You are on page 1of 384

TOMMASO

CASINI
'//

^ii>nj

STUDI
DI

POESIA ANTICA

CITT DI CASTELLO

CASA EDITRICE

S.

LAPI

PROPRIET LETTERARIA

4094
C37

LIBRARY
I

722923
UNIVERSITY OF TOR OHToJ

Citt di CastelU), Tipogr-'tlia della

Casa Editrice

S.

Lapi.

SALOMONE MORPURGO
PER TENUE SEGNO
DI AMICIZIA

ORMAI ANTICA

MA IMMUTATA

PROEMIO

Il

presente volume

il

prodotto di indagini e di

studi in parte vecchi e in parte nuovi.


di

Quello che v'

vecchio non riprodotto senza qualche altra cura,


in

la sollecitudine mia di seguire, mezzo alle occupazioni di altri uffici, ci che si venuto facendo e studiando nel campo della nostra pi antica poesia, dal tempo ormai lontano e

che pu rappresentare

anche

rimpianto in cui

maestri, quali

il

Carducci,

cona

il

Bartoli, ce lo additarono

il D'Ancome terreno ver-

gine e incolto da esplorare e da dissodare in servigio


origini letterarie. Di nuovo compimento della illustrazione rimasta altrove interrotta di un cospicuo repertorio di poesie popolari e semipopolari, v'ha in questo volume lo studio tentato di una delle forme pi singolari fiorite appunto nel periodo delle origini in qualche della storia delle nostre
il

veramente, oltre

contrasto
e

didattici,

amatorio e pi in ritmi e poemetti agiografici che ho voluto sottoporre ad un esame


lo

co mparativo nella speranza di poterne dedurre qualche

pi precisa e sicura conclusione sopra


e

svolgimento
e
di

l'interpretazione

di

testi

pieni

di

difficolt

oscurit.

al

Qualunque possa essere il giudizio mio tentativo, io, appunto perch

dei dotti intorno


lo presento

come

vili

non mi sentir scoraggiato dal ripercorrere ancora cotesto campo per recare a compimento altri lavori, dei quali sar ntessuto un volume di Nuovi studi di poesia antica, cui gi ho posto mano. Nuovi saranno
tale,

nella loro interezza, perch solamente adesso verranno


alla luce, compiuti, alcuni

lavori

iniziati

gi e

conalla
la

dotti

buon
di

punto pi di trent'anni or sono,


Carducci
:

scuola

Giosu

una

monografia

su

Morfologia e le vicende della ballata dal secolo XIII al XV, della quale le linee generali furono tracciate in uno scritto presentato per la scuola di magistero della facolt filologica bolognese nel 1878;
un'altra sopra la

Coltura

poesia in Bologna
la

sino al secolo

XIV,

che fu
1881

mia

tesi

di

laurea

discussa e approvata nel

nell'Istituto

fiorentino

di studi superiori e rimasta

sempre
fu

inedita,
alle

salvo

il

capitolo

d'introduzione che

dato

stampe

es-

sendomi stato chiesto come primo articolo pel Giornale e una terza storico della letteratura italiana nel 1883 sopra la Formazione e i rapporti degli anti;

chi canzonieri italian


Questi tre lavori,

della quale qualche sagx\q\

gio fu pure pubblicato dallo stesso Giornale

1884.

guro

di trovare

al compimento dei quali mi auquando che sia quel pi tranquillo


i

riposo che sinora


rare la

casi della vita,

traendomi a logo-

mia operosit in uffici mal rispondenti alle, aspirazioni di uno studioso, non mi hanno consentito; questi tre lavori saranno la materia del nuovo volume, col quale chiuder la serie non del tutto infeconda delle mie indagini in un campo, che mi fu sempre caro, perch segnato a me e ai miei coetanei da
maestri indimenticabili.
I

giugno 1913.

T. Casini

I.

DI
E

ALCUNI RITMI

POEMETTI VOLGARI

Casini, Studi di poesia antica.

i.

II

problema delle origini della poesia volgare

italiana, se

pu

dirsi risoluto nelle

sue linee generali, lascia tuttavia die-

tro di s qualche

punti particolari non ancora ben definiti circa

luoghi e

non trascurabile dubbiezza sopra alcuni il tempo e i anche sulle forme poetiche primitive. Siamo ormai

tutti d'accordo nel ritenere che lo svolgimento della poesia veramente letteraria non si ha se non con la lirica cortigiana, la prima et della quale corrisponde alla signoria della im-

periai

maest

di

Federico

sia

cosi leggo in
lo

un

libro

II (1220-1250): la poesia d'arte che riassume in servigio della col-

tura generale

stato

delle

nostre

conoscenze pi sicure
1

intorno allo sviluppo della letteratura nazionale


d'arte
i

la

poee

compare

in

veste

italiana

solo

nel

dugento,

muove

primi passi guidati dalle pi adulte sorelle di Fran-

cia e di

Provenza e la corte
fu
il

siciliana

di

Federico

II,

nido di cortesia cavalleresca,

naturai
e

ricetto di questa

prima nostra

fioritura

poetica

antica

eulta

necessaria-

mente

al pari della lirica straniera

cui

s'ispirava. Cosi

dati cronologici meglio accertati intorno ai nostri ri2 ci

matori

riconducono,

sia coi meridionali

come

Pietro della

Vigna, Giacomo da Lentini, Ruggeri d'Amici,


F. Flamini, Comperidio di storia della
9.

Rinaldo da
11^

'

leti,

il.,

ediz.

Livorno, Giusti, 1913, pp. 6 e * Si vedano raccolti di su

gli .studi

del Torraca, del Monaci,

4
Aquino,
sia coi toscani al servizio dell'imperatore quali

Ar-

rigo Testa e Iacopo Mostacci, agli anni che corsero tra l'in-

coronazione cesarea e
di Soave.

la

immatura scomparsa del terzo vento

Se non che la lirica d' imitaziane provenzale, della quale termini del suo prisi pu con sicura precisione fermare mo fiorire tra noi, non fu la sola forma di arte, che facesse
i

la

sua apparizione in
stare

Italia sui
la

primi albori della nostra


e

let-

teratura. Lascio

poesia morale

didascalica,

che

presto spunta nella valle padana con Gherardo Patecchio e


di Perso, anch'essa nei primi

Ugo
II,

tempi dell'impero di Federico


i
;

ma

ha poi

il

suo pieno o vero sviluppo solamente un po' pi


in poi del secolo XIII

tardi, dalla

met

la

poesia sto-

rica e la religiosa,

sebbene

1'

una

(per tacere adesso di

due

frammenti
vanti
il

fatti risalire
il

rispettivamente agli anni 1135 e 1193)

ritmo per
santo

podest reggiano del 1242 e

l'altra si

riconnetta nelle origini sue alle laudi delle creature


ste

dal

d' Assisi

due anni
fatti

compoprima della sua morte


risonare sui trivi e sulle

nel 1226 e ai canti deiralleluia

piazze delle citt italiane dai suoi seguaci nel 1233, possono
considerarsi anteriori alla lirica
cortigiana, e anch'esse co-

minciarono a
gioini.-

fiorire
il

lamente durante

con qualche larghezza e consistenza soconflitto tra gli ultimi Svevi e gli Anorigini,
di

Ma

al

problema delle

nel senso vero della

parola, ci richiama

un gruppo
le

composizioni rimate, non

oso dire poetiche,


si

quali per
il

un comune carattere formale


presentino con notabili
diff"e.

distinguono da tutto

resto della produzione pi antica


si

in lingua volgare,

e sebbene

renze linguistiche sembrano per altro gravitare


prio centro verso una regione
fiorirono le altre maniere di poesia, mentre poi
tutte

come

a pr-

intermedia a quelle ove gi

hanno quasi un complesso di sembianze cosi arcaiche nell' invenzione e nel metro da farci rimanere molto incerti sulle condello Scandone, del Cesareo, del Zenatti, del Bertoni e di
nella
altri

mia Letteratura

italiana, storia
I,

ed esempi, Roma, Albrighi,

Segati e

C,

1909, voi.
cit.,
I,
I,

\ 57.

Lett.

it.,

64.

Cfr. ivi,

?g 65,

66.

clusioni pi plausibili intorno alla loro genesi, alla loro patria e all'epoca cui

possono

riportarsi.

Un esame

comples-

sivo di queste composizioni

non

stato ancora fatto,

sebbene

non siano mancate osservazioni avvedute e acuti raffronti, di mezzo ai quali pur balzato qualche dato positivo sopra i rapporti che tra esse intercedono; ma non tutti questi rapporti sono stati messi in luce sufficiente n da questo materiale,

che pure ormai cospicuo,

si

tratta quella luce se

forse

pu uscirne per dissipare

le

ombre,

non

si

che vuole

dire le oscurit, che offuscano gl'incunabuli della nostra poesia.

Provandomi a

far

questo esame, non ho


si

la

presunzione
di gravisfine

di esaurire,

come oggi

dice,
;

sime e complesse
diosi sopra

difficolt

un argomento irto ma mi propongo il

assai
stu-

pi modesto di richiamare pi viva

l'attenzione degli

una materia degnissima delle loro cure indagatrici, raccogliendola e ripresentandola tutta insieme da pubblicazioni per lo pi poco accessibili e accompagnandola con quelle osservazioni, spiegazioni e ipotesi altrui e mie, che possono in qualche modo giovare alla piena intelligenza
di essa
:

che se ci non baster a

far

raggiungere

la

meta,

se le conclusioni finali resteranno

mal

certe o disputabili,

non
si-

sar forse inutile aver sgombrata la via da qualche impedi-

mento sinora rimastovi,


curo nel cammino,

si

che

altri,

pi fortunato e pi
al

possa poi giungere francamente

ter-

mine vagheggiato.

II.

Francesco D'Ovidio, nel quale col passare degli anni sembra crescere pi vivace e pi feconda l'alacrit dello spirito
indagatore, ha test consacrate molte e
belle pagine

della

sua critica filologica e letteraria a quel cimelio della nostra


pi antica poesia, che
tolo di

Ritmo cassinese.

comunemente conosciuto .sotto il Quanto cammino dal tempo


il

ti-

in

cui lo storico dei duchi di Gaeta,


lo

padre Giambattista Federici


1

pubblic (1791), trascritto con mediocre diligenza!


*

Gi
;

Degli antichi duchi

consoli o ipati della citt di Gaeta

Napoli, Alante, 1791, pp. 124-125.

dopo lo ebbe a rimettere in luce, in miglior forma, Gennaro Grossi, in un libro dimenticato i sulla badia
trent'anni
di

campo

Montecassino (1820), dalla quale irradi poi in pi largo la conoscenza di codesto primo vagito della poesia
codice dantesco casisui

italiana da poi che l'ebbero riprodotte due dotti benettini.

Luigi Tosti nella pubblicazione 2 del

nense (1865)
sulle
arti

Andrea Caravita

nell'opera
(1870).

codici

e
la

del celeberrimo
di filologia

cenobio

Ma

intanto
si

nuova scuola

romanza, che allora appunto


guida
di

ve-

niva formando sotto

la sicura

Ernesto Monaci, volse


;

l'occhio scrutatore al prezioso

monumento
e
il

due discepoli
cri-

degni del maestro, Ignazio Giorgi e Giulio Navone, ne seppero dare


tica (1S75), di

un'illustrazione

paleografica
di secolo fu

un'edizione

che per un terzo

fondamento saldo
al

ogni erudita investigazione su quel testo.* Intorno


il

quale

cominci allora
il

lavorio industre

degli
si

interpreti,

poich

ritmo

si

per essere qua e l lacunoso,


si

per peculiari usi

del linguaggio,

infine per l'incerta distribuzione del dia-

logo che

vi si svolge,

appariva in pi parti incomprensibile.

non avevano spaventato Carlo Bandi di V^esme,5 che con molta libert, per non dir peggio, tradusse
Tali difficolt
in prosa
il

testo e raffazzon a

modo

suo

la

partizione delle
e l nel

parti dialogate,

non senza per cogliere qua


;

segno

di

una giusta esegesi

come

riusci

qualche volta anche a

La

scuola e la bibliografia di

Monie Cassino; Napoli, 1820,


;

p.

264.
*

Codice cassinese della Div.


codici e le arti a
Il

Comm.

Monte Cassino,

1S65,

p.

XVI. 3 /

Monte Cassino ; Monte Cassino,


di

voi. II,
il

1870, pp. 59-62.

voi.

quest'opera del 1869,

il

II e

III

sono del 1870.


*

Il

ritmo cassinese, nella Rivista di filologia romanza,


voi. II,
I.

di-

retta

da L. Manzoni, E. Monaci, E. Stengel,


il

Roma

1875,
il

pp. 91-110:
filologia ,

\ I,

Paleografia e storia di
;

Giorgi;

2,

con facsimile litografico. 5 La litigua italiana e il volgare toscano, nel Propugnatore, diretto da F. Zambrini, voi. VII, parte II; Bologna, Romagnoli,
di

G. Navone

1874, pp. 39-43.

Luigi Gaiter, che animato dal filologo piemontese tent una nuova parafrasi commentata dell'arduo testo l e non ispaven:

tarono n pure Antonio Rocchi, 2 che, riproducendo quasi la interpretazione letterale del Baudi, volle scorgere nel ritmo
l'eco di

un contrasto

fra gli ordini

monastici dei Benedettini

e dei Basiliani e risospingerne l'antichit a un'epoca inveroPoco di poi (1878), simile, nientemeno che al decimo secolo
!

Edoardo Boehmer, un romanista che parecchi


tributi

osservabili con-

aveva gi

dati agli studi italiani,


l felicemente,

riprese in

esame

il

testo

emendandolo qua e

ma

poco utilmente
reazione dei

conferendo all'interpretazione, e senza fondamento riportando


la

composizione

alla fine del secolo XIII,

come

cassinesi all'ascetismo di papa


gli studiosi del

Celestino V.3

ricondurre

ritmo sulla diritta via, intervenne Francesco


:

Nevati (1886), con uno dei suoi migliori lavori giovenili * egli, sgombrato il campo da alcune difficolt di lezione, affront la questione della partizione del dialogo e della sua

fermando come saldo fondamento che gli sono un orientale, che reca notizie del paradiso terrestre, e un occidentale, che le accoglie con un senso misto di ammirazione e di dubbio. Tale interpretazione ebbe
interpretazione,
interlocutori

sentire

una larga e favorevole accoglienza, dalla quale parve disalquanto Vincenzo Crescini (1887) in una buona dissertazione, che non senza utilit ;5 e alquanto ne dissenti anche Francesco Torraca (1903) in una arguta e dotta mono-

'

All' illustre conte Carlo


// ritmo

Baudi di

Vesine,

uel

PropugnaMontecas-

tore, voi. Vili, parte II,


2

1875, pp. 17-28.

italiano di

Monte Cassino del

sec.

X;

sino, 1875,
3

con facsimile.
Stidien ; Strassburg 1878, voi. X, pp. 143 e sgg.

Romanische

Nella Miscellanea Caix-Canello, Firenze 1886, pp. 375-391, poi in Studi critici e letterari; Torino, Loescher, 1889, pp. 99-132.

Del lavoro del Nevati


copo, Giorn.
5

fu

reso conto dal Gaspary, Zeitschrift fiir

rorn. Philologie, XI, 277, dal


st.

Meyer, Romania, XV,


IX, 267.

460, dal

Per-

della

leti,

il,,

Nota sul Ritmo

cassinese in Atti e

memorie

della r.

Acca-

demia di scienze,

lettere

edarti di Padova,

voi. Ili, (1887).

8
grafia,'

nella quale

e l'esegesi del testo, dato in appendice in

sono preziose osservazioni per la critica una nuova lezione,

sebbene non
attribuisce
il

sia molto consistente la congettura ond'egli poemetto a un cavaliere d'nagni fiorito tra il cadere del secolo XIII e il cominciare del XIV. Poco dopo senza conoscere il suo lavoro che era stato il Torraca, ma distribuito a pochissime persone, mi occupai anch'io, inci-

dentalmente, del ritmo casinense

dovendo riprodurlo
quanto

in

un'opera di divulgazione presi

le

mosse,

all' inter-

pretazione, da quella del Novati, che era e rimane tuttora la

pi salda, e m'ingegnai, senza alcuna pretesa di far cosa novis-

sima, di migliorarlo con


disprezzabile, e di
letterale in prosa,

qualche emendamento non forse


il

accompagnare
al

testo

con una versione


ai gio-

fine di

agevolarne l'intelligenza

vani studiosi. 2
il

Meno

imperfetto senza dubbio sarebbe riuscito

mio

tentativo, se avessi conosciuto la

monografia del Tor-

dopo la pubblicazione del mio libro mi fu cortese l'amico Erasmo Percopo si che gi avevo, per una nuova edizione, ritoccato testo e dichiarazione, quando usci in luce il pi lungo e compiuto studio che intorno al Ritmo siasi fatto sinora, quello che ho gi accenraca, della quale subito
;

nato in principio, di Francesco D'Ovidio. ^

poich

l'insi-

gne uomo, che della mia recensione e versione ebbe notizia solamente quando era molto avanzata la stampa del suo lavoro, pur ha voluto fermarvisi intorno per segnalare, come egli dice amabilmente, quel che v' di buono o d'ingegnoso o di nuovo,* mi sono rimesso durante un breve e angustiato ozio

centrata meditazione che

autunnale a ristudiare con una pi lunga e connon avessi fatto per l'innanzi il
altri

tormentato ritmo, ricollegando a tale studio l'esame di


testi

meno
1

noti ai pi,

ma

affini

a quello per ragioni formali,

raro volume edito per le

Su/ Ritmo cassinese, nuove osservazioni e congetture nel Nozze Percopo- Luciani ; Napoli 1903,
I,

a cura di N. Zingarelli, pp. i43-i732 Nella cit. Leti, ital., storia ed esempi, voi.
3

pp. 330-334-

//
;

Ritmo
p.

cassinese negli Studi

romanzi

editi a

cura di E.

Mo-

naci
^

Roma
Ivi,

1912, voi. Vili, pp. 101-217.


177.

topografiche e storiche, nella speranza che qualche luce ulteriore potesse diffondersi intorno alla oscura materia.
Il

testo critico del

teplici edizioni,

ancora discutibile, o
definitivo quello

ritmo casinense, non ostante le molsi ha da tenere per


offertoci dal

fermato in

modo

D'Ovidio?
;

Nulla vi a questo mondo certo che, a considerare


la

che non possa esser discusso


la
si

ma

coscienziosa preparazione con


accinto alla restaurazione

quale

il

filologo napoletano

del vetusto cimelio, e chi tenga dietro all'analisi preliminare

svolta con tanta dottrina, parola per parola, per indagare e

fermare

le

significazione

sfumature dei suoni e delle forme e coglierne la pi certa o almeno la pi probabile, si do-

vrebbe senz'altro accettare come esauriente la fatica dell'illustre maestro, e invocare anche per il ritmo casinense il claudite iam rivos, pueri. Se non che anche a chi abbia
disposizione ad accogliere le conclusioni del un dubbio deve affacciarsi subito, anzi parecchi dubbi non possono a meno di presentarsi spontanei ma per
la

migliore

D'Ovido,

ora fermiamoci a quell'uno che appare


Alla restaurazione di un

il

pi grave di

tutti.

testo volgare italiano


fatte,

antico di

poesia

si

sa,

per infinite prove che se n'

essere stru-

mento assai efficace, o meglio una guida sicura, in molti casi matematicamente o geometricamente certa, la forma metrica. Quando il canzoniere vaticano 3793, che il gran
tesoro della nostra
le lirica d'arte

pi antica,

ci

d a decine
noi,

canzoni alterate profondamente dall'amanuense,

se

riusciamo a fermare lo schema metrico della stanza, siamo gi sulla buona via, se non per sanare, almeno per riconoscere le piaghe aperte
in

quelle

venerabili

membrane.' Se

Un

trica fu

da

saggio di emendazioni del testo col sussidio della meme dato in appendice all'edizione del Canzoniere va-

ticano 3793 dei proff.

A. D'Ancona e D. Comparetti,

voi.

V,

PP- 309-493- Avendo io stesso, per incarico dei due illustri maestri, curata l'edizione del Canzoniere vaticano a cominciare
dal terzo volume, ebbi agio di esperimentare sino da quei pri-

mi miei

studi sulla poesia

antica

quanto importasse l'uso del


la

criterio metrico

per fermare in molti casi


i

pi giusta lezione,

o almeno riconoscerne

guasti.

IO

fermiamo
che
i

la

nostra considerazione sopra

le

canzoni e ballate
scrivendo negli

notai bolognesi, fino dalla seconda

met del secolo XIII,


fini,
il

vennero per isvago,


spazi liberi de'
ci

pi

che per

altri

loro memoriali,

non

senso generale che

faccia accorgere spesso delle lacune, delle ripetizioni, dei


facili

trapassi,

a scorrere dalla penna di persone che

non
te-

ricopiavano,

ma

ritraevano dalla
si

memoria pi o meno
avvia sul

nace quelle poesie;


ci

invece, nella

pi parte dei casi, chi

avverte dei guasti, e

per

ci

cammino

il

della

buona emendazione o
strofico

del probabile supplemento,

tipo

che

ci

riesca di acquisire dalle parti

meno

incorrotte

dei singoli componimenti. i Cosi, se bisognassero,


potrei citare, dai quali

altri

esempi

appare manifesto quanto

alla rico-

stituzione critica dei testi della nostra poesia antica, passati

attraverso a pi stadi di trasmissione orale e scritta, conferisca quella saldezza e osservanza degli
di quella poesia

schemi metrici, che

uno

dei caratteri pi universali e pi certi.

Di questo strumento critico si sono valsi gli studiosi del Ritmo casinense, e con pi fiducia di tutti il Torraca il quale a questo proposito osservava Prima di tutto e pi di tutto ha fermato l'attenzione mia la costituzione, l'organi; :

smo

della stanza.

noto che essa somiglia a quella di

altri

componimenti didattici antichi, come il Calo di Catenaccio, il Reghnen sanitatis, Bagni di Pozzuoli, ma non si rilevato, credo, quanto sia pi varia, pi messa e pi ricca di rime. Nel Ritmo primi tre versi e il quarto compongono una serie di ben sette ottonari con la stessa rima viene
\ i
;

poi la solita coppia di endecasillabi


tati

negli altri poemetti ci-

manca

il

verso breve
di

primi quattro, ognuno de' quali

risulta dall'unione
Il

due

settenari,

non rimano

al

mezzo.

d'un numero di rime pi che doppio, indicano a chiare note che l'autore non schivava

maggiore

artifizio, la ricerca

fatiche, anzi

si

non

facile

se

compiaceva di alTrontare e superare una prova non invent egli questo tipo di stanza, del

* Sto preparando una edizione compiuta di tutte le rime dei Memoriali bolognesi, rivedute sugli originali e anche qui apparir quanto spesso la determinazione dello schema metrico
;

consenta

di riconoscere gruasti e lacune.

quale non conosco


intento.

altri

esempi, volle e seppe piegarlo

al

suo

era

al

un dappoco, insomma; probabilmente, non primo tentativo. Se non invent egli il sistema delle

Non

era

rime, l'osserv esattamente, direi rigidamente, dal principio


alla fine,

perch
st.

facile ridurre a

rime esatte
versi

le

due conso-

nanze delle

VI e XII. Quest'uomo cosi curante delle rime


zoppicare
li
i
;

non avr
li

fatto traballare e
il

colpa di chi

aveva imparati a mente con poca attenzione o da troppo lungo tempo, se, su la pagina versi ballino il ballo di san Vito. Per del codice, par che ci non mi sono soltanto permesso, ma ho creduto fosse
trascrisse,

quale, forse,

dover mio procurar di restituirli tutti alla loro giusta misura, aggiungendo o mutando il minor numero possibile di parole, per lo pi con tagli opportuni di superfluit e di escrescenze.^ Cosi il Torraca, che, secondo il proposito e
il

criterio

enunciato con

tanta

perspicuit,

procedette alla
si

restaurazione del Ritmo con

avveduta franchezza,
l

che

il

lavoro suo, anche


tire,

per chi qua e

creda di dover dissencritica di

segna un grande avanzamento nella


anzi
si

questo

pu dire che ne sia la prima vera ricostituzione. Lo schema strofico apparve tale al Torraca da presupporre una lunga elaborazione, si da lasciargli credere probabile che gli si dovesse assegnare una data meno remota che non si fosse prima creduto; ma il D'Ovidio giustamente ha osservato Due sono le caratteristiche di esso schema
testo,
: :

la

chiusa di due o tre endecasillabi rimanti insieme,

la

parte composta di tre o pi ottonari doppii cui quasi sem-

pre aggiunto un ottonario semplice. Orbene


casillaba,
tutti

la

chiusa ende-

che divenne cosi propria della poesia meridionale,

sappiamo che gi in Cielo d'Alcamo, e il Monaci adunque era gi stal'addit pure in una poesia di Federico bilita per lo meno nella prima met del sec. XIII, e, se guardiamo al Sant'Alessio, dove per l'endecasillabo vacilla, anche anteriormente. Ma di solito una tale chiusa si accodava
:

a una serie di versi a quindici sillabe, con l'emistichio sdrucciolo bene o

male mantenuto, degenerazione del tetrametro


loc. cit., p.

Torraca,

157.

