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Indice
Voci
Introduzione
Metrica classica Piede (poesia) Mora (fonologia) 1 1 7 11 12 12 16 16 21 24 25 27 29 29 31 38 39 41 41 41 43 44 44 45 46 47 47 49 50 50 53
piedi
Dattilo (metrica) Spondeo Trocheo Giambo Baccheo Cretico Ionico (piede) Anfibraco Cesura Coriambo Docmio Gliconeo Molosso (piede) Proceleusmatico Pentametro dattilico Pentametro giambico Peone (piede) Pirrichio Saffico Tribraco
versi
Saturnio Endecasillabo falecio Adonio Anapesto Senario
54 54 56 60 60 61 61 62
strofe
Distico elegiaco Strofe alcaica Strofe saffica Metrica eolica
Note
Fonti e autori delle voci Fonti, licenze e autori delle immagini 63 64
Introduzione
Metrica classica
Metrica classica la definizione di quel particolare insieme di regole ritmiche operanti nella versificazione e nella cosiddetta prosa ritmica della letteratura greca e latina dell'et antica, basata sul principio dell'alternanza, secondo schemi prefissati, di sillabe lunghe e brevi (metrica quantitativa).
Metrica classica Nei secoli successivi, la metrica non fu trattata che incidentalmente dai filologi; Richard Bentley e Richard Porson studiarono soprattutto i versi del dialogo drammatico, mentre la conoscenza dei metri lirici restava lacunosa. Fu il tedesco Johann Gottfried Hermann, all'inizio del XIX secolo, a porre le basi della metrica moderna, partendo dalle dottrine degli antichi, e aprendo la strada a tutti gli studi successivi: pionieristici in particolare furono i suoi studi sui metri della lirica corale. La fine del XIX secolo e l'inizio del XX vide invece l'applicazione del metodo storicistico alla metrica, da parte di Ulrich von Wilamowitz-Mllendorf e di O. Schrder, che si concentrarono soprattutto sull'origine dei versi conosciuti, ricercando un ipotetico "verso primordiale" (Urvers) da cui sarebbero derivati tutti gli altri, sebbene con risultati poco incoraggianti. Nei primi decenni del XX secolo, anche gli studi sulla prosa ritmica hanno conosciuto un momento di grande sviluppo: si ricorda, fra tutti, il classico di Eduard Norden, Die Antike Kunstprosa, (La prosa d'arte antica), 1909.
Metrica classica ipermetro (gr. , lat. hypermeter). Un verso (e cos un periodo o una strofa o un sistema) un'unit indipendente in quanto presenta le seguenti caratteristiche: 1. termina con una pausa 2. ammette iato con la sillaba iniziale del verso successivo 3. la sua sillaba conclusiva sempre elementum indifferens, ossia pu essere indifferentemente lunga o breve. asinarteto (gr. ): un particolare tipo di verso, formato da due cola di metro differente, separati da una dieresi. periodo (gr. , lat. periodus/ambitus): un insieme indipendente di due o pi cola, di ampiezza uguale o maggiore a quella del verso, ma senza carattere fisso. strofe (gr. , lat. stropha): entit metrica formata da due o pi versi o periodi. sistema (gr. ): entit metrica composta di una successione di cola dalla struttura regolare (per lo pi dimetri) di uno stesso metro di una estensione considerevole. Talvolta cola e versi possono essere allungati o abbreviati rispetto al loro schema di base. Si definisce allora: acefalo: privo della sillaba iniziale procefalo: allungato di una sillaba al suo inizio. Tale fenomeno noto anche come anacrusi. catalettico (gr. ): privo della sillaba finale. In metri trisillabi, come il dattilo, se le sillabe mancanti sono due, si definisce catalettico in syllabam, se la sillaba mancante una, invece, viene detto catalettico in duas syllabas. Due cola catalettici combinati assieme formano un verso dicataletto ipercataletto: allungato alla conclusione di una sillaba. Altri fenomeni importanti: iato (lat. hiatus) successione di due vocali non fuse in un dittongo e dunque appartenenti a sillabe diverse. Normalmente, le lingue classiche evitano sempre lo iato, se non a fine di verso (o periodo, o strofa). sinafia: (gr. ) fenomeno di continuit ritmica tra due cola, che consente a una parola di essere spezzata tra la fine di un colon e l'inizio dell'altro, o nel caso di due vocali contigue, appartenenti a due parole diverse, di essere unite in sinalefe. anaclasi (gr. ): fenomeno in cui una sillaba breve e una lunga all'interno di un piede o di una sizigia o tra due sizigie contigue invertono la loro posizione (per esempio, un metro giambico pu, per anaclasi, divenire un coriambo ). cesura (gr. , lat. caesura): incisione ritmica all'interno di un verso che divide in due parti un piede. dieresi (gr. , lat. diaeresis): incisione ritmica all'interno di un verso che cade tra due piedi. zeugma o ponte (gr. , lat. zeugma): punto del verso in cui una parola non pu terminare.
Tipi di piede
Ecco un elenco dei piedi usati nella poesia latina e greca, divisi per durata. Piedi di due morae: pirrichio Piedi di tre morae: tribraco, trocheo, giambo Piedi di quattro morae: spondeo, dattilo, anapesto, anfibraco, proceleusmatico Piedi di cinque morae: peone primo, peone secondo, peone terzo, peone quarto, cretico, baccho, antibaccho Piedi di sei morae: ionico a maiore, ionico a minore, coriambo, molosso Piedi di sette morae: epitrito primo, epitrito secondo, epitrito terzo, epitrito quarto Piedi di otto morae: docmio
Metrica classica
Metrica classica Dattili e anapesti logaedici Dattilo-epitriti Asinarteti In tale classificazione, la metrica eolica pu essere divisa tra i dattili e i coriambi o essere trattata con i versi misti. Classificazione per genere: Versi recitati: esametro dattilico trimetri giambici (trimetro giambico, scazonte, trimetro giambico catalettico) tetrametro trocaico ed altri versi trocaici Versi cantati (lirica monodica): metri eolici altri metri lirici (gli asinarteti archilochei, alcuni metri ionici) metri diversi utilizzati nelle parti cantate della tragedia Versi cantati (lirica corale): le complesse forme metriche, per lo pi sotto forma di triade epodica, che si incontrano nella lirica corale e nei cori della tragedia.
Metrica classica Questi sistemi strofici sono in uso nella lirica monodica, e pi tardi nella poesia ellenistica e in quella latina. La lirica corale, e le parti corali della tragedia, usano invece strofe dalla struttura molto pi complessa e che variano molto da un esempio all'altro. i componimenti astrofici, privi di un qualsiasi schema fisso. In tale categoria rientrano i sistemi, i kmmoi del dramma (canti divisi tra il coro e gli attori), le monodie del dramma, i ditirambi e i nomoi della lirica corale. I componimenti strofici, a seconda del loro ordine interno, sono poi ulteriormente divisi in: componimenti monostrofici quando la stessa strofe si ripete identica per tutto il poema; componimenti epodici, o triade epodica, quando ad una strofe e ad un'antistrofe dalla stessa struttura metrica segue un epodo di struttura differente. Nella lirica corale, l'epodo sempre ripetuto, secondo lo schema A A B, A' A' B', ecc.; nella tragedia invece l'epodo compare di solito una volta sola, in posizione variabile.
Bibliografia
In italiano Massimo Lenchantin de Gubernatis Manuale di prosodia e metrica latina ad uso delle scuole, Principato, Milano-Messina 1934 (e successive ristampe); Massimo Lenchantin de Gubernatis Manuale di prosodia e metrica greca ad uso delle scuole, Principato, Milano-Messina 1948 (e successive ristampe); Bruno Gentili, La metrica dei Greci, D'Anna, Messina-Firenze 1958 (rist. 1982) Luigi Enrico Rossi, Metrica classica e critica stilistica. Il termine "ciclico" e l'agogh ritmica, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1963; Sandro Boldrini, La prosodia e la metrica dei romani, Carocci, Roma 1992; Maria Chiara Martinelli, Gli strumenti del poeta: elementi di metrica greca, Cappelli, Bologna 1997; Bruno Gentili, Liana Lomiento, Metrica e ritmica: storia delle forme poetiche nella Grecia antica, Mondadori universit, Milano 2003. In lingua straniera F. Crusius-H. Rubenbauer, Rmische Metrik. Eine Einfuehrung, Monaco, 1967W.J.W. Koster, Trait de mtrique grecque suivi d'un prcis de mtrique latine, Leida, 1936 (19664) L. Nougaret, Trait de mtrique latine classique, Paris, Klincksieck, 1948 M.L. West, Greek Metre, Oxford, Clarendon Press, 1982 A. Dain, Trait de mtrique grecque, Paris, Klincksieck, 1965 D. Korzeniewski, Griechische Metrik, Darmstadt, 1989- (Trad.it. Metrica Greca, L'Epos, Palermo, 1998) B. Snell, Griechische Metrik, Gottinga, 1957 (Trad.it. Metrica Greca, La Nuova Italia, Scandicci (FI), 1990)
Metrica classica W. Christ, Metrik der Griechen und Rmer, Lipsia 1879 U. v. Wilamowitz-Moellendorf, Griechische Verskunst, Berlino 1921 (rist. Darmstadt 1958, 1975, 1984) Altro Antoine Meillet, Les origines indo-europennes des mtres grecs, Parigi 1923. (Comparazione dei metri greci con altri metri di lingue quantitative, come il sanscrito).
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Piede (poesia)
Nella metrica classica il piede (in gr. ant. , lat. pes), cos chiamato perch il ritmo si batteva con il piede, era formato da un gruppo di due o pi sillabe brevi e lunghe che costituivano la misura del verso. Nel piede vi sono due elementi distinti, uno forte chiamato arsi e segnato dall'ictus, uno pi debole chiamato tesi dove la voce si abbassa. Per quanto riguarda il ritmo, si deve far distinzione tra il piede ascendente che inizia dalla tesi e diventa pi forte verso l'arsi, e il piede discendente che comincia dall'arsi per decrescere verso la tesi. I piedi principali erano il trocho, il giambo, il dttilo, lo spondo, l'anapesto e l'anfibrchio. Unendo pi piedi veniva a formarsi il verso come l'esametro, il pentametro, il senario, l'adonio e altri. Nella metrica italiana moderna vengono chiamati piedi quei gruppi di versi che formano le strofe della canzone o la stanza di una ballata o anche le prime due quartine del sonetto. La metrica del Novecento esalta la funzione del piede per la sua autonomia di contro all'isosillabo e quindi al verso libero. Il piede pertanto l'unit ritmica, codificata dalla dottrina metrica antica, alla base della versificazione basata sulla quantit sillabica greca e latina. Un piede composto da almeno due sillabe e da almeno tre morae.
Piede (poesia)
peone primo: peone secondo: peone terzo: peone quarto: baccheo: palinbaccheo o baccheo rovesciato: cretico
Piede (poesia)
Piede (poesia)
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Voci correlate
Metrica classica
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Mora (fonologia)
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Mora (fonologia)
Una mora (plurale more o morae), un'unit di suono usata in fonologia, che determina la quantit di una sillaba, che a sua volta - in alcune lingue - determina l'accento. Come molti termini linguistici, l'esatta definizione discussa. Il termine, che significa "ritardo", "indugio", tratto dal latino. Nella metrica classica era l'unit di misura della durata delle sillabe e valeva un "tempo" ovvero una sillaba breve (U), mentre la sillaba lunga () ne equivaleva a due. La prosodia oggigiorno la utilizza con la stessa accezione. Una sillaba contenente una mora detta monomoraica, una con due more detta bimoraica.
Caratteristiche
In generale, le more si computano come segue: 1. L'attacco consonantico di una sillaba non rappresenta alcuna mora. 2. Il nucleo sillabico rappresenta una mora nel caso di una vocale corta, due more nel caso di una vocale lunga o dittongo. Nel caso di lingue in cui alcune consonanti possono servire da nucleo sillabico (consonante vocalica), rappresentano una mora se brevi e due more se lunghe. 3. In alcune lingue, come il latino, la coda consonantica di una sillaba rappresenta una mora; in altre, come l'irlandese, no. 4. In alcune lingue, una sillaba con una vocale lunga o dittongo nel nucleo e una o pi consonanti nella coda considerata trimoraica. In generale, le sillabe monomoraiche sono definite sillabe brevi, le bimoraiche sillabe lunghe, e le trimoraiche sillabe extralunghe. Si ritiene che nessuna lingua usi sillabe che contengono quattro o pi more. Il giapponese una lingua famosa per le sue quantit moraiche. La maggior parte delle sue variet, inclusa la lingua standard, usano le more alla base del sistema fonetico piuttosto che le sillabe. Per esempio, l'haiku in giapponese moderno non segue lo schema 5 sillabe/7 sillabe/5 sillabe, come comunemente creduto, ma piuttosto quello 5 more/7 more/5 more.
Esempi
Il kanji giapponese , che significa "residenza" letto kyo, ed una sillaba monomoraica, mentre la parola (che significa "oggi") viene letta ky (o kyou), ed invece una sillaba bimoraica.
