

dna

lettera

del

(1)

Epistolario,

I.

pag.

532

&eg.

3^o

Libre secondo

conda met del gennaio i8i4, alcune

frasi,

che

basteranno a dare una idea dello stato dell'animo


suo;
il

quale pu argomentarsi anche da queste pa-

role ch'egli scriveva al

Fabre

il

24 gennaio

Omero

stesso redivivo, n Sofocle, se

pur venis-

sero a esortarmi al lavoro e ad ispirarmi, potreb-

bero indurmi a pigliare


e la poesia,

la

penna
il

-(i).

L'arte

ch'erano pure

suo

pi antico e

pi forte e costante amore, erano fatte impotenti


a distrarlo dalla sua infelice passione.

Non

posso parlarti, n darti un bacio,

sentirti dire

che mi ami;

ti

scrivo:

ma come
cosa dirti

darti senza pericolo le

mie lettere?

Ma

che tu non sappia? che non


fligga?

t'agiti e

non

t'af-

Ho
il

scritto

una lunghissima

lettera; e nel

rileggerla
rito della

giorno dopo, mi sono

io stesso atter-

tempesta che potrebbe ridestare dentro


di dartela.

di te, e

non ho avuto cuore


di
tu,

Tu

brami pur

vedermi;

ma

come, in nome
t'illudi;
le

del cielo!

mia cara amica,

forse la tua passione diversa

da tutte

umane

passioni d'amore, e certamente diversa assai dalla

mia.

La mia m'arde sempre


quand'io
ti

co' suoi

desideri!;
altri le

ma

vedo, e tu devi dare ad

(i) Epistolario,

I,

p.

558.

Ugo

Fost olo

331

tue carezze, e

tuoi labbri, e

tuoi occhi, e

il

tuo seno e tutte le tue bellezze


funeste e pi belle quanto pi
allora tutti
i

mi assediano pi

mi sono

vietate,

miei desiderii violentati dalla simu-

lazione, disperati nel terrore e delusi,

mi

avvili-

scono e mi divorano.
fuggire sotterra
:

ti

fuggo, e vorrei poterti


a'

1'

occasione

giorni passati

mi

ha condotto spesso davanti a


star saldo nel

te;

ma

io, se

potessi

mio lungo proponimento, mi

allon-

tanerei per
eh' io
ti

sempre

dagli occhi tuoi. Bisogna pur

perda.

eh' io
io
:

perda ogni piacere della vita con


ti

te,

pur eh'
strarmi

lasci alfine tranquilla.

Cerco

di di-

non ho pi occhi, n sentimento per


la

nessuna donna; tu m'hai spento perfino

dolce

memoria

di quelle

che m'avevano amato altre


1'

volte: vorrei poterti essere infedele con

imma-

ginazione e col corpo per domare questo furore

che pu comunicarsi anche a

te,

o destarti una
posso.

dolorosa ed inutile compassione.


te sola,
te;
ti

Non

Vedo

bacio e t'abbraccio e spiro sopra di


la

invoco dal cielo un tuo lungo bacio e


(1).

morte. Ecc. ecc.

La lunghissima

lettera

che

il

Foscolo non ebbe

(1)

Da

lettere

inedite.

332

Libro Secondo

cuore di dare alla donna amata, atterrito dalla tempesta che avrebbe potuto ridestare in
lei,

comin-

ciava cosi:

Ier

sera nel tuo

palco io leggeva

sul tuo volto tutta l'affettuosa tenerezza che sostiene

ancor

la

mia

vita: l'infermo

mio cuore

ne dubitava talvolta;
hai data, e che

ma

la

consolazione che mi
tanta piet,

mi davi poc'anzi con

mi

fa

sempre tremare

de' tuoi pericoli.


di

Tu
bacio,

brami ognor

vedermi;
parlarti,
ti

ma

veden-

domi senza ch'io possa


ne'

n darti pi un

sentirti dire
e

che
ti

amo,

dover dis-

simulare

temere, non

senti pi

sempre dee pi afle

lusa nelle tue speranze e pi


flitta?...
"

ardente

(i)

seguita dicendo in gran parte


lettera,

cose

ripetute

nell' altra

di

cui ho
;

riportato

innanzi

un pi lungo frammento

dal quale

mi

pare

si

capisca abbastanza che anche quella sela

conda versione non era molto alta a mettere

calma nell'anima della Bignami.


pretendere ragionevolezza in un
rato
?

Ma

chi oserebbe

uomo innamoun

Fra

le

carte foscoliane di casa Martelli c'


di

frammento
un'amica

minuta
dal

di

lettera
si

del

poeta ad

sua,

quale

ricava

che

la Bi-

(l

Da

lettere inedite

Ugo Foscelo

333

gnam

tent di

uccidersi

per amore di

lui.

La

Magiotti, scrivendone] 1839 al Mazzini, gli

mand

copia di quel frammento, richiestole dal Mazzini


stesso.

Quando
non ho

avvenisse

quel

tentativo di sui-

cidio

dati sufficienti per affermarlo, anzi


letri-

neppure per congetturarlo. Si capisce dalle


tere del Foscolo

che

in quelle della

Bignami
si

correva spesso

il

pensiero di morire;

capisce

dai savi ragionamenti ch'egli faceva per dissuaderla;

ma uno
:

di quei savi

ragionamenti ha pur
io,

questa coda

Ti confesso che

e in

questi

giorni sovente, e talvolta


sati,

anche ne' tempi pastuo.

ho vagheggiato

la

morte per amor

mi pareva
spirito a

di vederti vicina a rendere


io frattanto

l'ultimo

Dio; ed

non poteva acco;

starmi

al

tuo letto n inoltrarmi nella tua stanza


il

ma

io

aspettava di vedere

luogo dove ogni


il

uomo

avrebbe abbandonato per sempre


e allora,

tuo esa-

nime corpo,

mentre tu non potevi pi

vedermi n udirmi, allora venivo sotterra ad abbracciarti....

Tu

sorriderai forse ed avrai piet di

me, udendo questo nuovo delirio;


te

ma

perdonami,

ne supplico: non v' delirio d'uomo innamo-

rato ch'io oggimai

non

lo provi (1).

(1)

Da un frammento

di lettera inedito.

334

Libro Secondo

II

io febbraio i8i4
Il

il

Foscolo scriveva all'Al-

bany:

laccio rotto;

ma

io

ed un'altra per-

sona siamo pur sempre schiavi, e schiavi della

sventura

(i).

Ma

l'anno di poi, quando

il

poeta

and esule

dall'Italia, la

tempesta nel cuore dei


a cal-

due amanti avea, credo, gi cominciato


marsi.

Fra

le

carte del Foscolo nella Labronica c'


lettera

una sola

della

Bignami, una
se',

lettera

di

nessuna importanza in
noi; perche'
ci

ma

importante per
il

mostra che anche da Londra


la

poeta serb amichevoli relazioni con


della

famiglia
ispir al-

donna che tanto am,

che

gli

cuni dei

versi pi belli e pi
i

appassionati,

se

non
In

forse

soli appassionati, del

carme Le Grafie.
debolezze e basquesta lotta fra
costanza in una

mezzo

alle tante miserie, e


lo

sezze

umane,
il

spettacolo

di

l'amore e

dovere, di questa

passione sfortunata e disperata, ha qualche cosa


di nobile e di grande, che dee riconciliarci
la nostra

con

povera

razza pi ricca di vizi che di


al

virt,

che dee farci perdonare


i

poeta e alla
essi

donna sua
fossero.

loro

traviamenti,

qualunque

Le anime grandi non sono

quelle che

i)

Epistolario,

I,

p.

570.

Uj'o Foscolo

335

non errano mai

(di siffatte io

non ne conosco);

sono quelle che sentono e sanno espiare forte-

mente e nobilmente

loro errori

ed a queste,

quando

io

ne incontro qualcuna, nel segreto del

mio cuore m'inchino.

GIOSU CARDUCCI

-_.

Chiarini

(AVANTI

IL

869)

primo giugno dell'anno passato

868;

usciva dalla tipografa Niccolai e Quarteroni in Pistoia


sto titolo
:

un

libro di versi

con queIn

Levia grama, di Enotrio Romano.


note, che
le
l'

una
si

delle

autore

pose

nell' indice,

leggono

seguenti parole: Inutile dire chi

sia

Enotrio Romano. Queste rime, alcune delle


il

quali vennero altra volta in luce sotto


di
lui,

nome
altro

un amico suo che

proprio

come un

sono ora dallo stesso amico raccolte.


si

La

prima edizione, cui


role, era

accenna con queste padi

un volumetto

poche pagine, di menel i85y

schina apparenza, pubblicato

da una

34-0

Litro Secondo

tipografia Ristori di

San Miniato
lo

in

Toscana
che

(i).
ii

Chi

si

rammenta

strazio

disonesto

povero libro ebbe a patire da qualche giornale


fiorentino
di

quel

tempo,

rammenter

altres

come

alla critica stolta e indecente desse tre

anni

dopo nobilissima

risposta,

da pari suo, un mini-

stro filosofo, offrendo al giovine poeta

una

cat-

tedra di eloquenza in
del regno.

una delle primarie universit

Ed

oggi quel filosofo, non pi ministro,


restar
gli

leggendo
il

il

volume d'Enotrio, dee

pago che
dimostri

poeta da lui degnamente onorato


la

con quel libro

sua riconoscenza, e dia con esso

risposta a chi lo accus e puni d'avere per la politica


il

dimenticato

gli studi. Io

parlo a chi conosce


le
il

volumetto samminiatese, a chi conosce

varie
libro
il

poesie pubblicate da Enotrio prima e dopo

oggi venuto in luce

e dico che questo libro

testamento poetico di Giosu Carducci, pubblicato

da Enotrio, erede e successore


II

di lui.

Nella vita dei poeti


pi o
(i)

difficile

non iscorgere
Il

meno

distinti

due periodi

diversi.

primo
Rime
il

Vedi intorno

alla pubblicazione di queste

recente bellissimo scritto dell'autore in fine della Seconda


Serie
di

Confessioni

Battaglie,

edizione

Sommaruga.

{Nota del 1SS2).

Giosu Cani/i rei

341

del giovine che cerca s stesso negli altri, che

vive pi de'pensieri altrui che de' propri, pi nel


passato che nel presente; e la sua poesia poesia
di fantasmi e di suoni, serena e tranquilla: o, se

alcun dolore
si

la

turba, ci avviene perch'ei talora

accorge che questo

mondo

in

cui

pur vive
delle sue
il

col corpo alquanto diverso dal


fantasie.

mondo

Ma

presto al

primo periodo succede


s'

secondo, nel quale la realt delle cose


quasi al poeta,

impone

ed egli costretto a cercare in

essa gli argomenti al suo canto. Nel

primo pe-

riodo prevale l'arte, nel secondo

il

pensiero; nel

primo

il

poeta tenta

le

sue forze, nel secondo


il

procede franco e sicuro; nel primo


scrive la

Leopardi

Cannone

aW Italia,
il

nel secondo le Ridi questi periodi


il

cordante. Durante
nostro poeta
si

primo

chiama Giosu Carducci,

al co-

minciare del secondo Enotrio Romano.


I

Levia gravia sono

la

poesia del primo periodo.


il I

Divisi in quattro libri (de' quali

il

III

comil

prendono venticinque

sonetti ciascuno,
lirici di

il II

IV

ciascuno dodici componimenti


rio),

genere vain
li-

sono preceduti da una introduzione poetica,


al

forma d'epistola, che l'autore indirizza


bro:

suo

Ah dunque
e' gli

tu

non

sei

contento del patrio

carcere,

dice; tu vuoi andartene fra la gente?

34'

I byp Secondo

Ma

dove andrai? In questa et


ciclopica, chi

in cui l'arte s'


te

fatta

vorr dar ricetto a


colle tenui

cre-

sciuto dalla

Musa

miche d'Orazio?
;

Libro,

e'

non

aria d'

andare a zonzo

te

ne av-

verr
fuggi

male: dai retta a me, tornatene a casa,


le

brighe.

Vedi? Minacciano Caribdi


ti

Scilla:

preme Davide, con

la Sibilla.

Gli
e

amor

tu reciti d' un' altra et;

non

santifichi la volutt,

non metti

Venere
misero!,

lo scapolare,

non
gi
e
il

fai

gli

adulteri sermoneggiare:
flebili

onde, o
t'

me

e tristi

interdissero gli atei salmisti,

buon Petronio predicatore


il

che a s convertami preg

Signore.

Questo Petronio,

ci

avverte Enotrio, quel del


il
i

Satyricon, divenuto dopo

5 scrittore di

roil

manzetti mistici e d'omelie erotiche.


poeta
ci

Dopo

lui

presenta Alfio,

1'

usuraio del secondo


idilli

degli epodi; che al

tempo d'Orazio faceva


5o.

campestri, dal i8i5 al

compose

di molti inni

sacri in settenari e in isciolti: oggi giorno fa an-

che delle poesie


o,

sociali.

Poi vengono altre figure,

secondo Enotrio,

figuri,

che sono, come

dire,

studi ideali dal vero

della societ toscana


il

poco

avanti e poco dopo

27 aprile 1859;

un Ti-

Giosu Carducci

343

moteo, gi suonatore

d'

organo

in chiesa de'frati,

che cantava con serafica unzione di santi e di


nache, pieno
le

mo-

vene di

tetra libidine;

un

Basilio

giovine e biondo, che scriveva di filosofia e di religione, intingendo la

penna nell'aromatico miele

del Loiola.
nalisti,

quali oggi, divenuti non pure razio-

ma

atei,

sarebbero anche buoni, dice Eno-

trio, di arderti,

o mio povero

libro, se in

una

sil-

laba de' tuoi versi c'entrasse per caso la parola Dio.

Ma

qua anche
l'

voi, o

Nando

e Poldino, che

gi stroppiaste

innocente lingua del Lazio per


le

cantare in distici
rosseggiate

nozze del principe, ed oggi


;

come

aliguste

qua, o tu che

ieri in-

tonavi l'inno eucaristico al S. Padre, ed oggi lusinghi di liberi plausi


il

trono di re Vittorio; qua,

filosofi

e liberaloni

di

nuova

data,

fatevi in-

nanzi, mostratevi al poeta, che vuol lasciare

me-

moria

di voi e dipingervi nell' atto che,

Crollando
fatto

il

rigido frigio berretto,


die
il

sul

modulo che

prefetto,

buttate via scandolezzati

il

suo povero

libro.

A
la

compiere

il

quadro
Il

di

Enotrio

manca ancora

figura principale.
logo.

poeta la chiama Fucci

filo-

poich

la

pittura ch'egli ne fa

non im-

pallidisce davanti alle pi terribili di

Giovenale

344

Libro Secondo

e del Borni,
nella nostra

1'

animo non

ci

basta di stemperarla

umile prosa. Chi ne ha curiosit, vada pagina io


e seg. del libro.

e se la legga a

Se alcuno

rimproverasse all'autore l'acerbezza giambica di


alcuni di questi versi, Enotrio, veneratore degli
antichi, gli ricorda quel di C.

Trebonio a Cicesi libi

rone, Famil.,

lib.

XII: In qnibus versiculis

quibusdam verbis eythyrremonesteros videbor,


turpitudo personcv ejus in
mitr,

quam

libcrius invehi-

nos vindicabit: ignosces ciiam iraciuidicv

nostra', qnce justa est in


cives.

ejusmodi et homines

et

Ili

Ingegno

forte, vario,

pieghevole,

che

si

consi

verte prestamente in sangue ogni cibo di cui

nutrisca (e diresti che niun cibo gli mai troppo);


fantasia potente, sdegnosa di freno;

una volont

negli studi ferrea e

pazientissima, ed

un amore

all'arte quasi istintivo; tale

Giosu Carducci.

Aggiungete a
irritabile,

ci

un animo ardente, impetuoso,


e

immoderato negli amori


ed

negli odii;

recalcitrante alla forza

all'autorit; docilis-

simo

alla

ragione e

all'

affetto; avversario

impla-

cabile ad ogni prepotenza, ad

ogni ingiustizia,

ad

Giorni Carditeri

3415

ogni vilt
gli

pronto a slanciarsi ciecamente

dove

sembri splendere un'idea generosa;


spiegare

e vi sar

facile

certe intemperanze del poeta, e

certe che a taluno paiono incoerenze

ed incon-

seguenze negli

scritti

di lui.
certi

Chi
son

si

duole perch

uomini d'ingegno non


si

fatti in

tutto com'egli vorrebbe,

duole a torto,

perche' vorrebbe

un assurdo. Se

al

Carducci man-

cassero alcune di quelle qualit che molti gli attri-

buiscono a

vizio, egli

non sarebbe quel poeta che

E il

Carducci, prima d'ogni altra cosa, poeta. Nel

sguito di questo scritto io


cinare
i

mi prover a ravvie

primi suoi versi

politici agli ultimi,

confido di poter mostrare che fra questi e quelli

non c'

di

mezzo

l'abisso:

ma

intanto non vo-

glio omettere un'osservazione, che qui

mi viene

acconcia, e
forse

mi pare

di

qualche peso.

C
il

chi,

un pochetto malignamente, paragona


al

Car-

ducci

Monti, per certa


il

mobilit e versatilit

d'ingegno: e

paragone ha qualche lato vero.


d'

Ma
che

non bisogna finger


in

ignorare una differenza,


li

un punto

essenzialissimo

fa

molto

di-

versi, differenza

che procede dalla natura diversa


Il

dell'animo

loro.

Monti, o cantasse

la

repub-

blica, o l'Imperatore francese, o l'austriaco, in-

neggi sempre

ai

vincitori;

mentre

il

Carducci

346

Libro Secondo

incomincia a

farsi tiepido

amico
gli

agli

uomini ed
altre
si-

alle istituzioni tosto

che

uni e

le

gnoreggiano.

Lasciamo

la politica, e
il

torniamo a parlare

di

poesia. Per giudicare

Carducci poeta noi ab-

biamo una stregua


le

sicura, le parole

medesime con

quali egli giudica


egli dice,
il

un

altro poeta.
(lo

Il

poeta
cosi)

lirico,

deve avere

chiameremo

un

ideale suo,

quale non pu n deve essere

quello del tale o del tale altro critico: a cotesto


ideale deve trovare
nella quale

una forma determinata bene,


e si

prenda persona
attagliarsi a

muova:

cotesta

forma deve

tutte le

complicazioni

di quell' ideale in

modo da

suggellare, altrimenti

T ideale zoppica, come chi calzi una scarpa non


fatta al

suo piede.

soggiunge che
di

non erano

una forma
1

le pastorellerie
il

moda

a tempi del

Savioli, eh

poeta da lui giudicato;


il

come una

forma non
il

romanticismo medievale, n

realismo per s stesso,

ma
i

sono convenzioni o
quali non finiscono

teoriche.

quei
il

critici poi,

di gridare
il

che

poeta deve essere del suo tempo,

Carducci risponde:

Come

si

spinge nell'av-

venire, cosi

pu

il

lirico rigettarsi nel passato: e


et,

pu, se vuole, essere anche di nessuna

pur-

ch trovi

a'

suoi concetti forme palpabili e

ma-

Giosu Carducci

347

teriate.

Si

pu

dissentire da questi principii e


si

discuterli;

ma

non

pu onestamente giudicare non


li

con
ch

altri
li

il

nostro poeta. Io
li

discuto, per-

accetto; e

accetto,

perch ricusandoli

dovrei ricusare tutta quella che a

me
la

pare

la

pi

grande poesia

di

ogni

et, e
la

perch

negazione

di essi sarebbe per

me

negazione dell'arte.

IV

Come
alfine,
si
il

il

Savioli lavorando sopra Ovidio trov


il

secondo

Carducci,

la

forma che meglio


di sentire, cosi

affaceva al suo peculiar

modo

nostro fino dai primi suoi studi lavorando soaltri poeti latini e

pra Orazio. Studi pure negli


in tutti gli italiani da

Dante
le

al

Leopardi; pro-

vandosi anche ad imitare


coli XIII e

rime toscane dei se-

XIV,

la

grave canzone del Petrarca


e la satira

e dei cinquecentisti

del Berni: e da

questo studio lungo e variato cav certo materiali

non pochi a comporsi una forma poetica:


la

ma
gii

parte pi singolare e al

tempo
il

stesso pi

omogenea

della sua forma quella

cui segreto
ci vero,

fu rivelato dal Venosino.

Tanto

che dov'

egli imita di proposito dalle odi oraziane

348

Ibro Secondo

riesce,

a parer

mio, pi originale che in


volle imitare nessuno.
d'

altre

poesie dove

non

spesso

credo
il

gli

accada

imitare Orazio, senza averne

proponimento.

Alcuni pensano che se

il

Carducci, invece di
le

darsi allo studio degli antichi, avesse seguito

nuove dottrine
trodussero in

letterarie,

che dopo

il

181

s'in-

Italia, egli forse


i

sarebbe gi uno dei

pi famosi fra

poeti moderni. Io
il

non nego che

seguendo quelle novit

Carducci avrebbe potuto

procacciare ai suoi versi miglior fortuna:

ma

dico

che

l'artista

non pu

farsi

un

ideale a piacere;

questo dee rampollare naturalmente dall'animo


e dall'ingegno di lui: e l'ideale poetico del

Car-

ducci era
starne
antichi.
la

cosi

fatto,

ch'ei

non poteva acquidegli

coscienza, se

non dallo studio

Le rime

pubblicate a S. Miniato, e ristampate

quasi tutte nel

volume

di Enotrio,
i

di cui

tenlibri,

gono, salvo qualche eccezione,

due primi

attestano le varie attitudini dell'ingegno poetico


del Carducci, e
i

suoi variatissimi studi;

ma

so-

pra tutto attestano la verit di quello che io ho


detto circa la

forma poetica

di lui. In

qualche so-

netto tu senti l'agilit e la freschezza delle

imma-

gini e delle frasi e la melodia del verso petrar-

Giositj

Carducci

349

chesco; in altri

la

gravit e

il

periodo fortemente

lavorato di monsignor Della Casa, con un po' della


cercata durezza alfieriana: e certo
i

sonetti, parti-

colarmente alcuni, sono fra


ducci.
,

le belle

cose del Carriesce

Ma

la

forma

di poesia

dove

meglio

a mio giudizio,
il

l'ode

oraziana. Qui, in pi

largo spazio,

pensiero distendesi pi liberamente,


;

qui maggiore agio agli arditi trapassi

qui

la strofa

serrata e la variet del verso, che meglio rispon-

dono

alla variet e alla concitazione degli affetti.


le

Fra coloro che giudicarono

prime poesie del

Carducci, chi meglio ne segnal uno dei pregi


principali fu, a parer mio,
il

conte Mamiani,

il

quale lodava grandemente nell'autore una mirabile attitudine a


frasi della lirica

trasportare nell' italiano molte


d'

Orazio.