12

giambico

catalettico; laddove, eccoci

all'altra caratteristica,

nel Ritmo,

come
in
gli

nel Sant'Alessio,

versi lunghi

sono

otto-

narli doppii,
tico.

degenerazione del tetrametro trocaico acataletquesta

Ma non

combinazione

degli

endecasillabi

piuttosto con
il

ottonarli che coi settenarii potrebbe riporsi

raffinamento che

abbia richiesto una lunga elaborazione.


nella quale l'ottonario

Tutto

risale alla ritmica latina,

dop-

pio non
il

meno

antico del doppio settenario, e basti citare


di sant'Agostino.

carme abecedario

L'ottonario, doppio o

semplice, destinato ad aver tanta parte nella poesia religiosa,


molto naturale che
si

trovi nel Sant'Alessio e nel


ci

Ritmo.
al-

Nello schema strofico non v' quindi nulla che


l'et di

tragga

Dante piuttosto che alla fine del sec. XII .2 Dunque arcaico quanto il ritmo ha un suo proprio schema strofico, fissatosi ormai in una fronte di doppii ottosi voglia, ma nari e in una chiusa di endecasillabi intramezzati da un ottonario semplice. Se non che al D' Ovidio sembrato possibile ammettere che l'autore del Ritmo non siasi attenuto sempre fedelmente allo schema fisso e che sia inaccettabile la persuasione fallace del Torraca e mia, e credo di molti altri che tutte le strofi debbano essere state d'un conio affatto identico, quello che potremmo formulare cosi aA, aA, aA, a, ^p, distinguendo col greco gli endecasillabi 3 e altrove aveva ragionato questo suo concetto cosi : Lo schema della prima strofe ci d fra il tristico di otto-

narli doppii rimanti

in fine e in mezzo,

il

distico

di en-

un ottonario semplice echeggiante per la settima volta le rime dei versi lunghi e un tale schema si riproduce esattamente nella strofe III, nella IV e neir Vili. Ma, a prescinder dalle altre ancor pi lacunose, quali la V, la VII e la X, e dalla XII che non sappiamo
decasillabi

rima baciata,

se sia cosi corta per proposito o per

monca

trascrizione, noi

abbiamo

nelle altre strofi integre, e che


di altra

non paiono doversi


poich
il

sospettare d' interpolazione o


^

corruttela,

Cfr.

D' Ovidio, Versificazione italiana


// ritmo cassinese, p.

e arte poetica iie-

dioevale; Milano, Hoepli, 1910, pp. 250 sgg.


2
^

D'Ovidio,
Ivi,

195.

p.

177.

13
senso, se Dio vuole, cammina, parecchie indubitabili divariazioni nello

schema

cosa, del resto, tutt'altro che nuova,

e nella ritmica volgare e nella ritmica latina. Nella VI, l'ot-

tonario scempio rima con gli endecasillabi. Nella IX,

il

ter-

zultimo verso addirittura un endecasillabo, e fa rima coi

due ultimi
e
i

oltrech gli ottonarli doppii salgono a

quattro,

quattro fan

rio

scempio, e

come due distici, intramezzati da un ottonala medesima rima, in tutta questa massa, ri-

torna nove volte. Nella lacunosa strofe


dieci sillabe,

si

ha un verso di
finali.

che probabilmente da rendere endecasillabo,

e che

aderisce e

rima

coi

due zoppi

endecasillabi

Nell'undicesimail terzultimo verso probabilmente un quarto


ottonario doppio, bench storpio, e
quelle dei due versi di chiusa.
Il

ci d due rime uguali a Torraca con emendazioni

ingegnose ed ardite cerca di rimediare a

tutte queste inconil

gruenze
testo vi

m_a in parecchi casi

il

senso corre cosi liscio e

ha tanto

l'aria

d'esser genuino, che a


l'autore stesso

me sembra

si abbandon a non erano fuor d'uso nella tecnica d'allora. manifesto che due sole norme costanti ebbe il poeta cominciar la strofe con degli ottonarli terminandola con degli endecasillabi, e cominciarla con una rima terminandola con un'altra.! Gravi veramente le osservazioni del D' Ovidio, se non ne restasse attenuata la gravit dalla formola del dubbio ond'egli le viene accompagnando

ineluttabile riconoscere che

certe variazioni, le quali, ripeto,

ma

gravissima

la

conclusione, per la quale

saremmo innanzi

a un caso ben singolare, quello di uno schema strofico che

uno schema generico e potenziale, direi quasi, rimatore come un avviamento che gli consente di piegare a destra o a sinistra a suo capriccio, secondo che la materia o la rima gli abbonda o gli manca, mentre tutta la poesia del tempo suo si svolge in forme fisse, secondo tipi che, una volta adottati, sono osservati dall' un capo all'altro dei singoli componimenti, quasi in obbedienza a un principio assoluto. Non negher io che parecchie indubitabili divariazioni nello schema possano rintracciarsi nella
e' e
il

non

e' ,

quale serve

al

Ivi,

p.

122-123.

u
ritmica volgare e nella ritmica latina
;

ma

in ogni caso sa-

rebbe da vedere se e in
vute agli autori
siano
stati

quanto

le

incongruenze siano doi

ai trascrittori,

specialmente se

testi ci

non dagli autografi, ma da anteriori trascrizioni fatte a memoria come, anche a giudizio del D' Ovidio, sembra esser il caso del Ritmo casinense, e come poi sembra indubitato essere avvenuto per
conservati in apografi derivati
;

per ora il ritmo di Sant'Alessio. Ma di ci a suo luogo parmi opportuno chiamare a rapida rassegna i testi, nei quali stata riconosciuta una conformit fondamentale con lo
;

schema
con
la

del

Ritmo casinense,
di

la fronte di

pi versi doppii

chiusa
di tali

pi

endecasillabi,

per vedere se offrano

esempio

riprova della conclusione cui giunto

incongruenze schematiche da aversene una il D' Ovidio.

III.

una ricerca preliminare necessaria perch


fisso

si

possa poi
il

adottare o no, nella restaurazione dell'antico ritmo,


dello schema metrico

criterio

o variabile

e anzitutto sarebbero

da considerare le poesie di versi compositi a tetrastici monorimi, forma prevalente nella letteratura didascalica e religiosa dell' Italia superiore, perch il metro pi complesso, prevalente nella centrale e nella meridionale, potrebbe ben essere ritenuto un ulteriore svolgimento di quello, se la priorit cronologica bene accertata di alcune almeno delle composizioni
del centro e del

mezzod non contrastasse fortemente a questo

concetto.

Ad

ogni

modo non

c'

bisogno di

inutili analisi

per fermare questo punto che


vale,

la strofa tetrastica,

dove preanzi,

di

una

fissit

o rigidit quasi assoluta. C' un solo


;

esempio, ch'io sappia, che potrebbe farcene dubitare


a voler congetturare, fra
il

tetrastico d'alessandrini dei poeti

settentrionali e la strofe caudata

mista di doppii ottonari o

settenari e di endecasillabi dei poeti meridionali e centrali,

sembrerebbe interporsi una forma toscana, da considerarsi quasi anello di congiunzione tra quelle, perch alcuna volta il tetrastico si allarga a cinque o sei versi, assume cio una

15
specie di coda formata da un verso o due pi brevi. Questa forma intermedia rappresentata da uni. poesia religiosa, ch'io trassi gi da un codice toscano del 1274; la quale a pi indizi si pu senza scrupoli n dubbiezze far risalire ad epoca anteriore, sia pure di non molto tempo. Rileggiamola

come

sta nel manoscritto, 1 senz'altri

mutamenti.

I. A voi vengno, messere, o padre onnipotente, che de' tuoi benefici mi faccie conoscente,

e di perfetto
e
5

amore

eh' io

ti

sia

servente

de

la

vergine JMaria, quella stella lucente.

II. Eir pi lucente che nonn il sole o luna ed pi purissima che nulla creatura a voi mi racomando, o vergine pura, che stai nel cielo inperio in quella grande altura.
;

III.

Che

stai in quella altura

ne

la

destra di dio padre,


;

IO

senpre
io

gli se'

presente, che be' Ilo puoi pregare

a voi mi racomando, o gloriosa madre,

che sono chaduto degiemi rilevare.


IV.

degiemi rilevare e dami


la vela e

lo

tuo conforto,
rotto
;

se tu m'abandonassi io sono
15

chome nave

madonna, dirizzami
dinanzi
al

conducimi a buono porto,

tuo figluolo che per noi fue vivo e morto.

20

V. Messere, rinfiamami lo core con tutta la mia mente ed acendi la mia anima d'uno foco molto ardente e da me non si diparta in tutto il mio vivente, quando verrabbo a la mia fine di me ti sia a mente.
VI.
e se

di

me
lo

ti

sia a niente^

o glorioso padre,

che mandasti
priegoti,

tuo figluolo per noi riconperare,


;

medesimo diede prezzo per la nostra necessitade messer, che nel numero de gli aletti mi deggie
[choUogare.

il

codice magliabechiano
trattato

II,

IV, iii della Nazionale di

Firenze, nel quale un maestro Fantino da San Friano trascrisse


nel 1274

prossimo
altre

Dell'amore e della dilezione di Dio e del Albertano da Brescia, i Fiori e vite di filosofi e molte prose del primo secolo. La poesia, che vi sta alle e. 1041il

di

1053, fu giada da F. Zambrini

me
;

pubblicata nel Serto di olezzanti fiori, edito

Imola, Galeati, 1882, pp. 127-130.

i6
25
VII. Messer, per la mia pocha fede neente prendimi ad atare e dami lo tuo conforto,
e dirizzaci a la via, conducici al
ti

congnosco

buono

porto,

per lo prezioso sangue che

spandesti quando ne la croce


[fosti

posto.

Vili. Messer, lo prezzo che tue desti non mi sia giudicio,

30

anzi sia

e che distrugha
e

mio aiutorio quello sangue colorito, il mio peccato e da me parta ongne facciami aprire le porte e metami in paradiso.
IX. Messer, sette sono
i

vizio

cieli

ove sono
si

tuoi abitanti,
;

li

angieli e

li

arcangeli e la conpangnia de' santi


dolzi canti,
tutti quanti.

35

dinanzi a voi, messer, che fanno

per noi siano avochadi a pregarvi

X. Messer, a
e r

te

ubidiscono
i

e le pianete tutte fanno

tuoi

cieli con tutti gli alimenti chomandamenti,

uomo, chu
lui
ti

creasti e desti cinque sensi,

40

per

desti a

morte

si

tt'

disubidente.

XI. Perdonami, messer, che so che mi creasti,


del tuo pretioso sangue tue

mi riconperasti
perdonasti.

e ladro de la croce so ke lo salvasti

ed a Maria Madalena tu
45

le

XII. Messer, tue allegiesti Petro in terra tu vichario,

quando
e
si
li

giuderi

ti

presero tre volte

ti

neg[]
:

perdonasti tanto pianse e lagrim[]


te

perdonami, messer, da
XIII.

non

sia lontano.

Da

te

non

sia

lontano per nulla chagione,


;

50

techo sia congiunto di perfetto amore e la morte che patisti senpre la porti in chuore
e da

me non

si

diparta infino ch'ai

mondo

s[ono].
afritto

55

Infino eh' io sono nel mondo sia il mio chore dura morte che per noi patisti. Cristo, guardando ne la croce chome fosti confitto ne le mani e ne' piedi e aperto il lato ritto.

XIV.
la

per

XV.

Priegoti, messer, o glorioso padre,

che mi faccie perfetto in fede e largo in charitade, e dami disiderio chom' io ti possa amare
6c
e

dami umilitade con

perfetta discrezione

e spirito choretto con caldo di fervore.

17

XVI. Anche ne voglo pregare la niaestade divina che l'ordine de gh angeli si cre in prima, poi form Adamo, di lui si trasse ad Eva
65
e

mand

lo

priegoti, messer,

suo figluolo a la vergine Maria, che inn anima ed [i'] corpo mi tengne in
[tua balia.

70

XVII. E tengnami in balia accio k' io ti possa amare, con core dilettoso te senpre dilettare e fami l'anima ioconda con techo iubilare e tanto sia il diletto che mi faccia innebriare.
;

XVIII. E fanmi innebriare con tanta dolcezza che '1 core si lievi a ballo, con dio faccia gran festa e fae l'anima ioconda con tanto disiderio che per fede e per isperanza senpre veggia idio.
75
e e

XIX. Ancor
ed abondimi

ti

priego, messer, che

la grazia

d'uno righame

di

mi faccie amare de l'amore senpiternale lagrime tutto mi fae bangnare


grazia ne faccie bene finire.

fae lo core disideroso di te tanto ioire


la

che ne lo stato de

Amen
Sono diciannove
la
-

strofe, delle quali

solamente cinque hanno


che era

rima perfetta

(I

e V,

ente

IX, -miti; XI, -asti; XVIII,

are),

e sono tutte e cinque di soli quattro versi,

agevole legare assieme con rime di forme verbali, delle pi

ma nelle altre strofe facili e abbondanti che abbia la lingua predomina l'assonanza. L'assonanza pura, con la sola diversit della consonante semplice postonica, si ha in un unico caso in altri (st. III, VI, X, XIX) la consonanza (II, - oia, - uva)
;
;

conseguita per

mezzo

di sillabe
il

complesse corrispondenti
: -

a una semplice (secondo

tipo
(st.
;

adre
-

art,

ade,

ale)

si

svolge da sillabe complesse


-

IV,
-

ortOj -otto; VII, -orto,


-

osco,
:

osto

X,

- e7iti,

ente

XIV,

itto,

isto

XVIII,

ezza,

est) pi singolare e primordiale l'assonanza della strofa VIII la quale per si lascia ricondurre (- icio, - izio, - ito, - iso),
-

al tipo
(-

dell'assonanza pura,
-

come anche
(-

quelle delle
-

st.

XIII
;

one,

ono,

ore) e della
tutto la

XVI

ina,

- ivia,

Eva,

io)

ma

anomala del
(a

dove a tuo vichario meno di leggere invertendo vichario tuo') mal risponserie

della XII

Casini, Studi di poesia aulica.

2.

i8

dono

gli

ossitoni

neg e lagrima,

peggio poi
;

la

finale

lontaio (se

non

si

corregga non
il

si alontano)

tanto che

ho
ri-

per un

momento avuto
i

sospetto di esser davanti a un

facimento toscano
fallace indizio,

di testo campano-laziale,

ove a un vicaro
troppo tenue e

rispondessero nego, lagrinio e lonfano,

ma

specialmente se

si

consideri che forse qui ab1'

biamo una lacuna, quale l'accuserebbe


passo del senso, e
la
il

interruzione

o tra-

verso quarto probabilmente costituisce

coda della strofe. Questa prevalenza assoluta dell'assonanza sulla rima pura ci risospinge verso origini pi antiche, perch nella seconda met del s. XIII, in Toscana
se qui

da riconoscere
di

la

culla di questo

componimento.

non che l'assonanza mai ristretta ai casi

fosse del tutto scomparsa,

ma

era

or-

assonanza pura, come potr vedere,

chi voglia, nelle laudi sacre.


sto ritmo di preghiera

La compagine metrica

di que-

di strofe tetrastiche
:

assonanzate di

versi formati ciascuno di

composito, perch

il

due settenari il verso certamente primo emistichio non soggetto ad alsette

cun legame

di

rima^ qualche volta sdrucciolo, or di


nel

sole sillabe 2 ora regolarmente di otto, 3 e

collegamento

il secondo comincia per vocale primo emistichio adunque per Io pi un settenario piano e regolare, e le deviazioni che appariscono sono di quelle pi ovvie nei manoscritti e faci che pu ripecilmente riducibili sul diritto cammino

dei due emistichi

quando
:

frequente

la sinalefe

il

''

* Non alieno dalle consuetudini letterarie del tempo, se si pensa al rifacimento toscano, scoperto e illustrato dal Bertoni, del Libro di Uguccione da Lodi. ^ Versi ove potrebbe per emendarsi, v. 6, ed 6, 15, 17, 34 ne ; 15, o madonna ; 17, o messere, o mediante ima dialefe come
;

nel V. 34.
^

Versi 37, 46, 62 e 77.


L'elisione
;

manca
la

nei vv.

1,

7,

8,

9, 11, 13, 19.

21, 39, 57,

58,

65
=

si

ha invece nei
1.

vv. 31, 32, 33, 34, 36, 40, e forse 45, 67.
la

V.
;

4,
5,

de

Vergin Maria (senza


;
13,

congiunzione cotolgasi
(id.)

pulativa)

ellla]
;

Degiemi
lid.)
;

(id.)

15,

glossema

inutile

iS,

acendi
cfr.

19,

da

me

madonna, da oppure

me non

si parta,

ma

v.

52

20,

verrabbo a fine ; 22,

tno

^9

forma il secondo emisempre piano anche in queir unica strofe, la XII, ove non certezza dei due ossitoni ieg e lagrima, ma sar da integrare per l'uno e per l'altro con la forma non ignota all'antico toscano del perfetto indicativo in- ao^ ben inteso che anche per la parte seconda del verso, bisognano qua e l facili emendamenti per contersi senz'altro

per

il

settenario, che

stichio del verso composito, e che

durla alla giusta misura delle sette sillabe. 2 Osservabile ancora, per ci che concerne la metrica, che questo ritmo pre-

senta un'evidente tendenza

al

collegamento delle
:

strofe,

meI

diante legami formali e concettuali

cosi si spiega

la reite-

razione della
(le st.
II
-

parola

iniziale

Messere che nelle strofe

IV includono una speciale invocazione alla Vergine) V^ VII - XII, XV, XIX, (nella VI in fine, ma non credo che si abbia a trasportare nel i verso, 1. Messer di

me

ti

sia a mente)

e quasi regolarmente osservato


la ripresa sul principio di

il

col-

legamento mediante
delle parole finali,

ogni stanza

o almeno della

idea,

della

precedente

JgL

cfr. V. 65 23, s medesuio diede ; 25, per poca fede; 26, prendimi ad a[H]tare oppure p. [tu] ad alare ; 27, e drizzaci; 29, togliere Messere; o anche 1. Messer, lo prezzo che desti ; 31, Distruga, ecc. ; 32, /acciaiai ; 33, so' i cieli : 35, 41, 48 e 57, messerlel ; 43, e 'l ladro ; 44, e a Maria ; 45, Messer Petro allegiesti ; 46, giudei ; 50, fare una dieresi, sia? o meglio 1. [e] teco ; 51, la morte (togliere e); 52, cfr. v. 19 53, /njin eh' io son ; 54, il compenso nel che del 2'^ emistichio; 58, Fami perfetto ; 62, togliere il ne, superfluo 64, /"/ poi oppure Poi [che] 65, 7 suo cfr. v, 22 69, Fami ecc.; 72, cor; 73, Fe ; 76, per fede e isperanza ; 75, Ancor priego. Messere ; 77, D'un rig. ; 78, Fe 'l cor ; 79, Che in lo st. oppure Ne lo st.
; ; ;

Monaci, Crestomazia, prospetto grammaticale 527. <7 vergine [alta e] pura ovvero o [JMaria] vergin pura; 9, a la destra; 14, son come ; 15, buon; 16, che per noi fue morto ; 18, d'un; 27, buon ; 35, fan si ; 37, / cieli e gli alimenti; 43. so ke [tu] lo; 44, tu [a] le' ; 45, Petro non si sa se appartenga al i^^ o al 20 emistichio, ma forse una glossa 49, cha*

Cfr.

V.

8,

gone o casgione', 52, infin ; 60, togliere con ; 62, maest ; 70, toghere il che; 71, [eo] tanta: 76, d'amor o de P autor eternale ;
79, beri.

20
(ripresa di parola,
st.
II,

III,

IV,

VI,

XIII,

XIV,

XVII,
dal

XVIII

ripresa di concetto, con parole diverse, VIII dall'es-

ser posto in croce all'esser prezzo del riscatto,

IX

pa-

radiso ai sette cieli

lievissima la ripresa di pensiero nella

XII, il perdono a Maddalena e a Pietro), perch la mancanza del collegamento nella V dipende dal distacco di senso generale, precedendo una preghiera speciale, e cosi pure

XVI, mentre il collegamento manca del XI e XIX. Queste incongruenze dipendono da guasti e da lacune o furono effetto di una libert che il poeta si concedesse ? Quanto al venir meno, in alcune poche strofe, l'invocazione iniziale Messere, mi pare pi naturale che il rimatore l'abbia fatto pensatamente anche dove non c'era la special e ragione che ho accennata per le strofe II - IV c'era invece nella VI e nella XVI la presenza dello stesso vocativo nel
nelle stanze e
tutto nelle st.

XV

VII, X,

verso
tenere

finale,
il

nella XIII e

XIV

gli

parve che ne potessero


il

luogo Date e Cristo e nelle XVII e XV^III

pen-

siero rivolto all' idea astratta della


alla personalit di
io

maest divina, pi che

tivi sufficienti,
;

Dio.' Se questi non siano tenuti per monon saprei altrimenti spiegare l'apparente incongruenza ma per quella che nasce dalla mancata rispondenza di parole e di pensieri (fuori di questione rimane la st. V) il caso appare diverso e sembra proprio che sia dovuto
Infatti, se allast.

a qualche alterazione del testo originale.

VII
fini:

manca

la ripresa iniziale,

dobbiamo osservare che

la

VI

sce con un verso, che nasconde probabilmente un guasto


priegoti, messer, che nel

numero de
e

gli aletti

mi deggie coUogare.
il

Sono almeno
pre troppe
ci

21

sillabe,

anche togliendo

messer sem;

restano per un doppio settenario

si
;

che parp.
es.

rebbe pi ragionevole come l'avanzo di due versi


Priegoti, messere,

mi deggie collogare
fedeltate].

degli aletti nel


1

numero che [ebber

con dio 72 dove la frase che '1 cor che l'autore aveva il pensiero conferma faccia gran non parlava pi direttamente a Dio alla maestade divina E tengnami ), ma alla maest , alla potenza di lui. (cfr. v. 66
Si avverta
il

v.

festa

21

Anche

la st.

VII alla sua volta finisce con un verso im21 sillabe


:

possibile, pur di

Per lo prezioso sangue che spandesti quando nella croce fosti posto,

dove sarebbe ovvia


Per
lo

la risoluzione in

due endecasillabi

prezioso sangue che spandesti


[tu] nella
1'

quando

croce

fosti

posto.

La

st.

si

apre con

idea dell' ubbidienza

universale

delle cose create,

mentre

la

precedende racchiude quasi una


;

breve descrizione del paradiso

la

continuit dello svolgiinal-

mento logico manca


tiera strofe

e perch

non potrebbe mancare un'


si

o qualche verso aggiunto in cui


?

accennasse

l'ubbidienza dei beati

Cosi tra

la

e l'XI

sembra mancar
genere disub-

qualche cosa, ove dal discorso

dell'

uomo

in

bidiente a Dio l'autore ritornasse col pensiero a s stesso,

oppure, che sarebbe stato anche meglio,


al

avesse accennato
ri-

perdono divino, che


di

egli

viene poi esemplificando col

dopo averlo invocati per s. La formola della preghiera scuser la mancanza della ripresa iniziale di pensiero nelle st. XV e XVI, le quali entrambe ci presentano altre anormalit in tutt'e due abbiamo un verso in pi e, oltre a ci, nell' una il quarto verso del tetrastico non consuona per rima o per assonanza coi precedenti, sebben sia facile restituire il testo con una invercordo
e di Pietro,
: ;

Maddalena

sione^

che ha

il

merito anche di ridurre


:

il

verso alla giusta

misura leggendo
e

dami discrezione con


st.

perfetta umiltade

quanto
altro

al

verso in pi nella

XV

non saprei riconoscervi


altri

che una aggiunta dell'autore o di chi


1'

leggendo

abbia voluto esprimere anche

idea della disciplina del cuore


;

non disgiunta
il

dal fervore religioso

nella

XVI

poich, dopo
:

tetrastico regolare,

seguono almeno 19
anima ed
i'

sillabe

Priegoti, messer, che inn

corpo mi tengne
il

in tua balia,

non

basta,

come

gi nella VI, eliminare


:

vocativo

ma

si

potr forse dividere in due versi, cosi


Priegoti, messer, che [tu]

mi tengne

inn

anima ed

i'

corpo

in tua balia.

Perch manchi

la ripresa nella st.

XIX

potrebbe una

ra-

gione esser questa che essa

la

conclusione del canto,

come

la sintesi di

tutte

le

preghiere ed aspirazioni
;

enun-

ciate nelle strofe precedenti

ma

qui

piuttosto

da notare

che all'allargamento del


che un nuovo sistema
un'altra.

tetrastico in pentastico si unisce anil

di rime, per

quale

si

viene ad avere
distica

una fronte ternaria con una rima e una chiusa

con

Riassumendo adunque, in questa poesia toscana della met circa del secolo XIII il tetrastico d'alessandrini monorimi non mantiene salda la sua rigidit schematica, ma sembra ampliarsi d tanto in tanto in una forma pi complessa, per cui esso costituisce la fronte di una strofe chiusa una da uno o pi versi, della stessa misura o pi brevi forma, che rappresenterebbe appunto il trapasso da quella prevalente nella poesia settentrionale all'altra, che abbiamo
:

preso a studiare, della poesia meridionale.

IV.

Or riprendo

il

cammino,

dal quale
ci

una necessaria o
ha
fatto

al-

meno non inopportuna


sizioni,

digressione

alquanto de-

viare, e ritorner alla proposta

enumerazione delle compo-

che sono state segnalate sul tipo di una strofe com-

posta di una fronte di versi doppii e di una chiusa di endecasillabi


sti

tipo che si riconosce anzitutto in cinque contrao poesie a dialogo di argomento amoroso, o almeno tra
;

un uomo e una donna per casi d'amore. Primo e pi famoso di tutti il contrasto Rosa fresca mdcntissima, del quale ora non sarebbe pi erroneo, come

avremmo
d'Alcamo

sino a
;

ieri

creduto,

il

citarlo
il

come opera

di Cielo

dico

ora,

da poi che
il

D' Ovidio,

oltre

che

restituire o

almeno riavvicinare

contrasto alle

sembianze

solito, in

ci che egli ha fatto, al che pot avere originariamente modo magistrale, aggiungendo un commentario esegetico che non lascia ormai quasi pi nulla da dire ad al-

tri,

lui

riconosciuto
;

la possibilit

che

sia uscito dalla^pfenna

di

un siciliano

fosse pure stato o fosse

studente di medi-

cina in Salerno,
parlare di Sicilia,

ma sempre
come
nell'

uscito dall' isola e cresciuto nel

del contrasto afferm FJante, che pur

dovette leggerlo

unica trascrizione di un copista toscano.