Voci correlate
Metrica classica
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piedi
Dattilo (metrica)
Il dattilo (dal gr. , daktylos, "dito", a causa della somiglianza dello schema alla forma del dito), un piede della poesia greca e latina.
Caratteristiche
Si compone di un'arsi di una sillaba lunga e di una tesi di due sillabe brevi; di conseguenza appartiene al e il suo ritmo discendente. La sua durata di quattro morae; pu essere in genere liberamente sostituito dallo spondeo ( ) la cui durata uguale e il cui ritmo pu essere discendente o ascendente a piacere; al contrario, l'anapesto ( ), piede sempre di quattro more, ma di ritmo ascendente, e il proceleusmatico ( ), di quattro more senza ritmo definito, sono sostituiti al dattilo solo molto raramente, ed esclusivamente nei versi destinati alla poesia lirica.
Forme
Si distinguono due gruppi di versi dattilici: versi dattilici puri: sono quei versi costruiti secondo le normali regole della metrica classica. Costituiscono il gruppo di gran lunga pi grande e di maggior uso. versi dattilo eolici: sono versi dal ritmo dattilico, ma costruiti secondo le regole della metrica eolica, il cui uso per lo pi limitato alla poesia lirica monodica.
Monometro dattilico
Il suo schema base : : . Questo lo schema puro: quando compare in questa forma, il monometro dattilico anche detto metrum hymenaicum (metro imeneo), in quanto usato nei canti delle processioni nuziali (imenei). La sostituzione con lo spondeo possibile in uno o in entrambi i piedi. Es. (Aristofane, Nuvole, 280; si tratta di un verso imenaico) Del monometro dattilico esiste anche una forma catalettica, dallo schema ; X; (X sta per sillaba anceps) che si incontra nelle strofe di dattilo epitriti. In questo tipo di versi anche possibile una forma con anacrusi, del tipo: : : bene osservare che queste forme (ad eccezione dell'hymenaicum) tendono a confondersi con altri schemi metrici e solo il contesto metrico complessivo consente di identificarli come dattili.
Dattilo (metrica)
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Tripodia dattilica
Si incontra come isolato o ripetuto pi volte. Il suo schema : :: Ad es. , : : (Euripide, Elena, 456) Talvolta l'ultimo piede si presenta catalettico in duas syllabas, ammettendo come soluzione tanto lo spondeo che il trocheo ( ), in tal caso, la tripodia dattilica diviene indistinguibile dal ferecrateo. Tripodia dattilica catalettica o hemiepes La tripodia dattilica pu apparire anche nella forma catalettica in syllabam: : X; Tale struttura metrica pi nota con il nome di hemiepes o penthemimeres, che le viene attribuito perch identica alla prima parte dell'esametro diviso dalla cesura pentemimera. (Si veda esametro e pentametro per maggiori notizie) Es. , (Alcmane, fr. 1 B) Prosodiaco Una tripodia dattilica catalettica in syllabam con anacrusi, (che corrisponde alla seconda met del verso esametrico tagliato dalla cesura pentemimere, supponendo il terzo piede spondaico) nota invece con il nome di prosodiaco (da , processione rituale in cui l'uso di questo verso era frequente). Il suo schema questo: X : : : X; Es. [sch. : : : X] (Pindaro, V Nemea, 13) Il prosodiaco, quando l'anacrusi si presenta lunga, non distinguibile dal paremiaco (dimetro anapestico catalettico) con primo piede spondaico: solo il contesto indica se ci si trova di fronte a un ritmo dattilico o anapestico. In sistemi prosodiaci, tanto la tripodia dattilica che l'hemiepes possono comparire, il primo come forma acefala del prosodiaco, il secondo come forma acefala e catalettica; sono anche possibili forme ipercatalettiche del prosodiaco piano e del prosodiaco acefalo, secondo gli schemi: X::::X Es. (Euripide, Elena, 862) :::X Es. (Pindaro, Pitica I, 2) Nel prosodiaco, i dattili sono sostituiti solo eccezionalmente da spondei. Tanto il prosodiaco che l'hemiepes sono stati impiegati gi da Archiloco nei suoi asinarteti ed epodi; entrambi i versi si incontrano poi nella lirica corale.
Dimetro dattilico
il pi comune nei sistemi dattilici; si incontra anche nelle strofe dattiliche e negli asinarteti. Il suo schema base : :|: Es. ' , , (Alcmane, Fr. 45 B) Quando il dimetro dattilico compare con l'ultimo piede spondaico e gli altri dattilici, noto come metrum archilocheum, perch Archiloco se ne servito nei suoi epodi. Es. ' [schema : | : ] (Archiloco, fr. 98 B.) Il dimetro dattilico pu anche comparire nella forma catalettica in duas syllabas,: : | : X.
Dattilo (metrica) ma si tratta di un metro raro, e spesso non distinguibile dal dimetro dattilico normale. Il dimetro dattilico catalettico in syllabam pi frequente, ed normalmente designato come metrum alcmanium o alcmanio; si pu incontrare tanto in periodi eterogenei di versi misti, che in periodi di dattilo-epitriti o di dattili puri. Lo schema : :|:X Es. (Eschilo, Supplici, 543) Ne esiste anche una forma con anacrusi, ma estremamente rara.
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Pentapodia dattilica
Lo schema : ::::: Questo metro si incontra talvolta nelle strofe dattiliche; prese il nome di metrum simieum dal poeta alessandrino Simia di Rodi, che scrisse un poemetto con questi versi. Negli esempi pi antichi le sostituzioni con lo spondeo non sono infrequenti, mentre in epoca alessandrina diventano pi rari. Es. , , (Simia, fr. 6 D.) :::: La forma catalettica in syllabam e la forma catalettica in syllabam con anacrusi sono possibili, ma rare. Questi gli schemi: 1. Catalettico in syllabam: : : : : X Es. (Sofocle, Aiace, 224) 2. Catalettico in syllabam con anacrusi: X: : : : : X
Trimetro dattilico
Il suo schema : :|:| Quando compare nella sua forma pura, il trimetro chiamato metrum ibyceum (dal poeta Ibico). Nella sua forma normale, il verso non ha cesura. Es. (Sofocle, Filottete, 1132-33) Se l'ultimo dattilo risolto in uno spondeo, diviene per molto difficile distinguere questo metro dall'esametro. Solitamente si considerano trimetri dattilici quelli che compaiono in contesti lirici, ma esistono casi accertati in cui anche i poeti lirici si sono serviti dell'esametro eroico: cos fecero Terpandro nei suoi nomoi, Alcmane nei suoi parteni, Saffo nei suoi epitalami.
Dattili eolici
Sotto questo nome vengono inclusi alcuni metri, di forma dattilica, che rispondono alle caratteristiche principali della metrica eolica: isosillabismo (il dattilo non ammette la sostituzione con lo spondeo) e base eolica iniziale. Lo schema di base di questi metri comune ed cos composto: base eolica (X X): pu essere resa con un trocheo, un giambo, un pirrichio o uno spondeo. Le forme pi frequenti sono quella trocaica e spondaica. parte dattilica: l'ultimo dattilo catalettico in duas syllabas un giambo finale, di cui, nelle forme catalettiche non resta che una sillaba indifferens.
Dattilo (metrica)
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Esapodia eolica
Schema: X X| | X Chiamato anche , questo metro di quattordici sillabi il pi utilizzato tra i metri eolici: tutto il secondo libro di Saffo era scritto in questo metro, usato come verso stichico. L'idillio XXIX di Teocrito scritto in tale metro. Es. , (Saffo, fr. 40 D) Di questo metro esiste anche la forma catalettica ( Schema: X X| | X), anche se pi rara. Es. (Saffo, fr. 121 D)
Pentapodia eolica
Schema: X X | | X Questo metro, di undici sillabe, stato impiegato abbastanza di frequente da Saffo. Es. (Saffo, fr. 96, 3 D)
Voci correlate
metrica classica esametro pentametro metrica eolica
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Spondeo
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Spondeo
Lo spondeo un piede in uso nella metrica classica. Formato dalla successione di due sillabe lunghe ( ) classificato come un piede quadrimoraico, appartenente al (gnos son), in quanto il rapporto tra arsi e tesi nella proporzione 1 a 1. Tuttavia, esso non ha un ritmo proprio definito, dal momento che tanto la prima quanto la seconda sillaba possono fungere da tempo forte a seconda dei contesti, e sebbene sia considerato dagli studiosi moderni nel novero dei piedi prototipici (ossia, quei particolari piedi che stanno alla base di tutta la versificazione antica) non esistono metri basati sullo spondeo. Esso per ampiamente usato e svolge un ruolo importante nelle sostituzioni tanto degli altri metri appartenenti al gnos son, come il dattilo o l'anapesto, che di quelli invece annoverati nel gnos diplsion (rapporto 1:2), come il trocheo ( ) e il giambo ( ): in questo caso, la sillaba lunga che sostituisce la sillaba breve dei metri originali definita lunga irrazionale, (per la spiegazione di questo fenomeno si veda metrica classica).
Voci correlate
Metrica classica
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Trocheo
Il trocheo (chiamato dagli antichi anche coreo o corio) un piede usato nella poesia greca e latina. Si compone di un elementum longum e di un elementum anceps (schematicamente X) che nella sua forma pura si realizza ed conosciuto come di conseguenza, in base alla codificazione della metrica classica, si tratta di un piede di tre morae, bisillabo, di ritmo discendente, e appartenente al , in quanto la proporzione tra arsi e tesi 2:1.
Origini
Gli antichi designavano il trocheo tanto con il nome trochios (dal verbo , trchein, correre) che chorios, (da , chros, danza), in relazione alle caratteristiche ritmiche del metro, che si presta tanto al movimento rapido che alla danza. I primi versi trocaici a noi noti compaiono in Archiloco.
Trocheo
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Uso
Come il giambo anche il trocheo normalmente contato in metri o sizigie; La soluzione degli elementa di arsi e tesi rende possibile la sostituzione del trocheo con il tribraco ( ) lo spondeo, frequente: nelle sizigie di solito ammessa solo nel secondo piede, formando uno schema ) l'anapesto ( ) il dattilo ( ) eccezionalmente. Quando questi piedi compaiono in sostituzione del trocheo, metro di ritmo discendente, il loro tempo forte cade sempre sulla prima sillaba. Inoltre il trocheo, come il giambo, soggetto a sincope o ad anaclasi in alcuni schemi metrici complessi, dando origine alle seguenti variazioni: per sincope: 1. = [] 2. = [] 3. = [] [] per anaclasi 1. = 2. = I versi trocaici pi lunghi, in particolare il tetrametro trocaico, sono usati nella poesia recitata, sia dai giambografi, che nelle parti recitate della commedia e della tragedia: anzi, secondo la testimonianza di Aristotele, questo uso del tetrametro trocaico sarebbe pi antico rispetto al trimetro giambico, che lo soppianta in epoca classica. I trocaici sono usati inoltre anche nella poesia lirica corale, e nelle parti liriche della tragedia.
Versi trocaici
Monometro trocaico
Il monometro trocaico compare principalmente in periodi eterogenei, come le strofe eolocoriambiche. Pu ammettere varie forme di risoluzione in uno o entrambi i piedi e talvolta appare come clausola alla fine di un periodo. Es. (Pindaro, Nemea, VI 6b) Quando appare nella forma (equivalente all'epitrito secondo) uno dei costituenti base dei versi dattilo epitriti. Il monometro trocaico catalettico , nella sua forma equivalente a un cretico: lo si incontra a fianco di altri pi estesi, prevalentemente dello stesso metro, e soprattutto in clausola.