In questa strofe dell'

ode VI del

II

libro

Disciolto
esulta
e su
1'

il

bove mormora un muggito

il

gregge nell'erboso piano:

aratro ancor dal solco attrito


villano.

canta

il

non

reso

mirabilmente quel d'Orazio? omne campo,

Ludit herboso pecus

festus in pratis vacat otioso

cum bove

pagus.

350

Libro

Saundo

nei versi coi quali l'ode

medesima
il

finisce,

Qui delle caste menti ama

governo
ti

qui santa e madre al popol tuo

mostra

n a danno irrompa qui possa


te

d' inferno,

duce nostra.

quale studioso del gran


corge che
il

lirico latino

non

si

ac-

poeta imitava molto bene l'oraziano?

hic

magnos

potius triumphos,
;

hic

ames
sinas

dici pater atque princeps

neu

Medos

equitare inultos,

te duce, Cassar.

Il

principio dell'ode VII del

II

libro

Non sempre
nubi
si

aquario verna, n assidue


si

addensano, piogge

versano

malinconicamente
sovra
il

piano squallente, ecc.

rende non pure


il

il

movimento

e la

immagine,

ma

suono stesso del latino:

Non semper
manant
in

imbres nubibus hispidos

agros.

L' ode XII del

II

libro, eh'

un

gioiello d'eleganza

e di grazia, nei versi,

Chi

me

al

ciel patrio
?

e de' consorti al viso

rende toscano

Giosu

Lai-Jucci

351

imita, e questa volta

non troppo felicemente, per


il:

quella trasposizione sforzata,


Quis
te

redonavit quiritem
?

dis patriis italoque ccelo

Nell'ode

II

del

IV

libro

il

p radia conjugibus
in

lo-

quenda

di

Orazio allargato

un grazioso qua-

dretto lirico:
Alle pie mogli dissero
le

dure
le

fortune delle pugne, ulte


nelle barbare
e le

offese
distese,

torme

al pian

paure

delle regie consorti e gli anelanti

sogni su

'1

fato del signor. Pietose

dei dolori

non suoi piangean

le spose

memori

pianti.

Dopo

la bella descrizione,

fatta nelle strofe

che

seguono a queste, del giovinetto virilmente educato dai padri antichi al culto della patria e della
libert,
il

verso,
fia

Chi

che tenti quel novel lione

richiama alla mente quel

d'

Orazio,

Ehu ne

rudis

agminum

sponsus lacessat regius asperum


tactu leonem.

35 2

Libro Secondo

E come non

ricordarsi del

motus doceri gaudet ionicos


matura virgo

a quel punto dell' ode stessa in cui

il

nostro poeta

esclama

Vile ed infame chi annebbi


fior de' tuoi

il

pudico

sensi ne' frementi balli,


falli

o giovinetta, e stimol dei


il

germe antico

Poi quando, descritti

vizi

dei

moderni

Italiani,

Enotrio esce in queste parole:

Ma

non

di tal vasello uscia

1'

antico

Insubre cavalier, quando feroce

premea
te,

dell' asta

infensa e della voce

Federico.

par quasi di sentirsi mormorare all'orecchio


versi
:

Non

his Juventus orta parentibus

infecit

aequor sanguine punico.

Dove
il

da notare che

qui,

come

in altri luoghi,

poeta rinforza l'imitazione d'Orazio con una

bella

immagine dantesca. Quel


Dante (Purg.

vasello

il

naturai

vasello di
si

XXV,

45)

e,

come avanti

parla dell'educazione della donna, cosi cotesto

Giosu Card i< a-/

353

innesto arditissimo riesce anche molto efficace e


gustoso.

L'ode

del

IV

libro, eh'

una

fra le

pi belle del volume, rassomiglia tutta nel principio all'oraziana eh'

XXXI

del

libro.

Quid dedicatimi poscit Apollinem


vates
?

quid orat de patera

novum

fundens liquorem? non opimas


Sardinia) segetes feracis, ecc.

Cosi

il

Venosino: ed Enotrio:
Che prega
adorno
il

vate,

il

libero

vate che prega e vuole,


in veste candida,
?

volto al nascente sole

Che

agli agi suoi rinnovino

ben cento
giovenchi
?

solchi

duri

Ai pochi

raffronti, ch'io
difficile

son venuto facendo,


altri,

non sarebbe

aggiungerne

e sorpren-

dere nei versi del Carducci l'immagine e la frase,

ora di Lucrezio o Catullo, ora di Tibullo o Virgilio,

ora di Dante o del Petrarca o del Tasso.

Ma
per
la

fra

mezzo

a queste classiche reminiscenze

il

pensiero del poeta corre sempre libero e franco,

modo

che, se chi legge

non ha molto

fresca

memoria
23.

dei luoghi che quegli imita,

non sente

Chiarini.

354

Libro Secondo

l'imitazione. L' immagine e la frase altrui che,


tre egli sta

men-

componendo,

gli

ricorrono alla mente,


si

balzan fuori da questa improntate


del suggello dell'autore,
si

fattamente

adagiano con tanta


e le altre frasi
si

naturalezza fra
di lui,

le

altre

immagini

che

nell'

insieme del lavoro non

scorge

mistura d'elementi diversi.

oramai vecchia quella sentenza che

lo stile

l'uomo:

ma non
stile

per questo ha cessato d'esser

vera. Nello
tutto
1'

poetico del
Il

nostro

autore c'
altres

animo

di lui.

quale dimostrasi
nelle

per qualche concetto anche

poesie dov'
le

maggiore

1'

arte e

l'

imitazione. Fra
gli eroi

parole che

celebrano gli dei e

dell' antichit,

trova

pur modo
stra

d' introdursi
il

qualche pensiero che movive fra


si

come

poeta tanto non

le

beate

visioni dell'arte antica, che


di essere

non

ricordi talora

un uomo

del suo tempo. L'inno a

Febo

Apolline termina con un compianto tutto leopar-

diano sulla morte delle favole antiche, distrutte


dall' inesorabile vero.

Quando

poi

1'

autore tocca

de' suoi affetti e dolori, de' vizi e delle sventure

de' suoi fratelli, allora

l'animo suo scorre tutto

Giosu Carducci

355

intero per entro

suoi versi; ai quali la passione

d tanta
gni,

efficacia,

che tu leggendo fremi e con


retto
lui.

ti

sde-

ami

e piangi
il

Ed

suoi

affetti,

chiegga al Parini
e l'ira e'1 forte
gli

Non domabile
vili,

ingegno,

spregio pei

o dolgasi che
li-

manca ogni ragione

di vita

mancandogli
fratello,

bert, o

pianga sulla tomba del


si

che a

vent'anni

uccise, o chiegga a
il

Dante

la ragione
lui

perch, pur odiando


vocato, non

santo impero da

in-

pu

staccarsi dal suo

volume, sono

sempre

alti

e gagliardi.

Chi ponga mente ad alcune date

e all' ordine

dei componimenti, scorger anche nel volume dei

Levia Gravia

lo svolgersi e perfezionarsi dell' in-

gegno del poeta.

A mano

mano

eh' egli pro-

cede, sentesi pi sicuro nell'arte; e l'animo, che

viene acquistando sempre pi

la

coscienza di

s,

meglio che
pri pensieri.
all'

di

reminiscenze vuol vivere dei proil

Imperocch

passaggio

dall'

uno

altro di quei

due periodi
d'

eh' io distinsi nella

vita de' poeti

non avviene

un

tratto,
il

ma

len-

tamente per gradi, di guisa che


quasi

primo periodo

una preparazione
II

al

secondo. Dalle odi


all'idillio

prime del

libro

alle

ultime del IV,


in

storico e alla canzone

morte del
il

fratello,

notevole differenza. Nelle une

poeta segue da

356

Libro Secondo

presso Greci e Latini e

si

diletta

nelle gioconde

fantasie delle loro religioni; nelle altre

comincia
suo canto
Il

a cercar pi vicino a

se'

la ispirazione al

e tenta e riesce a qualche cosa di nuovo.

poeta

ama

ancora quella sacra arte a cui nel primo dei

sonetti dichiaravasi fatato

amante;

ma di
si,

amante

divenutole sposo, vuole restarle fedele


finora le fu

ma, come

sempre obbediente

sommesso, vuole

che, scambiate le parti, incominci ella ad obbedire


a'
1

suoi cenni.
idillio storico
il

Neil
altro

Carducci
salvo le

artista, niente
ballate,

che

artista;

ma,

due

che

sono imitazione delle rime de'

secoli XIII e

XIV,
che,
in

non imita nessuno.


prima
altri

un

valente pittore

di apparecchiarsi al lavoro,

non studia

la

maniera che meglio

gli

sembri convenire
i

al

suo quadro, non chiede a nessuno

colori

ma
il

sicuro di s toglie la tavolozza e dipinge.

lettore si

vede innanzi questo grazioso qua-

dretto.

Siamo

in

una

sala del Castello di

Mulazzo

in

Lunigiana, feudo dei marchesi Malaspina.


giornata procellosa, una di quelle
tristi

E una

giornate

che annunziano
sulle vetrate la

il

morire dell'autunno; picchia


il

grandine, e
le

baleno imbianca

fuggevolmente

lucide armi appese alle mura-

Giosu Curiiucci

357

glie.

Arde

in

mezzo

alla sala

il

focolare. In
lei

un

canto l'alta marchesana; e presso a


i

d'ambo

lati

donne

e donzelle, fiore di belt e d' altere


;

prosapie ghibelline

a'

piedi della

marchesa una

levriera, che allo scoppiar de' tuoni guaisce e di-

stende
le

il

capo, vibrando

1'

occhio dardeggiante e

orecchie erte alle verdi gonne della padrona.


in

Di rincontro, dritto
il

piedi, levandosi
il

di tutto

capo su

minori baroni,

signore del castello,


in

Franceschino Malaspina.

Ha

pugno un

bello

astore maniero, e seduto a' piedi

un paggio, che

guarda

fisso

il

nobile augello, a cui arde nell'occhio

grifagno l'amore delle native cime apuane; e al

lampeggiare del baleno dibatte

l'ale, e

mette un
al

rauco strido di

gioia.
il

Ma

n all'astore n
;

pag-

gio non pon mente

barone

che pare solamente


i

occupato di due personaggi dai quali pendono


di tutti.

volti

Son

essi

Sennuccio Del Bene, un

de' Bian-

chi fuorusciti di giadro, ed

Firenze, dicitore in rima legdi lui.

un giovine compagno

Ai preghi

del marchese, Sennuccio intuona


roso, che stringe di
gentili, e vela di

un canto amodonne

gran piet

petti delle

un'ombra

di dolore le fronti ab-

bronzate de' guerrieri.


rime, risponde, com'

Ed

lui,
il

cercando

liete

usanza,

compagno, un
dai grandi oc-

immaginario cavaliere ghibellino,

35S

Libro Secondo

chi celesti, dalla folta capelliera, dal nobile por-

tamento,

desiderio

sospiro

di

molte

giovini

donne.

VI

La morte

di

un

suicida, di

un

giovine, bello,

aiutante della persona, ingegnoso, amato da' suoi,

che fugge

la vita, forse

per noia della vita! Quale


di

argomento pi leopardiano
trio

questo

Ed Enola

grande ammiratore del Leopardi,


sta intera

cui

filosofia gli

nel petto,

i
1

cui
s io

versi sa
la

tutti

memoria. Ci nullameno,
la

consi-

dero attentamente,
del fratello pare a

canzone di Enotrioin morte


che nell'insieme
sia

me

poco

o punto leopardiana. C' qualche pensiero e qual-

che espressione che rammenta


se tu volessi rassomigliarla
di lui, saresti

il

Leopardi; ma,

ad alcuno dei canti


i

impacciato a trovare
,

termini e

le

ragioni della rassomiglianza. Egli

secondo me,

che

l'ingegno poetico del Carducci ha natura


e

molto diversa da quella del Leopardi,


questo canto
il

che

in

Carducci trae l'ispirazione solaal

mente dall'animo suo. S'inspira

dolore la

musa
la

del grande Recanatese, e pur dal dolore

muove

canzone

di

Enotrio:

ma

il

dolore dell'uno molto

dositi-

Carducci

359

diverso da -quello dell' altro. Nei canti del Leopardi, pi che la


i

voce

di

un uomo che piange

suoi mali, senti quella del genere

umano che
Leopardi

chiede ragione alla natura della universale infelicit.

Ragionando

del

suo dolore,
all'

il

cerca non tanto


la

un

sollievo

animo, quanto

spiegazione del gran mistero dell'essere; e peril

ci
si

canto di

lui dal

considerare

gli

umani

casi
Il

leva alle pi alte

speculazioni di

filosofia.

dolore d'Enotrio, al contrario, non esce fuori della

cagione che lo ha prodotto. Enotrio ha spezzato


il

cuore da un atrocissimo caso

non vede che

questo,

non sente che questo; compiacesi a me-

ditarlo e a cercarne con


ticolari.

amore

pi minuti paril

Seduto nelle stanze paterne, ove


i

fra-

tello si uccise, ripensa

giorni che vissero insieme,

beati nella serena pace delle

campagne,

domanda

a quello

il

perche' del suo fiero proponimento. Poi


i

investigando

pi riposti segreti del cuore di


i

lui,

studiasi d'indovinare

pensieri che lo dovettero


la

condurre a desiderare e darsi

morte, e prova

un amaro
doli di

diletto a ripetere quei pensieri, vestenin fac-

forme gravi e severe, e gittandoli

cia all'empia natura e all'ingiusta

umana

societ.

Giacomo Leopardi, dopo avere lungamente meditato e cantato


il

dolore, conchiude da filosofo:

ma

360

Libro Secondo

del fato mortale a

me

bastante
siili'

E
Il

conforto e vendetta che

erba

Qui neghittoso immobile giacendo,


mar,
la

terra e

il

ciel

miro e sorrido.

Il

Carducci, pi uomo,

levasi

dalla

tomba

del

fratello,

fieramente esclamando:

Sii

meco eterno

e nel tuo
1'

sangue

tinta

del verso vibrer

alta saetta

a far nel

mondo

reo dolce vendetta.

In questa esclamazione

il

pensiero che tra-

sforma Giosu Carducci


1"

in

Enotrio Romano, cio

origine e la ragione del secondo periodo poe-

tico del nostro autore. Quell'origine la narra egli

medesimo
canta
il

nella canzone XII djl

IV

libro.
:

Il

poeta

risorgimento del suo ingegno

dopo un

breve periodo di sconforto,

sente rinascersi nel

cuore

il

desiderio dei carmi, vede

una nuova luce


si-

di poesia e

d'amore,

l'anima sua vi corre


che turba
la

tibonda e anelante.

Ma

sua gioia?
:

Ah,

il

poeta non pi quel di prima

il

dolore

lo percosse in ci ch'egli

avea

di pi caro, ap-

prendendogli l'infausta
a s: ove sono
i

vita. Egli

cerca d'intorno
della sua gioe
la

dolci

compagni

vent? cadde
quelle

il

fratello;
si

mori l'amico;

con

anime care

dilegu per sempre

mi-

Giosu Cardne ci

361

glior vita di lui.


il

Che

gli

vale dunque, o musa,

tuo divino sorriso? Egli non pu cantare; l'inno


si

di lui

perde nel vuoto, come nei silenzi della


si

notte canto di pellegrino che

allontana.

Ma
in

no; dovunque suona

voce

di

dolor

1'

umano accento
perdona,

accuse in faccia del divin creato,


e e
all'
1'

uom l'uom non

ignominia del fraterno armento


rio mercato,

ludibrio di pochi,
e

con viso larvato


il

di diritto la forza

campo

tiene

e l'inganno

d'oscene

sacerdotali
ivi gli

bende incamuffato,
ivi
i

amici nostri,

fratelli.

Intuona, o

musa mia,

gl'inni novelli.

Cosi egli prorompe.

non vale che

infine, dif-

fidando delle sue forze e rimproverandosi di so-

verchio ardire, conchiuda mestamente:


Canzon mia, che

dicesti?
si

Troppo
torniam

gran vanto a

debili tempre:

nell'

ombra

a disperar per sempre.

Non
e lo

vale

il

poeta ha gi compreso
lo

il

suo

ufficio,

adempir; anzi

adempie:

egli

non

pi

Giosu Carducci; gi divenuto Enotrio Ro-

mano,

il

poeta della rivoluzione.

362

Libro Secondo

VII

Che

questa terribile parola,

al

suono della

quale impallidiscono quella sterminata generazione d' egoisti, che pieni di squisite
capaci stomachi, non hanno orecchie
i

vivande

per udire

lamenti della fame? questa magica parola, che

fa e

tremare
turba
i

tiranni e

vili

ambiziosi soddisfatti,

placidi sonni dei beati poltroni?


il

La

ri-

voluzione

modo

col quale la civilt

si

svolge

e si rafferma nel

mondo;

e per antica di
lei

quanto

la civilt stessa; e gli

uomini

sono, non
Gari-

solamente Timoleone, Bruto, Saint-Just,


baldi,

ma
si

Socrate,

Tacito,

Voltaire,
la

Leopardi.

Varie vicende ebbe nel

mondo

rivoluzione.

Ora

mostr pacifica
e

conquistatrice
della

degl invalse
fla-

telletti,

colla
l'

sola

forza

parola

a vincere

errore che a vantaggio di pochi

gellava intere generazioni; ora fu veduta avanzarsi terribile

come

bufera, spazzando innanzi a

s troni ed altari; ora sopraffatta dal

numero

dei

nemici dov cedere;

ma

pur dagli
1'

esilii,

dalle car-

ceri e dalle ghigliottine attest

eternit del suo

spirito, e in quelle sconfitte attinse


le

nova

forza per

future battaglie.

E quando

alcuna volta parve

Giosu Cardii e fi

363

che fosse scomparsa dalla terra, essa viveva ignorata dentro


teca,
i

polverosi volumi di qualche biblioil

aspettando

suo tempo.

Coloro che presumono arrestare in suo corso e


governare a loro senno
o malvagi. Sono
la

rivoluzione sono

illusi,
li

illusi, se

onesto intendimento
illusi, se

muove; sono malvagi, ma sempre


sano
di far servire
il

penfini.

la

rivoluzione

ai

loro

Chi ha

diritto di giudicare

qual quel tanto

di libert a cui

dee
di

starsi

contenta una nazione,


le si

qual

la

forma
il

governo che meglio

con-

viene? Chi ha

diritto di dire

ad una parte qua-

lunque
il

siasi del

popolo: voi non potete conoscere


obbedirete alla legge

vostro meglio, e perci


gli altri

che

vorranno?

La eguaglianza

e la

li-

bert, dice la borghesia,


in atto.

oramai sono sancite, ed


tutti,

Lo

studio e

il

lavoro, liberi a

danno

modo

a tutti egualmente di procacciarsi nella so-

ciet quella condizione di vita

che vogliono, e
Il

di

ottenere

pi

alti uffici

ed onori.

figliuolo dello

spazzino pu diventare uno scenziato, un senatore,

un

ministro. Se

non vuole, o non

sa,

suo

danno.

Queste leggiadre parole sono un' im-

postura e uno scherno.

Lasciamo
tabili della

stare le

ingiustizie
1

molte ed

inevi-

natura, che

ali

uno d membra

ro-

364

Libro Secondo

buste e leggiadre,

all'

altro deboli e brutte, a

que-

sto d ingegno svegliato e operoso, a quello ot-

tuso ed inerte; e lasciamo

le ingiustizie

del caso,

che un

uomo

fa

nascere nella opulenza, cento


offre
i

nella miseria,

ad uno
triste

mezzi opportuni ad
li

uscire dalla sua

condizione, a cento
il

nega.

Ma

la civile societ,

che avrebbe

dovere

di cer-

care rimedio a coteste ingiustizie, e potrebbe al


certo diminuirle, vi aggiunge invece le sue
giori e pi gravi.
Il

mag-

Carducci stesso discorrendo


questo argomento diceva:
civile

un giorno con me

di

Il

mondo che
in

si

chiama

pu

raffigurarsi
tutti

ad un monte,
beni umani,

cima del quale son posti

come

a dire la potenza, le ricchezze,


i

gli

onori; ai pie d'esso tutti


il

loro contrari.

Oggi

tiene

sommo

del

monte
in

la

borghesia; e dice

alle plebi

che stanno
;

fondo: venite pure quass,

se vi

aggrada
i

voi siete libere di ci; n io


il

man-

der
avete

miei valletti ad impedirvi


le

cammino. Non

gambe?

Venite. Se no: la colpa tutta

della vostra poltroneria.

Vero

che all'occasione,
ella stessa a

non che mandare


respingere
le

valletti, si

muove

plebi, ove per avventura dieno ascolto

a quelle voci.
le

Ma

quello che pi importa

si

che

plebi

han

poi al piede la catena e la palla del

Giosu Carditeli

365

galeotto; sono schiave della gleba,

come

era essa

borghesia

ai

tempi del feudalismo.


e al contadino: voi

Andate a dire all'operaio

non avete

di

che lamentarvi, voi siete eguali a

noi nella libert di lavorare, e


vi sarete

quando

col lavoro

formati

un censo

sufficiente, acquisterete

anche

diritti politici (1).

Essi vi risponderanno:

noi lavoriamo, e le lunghe fatiche

non bastano

a salvare dalla miseria

le
il

nostre famiglie, intanto


ricco ozioso profonde a
e sollazzi.
altret-

che sugli occhi nostri


piene

mani

il

denaro in giochi

Finch dureranno nel mondo queste ed


tali ingiustizie, finche' gli

uomini non procurefra

ranno una pi equa repartizione


mezzi
atti

loro dei

a conseguire

beni della vita, la ri-

voluzione vivr per combatterle, per vendicarne


le vittime; e se

dureranno eterne, durer eterna

con

esse,

procacciando almeno un conforto agl'in-

felici nella

permutazione continua delle umane

vi-

cende.
(1) Oggi, senza

avere

il

censo, anche
i

gli
:

operai e

contadini
essi forse

hanno

acquistato
alla

diritti

politici

ma
?

possono
ba-

mandare

Camera

tanti

Deputati, che

stino a redimerli dalla schiavit

della

gleba

lo

credo
il

che, a conti

fatti,

sarebbe stato meglio per loro avere


diritti

censo e rimanere senza

politici.