Sono trentadue
tre

strofe,

ciascuna delle
alessandrini

quali

composta

di

doppi

settenari
e

ossia

a cesura sdrucciola

monorimi

alessandrini e

due endecasillabi, con due rime 1' una per gli secondo lo sche'altra per gli endecasillabi
l
;
;

ma, costantemente e rigidamente osservato


8 8

+ 7-4 + 7 ^

+
B.

7 .4

II l
II

A
di

quello della Rosa fresca


di

si

riavvicina per somiglianze


gi not
il

metro e

contenuto,
il

come

acutamente Setitolo di

verino Ferrari,

contrasto del quale sotto


ci

can-

zone lombarda

fu

conservato

il

frammento
Il

iniziale di

due

strofe

da Antonio Magliabechi.suo apografo, attesta


di

dottissimo

bibliotela

cario,

nel

aver trovata intiera


fine del secolo
ci

can-

zone in dua mia manoscritti, uno cento anni con che si risale alla
;

de' quali certo di tre-

XIV
come

al

principio del

XV. Ma

tempo pi remoto

farebbe penfor-

sare

il

metro, se invece di

considerare la strofa

mata
tosto

di otto settenari e
i

settenari

due endecasillabi, raccoglieremo pi a formare un tetrastico di versi doppii, cosi


:

mi stringie Amor eh' Donna, la mia disgrazzia ched Amor mai si sazzia per altri nuovi amanti. Gagliarda, fresca e morbida ti stai ad un balcone
e fami ciera torbida
e afl'occhi di falcone
:

i'

canti,

D' Ovidio, Versificazione italiana, pp. 589-746. Nel codice autografo Magliabechiano li, II, 109; donde
il

Io trasse in luce

Ferrari, nella Riv.

critica della

leti,

ital.,

a. Ili (r8S6) col. 30.

mostr'a ciascun da pie e da cavallo, e me dispregi, che son tuo vassallo .

traditor malvagio,

che n'i tu a

far,

che cianzi,

s'i' sto in torre o'

n palagio?

lvamiti d'innanzi!

di me a torto cantasti, che sanza colpa o biasimo quando ma' lo pensasti possa spasimo, si non mora, che del fin cor t'amava, pi t'ameria, se ci non fosse, ancora .
pigliarti
;

Il

metro pi complesso

di

rime

di quello
:

che abbiamo
in questo,
il

veduto nel contrasto della Rosa fresca

come

primo emistichio del verso doppio sdrucciolo, ci che rendeva forse difficile mantenere la stessa rima per tutto il tetrastico e per l'autore introdusse la maggior variet innovando le rime da coppia a coppia. Un altro frammento di contrasto fra uomo e donna, anch'esso di due sole strofe, ci stato conservato da un codice napoletano, che del tempo, presso a poco, del perduto magliabechiano. Conformit esterne accidentali ma ben pi osservabili sono le conformit interne, poich lo schema metrico identico e anche lo svolgimento concettuale e l'into;
;

nazione del linguaggio presentano molta somiglianza

tanto

che

io sarei

tentato a considerarli
del
il

come avanzi

di

un unico
ci

componimento,
avrebbe serbato

quale
^

l'apografo
il

magliabechiano
la

principio e
:

codice napoletano

fine.

Ecco

le

due

strofe

ghiotto e mal demonio,

dio sie mie' testimonio

tu mi schongiuri adosso che pi tacer non posso


:

Pubb. da E. Monaci, nella Riv. difil. romanza, II (1875), MiOLA nel Propugnatore, tomo XI, parte II (1878), p. 312 dal cod. della Bibl. Nazionale di Napoli V. C. 20 del principio del sec. XV (e. 410 a) alle due strofe che sembrano essere le ultime del contrasto, precede un verso
1

115 e poi A.

per la virt de la saetta d'oro,

che l'ultimo della terzultima


l'amante incalzava
la

strofe, nella

quale manifestamente
di servit

donna con dichiarazioni

amorosa

2,5

ben ragion d'ucciderti corno servo fallace; e a te tornar mi face piet m'induce a riderti, come caro suggecto ti perdono, e tua donna m'appello dove sono.

"~"
^
:

Alta chiarec^a e previa,


el

del

mio cor

sole e luna,
:

tuo parlar m'alevia,

n sento pena alcuna


per te servir benigna,

desio e

bramo vivere
benedica
gli

e ben m'ardischo a scrivere


collui
ti

che d'ogni honor


'n celo,
'1

se'

degna

in terra e
el

che

fa

come
il

piace

caldo e

gelo. Anieti.

Se

contrasto di Cielo, pur riprendendo un motivo poi

polare e realistico, non dissimula


semiletteraria, questi

suoi caratteri

di

poesia

due frammenti, dei quali


il

direi impossi-

bile precisare la patria e

tempo, sono un singolare miscula

glio di lingua e di imagini popolaresche,

falcone,

il

ghiotto e mal demonio,'^

come gli occhi di donna del mio

cor sole e luna, e Dio la benedica in terra e in cielo,

con espressioni dotte e latineggianti, quali piet m' induce a riderti , tua donna m'appello , alta chiarezza e previa,

almeno proprie del formulario della si riportano le frasi mi stringie Amor, del fin cor t'amava, come servo fallace, a te tornar mi face, per te servir benigna, che d'ogni onor sei degna. Tutto ci farebbe pensare che il contrasto, quando sulla fine del Trecento o sui primi del Quattrocento
m'ardisco a scrivere , o
lirica

cortigiana, al quale

fu

fermato sulle carte nei codici napoletano e magliabechiano,


;

non fosse molto antico e certo una elaborazione, che non pu essere stata breve, sembrerebbe attestata dal metro, dove non pure abbiamo il maggior artifizio delle rime sdrucciole

e con promesse di larghi compensi,


l'aurea saetta
*

si

ohe

si

lasciasse ferire dal-

II

d'Amore. MiOLA d toriare face ; preferisco

la

lezione

del

Mo-

naci, assai migliore.


2

L'epiteto di ghiotto, pur avendo in s l'idea di un apsi

petito sensuale,
In/.,

ricollega al senso dei ghiottoni di Dante,

XXII,

15.

^6
lel

primo emistichio degli alessandrini,


si

ma

anche

il

variar

delle rime,

pia

da coppia a copsecondo questo schema, che non ha altri esempi:


delle

interne e

si

delle finali,

-|-

] b

%a
8 e
II
II

-f

T b

rf

E
E.
^

Del resto

la toscanit

manifesta

del fondo linguistico in

un elemento da tener presente, chi voglia ricercarne l'et almeno approssimativa mostr'a ciascun da pie e da cavallo , lvamiti d' innanzi, si non mora , tu mi scongiuri adosso, ben ragion, alta chiarezza sono locuzioni che hanno un certo carattere di arcaismo, non remotissimo, ma pur sempre tale che non ci impedisce di risalire a tempo anteriore a Dante, forse all'et
questi contrasti
:

guittoniana,
l'

sebbene

la

freschezza dell' ispirazione

del-

espressione rivelino neh' autore uno spirito sciolto dai lacci

della scuola e per capace di rispecchiare la sincerit del sen-

timento neir amabile disinvoltura della forma.

V.

Non un
frammezzato
^

vero contrasto,
di
la

ma un

dialogo
a

animato e

in-

parti

narrative,

quasi
di

dichiarazione

del

Contro

toscanit

del primo

questi frammenti deve

esser sembrato forse argomento al Magliabechi la coppia di rime

danzi: innanzi, che pu esser stata grafa tardiva e analogica invece di cianci : innanci ; non sufficiente ad ogni modo per giustificare il battesimo di canzone lombarda . Quanto all'altro frammento, il conio del v. 3 contradetto dai due come dei vv. 5 e 12 e quanto alle rime benigna: degna, basti ricordare che la stessa coppia di rime abbiamo in una canzone di Paganino da Serezano, secondo il vaticano 3793 (ed. D'Ancona e Com;

paretti,

voi.

I,

p.

104

(cfr.

Monaci,

33).

27
dialogo, si ha in un frammento bergamasco conservatoci il quale riprodurr secondo un atto notarile del 1340 testo datone da Vincenzo De Bartholomaeis.
^
;

in
il

Donian, a Pasqua rosata, con dona Anesa, dona bionda,

andarmene voy al Santo dona apresiata tanto.

Lasme andare, marito

fino,

a confesarme in poco col


5

meo padrino
!

Oy De

lass'a

me

dolento

se e' te g laso andare


.

forse, per aventura,

starve troppo a tornare

confessarte al preyto

Lo

losengasse,
!

elle

soe compnie se a

la

messi anasse

padrino

meo

zentile,

prestame una cappa un poco,

IO ch'e' vorria star zelato

e favelar col mercadante

Eco

la

cappa

te reco

davante

Ella cappa ch'el prendia


15 lo zelloso a la fanestra
ella

tostament

al'

indossava
;

mansueto se n'andava
:

donna siilo vide a l'andar lo figurava Ben zurave qu'ello '1 meo marito anco ye donar lo zorno mal compito! .

Lo
ch'el

zeloso a

la

fanestra

stretament incapuzato,

no tenia

ol volto

ad essa,

domandando
:

'1

so pecato.

20 Ella

donna
te

si

disiva, elio so cor


lo

Anco

dar

ridando zorno che tu ve zircando

Fu

bergamasco,

pubbl. dapprima da E. Zerbini, Note storiche sul dialetto in Atti dell'Ateneo di Bergamo, a. 1886, p. 25 e sgg.
;

LoRCK, Altbergamaskische Sprachdenkmler Halle, Niemeyer 1893 p. 89 e sgg. (cfr. A. Mussafia in Literaturblattf. german. und roman. Philologie, a. XV, p. 56, e P. E. GuarNERio in Giorn. st. lett. it., voi. XXXIII, 432-433) e finalmente con migliori cure da V. De Bartholomaeis nel voi. di Scritti vari di filologia {a Ernesto Monaci per l'a. XXV del suo insegnamento gli scolari), Roma, Forzani 1901, pp. 204-205.
poi da G. S.
,
;

28

zazi'

Volse meyo a un albergero el con un mercadanto


;

meo

che non volse a tuto el mondo peccato non te l'ascondo

Ma

dirte

voye tute

li

me

peche,

25 ch'e' sont inamorata d'un bel preyto.

Con quel preyto


perz l'amo e
s'el
ll'

e'

son zazuta
el

mille volte sot

un
!

lenzolo,
;

amante

pi ca la niatre lo fiolo

meo

marito lo savese,

morirve del dolo


;

E' tello digo, preyto, ella gran credenza ' 30 de', tenime zellata la mia penitenza
!

Certo gran peccato che


cunoso,

il

testo ci sia rimasto cosi la?

ma

le

lacune sono poi tante quante apparirebbero

Non
il

singolare
?

terzo verso
il

manchi sempre e pi singolare ancora che anche senza il


che in cinque strofe su
sette

terzo verso

senso continui spesso, legato abbastanza salinvero chi rilegga la prima strofe, tutta di se:

damente

guito, senza pensare a lacune, cosi

andarmene voy al Santo Doman, a Pasqua rosata, done apresiate tanto con dona Anesa [e] dona Blonda, lasme andare [meo] marito fino, a confesarme in poco al meo padrino
;

non avverte alcuna interruzione

logica,

si

piuttosto

un
si

diri-

scorso rapido e serrato, direi quasi concitato, in cui

specchia la sollecitudine del desiderio

un discorso che enun-

Restituisco la lezione del ms. dove non vedo

il

bisogno

di allontanarcene, cio v. 4 in poco, in breve, senza perder trop-

po tempo (De B. emenda un poco) ; 8, soe, che pur si pu difendere (De B. /oi?) 11, e favelar, dove non alcuna assurdit
;

come parve

al

De
si

B.,

che corresse

in

favelava
dirsi

qui innanzi abla

biamo una lacuna,


data alla chiesa
conosciuto,
cfr. V.

nella quale

doveva
il

che

moglie anri-

accorse che
15) e
il

marito (senza averlo ancor

prete combinavano qualche


lei

cosa e
do-

ud

il

prete dire

al

marito di

che

gli

prestava

la

propria ve;

ste sacerdotale, lo senti

dunque /avelare

col inercadante
;

19,

nia7idando (De

amante,

si

domand^ ma perch mai ?) 27, v. e ll' spiega benissimo (De B. accetta qui l'emendazione
B.
:

del Mussafia

e ll' amalo).

29
eia tre circostanze essenziali

come preludio

alla novella

an-

data alla chiesa in compagnia di due savie donne (particolare atto a dissipare
i

sospetti coniugali),
(cfr.

il

permesso chie-

stone

al

marito geloso

v.

21),

il

fine

onesto della condi risposta alla

fessione pasquale.

Seguono

le

parole del marito

ma

sono

moglie o non piuttosto una specie di soliloquio? o 1' una cosa e l'altra insieme ? A me non par dubbio che il marito
parla alla moglie,
tra s e s
^
:

ma
me
.

intercalando pensieri che esprime solo

Oy de
(forse,

lass'a

dolente

se e' te g laso andare

per aventura,
.

starve troppo a tornare)


.

a confesarte al preyto

Ma qui il senso non corre pi e il trapasso al resto un piccolo mistero, che si chiarisce ammettendo che il marito riprendesse a parlar tra s, press 'a poco cosi
; :

(Se eo lo losengasse

e se le soe

compnie a messa andasse?)


il

cio se io adescassi

prete a lasciarmi prendere

il

suo po-

sto nel confessionale, e se le


all'altare

per sentir

compagne andando invece presso messa non si accorgessero della sostituaccorda col prete che gli
si

zione di persona.^

Corre dunque
cede
la

alla chiesa, si
;

sua cappa

e l'aneddoto

viene svolgendo con tutta

naturalezza compiutamente (salvo che


nell'emistichio finale del

manca qualche parola


:

decimo verso)

1 se inte g laso andare a confesarte discorso diretto vece starava troppo a tornare equivale a starebbe (cfr. gli esempi della i^ e 3^ pers. in ave nel Mnaci 540 e 542, nessuno di 2* nel ma non escludo ve ne possano essere), non pu \ 541
;

essere che un discorso indiretto.


tiene per dette per s, nel punto di conil De B. suo disegno le parole dei vv. 8-9, spiegandole cosi Tu, moglie, vuoi andare a confessarti dal prete! Ebbene io lo lusingher mentre tu te ne andrai colle tue compagne .
2

Anche
il

cepire

30
prestame una cappa un poco, O padrino meo zentile, e favellar [con lei per gioco ?] che vorria star zelato e [lo preyto dicea] col mercadante Eco la cappa te reco davante .
:

La donna s'accorge del marito, non ostante


mento, mentre
strofe
egli
si

il

travestifi-

asside nel confessionale, presso la


;

nestretta dell'audizione

e la

confessione

incomincia

due
in

entrambe

di soli quattro versi,


;

senza la minima traccinque,


di

cia di interruzione del senso cui la confessione


si

e poi un'altra di
ci

compie. N

bisogno

supporre

lacune n di escogitare emendazioni, perch tutto pianis-

simo e
i

le

sovrabbondanze che allungano


tali

di

qualche sillaba

versi

son

che nella recitazione riuscivano facilmente

riducibili.^
Il

'favolello

'

bergamasco
strofe:
il

non

frammentario,
il

non manca
gli

di esso

nessuna
^

racconto ha

suo pieno svolgi-

mento, quanto pu aversi nella novella boccaccesca che


corrisponde
e

che anzi ne forse una derivazione.* Al pi mancherebbe qualche verso, secondo il De Bartholomaeis di modo che lo schema un solo emistichio, secondo me
;

delle strofe, contro quell a che

fu

l'abitudine

pi

costante

Basta
. . .

1.

nel

v.

17

zorjio

v.

19 togliere ch'el; 20,

1.

La

dona el cor (= nel e); 21, 1. el zorno ; 24, 1. el p. non te ascondo; 26, \, volt' ? ; 2-/ ca inatre; 28, toglier meo; 30, toglier la mia. Nel v. 16 si restituisca zura[ra'lve, i^ pres. del condizionale. Nel V. 29 ella gran credenza vuol dire nel pi gran se,

greto
2

Tableau fu

detto nel Giorn.


il

si.

leti, it.,

VII, 458

me

sia lecito italianizzare


^

titolo.

tale

Decanter?!, giorn. VII, nov. 5. L'aneddoto fondamenappare gi nella Mensa philosophica di Michele Scoto e di Teobaldo Anguilberto (s. XII-XIIIj, in una delle Novelle antiche,
nel fableau

Du

chevalier quifist la

fame confesse (Montaiglon,


;

Recuil, Paris 1877, n. XVI), nelle Cent nouvelles nouvelles, 78,

e nei nostri cinquecentisti Bandelli, Doni, Malespini

cfr.G. Rua,

Le piacevoli
^

notti di

M.

F. Straparola,

Roma

1898, p. 47.

io gli

Notevole il riscontro tra il v. 21 e le parole del Boccaccio: dar quello che egli va cercando .

31
della poesia volgare antica,

non sarebbe sempre

il

medesimo

ma due

(la

IV e

la

VII) sarebbero di tre doppii ottonari e


:

due endecasillabi, con questo schema


8 8 8
II IX

+
-f-

8 8

^ ^
^

B
B\

e nelle altre la serie dei versi doppii sarebbe limitata a due,


cosi
:

8
II
II

+ +
E
B.

8 .4
8

A
tata,

questo proposito debbo richiamare

1'

attenzione

degli

studiosi sopra

un

altro testo poetico di et assai

bene accer1'

almeno entro limiti discreti, il quale ci presenta coppiamento del doppio ottonario con l'endecasillabo

ac-

Nonn

si

strano linguaggio
;

k'om studioso
sia

et

ben saggio
i

intender[e] non poss'a tutt'uno


sia francese,
sia tedesco,

sia grecesco,

barbaresco

ma
5
il

'I

bugiardo no' intende neuno.


*

II

muto s'intende per cenni


'1

et la bestia per certi sengni,


:

volere co' la monstra s'accorda

ma
il

l)usgiardo troppo angoscioso

et fa

ciascun

uom

te;

[nebroso
volere da la mostra discorda.

Pessima compagnia

dell'uomo k'usa busgia

io[unde] David d'essere liberato ra da lingua d'inganno, per(ci) k'


contrario a cuor[e] rasgionato.-*
1

di

troppo gran danno,

Forse da leggere o barbaresco. Leggasi a centii.


Pubb. da G. Salvador in appendice alla sua monografia, d'occasione, le sequenze e i ritmi di Remigio Girolami
i

/ sermoni
In fine
ai

fiorentino nel voi. gi

cit.

di Scritti vari di filologia, p. 503.

versi scritto

dicendo

Domine

libera

animam meam

32
Questi versi sono di Remigio Girolanii fiorentino, vissuto
dal

1235

al

1319, frate domenicano

e scolaro in Parigi delil

l'Aquinate, lettore in Santa Maria Novella sin verso


poi a Parigi,
sto di lui

1285,

donde ritorn un gran numero

in patria

verso
:

il

1290

c' rimaai

di

scritti

prologi o prolusioni

corsi tenuti in quelle scuole dei religiosi

che Dante

fre-

quent nella fiorente giovinezza


ghi e tempi diversi
tini,

sermones ossiano prediche


in versi

dette nella sua chiesa e discorsi d'occasione recitati in luo;

sequentiae e rithimi,

tutti

la-

eccetto codesti pochi nei quali parafras volgarizzandolo

un

altro

suo ritmo di
Il

tre distici latini sulla

lingua del bu-

gruppo dei ritmi nel codice autografo degli scritti di fra Remigio * dopo un estratto degli atti del capitolo generale oxoniense del 1280; ma un elemento cronologico d'incerto valore, poich a quell'estratto precedono i discorsi d'occasione, che cadono tra il 1279 e il 1305 pi utile l'osservare che il ritmo sulla menzogna con la sua parafrasi volgare sta fra un ritmo composto fuor di patria
giardo."
:

{extra florem flenter dcgo), cio,

come giustamente

rilev

il il

Salvadori,

innanzi al ritorno del Girolami avvenuto verso


si

2290, e un altro ove

allude alla morte di Bonifazio Vili


ci

cosi

che

versi volgari,

che

danno un esempio

della pi sem-

plice

combinazione del doppio ottonario con l'endecasillabo


si

rientrerebbero
terarie,

nell'ambito del secolo delle nostre origini

let-

ma

restando nel suo ultimo decennio.

a labiis iniquis et a lingua dolosa et catara

or questo essendo

un versetto
a

del

Salmo CXIX,
v.

2,

ovvio che sia stato scritto qui


si

dichiarazione del

io (che

lega per

il

senso

al v. 11,

ove

ra vale prega).
i

Salvadori,

1.

cit.,

p. 503

Quot quot sunt lnguas

satis intelligere

possum

ut capiatn linguas meiidaces

me

scio grossum.

Dat natura, potest homo sensum sumere lingue omnis nomquam potest mendacis summere lingue.
;

In convivendo, grave quid nimis est


in

homo

fictus

pretendendo, raendaciter est

homo

pictus.

Biblioteca Nazionale di Firenze, Coiventi soppressi ms. G.

4)

936, gi appartenuto a Santa Maria Novella.


^

Le poese ritmiche

del Girolami meriterebbero

speciale, per le loro attinenze

con

la

uno studio metrica volgare. Esse sono


:

33

si

Questa combinazione, nel breve ritmo del Girolami, non deve considerare come il semplice alternarsi del doppio
in

ottonario e dell' endecasillabo

una

serie

indefinitamente

continuativa

poich manifesto che essa d origine a una


in

compagine
sillabi si

strofica,

quanto, se ciascun doppio ottonario


dai

indipendente per le sue rime

compagni,

gli

endeca-

legano a due a due in

modo da

costituire

con

i.

una sequenza o laude per san Pancrazio


:

(4

strofe tetrasti-

8 che, collegate a due a due dalla rima finale 8 8 y^H 8c 8c yb Se nelle altre due strofe il verso 4" ottonario

due prime di sette sillabe, ma sdrucciolo sequenza distinta in antifone, versi (ritornelli) e responsorio (mescolanza di settenarii e senarii) 3, 4, 5, versi isolati (un verso leonino sarebbe allusivo, secondo il Salvador!, all'impresa 6. tetrastico di Carlo di Valois in Firenze, ma io ne dubito) di leonini per il sepolcro di Manente; 7. ternario di leonini per 8." distico il sepolcro di lacobo Alfei, costrutto da Bonaguida
piano, mentre nelle
2.
;
; ; ;

leonino

(le

occupazioni dell'autore)
;

9.

dialogo in versi leonini

(tra l'autore e la cella)

io."

sequenza

in

morte

di Luigi

IX
;

re

di Francia

(t

1270), strofe tetrastiche di ottonari e settenari col-

legate
e.

come
;

nei serventesi, cio a. a. a. b.


ii."

b. b. b. e.

e.

e.

ritmo sulle proprie avversit (14 strofe tetrastiche, tre ottonari e un quarto verso variabile le prime io strofe
d. ecc.
; : ;

sono collegate e rimate a due a due cosi a. a. a. x., a. a. a. x le ultime quattro hanno ciascuna una propria rima nei primi tre versi, ma sono collegate a due a due per la rima del quarto
verso cosi
:

a.

a.

a.

x.,

b. b. b. x.)
2,

12."

ritmo sulla lingua men-

dace

(riferito nella

nota

tre coppie di esametri rimati,

AA, BB,

CC)
tesi,

13." ritmo sui casi dell'autore

chiamato

in corte di

Roma

(sono strofe tetrastiche di ottonari incatenate


a.

come

nei

serven-

a. a. b., b, b. b. e, e. e. e. d., ecc., ma dopo la 6.^ che finisce con nocere seguono distinti in due gruppi dei brevi versetti, quinari o quadernari, con la medesima rima piana in -ere, eccetto il verso finale che in entrambi i gruppi sdrucciolo, terminando essi rispettivamente con facere e deficere v'

strofe

un amen che segnerebbe la chiusa del componimento, se l'autore non vi avesse aggiunto un'altra strofe di tre ottonari e un senario a. a. a. b. a cui si collega per la rima e un'altra
infine
:

di quattro senarii

b.

b. e. e.
f.

13.0 14.0

15. esametri leonini (6

su

fra

Pasquale, 2 per

Vincenzo e

per

f.

Francesco)

16."

Casini, Studi di poesia antica.

3.

34
versi doppii

un vero

tetrastico,

secondo questo schema


8 a

8 a
II

-{-

8 e
II

8 e

B.

logico del

Di che troviamo una duplice conferma nello svolgimento componimento primieramente ciascuno dei distici
:

del ritmo latino parafrasato o amplificato con molta libert,

un tetrastico della redazione in volgare e poi in questa abbiamo alla fine di ogni tetrastico una forte paura del senso, mentre invece nel passaggio dalla prima alla seconda coppia
in
;

di versi

manifesta la continuit delle idee e del costrutto


infatti nella strofa
I

grammaticale:

sia francesco, sia tede-

sco ecc. l'esemplificazione di non si strano linguaggio nella II non c' distacco, ma continuit d' antitesi
; :

Il

muto

s'intende...

ma

'1

busgiardo ecc.; e nella


:

III

il

legame anche pi rigido David d' essere liberato ra da lingua d'inganno, cio Davide prega di essere liberato da lingua d'inganno.

versi sulle sei giornate della creazione (tetrastico di esametri

ri;

tmici senza rime)


18.

17."

preghiera a Cristo

(7

esametri leonini)
in
2,

19. 20."

ammaestramenti morali (rispettivamente


;

4 e

4 esametri leonini)

21. iscrizione sepolcrale di Albizzo giure2 leonini,

consulto
di

(4

esametri di cui

aA. aA. B.