Trocheo
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Tripodia trocaica
La tripodia trocaica rara: tutti i trocaici che sembrano averne l'aspetto sono in realt degli itifallici (vedi sotto). Es. ' (Pindaro, Olimpica I, 54) La forma catalettica, al contrario molto pi frequente, sia nella forma standard che con varie sostituzioni: A causa della sua somiglianza con il docmio, tale metro chiamato ipodocmio, e si trova spesso in associazione con i metri docmiaci. Questo per non il suo unico uso: lo si pu incontrare anche ripetuto come verso indipendente, o in connessione con versi eolo-coriambici. Es. (Euripide, Ippolito, 126)
Dimetro trocaico
Il dimetro trocaico nella sua forma acataletta il di cui ordinariamente sono composti i periodi e sistemi trocaici. Dimetro trocaico acataletto X| Es. (Aristofane, Vespe, 1327) Questo verso si incontra spesso tanto nella commedia che nella tragedia; solo o in unione con il dimetro trocaico catalettico; solo in Sofocle raro. Ammette in genere un ampio numero di sostituzioni; rari i casi di sincope, con o senza protrazione. Pu apparire in serie di cola trocaici, in unione con versi eolo-coriambici, o nei dattilo epitriti. I casi di sincope, con o senza protrazione, sono rari; si possono invece verificare casi di anaclasi, con un dimetro che inizia cos con un giambo diviene un metro di uso antico, che si trova gi in Alcmane. Dimetro trocaico catalettico o lekythios X| Il dimetro trocaico catalettico un verso di ampio uso, sia in sistemi con il dimetro trocaico acataletto che in sistemi misti. anche detto lecizio o euripideum, per il famoso passaggio delle Rane di Aristofane, (v. 1200 e seguenti) in cui il poeta ridicolizza il trimetro giambico euripideo aggiungendo dappertutto, dopo la cesura, la formula (perse il vasetto), formula che , appunto, un dimetro trocaico catalettico. Questo si incontra gi in Archiloco, che lo us in un asinarteto, preceduto da un dimetro giambico; presente in Alcmane e nella lirica corale, e nella poesia drammatica; pu essere usato come verso indipendente o strettamente associato al colon successivo. In generale, comunque, non ammette molte soluzioni. Talvolta, il piede iniziale pu subire anaclasi (cos in Eur., Troiane, v. 560 segg.). Il utilizzato da Plauto come tetrapodia piuttosto che come dimetro, mentre Orazio imita pi da vicino l'uso greco usandolo nel cosiddetto "sistema ipponatteo" in coppia con il trimetro giambico catalettico in Carm. II, 18
Trocheo Dimetro trocaico brachicatalettico o itifallico Nel dimetro trocaico brachicatalettico, anche il penultimo piede perde la sua arsi. Questo tradizionalmente noto con il nome di itifallico, in quanto utilizzato nei canti delle processioni per il dio della fertilit. Es. (Saffo, fr. 84 B) La sua forma potrebbe far pensare a una tripodia, ma poich lo si incontra anche in responsione con dimetrici trocaici acataletti, si deve pensare a una sincope del penultimo piede. I suoi usi sono molteplici: esso compare come secondo elemento di molti asinarteti o come clausula alla fine di sistemi di trocaici e non. Tale verso ammette soluzioni nel primo metro e il qualche caso anaclasi (anche se in tal caso si confonde con un dimetro bacchiaco).
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Pentapodia trocaica
XX La pentapodia trocaica un metro che appare piuttosto raramente. Es. ' (Eur., Medea, 634) Appena un po' pi frequente la sua versione catalettica X entrambi appaiono solo nei periodi e sistemi lirici; le sostituzioni in genere non sono molte. Es. ' ' (Bacchilide, XVII, 55)
Trimetro trocaico
X|X| Anche il trimetro trocaico acataletto non un verso di uso molto comune. Non compare mai come verso stichico, ma usato occasionalmente nei periodi trocaici, anche se spesso in tali contesti viene considerato un monometro + un dimetro. Es. (Aristofane, Tesmoforiazuse, 465) Nella sua forma epitritica || si incontra nei dattilo epitriti. Questo schema definito dagli scolii metrum stesichorium (dal poeta arcaico Stesicoro). Es. (Pindaro, Olimpica VI, 7)
Trocheo Trimetro catalettico X|| si incontra pi di frequente. La sua prima attestazione in Archiloco; appare in seguito insieme ad altri trocaici in sistemi lirici. Es. (Archiloco, fr. 99 B)
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Tetrametro trocaico
Per approfondire, vedi Tetrametro trocaico.
. X | X || X | il verso principale delle parti dialogate dei drammi sia greci che latini. Nel dramma latino il verso chiamato settenario trocaico, ammettendo sostituzioni in tutte le sedi. La forma pi documentata quella catalettica, che deriva da una forma acataletta di origine lirica.
Pentametro trocaico
X | X | X | X | Callimaco sperimenta in un suo epigramma questo tipo di verso Es. ' (Callimaco, Frag. 400 Pfeiffer)
Settenario trocaico
Per approfondire, vedi Settenario trocaico.
Fu un verso tipico del teatro arcaico latino; lo schema metrico il seguente: X | X | X | X || X | X | x Es. Saepe tritam saepe fixam saepe excussam malleo (Plauto, Menecmi, 403)
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Giambo
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Giambo
Il giambo () un tipo di piede adoperato nella metrica classica, dallo schema . Esso formato da un'arsi di una sillaba breve e di una tesi di una sillaba lunga, conta tre morae e appartiene al genos diplasion ( ), dal momento che il rapporto tra arsi e tesi 1:2.
Origini
L'etimologia del nome giambo resta ignota. Gli antichi accostavano la parola al nome di (Iambe), una vecchia serva del re di Eleusi, Celeo, che con le sue battute e scherzi avrebbe indotto a ridere la dea Demetra, inconsolabile a causa della scomparsa della figlia; oppure lo si faceva derivare dal verbo (iambiz), che significa "scherzare, prendere in giro", o da , ovvero "scagliare", "colpire". Tali etimologie sono rifiutate dai moderni, che ritengono invece che sia il nome proprio sia il verbo derivino dalla terminazione in -, che accostano a parole come thriambos e ditirambo, nomi di canti che si riferiscono al culto di Dioniso, e la cui etimologia di origine anellenica. La connessione del giambo a Demetra e ai culti della fertilit per non sembra casuale, come altre fonti sui misteri eleusini e sugli scherzi rituali ad essi collegati sembrano indicare. In ogni caso il giambo associato, sin dalla sua presunta origine mitica, allo scherzo, alla battuta, al motteggio, come testimoniano i temi della poesia giambica. Si pensa anche che possa derivare dal nome , il figlio di Ares, abile lanciatore di giavellotto, paragonando quindi il gesto del lanciatore al ritmo del giambo, caratterizzato da una sillaba breve e una lunga.
Uso
I versi giambici sono, dopo l'esametro, tra i metri greci pi antichi. Soli o in unione con altri metri epodici, i metri giambici furono largamente adoperati nella poesia giambica e nella metrica corale e continuarono ad essere usati sia nella poesia alessandrina che in quella latina; nell'et classica, inoltre, il trimetro giambico divenne il metro abituale delle parti parlate della tragedia e della commedia, e il modello da cui i romani trassero il senario giambico.
Particolarit
Di norma, quando il giambo compare in un numero pari di unit, si conta per metri, e non per piedi; cosa che non accade quando i giambi sono dispari. Il giambo ammette molteplici sostituzioni, anche se con forti variazioni a seconda del genere d'uso e del tipo di verso. L'equivalenza del giambo con l'anfibraco ( ) mantenendo la misura di tre more, non crea difficolt; la soluzione spondaica ( ) in cui la prima sillaba lunga detta irrazionale (si veda metrica classica), non rara, ma nelle sizigie si incontra solo nel primo giambo di ogni metro; sono possibili anche soluzioni dattiliche ( ) o anapestiche ( ). Il tempo forte, in ogni caso, rimane nella seconda parte del piede. L'arsi, talvolta, poteva essere sincopata; non chiaro per se la sillaba cadesse semplicemente o se e quando ci fosse protrazione sulla sillaba successiva.
Giambo
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Metri giambici
Monometro giambico
Questo colon ha schema ammette la sostituzione della prima breve con lunga irrazionale e di solito fa parte di periodi o di strofe di metro giambico o misto; prestandosi soprattutto ad esclamazioni, non di rado inserito anche tra i trimetri del dialogo, ma pu comparire anche in unione con un docmiaco o tra i dattilo epitriti. Es. (Euripide, Eracle, ver. 904) Del monometro, sono possibili anche: 1. la forma ipercatalettica: X, che si trova in qualche colon isolato o nei dattilo epitriti. 2. la forma catalettica: X (in cui sta per la sillaba mancante), identica in apparenza a un baccheo ( )
Tripodia giambica
Non un colon molto frequente, ma non raro nella poesia drammatica e nella lirica corale. La sua forma pura : e cos compare, ad esempio, in un verso di Bacchilide (XVII 48) Da questo schema base, sono possibili varie sostituzioni: 1. 2. 3. 4. con lunga irrazionale nel primo giambo: : : con un anapesto nel primo giambo: : : con un tribraco iniziale: : : con un dattilo iniziale : :
Altre sostituzioni sono possibili, ma pi rare. La tripodia dattilica pu comparire in forma isolata, ma pi spesso viene invece associato ad un docmio.
Dimetro giambico
Fra i metri giambici, il dimetro il colon pi frequente nei periodi o nei sistemi. Il suo schema puro : | La lunga irrazionale normalmente ammessa solo nel primo piede di ogni metro; questo tipo di verso per pu ammettere, a seconda dei casi, una grande variet di soluzioni (tribraco, dattilo, anapesto), o presentarsi variamente sincopata. Il dimetro giambico appare anche in forma catalettica (hemiambus): | Qualora anche il primo piede dell'ultimo metro subisca sincope, si definisce brachicatalettico. |.: Il dimetro giambico catalettico stato variamente usato nella poesia lirica (non corale): Saffo, ad esempio, ne unisce due a formare un tetrametro dicatalettico, secondo lo schema | X || | X Serie di dimetri giambici catalettici kat stchon compaiono in alcune odi di Anacreonte e sono uno dei metri preferiti degli autori di Anacreontea Il dimetro giambico possiede anche una forma ipercatalettica: | | X
Giambo Questa forma particolarmente nota, in quanto appare come terzo verso della strofe alcaica, ma si incontra anche nei versi eolo-coriambici e nei dattilo epitriti.
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Pentapodia giambica
La pentapodia giambica non un verso comune. La sua forma base : ma le sostituzioni, in particolare lunghe irrazionali e tribraco, non sono rare. Lo si incontra nella lirica corale (Pindaro), in Sofocle ed Euripide. Questo verso anche presente in storie di Canterbury di Geoffrey Chaucer
Trimetro giambico
Si veda trimetro giambico.
Tetrametro giambico
Il tetrametro giambico l'unione di due dimetri giambici, secondo lo schema: | || | Questo tipo di verso si incontra gi in Alcmane e in Alceo. Un dimetro giambico seguito da un dimetro giambico catalettico forma un tetrametro giambico catalettico: | || | Lo si incontra gi tra i giambografi (Ipponatte) e di frequente nella Commedia antica. Tale verso molto libero nelle sostituzioni: negli esempi noti, solo il settimo piede sempre giambico, mentre tutti gli altri possono assumere forma spondaica, dattilica o anapestica. inoltre da notare che entrambi i tipi di tetrametro, in quanto composti da due cola, hanno normalmente la pausa (una dieresi, in questo caso) a met verso, dove finisce un colon e inizia il secondo.
Pentametro giambico
Si veda Pentametro giambico.
Voci correlate
Metrica classica Metrica latina
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Giambo
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Collegamenti esterni
Giambo [1] in Tesauro del Nuovo Soggettario [2], BNCF, marzo 2013. Portale Antica Grecia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Antica Grecia
Note
[1] http:/ / thes. bncf. firenze. sbn. it/ termine. php?id=29046 [2] http:/ / thes. bncf. firenze. sbn. it/
Baccheo
Il baccho uno dei piedi della metrica greca e latina. Si compone di una sillaba breve seguita da due sillabe lunghe ( ): di conseguenza un piede di 5 more, di ritmo ascendente, appartenente al gnos hemilion, in quanto il rapporto tra tesi ed arsi di 2:3. Questo piede possiede anche un "gemello", il palimbaccheo o antibaccho o baccheo rovesciato ( ) di ritmo discendente, che per non praticamente mai usato come piede indipendente. Il termine "baccheo" deriva da Bacco: questo ritmo era legato al culto di Dioniso, e utilizzato nei canti in suo onore. Su altri suoi utilizzi, non si pu avere molta certezza, dal momento che con questo termine i metricologi antichi indicavano anche il coriambo e l'antispasto. Spesso sizigie trocaiche o giambiche sincopate assumono la forma di un baccheo: i bacchei veri e propri sono invece rari, e si incontrano nella lirica corale e di tanto in tanto nella poesia drammatica, soprattutto in Eschilo. Il baccheo ammette talvolta risoluzione di una delle sillabe lunghe; anche possibile la sostituzione della sillaba breve con una lunga irrazionale, mentre, secondo la regola usuale, l'ultimo piede di un verso indifferens. I principali metri bacchiaci sono: Il dimetro bacchico ( | ). Ad esempio si pu citare un verso delle Rane di Aristofane (v. 316) ', . Questo verso si incontra tanto nei lirici che negli scrittori drammatici. Il trimetro bacchico ( | | ) un verso rarissimo. Ad esempio, si pu citare Euripide, Baccanti, 994: Il tetrametro bacchico ( | | | ) il verso meno raro tra i metri bacchiaci. Un esempio, da Eschilo, fr. 23 N. ' ' . L'utilizzo dell'antibaccheo come piede indipendente rarissimo e si incontra solo in epoca ellenistica o pi tarda, come in un inno di Mesomede.