{Nota del 1S82).

366

Litro Secondo

Questa rivoluzione

la

musa

di Enotrio

Ro-

mano. Sono accenni ad


anche
in

essa,

specialmente

politici,

molte delle prime poesie del Carducci,

accenni che mostrano come egli non aspettasse


a farsi rivoluzionario
il

27 aprile 1859

(1).

Ma un

componimento

che, per

mio

giudizio, appartiene

(1)
1'

ne anche aspett
fu firmata la

il

1859

a farsi razionalista. di Parigi,

Era

anno che

famosa pace

quando
reliquie

il

pretume pisano, scavate

non

so

dove certe

e battezzatele per

un beato Giovanni

della pace, le stra-

scic a processione per la citt con gran

pompa.

Il

Car-

ducci, alunno della scuola normale di Pisa, scrisse e di-

vulg manoscritto un inno, dove

si

leggono queste strofe

Acqua santa
Tutto
il

a piena mano,

secolo cristiano.

Vedi mo'| Castelbriante,

La

tua Francia torna a Dio

Bonaparte novo Atlante


Alla cattedra di Pio
;

Fan da
I

svizzeri a

San Piero

nipoti di Volter.

Viva Cristo ritornato


Fra
i

bagagli di Radeschi

Sull'altare appuntellato

Dalle picche dei Tedeschi

Converti la baionetta

Questa terra maledetta.

Questa terra che del nostro Sangue e pianto molle ancora.


Brontolando un paternostro,

Su zappiamo

alla buon'ora,
.santi

Per trovare ossa di

di frati zoccolanti.

Giosu Carducci

367

interamente alla poesia di Enotrio,

1'

XI del

IV

libro,

Per una

raccolta in morte di bella e

ricca signora. Cotesta breve


delle poesie pi notevoli del

ode mi pare una

volume.

Il

disegno

ne semplicissimo. Sono come due quadretti


chiusi in

una sola cornice.

In

uno

il

trapassare

quieto e sereno di bella e giovine sposa, intorno


al cui letto stan lacrimosi
i

parenti e

figliuoli;

e la scena dipinta cosi che tutto in essa spira


la

pi grande piet.
ti

Ma
le

se

guardi

nell' altro,

un

senso d'orrore

gela;

lacrime che stavano per

ispuntare

ti

si

seccano sugli occhi; tanto or-

ribile strazio la vista di

una povera madre che

muore

di sfinimento, sola tra gli affamati figliuoli.

cotesta

madre tu

la vedi

propriamente nei

versi d' Enotrio.


Il

secco occhio splendente


le

con
il

pupille ignave,

sudor che di lente

righe solca le tempie oscure e cave,


e rappreso su
1'

umida

fronte

il

cinereo mal piovente crin,

e quel vermiglio lurido


nelle saglienti gote,

quel faticoso anelito


dall'

osseo petto cui la tosse scuote

acre,

profonda ed arida,
i

quel sangue della bocca in su

confin,

368

Libro Secondo

annunziai:, fere scorte,


la

grande ora suprema.

Al passo della morte


niun
ecco
:

la

prepara? e niuno che qui gema?


si

un parvol

strascica

su quelle paglie, e chiede pur del

pan

un infante col rabido

vagito della fame

contende e

si

travaglia

col viso macro, con le dita

grame

intorno dell' esausta

poppa. Ella guarda, e a s lo stringe invan.

Lente cadon
il

le braccia,
si

guardo

le

vela,

e pia

morte

la

faccia
figli

degli affamati suoi

le

cela.

Devoti essi alla livida

colpa ed al vorator morbo son gi.


L'

uomo, doman, che


deforme cadavere

tolsela

vergin bella e pudica,


su
'1

dar un guardo, tornando alla fatica


usata.

Ozio di piangere,

dritto d'

amare

il

misero non ha.

A
tiene

questo medesimo genere


il

di poesia

appar-

Carnevale,
nel
1

idillio

di

cui fu pubblicata
del Carducci, e
1

una parte
finito e

863 col

nome

ristampato intero nel


Il

868 da Enotrio
vita

Romano.

poeta contrappone

la

molle e

le

Giosu Carducci

369

feste

voluttuose del ricco agli


terribili
il

effetti della

miseria

che affliggono pi

povero nello inverno.

Sono voci dai palagi


dono voci dai tuguri

e dalle sale, a cui rispone dalle soffitte.

Quelle, di

chi dalle sue stanze bene scaldate

gode a consublime

templare a traverso
dell'

vetri lo spettacolo

inverno che fuori imperversa, e di gente che


i

tripudia fra le danze e

bicchieri; queste, di

una

madre
fatica e

a cui portano a casa


di

morto

di freddo di

fame
la

il

figliuolo, e di

una fanciulla

che, a sfamare

cadente genitrice, dopo avere

tentato invano la pubblica piet, vende l'onore.

Fin qui

la

parte dell'idillio pubblicata nel


1

863.

Ci che fu aggiunto nel


zioni del poeta,

868 sono

le

consideradi

Voce

di sotterra.

La forma

questa poesia,
gante,

come

dell' ode,

semplice ed eletoglie efficacia

ma

di un' eleganza che

non
ti

all'espressione: qui ci che pi


le

colpisce sono

cose che

il

poeta narra

e descrive. Io prefe-

risco di

molto queste poesie (ed anche Enotrio,

credo) alle odi a

Febo Apolline

e a

Diana Tririfare in-

via; che egli forse oggi

non potrebbe

teramente.

ClUAAINl.

37

Libro Secondo

Vili

La

distinzione da

me

fatta

fra

l'

antica e

la

nuova poesia
il

del Carducci

dichiara abbastanza
nel

concetto da lui seguito

formare

Levia
le

Gravici, e le ragioni per le quali

n'ha escluso

rime gi pubblicate col nome di Enotrio


le politiche.

e tutte

Qualche malevolo, ed anche qualche

benevolo, crede ch'egli abbia con ci evitato a


studio certi ravvicinamenti fra
i

suoi pensieri d'un

tempo

e quelli d'

un

altro, ch'egli abbia,

diciamolo

francamente, avuto paura di mostrarsi in pubblico


tutto intero.

Chi pensa questo, non conosce molto male.


lui,

il

Carcerte

ducci, e lo giudica

Io

non nego

contradizioni ne' versi di

ma sostengo

che sono

pi apparenti che di sostanza, e che hanno spie-

gazione dai tempi e dagli avvenimenti dei quali


il

poeta fu spettatore.

Per

me non
la

niente

strano che chi

scrisse
e la

nel i85q

canzone a Vittorio Emanuele

Croce

di

Savoia, abbia composto pi tardi l'ode


il

Sicilia e la Rivoluzione,

Brindisi agli amici


tipografi di

della

Pieve
e
i

S.

Stefano, V

Ode pei

Bologna

due Epodi. Anzi, a mio avviso, non

Giosu

Carducci

371

altro che

uno

il

cuore,

non

altro che

una

la

mente da cui uscirono


Io dir cosa che far
praffini
;

tutti cotesti versi.

ridere

certi politici so-

e pure la dir, perche'


al

mi par

vera.

La

canzone

Re

forse

la poesia

pi rivoluzio-

naria fra tutte quelle da

me

nominate. Si ponga
e le

mente
scritte,

al

tempo

in

cui l'una

altre furono

e si

guardi allo spirito pi che a certe

forme esteriori dei componimenti. Quando giunse


il

27 aprile
;

la

canzone
il

al

Re

era gi da
l'

un pezzo

composta

perch

poeta

avea lasciata ve-

dere e copiare a parecchi, se la vide pubblicata

clandestinamente avanti

il

giorno della pacifica

rivoluzione toscana, mentre egli attendeva da s


a farla stampare. Se la canzone
allora a
titi

non dispiacque
che par-

nessun

partito, fu per ci solo,

allora in Italia

non c'erano, un nobile entufusi tutti in

siasmo avendoli per un istante


solo; e se anche
rata,
si

un

oggi pare ai moderati

mode-

perch

gli

avvenimenti invocati dal poeta

sono nella maggior parte compiuti.


il

Ma
ella

sup-

ponete che

regno

di

Napoli non fosse caduto,


siasi,

che invece di questa unit, qual eh'

avessimo oggi

in Italia

una brava confederazione,

con qualcuno dei vecchi principi; quanti non vor-

372

Libro Secondo

rebbero farsi un pregio di condannare

come matte

esagerazioni parecchi desidri espressi dal poeta


in

quei versi!
In Vittorio

Emanuele

il

Carducci non vede

al-

tro che
lia,

il

propugnatore della indipendenza d'Itaa cui le sue condizioni particolari


farsi iniziatore della
il

un uomo

rendono possibile e agevole


guerra contro
lo straniero
:

ed egli,

poeta, anela
le

a questa santa guerra, e vorrebbe con


role affrettarla.

sue pa-

Deh non
sotto
i

cresca perdiu

regni di barbaro soldato

chi d' italica

donna

italo

nato

Ecco

il

pensiero primo della canzone; e accanto


il

a questo

pensiero della unit dtalia, e di

Roma

libera dal giogo dei preti.

Al folgorar della novella


gi fra
1'

Roma
re levita
:

are

s'

appiatta

il

e ritorna a trattar suo ministero.

Ma quando
la
gli stranieri

cotest'

uomo,

di

cui

il

poeta invoca

spada, avr compiuto l'opera di liberare dal'

Italia,

egli gi re di quella

provin-

cia che di

lunga

mano prepar
il

cotesta opera,

non

sar naturalmente

re

della

nazione?

Il

poeta

Giosu Carducci

373

non
lui

si

occupa

di ci:

ed anche senza chiedere a


s'

ragione di questi pensieri, sta e

intende la

sua canzone.

Non bisogna

cercare nella poesia

la politica,

che sono cose essenzialmente diverse. Quella


sentimento ed entusiasmo di anime generose, questa
sti.
il

pi delle volte calcolo

d'

ambiziosi e d'egoi-

Il

poeta vede un ideale purissimo di bene e


e,

gli

corre appresso,
della

quasi dimenticando

le

im-

perfezioni

natura umana,
attuazione:
di

ne chiede agli

uomini
cerca
l'

la

perfetta
e

l'uomo

di

stato

utile,

studiasi

ottenerlo

per ogni

modo; specula egualmente


immorale anche nel
fare
il

sul vizio e sulla virt,

bene. Cercando l'im-

possibile, la poesia migliora gli


tica,

uomini;
tristi.

la poliIl

cercando

il

reale,

li

fa

pi

poeta

non n
mente
il

realista

n repubblicano, semplice-

poeta della rivoluzione. Spingendosi nel

futuro, egli guarda agli avvenimenti che la rivo-

luzione matura, e mentre

li

predice
si

li

affretta.

Bench

le

parole del Carducci


si

volgano ad

un

re,

vedete eh' egli non

trattiene dal ricor-

dare

la infelice

ma
il

gloriosa lotta della repubblica

romana

del

849 contro quelle armi francesi che,


pontefice,

pur proteggendo

combattevano a Sol-

ferino per la rivoluzione italiana.

374

Libro Secondo

Itali

esempli far nel Barberino

venti giovani contro a Francia tutta


rotti di venti colpi
il

seno invitto.

un' altra cosa notate.

nella canzone, n in

alcun' altra poesia di quel

tempo, l'autore non


l'

ha una parola che accenni a simpatia per


peratore dei
Francesi.

imferli-

ci,

come dinota

mezza

di convinzioni, cosi fu

segno di animo

berissimo in quell'anno iS5g, in cui tutta Italia


era

ossequente

devota

all'

Imperatore Napo-

leone.

Ma
paura

le vittoriose
si

armi imperiali arrestate dalla

separano a Villafranca dalla rivoluzione.


si

Che importa? Non


zione, n

arresta per ci la rivolu-

riman

sola.

Un uomo
la

che non

re,

un

semplice soldato di ventura,


e
il

le offre la

sua spada

suo coraggio,

guida

in

Sicilia.

E
il

il

nostro poeta canta, dopo Vittorio Emanuele, Garibaldi.

L'ode

Sicilia e

la rivoluzione

se-

guito naturale della canzone al Re. Ci non parr


forse a chi nei rivolgimenti politici
si

vota ad un

partito e all'uomo che lo

rappresenta;
se

ma

chi

segue un' idea


derne
1'

e altro

non cerca
si

non

di ve-

adempimento, poco

cura degli uomini,


li

o se ne cura soltanto quando


tori di

vede propugnasi

quell' idea.

Se

gli

avvenimenti

sviano

Giosia Carducci

375

dal loro corso naturale,

non

fate colpa
essi

di consi

tradizione al poeta,

quando son
confortato
il

che

con-

tradicono.

Dopo aver

Re

alla guerra,
il

allorch questa improvvisamente cessa contro

voto della nazione, Enotrio pu ben domandare

seduti negli aulici scanni,


i

a che

patti mentite e la

pace

Perche' gli eserciti

tornano dal campo


il

alla ca-

serma, dovr egli cessare


se la patria

suo grido

di guerra,
?

non

ancora libera dagli stranieri

Mai no:

egli

prosegue con pi ardore che mai:


;

Presto in armi

presto in armi le cento citt.

Dalla canzone

all'

ode

progresso di idee, quel


la

progresso naturale di chi segue

rivoluzione:

ma

le

idee nella sostanza sono sempre le mede-

sime. Qualcuna accennata

un

po'

vagamente

si

determina meglio;
si

come

il

sentimento del poeta


si

fa coli'
le

andare pi intenso,
e pi bellico ed
le fiere

fanno anche pi

vive

immagini

impetuoso il suono

delle parole.

Dopo

grida di guerra, segui:

tava Enotrio nella canzone

Ma
con

pace a

te se

nieghi
il

a'

tuoi scettrati,

stirpe d'Arminio,
libert che
i

braccio, e te consigli

popoli compose.

376

Libro Secondo

Questo nobilissimo pensiero, nel quale

tacita-

mente condannata quella dura necessit


zioni civili che la guerra,

delle na-

avanzo

tristissimo di

barbarie, riappare
l'

pi

vivamente espresso nel-

ode.

Fra una

e un' altra nazione

non pu

es-

sere ragione di guerra, sola giusta e grande ra-

gione di guerra fra


Nella canzone
il

le

nazioni ed

loro oppressori.

poeta, tutto pieno del pensiero di


l'

liberare dal giogo austriaco

Italia,

aveva

in

un

impeto

d' ira

gridato

troppo, Italia mia, gli sembri forte


lurchi avventer la morte.

quando nei

Ma
tutti

nell'ode non son pi gl'Italiani


alla riscossa; la

soli
si

ch'egli

chiama
i

sua parola

volge a

popoli oppressi dalla tirannide, e quasi vo-

glia riparare F ingiurioso epiteto


il

con cui nomin

soldato dell'Austria,

si

volge affettuoso al Croato

e lo

chiama

fratello.

Dall'

ode Sicilia e
S.

la

rivoluzione al canto Agli

amici della Pieve

Stefano corsero sette anni

compiti, lungo spazio di


si

tempo ad un popolo che


l'

trovi nella condizione in cui allora

Italia, e
ne'
Il

pieno a questa di molti e gravi avvenimenti,

sempre

lieti.

Basti

rammentare Aspromonte.

quale ebbe pure da Enotrio

Romano un

Canto,

Giosu Cari/ucci

377

che finora rimase inedito, ed fra


cose di
lui.

le

migliori

Ospite per pochi giorni d'un amico


il

alla Pieve,

Carducci and a visitare

le

sorgenti
brindisi

del Tevere; e tornato a casa prepar

un

per un desinare d' amici, eh' un inno al gran

padre Tebro, a cui augura propiziando che cessi


alfine la servit.

Volgon, fiume

d' Italia,
:

ornai tropp' anni or via

che la vergogna dura


Ecco, un grido io
ti

non

pi.
a'

do

Morte

tiranni

portalo, o fiume, a Ponte Milvo, tu.

Portai con suono eh' ogni suon confonda,


portai con le procelle d'Apennin,
portalo, o fiume
;

e un' eco

ti

risponda

dal gran

monte plebeo,

dall' Aventin.

Aveva

l'Italia

scosso gi da otto anni

il

giogo

delle altre tirannidi, e

ancora nel cuor di


la

lei

du-

rava

la

pi iniqua e

pi

odiosa di tutte, la
ci

sacerdotale.

Qualche

politico
finche',

pu insegnare
le

ch'essa dura e durer

rinnovatesi

ge-

nerazioni, le menti dei moltissimi

non siano mon-

date dalla lebbra dell'ignoranza e della superstizione,

che sono ancora saldo fondamento


preti,

al

governo dei

governo, intendo, materiale e

morale, peggiore questo di quello.

Ma
e

ci potr

impedire
la

la nobile

indegnazione del poeta? Anzi


e

ecciter

pi

viva

pi

grande:

se

tra-

378

Libro Secondo

sportato dall' impeto


volta trascendere,
lentieri

dell' ira

egli

parr

alcuna

noi glie
alla

lo

perdoneremo vo-

guardando

cagione ed al fine delle


era
nella

sue parole.
gli

Enotrio,

che

stato

profeta
al

de-

avvenimenti

italiani

Cannone

Re

e nell'

ode

Sicilia e la rivoluzione,

parve pre-

sentire e predire

nel Brindisi agli amici della

Pieve l'ultimo movimento verso Roma.

quanto

dove compiacersi

di

vedere avverata
fine di

la

sua pre-

dizione, tanto la disgraziata

quel moto

dov

straziargli

il

cuore, e accumularvi
di

nova

pi terribile mole d'odio e


le

sdegno. Sorgano

occasioni, e dal petto del poeta


la bile;

eromper

tre-

menda

ad esprimere

la

quale non repu-

tando sufficiente nessuna delle forme poetiche da


lui

usate fin qui, ne tenter una nuova.

IX

questa nuova forma, di cui egli ha gi fatto


la

prova nel canto Agli amici della Pieve, glie


mostrer
il

suo antico maestro, Orazio.


s:

Ma

quello

che

il

latino diceva di

Tarios ego

jambos

ostendi Latio numeros animosque secutus


Archiloclri,

non

res et agentia verba

Lycamben,

Giosu Carducci

379

lo

pu con maggior ragione

dire l'italiano; che

l'Epodo a Canidia venefica sfrener nel vincitore


di

Mentana

e nell' uccisore di
le

Monti

e Tognetti.

Nonostante

mende non

lievi

che ad alcuni
nonostante che
il

parve di notare ne' due Epodi,

con

essi,

secondo l'opinione di un amico mio,

poeta minacci talvolta di allontanarsi dalla vera


bellezza dell' arte, a
la

me

parvero e paiono ancora

poesia pi fortemente sentita, pi originale, pi


di

nuova
negli

Enotrie

Ho
di

sentito
fatto

qualcuno dire che

Epodi Enotrio ha
di

uno strano accoz-

zamento
dizio,

Orazio e

Victor Hugo. Questo giu-

che preso cosi assolutamente una grande


ha,

esagerazione e un grosso sproposito,


quasi tutte
posito,
le

come
spro-

esagerazioni, e

come qualche

una piccola parte

di vero. Certo ne'

due

Epodi, specialmente nel primo, per Odoardo Corazzine


si

sente che

il

poeta,

prima

di scriverli,

avea

letto, e forse letto di fresco, gli

Chtiments ;

ma

qualche frase e qualche concetto derivati dal


l'

poeta francese e

afflato lirico

che diresti pasl'ispi-

sato da questo nel nostro

non scemano n

razione, n l'originalit dell'italiano.

Piuttosto nella prima parte del secondo


(per

Epodo
il

Monti

Tognetti)
del

non

saprei

lodare
il

cinismo

sarcastico

discorso

che

poeta

380

Libro Secondo

mette

in

bocca al pontefice; non

lo

saprei lo-

dare, perch fuori del vero o di quello che dee

parere

il

vero

alle

moltitudini. E, secondo me,

nella poesia di questo genere niente efficace a

muovere
la

gli affetti

quanto

il

vero espresso con

maggiore semplicit e brevit; anzi esso solo


Il

efficace.

Carducci per voler troppo, a parer


il

mio, non ottiene

suo scopo. Naturalmente

io

giudico dalla impressione che ho provato; e pu


ben. essere

che questa non sia giusta per qualche

difetto nel

modo mio
udire

di sentire e

ad

altri, se

han

provato altro
samente.

effetto, parr,
il

dee parere, diver-

pontefice che rivolto al suo

primo antecessore

gli dice:

A
io

te,

Piero, bastarono gli orecchi


;

taglier la testa

a leggere del

Padre Curci che


io

tiene in briglia
tratte-

Ges al Sacro Cuore,


nere un sorriso.
luto sorridere.

non ho potuto

in

questa poesia non avrei vo-

Ma

queste, ed altre

mende che possano

esserci,

niente tolgono alle sovrane bellezze degli Epodi;


co' quali

Enotrio ha incontrastabilmente provato

due

cose,
fra'

che quanto a potenza

lirica egli

il

primo

nuovi poeti

d' Italia, e

che niuno me-

Giosu Car aucci

381

glio di lui

pu

essere

il

vero poeta nazionale del

nostro tempo. L'ultima parte dell'Epodo primo

una grande vendetta


li

di

Mentana. Tutti
il

gli sde-

gni e

odii degl' Italiani contro

Pontificato

Ro-

mano sembrano
li

passati nel cuore del poeta, che


I

ha

trasfusi tutti in quei versi.


lirico e

quali per

mo-

vimento

drammatico, per inaspettati pasnovit d'immagini e di

saggi, per grandezza e

concetti sono qualche cosa che in Italia

non

si

era ancora sentito.

Il

giovinetto Corazzini lasciava


e la fanciulla a lui

morendo
in

la

madre

promessa

matrimonio. Ora Enotrio, dopo aver toccato

delle

madri e delle fanciulle che a Mentana peri

derono

figli

e gli sposi, esce con

un passaggio
perfetto,

felice in questi versi,

dove

tutto

mi pare

dove

la
1'

semplice collocazione delle parole ma-

nifesta

arte di

un grande ingegno poetico


man torrommi
dove
fra

Ma

io

per

questa madre

vedova, questa sposa

vedova

e,

sue turbe ladre

quel prete empio riposa,

me

u'

andr.