B.)
;

22. lodi

23." amdottore (4 esametri leonini monorimi) maestramento (4 esametri ritmici) 24. lodi di Tommaso d' A-

Compagno

quino (16 esametri leonini)


esametri leonini distinti
in fine)
;

25." sopra

una

ferita

in

due gruppi
in
la

di 7 e 6,

ma

a un piede (13 forse mutilo

forma di epitafio sepolsan Firmino (5 28. sul paternostro di san Giuliano (2 esaesametri leonini) metri leonini) 29. ammaestramenti (7 esametri leonini) 30. iscrizione sepolcrale di frate Lorenzo da Tours (tetrastico di esa26.^ lodi di

crale (7 esametri leonini)


;

Benedetto XI, 27. per


;

festa di

metri leonini)
tra

31.0

ammaestramenti
30
(5 versi)
; ;

(6

esametri leonini); 32.

al-

redazione del
il

n.

33." altra redazione del 32

(mu-

tato

solo primo verso)

34. la

barba e

il

capro

(3

esametri

leonini).

35

VI.
Pi arcaico dall'una parte, per ci che appare dall'into-

nazione generale del linguaggio,


la

moglie infedele e

il

marito,

il contrasto o dialogo tra sebbene dall'altra parte la

forma metrica della ballata


sto cimelio

in cui si svolge

potrebbe

tratte-

nerci dal farlo risalire ad et molto remota.

Anche

di

que*

dobbiamo

il

testo

alle

cure del

De

Bartholo-

maeis, che io riprodurr con alcuni ritocchi lievissimi.

Perdona b

a l'incolpata,
el te plasir
!

[e]

prenden[e] venglanca

eo so che tu sa' che


7

meser me', s'el te piasi veco ch'ai te desplasi tego ne voy far pas[i], fo' i[n]g[annat]a odo me', s' el te plas intregamente fedel[e]mente a te voyo servir .
Perdon' a l'incolpata,
f'
;

falanca,

12

Dona, perch ^amay pensas ai falimente ? amata a tutt'el me' vivente, n in altra donna mai non mis intendiment[e] perdonanca da mi non av[e]ra[i] co a che fi t'ay tu non me pot'avir .

tu sai che t'ac'

Meser, umelamenti

ve q[uer]i perdonanca
se v' fato falanca
s'
;

per deo, no' ve recresca


be'

me

'n

creco moriri,

avet' altr' intndanca

morire certo non m'a[r] increcuto


17
se no' v'abraco a tut[o]

el

m[e'] volire

Madona, [non

te nego,]

me

conven obbedire
:

tego ne voy far pas


e de questo te prego,

po' ch'el t' al plasire


(;ama' no'

me

falre,

e se falsa fosfse toa] intendan9a,


22

perdonan[ca]

da mi non pot'avire.
di altre

Gi per

la

compagnia

rime di fattura arcaica, che


lombarda,^

questo contrasto ha nel codice di provenienza


1

Studi romanzi, a cura di E. Monaci, voi. Vili, pp. 228-229;


leti, it.,

cfr.

F. Flamini in Rassegna bibliogr. della


*

XX,

317-325.

un

codice del Parthnopeus de Blois gi appartenuto ai

36
al

quale

ne dobbiamo
di canzoni e

la

conservazione,
;

si

pensa subito a
appartiene a un
ri-

composizione molto antica

perch esso,

gruppo

ballate

che l'editore prudentissimo

collegherebbe alla produzione di Gherardo Patecchio e

Ugo

di

Perso, al Sirventes lombardesco tribuito a Sordelo, alla can-

zone

di Aulivier

sec. XIII, e forse si

ch una di

la met del anche pi su, poicodeste poesie, che risentono molto 1' influsso della

ecc.

dunque saremmo verso


risalire

potrebbe

lirica francese e

sembrano essere l'opera

di

un solo rimala

tore,^ contiene

il

lamento della pulcella per


cui

partenza delal-

l'amante, che van' in terra de Soria, en quelo via^o ,


lusione probabile alla crociata del 1204,

molti

parteci-

parono
strofe

dall'alta Italia.

singolarissimo l'adattamento della


e nel
di

mista di versi

doppii
;

endecasillabi

alla

forma
da
fatta

caratteristica della ballata

quale adattamento sono


(vv. 1-2),

osservare pi cose. Anzitutto


di

la ripresa

che

due endecasillabi, regolarmente corrispondente


11-12, 16-17,

alla volta
;

delle singole stanze (vv. 6-7,

21-22)

ma

la

prima parte d'ogni stanza che dovrebbe svolgersi in due periodi costituenti le cosi dette mutazioni di un periodo
solo,

una specie

di

fronte, ci che potrebbe

farci

pensare

a un periodo di elaborazione iniziale della ballata, non ancora il tipo strofico della canzone di danza

quando
si

fosse

Gonzaga

(cfr.

Romania, IX,

509,

XIX,

161), di scrittura della fine

del sec. XIII. Nelle ultime quattro carte erano state scritte delle

poesie che furono poi tutte raschiate, salvo

le

prime nove linee

che formano il nostro contrasto nate bianche furono scritti dieci


1

sul resto delle


altri

pergamene

tor-

componimenti.
e

Dominus lohannes IV e Vili sarebbero degli autori, a quanto mostra di credere il De B., che per un d'essi fa l'opportuno richiamo al nome Dominus Petrus ond' accompagnata nel cod. Ambrosiano R. 71 sup. una pastorella itaI

nomi

di

Dominus Petrus

scritti

rispettivamente avanti alle poesie

Bertoni, nell'ediz. del Cattz. R., Dresda 1912, prof. G. Bertoni mi assicura che nel codice parigino codesti due nomi sono scritti in modo da non potersi ritrarre con certezza l'idea che siasi voluto indicare gli autori.
lo-francese
p.
(v.

XXII).

Ma

il

37
definitivamente fermato nello sviluppo di due mutazioni.^

Lo

schema metrico

della stanza,

1'

ha gi notato
di

il

dotto editore,
;

di tre doppii settenari

monorimi e

due endecasillabi

senonch, egli continua, il secondo periodo [s'intende la volta] non monorimo ( tale solo nella terza stanza) l'ultimo verso rima sempre con la ripresa e il penultimo rimato variamente. Si avrebbe dunque questo schema
: :

per

la

ripresa

38
lezione del codice n mai in altra domia a n in altra donna

mai;
'n

nella 3^

il

guasto pi profondo, n io oserei


(v.

mutar
:

troppo per ottenerla


creco moriri)
;

13

Meser, umelame?iti ;

v. 15

be'

me
te

e nella 4^

uno dei pi spontanei comple(v.

menti della lacuna nego; 20: prego).

iniziale la ristabilirebbe

18:

non

Venendo
riodo

alla volta, se

non senza esempi

la

mancanza
il

di collegamento per

rima del primo verso di essa con

pe-

precedente,

sarebbe stranamente anormale che esso

primo verso restasse senza corrispondenza col resto, cosi campato a mezz'aria prima del verso finale, che, come noto, deve in ogni stanza ripetere la rima di chiusa della ripresa. A evitare questa stranezza occorre opportunamente la rima
interna dell' ultimo verso, nella quale riecheggiano
finali del
i

suoni

verso antecedente
:

nella i^

st.

ci dato senz'al-

(w. 6, 7 intregamente: fedel\e\mente), e cosi anche nella 2^ (vv. 11, 12 avr av[e]ra[i]: ay) ma nell'altre due stanze la cosa pi oscura. L'editore d il v. 16 cosi: certo non m' increto morire^ mancante almeno di una sillaba; ma avverte, con diligenza che ci riesce preziosa, che sopra increto si scorge come un /. ora, pur senza la
tro dal codice
:

possibilit di ridare un'occhiata al manoscritto, a


cito pensare
al

me

sia le-

che vi

si

scorga
la

come un
ci
:

ut

che ricollocato

suo posto per integrar


al

parola

dar

incre([zit]o, e

con

questo un endecasillabo perfetto


crefuto
;

ynoi'ire certo

quale facile trovare


:

la

non m' incorrispondenza della rima


tzit[o]

interna in quello che segue


volire.

se no' v'abrago a
facili
;

el m[e']
:

Quanto

all'

ultima strofa,

pronte a ristabilire la rima interna


falfa fes intejidhnent perdonali da

il

emendazioni occorrono manoscritto ha e se


potavire
;

mi

71071

dove

in-

tanto ovvia la restituzione,

gi

fatta

dall'editore, del se-

condo verso:
corrispondere

pe7'do7ian\Q\

da

7ni 7io?i

pot'avire;

ma

nel pre-

cedente manca certo qualcosa e


il

al

femminile falga non pu

maschile

inte7id7nent,

mentre mi poi so-

spetto quel fes di seconda persona singolare,! che potrebbe


i Non dimentico il fesse di i* pers. nel Serveiitese dei Geremi e Lomb., v. 184, n il fes di 3^ dal Patecchio, che ha anche la forma intiera /<?.f^^ Q.'aX.' fecisset), cfr. Monaci, \ 523: ma

39

anche essere un fosse (perch 1' intenzione o si ha, ma non avrebbbe a riconsi che tutto considerato il verso si si fa) oppure fos\se toa\ j\ag\es se e falca forma questa a durre intendanQa; perch 1' uomo che nell'atto di perdonare raccomanda alla donna di non tradirlo pi, (ja' mai no' me
:

falire! ,

pur nel

mente il dubbio che ella abbia chieder perdono una fal^a intendan(;a, la nuova
e gli passa per la

intenzione di tradirlo ancora. Cosi adunque va rappresentato, s'io non m'inganno, lo

schema

di questo

contrasto

per la ripresa
stanze

II

II

X
a
-{-

per

le

7 7 7

j b

+ 7 + 7b
r
yX.

II II

Resterebbe a osservare la lieve divergenza tra la volta e interna, non mi pare la ripresa, ma, consistendo in una rima sia senza esempi;^ non anche credo che abbia gran peso, e dialogo dell' incol analogia certa una e a ricordare che
colpata

presenta

anche

una

famosa

poesia

dialogico-narnella

rativa bolognese, quella delle comari

bevitrici,

quale

per del bodi una simile forma di 2^ pers. non ho esempi lognese odierno e in generale dei dialetti emiliani, ma nelle partipo il late urbane: nella campagna, ove meglio mantenuto
;

arcaico,

si

dice ancora fazs


i""

(cfr.

il

fezisse 2^ pers. in Bonv. da


in

Riva, fecesse di
p.

pers.

in

Guido Fava,

Monaci,

Cresi.,

534, VII, 2).


1

Potremmo anche

essere davanti al caso di un'assonanza per


;

del v. i oppure cui venglanga del v. 3 rispondesse a incolpata parole ripetute a le con integrarsi a una lezione incompleta, da
principio della
st.
I
;

nel qual caso, che forse dei

due

il

pi

probabile, la ripresa dovrebbe essere:


Perdon'a
1'

incolpata [soa falan^a],

[e] prendeti[e]

venglanca

al to plasire

40
gi
il

Carducci

rilev l'adattamento della strofe tetrastica

d'alessandrini

allo

schema

della

ballata:

analogia che
la

si

estende anche ad
di

altri particolari metrici,

come

rispondenza
emistichi

rima o

di assonanza,
i*'

sebbene saltuaria,

tra gli

liniziali

del

e 3" verso d'ogni stanza.

VII.

Alle composizioni

lirico-dialogiche, nelle

quali

abbiamo

riconosciuto la forma strofca composita di versi doppii e di


endecasillabi, sarebbe, secondo Ernesto Monaci, 2 da aggiun-

gere qualche esempio offertoci dalla

lirica cortigiana siculos.

-provenzaleggiante della prima met del

XIII, e particoII

armente

la

peratore, 3

canzone assegnata dai codici a Federico che comincia:


tti

im-

Poi che

piace, amore,

eh' eo deggia trovare

vegna a compimento, Dato aggio lo mio core su voi, madonna, amare e tutta mia speranca in vostro piacimento. E non mi partiraggio da voi, donna valente, ch'eo v'amo dolcemente,
eh' io

farnne mia possanca

e piace a voi ch'eo aggia intendimento.

Valimento mi date, donna che lo mio core adesso a voi

fina,
s'

inchina.

il

Tutto induce a credere che siffatta testura di versi, nota Monaci, lungi dall'essere una particolarit del contrasto

[la

Rosa fresca],
anche

fosse

invece una

nella primitiva letteratura del popolo.


sentire

maniera assai comune La sua influenza si fa

in talune delle pi antiche produzioni auliche

dei trovatori del ciclo svevo.

qui invero la strofa diventa


si

pi elaborata, gl'intrecci delle rime

moltiplicano, e l'ar-

monia va modificandosi merc


1

la

spezzatura dell' alessan-

Intorno ad alcune rime dei


Rivista di filologia rom.

s.

XIII
115.

XIV ;

Imola, Galeati,

1876, p. 81, e ora in Opere, voi. XVIII.


*

II,

Cod. Chigiano L. VIII, 305.

4
drino ed anche dell'endecasillabo colla rima pertanto sotto ai nuovi artifizi cortigianeschi
al
il

mezzo.

Non

vecchio tipo

La stanza della canzone frederisi ravvisa chiaramente . ciana sarebbe dunque da rappresentare schematicamente cosi
:

-\-

-]

7 e -^ 7 d
7

-i-

7 b

7C
7

+ 7d
7e

+
F

7 e
II II II

fG
G.

se pur qui si volesse dubitare, continua il Monaci, prima parte della strofa sia di settenari e non di alessandrini, si ponga mente al v. 5. Diviso questo in due settenari, il primo di essi in tutte le strofe sarebbe senza rima

Che

che

la

che non di leggieri ammissibile in un componimento di questa specie. Del resto questi raffronti potrebbero essere
il

estesi assai pi,

ma

ci cadr pi
il

opportuno

in

altro

mo-

mento. Non so che

Monaci abbia avuto


questione
il
;

l'occasione di
il

ritornare di proposito sulla

ma

Biadene, che

se ne occupato studiando
principali della stanza per
italiana dei secoli XIII e

collegamento delle due parti


della

mezzo

rima nella canzone


verso

XIV ,^ ha

cercato di togliere vail

lore all'opinione del

Monaci facendo osservare che


il

senza rima non di rado un endecasillabo,

quale non pu

quindi accostarsi ad un altro per formare l'alessandrino, e

che

casi in cui

vrebbe computarsi come


steriori all'epoca
festo,

un verso breve, per esser senza rima, doprimo emistichio di un verso il

doppio, sono per lo pi in canzoni di rimatori fiorentini po-

sveva: due considerazioni,

di scarsa efficacia.
il

La prima
i

infatti

come manipu valere a reda rima


fos-

stringere

numero

degli esempi,

non a

escluderli del tutto,

nel senso che in nessun caso


i

versi brevi sciolti

Nel

cit.

voi. di

Studi vari di filologia, pp. 21-36.

42
sero
tali

solo apparentemente n mai potessero essere la prima

parte di un verso doppio: intanto l'esempio della canzone di

Federico di per s tanto pi convincente in quanto appartiene a

uno schema, ove

il

verso doppio con un' unica parola

rimata preceduto da otto versi brevi che possono benissimo

raggrupparsi in un tetrastico di alessandrini con rime interne

ed esterne.

Vili.
tipo che

Il

veniamo studiando
latini

formato di poemetti didascalici,


parafrasi di
testi

d'un altro gruppo sembrano essere e appartenenti all' Italia centrale o


proprio

che

tutti

meridionale.
Anzitutto ricorder la parafrasi
moribits,
i

rimata dei Disticha de


e in
nel

quali nelle tante redazioni italiane, in versi


il

prosa, assunsero

titolo di libro di

Calo}

corpo del poemetto, se ne dichiara autore del quale il Monaci, identificandolo con Catenaccio Catenacci cavaliere di Anagni,

Due volte, Catenaccio,

ha rintracciate sicure
"
;

notizie che ne pon-

gono il fiorire nel tempo di Dante noi la conosciamo specialmente nel testo gi pubblicato da un codice napoletano del secolo XIV, ^ ma ve ne sono altri, quello del codice Trivul^

Per

le

redazioni in prosa

cfr.

E.

Monaci, Crestomazia,

p.

133 e sgg. 2 E. Monaci, nei Rendiconti della

r.

Accademia dei Lincei,

5* serie, voi. VIII (1899) p. 245 e segg. Catenaccio de Catenacci anagnino fu vicario del podest in Todi nel 1283, podest di Foligno per re Roberto nel 13 io e podest di Orvieto
nel

1314 suo fratello Gua rnaccione, cui indirizzato il poemetto del Calo, viveva ancora nel 1325. 3 il cod. V. C. 27 della Bibl. nazionale, in cui il poemetto, scritto da due mani, occupa le e. 154^-185^, cfr. Miola, nel Pro:

pugnatore, voi.
codice
si

cit.,

p. 318 e segg.

il

quale dice che a

e.

386^ del

ha, di
:

mano

posteriore alla scrittura di esso,


il
il

datata del 1386


s.

dunque XIV. Di sopra questo

codice pu risalire alla Miola pubblic il poemetto,


pp. 320-345.

una nota met del


in

155

stanze, nel Propugnatore,

ivi,

43
ziano 795, pur esso del secolo XIV/ e quelli di due stampe rarissime del s. XV, l'una di Napoli per Arnaldo de Bruxella- e l'altra di Roma ritenuta del tipografo Schurener de
Bopardia.'^

Le

relazioni fra questi testi


;

studiate n quindi sono precisate


di

tutti

forma attribuiscono

il

poemetto

al

non sono ancora state per con variazioni Catenacci,* tutti sono
:

in strofe di quattro alessandrini e

due endecasillabi ma n in tutti la formazione del verso doppio segue la stessa legge n la parafrasi identica, che anzi vi sono delle divergenze assai sensibili. La i^ stanza suona nel codice napoletano
:

cosi

perch
io

Per fare un'operecta la ruca gente


faccio pr[o]emio

venuto m'
allu

in talentu,
;

n'agia doctrinamintu

non cha de

Lu

dire parole in vanu Catu, che de granne dottrina plinu,


;

come[n]camintu me non in placemintu.

translataragio in vulgare latina

A. T. Villa, Addizioni

e correzioni' a\V

Arg-elati, Biblio-

teca dei volgarizzatori, Milano 1767, voi. V, p. 442; G.

Porro,

Trivulziana; Torino 1884, p. 65. 2 Sulla fede del De Licteriis, Bibl. Neapol., voi. I, p. 169 registrata dal Brunet, Manuel, I, 1673 e dal Graesse, Trsor, II, 83; l'ha descritta E. Percopo, / bagni di Pozzuoli,
Calai, dei codd. mss. della
p. 36, nota, suir vmico
7, 8)

esemplare conosciuto (mancante delle

e. i,

della Bibl. Nazionale di Napoli.

3 descritta dall' Hayn, Rep. bibl., I, 75 n. 4750 e dal Brunet, I, 1673 sino a qualche tempo fa non se ne conosceva alcun esemplare ma il Monaci, che sopra questa edizione richiam
: ;

l'attenzione degli studiosi nel

cit.

voi.

dei

Rendiconti,

p.

248,

ne ha rintracciato uno nella collezione D'Elei della R. BibUoteca


Laurenziana. * Cod. napoletano;
gete et ascoltate.
:

st.

154:

Bui che queste sententie


in

le-

Caio

io

Catenacu

vulgare trovate;

Cod. trivulziano Incipit liber Catonis in vulgaristas rismas translati a domino Catenacio de Campania milite; e nella st. 154:

eo Catenaczo aio in vulgar tornate


:

ediz.

napoletana

Ca-

tenaczo; ediz. romana

Catelluzio nel titolo.

44
e nel trivulziano cosi
:

De
et

fare
la

una operecta
ruzca gente

venutu m' talentu


'd'aia doctriname^^tu
;

perch

non

fo

grande prohemio

a lo

cowmenchamewtu

me no' in placime?itu. cha dire parole inutile Lu Cato, ch' de gran doctrina plino, translateraiu per vulgare' latino.
Nella stampa romana
^
:

[D]e fare una operetta per che la grossa gente et non fo gran principio

venuto m' talento,


dia doctrinamento,
allo

comenzamento

non m' in piacimento. ca dir parole senza utile Lo Catho, ch' grande doctrina pino,
tranlateragio per vulgare latino.

Pi gravi differenze intercedono da un testo a un altro


nel corpo del

poemetto

vi

sono delle lacune e delle aggiunte

e delle varianti di redazione,

come

nel caso della


:

st.

145 del

codice napoletano

che del tenore seguente

che tou amicu scia, Se tu con alcunu intnnite ma lu ama tuctavia ma' per non splacereli, poi lo mecta in oblivia, anche issu, per tempora, la a[n]tiqua compag[n]ia tu stessu recorda[te]
;
:

porta ad tou amicu firmu be' volere,

ponamo che

illu falla

al

sou devere.

La

i^

stanza di questa stampa gi irreperibile riferita dal-

l'

Hayn
2

della prima carta,

Monaci, 1. cit. La stampa napoletana, mancante non reca la i^ stanza. Alcune ha notate il Percopo, loc. cit. p. es. la stampa
e dal
;

napoletana manca delle strofe 154 e 155 del codice napoletano e ha in pi una strofa dopo quella che corrisponde all'S^ del
fronto test fatto da

codice stesso. Pi altre cospicue difterenze ho notate in un rafme tra il testo edito dal Miola e quello
del codice trivulziano, che ho potuto consultare per cortesia squisita del bibliotecario

E, Motta.

45
Invece nel codice trivulziano suona
:

Se averay longo tepu per alcuno suo defectu


tosto noi dessamari?

lo to

amicu servata,
;

no'

li

dar^ comeatu

costume mutatu, lo antiq?<o amor^ eh ' ma tucte bore te recordi porta a lo to amicu firmo ben volere,
se

statu

ponamo

ch'aya falluto a so dever?.

nella

stampa napoletana

lo to amico servato, non li dare comeato se costume ha mutato, l'antico amore che stato ma tutte hore ti recorde porta a to amico firmo ben volere,

Se haveray longo tempo

per alcuno suo defecto tosto non lo disamare

ponamo

c'hagia falluto

al

suo devere.

Non

oso di affrontare

la difficile

questione dei rapporti fra


;

vari testi del poemetto di Catenaccio

e pur potendoli avere

tutti

e quattro sott'occho, ora che sono accessibili agli stu-

diosi, me ne asterrei in omaggio al dotto uomo, dal quale ne aspettiamo con desiderio l'edizione critica. ^ Ma debbo per la necessit dell'argomento accennare che la compagine metrica oscilla dall' un testo all'altro quanto all' uso dello sdrucciolo nel primo emistichio dell'alessandrino, avendo per altro, comune in tutti, la mancanza della rima interna. Noi dunque abbiamo nella fronte

il

tipo

-\-

8 -^ 7 8 -^ 7 8

+
+
-r-

oppure

il

tipo

7 7 7 7

-^ 7
7

- 7
7

A A A A A A A

A;

1 Ernesto Monaci, dal quale, ora ch'egli ha trovato un esemplare dell'edizione romana, gli studiosi aspettano con pi vivo desiderio il vagheggiato testo critico del Catone rimato.

46
e anche quello che direi intermedio
1 7
9>
:

-\-

1
7

S
la

+ + +

7
7

A A A
A;
BB.

chiusa per sempre di due endecasillabi piani rimati

Questa variet nulla detrae al carattere generale del ritmo, perch si resta pur sempre nell'ambito della fronte tetrastica
di alessandrini

monorimi

ma

induce

il

facile sospetto

che
per

l'opera di Catenaccio fosse rimaneggiata posteriormente o che


egli
la
si

rimaneggiasse un poemetto preesistente


ipotesi,

io starei

prima

non tanto perch anche


il

nel testo primitivo

sarebbe insinuato
testi delle

nome

del rimaneggiatore (che con-

trario del tutto alla logica delle cose),

ma

specialmente per-

due stampe, che ormeggiano entrambe il trivulziano, hanno un aspetto di maggior correttezza linguistica, pi quello della napoletana che della romana, e appariscono come il risultato di un lavoro di ripulitura della
i

ch

lingua e dello
tali,

stile,

l'una e l'altro

meno

rozzi,

meno

dialetl
lati-

anzi a

dirittura letterari, tanto

da esser qua e

neggianti.

IX.

sdrucciolo,

Al primo tipo della fronte, quello dal primo emistichia si conformano i due poemetti medicali, che, sebci

bene

siano

stati
s.

conservati esclusivamente da
esservi

un codice
dubbio che

napoletano del

XIV, i sembra non possa

il

codice XIII, G. 37 della R. Bibl. nazionale di Napoli,

membranaceo (m. o, 31 0,16), di e. 69, ma scritto di due mani, l'una di amanuense napoletano nelle e. 1^-49^ contenenti il poemetto Balneorum Putheoli, e l'altra di amanuense frannitatis.
e. 51^-69^ contenenti il Regitnen saDel primo poemetto si citano altri codici uno della Biblioteca Angelica (P. Paciaudi, De sacris chrst. balneis, p. 51 : codex Angelicus habet versionem italicam a viro neapolitana
:

cese dell'et angioina nelle

47

debbano appartenere

al secolo

precedente.

Entrambi questi

poemetti sono formati di strofe costituite di quattro settenari!


doppii, col primo emistichio per lo pi sdrucciolo,^ e di

due

endecasillabi piani, cio con questo


S

schema

^
n-

7 7 7 7

^ -^
S

8 -^
II

A A A A

B
B.
Piitheoli, a

II
Il

poemetto volgare dei Balneorum


dalle

conto

lacune dell'unico
strofe,

apografo,

doveva,

non tener sembra,

comprendere iii

cio 1-3 del proemio, 4-108 corri-

spondenti a tre strofe per ciascuno dei 35 epigrammi latini-

vernaculo idiomate incompteque


testo latino di 18
;

exaratam

),

trova pi, se non fu scambiato col cod. V.