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Cretico
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Cretico
Il cretico un piede della metrica greca. Si compone di una sequenza di una sillaba lunga, una sillaba breve e una sillaba lunga ( ) ed di conseguenza un piede di cinque more, appartenente al gnos hemilion, in quanto il rapporto tra arsi e tesi di 2:3; non possibile definirne il ritmo come ascendente o discendente, dal momento che l'arsi incastonata in mezzo alla tesi. Le due sostituzioni naturali del cretico sono il peone primo ( ) e il peone quarto ( ), originati dalla risoluzione di una delle sillabe lunghe del cretico; anche possibile risolvere entrambe le sillabe lunghe, formando la sequenza , che dai grammatici antichi definita orthios o arthmos). Soprattutto quando associato con i docmiaci, la sillaba breve pu essere sostituita da una lunga irrazionale, dando origine a un molosso ( )
Origini ed uso
L'etimologia riconnette il nome cretico all'isola di Creta: tale ritmo, secondo le testimonianze degli antichi, sarebbe stato in uso nelle musiche di quella regione ed sarebbe stato inoltre un cretese, il poeta e musicista Taleta, a servirsene per primo. Il suo utilizzo sarebbe stato principalmente riservato ai canti che accompagnano la danza, gli iporchemi. Il nome peonio, invece, deriva da peana, l'inno religioso cantato in onore di Apollo, composto di preferenza in questo metro: tale diversit di utilizzo dei metri cretici pi apparente che reale, dal momento che in epoca arcaica la distinzione tra peana ed iporchema era molto labile, se non inesistente. Sin dalle sue origini, il cretico un verso strettamente collegato alla lirica corale: il primo esempio di cretico conosciuto contenuto in un frammento di Alcmane, mentre Bacchilide compose interi composizioni in soli metri cretici. Raro invece il suo uso nella tragedia, mentre Aristofane, soprattutto nelle sue prime commedie, lo utilizza di frequente, non di rado associato a metri trocaici. Il cretico era una sequenza particolarmente raccomandata nelle clausule della prosa a partire da Trasimaco tanto nell'oratoria greca che, successivamente, in quella romana (anche Cicerone lo utilizza spesso). Questo era dovuto al suo raro uso nella poesia, che consentiva all'oratore di utilizzarlo per dare ritmo alle sue frasi senza dare per questo l'impressione di recitare in versi. Tale preferenza era poi favorita dal fatto che, secondo la trattatistica antica, questo tipo di verso era particolarmente vigoroso e robusto.
Metri cretici
Monometro cretico
Il monometro cretico si incontra, talvolta all'inizio di qualche colon o verso eolo-coriambico, o in qualche altra costruzione metrica particolarmente rara.
Dimetro cretico
Il dimetro cretico ( | ) si incontra come elemento costitutivo di sistemi di estensione variabile: presenta spesso il fenomeno della sinafia. Nei tragici invece compare invece a volte formato di due peoni quarti. Ad esempio, in questi versi tratti dai Cavalieri di Aristofane, vv. 222 segg, i primi tre dimetri sono uniti tra loro da sinafia. ' '
Cretico In Aristofane inoltre si incontra anche la forma catalettica (estremamente rara) del dimetro ( | X ), normalmente con il primo piede risolto in un peone.
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Trimetro cretico
Il trimetro cretico ( | | ) si incontra talvolta come colon o verso isolato, o in unione con cola docmiaci; il suo utilizzo prevalente per nei periodi cretici. Es. (Eschilo, Supplici, 418, cretici puri)
Tetrametro cretico
Il tetrametro cretico ( | || | ) per la sua estensione pu essere impiegato come verso stichico, che ammette lo iato e la sillaba indifferens alla fine, e il cretico pu essere sostituito con un peonio in tutti i piedi, tranne l'ultimo. La dieresi centrale usuale, ma non sempre rispettata. Es. (Alcmane, fr.61 D.)
Pentametro cretico
Il pentametro cretico acataletto ( | || | | ) chiamato anche teopompeo, dal poeta comico Teopompo anch'esso assai raro.
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Ionico (piede)
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Ionico (piede)
Con il termine piede ionico si intendono due piedi in uso nella poesia greca e latina, lo ionico a minore ( ) e lo ionico a maiore( ). Entrambi questi piedi contano sei more, e appartengono al gnos diplsion, in quanto il rapporto tra arsi e tesi di 1:2; il ritmo ascendente per lo ionico a minore e discendente per lo ionico a maiore. Bench le due sillabe lunghe formino nel loro insieme il tempo forte, probabile che fosse la prima ad essere specialmente marcata. Lo ionico a minore non subisce frequentemente sostituzioni: nel caso le due sillabe brevi siano sostituite con una lunga, si ha un molosso, ( ); nel caso invece una delle sillabe lunghe sia risolta con due brevi, si hanno gli schemi e . Per lo ionico a maiore queste sostituzioni sono invece pi frequenti. Fenomeno invece caratteristico dei piedi ionici l'anaclasi: 1. negli ionici a minore, l'ultima sillaba lunga di un piede si scambia con la prima sillaba breve del piede successivo, creando la sequenza 2. negli ionici a maiore, invece l'anaclasi avviene all'interno del piede, che diviene un ditrocheo ( > ) Rarissimi sono i metri ionici acefali: i tragici ne offrono qualche esempio. I metri sincopati invece non sono infrequenti nei sistemi strofici o nei periodi della lirica corale e della poesia drammatica. Il nome del metro deriva dalle popolazioni ioniche dell'Asia Minore, presso le quali si incontrano le pi antiche testimonianze dell'uso di questo metro (in particolare con Anacreonte); probabile che tale metro fosse associato nei culti estatici di Dioniso e di Cibele. Gli ionici a minore sono di uso pi antico e si incontrano gi nella lirica monodica arcaica; gli ionici a maiore appaiono invece pi tardi, ed quasi certo che iniziarono la loro esistenza come metro autonomo solo in et ellenistica.
Ionici a minore
Monometro ionico a minore
Questo colon, composto da un solo piede ionico, si incontra come elemento isolato sono nei dattilo-epitriti e composizioni simili.
Ionico (piede)
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Dimetro a maiore
Nella sua forma acataletta ( ) questo verso, chiamato anche cleomacheo, dal poeta alessandrino Cleomaco, si incontra talvolta nella poesia alessandrina, ma molto raro.
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Anfibraco
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Anfibraco
L'anfibraco (in greco: , amphbrachys, "breve ai due lati") un piede utilizzato nella metrica greca e latina. Si compone di quattro morae: una sillaba lunga tra due sillabe brevi, secondo lo schema . Lo stesso piede in latino era chiamato anche scolius dal nome di un tipo di arpa, con cui si accompagnava la recitazione.[1] Questo piede stato utilizzato anche nella metrica moderna (non pi quantitativa, ma accentuativa), in questo caso si compone di una sillaba accentata fra due sillabe atone. Nella poesia inglese l'anfibraco la base del limerick. L'anfibraco usato anche nella poesia russa.
Note
[1] Enciclopedia italiana e Dizionario della Conversazione (http:/ / books. google. it/ books?id=6GVBAAAAcAAJ& pg=PA181& lpg=PA181), Venezia 1838, p. 181 Portale Antica Grecia
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Cesura
La cesura la denominazione che in metrica definisce ogni demarcazione ritmica statisticamente significativa all'interno di un verso sufficientemente lungo, di cui delimita gli emistichi.
Etimologia
La parola deriva dal sostantivo latino caesura, "taglio", deverbativo da caedo, "taglio". Tale termine traduzione del corrispondente greco , a sua volta deverbativo di . In italiano il termine generico che indica la qualunque demarcazione interna a un verso incisione, la parola "cesura" indica invece le incisioni che la tradizione poetica ha reso statisticamente costanti, o meglio canoniche.
Definizione
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura (Dante, Divina Commedia, If, I, 1-2)
I due endecasillabi citati esemplificano un caso di verso con cesura: tra le possibili interruzioni della catena sillabica che forma il verso, l'endecasillabo predilige quella dopo l'accento di sesta posizione (primo verso) o di quarta (secondo verso): nel-mz-zo-dl-cam-mn || di-n-stra-v-ta mi-ri-tro-vi || pe-r_u-na sl-va_o-sc-ra Questo esempio evidenzia un'altra caratteristica: la cesura un luogo ritmico, corrispondente a una fine di parola che normalmente ma non obbligatoriamente corrisponde a un qualche tipo di pausa sintattica: nel caso dei versi di esempio per quanto vi sia una finale di parola tra "del" e "cammin", e tra "una" e "selva", la lettura ad alta voce del verso rende conto della natura proclitica di preposizione e articolo togliendo ogni dubbio sulla posizione effettiva delle cesure.
Cesura
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Origine
La cesura deriva certamente dalla pratica orale e formulare della recitazione poetica: essa permette infatti di suddividere versi lunghi in grado di contenere pensieri compiuti in emistichi facilmente riempibili con forme ricorrenti e funzionali alla recitazione. Se il padre della poesia occidentale Omero i poemi a lui attribuiti non sono certo sua invenzione originale, ma frutto versatile e funzionale di una secolare esperienza di elaborazione di cui il cantore cieco non che il vertice. La metrica classica ha poi codificato in dottrina quanto la pratica aveva elaborato e nel corso dei secoli, perdendosi gradatamente la produzione orale della poesia, la distinzione tonale dell'accento e la distinzione quantitativa delle vocali e delle sillabe, cristallizz in leggi sempre pi rigide la disposizione delle parole e delle cesure. Il gran numero di versi tramandatici dall'antichit ha comunque permesso di seguire statisticamente tale processo.
Coriambo
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Coriambo
Il coriambo un piede della metrica greca e latina. Si compone di una sillaba lunga, due sillabe brevi e una sillaba lunga ( ): si tratta perci di un piede di sei morae. Quanto al ritmo di questo piede, la sua classificazione non univoca. Sono state avanzate tre possibili interpretazioni del verso: come metro composto (trocheo + giambo). l'interpretazione che seguivano gli studiosi di ritmo antichi. Cos considerato, la tesi del coriambo coincide con le due sillabe lunghe, che portano l'ictus, e l'arsi formata dalle due sillabe brevi, rendendo il suo ritmo n ascendente n discendente. Il suo genere di appartenenza di conseguenza il diplsion, in quanto il rapporto tra tempo debole e tempo forte viene a essere di 1:2. come metro semplice, la cui Arsi-tesi Arsi] e la tesi . Il suo ritmo in questo caso ascendente, e appartiene al gnos son. Tale interpretazione suffragata dalla notazione musicale conservata nell'Epitaphium Sicili come metro semplice, appartenente al gnos son, ma in cui le due parti del verso, possono fungere in modo intercambiabile da arsi e da tesi, e il cui ritmo pu essere, a seconda dei contesti, ascendente o discendente. [N.B. Di norma, nell'insegnamento, come lettura metrica (si veda metrica classica) si adotta il primo genere di scansione, considerando "accentate" le due sillabe lunghe] Il coriambo mantiene quasi sempre la sua forma primitiva; solo occasionalmente una delle sue sillabe lunghe risolta in due brevi. La sostituzione delle due brevi con una lunga invece non ammessa o quasi dai poeti greci, mentre i latini hanno ammesso questa licenza. I metri coriambici sono divisi in due gruppi: i metri eolo-coriambici, che seguono (di norma) le regole della metrica eolica e che sono il gruppo pi numeroso e pi antico. i metri coriambici puri, che invece seguono i normali schemi della metrica greca, leggermente pi tardi, e di uso pi limitato.
Versi eolo-coriambici
Tali versi, come i dattili eolici, si contraddistinguono dai metri ordinari perch possiedono le caratteristiche tipiche della metrica eolica: l'isosillabismo (non sempre per rispettato, soprattutto nella poesia drammatica) e la presenza della base eolica, ovvero una sequenza di sillabe (nella sua accezione pi stretta, due, all'inizio del verso) la cui quantit pu essere indifferentemente lunga o breve. Secondo le ricostruzioni dei metricologi moderni, che si sono mossi sulle orme delle osservazioni di Wilamowitz, nel tentativo di inquadrare i molteplici metri di questa classe in uno schema coerente, il verso o colon eolo-coriambo ridotto alla sua forma pi primitiva consiste in otto sillabe, di cui quattro formano un coriambo, e quattro invece sono libere; a seconda che il coriambo si trovi all'inizio, alla fine, o nel mezzo del dimetro, si ha: | X X X X dimetro coriambico I X X X X | dimetro coriambico II X X | | X X gliconeo Da questo schema fondamentale, attraverso i fenomeni consueti di catalessi, ipercatalessi, acefalia, procefalia e di inserzione di uno o pi coriambi possibile far derivare tutte le forme metriche eoliche note; si deve per tener presente che la libert di questo schema non cos ampia come pu apparire: le quattro sillabe libere non sono mai tutte brevi, l'ultimo piede del gliconeo di solito un giambo, e anche nella base eolica vera e propria alcune combinazioni sono preferite ad altre. I dimetri coriambici I e II si incontrano solo eccezionalmente nei poeti eolici, mentre sono tra i metri pi usuali della poesia lirica corale e delle parti liriche del dramma.