Da

questo punto fino alla fine


di calore

1'

Epodo va

cre-

scendo

ed ha luoghi di novit e

di bel-

lezza stupendi.

382

Libru Secondo

Disse cosa molto vera e molto giusta chi pa-

ragon

il

secondo Epodo ad una musica Rossii

niana, che passa maestrevolmente per tutti


e tocca tutte le corde del cuore. Io,
ticato

toni
cri-

come ho
due mi

francamente ci che dispiacevami nella


parte, cosi dico che le altre

prima

piac-

ciono quasi interamente, e paionmi agguagliare


e forse avanzare di pregio
il

primo Epodo. Par-

lando del Monti,

il

poeta dice:

Crescean tre fanciulletti

all'

altro intorno,

come
la

novelli del castagno al pie:


tristi,

or giaccion

e nel morente giorno


te.

madre

lor

pensa tremando a

Oh

allor che del

Giordano

ai

freschi rivi
virt,

traea le turbe

una gentil

e ascese alle citt liete

d' ulivi

giovin Messia del popolo Gesii,

non tremavan

le

madri: e

Naim

in festa

vide la morte a un suo cenno fuggir,


e la piangente vedovella onesta
tra
il

figlio

e Cristo

baci suoi partir.

Sorridean dai
i

cilestri

occhi profondi,

pargoletti al bel Profeta umil:

ei

lacrimando entro
la

lor ricci biondi

mano ravvolgea pura

e sottil.

Giosu Carducci

383

Ma

tu col

pugno

di peccati

onusto

calchi a terra quei capi,


e sotto
il

empio signor,

sangue del paterno busto


il

delle tenere vite affoghi

fior.

Tu

sugli occhi de' miseri parenti,


(e son tremuli vegli al par di te),

scavi le fosse ai

figli

ancor viventi,
re.

chierico sanguinoso e imbelle

lodare questi versi le troppe parole son poche,

e le

poche son troppe. Mi parrebbe

di fare

un

in-

giuria ai lettori,

supponendo che a gustarne

le

bellezze avesser bisogno di chi venisse loro

mo-

strandole a parte a parte.

Arrivato a questo punto del mio scritto senza

aver parlato ancora della poesia nella quale com-

parve per

la

prima volta

il

nome

di

Enotrio Ro-

mano, confesso candidamente che, studiando nei


versi di lui lo svolgersi del suo ingegno,

non seppi

trovare luogo accomodato per V Inno a Satana.

Cotesta poesia, che pure ha grandi pregi, ed


importante,

perch quanto alla forma segna

il

passaggio
nere,

dell'

autore dal primo al secondo gefuor d opera fra le altre,


1

mi pare come un

nella variet delle quali so

pur trovare qualche

cosa in cui tutte


il

convengono. Io non nego che

concetto del Satana sia moralmente giusto,

ma

dubito che

come concezione

poetica esso risponda

384

Libro Secondo

interamente a quella idea del vero, del determinato,


del conveniente, fuori della quale

non

c'
il

compita

bellezza d'arte. Satana per Enotrio


dell'essere, la

principio
il

materia e

la forza, la

ragione ed

senso.
tarsi

Da Satana
di

quindi l'eterno incessante agi-

questo misterioso universo; da Satana


e
i

l'amore

la vita delle piante e degli

animali;

da Satana da Satana

godimenti dell'intelletto
la

e del

corpo;

scienza e la ribellione.

Volete sa-

pere finalmente chi Satana? Udite.

Un

bello e orribile
si

mostro

sferra,

corre gli oceani,

corre la terra

corusco e tumido

come
i

vulcani,

monti supera,
i

divora
sorvola
i

piani,

baratri;

poi

si

nasconde

per antri incogniti,

per vie profonde;

ed esce; e indomito
di lido in lido

come

di turbine
il

manda

suo grido.

Come
1'

di turbine

alito

spande:

ei

passa, o popoli,
il

Satana

grande.

Giosu Canili: ci

385

Ninno

certo potr dire che questi versi


del Vapore; e

non sieno
non sono
nell'in-

una mirabile descrizione


i

soli bei versi

che sieno nel Satana.


e'

Ma

sieme del lavoro

qualche
e nella

cosa che
c'

non mi qua
e l

appaga interamente,
del volgare.

forma

X
Nessun romore ha levato
dei
in Italia
il

volume

Levia Gravia, bench

il

nome

di Enotrio sia

conosciuto e pregiato.

Ma

quello non libro che

possa gradire nei gabinetti delle signore eleganti;


e

un po'

di

fama

ai

letterati,

massime

ai poeti,

oggi dispensasi in Italia anche dalle signore. Sa-

rebbe poi una impertinenza

il

credere che qual-

cuno
di

sia

mancato
fatto

il

coraggio civile di parlare

un uomo

segno,
il

non molto tempo


libro, alle

in-

nanzi che uscisse

suo

censure e ad
sia di

una punizione del Governo? Comunque


ci, la

ragione della sua poca fortuna

il

volume
in s.

dei Levia

Gravia per gran parte

1'

ha

poesia troppo pensata e troppo dotta, e che per

non pu essere intesa

gustata se non da pochi.

Chi non abbia una conoscenza almeno mezzana


del

mondo
25.

greco e latino, in qualche canto non

Chiarini.

;S6

Libro Secondo

intender nulla, e in
dell'oscurit.

tutti

trover pi o

meno

questo un pregio o un
1'

difetto?

N
i

P una cosa n

altra.

Se no, resterebbe che

poveri autori, prima di scrivere qualche cosa,


i

appiccassero

cartelloni alle cantonate delle vie


al clto

per domandare
e in

pubblico in qual forma

quale

stile

vuole essere servito.

Non
Fra
tori
1'

per questo io consiglierei Enotrio di tor-

nare spesso alla sua prima maniera di poetare.


essere

ammirato da qualche diecina


d' eleganze, e

di letle

che han gusto

commuovere

centinaia, egli deve preferire questo secondo, ch'


il

pi alto ufficio del poeta.

Ma

qui

si

che dee
quale

fuggire a grande studio ogni oscurit, la

sarebbe vizio gravissimo. Scrivendo per


titudini,
il

le

mol-

poeta deve a tempo e luogo saper diil

menticare

molto eh'

egli sa e

rammentarsi del

non molto che sanno


o
fatti di

quelle.

Ogni allusione a cose

troppo peregrina erudizione, ogni imfrase troppo lontana dal

magine o

comun modo
un ostacolo

di sentire, di vedere, d' esprimersi,


al fine

che

1'

autore deve proporsi. Io so ch'Eno;

trio in poesia aristocratico

ma
il

anche so che
poeta,
il

intende e sente meglio di

me
alla

che

quale

vuol parlare

al

cuore e

mente

di molti,

pu

dire tutto ci che

vuole e riuscire chiarissimo,

Giosu Calducci

387

senza mancare, non dico alla


alla pi schietta eleganza.

convenienza,

ma

Oltre

l'

accusa di oscurit che


si

pi fanno ad

Enotrio, c' anche chi


bia
egli

duole eh' egli non abpropria, che

come poeta una fisonomia sua

abbia tentato molte maniere senza trovarne


e

una veramente sua,


stesso
trio,

che

sia talora,

anche in uno

componimento, ineguale. Nelle poesie d'Enoio ci

mi diceva un amico,
il

trovo ora Orazio,

ora

Monti, ora

il

Leopardi, ora Victor

Hugo;

non

ci

trovo mai Enotrio. Ealsissimo. Nessun

poeta vivente ha forse scolpito cosi forte ne' suoi


versi l'impronta di s,

come

lui.

Chi paragoni

primi sonetti e

le

prime odi del Carducci


ci

agli

Epodi
dubbio

di
il

Enotrio Romano,

riconoscer senza

medesimo autore, modificato certamente,


il

ma sempre
stile

medesimo. Qualche ineguaglianza


in

di

non pu negarsi che

qualche componimento

ci sia;

ma

tali

ineguaglianze derivano quasi semrec pi volte


la

pre da ci, eh' egli

mano ad

uno

stesso lavoro ad intervalli di

tempo non sem-

pre brevi.
Si studi Enotrio di evitare

questo sconcio, e

d'essere sempre chiarissimo; tempri qualche so-

verchio

ardimento,

qualche impeto soverchio;


fa,

cerchi pure,

come

la

forma del reale a colpi

Libro Sicondo

fieri

e risentiti,

ma

si

guardi da tutto ci che

pu offendere

la castit della

Musa;

e la poesia

degli Epodi, purgata delle poche


la offuscano, gli acquister nella
il

macchie che ora


opinione dei savi
i

luogo che

gli si

compete

fra

nostri migliori

poeti, e far ricredere chi dice

eh' egli

non ha

una propria fisonomia.


1869.

(DOPO

IL

869)

o ristampato, sfrondandola un po', cor-

reggendone qualche espressione

e reci-

dendone qualche giudizio

de' pi falsi, la

prima parte di questo


posta tredici anni
fa,

scritto sul Carducci,

com-

non perche'

io la

creda uno

studio critico,

come

allora la intitolai,

ma

per-

ch mi pare che possa avere qualche importanza

come documento

storico.

Ed anche
pata.

per un'altra ragione l'ho ristam-

Fra

la

molta rettorica,

molti fronzoli e

le

molte idee storte ed anguste, una cosa mi pare

390

Libro Secondo

debba vedersi
lodar troppo

in quello scritto, la

mia paura
forse

di

l'amico; paura che


difetti

mi

fece

notare
paiono.

come

cose che ora difetti

non mi

Ma

quella paura

non mi
il

tolse di dire

che quanto a potenza

lirica
i

Carducci era,
d'Italia.

secondo me,

il

primo fra

nuovi poeti
si

dell'aver detto ci

quando

faceva

un gran

chiasso

intorno ad altri poeti molto inferiori a

lui, e di lui si

taceva quasi non esistesse; quando

chi osava parlare delle poesie del Carducci correva


tutto
il

rischio di sentirsi rispondere

(come

fu pi

volte risposto a me):

-Oh
-

si,

il

Carducci scrive

molto bene in prosa


plari dei

quando

dei trecento esem-

Levia Gravia dopo quasi un anno dalla


si

pubblicazione non
toscritti dagli

erano venduti che

pochi

sot-

amici e dai conoscenti degli amici;


quelle parole

dell'aver detto e stampato allora


io

ho dovuto

debbo compiacermi non poco ora


e

che
che

tutti gl'Italiani,

prima

degl'Italiani qual-

straniero, le

hanno splendidamente confer-

mate.

Questa compiacenza (perch nasconderlo?) ha


dato anch'essa

una spinta

alla

ricomparsa

in

pubblico
critica.

di

quel mio

primo

mostriciattolo di

Ma

rimandarlo

fra la gente letterata, che,


lo

per

mia fortuna, o non

aveva

mai visto

Giosu Carducci

391

in viso,

o s'era

dimenticata

le

sue fattezze,

ri-

mandarcelo

cosi solo solo, senza


il

aver fatto altro

che lavargli un po'

viso,

sarebbe stata una

mancanza
terata, e
io

di rispetto e verso la detta gente let-

anche un po' verso l'amico mio. Perch


di scarabocchiare sopra

sono padrone

un

fo-

glio di carta

una

figura o

un'ombra pi o meno
il

cervellotica, metterci sotto

nome
il

di

quel Tizio

o quel Caio che mi ronza dentro

cervello nell'atto

dello scarabocchiare, e presentarla al rispettabile

pubblico;

come

dal canto suo

il

rispettabile

pub-

blico, se trova

che fra la mia

cervellotica

ombra

signori Tizio e Caio c' tanta


fra

somiglianza
la

quanta

l'ombra di un asino
Belvedere,
e

statua del-

l'Apollo
l'asino a

di

padrone di dare delio

me:
il

quando
si

ho ricevuto

cosi

il

mio

avere,

premio,

direbbe, delle mie fatitranquilla:

che, la

mia coscienza

ma

la

mia

coscienza non sarebbe niente affatto tranquilla,


se

mi

sentissi

dare triplicato

il

detto premio per


fa,

quel mio scarabocchio di tredici anni


esso

poich

cosa ben diversa dall'ombra del Carducci

poeta quale oggi mi sta nella mente.

Diamo dunque
un
po' di

quel povero mostriciattolo


lo

compagno che

sorregga
;

nello

spi-

noso cammino

della pubblicit

facciamo almeno

392

Litro Secondo

un
pel

tentativo

perch la mercede che mi


si

si

deve

mio lavoro mi

dia scempia e non tripli-

cata.

II

Riparlando del Carducci poeta,


pi da storico che da critico.

io

ne parler

D' un'opera d'arte non

si

pu

non

si

potr

mai dare un

giudizio assolato, perche' criteri as-

soluti d'estetica

non

ci

sono. Ci che pare bel-

lissimo ad un'et,

par

men

bello ad un'altra;

parr brutto a una terza; torner forse a piacere

ad una quarta o a una quinta.


delle et,
Io
si

quel che

si

dice

dica delle scuole e degli individui.

chiamo

bella un'opera d'arte, perch


la

mi

piace;

Tizio a cui non piace,

chiama brutta. Chi

quel Caio, che possa


fra noi

farsi

giudice inappellabile
I

due, e dire chi ha torto o ragione?

cri-

tici estetici

potranno tirare

in ballo

il

vero, la na-

tura, e quant' altri bei


la

nomi

lor piace;

ma

il

vero

natura e tutte quell'altre belle cose indicate

da que' bei
individuo,

nomi
le

ogni
le

et,

ogni

scuola,

ogni
a

vede,

sente, le rappresenta

modo

suo, secondo l'impressione che ne riceve,


dell'arte.

secondo l'idea che ha

La

critica este-

Giosu Carducci

393

tica

non

stata

non potr mai essere pura-

mente oggettiva.

Quando, parlando
corregge
gli

d'arte, si dice

che

il

tempo
mette

errori delle et precedenti,

ogni cosa al suo posto, e rende


zia, si dice
si

tutti giusti-

una cosa che non

in tutto
il

vera:

dovrebbe semplicemente
cose;

dire che

tempo

muta molte
tutte le sue
zia
?

ma

che ne sappiamo noi se

mutazioni sieno conformi a giustii

Tuttavia non pu negarsi che

meno

adatti
i

a giudicare

un

artista e

un'opera d'arte sieno

contemporanei, perch nel loro giudizio esercitano maggiore influenza


le idee, le

opinioni e

il

gusto

del

tempo

della scuola alla quale ap-

partengono, cio quelle

medesime

idee, quelle

medesime

opinioni,

quel

medesimo gusto che


sull'artista e sul-

esercitano pure

una influenza

l'opera da essi giudicata.

Per

la

lunga consuetudine

e intimit

mia

col

Carducci, e per gl'intendimenti


dirizzo degli studi che
fin dalla

artistici e l'in-

ho avuti comuni con esso

giovent, io

mi

sento poi

meno
un

atto di

qualunque
di lui

altro a dare intorno all'opera poetica

un

giudizio che possa avere

qualsiasi

valore oggettivo.
detto, pi

Per

ci

ne parler, come ho
critico; noter dei

da storico che da

394

Lilro Secondo

fatti,

cercando con ogni potere di astenermi dai

giudizi.

Cominciamo
tuna degli
la

dal notare, per la storia della for-

scrittori e dei libri in Italia,

che quando

pubblicazione dei Levia Gravia pass poco

meno

che inosservata dinanzi alla cosi detta stampa periodica,


il

Carducci avea gi composto e stam-

pato l'Ode Agli amici della Pieve S. Stefano,

l'Epodo Per Odoardo Combini, quello Per Monti


e

Tognetti, e

1'

Ode Pei

tipografi di

Bologna ;

avea gi composto

e stampato,

prima ancora di

tutte queste poesie, Y

Inno a Satana, divenuto poi

troppo famoso, tanto famoso, che un giorno l'autore,


indispettito di sentirsi

sempre invocare poeta

di

Satana, fece dell'

inno troppo severa giustizia con


chitarronata (salvo cin-

queste parole:

Non mai
mi

que o
gare
in

sei strofe)

usci dalle

mani tanto

vol-

(i).

Vero che dell'inno composto

a Firenze

una

notte del settembre i863, e stampato nel


del
1

novembre
anno
tirati

865 a Pistoia con

la

data - Italia

mmdcxviii dalla fondazione di

Roma

- furono

pochi esemplari e non messi in vendita;


1

ma
la

anche vero che quando nel

868 furono per


le

prima volta pubblicate dal Barbra

poesie di

(i) Prefazione ai Levia Gravia nella edizione Zanichelli.

Giosu Carducci

395

Giacomo

Zanella, dove fra molta roba mediocre

c'erano alcuni

pochi

componimenti
fu

di

gusto

veramente virgiliano,
lutata la

molto enfaticamente saastro nel


nel

comparsa

di

un nuovo

poe-

tico cielo d'Italia; e

non meno vero che

1867

l'Eccellenza di
letterata,
sito della

un Ministro molto

eulta e

molto

sentendo parlare del Carducci a propocandidatura dell'onorevole Minghetti a


lui osteggiata,
?

Bologna da

domandava:
fatto
?

Chi

questo Giosu

che cosa ha

ha forse

fer-

mato

il

sole?
torto al Carducci

Veramente faceva meno


avere fermato
il

non

sole,

che a quella Eccellenza


il

aver fermato la sua attenzione sopra


lui soltanto
politica.

nome

di

per dato e fatto di una candidatura

Tutto

ci

si

nota unicamente

come

indizio delle

condizioni letterarie del tempo, e

dell'

influenza

che

la

signoreggiante politica dei moderati eser-

citava sopra di esse.


Il

Carducci seguit per

la

sua strada. Negli


i

anni 1869 e 70 scrisse

fra le altre cose

sonetti

Heu pudor,
insistere,

le

No\\e

del mare, la Consulta aral-

dica e In morte di Giovanni Cairoli. Ci era

un

rincarando la dose, sulle qualit degli


le fibre

Epodi che aveano maggiormente urtato

396

Libro Secondo

delicate degli Italiani permettentisi

il

lusso e lo

spasso di leggere poesia. Alla gente avvezza a


gustare, in fine d'un pranzo, tutto
ticoli della

composto d'arla

Nazione

dell'Opinione,

crema

virgiliana dello Zanella, e a masticare nelle ore

d'ozio
dell'

dello

stomaco

cioccolatini
(si

patriottici

Aleardi, quella roba


Il

capisce) dovea sa-

pere di forte agrume.

Carducci mandandoscrisse:

mene

a leggere

una volta mi

Eccoti

dell'ira di Dio.

quell'ira di

Dio mi scuoteva,
e

mi faceva

restare

ammirato, ammirato

con-

tento, perch rispondeva a

qualche cosa che sen-

tivo ribollire anch'io gi nel cuore, e che avea

bisogno di sfogo. Lette

le

No{^e

del

mare

e la

Consulta araldica, trassi un lungo respiro, mi

parve di potermi muovere pi liberamente.

Ma, debbo

dire la verit, in qualcuna di quelle

poesie ci trovavo anch'io qualche cosa che


po'
i

un

m'urtava: colpa forse


Il

le

vecchie abitudini e
di retto-

pregiudizi di scuola.

mio maestro
prete,

rica,

un buono

e santo

che nei tre anni

ch'io fui sotto la sua disciplina mi spieg e mi


fece imparare a

memoria

tutta la Divi?ia
certi passi

Com-

media, quando s'arrivava a


brosi,

un

po' sca-

me

li

faceva saltare, non senza spiegarmi


e

modo suo come

perch un brav'uomo come

Giosu Carducci

397

Dante

si

fosse lasciato

andare a scrivere quelle

cose. Io

non ricordo

pi,

dopo tanto tempo, che


;

cosa fossero quelle spiegazioni l'impressione che

ma

ricordo che

me

ne restava era questa, che


fatto

insomma Dante avea


che avea
scritto,

male a scrivere quello

perch certe cose in poesia, e

nemmeno

in prosa,

non

si

debbono

dire.
:

Una

sera tornavo da Firenze a Livorno


giornale, la

avevo

preso un

Riforma, per aver qualil

che cosa da leggere durante


il

viaggio: mossosi
capita inaspetta-

treno, apro

il

giornale, e

mi

tamente sotto

gli

occhi la poesia

Per Giovanni
bi-

Cairoli: la leggo e rileggo,

come ho sempre
vera
;

sogno

di

fare

della

poesia

e sento, pi

forte e pi distinto alla

seconda lettura che alla

prima, destarsi

in

me

fin dalle

prime

strofe

un

sentimento profondo misto di piet e d'ammirazione: alla settima strofa questo sentimento s'arresta

un

po'

bruscamente per dar luogo ad un

altro affatto opposto, misto di disprezzo e di sde-

gno; poi dopo due strofe


poco a poco
ripiglia e

il

primo sentimento a
fin

va sempre crescendo

verso la fine della poesia, dove dallo spettacolo


dell'eroico dolore della

madre sedente
lei dati

sulle

tombe

dei quattro

figliuoli

da
la

alla

patria, seil

dente ad

aspettare

morte

liberatrice,

lei-

39

Libro Secondo

tore con felice

passaggio

condotto alla con-

siderazione di spettacolo ben diverso, lo spettacolo dei moderni Bonturi gavazzanti nell' orgia.

il

passaggio mi parve che sarebbe stato anche


felice, se

pi

non

vi si

fosse

intromessa quella
po' la ve-

strofa delle nuore, che

rammentano un

dova sposa

nell'

Epodo

pel Corazzini, e costrinl'

gono

il

poeta a ripetere

immagine

della morte,

gi accennata con le

tombe

sulle quali siede la

madre.
e nera

Suoi segni stende per

le

avite stanze

La morte. Ma
Rifulgon
liete e

d'auguri

suonano di danze

Le

case de' Bonturi.

La

descrizione breve e vigorosa della festa e del-

l'orgia nelle

due

strofe seguenti

mi parve molto
l'

bella

ma
cani

nella strofa

appresso
in

immagine
presa

di

quei

accoppiantisi

pia${a,

dal

Heine, mi spiacque, e con un senso di disgusto

mi scem l'impressione
mio parere; ed
in

della chiusa bellissima.


scrissi al

Cosi parvenu allora: ne


egli

Carducci

il

mi

rispose:

Vedi, dei cani


lo

piatfa avrai ragione:


poesie

ma

perdonami, non

levo. Coteste

han da rimanere per ora


va-

come

sono.