2.

11

epigrammi

(cfr.

Bethmann

in

che ora non si contenente il Pertz, Archiv,

e forse uno, pure irreperibile, gi della biblioteca XII, 379) del can. Rossi, poi passato alla biblioteca di Propaganda fide,

che sarebbe stato del s. XIII, e oltre il testo latino avrebbe contenuto anche la redazione volgare ( altitalienischer Bearbeitung desselben Gedichts , dice il Bethmann, ivi), che non detto se fosse in rima o in prosa. Del secondo poemetto si ha un secondo testo, mancante
dei vv. 505-672, nel codice

XIV. G.
s.

11.

della stessa Bibl. na-

zionale di Napoli, che appartiene al

importanza per

la critica del testo,

e non ha che scarsa essendo manifestamente stato

XV

rimaneggiato o rammodernato dal copista. ^ Potrei dire sempre sdrucciolo , perch quando
ci

il

codice

d una parola piana in fine del primo emistichio, la restituzione della forma sdrucciola assai ovvia. 2 Cfr. A. Huillard-Brholles in Mmoires de la Socit des antiquaires de France voi. XXI, Parigi 1852, che identific l'autore con quello del Liber ad honorem Augusti (vedasi ora la ediz. di E. Rota, in Muratori, RR. IL SS. tom. XXXI, parte I, Citt
,

di Castello, Lapi,

1906).

La
xella,

i^ ediz. del

1475,

poemetto de Bahieis, Napoli, Arnaldo de Bru"O" ha che 18 epigrammi, attribuiti a Eustasio da

48
del carme De balneis puteolanis composto da Pietro Ansolino da Eboli, descriventi altrettanti bagni ^ dei dintorni di Na-

Venezia, Giunti, 1507

una edizione di ove si avrebbero 35 epigrammi sotto il nome di Eustasio mentre gli stessi furono poi dati come di Alcalino siculo in De Balneis omMatera
;

pi vicina

all'

integrit del testo sarebbe

cit.

dal Paciaudi, de Balneis, p. 49,


;

nia quae extant, Venezia, Giunti,

1553, e. 202^ -20S''.

Un

testo

ri-

G. C. Capaccio, Balneormn quae Neapolis, Puteolis, Baiis, Pithecusis extant virtutes ; Napoli 1604 (traduz. ital., G. C. Capaccio, Vera antiquit di Fazzuolo ; Roma 1652, p. 327esgg.), e in Grevio, Thesaurus tom. IX, parte IV. Fu annunziata anni sono una edizione critica a cura di di A. Goldmann di Vienna, ma non so che sia uscita. * L'ordine dei bagni descritti non il medesimo nel carme

maneggiato degli epigrammi

in

di Pietro

come

si

da Eboli, nel poemetto volgare e nel trattato vede dalla seguente tavola comparativa:

in

prosa

49
poli,

e 109-111 di conclusione:
19-21,

10-12,

mancano ora le strofe 7-9, che comprendevano la descrizione dei bagni


si

della Solfatara, della Bolla, e di Fuorigrotta, la quale con un

po' di

buon volere

potrebbe ricostruire, per


Ili,

il

contenuto,

sui corrispondenti capitoli

V
Il

VII del trattato Dei bagni


prosa, anch'essa
antica,

di Pozzuoli et Ischia, dei carmi di Pietro

riduzione in

da Eboli. ^
:

poemetto adunque originaria-

mente constava di 666 versi ~ dell'autore nulla ci dice il proemio (vv. 1-18), salvo che egli si attiene alla scriptura cio al testo latino, nel quale ha piena fede, eo credo lo so' dire nulla ce ne dicono le strofe in cui il nostro rimatore venne parafrasando e diluendo, spesso con ripetizioni e con zeppe, i brevi epigrammi di Pietro da Eboli, sebbene, come not
;

23.

Imperatoris quod Sol


et

23.

De

Ferris

(lat.
'

18)

23.

Arco

Luna

dicilur

24.

Arculus

24. Silviaiia (lat.

19)

24.

Palumbara

(po'

dicto de

Sancta Lucia)
25. 26.
27. 28. 29.

Gimborosus

25. Tritalo (lat. 20)


26.

25. 26. 27.


17)

San lorgio
Oglio
Bracola
Sole et

Culma
Petroleum

Pugillo

(lai.

21)

27.
28. 29.

Culma

(lat.

26)
(lat.

Spelunca Succellarium

Palumhara
Sole et

28.
29.

Luna

Sancto Georgi

(lat. 22)
(lat. 23)

30. Bractula 31.

30.

Luna

30.
31.

Fons Episcopi

31.

Fontana Episcopi

Fonte de lo Episcopo Ginmoroso Spelonga


Nastasia (complemenII).

3i.i''5S.

to del n.
32.
33.

Orthodonicum
Sanctae Luciae

32.

Braccula

(lat. 30)
(lat. 25)

32.

Scrofa

33. 34. 35.

Gimboroso
Spelunca
Petroleo

33. S.

34. 35.

Scrupha
Sanctae Crucis

(lat.
(lat.

28)

34.

Lucia Croce

27)

35. Soccellaro
36. 37.

Ortodonico

Fontana

marina de dove se dice Tre Colonne' (vedi Can'a la

Peczulo

tariello).
i

II

poemetto volgare

fu

pubblicato da E. Percopo, con sostorico


ivi

bria e sicura dottrina


tmte, voi. in prosa,

n^W Archivio
pp. 596-750
s.
:

per
il

le

prov. napole-

XI

(1887),

stesso anche la riduzione lavoro del Percopo

da pi codd. del

XV.
s.

Io cito

dalla tiratura a parte di soli 100 esemplari, col titolo

Pozzuoli, poemetto napoletano del


appcidici e lessico ; Napoli,
"2

/ bagni di XIV, con introduzione note,


,

Furchheim, 1887,
vv. 37-72,

in-8", di

pp. 163.

Ora

612,

mancando

109-126.

Casini, Studi di poesia antica.

50
gi
il

Percopo.i avuto riguardo alla propriet ed alla sicura

padronanza dei termini scientifici ch'egli usa, ed alle non poche n inutili n errate aggiunzioni che fa al suo testo latino,

su l'uso e l'igiene de' bagni,


d'errare,

si
il

pu

dirlo,

senza

ti-

more

un medico, come

forse

suo collega del Re-

gimen sanitatis^. Un po' pi di luce, circa l'autore del volgarizzamento, sembrerebbe uscire dall'epilogo (vv. 649-666),
che
egli sostitu

all'epigramma
II

finale di Pietro
:

contenente

la

dedica a Federico

imperatore

il

volgarizzatore invece,

che non aveva, a quanto pare, a cui dedicare la propria fatica, la concluse con una specie di congedo encomiastico alla citt di Napoli, patria mirifica, protestandosi di avere
voluto, allo onor vostro, Napole, descrivere le virt dei

trentacinque bagni,

com

trovai per lectera, cussi volgari-

^ate, e di augurarsi perci la gratitudine dei


tadini
:

suoi concit-

Placciave, Napolitan, rengraciare


chillo

che

scripsi et chi Ilo fece fare

Quello

che scrisse

si

pu intendere tanto

di

Pietro

da
;

Eboli, l'autore del testo latino, quanto del

volgarizzatore
le

ma
si

chi lo fece fare a


e l'abitudine del

me

par chiaro che, date

idee del

tempo
cetti.^

rimatore alle espressioni generiche,


a Dio, inspiratore di questi pre-

abbia da intendere

riferito

la

sua personalit scompare anche


il

Di s insomma l'autore del poemetto non ci dice nulla l dove egli sembra ridiscorso
:

volgere

ai

suoi lettori. Vi sono delle espressioni

come queste

Ora te voglio dicere (v. 22) Ancora te significo (v. 31) fussi, no' Se dubite che tisico
Per, frate, consigliote (v. 175) Secundo che me siti caro amico

stare fora (v. 172)

(v.

204)

Et tu, misero idropico (v. 279) Per bono amore te consiglio et dico (v. 449) se vuo' che ben t'agiute Consglio, spisso culilo,
1

(v, 645),

Ivi,

p.

34-

2 Si cfr.

de Regimine sanitatis, vv. 1-18.

..

51
nelle quali parrebbe far capolino la figura del

medico amodi

revolmente consulente,
le stesse espressioni

perch non v' traccia


;

discorso

diretto nei corrispondenti versi del testo latino


in altri casi

ma

viceversa
frasi

prendono

lo

spunto da

del maestro

da Eboli

come
(v.

Adunque

tucte pregove

147).

Vos
,

igitur

quibus ecc.

Uno

consiglio donote ecc. (v. 285).

Dunqua

incurras ecc. consiglio donote corno a caro amico (v. 391). Con.
.

Ne tamen
[sulo

ne dubites ecc.
consulimus.
.

tucti.

do per consiglio

(v.

349).

Ists

Adunqua
Ancor

voi, sterile, venite (v. 443)..


.

Vos

igitur sterles...
.

te voglio dicere (v. 494).


. .

Rem

Una

cosa dirragote.

se

me

la

crederai (v. 517).

loquimur certam. Crede


.

[mihi.

Per bon consiglio dicove, vui che prelati

siti (v.

571).

Pon.

[tifices,

fontem perquirite.
il

Persino in quei passi, che sono parecchi, dove


tore

rima-

sembra parlare per esperienza propria, come


che
si

di chi ab-

bia fatto osservazioni dirette sulla pratica dei bagni di Pozzuoli, tanto

potrebbe sospettare ch'ei


accorrenti
a

vi fosse vissuto

addetto alla cura dei malati

quelle salutifere
:

acque, non abbiamo invece che l'eco del carme latino

Et eo medesmo

vidilo (v. 284).


(v.
. .

Proprio
.

quam lumine
.
.

vidi.

Viditu agio multi homini


.
.

301)..

Vidi quamplures.

Uno eh' io vidi. (v. 353). Eo vidi in unu infermu ecc.


In chillo bagno vidi ecc.
In chisto

Et vidi quendam.
369).
. . .

(v.

Hoc lavacrum
Res miranda
.

vidi...
. .

(v.

455),

satis.

[horrendaque visu.

anno ce vide una

virtute (v. 485).

Quod
535).
.
.

proprio

[vidi

lumine testor ego

Uno grande

miraculo ancor te diceragio ecc.

(v.

Hoc

[bene contestor, quidam ecc.

Anzi

si

va anche pi in
si

che in qualche caso dove

Pietro da Eboli

riporta alla esperienza propria,

Quamplures
in

vidi calidam potare petrosos quibus urina post lapidosa fuit.

52
il

rimatore

si

contenta di enunciare
:

la virt

dell'acqua senza

alcuna idea di pratica personale

Chi beve de quest'acqua con gran voglia multe pretelle pissan senca doglia (vv. 155-156).
Rilevare questo carattere di opera
tiva,

assolutamente obbiet-

senza alcuna impronta di personalit propria da parte

del volgarizzatore,

mi

sembrato opportuno come indizio


volgare dei carmi di

non

trascurabile che

la versificazione

da portare ad epoca molto pi bassa di quella in cui il poemetto latino ebbe la sua maggiore divulgazione. Durante la vita di Federico II non credo che siasi mai pensato a tradurre ci che era stato dedicato nell'originale alla imperiale maest dello Svevo: il saluto del proemio e la dedica finale non sarebbero, assai probabilmente, state omesse dal traduttore ma tra il 1250, quando
Pietro da Eboli
sia
;

non

Federico

II

era morto, e

il

1266, allorch ascese

al

trono del

Regno l'angioino Carlo I, pot bene il volgarizzatore intralasciare qualsiasi omaggio ai successori dell' imperatore, lontani dalla capitale, di

autorit o legittimit disconosciuta o


il

discussa, e sostituirvi
in quel

saluto alla Napoli nobilissima, ove


si

breve periodo, all'ombra del patronato pontificio,


di vita e di istituzioni

venne svolgendo un simulacro


cipali indipendenti dalla

munilo

dinastia

sveva.

Il

Percopo, che a
si

questo poemetto volgare ha consacrato cure

diligenti,

vorrebbe

far

discendere

al

secolo XIV, e lo crede composto

su per
di

gi, ne' trentatr anni del pacifico e florido


,

regno

Roberto d'Angi
si

perch la Napoli, quale


citt

ci

appare nelle
allegra,

ultime strofe dei Bagni, una

tranquilla ed

che
al

gode

al sole,

mare,

ma

un pare grecamente
sotto

cielo

sempre

di zaffiro, in riva

florida d'arti e di

commerci

.i

di Federico

una Napoli, parrebbe quasi, quale sorrise allo spirito fantastico Amiel Ma, se il mio buon amico me lo consenta, trovo nulla di tutto ci nell'epilogo del poemetto medinon
!

cale.

Si piuttosto vi

un'eco di vita cavalleresca e di

indi-

pendenza municipale: citate altera e gran cavallaria,


*

Loc.

cit.,

p.

34.

53
lungi cosi dalla ferrea austerit dell' imperialismo fredericiano

come

dall'insolenza sguaiata della signoria franco-angioina.


in

So bene che
l'et cui

casi

come

questi,

mancando
si

quelle prove

interne o esterne che valgano a

fermare con ogni certezza

appartiene un'opera letteraria, nulla

pu asseverare

ma

gli indizi di

arcaismo della lingua, del metro, delle


i

for-

mule
gerlo

e persino

titoli

latini
:

del
si

poemetto e delle sue


che par lecito
il

ru-

briche,
al

non sono

trascurabili

risospin-

secolo XIII.

X.
Adolfo Mussafia pubblic nel 1884,1 magistralmente
strato
illu-

nel rispetto filologico, l'altro


il

testo antico napoletano

di molta importanza,

liberde regimine sanitatis ;'^ che in [12

strofe di sei versi ciascuna svolge in

forma popolare

le

no-

zioni di igiene pratica correnti nel medioevo.

Dopo

aver invo-

cato in un breve premio l'aiuto divino (vv. 1-12) l'autore


nifestala sua intenzione di scrivere
degli uomini, che

non sanno

il

maun dicto a vantaggio latino, che no so' lecterate,


sanit
la
;

perch possano conservare


volgare lo decto
,

la lor

al

qual fine far in

ma

attingendo

materia dagli autori (vv. 13-24).

che a

lui

sono

testi e

buon defendituri
potu

Espone
:

quindi l'ordine della materia distribuendola in


l'airo
<v
;

sei parti

del-

de

cibarli et

de sonno

de vigilie;
;

de reposare e movere
coitu e bagnare
;

de
36).

e rinnovata l'invocazione a

medicina e vomico e sagnia Dio di aver

la grazia

de ben volgarigare, entra nell'argomento (vv. 25Lo svolgimento della materia conforme alla proposta:
infatti l'autore

comincia

con un'ampia trattazione nella

i^ parte

MittheiliDigen aus ronanischen Handsciviften,


I.

von A. Mus-

safia,

Ein altneapolitanisches Regiiien sanitatis

in Sitzimgsbe-

richte der philosophisch-hstorischen Classe der k.

Akademie der

Wissenschaften,
(fase,
^

Wien

1884, bei C. Gerold, voi,

CVI, pp. 507-626

pubbl.
Il

il

17 luglio).

titolo

x\iV incipit, e

si

ripete w^Wexplicit.

54
intorno all'aria considerata
vita,

come l'elemento
;

essenziale

alla

in rapporto al

corpo umano,

alle condizioni
la

meteoriche,
2^,

alle quattro stagioni

dell'anno (vv. 37-150)


ai cibi e alle

pi lunga, consacrata

bevande,

gli uni

che la enuvolatili

merati e distinti in vegetali e animali (quadrupedi,

e pesci) e le altre nelle varie qualit di vino (vv. 151-510),

aggiuntavi una digressione sui consigli salutari mandati da


Aristotele ad Alessandro
serie di

Magno (vv. 511-588) e una breve ammaestramenti per evitare i mali cronici (vv. 589-624) delle rimanenti parti quella intorno al sonno e alla veglia si compenetra con le norme del riposo e del moto in una rapidis;

sima trattazione

(vv. 625-654),

che

si

restringe ancor pi nella

5^ parte, del coito (vv. 655-666), e nella 6^,

che
il

tratta solo

del cavar sangue (vv. 667-672),


stato

omettendo

resto che era


si

promesso. La sproporzione

tra le parti evidente:

direbbe quasi che l'autore, a un certo punto, dopo


sione aristotelica, abbia sentito
la

la digres-

stanchezza dell'opera proil

pria e temuto che la noia inducesse

lettore a gittar via

il

quaderno

si

che

di proposito
finire.^

siasi afifrettato a

una conclu-

sione qualsiasi pur di

Questa sproporzione
zio

tra le parti notabile,

come

indi-

che

il

vulgaricare della protasi

non

si

abbia a inten-

dere alla lettera, nel senso cio che T ignoto rimatore venisse traducendo e versificando un testo latino, un'opera organica
nella quale la materia igienica fosse svolta in

una trattazione

proporzionata e compiuta, secondo

il

disegno accennato nella


trattati
le

proposizione dell'argomento. Siamo piuttosto davanti all'opera


di

un compilatore,

il

quale servendosi di

dottrinali

correnti ai suoi di nelle scuole

mediche e per

mani

dei

maestri dell'arte, volle estrarne a vantaggio dei pi, che

non
:

intendevano

il

latino, dei

buoni ammaestramenti pratici

quamvis de chesto pregato non sono, ad ci me move lo comone bono.


(vv.

17-1S)

Infatti nei vv.

585-588:
quale comencai ca lo disio assai done gracia con vigore poca compi ire a lo so ouore.

elomeodictucomplulo
e dio

ma

lo stilo

tornome

lo

me
lo

ch'eo

55
Questo compilatore, per altro, come si servi liberamente dei suoi autori, cosi non trascur le pratiche d'igiene che erano il risultato dell'esperienza e del pregiudizio popolare egli protestava, vero, che
;
.

z che dico prendo dall'auturi,

che

me

so' testi e

buon defendituri
(vv. 23-24),

ma non trov certamente nei libri tutti mirabili segreti che con scioltezza facilissima venne esponendo in rima n alle sue fonti sentiva di dover tanto che non potesse insistere sopra la personalit sua di scrittore, la quale ad ogni passo fa capolino. Ci naturalissimo nella protasi, dove l'autore doi
;

vendo enunciare
cosi

propri intendimenti e la materia da svol;

gere pi facilmente tratto alle manifestazioni soggettive

anche

dove

fa distinzioni

o dice definizioni, come a


(v.
-j-j)
:

proposito delle quattro stagioni

de cascaduno

lo so

spacio dico.
la

Ma

anche nella enunciazione dei precetti


si

personalit del-

l'autore

riaffaccia (a parte

frequentissimi dicote, rale

cordote, consigliote, scrivote) sotto


riate
:

forme pi sva-

per consiglio a chi lo pot fare (v. 107), una regola donote ben buona e salutare (v.

146),

de

li

cibari!

donote

utile

documento
(v.

(v.

151),

darete voglio una tale cautela

161),

propono no' cessare (v. 212), multo laudare pocote la carne de vitelli (v. 271), ed eo da modo dicolo e protesto (v. 312),

amore pi de

scrivere

che

modo me modo

resta a dicere dell'aucelli salvagi


te

(v.

337),
(v.

soUeceto che tu ben tende guardi

345),
;

una cautela donote se

te la place fare (v. 385) ecc.

n infrequente
per
il

la

dichiarazione dell'amore che lo

muove

lettore
lo

Per per

bene che

volliote

dico che

si'

soUicito (v.
(v.

121),

lo to

amore sforcome, vogliote demostrare

159),

56
la

lo to amore se me fai clamare ecc. (v. 305), mia doctrina membrete e no' te parr dura (v. 625), de usar con femena in onne modo te veto (v. 662).

per

lavoro personale di compilazione sembra accennare del

resto r ignoto rimatore,

come

dove passando con


il

la trat-

tazione dai grani e legumi alle carni, sente

bisogno di

rie-

vocare r aiuto divino

De legume pi ma eo pertanto

scrivere

eo so
e

modo

sbrigato

dicote

compiu mio dectato

fare breve tractato, de carne voglio dicere, che natura m' dato: secundo poco ingenio devotamente chimonde l'aginto de quillo che parlare fa Io muto
;

(vv. 259-264)

cosi nel passaggio dagli uccelli ai pesci (vv. 366-369), e

anche

dove trapassa dalle

bestie agli uccelli

Poi te disse delle bestie,

pareme

lo diricto.. (vv. 313-31S),

dove il richiamo alla distinzione trovata nelle sue fonti (secundo che divisano li saggi), tra domestici e selvaggi,
manifesto indizio di compilazione pi che di versione
;

ci

che pu osservarsi anche rispetto


si

ai versi coi

quali l'autore

introduce a parlare dei vini

De

li

pisci

com

dissite ecc. (403-409).

N minore

indizio di ci porge

un luogo dove

si

si

accennano

altre divergenze di opinione degli autori

intorno all'acqua;

delle quali disparit

il

rimatore

disinteressa affermando la

propria opinione:
Alcuni aucture trovasi.
e
.

(vv. 469-474);

un

altro ove, .sempre a proposito delle

acque,

dice

per(le

ch

egli si

astenga dal parlare di alcune qualit di esse


?)
:

minerali e termali

ma

no' sono per bevere,

perc no'

fa

mistiere

ch'eo mencione fcande,

ma

eu

lo

torno arriere

(vv. 505-506).

57

questo punto anzi l'autore d una prova assoluta che


precetti igienici di Aristotele

il

suo fosse lavoro di compilazione coi versi nei quali dichiara


di voler riferire
i

ad Alessandro

Magno

Li dicti de uno savio vogiioie recetare


(V.

sii)-

Di

tali

precetti infatti

il

rimatore dichiara di fare una scelta,


al

che sembrerebbe sproporzionato gralmente


:

suo

fine

il

riportarli inte-

eo tende dico alcuni mucti, cha multo fora longo dirille tucti
et
(vv. 521-522).

Qui
essere
il

la

fonte diretta citata espressamente; e dovrebbe Secretum sea^etormn, del quale accertata la diffu-

sione anche in Napoli o in Salerno, poich un codice della

Nazionale,

Vili,

D.

l,

lo

contiene sotto

il

titolo di liber

Aristotelis de secretis secretorum sive de Regimine principimi,

regimi vel

summorum
il

se

non che
al

il

confronto tra

il

poevi

metto volgare e

testo latino ^ dimostra invece


:

che non
porge

alcuna relazione diretta

pi
il

si

pu trovare una certa


Secr.
secret,
al-

conformit in questo che anche


cuni precetti intorno ai cibi

preferibili nelle

varie stagioni
il

dell'anno

ma

la

somiglianza remota, perch

poemetto

parla d'altri cibi e di altre pratiche da cui bene astenersi


codice appena accennato dal
il

II

De

Renzi, Collectio sail

lernitana, IV, 588,


secret,

quale dice che

in

esso

testo del

Secr.
si

conforme all'ediz. di Parigi 1520, e che del codice

sua ediz. di Napoli, Cancer, 1555. Sopra le redazioni volgari del Secr. secret, basti rimandare a G. Cecioni, nel Propugnatore, N. S., voi. II, parte II (1S89), pp. 72-102, e
servi lo Storcila, nella

a N. ZiNGARELLi, nel

cit.

volume per Nozze Percopo- Luciani,


di

pp.

185-204.
2

Per questo confronto mi sono valso


40),

un buon testo del


3.

Sec. secret, contenuto neh' ultima parte del

ms. Campori H.

37

(Vandini, Catalogo, Append.

del

sec. XIII, col

titolo di

Liber Aristotelis qui intitulaiur de Secretis secretormn sive de re-

gimine principmn vel doniinoruni


capitoli,

(il

trattatello distinto

in 81

compresi

tre proemiali).

58
nei singoli mesi dell'anno, tenendosi anche qui, sebbene
li-

beramente,

ai

precetti salernitani.*

Nessun'altra

fonte

espressamente citata dal


si

rimatore

anonimo

il

quale pi di una volta invece


ai suoi

richiama ge-

nericamente

aucture (vv.

23,

469, 635), ai filo-

sofi (vv. 55, 478), ai

saggi

(vv.

318, 338), anzi ancor


la fisica (vv. 54,

pi astrattamente alle scienze loro,

come

375 e probabilmente 552), la stronomica sentenza (v. 80). Quasi isolate sono due citazioni, quella del mastro fino
(v.
1'

270) e quella
si

del

nostro

summo
e

doctore
l'altra

(v.

320):

una dove

il

precetto di mangiar caloe millino (canna


la

di miele?)
il

dopo

carne di capretto,

riferendone

giudizio di temperata attribuito alla


della prima

carne di gallina.

non saprei indicare l'origine, anche perch non trova riscontro nei trattati medioevali da me esaminati e sembra essere piuttosto l'eco di una consuetudine da ghiottoni; dell'altro invece singolare che manchi proprio la qualifica di temperata alla gallina l dove un chiosatore antico, Arnaldo da Villanova, dichiarando uno dei preil

Ma

precetto

cetti tradizionali

della scuola salernitana dice


tutte le altre lodi

di

quell'ani-

male domestico
tore.
latili
Il

che ne

fa

il

nostro rimadi vo-

precetto salernitano

enumera quattordici specie


soli

buoni a mangiarsi,- dieci


(tre

ne ricorda

il

poemetto volsette selvatici,

gare

domestici, gallina, cappone e gallo

starna, fagiano, pernice, paparo, gru, palombo, tortora),

anche
*

di questi soli cinque

comuni all'enumerazione
4 sgg.
v.
il

latina

Cfr.

in

De

Renzi, V,
il

capitolo de niensibus

specialmente, per gennaio


;

97 aptos
:

sume

liquores con

de Reg. vv. 554-556 per febbraio, v. loS si comedis betam con de R. v. 558 per marzo, v. 122 Dulcia tum prosunt con
; :

de R. de R.,

v.
v.