Coriambo
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Dimetro coriambico II
Schema: X X X X | Questo verso, che si incontra solo eccezionalmente nei poeti eolici (Saffo ne presenta uno in responsione con un gliconeo), invece ben noto nella poesia posteriore. Corinna scrisse dei carmi in questo metro, senza gi pi tener conto della regola dell'isosillabia; sono frequenti nella poesia corale e nel dramma. Le combinazioni ammesse per il primo piede del metro sono: 1. ' (Corinna, fr 19 D) 2. (Euripide, Ifigenia in Aulide, 546) 3. (Corinna, fr. 5, 59 D) 4. (Pindaro, Pitica VII 21) 5. ' (Corinna, 5, 74 D) 6. , (Euripide, Oreste, 839) 7. (Corinna, fr 8 D) 8. ' ' (Euripide, Elena, 1338) 9. (Euripide, Ione, 496) 10. ' ' ' (Euripide, Elena, 520) 11. (Pindaro, fr.96, 2) 12. -[ (Pindaro, Olimpica I, 27) Di queste forme, il ditrocheo, il digiambo o l'epitrito sono le pi frequenti; le sequenze con tre sillabe brevi sono invece piuttosto rare. Indebolitasi la regola dell'isosillabia, anche possibile che il metro iniziale diventi di cinque o sei sillabe, per la risoluzione di una o due sillabe lunghe; rari invece sono i casi in cui sia una delle sillabe lunghe del coriambo del secondo piede siano risolte. Alcuni esempi: (Scoli 10 D, 3; in questo caso la prima sillaba risolta in due brevi) Dimetro coriambico II acefalo Schema: X X X | In questo caso le combinazioni ammesse per il primo metro sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6. (Euripide, Elena, 1339) (Eupiride, Elena, 1341) (Euripide, Elena, 523) (Euripide, Ifigenia in Aulide 221) (combinazione molto rara, si confonde con un dimetro ionico catalettico) (Euripide, Ifigenia in Aulide 209)
Nel caso di risoluzione di una delle sillabe lunghe, il colon diviene indistinguibile dalla forma non acefala: solo la responsione strofica indica allora di quale forma di dimetro si tratta.
Coriambo Dimetro coriambico II ipercatalettico Schema: X X X X | | X Es. (Pindaro, Peana II, 26) Si tratta di una forma rara, che si incontra saltuariamente nella lirica corale e nel dramma.
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Dimetro coriambico I
Schema: | X X X X Es. ' , (Aristofane, Cavalieri, 551) Questo colon pi raro del dimetro coriambico II e presenta in larga misura le stesse modifiche. Le forme pi comuni che le quattro sillabe libere assumono sono quelle di un digiambo ( ) e di un epitrito III ( ). Le quattro sillabe non sono mai tutte e quattro brevi; il dispondeo ( ) appare di rado, mentre lo ionico a minore non mai usato; la risoluzione di una sillaba lunga meno frequente che nel dimetro coriambico II. Dimetro coriambico I catalettico Schema: | X X X Es. , (Aristofane, fr. 10 K) In questo caso, il secondo metro assume di norma la forma di un baccheo ( ); molto pi rara invece la forma cretica ( ). Aristofane ne ha fatto uso di frequente, e cos questo colon chiamato aristophaneum. Dimetro coriambico I ipercatalettico Schema: | X X X X | X Es. ' (Euripide, Ifigenia in Aulide, 761) Si tratta di una forma estremamente rara, come per il suo corrispondente del dimetro coriambico II.
Dodrans
Con questo termine moderno si indicano i cola ottenuti privando i dimetri coriambici I e II di due sillabe della base libera, ottenendo cos le sequenze: 1. X X | 2. | X X La forma assunta dalla base eolica pi di frequente un giambo; il pirrichio di solito, salvo rare eccezioni evitate, dal momento che la sequenze viene a coincidere con un dimetro anapestico o dattilico; la risoluzione di una delle lunghe del coriambo attestata, ma rara. Dodrans I Schema: | X X Questo colon corrisponde ad una delle forme del docmio, ma si incontra anche come colon individuale, di norma con il piede libero in forma di giambo. La sua forma catalettica ( | X) normalmente chiamata adonio, perch utilizzata come ritornello rituale nelle lamentazioni in onore di Adone. Si incontra spesso come clausola: il suo uso pi noto quello di colon finale della strofe saffica.
Coriambo Dodrans II Schema: X X | La forma pi usuale della base eolica quella trocaica (ma pu anche presentarsi in forma spondaica o giambica); questo colon si incontra di tanto in tanto nei sistemi eolo-coriambici; Simonide lo usa preceduto da una sizigia giambica.
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Gliconeo
Per approfondire, vedi Gliconeo.
Trimetri coriambici
Sotto questa definizione si radunano una serie di versi derivati da un gliconeo tramite l'inserzione di un altro metro (coriambico o no). I pi importanti, usati come versi autonomi (nelle strofe coriambiche sono possibili anche altre pi estemporanee combinazioni), sono: 1. 2. 3. 4. l'endecasillabo falecio l'endecasillabo saffico l'endecasillabo alcaico l'asclepiadeo minore e maggiore (da questo derivato)
Endecasillabo falecio Schema: X X | | | X Questo verso, di larghissimo uso sia nella poesia greca che in quella latina, prende il suo nome dal poeta alessandrino Faleco, che ne fece frequente impiego come verso stichico; ma il suo uso molto pi antico e risale all'epoca arcaica. Il suo schema base formato da un gliconeo seguito da un monometro giambico catalettico, che assume la forma di un cretico. La resa del verso non differisce molto da quella del gliconeo: la base eolica prevalentemente spondaica o trocaica, mentre la forma trisillabica estremamente rara, e in et imperiale, tanto nella poesia latina con Marziale che in quella greca con Simia di Rodi lo spondeo diviene l'unica forma ammessa; le due sillabe libere dopo il coriambo del gliconeo sono rese di norma con un giambo, ma si pu incontrare anche la forma spondaica; la sizigia giambica pu ammettere la lunga irrazionale, assumendo la forma di un molosso. Alcuni esempi: Cui dono lepidum novum libellum /arida modo pumice expolitum? (Catullo, I, v. 1-2. In questo esempio il primo falecio inizia con uno spondeo, il secondo trocaico.) Del falecio esiste anche una forma acefala (X | | | X), che si incontra con una certa regolarit nella poesia greca arcaica e classica: l'esempio pi antico si incontra in un frammento di Saffo. Rara, ma nota, anche la forma catalettica del falecio (X X | | | ), chiamata in alcune fonti antiche metro nicarcheo: la si incontra, ad esempio, in alcune strofe di Bacchilide.
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Endecasillabo alcaico Schema X | X || | L'endecasillabo alcaico deve il suo nome ad Alceo, che ne fece ampio uso come elemento costitutivo della strofe alcaica; usato nella poesia lirica, questo metro fu introdotto a Roma da Orazio. composto da un monometro giambico ipercatalettico e da un dodrans I; il monometro giambico, come usuale per le sizigie giambiche, ammette la lunga irrazionale per il primo piede, mentre la sillabe ipercatalettica indifferens. Alcuni esempi: Vides ut alta stet nive candidum Soracte (Orazio, Odi, I, 9, v.1) Altre combinazioni Accanto all'endecasillabo falecio, al saffico e all'alcaico nella lirica monodica sono attestate altre combinazioni, di uso meno frequente: un endecasillabo formato da un cretico e da un gliconeo ( | X X | | ) si incontra in una strofe composta da Saffo. un dodecasillabo formato da un dimetro giambico ipercatalettico e da un dimetro coriambico II ( X | X || | X ), una combinazione dell'endecasillabo saffico e di quello alcaico, si incontra in alcuni frammenti di Alceo. un monometro giambico seguito da un gliconeo ( X || X X | | X ) Gli asclepiadei Schema X X | | | L'asclepiadeo minore si ottiene da un gliconeo con l'inserzione di un coriambo: esso presenta le stesse variazioni del gliconeo, sebbene in misura pi ristretta. Il nome gli viene dal poeta alessandrino Asclepiade, ma il verso era in uso gi da molti secoli, sia nella lirica monodica (Saffo, Alceo), in quella corale (Stesicoro), e nella tragedia. Sporadicamente attestate sono anche la forma acefala, acefala e catalettica, acefala e ipercatalettica dell'asclepiadeo minore. Con l'inserzione di un secondo coriambo nello schema dell'asclepiadeo minore si ottiene un asclepiadeo maggiore. Schema X X | | | | Il suo uso antico quanto quello dell'asclepiadeo minore: lo si incontra in Saffo (un intero libro della sua edizione alessandrina, il III, era in questo metro), in Alceo, in Stesicoro, ed ampio fu il suo utilizzo in epoca alessandrina. Metricamente, come per l'asclepiadeo minore, le sue varianti sono quelle del gliconeo, sebbene in numero pi limitato. Di uso gi in et arcaica, anche se pi limitato, sono anche la forma catalettica, utilizzata gi da Saffo, ipercatalettica, che si incontra in Anacreonte e che prese il nome di metrum simiacum, perch utilizzata dal poeta alessandrino Simia, e quella ipercatalettica acefala, anch'essa presente nei frammenti di Saffo.
Coriambo
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Asinarteti coriambici
I cola coriambici possono essere combinati tra loro o con altri metri per formare una serie di asinarteti: tale uso particolarmente frequente nella Commedia Antica. Si riportano qui i pi noti e frequenti. Il priapeo Schema: X X | | X X || X X | | X Questo asinarteto formato da un gliconeo e da un ferecrateo: nell'uso, le sillabe libere assumono le forma ammesse per i due cola di cui formato. Il nome di questo verso gli viene dal poeta alessandrino Eufronio, che in tale metro celebr Priapo, il dio della fertilit. Il priapeo ammette anche delle forme libere, in cui i ferecratei e gliconei possono essere sostituiti da dei dimetri coriambici. L'eupolideo Schema: X X X X | || X X X X | Questo asinarteto composto da due dimetri coriambici II, di cui il secondo catalettico. Deve il suo nome al poeta comico Eupoli, che ne fece uso frequente; in generale, si incontra con una certa frequenza nella Commedia Antica, compreso Aristofane. Il cratiniano Schema: | X X X X || X X X X | formato dalla un dimetro coriambico I e da un dimetro coriambico II catalettico; il nome gli deriva da Cratino, anch'esso poeta comico. Il " " Schema: X X X | || X X X X | Questo verso deve il suo nome da un lato dal suo impiego quasi esclusivo nella Commedia () e dall'altro dall'errata interpretazione che i grammatici antichi ne facevano, considerandolo una forma particolare di ionico. formato da due dimetri coriambici II, di cui il primo catalettico. Altri asinarteti Nella lirica monodica si incontrano anche altri asinarteti, di importanze minore: Dimetro coriambico I + itifallico ( | X X X X || . ) Dodrans II acefalo + itifallico: ( X | || . ) questo asinarteto si incontra in un frammento di Anacreonte, alternato con un asinarteto formato da un monometro giambico + itifallico Due gliconei + monometro giambico ( X X | | X X || X X | | X X || X ). Si incontra in Alceo e Simonide. Dimetro coriambico I catalettico + dimetro coriambico I catalettico: si incontra in Saffo.
Coriambo
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Dimetro coriambico
Il dimetro coriambico acataletto ( | ) si incontra nei periodi coriambici; la sua forma catalettica ( | ) si usa anch'essa nei periodi coriambici, specialmente come clausola. Ad esempio: , , (Aristofane, Vespe, 526-28) In questo caso, abbiamo di seguito un dimetro puro, un dimetro con anaclasi al secondo piede e un dimetro catalettico.
Trimetro coriambico
Anche il trimetro coriambico acataletto ( | | ) si incontra nei periodi coriambici, ma abbastanza raro. Es. (Eschilo, Supplici 57) Pi frequente invece la sua forma catalettica ( | | ), attestata gi in Anacreonte. Es. ' (Anacreonte, fr. 57 D)
Tetrametro coriambico
Il tetrametro coriambico acataletto ( | | | ) pu essere spesso diviso in due dimetri; lo si incontra per lo pi nei periodi coriambici, ma Anacreonte lo impiega anche come verso indipendente, con frequenti anaclasi. Es. ' (Eschilo, Persiani, 633) Il tetrametro catalettico ( | | | ) , tra i versi coriambici, quello pi frequente, che si incontra gi in Saffo. Pu apparire nella sua forma pura, oppure subire anaclasi. Es. ' ' (Anacreonte, fr.73 D. Il secondo piede ha anaclasi)
Coriambo
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Pentametro coriambico
Il pentametro coriambico catalettico ( | | | | ) pu essere usato come verso autonomo: Mario Vittorino riferisce che Cratino se n' servito di frequente, e i frammenti di lui noti ce lo mostrano sia in forma pura che con anaclasi. Es. , ' (Aristofane, Acarnesi 1150)
Esametro coriambico
L'esametro coriambico catalettico ( | | | | | ) una creazione della poesia alessandrina, in particolare dei poeti Simmia di Rodi o di Filico, che per primo scrisse componimenti interi in tale metro; per tale ragione questo verso talvolta denominato philicius versus dai grammatici antichi[1]. Es. , , (Filicio, fr. 2 D)
Note
[1] Raffaele Cantarella, Innografia religiosa. In: la letteratura greca dell'et ellenistica e imperiale. Firenze : Sansoni/Accademia, 1968, p. 134
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Docmio
Il docmio, dal greco , tortuoso, un metro della poesia greca, formato da cinque sillabe e utilizzato soprattutto nelle tragedie di Eschilo ed Euripide, nei monologhi tragici cantati dalle eroine stesse. Viene utilizzato anche nel Fragmentum Grenfellianum. Lo schema metrico |
Origine
A tutt'oggi, l'origine del docmio discussa: da un lato alcuni studiosi lo ritengono invenzione di Eschilo, secondo altri questa non una spiegazione plausibile o dimostrabile, e dunque ritengono non spiegabile l'origine del metro stesso.