Tanto

ideale, tanto mistico, tanto

Giosu Carducci

399

pore, tante sfumature

hanno avuto

g' Italiani

oh sentano un p
reale
!

del

crudo vero, del

villano

Quando penso
certi

alle smorfie
che.... e

che faranno leg-

gendo
io

uomini,

certe signore, che....

ne godo.

Prima

della pubblicazione dell'epodo pel Cai-

roli (nella

Riforma

del i4 febbraio 1870), fu


//

ri-

stampato nel giornale

Popolo
il

di

Bologna

1'

8 di-

cembre 1869, che

si

apriva

Concilio ecumenico,

Virino a Satana. Nella medesima


noti la coincidenza)
il

occasione
il

(si

Swinburne scriveva

suo

Inno dell'uomo

(1),

poesia molto diversa, quanto

a concezione artistica, dall'epodo del Carducci,

ma

ispirata dallo stesso sentimento e

mossa dallo

stesso pensiero.

La ristampa doWInno a Satana


spaio.
Il

suscit

un veforse

buon
il

Filopanti, nella cui


liberale,

mente stava

nascendo

Dio

non pot mandar gi


antico

cotesta glorificazione

dell'
ne'

avversario del

suo eroe,

e la

chiam

pi n

meno

che un'oril

gia intellettuale.

Non

ci

voleva altro, scrive


si

Carducci;

tutti

per qualche giorno


i

occuparono

dei fatti miei:

democratici politici sbofonchia-

rono,

filosofi

compassionarono,

clericali

mi

(1) Son^s bcforc

Saurise, pag. 109.

400

Litro Secondo

paragonarono
lettere pi

al

Troppmann,

e nei giornali e per


l'in-

meno anonime mi promisero


il

ferno senz'altro: fino


le

bordello spalanc tutte

sue camere per dirmi

Fatti in
mi sbuff
(i).

l,

tu se' inviso

decente,

la

fogna

in

una

vampata d'indignazione

La polemica che
la

ne segui giov non poco alla fama dell'Inno,

quale cominci veramente allora: e allora anche

cominci a

farsi

largo tra la folla la poesia del Cars,

ducci; cominci a farsi largo da

non senza qualsi

che spintone e qualche gomitata. La gente

vol-

tava indispettita borbottando a guardare questa

ruvida

maremmana, che

co' suoi

scarponi di vac-

chetta fangosi insudiciava e

ammaccava qualche

stivalino di pelle lucida, schiacciava qualche delicato callo patrizio o borghese; e lei senza ba-

dare tirava di lungo per la sua via,

come
la

chi

ha

da

fare altro

che complimenti

ma

gente,

pur

seguitando a borbottare, a gittarle dietro qual-

che occhiataccia e qualche parola poco cortese,


sentiva in cuor suo che cotesta

musa plebea faceva

passando qualche cosa di nobile e di generoso.

UInno a Satana
cui
si

e gli

Epodi erano poesia

di

poteva nel 1870 dir male,

ma

non

si

po-

(1)

Note

alle Poesie,

ediz.

Barbra, pag. 315.

Giosu

Carducci

401

teva

non badarvi:

e vi

bad anche un editore

famoso.
Gli editori,
le pratiche di
si

sa,

fanno

il

loro mestiere: e fra

questo mestiere c'entra l'andare a

caccia delle nascenti reputazioni letterarie.

Non

appena ne veggono una


reti

levarsi sull'ali, tirano le

delle

loro

offerte

graziose, ce la stringono

dentro, ed acchiappatala se la portano a cucinare


nelle tipografiche loro cucine
essi,
;

nelle cucine

dove

poveretti,

si

ristorano poi delle loro fatiche

mangiando
il

l'arrosto dei fogli di banca, e lasciando

fumo

della gloria agli autori.

Parve nel 1870 a Gaspero Barbra, editore


delle poesie dell'Aleardi e dello Zanella, che fosse

venuto

il

momento

di tentare se la

poesia del

Carducci, bench tanto diversa da quelle, e tanto

poco

all'

unisono con

le le

opinioni e
opinioni e

sentimenti

suoi di moderato, con


della

sentimenti

maggioranza
di quella

italiana

moderatissima, fosse
gli editori

pure va
:

roba che, come


al

dicono,

propose

Carducci

di

stampare una racmettere nel

colta dei

suoi versi.
il

Ma

bisognava

frontespizio

nome

proprio di Giosu Carducci,


in carattere

aggiungendovi tutt'al pi

pi

pic-

colo e tra parentesi quello di Enotrio


e

Romano;
mettere

bisognava tornare
26.

all'

uso comune

di

Chiarini.

402

Libro Secondo

la
rie.

maiuscola in principio d'ogni verso. Piccine-

Ma

il

Carducci, grato

al

Barbra, che a lui


col

ignoto e bisognoso avea

offerto

lavoro cento

il

me^o
teca

di addimostrarsi

(pagandogli

lire

codine per ciascuno dei volumetti della biblio-

diamante, che a
profitto di

lui

editore

portavano in

media un

2000

lire l'uno,

come

ci fece
i

un giorno toccar con mano, mostrandoci


libri di conti),

suoi

grato in ogni

modo
non

al Barbra,

che

lo

aveva anche giovato d'aiuto paterno


diffcile della vita (1),

in qual-

che caso
s'

fece difficolt,
:

intende, per codeste

due condizioni
il

e fu con-

clusa la stampa. Nell'aprile

Carducci mise mano


in tre libri,

a preparare
cennali,

il

volume, che divise

De-

Levia Gravia, Juvenilia, comprendendo


gli

nel

primo VInno a Satana,


inedita

Epodi
negli

qualche
altri

poesia
tutte le

anteriore al 70,

due

poesie della

prima edizione dei Levia

Gravia, con qualche cosa di pi, e con di


il

meno

Prologo, che l'editore non volle ristampare per

certe allusioni a

un

letterato

toscano allora

vi-

vente.

(1) Prefazione alle roesic, ediz. Barbera, pag.

XXI.

Giosuc Carducci

403

III

L'anno 1870

fu triste al Carducci. Oltre le ca-

gioni d'amarezza che gli venivano dalle cose pubbliche,


ai

n'ebbe

di private e gravissime. Gli


la

mori

primi di febbraio

madre, donna d'alto animo


lui giovinetto

e virt rare, che

aveva a
il

insegnato

a leggere l'Alfieri e

Berchet, che aveva in cirle

costanze

diffcili
si

retto

con

sole sue forze la fa-

miglia, che ora

riposava dai lunghi dolori e tra-

vagli nella casa del figliuol suo, compiacendosi

dell'aureola di gloria
giarla. Gli

che cominciava a irragil

mori

ai

primi di novembre

suo bam-

bino, Dante, l'unico maschio.

M'avea annunziato

qualche giorno innanzi


il

la malattia,

non grave,

e
il

miglioramento:

io lo

credeva gi guarito, e

quindici ricevo una lettera, con la notizia

e la

descrizione della morte, violenta, straziante.


cosi

E
a

mi

mori, scriveva l'amico mio.

Mi mori

tre anni e quattro

mesi; ed era bello e grande

e grosso, che pareva per l'et sua

un miracolo.

Ed

era

buono

forte e

amoroso, come pochi.

Come amava la sua mamma, e che cose gli diceva! E diceva Salute, o Satana, O ribellione

con

tutta la sua gran voce, picchiando la

ma-

404

Libro Secondo

nina su la tavola, o

il

piede in terra.

io

aveva

avviticchiato intorno a quel


gioie tutte le

bambino
il

tutte le

mie

mie speranze tutto

mio avvenire:
nell' ani-

tutto quello che

mi era rimasto

di

buono
testina.

ma

lo

avevo deposto su quella


innanzi, era
;

Quando
levasse
il

mi veniva
sole nell'
testa,

come

se
la

mi

si

anima quando posavo

mano

su quella
il

scordavo ogni cosa


il

trista, e

l'odio e

male;

mi

sentivo allargare
il

cuore,
e

mi sentivo buono.

Povero

mio bambino,

povero me: come vuol

essere tristo quest'altro pezzo di vita, quest'altro

pezzo di vita che


derare

io

mi era avvezzato a consida


lui rasserenata

come

tutta data a lui e

e confortata.

Mi pareva che dovessimo cammila strada, lui a sorei

nare insieme; io a insegnargli

reggermi, finch io mi riposassi, ed


pi sicuro e

seguitasse

meno

triste di

me. Lo volevo cree

scere libero, forte,

modesto;

l'indole

sua mi

prometteva certo che sarebbe. Avrebbe, a un mio


mancare, sostenuto
la

madre sua

e le sorelle:

si

sarebbe ricordato di me, e avrebbe mantenuto

onorato

il

mio nome. E ora


non
pi

tutto quello che

stato, stato, e

vero nulla

....
I

inutile

che tu

ti

provi a consolarmi.

primi

giorni ho pianto e ruggito in silenzio

meco stesso.

Giosu Carducci

405

Ora mi sono messo a

studiare.

Il

tempo rammarsanarla non mai.

giner un poco la cicatrice;

ma

Consolazione non ce n' pi per me. Quando s'ha

un'anima come
mio, e
ci si
si

la

mia

un bambino come

il

perde quel bambino in quel modo, non

consola, no, no.

Ora

poi odio anche la na-

tura.

No:

io

odio tutto quel che male, e la

morte dei

figliuoli
si

un male.

penso a
il

te e al

tuo figliuolo che


daci, caro

chiama come

mio. Guar-

amico:

non

ti

minacci n pur da

lontano

1'

ombra
il

di

quel che avvenuto a me.


di

Ahim,

nome

Dante, dato con tanto


primi
figliuoli,

lieti

presentimenti
serci infausto!

a' nostri

doveva

es-

chi de' mali della vita, sian pure gravis-

simi, se ne fa

una ragione,

li

sopporta rasse-

gnato, aiutandosi a ci con la filosofia o con la


religione
:

ma

veramente, se tu

assisti al

disonore

della patria, e
e

non

ti

monta
d'

il

sangue

alla faccia,

non
ti

ti

senti

bisogno

imprecare e di maledire;

se

muore un

figliuolo, e abbassi

compunto

la

testa dicendo: sia fatta la volont del


ci,

Signore;

pi che dalla religione e dalla


fibre del tuo

filosofia, di-

pende dalle

cuore

e del

tuo cervello:

ovvero, per essere religiosi o


il

filosofi,

bisogna avere

cuore e

il

cervello fatti in

una certa maniera.

406

Libro Secondo

chi,

come

il

Carducci,

li

ha

fatti

diversa-

mente, certi dolori fanno uno strappo nell'anima,

che non

si

rammargina

cosi presto: e

da quello

strappo sale, sale su al cervello un denso e tristo


vapore, che
ti

avvelena

tutti
gli

pensieri, che

ti

fa

parere

il

male pi male,

uomini pi uomini,

cio pi sciagurati e malvagi, che forse

non

siano,

che non

ti

sarebbero parsi in altro tempo e in altra

condizione dell'animo.
Il

Carducci ha narrato da

se',

com'egli solo po-

teva, sotto quali impressioni furono composti gli

Epodi

(i).

Certo l'impulso primo a


ci eh' egli narra, e
il

scriverli gli

venne da
forma di

contenuto e la

essi

sono un prodotto naturale dell'in-

gegno

dell'animo suo in quelle date condizioni:


i

ma

io

credo che

due

fatti

da

me

accennati esere nella

citassero pure
vita del poeta
;

una influenza nell'animo


e per
li

ho accennati. Quando dico


dico anche nelle poesie.
qui.

nell'animo e nella

vita,

Un
il

altro

fatto

mi pare da notar

Negli

anni 1869 e 7 ^ Carducci studi a gran forza


tedesco, traducendo dallo Schiller, dal Goethe,

dal Heine, dal Platen.

Traduceva unicamente per

suo studio, in prosa letterale: traducendo nel-

(1)

Giambi ed Epodi,

ed.

Zanichelli; Prefazione.

Giosu

Carducci

407

l'agosto 1869 la Sposa di Messina,

si

arrabbiava

che

il

Maffei ne avesse sciupato


in

cori bellissimi.

Poche poesie tradusse


il

versi; le prime, credo,


e

Re

di Tuie del Goethe


del 6g.

Min

maggio del Heine,

nel

marzo
il

Come

poeta not da s ci che nell'Epodo


e ci che

Pel Cora^ini avea derivato dall'Hugo,


dal Barbier in quello
cosi

Pei tipografi

di

Bologna,

not nell'Epodo Pel Cairoli l'immagine dei

cani in piazza presa dal Heine.

Ma

nell'Epodo

Pel Corallini e in quello Per Monti e Tognetti


c' anche qualche cosa ch'egli non not; c',
se

cosi

posso dire,

l'

afflato vittorughiano

che

spira e

muove

quelle poesie;

mentre l'influenza
si

del

Heine

nelle poesie posteriori

limita a qual-

che immagine, e a qualche espressione.

Lo

stesso

epodo Pl Cairoli, nonostante

la strofa dei cani,

non ha niente

di heiniano. Io credo, anzi so,


il

che

scalpellando arditamente
strofe di quella poesia,
il

realismo delle ultime

Carducci pensava pi a

Dante che
ebbe
1'

al

poeta tedesco.

Ea

Dante

e al

Petrarca

occhio sempre, come dice egli stesso nella


le let-

prefazione alle Poesie (1), nelle sue scorse per


terature straniere.
Il

Heine ha avuto

forse pi in-

(1) Poesie, ed. Barbra; pag. XVI.

408

Libro Secondo

rluenza nella prosa del Carducci, che nella poesia.

Dico male

l'

Interiner una poesia a cui


il

il

Heine avrebbe potuto dare


che a certe pagine
esempio, intitolato
desco
(i).
I

suo nome, non

meno

di prosa, all'ultimo scritto, per


le

Risorse di S. Miniato al

te-

grandi poeti di un'epoca hanno quasi


di

sempre un po'
sentono.
il

parentela fra loro: essi stessi lo


si

Il

Heine

chiamava

fratello del
gli

Byron

Carducci, una volta ch'io

mandai

tradotta

una poesia postuma del Heine ch'egli non conosceva,

mi

rispose:

Guarda cosa

strana! io stesso

avea in questi giorni


simile.

pensato qualche

cosa di

IV
palati e gli stomachi guasti dai dolciumi
li

non

si

possono adattare

per

li

a nutrimenti sani e ga-

gliardi.

Anche

nella edizione del Barbra le poesie


si

del Carducci

non ebbero quel che


in

dice

un gran

successo; specialmente
coli di

Toscana. Ai nepotunegli
li

Machiavello,

come

chiama, quel

(i) In

Confessioni

battaglie,

seconda serie;

ed.

Som-

maruga.

Giosu Can/ucci

409

bollare d' infamia certe azioni infami, quel chia-

mar pane
dimento
Italiani

il

pane e zozza

la zozza,

parve un arin poi, gli

di cattivo gusto.

Da Dante

non

e'

erano pi avvezzi a sentir dire in


i

poesia certe cose. Fra

Toscani poi c'era anche

chi faceva colpa al poeta di

non

essere

sempre

rimasto quel ch'era a venti anni, d'avere, a un


certo punto della vita, allargato
studi, d' avere,
il

campo

de' suoi
se',

quando

si

senti sicuro di

git-

tato via la falsariga dei classici.

Curioso che

alcuni di costoro non erano rimasti neppur loro

quei medesimi di dieci anni addietro: di


foscoliani, leopardiani, erano diventati
ni
:

alfieriani,

manzoniasi

lo

che mostra, se io non


e

inganno, che

pu diventare manzoniani
danti.

rimanere sempre pesta nel sostituire al


il

Per molti
il

la

mutazione

vecchio idolo

nuovo, nello spengere

lume a

San

Vittorio o a

San Giacomo

accenderlo a
i

Sant'Alessandro.
stessi santi ,
s'

chi

non accende

lumi

ai loro

intende,
il

un

eretico.
ri-

Ma
masto

quel biasimare

poeta di non essere

sempre fanciullo, mostra anche un'altra


ammiratori delle poesie

cosa, mostra che certi

giovanili del Carducci

ammiravano

in esse

quel

che era

meno da ammirare,

anzi quello che non

410

Libro Secondo

era da

ammirare

affatto, cio l'imitazione; e

non

ammiravano quel ch'era veramente ammirabile,


cio gl'indizi di vera facolt poetica e artistica,
i

segni di vera originalit che pur nella

imita-

zione non mancavano, e promettevano


il

fin d'allora

poeta de' Giambi ed Epodi, delle

Nuove

Poesie,
in

delle

Odi barbare. Del


lo

resto

si

capisce

come

Toscana, dove

Zanella seguitava ad avere molti

ammiratori, non potessero essere ammirati molto


e

da molti
In

Decennali.
era un'altra cosa:
di
in

Romagna

Romagna
Poesie

la

fama del poeta

Satana grandeggiava gi
1871 apparvero
e l esse
le

quando

nell'aprile del

nell'edizione del Barbra,


tra accoglienza.

ebbero ben'al-

Nell'autunno del 71, trovandomi


feci

a Bologna,

io

un

giro per alcuni paesi di


e trovai

Romagna
il

in

compagnia del Carducci;


anche
in

libro delle sue poesie

qualche picletterata.

colo borgo in casa di gente

non

Ma

ne'

la

freddezza e la critica gretta e


i

meme-

schina da una parte, n l'ammirazione e


ritati elogi dall'altra,

esercitavano alcuna influenza

sull'arte del poeta. Egli

avea

formulato

la

sua

teorica

brevemente e semplicemente, nella prealle


i

fazione
stesso e

Poesie cosi:

Il

poeta esprima s

suoi convincimenti morali ed artistici

Giosu Carducci

41

pi sincero, pi schietto, pi risoluto che pu:


resto

il

non

affar

suo

(1).

Fedele a questa teorica, negli anni 71 e 72 compose


altri

giambi ed epodi, pi

terribili

ancora

dei primi,

e pi belli. Alcuni di

essi

(A

certi
del-

censori, Io triumphe,
l'Italia

un heiniano, Canto
il

che va in Campidoglio) segnano


il

punto
:

culminante a cui
la fusione

poeta arriv nella satira

dell'elemento

lirico col satirico vi

perfetta.

Nel 1871

egli si era sentito

nella

piedel-

nezza delle sue


l'

forze, si era sentito


il

padrone

arte sua, e avea sciolto libero

volo all'ingemeraviglioso.
al

gno, che prese allora

uno

slancio

La

poesia del Carducci dal

1871

1873

cosi nutrita di pensieri suoi,

ha

tale ricchezza e

splendore d'immagini, tale variet

d'argomenti
che non
trovino

e di forme, di colorito e d' intonazione,

so in quale altro de' nostri poeti moderni


in cosi alto

si

grado riunite tutte queste qualit. Dalla


feroce

satira politica, civile, letteraria,

come una

giustizia di popolo, passa, quasi


fatto, a

non paresse suo

cantar d'amore con le fantasie pi serene

dell'arte greca; dall'idillio

che sente

il

profumo dei

campi, la quiete

e le

sane fatiche dei contadini,

(1) Poesie, ed. Barbra; pag. XVIII.

412

Libro Secondo

alla ballata epica lirica del storica,

medioevo; dall'ode
le

ove sono bollate d'infamia

turpitudini

dei re e le vilt dei popoli, alla rappresentazione

viva
e la

schietta della natura


i

come

la

sentivano

vedevano

pagani; dalla espressione plebea,


alle

triviale,

aristofanesca,

forme pi aristocraa

tiche della poesia.

Scrivere

poca distanza

di

tempo

giambi

certi censori e le

Primavere

elleniche, VIdillio

maremmano
e
il

Sui Campi di

Marengo,
Canto

Versaglia
che

sonetto

Al

bove,

il

dell'Italia

va

in

Campidoglio e

la

poesia Classicismo
di vera potenza, era
ci

e romanticismo, era indizio

confermazione splendida di

che intorno

alle varie attitudini dell'ingegno


fa.

poetico del Carducci io aveva scritto tredici anni

Quando

nella

nostra gita in
il

Romagna

pas-

sammo
il

da Imola,

bravo tipografo Galeati preg


desse qualche cosa da stamci

Carducci che
Il

gli

pare.

Carducci promise che

avrebbe pen-

sato; e tanto ci pens, che l'anno appresso uscirono

pei tipi del Galeati le


in

Nuove

Poesie, raccoglienti
di

un volume

di

poco pi

ioo pagine, tutto


in poi,

ci che l'autore avea

composto dal 1871

cio trentasei

componimenti

originali, molti dei

quali erano de' piccoli capolavori, alcune traduzioni da poeti tedeschi, e


il

Prologo ai Levia Gravia

Giosii e

Carducci

413

in

appendice. Questo libretto fu

il

cannone rigato
pubblica fama
le

dinanzi

ai cui colpi le fortezze della


la

cessarono
al

resistenza e

spalancarono

porte

nemico.

Diverso da

certi,

che qualcuno poi

trebbe

chiamare

fortunati,

scrittori,

quali

la
si

sera innanzi alla pubblicazione di

un

loro libro
si

addormentano
famosi,
il

oscuri,

l'indomani

destano
la

Carducci dov conquistarsi

fama
colpi

sua di poeta come


di piccozza.

un buon zappatore a
la

Le Nuove Poesie (diciamo


e

parola
s'in-

propria)

s'imposero;

ci

non avvenne,

tende, senza che la vittoria facesse strillare qual-

cuno.
glia

Quando

sotto

il

grandinare della mitrasi

nemica

gli

assediati
i

arrendono, non
cantino
le

si

pu pretendere che

feriti

lodi

del

valore e della scienza degli assedianti senza dar

segno del loro dolore.

Alcuni degli Epodi erano

stati

pubblicati
il

da
;

qualche giornale prima che uscisse


gli altri
il

volume

fra

Canto

dell'Italia che

va

in

Campidoglio;

e fece,

com'era naturale, un

po' di scandalo.

Se

ne occup, se ben ricordo, anche


tolica,

V Unit Cat-

alla

quale non dove parer vero di poter


di

dire al

Governo usurpatore

Roma: guardate
liberali,

che cosa dice di voi un de' vostri


scomunicato, un poeta,
il

uno

poeta di Satana!