559

per settembre,
;

v.

168
:

cum
;

lacte caprino

con

per novembre v. 188 balnea cum Venere tane 575 nullum constat habere con de R. v. 579 per dicembre, v. 197 caulis vitetur con de R. v. 580. L'astensione dal coito con:

sigliata nei precetti salernitani,

vv. 152 e 15S, per luglio e ago-

sto

nel de R., vv. 568-570, per giugno e luglio.

~ De Renzi, Coli, salern., V, 17, vv. 652-653. Medicina salernitana, Salerno, Campi, 1789, tom.

II,

M. Politi,
p.

67.

59
cosi che nessuna (starna, fagiano, pernice, palombo, tortora) dipendenza si pu indurre dell'un testo dall'altro. Ma mentre il precetto salernitano si limita a una enumerazione dei volatili, senza nulla aggiungere della loro qualit, il rima:

tore svolge per ciascuno di essi questa parte,

bene e

il

dicendone il male; e a proposito della gallina, oltre che darle


il

lode di temperata secondo

giudizio del nostro


doti:

sommo
corpo

doctore, ne mette in
tutti
i

mostra
;

le

la

migliore di
e

volatici domestici
;

umore bono genera

conforta e core

e di tutte preferibile la gallina de plu-

magio nigro. Ora


caro

nel commento di Arnaldo da Villanova noi leggiamo che, pur buonissime essendo le carni dei gallinacei,

autem gallinarum
altre virt,

est melior

quam gallorum

e anche
,

pi quella delle galline nere, nigrarum quoque est melior

soggiungendo

che

tale

carne colorem vividum


il

comparat, vocem clarifcat.


zio del rimatore, de gallina

Cosi

cappone, che a giudi,

non discrepa de bontate niente


:

secondo
e

il

Villanova

si

pareggia per bont alle galline

caro

autem gallinarum est melior quam gallorum nisi sint castrati; i galli hanno il merito quando sono vecchi di offrire in s ottimi medicamenti, secondo il verseggiatore, appunto come dice Arnaldo che decrepitorum gallorum caro nitrosa et salsa cibo inepta, medicamentosa est, potissimum vero gallorum rufforum, qui magis sunt medicamentosi.^
. . .

Da

queste osservazioni potrebbe alcuno ritrarre che fonte


il

principale del nostro poemetto sia stato

commento di Arnaldo
bisogna andare adale

da Villanova

ai

precetti salernitani

ma

gio nelle conclusioni, perch in realt sono troppo poche

rispondenze fra

due

testi

per ammettere una simile deriva-

zione; e d'altro canto Arnaldo, almeno per alcune parti dell'opera non altro avr fatto che mettere in iscritto dottrine correnti nelle scuole del suo tempo, le quali potevano risalire ad et molto anteriori. Molto istruttivi a questo riguardo ri-

sultano

confronti che
i

si

possono

istituire

per

altri

argomenti,
:

per esempio per

versi relativi alle quattro stagioni

nei pre-

Cito questi passi di Arnaldo dal Politi,

II,

6S-69.

6o
cetti salernitani si

enumerano

tutt'e quattro,

senza rispettare
riferiscono

la

successione cronologica (ver,


in

autumnus, hyems, aestas

dominantur

anno),

ma

di sole

due stagioni
si

si

le qualit in rapporto con la sanit

dell'uomo;

invece nel

poemetto volgare

la serie delle

quattro stagioni

svolge dalla

primavera in avanti, attribuendo a ciascuna ci che le conviene. Dai precetti della scuola di Salerno apprendiamo che
nella primavera
si

ha calidus aer madidusque e


;

nel poesi

metto

la

vera calda et umida

e se in

quelli

legge

nullumtempus melius est phlebotomiae e si consiglia purgentur tum corpora per medicinas, in questo parimenti si ammaestra chi necessu d' aperire vene, chisto lo tempo quando pi convene e si ricorda esser la primavera apta et convenebele ... de medicina prendere che lo so corpo
:

lave

ma
al

poi singolare che nulla corrisponda nel poemetto

volgare
fer

precetto latino usus tunc homini


di ci

Veneris consul

moderatus, nulla

che

vi si

soggiunge
^
:

moto

corporeo, sul sudore, sui bagni. Rispetto all'estate, una evi-

dente relazione tra


quolibet in

precetti salernitani

mense confert vomitus, quia purgat humores nocuos stomachus quos continet intus
e
il

poemetto volgare
lo

vomico

est utile

de quisto tiempo estivo

ca purgando lo stomaco da
la
si

humore nocivo

ecc.

quale continua anche per un altro particolare, che nell'uno


legge:

humida,
e nell'altro
li
:

frigida fercula dentur

cibi fridi et

humidi sun buoni e

la friscura

ma
il

nulla riappare nell'anonimo volgare di ci che per l'estate

testo salernitano ci dice della Venere, dei bagni, del sa-

lasso,

del bere

moderato e
il

forse casuale la coincidenza tra

rutilis est requies e


chisto tiempo de
1

consiglio

non camminare.^
3,

Il

a chi lo pot fare, in commento di Arnaldo

De

Renzi, V,

w.

61-62, 57, 59; cfr. Politi, III, 61-62.

6i a questi versi delle stagioni non porge alcun indizio di derivazioni che n'abbia fatte l'anonimo verseggiatore il quale
;

per ciascuna delle stagioni d qualche norma intorno

ai cibi

da

preferirsi,
*
:

toltane l'idea forse da altri

versi delia scuola

salernitana

temporibus veris modice prandere

iuberis,

dicevano
dice,

precetti,

e
la

il

nostro sembra quasi tradurre

quando

appunto per

primavera,

lo bevere e mangiare con misura non parte l'omo de la sua derectura;

se

non che premette

di

suo che

in tale stagione
vitelli.

giare galline e papari, capretti e castrati e


i

bene manContinuano

precetti

Sed

calor aestatis dapibus nocet immoderatis,


si

ma

il

rimatore

limita a

raccomandare

<'

la

temperancia
li

accennando che d'estate


vece
i

la

magiore copia de
frutti

fructi

ma-

tura, quasi per mettere in guardia chi ne fosse goloso. Inprecetti fanno
:

menzione dei

per

la

stagione se-

guente

Autumni
mentre
si
il

fructus caveas ne sint tibi luctus

poemetto raccomanda solo che d'autunno l'uomo


la

purghi per togliersi

corrucione, la quale fecero

li

fructi

estivi.

Finalmente, d'inverno qualunque mangiare


:

non

eccessivo

de mensa suine quantum


perch,

vis

tempore brumae.
la

come

dice

il

rimatore che consiglia


salse,

carne porcina

e l'uso degli
lo

aromi e delle
fa

tiempo frido

paidare bene

per caldo naturai che dentro tene.^

Anche

qui le dichiarazioni di Arnaldo

non danno alcun


;

in-

dizio di essere state conosciute dal rimatore


*

che anzi con


II,

De

Renzi, V,

io,

w,

359-362

cfr.

Politi,

15.

62
le citazioni di Ippocrate, di Galeno, di Celso, di Avicenna dimostrano che codeste idee erano ormai patrimonio comune.

questo e da altri raffronti, che sarebbe agevole instisembra adunque potersi dedurre che l'autore del poemetto de Regimine sanitatis lo compil su dottrine e scritture correnti nel medioevo, pi probabilmente prendendo lo spunto
tuire,

Da

assai di frequente dai precetti della scuola salernitana, la quale


gli offri

anche il titolo per la sua operetta. i Che egli fosse un medico facile il supporlo ma un accenno esplicito si
;

potrebbe

trovare solo nelle

parole usate a proposito


(v.

della

portulaca, l'arte nostra

comandalo
:

224)

la

quale arte

non pu essere se non la medicina dottore lo mastro fino (v. 270)


cetto, che maestro fu
il

e in

medicina sar stato

di cui riferisce

un predi

titolo

usuale dei medici, sebbene

anche

in questo

accenno l'autore nulla pu aver messo


salernitano

personale.

Dunque un medico, napoletano o

perch

caratteri fonetici, morfologici e sintattici del

suo poemetto,

dietro l'analisi comparativa fattane dal Mussafia, appariscono, generalmente parlando, propri del dialetto napoletano o cam-

pano.^ Quanto

al

tempo, cui possa esser riportato questo sin-

* Non ignoro che questo titolo fu dato anche ad altre opere medicina pratica p. es. nel codice della Bibl. nazionale di Napoli, Vili. D. 39, del sec. XIII (cit. dal De Renzi, IV, 580), ai Pantechni di Costantino Afro (m. 1087 circa). Via. Regimen sanitatis salernitanum fu il titolo pi usuale, oltre quello di Flos ntedicinae, che nei codici e nelle edizioni del sec. XV, fu dato alla nota scelta di precetti in versi latini accompagnati dal com-

di

mento di Arnaldo da Villanova finch poi nel XVI cominciarono ad adottare altri titoli. Il De Renzis,
;

le

stampe
sai.,

Coli,

nel voi.

I,

vv. 3420.

diede un testo di 2130 vv. nel V, uno pi ricco di Il commento di Arnaldo apparve primamente neli'ediz.
;

di Montpellier,
2

1480.

Non

intendo entrare nella


gli altri testi
;

questione linguistica,

perch

per questo e per

sar necessario

un esame com-

parativo attento e minuzioso

particolarit assai caratteristiche del


lan'xs

non

ci

far notare che alcune poemetto de Balneis puteosono presentate nel de Regimine sanitatis, e altre

ma debbo

vi

fanno apparizioni timide e fugaci.

63
golar

monumento,
filo

gli

elementi

mancano per
il

precisarlo

unico

tenue

a cui attaccarsi sarebbe


il

fatto

che

lo scrittore

non

dimostra di conoscere
cetti salernitani
;

commento
il
^

e poich

Arnaldo sopra i premaestro da Villanova nato indi

torno al 1240 e morto nel i3ii


torno al 1280 che in

deve aver
pi

scritto quella

sua

esposizione ancora nel secolo XIII,

verisimilmente insi

momento

posteriore,
il

avrebbe cosi un

poemetto almeno ai primi tempi della dominazione angioina.- una semplice


dato non trascurabile per far risalire
ipotesi, alla

quale non
sanitatis
;

si

oppongono

caratteri formali del


al

de Regimine

perch,

quanto

linguaggio,
si

seb-

bene non

vi

siano troppi termini di confronto, non


la

pu

crederere che

lingua parlata in Napoli abbia subito profondi

cambiamenti dall'et di Carlo I a quella di Roberto: anzi nel poemetto mancando qualsiasi traccia di azione esercitata
dalla lingua francese, sarebbe questa un'altra ragione per
ri-

sospingerne

la

composizione a tempo quanto pi possibile


il

remoto. Resta
testi

metro, per

il

quale
;

il

nostro

si

ricollega a

uno spiccato arcaismo perch il tipo della stanza formata d'un tetrastico di versi doppii, al quale si aggiunge la chiusa di un distico endecasillato se anche ebbe una vita pi lunga di un secolo, fu senza dubbio abbandonato pi predi
^

Yedansi

le fonti indicate

da U. Chevalier, Repertoire,

I,

167.

Sickel,

Se anche fosse accertato ci che al Mussafia comunic il vogHo dire che in quella parte del cod. napoletano XIII, G. 37, che contiene il de Reg. sanit. sia da riconoscere la mano di un copista francese, a nessuna conclusione potrebbe venirsi che fosse contraria alla mia ipotesi. La copia sarebbe tardiva rispetto all'originale potrebbe anche essere del tempo in cui Riccardo di Eudes, medico normanno, vivendo in Napoli nel 1392. traslatava de mot a mot in versi francesi il poemetto latino di Pietro da Eboli De balneis puteolanis {cix. De Renzi, IV, 591). Ma le tracce di francese non appariscono affatto nel codice napoletano XIII. G. 37: nell'altro apografo incompleto (vi mancano
2
,

vv. 505-672) contenuto nel cod.

colorito dialettale napoletano

XIV, G. 11, del sec. XV, il sembra pi accentuato, nel senso

di aver seguito le evoluzioni fonetiche e morfologiche della lin-

gua

parlata.

64
sto di altri metri e rientra nella famiglia
fici,

di

quei

tipi

stro-

che vennero meno col prevalere della terzina dantesca

prima, e poi dell'ottava rima.

Concludendo il poemetto de Regimhie sanitaiis importante documento della poesia didascalica popolareggiante nel mezzogiorno d' Italia esso attinge la materia ai precetti divulgati nel medioevo dalla scuola salernitana, collegandola
:

alle pratiche e ai pregiudizi popolari,

liberamente svolgen-

dola con amabile


ranti,

facilit

a istruzione delle persone,


fu

ma

di

mediocre cultura: l'autore

non ignoun dotto, quasi


per
il

certamente un medico, che della lingua del popolo,

quale intendeva fare un'operetta di divulgazione, un piccolo manualetto di igiene pratica, si seppe valere per dare a quei
precetti
le

un atteggiamento che
al

li
il

rendesse accessibili a tutte

menti: del tempo,


voglia

quale

poemetto
i

si

pu assegnare,
allargati
la

non abbiamo
quanto
si

certezza,
;

potendo
la

termini

essere

ma

probabilit maggiore per

seI

conda met del secolo XI II,


d'Angi.

durante

il

regno

di

Carlo

XI.

Molte

affinit

formali coi tre poemetti didascalici presenta

un poemetto agiografico, // transito della Madonna,'^ che sebbene ci sia stato conservato da un unico codice di et tardiva, 2 sembra essere andato soggetto a ripetute trascrizioni prima di fissarsi nel testo sopravissuto di guisa che, indi;

Pubblicato da E. Percopo,

IV poemetti sacri dei secoli XIV


;

Bologna, Romagnoli, 1S65, pp. 1-45 parla di questo testo, a pp. xi-xxii.
*
il

XV;

nella prefazione di

Ms. XIII. D. 59 della R. Biblioteca Nazionale


p. vi,
e.

di

Napoli

Percopo,

lo giudica della fine del sec.


*

XV

pur nodata

tando che a

194

apposta a un lunario,

ivi trascritto, la
si

del 142S e che le ultime carte del ms., dove

trova questa
.

data, sono, di molto, pi recenti delle antecedenti

65

pendentemente dall'arcaismo del linguaggio e del metro, potrebbe risalire anch'esso ad epoca molto anteriore. Ma conviene andare, in questo caso, molto pi a rilento nel fare delle ipotesi perch un dato interno di molta importanza,

potrebbe rovesciarle d' un tratto se qualche documento si scoprisse, per il quale fossimo messi in grado di identificare la

persona che quistu dictatu fece fare


giatore scrisse

(v.

707).

Il

verseg-

il suo poemetto fosse recitato o letto pi letto in conversazioni auliche che recitato in radunanze di popolo, alle quali ultime sarebbe forse mal convenuto per la sua lunghezza. Nel 1'
;

senza dubbio con

intendimento che

prologo

infatti

leggiamo

Signori multu pregovi,

per grande caritate


tucti

che [con] benignia mente


e formule

m'entendate

analoghe ricorrono nel corso della narrazione


entendte
lo bello salutare
(V.

;^

Signuri, [ora]

304),

Signuri, ben saccatelo

quandu

lu lectu
(V.

prese

555).

e ripetutamente sulla fine, quasi per prendere


gli

commiato da-

uditori

Signuri, in quello di[e]

multe anime guario


(v.

692),

Signuri, de quella

donna

agiamo nui memoria


(v. 697).

Ma
fa

il

vero commiato formato dalla preghiera che l'autore

per i suoi parenti, per chiunqua quisto scripto scrive ode e sopratutto per quella che quistu dictatu fece fare, cui augura la sede dei beati, in paraviso degiala alper
s,

et

locare (vv. 707-708). Chi era costei?

La contessa Mobilia
de multi profundi
libri

f'

far quisto

dictatu,

essa lu sfiorato
(vv. 709-710).

La formula
:

riecheggia anche in bocca alla

Madonna

nel

V.

332

Signuri,

bene sacciatello

ecc.

Casini Studi di poesia antica.

5.

66

nome
che

Giustamente hanno notato il Monaci e il Percopo che il della contessa deve essere stato Amabilia, o come ansi

trova scritto
di

Mabilia

ma

nessuna identificazione di

tempo e

luogo stata possibile sinora. Il manoscritto del Transito della Madonna essendo di provenienza abruzzese, n sconvenendo a quel territorio le caratteristiche fondamentali
del linguaggio, sarebbe da cercare nei

documenti della
:

re-

gione

il

casato e

il

tempo della pia gentildonna

ho indagato
troppo poco che da qual-

nelle fonti a stampa,


alle case comitali della

ma

invano; forse
1'

si

potrebbe pensare

Marsica o di Teramo,

ma

ne sappiamo per accettare o escludere


Tuttavia
al

ipotesi,

che nuovo documento potrebbe essere facilmente smentita.^ gli indizi non mancano per far risalire il poemetto
secolo XIII,
sia

pure alla
;

fine

di

esso

l'arcaismo del

linguaggio manifesto
nato
;

il

metro conviene

al

tempo accen-

guasti frequentissimi del testo sono riprova di ripe-

tute trascrizioni anteriori a quella che ce lo

ha conservato.-

Poich

la

zona idiomatica che

stende dall'Abruzzo

alla

Campania comprende o almeno investe una parte del Lazio e non sempre agevole precisare la patria dialettale delle composizioni antiche, nessuna seria ragione linguistica potrebbe opporsi
carsi
all'

ipotesi che
la

1'

ispiratrice del

diclatu

possa

identifi-

con

moglie

di

Agapito Colonna conte


e

di

Manupe Ilo,
il

della

quale raccolsero
(cfr.

fatti

motti le Novelle antiche e

Petrarca

E. Re,

Una

novella

romana del Novellino

nel Bullettino

della Societ filol. rom., n. X, 1907, pp. 43-64)-

Se non che qui e prima s' intrecciano parecchie questioni non facili a sciogliere di XIII le donne secolo ne! fossero due una sola, se o di tutte e in caso se l' ispiracasa Savelli, che ebbero nome Mabilia trice del poemetto fosse una Mabilia sorella di Onorio IV e vedova sino dal 1279 di Giovanni d'Alberto o la moglie del Colonna, che visse sino al 1315. Chi vogha studiare tali questioni non dimentichi la rara pubblicazione del De gente Sabella di Onofrio Panvinio, curata da E. Celani, Roma, tip. Vaticana, n di precisare l'origine e l'uso del titolo comitale nelle 1892
;

famiglie SaveUi e Colonna.


*

Gi

il

Monaci

nella Riv. di

Il

filol.

rom.

II,

114, aveva,

con

lucida acutezza, notato:

cod. del sec.

XV, ma ben pi

67
Singolare
l'oscillazione

costante

nel

primo emistichio del


del

verso doppio, tra la misura sdrucciola

settenario e la

piana: quasi in ogni strofa abbiamo dei


dell'altra specie,

in

modo
;

tale

dell'una e che riesce manifesta 1' intenversi

zione del rimatore di usarle indiflferentemente, senza alcuna


regola di alternativa
lo

schema quindi per rappresentare gra:

ficamente la costituzione strofica sar questo

708 +
7 7

7
7

fl!

o 8 o 8

-f-

a;

6 73:

708 +
II II

B
B.

antica deve essere la leggenda, siccome ne persuade lo scadimento del testo, corrotto spessissimo e nel senso e nella misura dei versi e nella forma delle strofe . Il Percopo, p. xxi
:

L'epoca della composizione

di

questo poemetto,

la fo risalire

sino ai principi del secolo

XIV. Esso poemetto appare,

certa-

mente, pi antico dell'et del ms ... e per la rozzezza del diaprovenienti, probaletto e per i moltissimi difetti della lezione
;

bilmente, dall'essere
stanza antica

il

nostro ms. derivato da una copia a ba-

. ormai un canone di critica, comunemente accetche i guasti molteplici di un testo sieno la risultante di una lunga trasmissione orale o di una serie di trascrizioni che presuppongono un lungo periodo di tempo si veda ci che, a questo proposito, scrisse gi il D'Ancona nella Riv. di filol. romanza, II, 7, e pi recentemente il Novati nella Raccolta di studi critici dedicati ad A. D' Ancona ; Firenze 1901^ pp. 741 e sgg., ove, parlando di una redazione lombarda della leggenda di sant'Antonio di Vienna, osservava Troppi vizi, troppe alterazioni, non imputabili per fermo al menante del codice macchiano il tsto della storia, perch non si debba riconoscere che

tato,

quando questa

fu trascritta.

essa era gi passata per


le

le

boc-

che di molti cantastorie e sotto nuensi .

penne

di

non pochi ama-

68

XII.

La rassegna dei componimenti a


sillabi e di versi

strofe miste di endeca-

doppii sarebbe compiuta, se l'esame della

versificazione

della

Leggenda

di san

Giuliano

lo spedaliere

altro testo conservatoci dallo stesso codice del Transito della

Madonna, non mi avesse fatto sospettare che sotto le sembianze di un rifacimento o travestimento posteriore* si abbiano a riconoscere qua e l i caratteri metrici di una forma primitiva, in strofe composite che sarebbero l'inverso di quelle considerate sinora, in quanto ci presenterebbero la fronte di endecasillabi e la coda di alessandrini insomma con
;

questo schema

II

A
B

II II
II
7 1
Il

A
B
-4-

C
metro, da notarsi che
sei,

-\-

1 C.
al

Percopo scrive
in sestine.

Quanto

questa leggenda comincia in ottave, sono a pena

e ter-

mina

Io credo che, probabilmente,

il

copista del

nostro ms. ebbe avanti due diverse redazioni della leggenda,

una in ottave e l'altra in sestine, e che cominci a copiare la prima e poi pass alla seconda, o credendola migliore o per altra qualsiasi cagione. Oppure si deve pensare che questa imperfezione risalga

sino all'autore,

il

quale nel corso

composizione trov

con

la

quale egli
le

metro pi comodo dell'ottava avea cominciato a scrivere il poemetto .2


la sestina
:

Ambedue

supposizioni mi sembrano poco fondate


duplicit
di
testi,

la

prima
la

perch codesta

dai

quali

l'amanuense
nell'

avesse potuto trascrivere a piacere scegliendo

uno

prima parte e nell'altro


'

la

seconda, sarebbe contraria all'abicit.,

Pubbl, anche questo dal Percopo, Ice. Log. cit., p. XLV.

pp. 135-144.

9
tudine dei copisti, o almeno anormale e insolita, in quanto essi seguivano anche troppo ciecamente (massime quando

erano ignoranti come appare

il

copista del codice napoletano)


le

l'esemplare che avevano per

mani,

1'

idea di un atto

comparativo come fondamento


venir loro in capo
;

alla scelta difficilmente

poteva

e l'altra

perch un autore che avesse

cominciato a verseggiare in ottava rima (dunque n-on prima


della

met del secolo XIV,


o
al

ma

pi probabilmente alla fine

di quello
iiere,

principio del seguente) la storia dello spedail

non

ragionevole

credere che poi

si

volgesse ad

un

tratto

a ricercare un'altra forma metrica ormai antiquata

e vieta, mentre era di uso generale la stanza di otto endecasillabi

che cosi bene

si

prestava alle esigenze della poesia


il

narrativa. Ipotesi per ipotesi, ritengo pi probabile che


sto conservatoci dal

te-

codice napoletano rappresenti

il

rifaci-

non concomil quale poemetto posite di endecasillabi e di alessandrini per questo suo stesso carattere metrico doveva essere di pi remota composizione, assai guasto gi per ripetuti trapassi d' uno in altro apografo, tale quindi che fosse naturale l' idea
in ottava rima,

mento

cominciato nel secolo

XV

dotto a compimento, di un pi antico poemetto in strofe


;

di ringiovanirlo e ripresentarlo cosi,

come cosa nuova, a nuovi

uditori

da

quelli

che aveva avuti nel passato. Insomma un

rimatore del secolo

che vecchio repertorio


leggenda
di

mani in qualun cantastorie del XIV, la bella san Giuliano in sembianze arcaiche e sgualcite,
cui fosse venuto alle
di

XV,

avrebbe potuto pensare a rimetterla in corso riducendola in


pi piane e corrette

ottave

ma

poi arrestatosi a

mezzo

il

'

Un

altro

rifacimento

in

ottava

rima della leggenda


p.

di

san Giuliano indicato

dallo stesso

Percopo,

xliii,

come

pubblicato per
linari,

la

prima volta

in Firenze,

dirimpetto a S. Pu-

Due

1565 e ristampato pi volte di poi (cfr. A. D'Ancona in prose del s. XVI ; Bologna, Romagnoli, 1882, pp. 97-99).
il
i*^

Parrebbe singolare che


sia dell'alto

verso di questo poemetto.


i**

Al nome
verso del

Dio

verace, ripeta un' espressione del

testo napoletano, se

non

si

trattasse,

com' evidente,

di

una

for-

mola

tradizionale.

70
lavoro, per uno di quei tanti motivi clie possono determinare una simile interruzione, abbia lasciato il suo scartabello, che capitato sotto gli occhi di un appassionato raccoglitore di leggende e canti religiosi fu ancora una volta trascritto nella

forma transitoria sopravissuta. Questo testo comincia con

sei ottave

abbastanza regolari,

almeno per il numero e la misura dei versi, e due di esse (2*, 5*) anche per le rime, ma nelle altre abbiamo delle assonanze
(i* polsella
:

eterna: novella;

3^ giovio

entorno

mondo

6* atini

piangili: panni:),

che mal rispondono

alla

tecnica prevalente nei secolo


strato pi antico,
tutto.

che

Poi una di

primo indizio di un subnon seppe nascondere in queste stanze (la 4"') ci d due serie di pa:

XV

il

rifacitore

role,

che non oso dir rime


valente
:

viro

patarino
:

braccio: abraccia

hnpaczito.