Varianti
Compaiono raramente anche forme come l'ipodocmio, con schema: molto simile alla tripodia trocaica.
Voci correlate
Eschilo Euripide Metrica classica Fragmentum Grenfellianum
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Gliconeo
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Gliconeo
Il Gliconeo un verso della metrica classica greca e latina.
La forma tipica
Il suo schema XX||X forse il pi importante dei versi coriambici della metrica eolica, dall'uso vastissimo: lo si incontra nella lirica monodica, nella lirica corale, nella tragedia e nella commedia, nella poesia ellenistica, e in quella latina. Secondo la tradizione, il nome deriverebbe da un supposto poeta ellenistico Glicone, di cui per non si hanno ulteriori notizie, che probabilmente lo utilizz come verso stichico; ma il suo uso ben pi antico e lo si incontra gi, assieme a versi ad esso imparentati, in Alcmane. La sua forma presenta significative oscillazioni a seconda dell'ambito in cui usato: i lirici monodici osservano rigorosamente l'isosillabia, che viene invece meno nella poesia corale e drammatica, in cui una sillaba della base eolica o del coriambo possono essere risolte in due brevi. Queste libert vengono progressivamente ridotte in epoca ellenistica prima e romana poi: gli alessandrini ritornano ad un'isosillabia rigorosa, e i poeti latini rendono (quasi) obbligatorio lo spondeo iniziale Le due sillabe libere finali formano di norma un giambo, in tutti i generi in cui il gliconeo utilizzato; pi raramente si incontra uno spondeo, mentre la risoluzione della sillaba lunga finale rarissima. La base eolica iniziale invece oscilla tra un maggior numero di forme. Quando l'isosillabia rispettata, le sue soluzioni sono, dalla pi usuale alla pi rara, sono: 1. 2. 3. 4. spondeo (usuale) trocheo (usuale) giambo (meno frequente) pirrichio (raro)
Le forme con sostituzione sono invece: 1. tribraco (di norma) 2. dattilo (raro) 3. anapesto (eccezionale) Gi Anacreonte predilige nettamente la base spondaica; questa diviene pi tardi la norma a Roma, soprattutto con Orazio, che la considera l'unica forma regolare.
Ferecrateo
Schema: X X | | X La forma catalettica del gliconeo, il ferecrateo, deriva il suo nome dal poeta comico Ferecrate a causa di una errata interpretazione di alcuni sui versi ambigui, apparentemente ferecratei, ma che di fatto una tetrapodia anapestica. La struttura del ferecrateo analoga a quella del gliconeo, anche se pi regolare: l'ultima sillaba, in quanto finale, indifferens, la risoluzione di una delle sillabe del coriambo sempre evitata, la base eolica assume le stesse forme di quella del gliconeo, anche se il dattilo e l'anapesto sono estremamente rari. In quanto colon catalettico, il ferecrateo il pi delle volte utilizzato come colon finale di una strofa o di un periodo, ma non mancano i casi in cui si incontri in altre posizioni.
Gliconeo
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Telesilleo
Schema: X | | X X Il gliconeo acefalo prende il nome di telesilleo, da Telesilla, poetessa di tardo VI secolo a.C., che scrisse alcuni componimenti in questo metro. La sillaba iniziale libera pu essere talvolta risolta in un pirrichio; anche una lunga del coriambo pu talvolta essere sostituita da due brevi. Quando alle due sillabe finali, la forma pi comune , come per il gliconeo, un giambo, ma non mancano gli esempi di forma spondaica.
Reiziano
Schema: X | | X Il ferecrateo acefalo deriva il suo nome da Reiz, filologo tedesco del XVIII secolo, che per primo lo individu nei versi plautini; questo colon frequente nella lirica corale e nella poesia drammatica, come nella poesia del teatro romano arcaico.
Ipponatteo
Schema X X | | X X | X La forma ipercatalettica del gliconeo prende il nome di ipponatteo, dal poeta arcaico Ipponatte. Il suo uso per pi antico del poeta in questione, ritrovandosi gi in Alcmane; utilizzato nella lirica monodica ed impiegato di frequente come clausula nella lirica corale e nelle parti corali della poesia teatrale. Strutturalmente la sua resa non differisce da quella del gliconeo: la base eolica iniziale pu essere resa con uno spondeo, che resta la scelta pi comune, un trocheo o un giambo, oppure ammettere soluzione e formare un tribraco (l'anapesto eccezionale); talvolta nella poesia corale una lunga del coriambo pu essere risolta in due brevi; le due sillabe libere successive assumono di norma la forma di un giambo o pi raramente di uno spondeo, mentre l'ultima indifferens.
Paragliconeo
Schema X | | X X | X Per "paragliconeo" (definizione di W. Koster) si intende un gliconeo contemporaneamente acefalo e ipercatalettico. Questo colon si incontra gi in Alcmane; utilizzato da Saffo (fr. 94 D) e nella poesia corale successiva. Le sue caratteristiche sono analoghe a quelle di tutti gli altri versi della famiglia del gliconeo: la prima sillaba libera pu essere risolta in due brevi; il giambo la forma dominante per le due sillabe libere dopo il coriambo.
Voci correlate
Metrica classica Trimetro coriambico
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Molosso (piede)
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Molosso (piede)
Il molosso un piede in uso nella metrica classica. Viene formato dalla successione di tre sillabe lunghe ( ). Pu derivare dalla sostituzione delle due sillabe brevi del piede ionico a minore con una sillaba lunga (cio, la successione diventa: ).
Proceleusmatico
Il proceleusmatico un piede in uso nella metrica classica. Viene formato dalla successione di quattro sillabe brevi ( ).
Pentametro dattilico
Il pentametro dattilico o semplicemente pentametro, una forma metrica della poesia greca e latina, il cui schema base pu essere cos rappresentato: || X Di fatto il pentametro un metro composto, essendo formato da due hemiepes, o tripodie dattiliche catalettiche. Il nome pentametro gli deriva dal fatto di essere la somma di due unit da 2 piedi e mezzo; poich per un metro dattilico, di ritmo discendente, il pentametro conta sei tesi o tempi forti.
Caratteristiche
Le principali caratteristiche del pentametro sono: 1. l'ultima sillaba del primo hemiepes sempre lunga, mentre quella del secondo hemiepes indifferens 2. la dieresi tra il primo e il secondo membro sono la norma. Tale dieresi non permette lo iato, ma non impedisce il fenomeno dell'elisione. 3. la sostituzione del dattilo con lo spondeo , di norma, permessa solo nel primo hemiepes. Eccezioni a tale regola sono possibili, ma restano rare. Alcuni esempi di pentametro: (Archiloco, fr. 1, v.2). Il suo schema || X (Callimaco, fr. 384a Pf.-). Questo verso non ha la dieresi centrale.
Pentametro dattilico
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Storia
Le pi antiche elegie note risalgono al VII secolo a.C.: se in origine questo genere era legato al lamento funebre, nel corso del suo sviluppo si adatt a molteplici argomenti, dalla poesia erotica (da Mimnermo fino ai poeti latini, come Properzio e Tibullo), a quella politico sapienziale (Solone); da quella di esortazione guerresca (Tirteo), a quella di argomento mitologico ed erudito (gli Aitia di Callimaco). I poeti latini accentuarono l'elemento soggettivo dell'elegia e usarono il distico anche nell'epigramma, sin dall'epoca di Ennio, godendo di un'ininterrotta vitalit sino all'et tardoantica. La variet di argomenti discorsivi si deve al fatto che il distico appare meno solenne dell'esametro e meno impetuoso, ritmicamente parlando, delle strofe liriche. Da questo punto di vista, la commistione di esametro e pentametro consentiva infatti ai poeti di smorzare il ritmo notoriamente solenne dell'esametro grazie alla cadenza tipica del pentametro, il cui secondo emistichio (= mezzo verso) era fisso (= dattilo + dattilo + sillaba finale accentata) e successivo a una cesura forte a conclusione del primo emistichio (= dattilo + dattilo + sillaba accentata; oppure: dattilo + spondeo + sillaba accentata; oppure spondeo + dattilo + sillaba accentata; oppure: spondeo + spondeo + sillaba accentata). Inoltre due delle cinque sillabe accentate del pentametro, collocate perfettamente al centro e alla fine del verso, consentivano al poeta di caratterizzare il contenuto con la sapiente, ma naturale per lui, disposizione delle vocali.
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Pentametro giambico
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Pentametro giambico
(EN) (IT) O wild West Wind, thou breath of Autumn's being... O vento feroce di ponente, tu respiro dell'anima d'Autunno. (Percy Bysshe Shelley, Ode to the West Wind, 1819)
Il pentametro giambico di cui sopra riportato un esempio d'autore, il verso classico della poesia inglese, il blank verse di Henry Howard, Christopher Marlowe, William Shakespeare, John Donne, ed figlio dallendecasillabo di Dante Alighieri e Francesco Petrarca. La denominazione mutuata dalla metrica classica, il suo nome indica che formato da cinque piedi giambici, vale a dire ciascuno composto da una sequenza sillaba breve - sillaba lunga. Nella metrica accentativa tale sequenza diviene, per analogia, tra sillaba atona e sillaba accentata.
Forma
Nella sua forma base il verso si compone di dieci sillabe con accenti forti sulle sillabe pari. "Il pentametro giambico come un formichiere, alto dietro e con le zampe corte davanti", come afferma Frederic Kimball, nel film-documentario Riccardo III - Un uomo, un re: Nella pratica della recitazione le sillabe iniziali del verso sono pi alte e marcate, per poi sdrucciolare nel finale.
Voci correlate
Blank verse Endecasillabo Portale Letteratura: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di letteratura
Peone (piede)
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Peone (piede)
Il peone in metrica classica era un piede formato da quattro sillabe di cui tre brevi ed una lunga, a seconda dove quest'ultima veniva a trovarsi dava origine alle quattro varianti di questo piede: peone primo (quantit lunga sulla prima sillaba) peone secondo (quantit lunga sulla seconda sillaba) peone terzo (quantit lunga sulla terza sillaba) peone quarto (quantit lunga sulla quarta sillaba)
Esso veniva adoperato in componimenti religiosi in onore di Apollo e di Artemide chiamati peana e che da essi deriva il nome.
Pirrichio
Il pirrichio ( in greco, pyrrichius in latino) un piede della metrica greco-latina composto da due sillabe brevi. Rapido e molto breve, il pirrichio non un vero e proprio piede (Aristosseno di Taranto, antico metricista greco, non lo inser nemmeno fra di essi), ma pu essere considerato tale. Il suo nome deriva da , una danza cretese per i soldati.
Fonti
M. Lenchantin de Gubernatis, Manuale di prosodia e metrica latina, Principato, Milano 1965.
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Saffico
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Saffico
Saffico deriva da Saffo poetessa greca dell'isola di Lesbo.
Il tiaso
Saffo era la direttrice e insegnante di un tiaso, sorta di collegio in cui fanciulle di famiglia nobile venivano educate. Secondo la tradizione, fra l'insegnante e le fanciulle nascevano rapporti di grande familiarit, anche sessuale. Probabilmente il fatto va inquadrato secondo il costume dell'epoca, come forma prodromica di un amore eterosessuale, cio una fase di iniziazione per la futura vita matrimoniale.[1] Saffo compose degli epitalami, struggenti canti d'amore per le sue allieve destinate a nozze e questo ha lasciato supporre un innamoramento anche con componenti sessuali. In realt presumibile che Saffo, comunque affezionata alle sue allieve, li abbia scritti poich le vedeva destinate ad un triste destino: lasciavano infatti l'isola dove si trovavano, dove erano accudite e felici, per andare nella casa dei loro mariti senza uscirne quasi mai; l sarebbero state in pratica rinchiuse a vita, come voleva la tradizione greca. In particolare si chiama endecasillabo saffico il tipo di verso eolico usato da Saffo in tali componimenti e che ben rende il senso di un inappagato desiderio.