414

Libro Secondo

Ma
era,

il

Canto

dell''Italia

che va in Campidoglio
il

come

disse l'Hillebrand
Italia,

grido della co-

scienza di essa
gosciato di
lei.

prorompente dal petto anil

Quel che
il

poeta gridava

alto,

rodeva profondamente
Italiano, ancorch'

cuore a pi d'un buon


s

non osasse confessarlo a

ad

altri.

E
cune

per

ci, e

per
i

il

merito reale delle poesie,

le

bizze di partito e
di esse
i

risentimenti personali che al(il

dovean destare

poeta non avea


gli era

risparmiato

nomi

propri
al

quando

parso

che potesser giovare


impedire o

suo scopo) non valsero a


il

menomare

successo del libro, suc-

cesso pieno, grande, incontestato. Se qualche pezzo


grosso,

non potendo portare

in pace gli scherni


il

che

gli

erano piovuti sul capo, ebbe

cattivo
al-

gusto di credere di vendicarsi dicendo che in

cune delle Nuove Poesie non c'era senso comune;


se

qualche poeta abortito, messosi a fare


i

il

gior-

nalista perche'

genitori improvvidi
fatto

non

gli

ave-

vano da piccolo

imparare un mestiere, os

sorridere del silenzio verde e della luna paolotta;


se qualche
stata

poveruomo,

la

cui vanit era forse

atrocemente offesa dal poeta, sussurr con


stupida: eh gu, saranno belle;
le

malizia

io per

me non

capisco; la gente savia o fece vista

Giosu Carditeci

415

di

non

sentire,

o disse a cotesti

infelici:

scusate,
i

parliamo d'altro. Ma, passato qualche tempo,


pezzi grossi ebbero
il

buon senso

di dimenticare
le

quel che nella bizza avean detto, e scrissero


lodi del poeta;
i

giornalisti,

appena veniva fuori


la

una poesia nuova del Carducci,


nel loro foglio per vedere
di

ristampavano

venderne qualche

copia di pi; e quelli, che dicevano di non aver


capito, seguitarono, poich'

aveano detto

il

vero, a

non

capire:

seguiteranno, credo, com' loro

destino.

La prima

edizione delle

Nuove Poesie
fece

fu su-

bito esaurita;

non

solo,

ma

anche esaurire
;

l'edizione delle Poesie fatta dal Barbra

il

quale

mise subito

mano

una seconda, che


e

usci nel 74,


nell' 80,

ne fece

una terza nel 78,

una quarta

tutte ripetizioni della prima, salvo

un diverso

ore

dine delle possie

nella

seconda e nelle

altre,

l'aggiunta, nelle ultime due, di

una

biografa del

poeta scritta
le

dal Borgognoni. Le
lo Zanichelli,

Nuove

Poesie

ristamp nel 1873

con l'aggiunta
i

di tre
dizi

piccoli componimenti,
tre
scrittori

con innanzi

giu-

di

tedeschi

Karl Killebrand,

Adolf Pickler e Karl von Thaler; che, bisogna


dirlo,

furono

primi a parlare degnamente del

libro, e a notare

l'importanza di esso nella

lette-

6
41

Libro Secondo

ratura contemporanea. L' Hillebrand, dotto e pro-

fondo nelle moderne letterature, non


nelle antiche,

meno

che

chiam

il

Carducci

il

pi notevole
la

poeta comparso in
Heine.
dalle

Europa dopo
il

morte del

Ma

s'

intende che, dopo


Poesie, tutti
la
si

romore levato

Nuove

affrettarono a parlare

del

nuovo poeta. Fino

Revue des deux mondes

chiese informazioni di lui; ed avutele, ne diede,

per opera del signor Etienne,


terario,

un

ritratto

letai

per

verit

non troppo somigliante,

suoi lettori del vecchio e del


tra
i

nuovo mondo. Chi

francesi parl con pi competenza, anzi con

piena competenza, delle poesie del Carducci, fu

Marc Monnier,
amorevole

illustratore

intelligente, dotto

dell'arte e della letteratura d'Italia.

Una

terza edizione delle

Nuove

Poesie fu fatta

nel 1879 dallo stesso Zanichelli,

ormai divenuto

l'editore di tutte le opere poetiche del Carducci,

come

il

Sommaruga

delle prose. Nelle

due

edi-

zioni dello Zanichelli l'autore distribu per libri


i

componimenti, che nella prima non aveano

di-

visione nessuna, e diede loro

un ordine

diverso,

aggiungendo nella

terza

anche qualche poesia dal

volume

della edizione Barbra.

Giosu Carducci

417

V
Dopo
sono
loro
le

Nuove Poesie

le

Odi barbare :

le

quali

tutt' altro

che quella strana novit che al

apparire

furono giudicate
al contenuto,

da

molti. Esse

sono, quanto

una splendida prova

che
si

la facolt

poetica del Carducci, non solo non

era esaurita nelle

Nuove

Poesie,

ma non

aveva

in esse spiegata
alla

intera la sua potenza;

quanto
dell' arte

forma sono uno degli svolgimenti

del poeta, com'egli la intravedeva con molta lar-

ghezza
passi.
Il

indipendenza d'idee fino dai suoi primi

Carducci

si

trov condotto, quasi


le

direi,
ci

senza avvedersene a scrivere


si

Odi barbare,

trov condotto naturalmente dal suo in^ecno


studi,

e da' suoi

senza nessuna intenzione prerivoluzione


nel-

meditata di fare una qualsiasi


l'arte.

Era una mattina d'agosto del i8y4. Sedevamo


insieme

all'ombra di una tenda nello

stabili-

mento
poesia.
ti

dei bagni Pancaldi, parlando d'arte e di


Il

Carducci mi disse:

Senti un po' che


in-

pare di queste strofe di un'alcaica che ho


finire; e vorrei

cominciata e che vorrei


delle altre poesie, che
27.

poi fare

ho gi pensate, secondo

Chiarini.

4i

Libro Secondo

la

metrica antica:

ma

bada sopra tutto

al

mesenta

tro;

dimmi

se

ti

pare che vada e che


:

ci si

armonia.

E mi

recit queste strofe

Poi che un sereno vapor d'ambrosia

da
e

la tua

coppa

diffuso avvolsemi,

Ebe con passo

di

dea

trasvolata sorridendo via;

non

piii

del
'1

tempo l'ombra o de

l'algide

cure su

capo mi sento; sentomi,

o Ebe, l'ellenica vita


tranquilla per le vene fluire.

E
de

minati
l'et

giii

pe

'1

declivio

mesta giorni risursero,

o Ebe, nel tuo dolce lume

agognanti di rinnovellare;
novelli anni da la caligine

volenterosi la fronte adergono,

o Ebe, al tuo raggio che sale

tremolando

e roseo

li

saluta.

Eccome,

risposi, se c'
il

armonia!

e si sente be-

nissimo. Per
terzo
riuscir

passaggio dai primi due versi al

probabilmente un po' ostico agli

orecchi volgari avvezzi al solito tran tran delle


strofette metastasiane e alla pi grave e

temperiuscir

rata

armonia delle

strofe

del

Parini;

ostico,

come

tutto ci che

non

ancora nell'uso,

Giosu Cardarci

419

il

quale specialmente nell'orecchio ha una grande


cogliere le
relazioni
dei

potenza. Per

suoni

ci

vuole un orecchio non solamente delicato,

ma

educato a

sentirle.

Notai altres come special-

mente

bello per
;

armonia imitativa l'ultimo verso


quale probabilmente a molti
ita-

di ogni strofa
liani (dissi

il

fra

me) non sembrer neppure un

verso.

confortai l'amico a seguitare.


egli

Qualche tempo innanzi

m'avea mandata

manoscritta l'ode Su l'Adda, senza accennare a

nessuna intenzione di volere con questa poesia


iniziare
classica.
tasia,

una

serie di odi

composte con

la

metrica

quell'ode,

come

le altre intitolate

Fan-

In una chiesa gotica, Ruit bora, e forse


tutte le saffiche, se
il

anche

poeta

le

avesse stam-

pate in un

volume insieme ad

altre poesie in rima,


titolo

senza quell'uggioso e provocante

di

Odi
bor-

barbare (uggioso e provocante pei


ghesi), io

lettori

credo che

non avrebbero incontrato


io

nessuna opposizione;

credo che nessuno

si

sa-

rebbe inalberato per la barbarie dei metri: credo

che non se ne sarebbero accorti. Perch


di quelle odi son tutte

le strofe

composte

di endecasillabi,

settenari e quinari, cio


gli orecchi italiani

di versi al

cui

suono
le

erano gi abituati; perch

combinazioni di quei versi nella strofa erano gi

420

Libro Secondo

nell'abitudine degli orecchi italiani; perch nel-

l'abitudine degli orecchi italiani c'era gi la sostituzione dello sdrucciolo alla rima in fine del

verso; perch nelle

saffiche, la regolarit d'acil

centuazione

di

cesura facendo

verso pi

monotono,

e la disposizione dei versi nella strofa


facile e gi

producendo un periodo armonico pi

anch'esso nell'abitudine dell'orecchio italiano, la

mancanza

della

rima era meno avvertita.


prodotto dalle
l'alcaica,

Cosicch di tutto lo scandalo

Odi barbare furono innocente cagione


1'

esametro
la

il

pentametro (dico innocente, perdir poi

ch

cagion vera

quale

fu,

e gi ci

vuol poco a indovinarla); ne fu cagione innocentissima


il

titolo

semplice

modesto, sotto
di

il

quale

la fervida

immaginazione

certi lettori chi sa

che cosa intravide!

Pi tardi a Bologna
tire
il

il

Carducci mi fece sen-

principio di qualche altra poesia e alcuni

distici;

intorno ai quali, rispetto al metro, ebbi


egli
disse,
il

da fare qualche obiezione; ed


cordo:

mi

ri-

Forse

distici,

specialmente

penta-

metro, nella nostra lingua non riescono.

Ma

il

Carducci non

uomo da

fermarsi alle

prime

impressioni o sue o d'altri.

Cosi nacquero, naturalmente e senza nessuna

Giosu Carducci

42

idea di rivoluzione,
vede, le

come

dissi, e

come

il

lettore

Odi barbare; nacquero perch


il

le

forme

metriche della poesia antica


leggiate fino dalla

poeta

le

aveva ido-

sua prima giovent; perch

quand'

egli pot nella virilit

ammirare

le liriche

del Klopstock, del Hlderlin, del Platea,

non

si

seppe persuadere che dovesse essere impossibile


alla

lingua italiana ci che vedeva possibile alla


;

tedesca
zargli

perch dopo ci dovettero tornare a ron-

con pi insistenza nella mente quei metri

ch'egli avea tentati gi con


nelle sue

un
;

po' di timidezza

prime odi oraziane

perch appunto

in quei metri gli si

vennero determinando alcuni


i

dei fantasmi poetici che


i

nuovi casi della vita


in lui.

nuovi

affetti e la

meditazione suscitavano

Le

odi dei Juvenilia,

O. T. T., alla B. Diana


le

Giuntimi a Giulio, rafforzatesi nelle odi Per

no\\e B. e T.

in Pisa, e

Per

la rivoluzione di

Grecia dei Levia Gravia, acquistata piena sicurezza di loro


sentirono,
stesse

nelle

Primavere

elleniche, di

dopo quest'ultima prova,

potersi

spogliare della rima, e divennero le

Odi barbare.

Quando

scrisse le

prime Odi,

il

Carducci,

come
non

apparisce anche da quello che ho detto, non avea

pensato

al

nome che

poi diede loro; e forse


s.

pensava neppure a farne un volume da

l'uno

422

Libro Secondo

e l'altro pensiero gli


il

venne, credo,

fra

il

76 e

76,

quando

si

trov ad

averne composte un
tutte insieme formare

certo

numero, che poteano


si,

un
che

corpo, piccolo
ci

ma
il

pur corpo, senza bisogno

mescolasse altra roba. Neil' aprile del 1875


cui

scrisse l'ode Fantasia,

primo

titolo era

Ri-

membrante

antiche, nell'agosto dell'anno stesso


lina chiesa go-

Ruit bora, nel marzo del 1S76 In


tica,

nel luglio del 1876 la prima parte dell'ode


fini e

Alle fonti del Clitumno, che


1'

pubblic nel-

ottobre in

un giornale bolognese, La Vedetta ;


1

nel febbraio del


e la

877

il

San Petronio,

e fra

il

76

prima met del 77 compose


le gi

tutte le altre che


il

con
Il

nominate formarono

primo volume.

pubblico letterato italiano era cosi nuovo a


d' arte,

ogni questione

che la pubblicazione delle

Odi barbare fu un avvenimento, un avvenimento


che fece dire a molta gente molti spropositi. Fra
quelli che scrivono, specialmente nei giornali,
in Italia delle persone,
e'

brave persone del

resto,

molto curiose.
nuovo, specie

Non appena vien fuori un libro se d' un uomo famoso, esse si creal

dono

in

dovere di far subito sapere


la

pubblico

che cosa ne pensano: e per

gran

fretta

che

hanno

d'

illuminare

gli altri

intorno al merito o

demerito dell'opera nuova, non pensano che forse

Giosu Carducci

423

potrebbe essere opportuno illuminare prima un

poco

s stesse. Io

non voglio

non debbo rien-

trare qui nella polemica per le


trai

Odi barbare: c'en-

una

volta,

con animo forse un po' troppo batbasta.

tagliero, e

mi

Ma
si

pur troppo, per quanto


sia scritto

dopo

il

mo Discorso

(1)

molto

molto

disputalo intorno alla metrica


le
t'

di quelle poesie,

questioni sollevate intorno ad


altro che risolute; anzi regna
e

essa sono tutin

ancora

alcune

molta confusione;
tutti
Io,
i

sono

tutt' altro

che dileguati

pregiudizi.

per esempio, non arrivo a capire


tali

come

ra-

gionino que'

(e

non son pochi,

e c' fra loro


i

qualche

uomo

dotto e d' ingegno),

quali ricofra

noscono che alcune delle Odi barbare sono


le

pi belle poesie del Carducci (io vado anche


l,

pi in

dico che sono assolutamente delle pi

belle liriche italiane), e tuttavia seguitano a


strarsi

moin

profondamente convinti che

la

metrica

cui sono composte sia contraria all'indole della

lingua nostra, che sia intrinsecamente falsa e sbagliata,

che

la

struttura de' nuovi versi

non abbia

alcun fondamento. Io non lo arrivo a capire, per-

(1) / critici italiani

la

metrica delle

odi

barbare

Bologna, Zanichelli, 1878.

424

Libro Secondo

che per

me

quella metrica ha lo stesso

stessis-

simo fondamento della metrica volgare

italiana

(che ancora resti qualche cosa di non bene definito

quanto

all'alcaica, all'esametro e al
si

penfa-

tametro, non conta nulla, e


cilmente), e perche'

potr definire

non capisco come con una


possa

metrica cattiva

si

comporre una poesia

buona.

Per

me

nella bellezza
il

di

una poesia

e'

entra

ed ha tanta parte

metro, che non solamente

non chiamo
i

bella

una poesia dove, per esempio,

versi

non tornino, o sieno troppo monotoni, o


o cadenti, dove
le

saltellanti,

rime sieno

false,

o troppo

comuni, o poco variate;


bella,

ma

non

la

chiamo assolutamente

se

il

metro non

qualche cosa in cui essa sia gettata e fusa


nel bronzo
e
il

come
ogni

una

statua, se

il

suono

di ogni verso, in

movimento
ai

delle strofe

non risponde
alle

parte

pensieri, ai sentimenti,
Il

immagini,

alle espressioni.

metro

alla poesia quel che


il

la

musica

al

dramma
la

cantato: anzi

metro

molto pi della musica, legato strettamente

intimamente con
sitore di

poesia,

perch

il

compo-

musica (salvo non

sia scrittore egli stesso,

come

il

Wagner

il

Boito) una specie di tradut-

tore che prende la poesia di

un

altro, la ripensa e

Giosu Curiti/rei

425

la

traduce in suoni; mentre


insieme

il

poeta, se poeta

vero, sente sorgere

nella

sua mente

il

pensiero poetico e l'espressione ritmica, e viene

elaborando

l'

uno

l'

altra

contemporaneamente

come una

cosa sola.

Sbaglier,
bare, che ne

ma

gli

ammiratori delle Odi barla metrica,


stessi
:

condannano
con loro

mi paiono

in contradizione

e la loro contra-

dizione credo derivi


zio.

almeno

in parte
si

da pregiudii

Da Dante

al

Leopardi,

dice, tutti

nostri

pi grandi poeti (e n'abbiamo avuto de'veramente

grandi) hanno fatto cosi; tutti hanno creduto che


le

forme metriche nate con


lei,

la nostra poesia, cre-

sciute e svoltesi con

dovessero bastare a'suoi


classica fatto

bisogni;

il

tentativo della metrica


e

nel secolo
que....
e'

XVI,

ripetutamente
i

fatto, aborti;

dun-

La conclusione
:

lettori la

sanno, e non

bisogno che
se io

io la ripeta.

Ecco

non

erro, tutto ci in

poche

buone
si

parole equivale a dire, che in poesia non


fare se

pu

non

ci che stato fatto

da chi venuto

prima

di noi, o

almeno non
essi

si

pu andare per

altra via

che quella da
le

aperta e percorsa,

che tutte

altre vie sarebbero innaturali e

con-

durrebbero a perdizione; che un tentativo, se


stato fatto

una

volta, e

non

riuscito,

non

si

ha

426

Libro Secondo

da

far la

seconda; tanto pi se non riusci


s'

la sese-

conda, non
guito.

ha da fare la terza; e cosi di


io

Ecco: e quanto

pi

ci

medito sopra,
sia vero,

tanto pi

mi pare che

tutto ci

non

che

tutto ci sia perfettamente contrario alle ragioni


della natura e dell'arte.
se
ci

Un
dire,

tentativo

non

riuscito,

qualche cosa vuol


fu chi senti
il

per

me
:

vuol dire che

bisogno di farlo

e quante volte
sia

da quanti pi quel tentativo fu ripetuto,

pure inutilmente, ci per


il

me

vuol dire che tanto


si

sentimento di quel bisogno


forte.

manifest pi

generale e pi

Chiedo
le

il

permesso

di riferir
il

qui

le

parole con
i

quali io chiudeva

mio Discorso su

critici

italiani e la

metrica delle Odi barbare; poich


dire oggi diversamente quello
rin-

non saprei come

che allora accennai sulla convenienza della

novazione metrica tentata (stavo per dire compiuta) dal Carducci.

Noi razza

latina,
ci

noi

discendenti in linea
in questa,

retta dai

Romani,

eravamo anche

come

in tante altre cose, lasciati passare innanzi


i

di gran tratto
essi

barbari del settentrione. Mentre


liberi pei

andavano discorrendo
noi ce ne

campi

del-

l'arte,

stavamo

rinchiusi,

come dentro

una cancellata di ferro, nel pregiudizio che non

Giosu Carducci

427

si

potessero scriver versi con altre forme

me-

triche che

non

fossero quelle consacrate dai pa-

dri della nostra poesia, che

non

si

potesse scri-

vere lirica senza rime

La rima! E

chi ha detto

mai

di

volerle dare

licenza o metterla al riposo,

come una vecchia


servire?

fantesca che
l'

non

pi

buona a
le

Bench non

esame

di

coscienza che

fece lo Gnoli
;

la

mostr purissima

di peccati

bench' molti se
frangia

ne servirono e se ne servono come di


da ornare
vede
i

loro cenci poetici; e la turba, che

luccicare la frangia,

non guarda quel che

c' sotto e dice, oh bello! Ma,


e sar

come

la

rima

fu

sempre

la

degna amica dei grandi


le

poeti,
fedeli,

cosi

grandi poeti

rimarranno sempre

bench non di una


dal sindaco; ed essa
cola gelosia delle

fedelt consacrata dal prete

non avr verso


di

di loro la pic-

donne

carne

Ho

detto

pregiudizio e lo mantengo. Mentre


si

tutto nel

mondo

muove,

si

modifica,

si

tra-

sforma, perch tutto nel


nel moto,
si

mondo

vita, e la vita
ai

vorr

proclamare e imporre

poeti l'immobilit delle forme metriche?

sian

pure bellissime, e

la loro belt fatta

immortale

428

Libro Secondo

dai canti di

sommi

poeti;

non importa. C'

forse
sia
in

una legge naturale,


lecito trovare

fatale per la quale

non

nuove forme metriche


letteratura?

se

non
ci
;

certi periodi della

allora

dica,

chi lo sa, quanto durano cotesti periodi


stri

ci

mo-

che dappertutto l'ingegno


legge.

umano

si

assog-

gett a quella

Ma

il

vero che l'ingele

gno umano

senti

sempre che

grandi, e nella

loro mirabile

unit

infinitamente varie e
si

com-

plesse, leggi della

natura non

possono impri-

gionare nella

monca

parola dell'uomo; e meglio

che

ai precetti dei retori,

porse ascolto alla voce


se'.

della natura stessa che sentiva dentro di

vero o non vero, che


il

ai

compositori di
a trovare
espri-

musica aperto larghissimo

campo

nuove combinazioni di suoni che valgano ad

mere ed

eccitare

negli ascoltanti nuovi fantasmi,

nuovi sentimenti, o maniere e gradazioni nuove


di sentimenti

o fantasmi?

- Il

campo
numero

dei fantasmi

illi-

e dei sentimenti e delle

loro gradazioni
il

mitato,

come
dei
al

illimitato

delle
si

comvorr

binazioni
restringere

suoni. - Perch

dunque
delle

poeta
?

il

campo
forse

combina-

zioni ritmiche

Si vorr

credere e soste-

Giosu Carducci

429

nere
babili

che

tutte

le

combinazioni ritmiche prostate

nella

lingua nostra sieno

trovate

dai poeti che furono fin

qui, e che buone


altro

com-

binazioni ritmiche

non siano

che quelle

consacrate da loro? Si vorr forse credere e sostenere che tutte le idee, tutti
aspetti vari e infiniti e le loro
finite
i

sentimenti, e

loro
e inle

non men varie

gradazioni sieno state espresse in tutte

migliori forme artistiche dai poeti che

furono?