Qui
cile

il

guasto manifesto
si

ma non
vollero

forse per ia

mano

del

copista,

invece perch

si

conservare o fu

diffi-

rimaneggiare senso e parole di un testo primitivo. Alle

prime ottave succedono delle strofe pi brevi (st. 7^-26), che a primo aspetto sembrano sestine regolari di endecasillabi con
lo

schema AB, AB, CC\ ma

la

regolarit, sia

per la mi-

sura dei versi sia per l'ordine e la corrispondenza delle rime,


si

ha appena

in

una

strofa (l'ii*),

che

tutte le altre presen-

tano molte e profonde divariazioni, e


rile

tali

che sarebbe pue12*,

l'attribuirle

a licenza dell'amanuense. Anzitutto abbiamo


di queste sestine,

un certo numero

13^ e 19*), nelle quali,

ma sono poche (7^, mantenuta su per gi la misura


si

del-

l'endecasillabo, la rima

lascia sostituire dall'assonanza, sia

poi nel distico

finale

(st.

12^: contado:

luliano
(st.

19^ sconiyitando
:

fortare: vane)

sia

nelle

coppie alternate

7*

danno; \'^ gito : gimo ; intando : inmantenente). Tre strofe invece crescono di un verso, e sono anch'esse di endecasil1*8^ parrebbe essere mancante di un verso dopo il labi quinto,^ si che si riaffaccerebbe l'ottava del rifacimento ma
: ;

Questo sembra doversi leggere

Ad

sancto lacobii sci f'

arrivagio (arriv) poich

la lezione sci se

arrivagio del ms. non

71
le altre

due sfuggono a questa

ipotesi

la

24^ infatti cosi

ri-

mata, sobrana, mortale, piano, sobratio, nelle coppie alternate, e via, villania, albergaria nei versi finali e la 25* trenmlando.
;

cortescia, pillione, appiccicone nei primi quattro versi, e

guar-

dare, pellegrino, divino,

negli ultimi. L'alterazione di queste

due

strofe 24'^ e 25^ tanto forte

che non

ci

lascia speranza

di restituzione

congetturale

qui siamo in completa anaril

chia, quanto alle

rimo,

osservava

Percopo

;i

ma

il

senso

corre senza interruzione, con qualche trapasso logico un po'


rapido,

non

si

per che
:

si

abbia campo a supporre delle


si

la-

cune

di intieri versi

quindi da escludere che vi

ab-

biano gli avanzi di due ottave primitive. Invece da osservare che in entrambe le strofe si potrebbero riconoscere le
tracce di una fronte tetrastica

monorima (ben
mutazioni
:

inteso con as;

sonanze) e di
ci

una coda ternaria pure monorima


lievi

solo

che

consentissimo alcune

Una

stascion che no' stascion sobrana tragea una strina con mortale jacciu
;

'

ad luliano disse umile et piano Albergarne ad onor de deo sobrano'. O pellegrino, vanne alla tua via
:

'

l'altro
[sci]

[una] gran villania, jurno recpi [eo] no* te albergarla'. ca per nullo modo
li)

Lu
'

pellegrin(o

Quisto bordone

in cortescia

respuse con tremore :* repuni '.-^


appiccicone.

luliano Io bordone sci pillione,

su nelle mani se
[et] no'

li

lulan de fore ad guardar fo uscito

vede romero

n [vede] pellegrino,
dio divino.

allora sci iurava

a[ilo]

d senso, ed ovvio lo scambio di / con s. Con questo verso senso par che resti incompiuto, o almeno che sia troppo rapido lecito il passaggio all'altra idea. Loco prese mogliera : si che Giuche detto fosse quale nel verso lacuna, un supporre una' liano, giunto a San Iacopo di Galizia vi ferm la sua dimora.
il
,

Loc.

cit.,

p.

143.
li

*
"*

Lu me

pellegrino

rispuse tremulando
il

il

ms.

repuni in cortescia,

ms.

72

Rientreremmo
degli

cosi nel tipo composito, salvo la inversione

alessandrini

degli

endecasillabi,

che a questi sa-

rebbe riservata

la fronte e

a quelli la coda, secondo questo


II
II II II II 1 7

schema

A A A A
B

+
+

1 7

B
B.
ardita

Ma

la

ricostruzione
:

mi

sembra troppo

e quindi
la serie

volentieri vi rinuncio
tetrastica

vi rinuncio

per ci che concerne

per ci

monorima, invece della quale pi ovvio seguire, che ci dato dal complesso delle altre strofe, il tipo dei

due distici a rima alternata, senza l'endecasillabo di collegamento * mantenendo per altro gli alessandrini nella coppia
;

di chiusa,

perch attraverso

le

profonde alterazioni riappa-

riscono in

modo

abbastanza sicuro nelle sestine non ancora


lasciano ricondurre alla misura endecala loro

prese in esame. Gi anche nei distici della fronte troviamo


dei versi che mal
sillaba e
si

che per questo e per

movenza ritmica sono

assai pi prossimi all'alessandrino o settenario doppio, qual-

cuno anzi con


ciolo
:

la caratteristica del

primo emistichio sdruc-

Tu

co' Ile tei

mani

farrai un[o]

gran danno
(st.

7*);

mai non so' pusati de piangere et de suspirare mai non so[no] pusati) (1. de suspirare et piangere no' avea[n] n chivelle pi figlio n figliola
(st.

9*);

Per ridurre quindi a


il **

sei

versi delle strofe 24* e 28, bisoal

gner neir una togliere

verso che

Percopo sembr
il

un'ag-

giunta posteriore e pu

infatti

esser stato suggerito dal contenuto


^^

delle strofe precedenti, e nell'altra eliminando

che

si

legher

piuttosto con la strofe seguente,

come vedremo.

73

tucta gente
figlici

un sou

ademando' se Il'o veduto vando e' hanno perduto et no' n'o novella
(st.

IO)

Appresso

alla

santa ecchiesia

bero trovata
(st.

Il**);

Cercando gimo

un

figliolo

per cortesia se Ho avete

veramente veduto in fine


(st.

12)

A
la

quisto lulian

domna

che cercando gimo ? de Galitia se avia inmantenente


(st.

13);

Li pellegrini snno
e
Ilo

stanchi dello andare


et

nemico, ch' malvascio

ogni mal sa fare


(st.

14'*)

Tu

vai

ad cacciare

et

moglieta

se jace con

un tou
;

famigli,

prisu

uno omo

et tolto

osello per

amico
(st.

su nellu lectu tou

jaccio' in sollaccio et stravilj


15*);

Et uno

homo

et

una donna
in

vede

in

presente
(st.

i6a);

Con multe domne inseme


Parremo
fare punti

sou compagnia
(st.

17*);

et hospital!

veramente
(st.

20*)

et poveri vi fece

ad onore de Cristo
Dell'altri

sempre abbergare padre omnipotente


fst.

21)

panni fecea

lenzi senza sogiurni.

Chiama

luliano et fal

levare et poy

li

mustra
(st.

22)

albergar per lu sou amore. Che omne povero volea Infra quisto tempo fo multo convertuto.
Li angeli et
li

arcangeli

fro a llui confortu,

poi lu portro

nella gloria con saluto


(st.

26*^).

Tanta abbondanza di veri e propri alessandrini, o di versi che facilmente si riconducono alla misura del settenario doppio, farebbe pensare che appunto di alessandrini a rima
alternata fosse nel testo primitivo la fronte di ciascuna stanza
;

74
e
fronte,

sono stato tentato anche a provare se tra i versi della che ora ci appariscono come endecasillabi, o almeno pi vicini a questa misura che ad un'altra, ve ne fossero
che potessero senza gravi mutazioni allungarsi ad
alessandrini. Cosi
sto senso
si si

di quelli

ho constatato che una restituzione


anzi
fatti

in que-

otterrebbe con facilit;

dir d pi,
di

che

a tentarla

sarebbe sospinti da due


:

una certa im-

portanza, ci sono

i'^

che non pochi di questi creduti endesillaba,


es.

casillabi crescono di
la

qualche

pur senza raggiungere


Ilo

misura dell'alessandrino
st.

(p.

sou patre
12^

tio

ne

sappe novella,
st.

<f.

Una dompna

nauti l'uscio se sedea,


st.
;

11^

Li peregrini respusero mantenente,


ad cacciare
il

Un om
cesura

ge7itile corno

gito, st. 13^ ecc.)


il

2^

che

la

principale, o per

ritmo o per
il

senso, cade spesso in

modo

che, mentre considerando

verso

come endecasillabo non

sarebbe ritmicamente regolare


invece a dare
al

primo o

al

ma ad accenti spostati, viene secondo emistichio la forma di


nel

un

perfetto settenario (p. es.

primo emistichio: luliano

semmulto dolente, st. 18*, Et poveri vi fece fo allora pre abbergare, st. 21^ nel secondo emistichio Quando nacquinon e Ih sou patre sti figliai siate ad mente, st. 9^
;
:

ne seppe novella,
nente,
st.

st.

9^

alla
la

soa casa

tornare inmantest.

16^; Eccole

dopna soa che appare,


st.

17*;

lu liana fece
se refisse,
st.

subitu la ho spitale,

21^

luliano

allora

23*).

Se non che, ove una cotale restituzione poesercitazione di critica del testo,
s

tesse passare

come innocua
;

temo che non sarebbe riconosciuta per


acquisito e incontestabile
e per

come

risultato

me
:

ne passo, per reveren-

ziale ossequio alla lettera del codice

ma

per questo stesso


for-

sentimento insister invece nell'opinione, che mi sono

mata esaminandola, che


ciascuna sestina. Qui
la

veri e compiuti alessandrini

si

pre-

sentano dalle trasfigurate

sembianze delle coppie

finali di

prevalenza del settenario doppio nel

testo conservatoci dal codice napoletano

non pu seriamente
forse

essere contestata, sebbene in

alcune poche strofe la forma


;

sorvissuta sia di schietti

endecasillabi

perch a

tale

misura gi

versi primitivi erano stati ridotti dal rifacitore

75
del testo

pi

antico, intento a

preparare

la

foggia definiil

tiva dell'ottava rima, ch'ei voleva dare a tutto

poemetto.

Ad

ogni

modo

riproduco qui

distici

di

chiusa delle sinbiso-

gole strofe, con i facili emendamenti necessari, dove gnino, per ricondurre i versi alla giusta misura
:

Mi

[toa

madre]

et tou

padre

[un giorno] Deciderai


(st.

e questa [rea] ventura

fugir[e] no' porrai


7^);

Loco prese mogliera


[i]stando riccamente

[et visse] a grande onore e [in stato] de valore


tst.

8*);

Lu padre

co'

Ha madre

[parlando] disse: Intando

or[a nui] per lu

mondo

randa[re]mo cercando
(st.

9)

Inzero allu apostolu


[e

[lacobu] gloriuso
all'aitar

ricchi doni] offersero

sou pretiuso,
(st.

IO)

[disseli:]

'

Donne

sete

[o] vui, genti cortisci?

[ditemi] quanto snno

iontan vostri paisci'


(st.

II*)

Nelle vostre contrade elio [per lo] sou nome

o nel vostro contado: se chiama luhano,


(se.

12*)

[Ella]

li

pellegrini

[se]
[a

pesce, carne et ova

mano, prese per quel]li puse ad mano


la
(st.

13 );

Re[se]meglise

[in tucto]

a luliano ne and[e]

ad un sou caro amico, quil[io] falzo nemico


(st.

14*);

Quasi per amor stando [se] Intando luhano


Caccia

morti et trangosciati.
fo forti corrocciato
(st.

15*);

la

spada

et sci-Ili

decoll, a no' mentire;


16*)

luhano intando
'

se volse [de]partire
(st.
;

Agioli a mi'

[la

'

so' tou patre et

donna] toa matre

disse umile et piano,

venuti ad
(st.

mano ad mano'
17*);

forse meglio

//

puse ad mano [ad mano],

cfr.

strofe 17'.

76
che con un fameglio mio patre et mia matre
[et
ella]

jacea in lectu
<st.

morto sensa defectu


18)
;

Disse a luliano

['or] no' te sconfortare,

[piuttosto] a penetire

tostamente ten vane


(st.

iga);

[cosi] Cristo

de celo

ce aver ad perdonare,

[e noi] in quisto

mundo
capu
poveri

ne verremo a salvare
(st.

20);

[aveva] collu
[e] co'
ll[i]

[et]

[tuctu] ructu et legatu,

altri

dentro fo abbergatu
(st.

21)

che

lui

[l'

uscio]

li

apresse

c volea caminare,
22);

c lu jurno chiaro

per tucte le contrade.


(st.

de no' abbergar pi[e] da cel se mosse Cristo


[Respuse :] O pellegrino, c [eo] per nullo modo
'

poveri in quill[o] anno,


[lu]

Salvatore intanto
(st.

23);

vanne

alla

tua via
24)

no' te albergarla
(st.
;

luliano de fore
[et]

ad guardar

fo uscito

no' vede romero

n [vede] pellegrino.
(st.

25)

[In]nanti stava
l

ad Cristo e a [tucti] l'altri sancti [lu signor] tucti quanti dove ce conduca
(st.

26a).

Se
che
il

si

ammette adunque, come a me pare

esser

lecito,

testo originale della

leggenda di san Giuliano fosse

di strofe esastiche,

con la fronte di quattro endecasillabi a coda di due alessandrini a rima baciata, anch'esso questo testo rientrerebbe nel gruppo di composizioni che per l'arcaismo del metro possono, come abbiamo veduto, essere risospinti al secolo XIII e di questa maggiore
rime alternate, e
la
;

antichit alcun indizio potrebbe rintracciarsi anche in qual-

che idea ed espressione del verseggiatore meglio conveniente a quel secolo che al seguente: per esempio l'epiteto di paterino (stanza 4*), con senso ingiurioso generico,

dovette

77
essere pi frequente allorch
quell'eresia

era ancor viva e


il

presente

cosi Sancto lacobo per designare

celebre san-

tuario, senza la specificazione di


ci

Galizia o di Compostella,

richiama

al

tempo

in

cui

il

pellegrinaggio a quel luogo


fosse

santo era pi usuale che non

poi

nel Trecento

'
;

pi caratteristico ancora

il

farrmo fare

punti

et

hos pial-

tali, ove

il

ricordo di una forma di beneficenza pubblica

assai pi antica del secolo

XIV, che

in questo

sarebbe

trettanto agevole

il

raccogliere esempi di ricchi privati foni

datori di ospizi per

pellegrini o per gli

ammalati quanto
nel Trecento, e

sarebbe

difficile
il

il

rintracciarne pur
ai

uno

di erezione di ponti
:

per agevolare

cammino

pii

viandanti

anche prima, gi i ponti sui torrenti e sui fiumi si costruivano in muratura e si mantenevano e guardavano a spese pubbliche, da Comuni e da Signori, cessata del tutto l'usanza
pi remota che per iniziativa privata aveva
ponti di legno e
passarelle
fatto

sorgere

per dare

pi facile accesso ai

luoghi sacri.
Dall' insieme delle osservazioni
fatte

sinora risulta,

per

raddurre
per tutto
del

la
il

materia trattata a una sommaria conclusione, che


secolo XIII
e fors' anche

per

primi decenni

XIV

fu in

uso in

Italia,

adibita specialmente per

posizioni
strofe

di natura

didascalica

o narrativa,

comuna forma di

decasillabi,
il

composita di alessandrini o altri versi doppi e di enla quale vari nel numero dei versi, ma ebbe

carattere costante di divisibilit, svolgendosi in

una fronte

una coda formata dai versi brevi, con una rima per la prima parte e un'altra per la seconda. Negli esempi pi cospicui di questa forma indubcostituita dei versi lunghi e in
1

la

ovvio ricordare
stratto

il

passo di Dante,

l^iia

nuova, cap.

XL

in

modo

non s'intende peregrino se non chiunque va


Iacopo o riede
in
;

verso

casa di sa'

ma

gi nella ulteriore
si

spiegazione ch'ei d di cotesta accezione del vocabolo

intro-

duce

il

ricordo della regione,

Galizia,

per che
st.
2<>

la

sepultura di sa'

quanto vanno a la casa di Iacopo fue pi lontana ecc.


loc. cit., si
.

Invece nella Istoria Sancti Atitonii, edita dal Novali,

ha nella

Sancto lacomo promese d'andare

78
biamente praticato
il il

principio della identit di tutte le strofe,

modo che schema ma


in
;

tutto
vi

componimento

si

svolga sopra un unico


in cui le condizioni

anche qualche caso

non ci consentono di affermare ci che pure molto probabile, e certo poi prevalente, vale a dire che l'ossservanza dello schema
del testo, alteratosi nella tradizione orale e scritta,
fosse

una norma assoluta.

XIII.

Ritornando ora
rare che
il

al

Ritmo casinense, dobbiamo consideci

testo di esso, quale

stato

conservato dal-

l'unico manoscritto, consta di

dodici

strofe:

solamente

la

met* hanno lo schema uniforme,


tonarli) e
tre brevi

tre versi

lunghi (doppii otnel

(un ottonario e due endecasillabi),


gli

quale per lo pi l'ottonario che precede

endecasillabi
1'

rimato con
ficio di

gli

ottonari antecedenti, 2 quasi facendo cosi


1'

uf-

collegare

una parte con

l'altra della strofe.

Nell'altra

met della
di

strofe ci si presentano,

sempre stando
lasciando stare

al manoscritto, la st.
II

delle differenze

assai

forti

mancante
si

un emistichio del terzo verso, pi gravi

lacune
duti in

ci

offrono in altre strofe, che due versi sono perle st.

entrambe

nella XII. Per contro nella

pi versi, perch nella


narli

X e tre nella VII e forse anche IX c' una sovrabbondanza di prima parte si succedono nove ottoe
in

con

la stessa
il

rima

luogo dei

sei

che basterebbero
potrebbe pensare

a formare

ternario di versi doppii.

Si

d'aver qui,
logico,

come il D' Ovidio, per ragione dello svolgimento ha pensato della st. V, sebbene sia mancante di due
le st.

'

Sono

I-IV, VI, VIII.

Il

verso che precede


v.

due ennelle

decasillabi
st. st.

non

ottonario nella lezione

data dal ms.


Il
4**

II,

IX, X, XI,

ma

cresce di pi sillabe.
solo
i

manca

nelle

V
*

e VII. La st. XII ha La rima del 4<^ verso


st.
I,

primi tre versi.


uguale a quella

uguale a quella dei tre precedenti


(?)
;

nelle

III,

IV, VIII,
II,

IX

degH ende-

casillabi finali nelle st.

VI, X, XI.

79
versi,

una contaminazione

di

due

strofe

originarie

in

una

sola

ma contro questa ipotesi si affaccerebbe una difficolt mio avviso insormontabile, che si sarebbero susseguite due strofe con la medesima rima {-aia) nella fronte ci che contro la norma osservata in tutto il ritmo, ove la rima della fronte svaria sempre da strofe a strofe. Pi im:

porta osservare che questi versi,


st.

quali

si

accavallano nella
:

IX, non danno un senso sicuro e accettabile


la lettera del
si

per quanto
sottili

si sforzi

codice,

per

quante remote e

significazioni

vogliano escogitare, c' sempre qualche cosa


:

di impenetrabile in queste parole

Ei parabola dissensata
obebelli n'ai nucata

tia

quantu male fui trobata bidanda scelerata?

obe l'ai assimilata? bidand'abemo purgata

perfecta binia piantata

de benitiu preparata, de tuttu tempo fructata en qualecumqua causa delectamo


tutta quella binia lo trobaio

eppure de bedere

ni satiamo.

Nella strofe precedente


l'orientale, chiedendogli

l'occidentale

si

era rivolto

al-

spiegazioni
dai suoi

sulla

condizione della
in

vita praticata
stesse

da

lui

compagni,

che consisi

insomma

la loro felicit,

e in particolare se

cibas-

sero di vivande cosi gradite al gusto corno

queste nostre

saporose. L'orientale, tutto infervorato del proprio misticismo,


si

sdegna a

tale

domanda, poich

la

sua vita non


il

sostentata dai cibi terreni,

ma

dal

solo

cibo spirituale,

pan

degli angeli, quello delle sante ispirazioni che venIn sostanza egli vuol dire che parlandosi della

gono da Dio.

vita mistica e contemplativa

sioni proprie della vita attiva e

non si hanno a usare le esprescomune, e che quindi un


pienamente ha il

non senso

il

parlar di vivande a proposito di chi nutrito

dalla vigna del Signore, ove trova ogni felicit,


sodisfatto della sola contemplazione. Cosi
il

concetto

suo pieno svolgimento e


se
si

la

sua naturale espressione, anche


lezione

riduca
:

la strofe

qaesta

pi

semplice e re-

golare

8o
Ei,

paraola dissensata!
l'ai

obe
de

assimilata!

quantu male fui trobata! Bidand'abemo purgata,


perfecta binia piantata

d'ab enitio preparata,


tuttu

tempu fructata. En qualecumqua causa delectamo,


e ppure de bedere 'nei saliamo.

La eliminazione
zioni che
si

del verso dato per secondo


di

dal codice

non mi sembra che superi


con essa
rioso
^
;

audacia tante altre emenda:

si

sono riconosciute necessarie nei testi antichi mezzo anzitutto un emistichio mistepoich, pur riconosciuta in obebelli una delle fortoglie di

mazioni avverbiali proprie della pi antica lingua volgare,* non si sa poi qual senso attribuirle qui, dove non conviene
e rimane impenetrabile
letto

n quello di da per tutto n quello di in nessun luogo , il significato di quel nodo che segue,

nai micata, ma ove potrebbe anche vedersi scritto nai nu cala o forse meglio nai ini caia. Intanto notisi che gli ultimi due gruppi potrebbero essere stati scritti invece di mi lata e il nai invece di lai e che un copista, non certo
diligentissimo, quale ci appare quello del codice casinense,

gettando l'occhio sopra un gruppo di lettere che dicessero


obe
al
lai,

pot ben intravedervi un


io persisto

obebelli,

parola gi in uso

suo tempo. Insomma

a credere che l'emistichio

obebelli ?iai

nucata o mi cala sia un'erronea trascrizione del


si

vero testo obe lai assimilata e che perci


nare, insieme

abbia da elimi-

con la tia bidanda scelerata, l'aspetto di una glossa, scritta in margine terlineare dell'esempio donde fu riportata sto a noi pervenuto, per una svista, come
in altri codici, del distratto

che ha piuttosto o nello spazio


tante ne
in-

nel corpo del te-

abbiamo

copista.

Ad

ogni modo, senza

turbare, anzi assicurando

il

senso a questi versi, noi veniamo

Cosi giustamente

il

Cfr. avelie degli Aretini,

D'Ovidio, p. 159 chiama il nai nucata. secondo Dante, De vulg. eloq.


;

(cfr.

meridionali indicati dal


sanit.
;

D'Ovidio, Versificazione, p. 546) uelli Mussafia nella nota al


chivelli,

uveiti dei testi

v.

zoo del Reg.


alle

forme che rivengono a ubivelles ; analoghe


quebelti ecc.

pronomi-

nali covette,

8i

a restituire la regolarit dello schema strofico in un passo, che altrimenti resterebbe incomprensibile come incompren;

sibile

il

verso endecasillabo
tutta quella binia lo trobaio

che, nel manoscritto,

si

viene a intromettere

ai

due della
il

chiusa,

quali invece stanno cosi bene appaiati e portano

discorso in un ordine pi alto d'idee, dopo la sfuriatella contro le

cidit

vivande dei miseri mortali, esprimendo con molta lur idea della perfetta sodisfazione d'ogni desiderio nella purit della contemplazione
:

en qualecumqua causa delectamo


e ppure de badare 'nei satiamo.

La convenienza di questa emendazione raffermata dal convincimento che nel ritmo casinense, se pur vogliamo ammettere col D'Ovidio che vi siano
delle
il

deviazioni

dallo

schema
strofe
I,

strofico prevalente (quale


III,
II,

anche

codice lo d nelle

IV, VI, Vili, e quale ben poteva essere nelle

lacunose

V, VII, X, XII), questa anormalit non debba

estendersi al

numero

dei versi

arriverei a riconoscerla nella


la

corrispondenza di rima del verso breve, intermediario tra


fronte di tre versi doppii e la

coda

di

due endecasillabi, sebcasi,


II,

bene

la

discordanza limitata a quattro


cogli endecasillabi
(st.

nei

quali

tale

corrispondenza
III,

VI, X, XI), possa


altri

indurre a legittimi sospetti di fronte agli


IV, Vili, IX) e forse pi
(st.

cinque

(st. I,

V, VII e XII mancanti di


la

tale verso) in cui , o

poteva essere, legato per

rima

ai tre

La funzione di codesto verso intermedio essendo quella di un collegamento ritmico tra le due parti della strofe, pot ben parere indifferente al rimatore il farlo
versi della fronte.

corrispondere per rima coi versi precedenti o coi seguenti.


Pi
diffcile

circa la misura del verso

parmi ad ammettere una consimile indifferenza gi abbiamo notato che nelle pi


:

delle strofe, in cui sopravissuto,

il

verso della quarta sede


st.
I,

appare ottonario; esattamente nelle


facile

III,

VI, VIIL IX,


il

a ridursi nella IV {addemandayuse presente


Studi di poesia antica.

ms., deman-

C ASINI,

6.