Endecasillabo saffico
Schema: X | | X L'endecasillabo saffico, noto soprattutto per il suo impiego nella strofe saffica, di ampio impiego nella lirica tanto greca che latina, una formazione analoga al falecio. Esso composto infatti da un dimetro coriambico II, le cui sillabe libere assumono di norma la forma del ditrocheo, e da un monometro giambico catalettico. Il ditrocheo ammette la lunga irrazionale al secondo piede, come di norma per le sizigie trocaiche; altre combinazioni delle sillabe libere iniziali si incontrano sporadicamente nella poesia drammatica, in cui anche l'endecasillabo saffico si incontra sporadicamente. Nella poesia latina, Orazio regolarizza ulteriormente l'endecasillabo, rendendo obbligatoria la forma epitritica per il ditrocheo ( ) e fissando la cesura del verso dopo la prima lunga del coriambo. Ad esempio (Orazio, Odi, I 12 v. 1-2): Quem virum aut heroa lyra vel acri tibia sumis celebrare, Clio? Sempre ad Orazio si deve la prima forma nota, forse da lui stesso inventata, del saffico maggiore, che sta al saffico come l'asclepiadeo maggiore sta all'asclepiadeo minore, da cui deriva tramite l'inserzione di un coriambo. Schema X | || || | X Es. Saepe trans finem iaculo nobilis expedito (Orazio, Odi, I, 8, v. 12) Tre endecasillabi saffici minori ed un adonio di cinque sillabe formano la strofe saffica che fu una forma metrica poi ripresa da Catullo, che non per nulla chiama Lesbia la propria donna amata e pi recentemente nei metri barbari da Giosu Carducci e da Giovanni Pascoli.
Saffico
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Note
[1] Nella Grecia classica questo costume rimase costante nell'educazione dei giovinetti e nel diverso approccio del mondo greco nel confronto della pederastia rispetto alla sensibilit moderna. invece probabile che nei confronti delle ragazze sia stato proprio solo dell'isola di Lesbo, forse per una componente di influenza anatolica in un'isola cos vicina all'Asia e cos aperta ai traffici.
Tribraco
Il tribraco (dal greco , trbrachus, composto da tris, "tre", e brachs, "breve", ossia: "tre brevi") un piede in uso nella metrica classica. Viene formato dalla successione di tre sillabe brevi ( ). Quantitativamente equivalente al giambo e al trocheo (entrambi trimoraici), ne pu costituire la soluzione di arsi e tesi in sillabe brevi ( possibile trovarlo, per esempio, sostituito a un giambo nel senario giambico).
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versi
Saturnio
Il saturnio (o faunio) un verso della poesia latina arcaica, in epoca precedente all'adozione dei metri greci, la cui struttura si svilupp forse nello stesso Latium.
Etimologia
Il nome del verso saturnio riconducibile al nome Saturnia tellus (terra di Saturno) dato al Lazio: il dio Saturno, detronizzato dal figlio Giove, si rifugi nel Lazio, dove fond un regno e diede inizio all'et dell'oro. Il verso saturnio pertanto il verso utilizzato dagli abitanti primitivi del Lazio. Il nome "faunio" veniva fatto ricondurre al nume Fauno, che l'avrebbe inventato, o ai Fauni, divinit simili ai satiri della mitologia greca.
Struttura
Il saturnio suddiviso in due unit ritmiche contrapposte, dette cola, separate da un'accentuata pausa centrale, detta dieresi. Il primo emistichio normalmente un dimetro giambico catalettico. Il secondo pu essere un reiziano o un itifallico e presenta una notevole variet di ritmi e soluzioni. Il grammatico Cesio Basso, individu come esempio di verso saturnio perfetto il seguente:
malum dabunt Metelli Naevio poetae
ossia il celebre verso che la potente famiglia romana dei Metelli avrebbe indirizzato al poeta Nevio per rispondere alle accuse contenute nelle sue opere. Nel caso di questo verso, i due cola sono, rispettivamente, un dimetro giambico catalettico e una tripodia trocaica acatalettica, il cui schema metrico il seguente: X|
Fortuna
Fu il verso con cui vide la luce la letteratura latina: in questo metro, infatti, furono composte l'Odusia di Livio Andronico e il Bellum Poenicum di Gneo Nevio, ossia i primi due poemi nella storia letteraria di Roma antica. Gi dopo questi due autori, per, il saturnio cadde in disuso, soprattutto per la scelta del poeta Ennio di comporre le sue opere utilizzando il pi raffinato esametro, di origine greca. Lo stesso Ennio[1] afferm inoltre che i poeti a lui precedenti si erano espressi nella lingua dei Fauni e dei vati, il che conferma che il saturnio fosse un verso antichissimo e tipico del linguaggio sacerdotale. Nel I secolo a.C., Orazio[2] parl del verso saturnio come di un metro particolarmente rozzo, paragonandolo invece ai pi raffinati metri utilizzati alla sua epoca e derivanti dalla metrica greca. Ancora oggi gli studiosi discutono sulla natura del saturnio: rimane infatti incerto se si trattasse di un verso di natura accentuativa o di natura quantitativa. Nel primo caso non ci sarebbe differenza tra il saturnio e i metri della poesia italiana, nel secondo caso, invece, significherebbe che gi alle sue origini anche la metrica latina era di natura quantitativa.
Saturnio Tra i primi versi saturni a noi pervenuti, si ricordino quelli proposti nella celebre contrapposizione tra il poeta Gneo Nevio e la famiglia aristocratica dei Metelli. Nella Roma dell'epoca di distinguevano due fazioni: -Metelli e Scipioni - filoellenici, di forti tendenze oligarchiche, aspiravano alla conquista di territori in Grecia. -Gens di Claudio Marcelli, Fabio Massimo, Catone - favorevoli alle alleanze con popolazioni italiche; conservatori, rivalutavano antiche tradizioni e valori tipici del periodo arcaico latino. Nel 206 a.C. Quinto Cecilio Metello era diventato console senza aver frequentato il Cursus Honorum, appoggiato dal dittatore del tempo. Gneo Nevio sembr non gradire l'accaduto e ben presto, di fama crescente, indirizz contro i Metelli il celebre saturnio: "Fato Metelli Romae fiunt consules" giocando sull'ambigiut della vox media fatum; poteva essere interpretato o "I Metelli sono eletti consoli a Roma per il volere del destino", oppure "I Metelli sono eletti consoli per la rovina di Roma". La famiglia aristocratica rispose "Malum dabunt Metelli Nevio poetae" ( "I metelli faranno del male al poeta Nevio" oppure " I Metelli daranno un frutto (=una mela) al poeta Nevio").[3]
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Note
[1] Annales, VII, 213 [2] Epistulae, II, 157-158 [3] "malum" in latino, sia per l'accusativo di "frutto" che di "male" si pronuncia con la stessa quantit.
Voci correlate
Metrica italiana Metrica classica Metrica latina
Collegamenti esterni
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Endecasillabo falecio
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Endecasillabo falecio
L'endecasillabo falecio un verso di larghissimo uso sia nella poesia greca che in quella latina. Prende il suo nome dal poeta alessandrino Faleco, il quale ne fece frequente impiego come verso stichico; ma il suo uso molto pi antico e risale all'epoca arcaica. Schema: X X | | | X Il suo schema base formato da un gliconeo seguito da un monometro giambico catalettico, che assume la forma di un cretico. La resa del verso non differisce molto da quella del gliconeo: la base eolica prevalentemente spondaica o trocaica, mentre la forma trisillabica estremamente rara, e in et imperiale tanto nella poesia latina con Marziale che in quella greca con Simia di Rodi lo spondeo diviene l'unica forma ammessa. Le due sillabe libere dopo il coriambo del gliconeo sono rese di norma con un giambo, ma si pu incontrare anche la forma spondaica; la sizigia giambica pu ammettere la lunga irrazionale, assumendo la forma di un molosso.
Esempi e varianti
Alcuni esempi: Cui dono lepidum novum libellum / arida modo pumice expolitum? (Catullo, I, v. 1-2. In questo esempio il primo falecio s'inizia con uno spondeo, il secondo trocaico.) Del falecio esiste anche una forma acefala (X | | | X), che s'incontra con una certa regolarit nella poesia greca arcaica e classica: l'esempio pi antico s'incontra in un frammento di Saffo. Rara, ma nota, anche la forma catalettica del falecio (X X | | | ), chiamata in alcune fonti antiche metro nicarcheo: la si incontra, ad esempio, in alcune strofe di Bacchilide.
Voci correlate
Endecasillabo Metrica classica Trimetro coriambico
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Adonio
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Adonio
L'adonio un verso della metrica classica greca e latina, composto di un dattilo e di uno spondeo. Secondo un'altra definizione una dipodia dattilica catalettica in disyllabam in quanto la sillaba finale anceps e l'ultimo piede pu esse inteso come un dattilo catalettico. Era una cadenza veloce composta da solo cinque sillabe. Secondo la tradizione era usato come sorta di ritornello con l'invocazione ad Adone in alcuni componimenti dal ritmo vivace. Molto usato nella strofa saffica in cui costituiva il quinario di chiusura dopo tre endecasillabi saffici minori. Compare anche nella metrica italiana dell'Ottocento dei metri barbari di Giosu Carducci e di Giovanni Pascoli reso con il quinario, piano e anche tronco.
Anapesto
L'anapesto un piede utilizzato nella poesia greca e latina. Si compone di due sillabe brevi, che formano l'arsi del piede, e di una sillaba lunga, che ne la tesi, secondo lo schema . Si tratta dunque, secondo la codificazione della metrica classica, di un piede quadrimoraico, di ritmo ascendente, appartenente al gnos son, in quanto la proporzione tra arsi e tesi di 1:1.
Origine
L'etimologia del nome chiara, dal verbo , ma la sua interpretazione non sicura: probabilmente da intendere nel senso di piede opposto rispetto al dattilo. L'origine di questo tipo di versi da cercare fra i Dori; gli antichi poeti ionici, i giambografi, e gli elegiaci lo ignorano, mentre era in ampio uso nell'area dorica, dove in origine aveva il carattere di metro per i canti di marcia, come gli degli Spartiati.
Uso
Metro legato alla tradizione dorica, l'anapesto si incontra pi facilmente nei generi letterari pi influenzati dalla loro cultura. Lo si incontra quindi nella lirica corale, a partire da Alcmane; la commedia dorica di Sicilia ne faceva ampio uso. Nel V secolo, fu introdotto anche nella poesia teatrale attica, dove conserv il suo originale carattere di ritmo di marcia: di norma usato quindi nella parodos e nell'exodos della tragedia, e nella parabasi della commedia, anche se tale metro non compare solo in questo contesto, e pu anche essere usato in contesti lirici, per lo pi di carattere lamentoso, talvolta intervallati con versi di altro metro.
Particolarit
Gli anapesti si scandiscono normalmente per sizigia, se il numero di piedi pari; il fenomeno dell'abbreviamento di una vocale lunga davanti a un'altra vocale (si veda prosodia) esiste, ma meno frequente che nei cola e versi dattilici. L'anapesto pu essere sostituito da uno spondeo o pi raramente da un proceleusmatico; la sostituzione con un dattilo non frequente, e limitata quasi esclusivamente alla poesia drammatica; la sequenza dattilo-anapesto inoltre generalmente evitata. Nel caso uno di questi piedi sostituisca l'anapesto, il tempo forte cade sempre, in ogni caso, nella seconda parte del piede.
Anapesto
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Metri anapestici
Monometro anapestico
Come i suoi analoghi di altri metri, il monometro (schema: ) si incontra saltuariamente nei sistemi anapestici, in particolare come penultimo colon, o in associazione con i docmiaci o con i versi eolico-coriambici. Le sostituzioni spondaiche sono molto frequenti. Poich il dimetro anapestico possiede una forte dieresi centrale, l'identificazione di un monometro nei sistemi lirici spesso controversa, e muta da un editore all'altro. Es. di monometro anapestico puro: (Sofocle, Edipo a Colono, 1562) Es. di monometro anapestico olospondaico: In et romana, alcuni poeti, come Mesomede e Sinesio, hanno composto interi componimenti in monometri anapestici. Il monometro anapestico ipercatalettico (schema : | ) si confonde con il ferecrateo, o, se il primo piede spondaico, con un reizianum: normalmente si tratta di questi ultimi versi, ma nel contesto di un sistema spondaico, queste sequenze vanno interpretate come anapesti. Il monometro catalettico raro ( : ) e coincide formalmente con uno ionico a minore: anche qui, solo il contesto metrico pu indicare di che piede si tratta.
Tripodia anapestica
Questo schema metrico ( : : : ) non molto frequente e non si incontra mai negli anapesti di marcia. Le sostituzioni in genere sono frequenti; nei poeti corali, questo metro pu essere congiunto con altri metri eterogenei. Es. (Eschilo, Persiani, 952) Quando compare nella forma ( : ) questo metro non distinguibile dal ferecrateo e si presta quindi a giochi di metaritmia (inversione di ritmo).
Dimetro anapestico
Il dimetro il colon anapestico dall'uso pi diffuso, e uno tra i pi antichi cola lirici noti (si incontra gi in Alcmane): i sistemi, in genere, non contengono che dimetri alternati a qualche monometro. Lo schema | ; di norma, alla fine del primo metro corrisponde anche fine di parola, che non esclude lo iato, anche se non si tratta di una vera e propria dieresi; casi in cui la fine del metro non corrisponde alla fine della parola sono attestati, ma sono rari. Es. , , ' (Alcmane, fr. 17 B) Nei sistemi anapestici di marcia, il proceleusmatico non compare o quasi, mentre il dattilo appare di preferenza compare nei piedi dispari. Le sostituzioni usate per sono numerose, e un dimetro composto solo di anapesti piuttosto raro. La sequenza anapesto + dattilo non comune, ma attestata negli anapesti di marcia, in particolar modo in Eschilo.