Ma
il

questo tanto non vero, quanto vero che


d'oggi non
di

mondo

perfettamente

identico

al

mondo, non dir

due mila,
fa.

di mille,

ma

di

cento, di cinquanta anni

se col

mutare

del

mondo, col progredire

delle scienze, col modifi-

carsi delle istituzioni, de' costumi, degli usi, dei

linguaggi, col modificarsi del corpo e dell'animo


stesso dell'uomo,

molte cose prendono

aspetti

nuovi, e sorgono quindi nella mente


fantasmi, e gli
affetti

umana nuovi
sentimenti
si

medesimi

presentano sotto nuove


potr
il

sembianze; perch non

poeta cercare nuove forme, nuove com-

binazioni di suoni, pi rispondenti a questi nuovi


aspetti
delle

cose?

Perch dovr

anzi
cotesti

cacciar
suoni,

via dalla

mente

coteste

forme

quando

'

sorgano in essa come

le

forme orga-

43

Libro Secondo

niche,

come

suoni organici delle sue idee, dei

suoi sentimenti?

Tutti sanno, ed stato detto e ripetuto fino


alla saziet,
gli antichi

che

il

Carducci ha studiato molto

poeti greci e romani, particolarmente


critici

Orazio: e alcuni
prio

son venuti

fuori,

pro-

dopo

la pubblicazione delle

Odi barbare, a

insegnare all'Italia che la poesia del Carducci

una contraffazione, o vuoi arte/anione, della poesia

greca.
il

Senta
poesia

lettore

come

il

Carducci contraffa
i

la

greca. Egli
la

descrive

preparativi

della

partenza e
zione di

partenza di un convoglio dalla staferrata in

una strada

un freddo

e pio-

voso mattino di novembre. Van lungo


il

nero convoglio e vengono


i

incappucciati di nero

vigili,

com'ombre; una
hanno, e mazze
freni tentati

fioca lanterna
di ferro
:

ed

ferrei

rendono un lugubre

rintocco lungo: di fondo a l'anima

un'eco di tedio risponde


doloroso, che spasimo pare.

gli sportelli

sbattuti al chiudere

paiono oltraggi: scherno par l'ultimo


appello che celere suona:
grossa scroscia su
i

vetri la

pioggia.

Giosu Carducci

431

Gi

il

mostro conscio di sua metallica


sbuffa, crolla, ansa,
i

anima
gitta

flammei

occhi sbarra,
il

immane pe

'1

buio

fischio

che sfida lo spazio.

Questa non
la la

la strofa alcaica latina,

n come

imitarono
imitarono

tedeschi ed
il

il

Tennyson, n come
il

Chiabrera e

Carducci stesso

nell'ode

Per V anniversario
un' alcaica
rifatta

della

fondazione di

Roma;

un
da

po' liberamente:

ma

chi

non sente

ne' versi

me
?

citati l'unit

del ritmo e del pensiero poetico

chi

non sente

che cangiando cotesto ritmo


usare
le

si

dissolverebbe (per

parole del Trezza) quel

mondo d'immagini

che

il

poeta suggerisce appunto con esso ? Prole

vatevi a mettere quella descrizione con

parole

medesime

in

un
, e

altro

metro, ed essa non sar

pi quel eh'

voi

non vedrete non sentirete

pi quel che in essa vedete e sentite.

Se vero, come verissimo, quel che dice

il

Trezza
della
il

stesso,

che

il

ritmo un elemento organico

forma poetica, e costituisce, secondo nota Lewes da lui citato, quel centro di associala
al

zione per cui si rivela


caboli
;

parte ideale dei vopoeta


il

voler

limitare

campo

delle

combinazioni ritmiche sarebbe


lergli limitare
il

lo stesso

che vopen-

campo

delle

immagini

e de'

432

Libro Secondo

sieri,

il

campo

della

sua

creazione. Negate a

Carducci

la facolt

di creare

una nuova forma


l'ode Alla Stagione,

metrica, ed egli

non scriver
da

da cui son
Io

tolte le strofe

me

riferite.

non voglio esagerare V importanza


quand'anche non
barbare
del

della
ci

me-

trica barbara; la quale,

avesse

dato

altro

che

le

Odi

Carducci,

avrebbe fatto abbastanza per

l'arte italiana;

ma

dico che ha fatto qualche cosa di pi. Gli esa-

metri del Betteloni, alcune odi del Guerrini del

Mazzoni
forse,

del

D'Annunzio

(forse,

anzi

senza

qualche altro

nome mi

sfugge), bastano,

secondo me, a mostrare che pu non esser vero


quello che molti credono e affermano, che cio
la

metrica barbara nata col Carducci morir con


s'anco finisse con
lui,

lui; bench',

non

si

potrebbe

dir morta.

Vivrebbe nelle sue odi:

e vivere nel-

l'urna sepolcrale delle

Odi barbare sarebbe sem-

pre un bel vivere.

VI

La prima
luglio

edizione delle

Odi barbare

fatta nel

1877 fu subito esaurita: ne fu


il

fatta

una

seconda nel 1878, con innanzi


e

mio Discorso,
del
poeta, ed

una

terza nel 1880 col ritratto

Giosu Cai (/uni

433

una incompiuta
sue opere.
st'anno.
le

ma

importante bibliografa delle

Una

quarta edizione uscita in que-

Lo

spaccio del libro ha dimostrato che


le

Odi barbare, nonostante

molte e

fiere

opposi-

zioni, si

leggono; ha dimostrato che se furono,

contro l'intenzione dell'autore, una battaglia, non

furono davvero una battaglia perduta.


Inutile dirlo, le opposizioni, lungi

dallo

sgo-

mentare
spetto,

il

poeta (qualche volta

gli

facevano di-

quando erano un

po' troppo stupide), gli

avrebbero, se ce ne fosse stato bisogno, aggiunto


risolutezza e costanza nel proseguire l'opera sua.
Il

Carducci

lo disse

da

se':

Io

mi

sento di nalette-

tura mia .inclinato alla opposizione, anche

rariamente; nelle maggiorante sono un pesce

fuor d'acqua
inclinazione
ci

(i).

Concediamo che

in questa
la

sia

un po' di superbia: sar

superbia della querce, che piantata in un


di
in'

campo

zucche non

si

sente disposta a strisciare co-

esse per terra.


di

Ma

che

il

genere

umano non
:

sia tutto

zucche, a me, per esempio, piace

mi

rallegra, e

mi

distrae;

mi

distrae dalle troppe

malinconie di questa vita inutile e stupida.

Mi perdonino

signori filosofi positivisti e

ma-

fi) Prefazione alle Poesie, nella ediz.

Barbra, pag, X.

Chiarini.

434

Libro Secondo

terialisti: io

non sono
bello

della loro opinione. Essi

hanno

un

scalmanarsi in

cerca

di la

arvita

gomenti e ragionamenti a provare che

umana
un

una bella ed

utile

cosa (quanto a bella,


a chi?):

sar questione di gusti;


bello scalmanarsi.
s'

ma

utile!...

hanno

Quando

considerato

bene bene, quelli che

seppero intendere meglio di tutti ci che proprio


ci

voleva per contentare


inventori di

l'

animale uomo, furono


futura. Oggi,
il

gli

una

vita

avendo

compiuto da quattro mesi

mio quarantanove-

simo anno, oggi mi persuado finalmente, contro


quello che in altro
tori dell' Inferno del

tempo

credei,

che gl'invendel Paradiso

Purgatorio

furono
Il

pi grandi benefattori del genere umano.


(e

guaio che, specialmente a certe epoche

oggi siamo per nostra disgrazia in una di queste),


gli

uomini non ne vogliono sapere


;

di quel be-

nefizio

e,

bestie che

non sono

altro, si

mettono

a scrutare, a meditare, a ragionare per provare a s e agli


altri

che quella vita futura non

c' e

non

ci

pu

essere,

che l'uomo, quando muore,


il

muore
e
il

tutto intero, che l'Inferno

Purgatorio

Paradiso sono un' invenzione dei preti per

fare bottega.

Come

se

preti

non

fossero uomini al pari di

Giosu Carducci

435

tutti gli altri, e,

avendo voglia
fare
i

di aprir bottega,

non avessero potuto

mercanti di cappelli,
i

di scarpe, di generi di
cai,
i

moda,

droghieri,

bec-

salumai,

tutti

mestieri che, oggi specialmente,


!

rendono pi

di quello del prete

Come

se

1'

essere

stata inventata

quella

vita

futura, nella

quale
fosse

tanta gente per tanto


la

tempo ha creduto, non


gli

prova pi luminosa del bisogno che


di crederci!
il

uomini
i

avevano
preti, e

Come

se Tesserci

ancora

resistere

alla

guerra spietata che


loro

la

scienza e la societ

moderna fanno

non

fosse

una prova che


dell'

e'

della gente,

che ha bisogno

opera

loro, della

gente che, nel grande nausi

fragio di tutti gli ideali religiosi,

tiene con

un

supremo sforzo aggrappata a quell'ultima tavola


della vita futura galleggiante ancora su

questo
beati gli

mare

di miserie della vita presente!

Oh

uomini che su quella tavola navigavano confidenti


e sereni alla

gran

citt dell'ignoto!
il

Oggi che
in

venti della scienza tengono

mare

continua
ta-

tempesta, que' poveri diavoli aggrappati alla

vola hanno in corpo una paura maledetta d'esser

sommersi prima
I

d' arrivare in porto.

filosofi

ci

parlano della vita collettiva del ge-

nere umano, nella quale, dicono, ha la sua ra-

gione di essere e

il

suo scopo

la vita di

ogni in-

456

Lilro Secondo

dividuo;

ci

assicurano che, se
1'

muore

l'individuo,

vive immortale

umanit

di cui esso parte, e

che pure una bella


frire,
1'

e nobil cosa lavorare, sofil

combattere per

bene

dell'

umanit, che

uomo

nato per la scienza, per la gloria, per la

virt; che morire

non

morire,
dell'

ma

trasformarsi,

vivere cio in una parte


pianta, in

atmosfera, in una
nel

un

fiore, in

un lombrico, vivere

pensiero e nell' affetto dei nostri cari, vivere nella

memoria

degli uomini, nei benefici effetti che le

nostre opere produssero a loro.

Grazie tante
Ma
io vorrei

di tutte queste belle

maniere

di
!

vivere, di questa varia e molteplice immortalit

che

signori filosofi

mi dicessero

se,

quanto, quella parte nobilissima dell'umanit che si

chiam Dante Alighieri gode presentemente

della

immortalit dell'intero; se e quanto quelle particelle dell'atmosfera, nelle. quali egli si trasform,
si

rallegrarono di vedere adempiuto cinque secoli


la

dopo

sua morte

il

desiderio ch'egli ebbe della

unificazione della patria; vorrei che

mi dicessero
e
i

quale e quanto piacere

le

piante

fiori,

nel

cui profumo vive una parte dell'anima di

lui,

sen-

tono della gloria che circonda


gusto provano
i

il

suo nome, qual

lombrichi, che nacquero dalla pu-

tredine del suo corpo, dell'essere ogni giorno letta,

Giosi Cai- due ci

437

commentata, straziata da cinquecento professori


e centomila scolari nelle nostre scuole la Divina

Commedia.

Perche'

insomma,

io

come

io,

potr

godere del bene dell'umanit e della patria, s'anco

non me ne tocchi potr goderne finch sono


;

io,

proprio
ste

io,

con questi occhi che vedono, con que-

gambe che mi portano, con queste mani che

toccano;
letta,

ma quando
fiore,

sar diventato

una nuvo-

un

un lombrico,

sento che del bene

della patria e della

umanit non

me

ne impor-

ter proprio

un bel

nulla. Altro che

non imporil

tarmene

Sento che ne sapr quanto ne sa

mio

decimo

figliuolo che

non

nato.
di tutte
le frasi

In conclusione, spogliata

so-

nore, la bella vita che ci


si

ha regalato la scienza
per poi
nulla.

riduce a questo

affaticarsi e soffrire,

un

bel giorno battere


il

una gran capata nel non

Morire! ecco
la

fine della vita:

essere! ecco
fine,

conclusione dell'essere!

per questo bel


la

per questa bella conclusione valeva egli


di

pena

nascere? vale

egli la

pena di vivere?

Ma
tutti

la vita
tutti
l'

un bene per
tutti

s stessa; tanto vero che

amano,

cercano di conservarla, a

dispiace di perderla.

Sta bene:

ma

e cotesto
ti

pensiero di doverla perdere, che continuo


cotesto pensiero che verr

rode,

un giorno che tu non

43 8

Libro Secondo

vedrai pi splendere

il

sole,

che non potrai pi

conversare con

gli

amici, che non vedrai pi la

faccia dei tuoi figliuoli,

che

ti

addormenterai per

non

destarti in eterno,

non basta esso solo ad


consolazione che

avvelenarti la vita?
la scienza
ci

La grande

d questa, che quando saremo


s'

morti, torneremo ad essere quel che

era, torne-

remo a

stare
il

come

si

stava,

prima

di nascere.

Anche
No:
il

non

soffrire,

capisco, qualcosa....

non

soffrire

niente; e questa
di

idea del
e fredda

niente, che

prende forma

una nera

buca

di terra

dove

ti

cacceranno quando sarai

morto, qualche cosa di orribile.

Oh

rendeteci Caroti dimonio con occhi di bra-

gia, che batte col


nati; rendeteci la sette regni

remo

le

pigre anime dei dandi

luminosa faccia

Catone

ne' cui

possiamo andare a purgarci; rendeteci


ci

Beatrice che

meni

in Paradiso a

mangiare

il

pane degli angeli, quel pane cosi dolce e cosi


gero che se ne pu mangiare quanto
si

leg-

vuole

senza mai prendere indigestione.

O, meglio ancora, rendeteci

favolosi prati d'Elisio,

Pieni di cetre, di ludi eroici

del purpureo raggio


fallace

Di non

maggio,

Carducci

439

Ove

in disparte bisbigliando errano

(N patto umano n
L' un da
I
1'

destin ferreo

altra divelle)

poeti e le belle.

E
in

se queste cose,

filosofi positivisti e

mate-

rialisti,

non

ce le potete rendere, e se non potete


di

compenso darci niente

meglio

di ci che ci

avete dato fin qui,


lasciate

lasciateci

almeno

tranquilli,
ci

che seguitiamo a dire finch

pare e

piace che questa vostra vita


inutile e stupida; e
pidit a seccarci
I

una cosa molto


di stu-

non venite per colmo


i

con

vostri ragionamenti.
di credere

lettori

sono pregati

che

io so be-

nissimo che questa chiacchierata sulla inutilit


della vita

non ha niente che

fare colle

Odi bar-

bare, e che

mi

sdrucciolata dalla

penna invogrande im-

lontariamente, e che ora


broglio per riannodare
Io
il

mi mette
discorso.

in

sono molto tenero della regola condillac-

chiana de la plus grande liaison des ides, nella

quale

il

Giordani diceva consistere


stile:

tre quarti della

bont dello
liaison fra

ma

dove andarla a pescare una


della

la

inutilit

vita e le

Odi bar-

bare?

Se

la vita inutile, le

Odi barbare, che

sono anch' esse una parte della vita, non possono


certo essere utili.

Ma

questa liaison non mi

m>

Libro Secondo

conviene, perch anche


liceo

gli scolari di filosofia

d'un

mi potrebbero insegnare che

in

questo caso
il

sarebbe stato pi logico, anzi solamente logico,

non parlare

delle poesie del Carducci,


il

il

non

scri-

vere questo discorso,

non

far

questo libro.

An-

che penso che


condillacchiana

il

desiderio di osservare la regola


fatto spesso

mi ha

empire

di molte

parole inutili la

carta.

Dunque?.. Dunque per

questa volta facciamo a


Intanto che
i

meno

della liaison.

critici

spropositavano sulle Odi


il

barbare

(ci fu

perfino chi disse che

poeta le
il

aveva

scritte

per burlarsi del pubblico),

poeta

seguit a

comporne
la

delle altre. Sirmione, la


di

Rela

gina d'Italia,

morte
la

Napoleone Eugenio,
di

Certosa di Bologna,
Cecioni),
le

Madre (gruppo
figlia

Adriano

nozze della

del poeta, Garibaldi,

ispirarono nuove odi, che tutte gareggiano di bellezza con le pi belle tra le prime, e qualcuna
forse le supera. Io

non so

se,

stando nel campo

della lirica vera, tutta la nostra letteratura, po-

verissima pur troppo di lirica alta ed originale,

abbia
la

niente da

mettere

accanto

all'

ode Per

morte di Napoleone Eugenio

e a

Sirmione.
in

Le nuove odi barbare, pubblicate prima


scoli

opu-

o in giornali via via che

il

poeta
in

le

veniva

componendo, furono poi raccolte

un volume

1 1

Giosu Cardarci

44

ai

primi di quest'anno. Sono in tutto diciassette,


tre piccole traduzioni dal

non contandoci
di Platen e di

tedesco

Klopstock; bellissime, oltre quelle


gli

di cui

ho accennato

argomenti,
d'estate

la
e,

poesia in
a
tratti,
i

esametri intitolata
distici

Sogno
e
il

AW aurora,

Chiarone.

VII

Quanto
Odi
tutti

alla
i

metrica ricorrono in queste nuove


gli

metri delle prime; pi,


d'altri

esametri
di

senza mistura

versi,

un breve saggio

distici fatti col sistema dei tedeschi, colla sosti-

tuzione cio dell'accento delia parola all'accento


ritmico, ed

una imitazione del metro dell'epodo

d'Orazio, metro che nel latino consta di

un

tri-

metro giambico

acatalettico, imitato in italiano

con un endecasillabo sdrucciolo, e di un eie-

giambo, imitato
settenari,
il

in italiano

con

la

unione
il

di

due

primo sempre piano ed

secondo

sempre sdrucciolo. In questo metro


l'

composta

ode Saluto
il

italico

come

la poesia bella,

cosi

metro mi pare

riuscito.

Sento

di

non po-

ter dire altrettanto dei distici col sistema tedesco.

Cio, l'esametro va, ed era stato

tentato prima

da

altri

non infelicemente;

ma

il

pentametro, tutta

442

Libro Secondo

l'abilit

tecnica del Carducci, che pur molto


riuscita

grande, non

dimostrarlo un verso

d'uso possibile nella poesia italiana; e


scir, credo, l'abilit di

non

ci riu-

nessun

altro. Il
distici:

Carducci

ha

fatto soli

cinque di cotesti

non so

se

avrebbe potuto farne molti pi;

ma
il

in que' cin-

que n
sono
primo.

il

ritmo seconda

sempre

pensiero, n

tutti

metricamente

corretti.

Leggiamo

il

Lenta fiocca

la

neve pel cielo cinereo,


citt.

gridi,

suoni di vita non salgono da la

Il

primo verso va abbastanza bene;

ci si

sente

il

suono de l'esametro

latino, ci si sente distinto

il

suono

di

un

settenario e
il

un novenario
ci

italiano

accoppiati, perch

senso stesso

avverte della
il

leggera pausa che bisogna fare dopo


rio.

settena-

Ma

il

secondo verso

(mi permetta l'amico


il

mio) un gran brutto verso; perch


tira

pensiero

da una parte ed
si

il

ritmo

dall'altra. Il

ritmo

vuole che
si

accenti fortemente la parola non e


di essa; e
il

faccia

una pausa dopo

pensiero
si

dal canto suo vuole che la parola non

prosi

nunzi unita

al

verbo salgono e che

la

pausa
se si

faccia avanti e
retta al

non dopo

di essa.

Ora

pensiero, che

anche

in poesia,

secondo

Giosu Carducci

443

me, deve contare pi del metro, sapete che cosa


accade? Accade che
il

povero pentametro
pili
si
;

bell'e
in-

spacciato; non se ne parla

il

lettore,

vece di

lui

povero morto,

trova davanti
e di
il

un

verso composto di
rio

un quinario
il

un novenanovenario

tronco

accoppiati,

quale, se

non

fosse tronco, potrebbe

anche essere un esail

metro,

come

li

fa talvolta

Carducci.

Il

penta-

metro del terzo


peccato.

distico distico

ha
:

lo stesso

stessissimo

Ecco

il

Da

la torre di piazza

roche per l'acre l'ore


lontano dal
di'.

gemon,

sospiri d'un

mondo

Giacch sono sulla via

di criticare, seguitiamo:
In questo distico

prometto che durer poco.


dispiace anche, per
il

mi

suono

di quell'aere Fore,

la chiusa dell' esametro.

nel distico

ultimo

metricamente sbagliata

la

prima parte dell'esal'accento

metro, cadendo sulla seconda sillaba

che dovrebbe stare sulla prima.


In breve, o cari, in breve

tu calmati

indomito cuore

gi nel silenzio verr, gi all'ombra riposer.

distici della
soli,

poesia metricamente irreprensibili


il

sono due

secondo

il

quarto.

Una
in

delle

ragioni, forse la principale, perch

italiano

non

riesce

il

pentametro

come

lo

444

Libro Secondo

fanno

tedeschi

credo, questa, che la nostra

lingua tanto povera di parole monosillabe for-

temente accentate,

e di parole

con l'accento sul-

l'ultima sillaba, quanto ne ricca la tedesca.

Ma
lo

un'altra

osservazione mi

preme

di fare.

L'esametro, qualunque sia la forma che prevarr,

credo gi acquistato ed utilissimo alla poesia

italiana;

quanto

al

pentametro, probabilmente

bisogner contentarci della prima forma rinnovata


dal Carducci:
se si

ma

e nell'uno e nell'altro verso,

vuole che riescano, bisogna, nel comporli,


attenzione sopra
la

fare

tutto

alla

cesura: e per

cesura intendo
l'altra le
sto.

pausa che divide l'una dalil

due

parti delle quali


sta,

verso compola

Nella

cesura

secondo me,

maggiore

difficolt

dell'esametro, specialmente in alcuni


i

schemi; che son forse

migliori, perch imitano


la-

alcune delle forme pi comuni dell'esametro


tino;
quelli,

per esempio, dove

la

prima

parte

del verso

un

settenario o

un

senario e la se-

conda un novenario.
Perch
il

verso sia ben fatto, chi io legge deve

naturalmente, anzi necessariamente, esser condotto dal senso e dalla disposizione degli accenti

o fare
se
il

la

pausa dove va

fatta, e

non altrove. Ora


e sulla

settenario

ha l'accento sulla terza

Giosu Cut, /lidi

445

sesta, e

il

senario sulla seconda e sulla quinta,


la

accade che, combinandosi con


della

prima parola

seconda parte del verso, se questa parola

trisillaba ed

ha l'accento

sulla seconda,

come
il

deve perche'

il

verso sia un novenario giusto,

settenario doventa

un

decasillabo, e
il

il

senario

un

novenario; di guisa che


resta

lettore

poco esperto
la

dubbio se debba nel primo caso fare


la settima

pausa dopo

o dopo la decima sillaba,


la sesta

e nel secondo se

dopo

o dopo
il

la

nona.

Versi

fatti

cosi

son

difettosi: e

difetto

mag-

giore, se la

dubbiezza del lettore cagionata, non

solo dagli accenti,

ma

anche dal senso; minore

quando

il

senso, facendo da correttivo all'accen-

tuazione, serve di guida del luogo dove va fatta


la

pausa. Questo difetto,

il

minore,

nell'

esamecitato:

tro del

primo

distico del

Carducci da

me

Lenta

fiocca la

neve pel cielo cinereo, gridi

dove, se

il

senso non avvertisse chi legge che la


fatta

pausa va

dopo

la parola neve,

il

suono del

verso lascerebbe in dubbio che potesse farsi dopo


cielo.

Per

la stessa

ragione son difettosi questi

altri

esametri della splendida ode

AWAurora
floride

Pastorella del cielo, tu frante a la suora gelosa

Ed

in

mezzo

ai vitelli

danzando con

chiome.

446

Libro Secondo

Negli esametri composti d' un ottonario e di

un novenario, come quasi


Dinanzi
alla Certosa di

tutti quelli dell'

ode

Bologna, non c' peri-

colo di questo difetto:


tro;

ma

ne han forse un

al-

sono un poco monotoni. Gli esametri del

Carducci

metricamente

pi belli mi paiono in
li

Sogno

d'estate,

bench anche
il

non ne manchi

qualcuno che ha
Per agevolare

difetto accennato.

ai

meno

esperti la lettura degli


italiani,

esametri e dei pentametri

una volta mi
stampandoli,

venne
mettere

in

mente che

si

potesse,

un segno qualunque o
dove va
e
fatta la

lasciare

uno spazio

nel luogo
degli
l'

pausa: poi stampai

esametri

non
;

feci

l'

una cosa n
il

altra.

Non ricordo ma

forse

mi trattenne

pen-

siero che quell'aiuto materiale alla lettura potesse

esser preso per

un segno manifesto

della imper-

fezione del

verso.

Ora per, ripensandoci, mi


scrivere
i

pare che,

come

nello

versi di
si
il

quatorna

lunque genere

alla fine di
il

ogni verso
lettore che

da capo, per avvertire


finito e

verso

ne comincia un

altro,

senza che ci in-

dichi imperfezione nessuna nella essenza del verso


stesso, cosi si

potrebbe neh" esametro e nel penil

tametro aggiungere

segno o

lo spazio

da

me

accennato al luogo della

pausa,

senza che ci

Uwiiii Carducci

447

dovesse nuocere alla buona fama dei due nuovi


versi.
il

La qual cosa non dispenserebbe,

s'intende,

poeta dall' osservare la regola da

me

accen-

nata quanto alla cesura, regola che praticamente


si

riduce a questo,

evitare nel settenario

l'ac-

cento sulla terza e nel senario l'accento sulla se-

conda.

Vili

Invano

il

Carducci

nella

prima
dai
cosi

serie delle
lettori
:

Odi barbare
l'ode alla

pigliava congedo

col-

Rima, che terminava


de' padri miei,

Cura e onor
tu

mi

sei

come
per
l'

lor sacra e diletta

Ave, o rima! e

dammi un

fiore

amore,

e per l'odio una saetta.

Invano dichiarava:
tori co'
i

Volli congedarmi da'

let-

versi alla rima, proprio per segno


intesi

che

io

con queste odi non

dare veruna battaglia,

grande o piccola, fortunata o no, a quella compa-

gna antica e gloriosa della nuova poesia


certa

latina.

buona gente non

si

pot, e

non si potr

forse

44&

Libro Secondo

mai, cavar dalla testa che quella battaglia


lesse dare,

ei la

vo-

che

le

Odi barbare fossero

il

suo divorzio

in tutte le regole dalla poesia rimata.

Ad ogni nuova
buona

ode barbara ch'egli mandava


gente
si

fuori, quella

ammiccavano

fra loro,

dicendo:

Vedi
vero

eh? che
e

ci
il

vengano ora a cantare che non


Carducci ha
fatto divorzio dalla

rima

soggiungevano con aria contrita:


cosi potente,

Peccato

che un ingegno

che un poeta cosi


versi rimati!

grande

si

ostini a

non scrivere pi

Se con que' brutti metri

fa delle poesie cosi belle,

chi sa che cosa sarebbe capace di fare tornando


agli antichi

amori della

terzina, del sonetto, del-

l'ode

rimata!

Passato qualche tempo, io m' incontravo con

qualcheduno di costoro
di poesia,
delle

ci

si

metteva a parlare
il

poesie

del

Carducci, e

mio

interlocutore a

un

certo punto saltava su a dire:


forse la pi bella poesia

Per

me

il

Clitumno

del Carducci.
io, e

E l'ode Alla

Stagione,
e

opponevo

quella
si,

Per Napoleone Eugenio,

Sirmione!
il

Oh,

son bellissime tutte: non c' dubbio,

Carducci
scorrere
tore

un gran poeta.

si
il

seguitava a di-

un pezzo: finalmente
lasciava,

mio
:

interlocu-

mi

non senza osservare

Peccato

per che abbia fatto divorzio dalla rima!

Gii

<

'arditeci

449

Eppure

il

Carducci tanto non aveva


rima, che durante
della
il

fatto di-

vorzio dalla

periodo delle
serie, dal

Odi barbare, specialmente


74
al 77, scrisse
la

prima

non poche poesie rimate. La-

sciando stare
versi
sciolti

Cannone di Legnano, che


gli
le

in

(bench

odiatori

della

poesia

barbara, che
di dire che
i

ammirano
versi sciolti

odi barbare, son capaci


alla poesia

appartengono
la

rimata), lasciando

stare

citata

ode rimatis-

sima Alla Rima,


poesia

egli

compose

in quel

tempo

la

/ due

Titani, incominci e condusse


la

un

pezzo innanzi

Sacra

di

Enrico V, ripubblicata

recentemente nella Cronaca Bizantina, cominci


(sotto

l'influenza
storica

dei
in

romanzi spagnuoli) una

romanza

ottonari intitolata
e

Lucca

Pisa, ancora

inedita

non

finita,

e che a

me

pare

molto bella e d'un genere nuovo


l'

fra le

poesie del Carducci, e scrisse

Interiner, co-

minciato nel 1875, ripreso e condotto innanzi nel


febbraio del 1877. Tutte queste poesie, senza te-

ner conto d'altre minori,


Estate,

come

il

Brindisi ai morti,

Per un inverno

di cinque

mesi

(io

ne

dimentico certo
detto,

qualcuna),

composte,

come

ne' quattro anni delle

prime Odi barbare,

attestano che la produzione poetica del Carducci


Ili

in

quel periodo non

meno

ricca e varia e po-

Chiarini.

450

Libro Secondo

teme che nel precedente periodo


Poesie.
I

delle

Nuove

paesaggi viventi,
il

come
dell'

li

chiam con

felice

parola

Panzacchi,

Umbria, della pianura

dell'Adda, di Bologna, di
talora con

Roma, paesaggi

dipinti

un verso od un emistichio;
i

le gioie

calde e serene, e

tormenti freddi e acuti della

passione e dei pensiero, confondentisi e quasi direi

compenetrantisi con
le

la serenit

con

le

ebbrezze

con

malinconie della natura nelle odi Ruit hora

e Alla stagione; la riabilitazione e glorificazione

della vita secondo

il

naturalismo pagano, come

oggi la scienza nobilmente lo intende e spiega, e


la

condanna

delle pazze e incivili tetraggini re-

ligiose del

medio evo,
dall'

riabilitazione e

condanna

annunziate

Inno a Satana ed

esplicantisi pi

serenamente, pi largamente, pi splendidamente


nelle odi In

una chiesa gotica

e Alle fonti del

Clitumno;

l'alto

sentimento della patria e della


alle

gloria nell'odi

Dinanzi

terme

di Caracolla,

Alla vittoria, Anniversario della fondazione di

Roma,
si

odi nelle quali


le

si

suggellano,
e

si

compiono,
sdegni del

acquetano

imprecazioni

gli

poeta,

fiammeggianti ancora

vivi

caldi

nei

Giambi ed Epodi;

la nota epica trovata

con tanta

purezza di sentimento di accento

e di espressione

Giosu'c

Carducci

451

nella
dell
1

Cannone di Legnano; V umorismo rovente


il

Interiner sono
delle

naturale e progressivo svolPoesie,


cio
di

gimento
che
si

Nuove
la

un'opera

credeva

pi alta

espressione della fa-

colt poetica del Carducci.

Ma
dopo

chi n' ha colpa se di tutte


il

le

poesie scritte
di

73, eccettuata la

Cannone
le

Legnano,
spe-

a molti, e fra questi a me,

Odi barbare,

cialmente alcune, son quelle che piacciono di pi,

che paiono cio poesia pi alta e pi pura? Questa opinione io la espressi

francamente quando
manoscritte
inedite
tutte
le

nel

maggio

del

76

lessi

Odi barbare

e le altre poesie
la

composte

dal Carducci fino allora;


pi tardi lessi
il

confermai quando

Clitumno, l'ode Alla stagione e

tutte le altre della

prima

serie.

Io

non so

se la

preferenza data da
altri

me

a queste poesie,

e dagli

che con

me

le

sentirono prima che fossero


influenza,
sia

pubblicate, avesse una

pure mi-

nima,

nell'

indurre

il

poeta a scriverne dell'altre.

Se o
l'

l'

ebbe,

tutte le volte che rileggo Sirmione,

ode

Garibaldi, o quella

Per

la

morte di

Napoleone Eugenio,

io dovrei superbire di quella

mia preferenza.

Dopo

la

pubblicazione della prima serie delle


il

Odi barbare

Cirducci veramente non

scrisse

452

Libro Secondi

molto di poesie rimate

scrisse

il

Canto dell'amore,

pensato e cominciato nell'ottobre del 1877 in Perugia e pubblicato dallo Zanichelli nel gennaio
del
1

878,

un

altro capitolo dell' Infermer,

pub-

blicato
litico,

non mi ricordo pi
e ripubblicato

in qual giornale poaltri,

da parecchi

la poesia

pel Processo

Fadda stampata
non so se pi

nel Fanfulla della


altro:

Domenica

(1), e

ma quelle

tre

poesie sole bastano a mostrare di che forte


egli

amore

rimase sempre fedele all'antica e gloriosa


delle sue prime poesie,
le volte

compagna

e quali frutti

sappia cavarne tutte

che

le si riavvicina.
il

Con

quelli

quali

non capiscono che


il

poeta, se
i

proprio poeta, ha

diritto, diritto

entro

campi
pare
cre-

dell'onest illimitato, di scrivere quel


e piace, e

che

gli
si
:

quando

come
i

gli

piace;

quali

dono

lecito di fargli
in

conti addosso e dirgli

tubai

composto troppo

questo genere e troppo poco

in quest'altro, tu ieri

non dovevi cantare l'amore,


saf-

ma

l'odio, tu oggi

non devi comporre un'ode non devi


essere allegro

fica,

ma un

sonetto,

ma
il

tristo,

con costoro
inutile,
d'

inutile discorrere,

Se non

fosse

avrebbero gi capito ci che

poeta ha pi

una volta detto

a loro, o per loro.

(1)

Anno

I,

X. 13 (19 ottobre 1879).

Giosiic

Carducci

453

IX

Dopo

la

pubblicazione delle

Nuove

Poesie, la

fama del Carducci poeta and crescendo anche


fuori d'Italia; pi che altrove in
le

Germania, dove

sue poesie hanno avuto in questi ultimi anni

pi

d'un

traduttore.

Fino dal 1878 Karl Hille-

brand avea pubblicato nella sua Italia una versione tedesca dell' Inno a Satana fatta da Giulio

Schanz. Nel 1879 Teodoro

Mommsen, passando
in

da Firenze, e trovandosi un giorno


Malfatti, caduto
il

casa del

discorso

sulle

Odi barbare,

eh' erano allora

una

novit, ebbe

da esso notizia

delle poesie dell'amico nostro,

notizia intendo,
seria
e

non come
mentata.

le

porta la

fama,

ma

docuil

un

certo punto della conversazione

Malfatti, lasciato solo per


illustre,

un momento

l'ospite

and

nella libreria, prese alcuni

volumi
essi. Si

delle

poesie del Carducci e

torn

con

cominci a leggere, specialmente delle Odi barbare, e


si

seguit a parlare del tentativo della


fatto dal

nuova metrica
il

Carducci. Intorno al quale


fu che
1'

parere del

Mommsen
che

ode asclepiadea
riu-

fosse riuscita interamente,


scita solo in parte,

che l'alcaica fosse

la saffica

non avesse niente

j4

>'o

Secondo

di saffico. trica latina

chi conosce gli elementi della


e'

me-

non

bisogno

di dire

le

ragioni

del parere dell' illustre

uomo. Questi poi congeportare


il

dandosi espresse

il

desiderio di

con se
Malfate

alcuni di quei volumi, desiderio che


fa

ben

lieto di sodisfare.
il

Qualche mese dopo

Carducci riceveva d

Berl'no alcuni esemplari d' un volumetto, conte-

nente

se. te
;

Odi barbare,

l'ode Alla

rima

due

corrpon menti delle

Nuove

Poesie, con a fronte


in parte di esso
di lui.

una traduzione tedesca, opera

Mommsen,
tradotte

in panie di

un amico
il

Erano

dal

Mommsen
le

Canto

dell'Italia eie

va in Campidoglio,

quattro strofette che

minciano

U albero
odi In

a cui stendevi

La

pargoletta

mano,
Alla

le

una chiesa gotica, Alla Stagione,


Alla Rima. In uno degli

Regina

d'Italia, e

esemplari era scritto di


sto

mano

del

Mommsen
musa

que-

complimento
rifare
il

Tentate pure, vi non potrete

mai

saffico vero.
1

Per

la

tedesca,
li-

superba de' suoi bel

molti spondei, viene

bera ad inchi n arsi al vinto nella giostra gloriosa.

Veramente

il

complimento era

scritto in versi

ma
le

io

ho

c r eduto che

non

ci

fosse niente di male,

volendolo divulgare, a metterlo in prosa.


aduz'oni poetiche deH'illustre

Come
sono,

uomo non

Giosn Carducci

455

per ci che riguarda


irreprensibili, cosi
i

la

intelligenza dell'italiano,

suoi versi italiani non sono,

quanto

alla metrica,

assolutamente

perfetti.

Una

pi larga scelta delle poesie del Carducci


in

tradotte

tedesco fu pubblicata a Lipsia dal

Friedrich nel 1880.

fatta

da Betty Jacopson,

una signora
e

di

molto ingegno e di molto gusto

molto intelligente della nostra letteratura; ha


dell'

innanzi una prefazione

Hillebrand, e comaltre poesie varie e

prende alcune Odi barbare,


la

Cannone di Legnano.

Anche Paul Heyse,

l'illustre

traduttore delle

poesie del Giusti e delle opere del Leopardi, ha

voluto portare

il

suo contributo all'opera, per noi


divulgare in Germania
le

italiani lusinghiera, di

poesie dell'amico nostro. L'ultimo


che, Verse aus Italien,

volume

di

liri-

da

lui publicato nel 1880,

ha un' appendice
italiani.

di traduzioni dai pi recenti poeti

Ci sono del Carducci V Idillio maremmano,


di scuola,

Rimembrante

Sui campi di

Marengo
i

la notte del sabato

santo 1 iy5, tre sonetti, fra


e tre

quali quello

Al bove,

Odi barbare,

fra le

quali quella Alla Stagione. Altri pi recentemente

hanno tradotto alcune

delle

Nuove

odi barbare.

Tre

di queste traduzioni

sono ristampate nella

edizione di esse

Nuove

odi fatta dallo Zanichelli.

456

Libro Secondo

Al

di l della

Manica
pi

le notizie

della nostra

letteratura

arrivano

tarde

pi scarse.
citt, le

poeti inglesi

amano molto

l'arte, le

me-

morie

il

bel cielo d' Italia:

non pochi

di essi,
le ispi-

e de' pi grandi,

vennero a cercare qua

razioni ai loro canti,

amarono

la nostra lettera-

tura, tradussero dai nostri poeti, e si

provarono
in

anche a scrivere
rale
gl'Inglesi,

in versi
si

italiani.

Ma
di

gene-

quando
(e
i

tratta

letteratura
al

italiana, preferiscono

hanno ragione)

mo-

derno

l'antico, ai vivi

morti. Tuttavia la fama

del Carducci arrivata anche in Inghilterra.

La

Edinburgh Keview
del

di quest'anno

ha nel volume
Cossa
e sul

gennaio un lungo

scritto

sul

Carducci, la seconda met del quale una larga


notizia del nostro poeta, fatta con diligenza e co-

noscenza; larga,

ma

incompleta, perche' fondata

solamente sulle Poesie del Carducci nella terza


edizione del Barbra, sul Canto dell'amore e sulla

prima

serie delle

Odi barbare. Tutto

ci

che

vi

detto del poeta levato dalla prefazione

alle

Poesie, dalla

biografa del

Borgognoni

dalla

bibliografia aggiunta alla terza edizione delle

Odi

barbare.

Ma

l'apprezzamento dell'opera poetica

del Carducci fatto con intelligenza e simpatia:


e nel corpo dello
scritto

sono felicemente

tra-

dositi;

Carducci

457

dotte le ultime sette strofe bellissime del Canto

dell'amore.

Fra

le

Odi barbare
:

il

critico inglese preferi-

sce quelle intitolate


tronio,

Nella jpia\\a

di

San PeCli-

Mors, Alla Stagione, Alle fonti del

tumno.

Forse

l'ode Alla Stagione,

egli

dice,

spiega in pi alto grado che le altre la potenza

d'immaginazione del Carducci


dronanza
eh' egli

l'assoluta

pa-

ha

de' suoi

materiali

poetici.
di ferro-

Fare una descrizione

di

una stazione

via nello scuro albeggiare d'un piovoso mattino

d'autunno, con
di

tutti

particolari della partenza

un convoglio;

farla in

un metro

classico e

con

classica sobriet d'epiteti; e farla in

modo

da pro-

durre
nella

l'

impressione della pi vivida e salda realt


del lettore,
,

mente

ci

sar concesso, im-

presa di non piccola difficolt;

ma

noi crediamo
la

che ben pochi, dopo aver letta attentamente


poesia,

saranno disposti a negare che


stata

tale
(1).

im-

presa

sia

compiuta dal Carducci

L'ode Alla Stagione


serie

una

di quelle della

prima

che in generale han


fatti

fatto pi

impressione
di quelle a

sugli stranieri: in

anche una

cui

traduttori

hanno dato

la preferenza.

(1)

Edinburgh Revicw, January 1882 (N. 317', pag.

58.

458

Libro Secondo

X
Il

Carducci
serie

sta ora raccogliendo le sue poesie

in

meglio

ordinate

e rispondenti ai vari

periodi di svolgimento e manifestazione del suo

ingegno.

questa l'edizione definitiva che annul-

ler tutte le precedenti, e nella

quale

gli studiosi

potranno seguire a passo a passo, senza dover mai


deviare

retrocedere,

la

via splendidamente

percorsa dal nostro poeta. In essa vedranno per


quali studi e per quale

modificarsi e svolgersi

delle sue facolt intellettuali egli,

movendo

dalle

poesie
il

dei Juvenilia,

dove manca quasi

affatto

senso della modernit, sia arrivato a scrivere

gli

Epodi

e le

Odi barbare, alcuni


di

dei quali e

alcune delle quali sono quanto

pi intima-

mente moderno

e insieme pi altamente classico

abbia la poesia italiana dei tempi nostri.

Di questa edizione
finora tre

definitiva sono pubblicati

volumi

a ciascuno di essi va innanzi

una prefazione del poeta, che

come un fram-

mento
di

delle
in

memorie

della sua vita nel periodo


scritte
le

tempo

cui furono
Il

poesie rac(Juvenilia),

colte nel

volume.

primo volume

pubblicato nel 1880,

comprende

le

poesie

com-

Giosu Calducci

459

poste fra

il

iS5o e

il

1860, salvo

il

Prologo, cci865,
ri-

minciato a scrivere nel dicembre del

preso e finito nel febbraio del 1867, per metterlo


innanzi all'edizione dei Levia Gravia del 1868:
il

secondo (Levia Gravia), pubblicato nel 18S0,


le

comprende
il

poesie scritte dal 1861 al 1867;

terzo (Giambi ed Epodi), pubblicato l'ottobre

di quest'anno, tutte le poesie

d'argomento
e
il

civile

politico

composte

tra

1867

1872.

Un

quarto volume dar,

credo,

tutte

le
il

poesie in

rima non politiche composte dopo

1867; un
le

quinto ed ultimo raccoglier insieme


le

prime e

seconde Odi barbare. Cosi avremo in cinque


tutta l'opera poetica del
virilit; nel

volumi

Carducci da"a
la

giovinezza alla
nel

primo

preparazione,
altri

secondo

la

formazione,

negli

tre

la

creazione.

Quando

si

pensa che

il

poeta ancora nella pie-

nezza delle sue forze, vien fatto naturalmente di

domandarsi: Che cosa far


e per la poesia,
tica,

egli

ancora per

l'arte

che sono

la passione

sua pi ani

pi costante, pi pura?

La

risposta che

fatti

daranno a questa domanda

sar,

non

e'

dubbio,

nuova cagione

di gloria per l'arte italiana.

FINE

^^^^^^'$Q-Ji Q%&$&$$a$Q&3$&3&
!

INDICE

Libro Primo
Percy Bysshe Shelley Algeknon Charles Swinbukne Due poeti inglesi giudicati da un poeta
pag.
5

italiano

53 S5

Enrico Heine:
Su l'Atta Troll
Sul Deutschland

109

149

Libro Secondo
Giacomo Leopardi: Frammento I

181

Frammento

II

219
e le

Su l'appressamento della morte

due elegie

235

Ugo Foscolo: La Teresa


Due amori

dell'

Jacopo

Orti>-

257
295

Giosu Carducci
(Avanti
il il

1869)
1869)

339
389

(Dopo

c^sf

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