Anapesto Il dimetro anapestico catalettico o paremiaco Il dimetro anapestico catalettico (schema ) pi noto con il nome di paremiaco (probabilmente da , proverbio, in quanto forma metrica spesso adottata dai proverbi). Es. (proverbio) Sull'esatta natura di questo verso (anche se si tratti di un vero anapesto o invece di una forma procefala di dattilo) non c' accordo tra gli studiosi. In generale, il paremiaco assume le stesse forme del dimetro anapestico acataletto; l'ultima sillaba non ammette soluzione, ma pu essere breve; la sostituzione con il proceleusmatico non si verifica che negli anapesti "lirici"; il dattilo limitato ovunque al primo piede; rispetto al dimetro acataletto, nel paremiaco la "pausa" tra primo e secondo metro spesso non rispettata. Nei sistemi, il paremiaco riveste la funzione di clausola; pu anche essere adoperato kat stchon negli . Dimetro anapestico ipercatalettico Questo metro (schema | |) rarissimo. Compare in alcuni casi nella poesia drammatica.
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Pentapodia anapestica
Tale forma metrica ( ) anch'essa estremamente rara. Gli esempi pi noti di questo metro si trovano in Aristofane. Es. , (Aristofane, Acarnesi, 285)
Trimetro anapestico
La maggior parte dei versi dall'aspetto di trimetri anapestici ( | | ) sono scissi dai metricisti moderni in un dimetro + monometro. I casi in cui ci si trova di fronte sicuramente a un trimetro anapestico sono rari. La forma catalettica del trimetro ( | | ) stata impiegata kat stichon dal poeta alessandrino Simia di Rodi.
Anapesto
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Senario
Il senario (dal latino senarius "di sei elementi") il verso che generalmente conta sei sillabe. Nella metrica italiana moderna, un verso nel quale l'accento tonico si colloca sulla quinta sillaba metrica. Di conseguenza, se l'ultima parola piana il verso comprende sei sillabe, mentre se tronca o sdrucciola ne comprende rispettivamente cinque oppure sette. Le due tipologie pi frequenti sono quelle del senario anfibrachico, con gli accenti sulle sedi seconda e quinta (di fatto un doppio trisillabo): _ ' _ _ ' _ e del senario trocaico con gli accenti sulle sedi dispari: ' _ ' _ ' _
Metrica latina
Nella metrica latina il senario giambico un verso costituito da sei piedi giambici ( ), caratteristico delle parti dialogate della commedia antica (i deverbia). Corrisponde al trimetro giambico greco e viene rappresentato come di seguito: ||||| La struttura non rigida, infatti l'unico piede che deve essere necessariamente un piede puro l'ultimo. Gli altri, ammettendo sostituzioni, posso divenire uno spondeo, un tribraco, un dattilo, un anapesto o un proceleusmatico. La cesura pu essere posta: dopo il quinto mezzo piede, e si ha una pentemmera. dopo il settimo mezzo piede, e si ha un'eftemmera.
Settenario trocaico
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Settenario trocaico
Il settenario trocaico un verso della poesia latina formato da sei metra trocaici, ciascuno formato a sua volta da un piede trocaico, e da un metron trocaico catalettico. Fu utilizzato in et arcaica per le opere teatrali, dove veniva inserito in cantiche e in parti recitate. Il penultimo piede di norma puro. sottoposto a tutte le sostituzioni possibili nei versi trocaici. Solitamente presenta la cesura dopo lottavo elemento. Per la sua presenza nella poesia teatrale e per la sua struttura si pu considerare l'adattamento del Tetrametro trocaico greco alle peculiarit della versificazione latina. Lo schema metrico il seguente:[1] x | x | x | x || x | x |
Note
[1] x indica un elemento anceps, ovvero un elemento che pu essere, a discrezione del poeta, breve o longum; indica l'elemento longum; indica l'elemento breve; indica l'ultimo elemento indifferens, cio una sola sillaba indifferentemente lunga o breve
Bibliografia
L. Ceccarelli, Prosodia e metrica latina classica, Roma, Dante Alighieri [1998], 2005.
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Tetrametro trocaico
Il tetrametro trocaico un verso della metrica classica, formato da quattro sizigie trocaiche con dieresi mediana. Di questo tipo di verso esistono due varianti, una acataletta, pi rara, e una catalettica, dall'ampio utilizzo.
Tetrametro trocaico | || | X La forma pura del tetrametro piuttosto rara: la si incontra pi di frequente tra i giambografi che tra gli scrittori drammatici. Es. , (Aristofane, Acarnesi, 718) La lunga irrazionale frequente nei piedi pari, mentre le soluzioni delle sillabe lunghe non sono cos frequenti che per il trimetro, e si riscontrano in maggior misura nella commedia e nella tragedia che non nei poeti giambici e nei tragici pi antichi. Il limite massimo delle risoluzioni tre per verso: versi di questo tipo si incontrano nei comici ed in Euripide, ma sono rari. La dieresi mediana sempre rispettata dai giambografi e trascurata solo di rado dai tragici, mentre tra i comici i versi privi di tale dieresi, rimpiazzata da un'altra cesura, sono pi numerosi. La divisione del verso tra vari attori possibile, ma mentre nei tragici pi antichi e in Aristofane tale divisione avviene in concomitanza con la dieresi centrale, in Euripide e poi ancora di pi in Menandro, il verso, spezzato senza tener conto delle pause metriche, cercando di ottenere cos un effetto di maggior immediatezza. Lo zeugma di Porson (si veda trimetro giambico) rigorosamente rispettato da Archiloco e nella tragedia, mentre non vincolante per la commedia. Ipponatte cre anche un tetrametro scazonte sul modello del trimetro giambico, sostituendo al trocheo uno spondeo nel penultimo piede: tale metro vuole, di solito, nel sesto piede, un trocheo puro. Es. (Ipponatte, fr. 70 D)
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Trimetro giambico
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Trimetro giambico
Il trimetro giambico un verso della poesia greca e latina formato da tre metri, o sizigie ciascuno formato a sua volta da due piedi giambici. Di tale verso esistono tre varianti metriche principali: il trimetro giambico acataletto (o forma normale), il trimetro giambico catalettico e il trimetro giambico "zoppo" o scazonte, o coliambo (ipponatteo). Caratteristica del trimetro la sua versatilit: verso eponimo della poesia giambica, utilizzato nell'epigramma, il principale metro parlato della tragedia, della commedia e del dramma satiresco, ma compare anche come verso cantato nelle parti liriche del dramma e nella lirica corale.
Trimetro giambico
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Gli autori di epigrammi seguono da vicino il modo dei giambografi: in generale, il trimetro degli autori tardoantichi pi rigoroso di quello degli autori del V secolo a.C.
Trimetro giambico
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Osservazioni
Del trimetro giambico esiste anche una forma ipercatalettica ( | | | ): esso saltuariamente compare nelle strofe o nei sistemi lirici, soprattutto nei dattilo-epitriti. Il trimetro giambico, sebbene verso prevalentemente recitato, compare anch'esso nei metri lirici, giambici, eolo-coriambii, o dattilo epitriti. In tal caso, come per gli altri metri lirici, le forme sincopate non sono infrequenti.
Trimetro giambico
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Fonti
Maurizio Bettini, Limina, Letteratura e antropologia di Roma antica
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strofe
Distico elegiaco
Nella metrica classica, e in particolare nella metrica greca e latina, per distico elegiaco si intende un distico (insieme di due versi, dal gr. distichon comp. della particella dis- due volte - e stichos - fila, schiera e, parlando di poesie, verso) composto da un esametro e un pentametro. Esso tipico della poesia elegiaca. Inizialmente era caratteristico di brevi testi scritti su oggetti di vita quotidiana (vasellame, ...), poi divenne una vera e propria forma poetica.
Letteratura classica
Nella poesia greca fu introdotto a partire dalla lirica arcaica nel genere dell'elegia, da cui il nome, la quale comprendeva tematiche assai varie, dall'elegia guerresca di Callino e Tirteo, a quella politica di Solone fino ad arrivare alle tematiche esistenziali di Mimnermo e Teognide. Tuttavia non bisogna dimenticare che il metro elegiaco fu utilizzato anche da autori dell'invettiva giambica, ad esempio Archiloco. In seguito, il distico fu utilizzato largamente nella letteratura ellenistica, ad esempio da Callimaco nella sua opera pi celebre, gli Aitia, come anche nel diffuso genere dell'epigramma. Nella poesia latina fu adoperato tra gli altri da Catullo e da Tibullo. Quest'ultimo fu un maestro del distico elegiaco e propose frequenti rime interne nel pentametro. Successivamente Ovidio scrisse in distici elegiaci pressoch tutte le sue opere, tranne le Metamorfosi e il poemetto Halieutica, mentre Marziale utilizz i distici elegiaci nei suoi epigrammi.
Letteratura moderna
Giosu Carducci lo trasfer nella metrica italiana combinando, per l'esametro, prevalentemente un settenario piano con un novenario piano e, per il pentametro, un settenario o un quinario piano con un settenario piano.
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Strofe alcaica
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Strofe alcaica
Nella metrica classica, e in particolare della metrica eolica greca e latina, per strofa alcaica si intende una strofa composta da due endecasillabi alcaici, un enneasillabo alcaico e un decasillabo alcaico. attribuita al celebre poeta di Lesbo, Alceo. La strofe alcaica fu in seguito ampiamente ripresa anche nel mondo latino, in particolare da Orazio nelle sue Odi. La strofe alcaica anche uno dei metri classici pi ripresi nell'Ottocento italiano dalla metrica barbara, in particolare da Giosu Carducci.
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Collegamenti esterni
Strofe alcaica [1] in Tesauro del Nuovo Soggettario [2], BNCF, marzo 2013. Portale Letteratura: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di letteratura
Note
[1] http:/ / thes. bncf. firenze. sbn. it/ termine. php?id=30005
Strofe saffica
Nella metrica classica, e in particolare della metrica eolica greca e latina, per strofa saffica si intende una strofa composta da tre endecasillabi saffici e da un adonio. attribuita alla celebre poetessa di Lesbo, Saffo. Secondo la tradizione, il primo dei nove libri composti da Saffo e custoditi nella biblioteca di Alessandria era interamente scritto in strofe saffiche per un totale di 1320 versi. La "saffica" fu ampiamente ripresa anche nel mondo latino, in particolare da Catullo.
(LA) Ille mi par esse deo videtur, ille, si fas est, superare divos, qui sedens adversus identidem te spectat et audit. (Carme LI) (IT) Egli mi sembra essere simile ad un Dio, egli, se possibile mi sembra superare gli Dei, che sedendoti davanti allo stesso tempo guarda e ascolta.
La strofe saffica anche uno dei metri classici pi ripresi nell'Ottocento italiano dalla Metrica barbara, in particolare da Giosu Carducci[1] e Giovanni Pascoli.[2]
Strofe saffica
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Note
[1] Dinanzi alle terme di Caracalla:
Corron tra l Celio fosche e lAventino Le nubi: il vento dal pian tristo move Umido: in fondo stanno i monti albani Bianchi di neve.
[2] Novembre Gemmea l'aria, il sole cos chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore...
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Metrica eolica
Per metrica eolica, o versi eolici si intendono un insieme di versi in uso nella versificazione antica, i quali, per alcune loro caratteristiche, si differenziano dalla prassi metrica usuale, cos come veniva intesa e praticata nella letteratura greca e latina. Tale gruppo di versi ha ricevuto la denominazione di metri eolici perch sono stati introdotti nell'uso letterario, da poeti lirici che si servirono del dialetto eolico, come Terpandro, Alceo e Saffo. Gli antichi attribuivano loro anche l'invenzione di questo tipo di metri, mentre i moderni per lo pi ritengono che essi si limitarono a conferire dignit letteraria panellenica a metri e ritmi in uso tra le popolazioni eoliche; dopo i grandi esempi dei poeti di Lesbo, tali metri rimasero ampiamente in uso e godettero di grande fortuna, tanto nella Grecia dell'et ellenistica che nella poesia latina. Le caratteristiche peculiari di questo tipo di versificazione sono: l'isosillabismo: la metrica eolica non ammette la soluzione di una lunga con due brevi , anche se pu ammettere (talvolta), la lunga irrazionale cio che sostituisce una breve. la presenza, all'inizio di questi versi, di un piede bisillabico, normalmente definito base eolica, la cui quantit completamente indifferente: tale base pu essere realizzata con un trocheo, un giambo, uno spondeo o un pirrichio, anche se alcune forme sono preferite ad altre. la parte ritmicamente marcata dei versi di solito dattilica o coriambica, ma sono possibili combinazioni miste.
Voci correlate
Metrica classica Strofe saffica Strofe alcaica
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