82
daruse
il

D' Ovidio)
II,

meno agevole

pare

il

restringerlo a tale

per fegura, anzi il D'Ovidio ne ha fatto un endecasillabo, ao-iidf nova dieta per fegura,^ come il corrispbndente della st. X, hotno ki nimm beb ni manduca
misura nella
aio nova dieta

nel ms., secondo


beb ni manduca,

il

D'Ovidio

piuttosto

ca homo ki nni

mentre forse potrebbe parere pi ov\o il farne un ottonario mediante una lieve amputazione, che non altera minimamente il senso,"- leggendo ki nni beb ni mansente non
st. XI, homo ki fame unqna non dove per la sua stessa lunghezza eccessiva anche rispetto alla misura endecasillaba necessario ammettere delle interpolazioni il D' Ovidio lo trasformerebbe in un doppio ottonario homo ki fame non sente, tinqua 71071 siziente, sebbene quanto alla qualit della rima e alla duplicit dell'ottonario nel rimettersi che fa a ci che aveva detto per altri versi ^ non nasconda, almeno a me cosi

duca. Resta quello della


sitiente,

Il
:

D'Ovidio,

p.

124, tra le altre ipotesi plausibili affaccia

supporre che azo sia un rimasuglio del superiore emistichio mancante, ed il io [cio questo v.], riducendosi, ottonaquesta
rio,

a iova dieta per fegura, sia


il

come un'apposizione a

quella

scriptura di cui parla

9. Credo che l'ipotesi ingegnosa sia


;

la pi accettabile di tutte

lacuna del

v.

9;

si

anche perch aiuta a compiere potrebbe sospettare qualche cosa come


:

la

ca a scriptura be'

mme

piaccio

e ajo [facto per solaccio]

nova dieta per fegura.


*

Ki

= colui che = omo


: :

ki (che).

D'Ovidio, p. 172 mi rimetto a quel che dissi pel io e a quel che si vede nel 42 . Ora, parlando del v. io (a p. 123) il D'O. aveva notato Nell'undecima [strofe] il terzultimo verso probabilmente un quarto ottonario doppio, bench storpio, e ci d due rime uguali a quelle dei due versi di chiusa . E una constatazione di fatto del fatto cio che il ms. ci d il quarto verso in-forma anormale: e d occasione a ripetere che l'autore del ritmo si lasci andare a deviazioni dallo schema adottato. Quanto al v. 42, poich il D'O. d questo numero a una linea di puntini, che segnano un verso mancante (p. 147, cfr. p. 215), io non intendo a qual luogo del suo commento egli abbia in3
;

teso di riportarsi.

83
pare, una qualche incertezza
:

per,

poich in ogni caso su


per racconciarlo in un

questo verso

si

ha a metter

la

mano

modo

o in un altro, preferirei di ridurlo alla misura del semki

plice ottonario rimato regolarmente con gli endecasillabi di

chiusa, per esempio cosi

fame

e sete
il

non sente ; anche permandi-

ch sarebbe pi pieno e preciso


care e bibere niente.

parallelismo con

Nella restaurazione, adunque, del ritmo casinense sar in

genere da seguire un criterio intermedio tra l'osservanza rigida e assoluta dello schema metrico quale ci si presenta
nella

prima

strofe e la possibilit di deviazioni

che non co-

stituiscano veri casi di anomalia metrica. Posto ci, e accettato

pienamente quanto
ritmo
i

alla lingua,
risultati delle

e quindi anche

quanto

alla patria del

indagini

spiegazioni

del D'Ovidio, il quale vi riconosce i zona laziale-marchigiana -abruzzese,

caratteri idiomatici della

dovr pure

servir

di

norma

nella

restituzione

critica

Io

svolgimento logico del

componimento.

un

dialogo

(st.

V-XII) preceduto da un
I-IVj
;

prologo narrativo e dottrinale


duttiva parla l'autore,
il

(st.

nella
agli

parte introuditori
ri-

quale rivolgendosi

chiama

la loro attenzione sull'argomento,

che una specie

di confronto tra la vita terrena o pratica e la vita spirituale

o contemplativa, un confronto in cui


intorno alla vita dei sensi
quella dello spirito
:

si

propongono dubbi

si
si

derivano insegnamenti da
sente animato di

il

poeta

buon

zelo
i

per l'ammaestramento dei suoi ascoltatori, per illuminare


quali

ha

attinto
la

si

tenuto stretto a una

scriptura

traendone

materia di questo suo poemetto, che ha in s


:

una

novit, qualche cosa di insolito

nova dieta per fegura, ke da materia no se transfegura [ma k]e coll'altra bene s'aflfegura.

Primo
cilmente

il

Novati tent
:

la

spiegazione di questi versi dichiasi

randoli cosi
;

Il

concetto del poeta

afferra abbastanza fa-

che ha da esporre nuovi detti i quali, sebbene siano da intendere figuratamente, pure non s'alegli afferma

84
lontanano dalla materia presa a
si

trattare,

ma

con essa bene

confanno .^ Il Torraca,* modificando il testo secondo che a lui parve pi conforme alla grafia del codice,
ke da materia no s'entra
se coU'altra
'n

fegura,

no bene

s'affegura,

spieg invece
se
ria

non si coglie esattamente il senso riposto non paragonando diligentemente la lettera con 1' allegobisogna che la figura si confronti bene con la mate:

ria, e gli

parve che tale interpretazione fosse confortata

dalle parole di

Dante con ci
Il

sia

che

la litterale

sentenza

sempre

sia soggetto e
.*'

materia dell'altre, massimamente del-

l'allegorica

D' Ovidio, senza allontanarsi

troppo dal

codice, accettando
interpret
:

un complemento introdotto
;

del

Boehmer,

nuovi detti di senso figurato

d'una figura per

che non

si

strania dal senso letterale, anxi l'uno con l'altra

stanno insieme ottimamente .*

mi domando dove mai 1' allegoria il dialogo ? dove quella serie continuata di traslati intessuti in modo da enunciare e svolgere tutto un complesso di concetti morali ? dove insomma la fisionomia essenziale di un genere cosi caratteristico, la fisionomia che cosi ben determinata, per esempio, nel RuscelSta bene
;

ma

io

nelle strofe contenenti

letto

orgoglioso del Testi o nello Stivale del Giusti

Io leggo

e rileggo le strofe del dialogo, e vi trovo dapprima l'incontro dei

clu, sci llu spia) ; poi,

due personaggi descritto con tratti realistici falsa l'ocdopo le prime parole di saluto e le
1.

NOVATI,

cit.,

p.

125.

TORRACA, 1. cit., p. 150. ' Dante, Conv., II, i. * D'Ovidio, 1. cit., p. 180: cfr. il commento analitico a una parabola che consiste nel narrare un incontro tra p. 125 due personaggi che dopo scambiatesi notizie e cortesie s'infor*
:

mano
col

a vicenda sulla loro dimora e sul rispettivo


mistico,

modo

di vi-

vere, l'uno goloso, l'altro

suo senso

letterale, dal

pur suo senso morale ed allegorico, che


s'

ben poco
.

allontana,

il

divario tra la vita presente e la futura

5
prime domande generiche su la provenienza e lo stato dell'uno, si svolgono in primissimo linguaggio letterale delle domande e risposte, in modo che l'occidentale, in sostanza,

non esprima alcun concetto


si

oltre questo, se e quali

vivande

usino nella sede del

suo interlocutore, mentre alla sua

volta l'orientale null'altro gli espone

suoi

se non che egli e i compagni non hanno alcuna necessit di mangiare e di


felicit

bere, perch tutto ci che bisogna alla loro

lo tro-

vano nella vigna del Signore, nella contemplazione della divinit. In tutto questo di allegorico non vi che questa povera vigna la quale fin da quando l'evangelista Giovanni, richiamando le terribili invenzioni di Isaia e di Geremia,^ ne aveva esaltati i tralci fecondi,- si prest assai bene a rap;

presentare la vita perfetta della dilezione divina in contrap-

posto alla misera vita dei sensi, tutta di tralci che

si

dis-

seccheranno e saranno buttati sul fuoco.


lico della
i

Il

concetto simbotutti

vigna del Signore era cosi trasparente che per

cristiani dell'evo

medio non aveva bisogno


^

di

dichiara-

zione alcuna: dalle scuole teologiche per la via della predi-

cazione era divenuto popolare

e avrebbe fatto

ridere chi

con tanta pompa


si

di

proemio, quale nel ritmo casinense,

fosse accinto a darne la dimostrazione.

dieta
rico,

Vero che nova per fegura potrebbe intendersi in un senso pi genecome sembra che faccia il D'Ovidio; cio un nuovo

in linguaggio figurato, con abbondanza o frequenza almeno di traslati e di figure in genere non sarebbe stata certo una grande novit, perch di cotali colori retorici era piena la poesia insegnativa del medio evo si che il nova dieta dovrebbe assumere un significato speciale, quasi l'elaborazione di un argomento qualsiasi in lingua volgare, in antitesi alla scriptura che sarebbe stata la fonte latina. Ma allora a che fine tutto quel giro e rigiro di pen-

poemetto

Isaia, V,
Cfr.
il

e segg.

Geremia,

II,

21.
1-6.

2
^

vangelo di Giovanni,

XV,

tirica

Basterebbe a provarlo, se bisognasse, la trarnutazione sache l'idea della vigna sub nella leggenda riferita a Pier

della Vigna.

86
siero
e
di
?

parole

imperniato
direbbe

suli'
il

idea fondamentale della

fegura

La
fa

figura,

poeta,

non

si

dissomiglia

dalla materia trattata,


la

ma

bene
si

la raffigura,

la rappresenta,

esprime
il

venire in mente la definizione dell'Aquinate,


dice
il

secondo

quale quando
la

braccio di Dio

si

ha

da intendere
il

sua virt operativa, perch la figura non

senso

letterale,

ma

ci che figurato .
il

'^

Ma

ci

dovrem-

mo

incontrare, leggendo
traslati
;

ritmo, in una serie quasi conti-

nuata di

e invece, a farlo apposta, vi una grande


del

prevalenza del linguaggio proprio,


'nmiebe cend' flagello
{et

senso

letterale.

Nel
'ncasi-

prologo, vero, abbiamo alcune metafore ('n altu me


stello
;

lummaria
;

faccio) e
nel

una

militudine

arde la candela ecc.)


le
toe dulci

poi

dialogo, che
si

procede serrato e stringente,


fanno sempre pi rare
pio di metonimia, se
:

forme del parlar figurato

le

abelle
le

saranno un esemcose delle quali


dire
al-

si

intendono per

aveva favellato l'orientale;

ma non
se,

crederei lecito

trettanto delle bidaTide amorose,

come non par dubbio,


concreta,

non

c' qui

il

trapasso dell'idea astratta alla

ma
dice

semplicemente un'accezione propria, nel senso di gradevoli,


gustose, amabili,

come

dei vini
strofe

si

diceva allora e

si

anche adesso. Ci sono nella


tutte di seguito,

IX

delle esclamazioni, tre

per esprimere un pensiero concitato di sde-

gno

e passino pure anch'esse per


il

una figura
studiato,

retorica, n.a

quale parlare umano, anche

meno

ne pu far

senza

cosi

si

arriva alla fine con quella lanta gloria in

cui sedete, dice l'occidentale

pensando
tanto

ai

contemplativi, che
nel linguaggio

sar anch'essa una figura,

ma

comune
in s

dei mistici e dei teologi da


larit di

non avere

nessuna singopar-

colore retorico. In conclusione,

non mi pare amil

missibile che l'autore del ritmo intendesse di vantare


lare

sagmato
si

di cui

avrebbe adornato

il

suo detto n che

questo

svolga per via d'imagini,

ma

piuttosto con

una

so-

stanza di linguaggio proprio, che ben conviene al fine didascalico e morale. Per

me

la figura c'entra nella novit pro-

'

Summa

theologica. Parte

I,

qu.

i,

art.

io.

87
clamata dei ritmo
uditorio.
;

ed
di

la

rappresentazione figurata,

della

quale l'autore intendeva accompagnarne


In

la recitazione al

suo

pergamena da dispiegare via via, o in tanti quadretti disposti sopra un tabellone per additarli mano mano che la recitazione procedeva, egli doveva essersi fatto dipingere delle scene allusive ai vari momenti dell'azione e del dialogo per esempio i due viandanti, che si avvicinavano da parte opposta il loro incontro e le sa:
;

un rotolo

lutazioni

il

loro sedersi a conversare


di beati nella gloria

la

vigna del Signore

una corona

eterna.

Anche oggi

pi spesso un quarto di secolo


po' scadendo,
nelle

fa,

che

1'

usanza venuta un

ma non
i

spenta del tutto

le

nelle citt e

campagne
con
la

cantastorie

accompagnano

loro recita-

una rappresentazione figurata dei momenti salienti del fatto descritto io ne ho visti in tutte le regioni d' Italia, e cotesto uso, anche per il persistere dei motivi icastici arcaici e grotteschi, deve risalire ad et molto remote. Certo doveva essere molto frequente nel medioevo, poich fu applicato anche ad opere di carattere letterario basti citare il poema storico di Pietro da Eboli, nel quale ad ogni capitoletto corrisponde una grande miniatura illustrativa, che in uno e pi quadri rappresenta le diverse fasi dell'azione descritta nei versi latini:^ persino quel capo ameno di Boncompagno da Signa quando volle spiegare al
zioni

esibizione di

lettore della

sua Rethorica antiqua quella bestiaccia

dell' in-

vidia, la fece dipingere sulle

membrane
i

del
i

suo libro in

figura terribile perch pi facilmente


e
i

contemporanei

posteri potessero evitarne

dardi avvelenati;'^ un dei

primi anelli di quella catena di figurazioni allegoriche corrispondenti a un testo poetico, di cui abbiamo tra
il

secolo

^ Si veda l'edizione procurata da E. Rota del poema De rebus siculis nella nuova pubblicazione dei RR. II. SS. del Mu-

ratori,
*

tom. XXXI, parte

I,

Citt di Castello, S. Lapi,

1904.

Proemio

al Boticoinpagnics in
,

L. Rockinger, Briefsteller
128 e segg.

und

Fornielbiicher

Monaco

1863, pp.

XIII e

il

XIV un esempio
di

insigne nel

Trionfo

d'Amore

di

Francesco

Barberino.

XIV.
L' illustrazione figurata, che a
sersi

me sembra

manifesto

e.s-

dovuta accompagnare
e specialmente

alla

recitazione del ritmo

casi-

nense, pu spiegare anche pi altre particolarit di quel testo,


i

rapidi trapassi da

una parte a un'altra

del dialogo, e l'indeterminatezza di qualche espressione, che

restava chiarita dall'esibizione icastica.


fatto isolato,

N
il

pot

essere un

perch per natura sua rispondente a un bisogno

degli uditorii plebei,


di
;

come ne

attesta

persistere secolare

una simile usanza anzi a me pare che in un altro documento poetico dei pi antichi della nostra letteratura volgare sia anche pi chiaramente accennata tale costumanza. Trattasi del Ritmo di sant'Alessio, la scoperta del
quale dovuta alle
felici

indagini di

Ernesto Monaci, che

ne ha dato una fedele riproduzione eliotipica e diplomatica,

non una sobria,

ma

accurata illustrazione paleografica,


trovato
in

filo-

un codice ascolano dei primi decenni del secolo XIII, pu entrare in gara di antichit col casinense, col quale ha parecchie conformit, tra l'altre questa di esserci stato conservato da un manoscritto gi appartenuto a una casa benedettina, il monastero di Santa Vittoria in Montenano, nella diocesi di Fermo, una propaggine e dipendenza della celebre abazia di Farfa.^ Il
logica e critica.^ Questo ritmo,
1

Cfr.

A. Zenattj, nella Rivista

d' Italia,

a.

1901,

voi.

II,

pp. 496 e sgg. 2 E. Monaci, Antichissimo ritmo volgare sulla leggenda di


sani' Alessio, nei Rendiconti della r. accademia dei Lincei, classe
di scienze morali ecc., serie 5^, voi.

XVI

(1907), pp. 103-132.

11

{&c%\va\^&nQ\V Archvio paleografico italiaw, fase. 27, tavole 33-35.

Alcune emendazioni

critiche

di

A. Thomas,

nella

Romania,
ricca

XL,
3

157-

Sopra

la

leggenda di

sant' Alessio

abbiamo ormai una

letteratura

(cfr.

H.

F.

Masmann,

Sanc' Alessius Leben, Quedlin-

89
ritmo fu trascritto da due diverse mani contemporanee con
caratteri di tipo notarile identici a quelli di alcune note

che
ri-

vanno dal 12 17

al
:

1225

ma

certo la sua composizione

sale pi addietro

La mancanza

nota

il

Monaci

di

ogni giusta divisione nei versi e nelle stanze, frequenti erlacune inavvertite, ripetizioni non giustificasempre pi confermano che il testo non originale, sibbene copia tratta forse da altra copia di gi deteriorata, e che l'originale dovrebbe essere stato abbastanza pi antico .^_ Se adunque dobbiamo ammettere una tradizione orale e scritta di una certa durata, saremmo risospinti almeno alla fine del secolo XII ma, pi che per la questione cronologica, da
rori di senso,
bili
;

tener presente tale circostanza per la critica del

essendoci stato conservato in

bisogno di
scenti.

testo, che una forma tanto alterata ha essere risanato almeno delle piaghe pi appari-

Anche
ci

in questo caso sar valido sussidio lo

schema
e gi
il

metrico, se

riesca di determinarlo

con sicurezza

Monaci rilev la sua conformit con il ritmo casinense, poich anche qui abbiamo delle serie di ottonarli monorimi chiuse da endecasillabi." La trascrizione del codice ascolano non ci porge alcun elemento per distinguere il principio di
burg, 1843

A. Amiaud, La legende syriaqite de saint-Ale.vis, DucHESNE, Les lgendes chrtiennes de l'Aventinn Mlanges d'archeol. etd' histoire, Parigi-Roma, 1890, tom.X, R. Renier, Qualche nota sulla diffusiune della legpp. 225-250
;

Parigi, 1889; L.

genda di s. Alessio in ad A. d'Ancona, pp.


SS.,
Tulli,
il

Italia,

nella Raccolta di studi critici dedic.

1-12.

Ho
il

tenuto a riscontro parecchie rela

dazioni della leggenda, e particolarmente


IV,
251-253),
di

latina

(in

Ada
(ivi,

ritmo del vescovo


testo edito
fonti,

Marbodo

254-256),

poemetto

Bonvesin da Riva,
(nel

ediz.

Bekker, e

la

leggenda volgare italiana


resto chi volesse risalire

ad

altre

da A. Tessier). Del ne veda 1' indicazione

data nella Bibliotheca hagographica latina dei Bollandisti, Bruxelles 1898, pp.
alla

nuova
I,
^

ediz. del

48 e segg. e nelle note dei monaci di Solesme Sanctuarium di B. Mombrizio, Parigi, 1910,

voi.

P- 621.
Ivi, Ivi,

p.

105. 106.

p.

90
una
strofe dalla fine di un'altra
1'
:

solamente dopo

la strofe

proemiale

inizio della narrazione,


II,

che coincide con quello


paraffa,
(III,

della stanza

segnato

da una

^o

che pi non

riappare

alcuni versi iniziali di stanze

VI, XIII, XIV,

XV, XVIII, XX, XXVI


maiuscola,
fico

ma
;

manca

e XXVII) cominciano con lettera maggior parte questo tenue indizio gramanca anzi pi volte anche il punto fermo in

nella

fine della stanza

precedente

e la

maiuscola appare poi in


48 Lauda, 74 timaudia La sponsa,
troppo

principio di versi
di

appartenenti al corpo della stanza e non


di

rado nel corpo


et Sainbici,

un verso
cosi che

(p.

es., v.

pani

93 vesperu Poi kinao,


;

1 1 1

120 mai

La
:

molg)

non da

fare alcun conto di

ci./ Pi utile

sarebbe un altro indizio se non fosse


l

sporadico

qua e

appariscono tracce di un collegamento

dlie stanze fra loro, in

un modo analogo a quello che


nei principio d'

fu

poi abbastanza usuale nella poesia amatoria cortigiana,! voglio dire

mediante

la ripresa,

una

stanza, di

parole o concetti occorsi nella fine della stanza precedente.*

un tenue Pio che bisogna non ma anch'esso non porge che un


sto

lasciarsi sfuggire di

mano,

aiuto molto scarso. Del re-

un primo punto si pu fermare come indubitabile, anche dietro un semplice esame sommario del ritmo la fronte
:

della stanza consiste in

un

tetrasticc di versi doppii, ciascuno

dei quali risulta dall'accoppiamento di

che

due ottonari, in modo susseguono non meno di otto ottonari monorimi se non che, nello stato attuale del testo, la fronte non semsi
;

pre intiera e qualche volta

il

numero

degli ottonari cresce.

Dove non
la

intiera

la

lacuna per lo pi additata anche


;

dallo svolgimento logico

dove

gli ottonari

sovrabbondano,
la direi irre-

questione pi complessa, e in alcuni casi


(st.

solubile o quasi

XIII, XVIII,

XIX, XXI). La riprendela

rejno in esame or ora,


Cfr. L.

ma

prima da notare che

coda

'

BiADENE,

// collegamento delle

stanze nella canz.

ital.,

Firenze, 1885.
; ; ; ; ;

* Cfr. vv. 48 e 50 69 e 71 105 e 106 118 e 120 56 e 57 126 e 127; 147 e 148: 154 e 155; 175 e 176; 180 e 183. Nelle st. IX, XI e XXI la ripresa sarebbe delle rime.

91

due endecasillabi, pi o meno cosi almeno nella maggior parte delle stanze (st. I-III, V, VII, IX, X, XIII-XV, XVII-XIX, XXI-XXVII mancano nelle st. IV, VI, XI, XVI) e dove la chiusa ci d versi d'altra misura, appare sempre necessario e quasi sempre riesce anche agevole il restituire l'endecasillabo (st. VIII, XII, XV, XX). Ma fra il tetrastico
della stanza costituita di
oscillanti,
i

quali

rimano

fra loro

iniziale e

il

distico finale, tra la vera fronte e la vera coda,


si

anche qui, come nel ritmo casinense, ci intermedio, quasi legamento tra le due

presenta un verso

parti.

Questo verso

scomparso per lacuna in parecchie strofe (st. II, III, IV, VIII, XV, XVI, XVII, XX, XXII e XXV) e in altre appare trasfigurato si presenta infatti in sembianza di doppio ot:

quella di I, XIII, XIX, XXI e XXIV) o sotto un solo verso breve (st. X, XIV, XXIII, XXVII) ma negli altri casi un vero endecasillabo (st. V, VI, VII, IX, XI, XII, XVIII, XXVI) ci che si pu dire costante la
tonario
(st.
; :

sua consonanza per rima coi versi della fronte, perch nei
pochissimi casi ove tale risponderfza viene a mancare manifesto
il

guasto della lezione e


offre facile e ovvio.

la restituzione

il

complesua imil

mento

si

Questo punto ha
e per

la

portanza, anche riguardo al parallelismo metrico tra


di sant'Alessio e
il

ritmo

casinense

mi

ci

fermer sopra

un momento/Il primo caso in cui il verso di legamento non rima con quelli della fronte nella st. VI infatti al tetrastico, che si svolge con otto rime in -ava,^ segue questo
;

verso

cui

nomen vocabatur Anglaes.


e
l
tali

Gi
il

il

Monaci avvedutamente ha osservato che qua


inserisce
addirittura,

rimatore, invece di tradurre,

e quali, nei suoi versi, parole latine che evidentemente erano

Veramente
:

i'

2"

emistichio del
.

4'^

verso nel codice

in-

compiuto
visionava]

e la molte visi.
il

dove da
30
;

restituire visi[tava],

come

suggerisce

confronto col

v.

ma

potrebbe anche esser stato

92
nel testo a cui attingeva.* Forse qui fu la singolarit
del

nome
zarlo

grecizzante che

indusse alla conservazione del testo


riusciva ovvio al recitatore
il

latino; a ogni
li

modo
al

volgariz-

per

li

suo uditorio,

come

notai facevano dei

contratti innanzi alle parti interessate, e naturale gli


la

veniva

rima suggerita da quella del tetrastico e dalle parole stesse


:

del passo latino

che per nome Anglas


Nella
st.

si

vocava.
al-

VII abbiamo una grande lacuna: mancano


degli
ottonari
i

meno cinque
la

che dovevano costituire


;

il

te-

trastico di versi doppii,

quali
il

coda, tre versi che per

rimano in -endo poi segue senso sono strettamente legati,

se

non che

il

primo, pur essendo quasi endecasillabo


e ll'unu e ll'antru

domi

attendet,

non risponderebbe per la rima ai versi della fronte se non si rettificasse, con lievissimo mutamento atto a restituirgli anche la giusta misura
:

e ir

unu

e ll'antru

donu attende[ndo].

guaio grosso

sotto la penna dell'amanuense un sembra che egli (o scrivesse a memoria o fortemente distratto), dopo aver omesso quattro degli ottonari della fronte, che rimavano in -atu, e il verso di collegamento, e scritti che ebbe i due endecasillabi della coda in

Nella

st.

IX avvenne
:

-ente,

si

riprendesse, e scrivesse col


i

verso di collegamento
^
;

di codesta stanza
^

due della coda della stanza seguente


Sono
(?)

Ivi p.

no.

nella

st.

IV, coronam habebat princi-

palem; V,
2

et iudicis

necessitate;

XXIII, in
i

ttto

domo XXIV-,
,

dispersit pauperibus divitia, in eternutn

natie t

sua

iustitia.

Dopo

la st.

IX

scrisse

e lu patre co' la

mamma lauda deu


;

ka bonum

foe lu 'nditiu

ket feu Cristu tantu de propitiu

e poco sotto, nella stessa pagina,


ket
Il

due

versi finali della

st.

cosi

lauda deu ka bonu


li

fo lo enditiu

fece

deu tantu de propitiu.


il

la?tda

deu dovette essere

generatore dell'imbroglio;

ma

an-

93
e
il

verso di collegamento della


e lu patte co' la

st.

IX diede

in questa

forma

mamma

lauda Dee,
:

da

restituire,

per ottenere la giusta rima, cosi


patre co' la

lu

mamm' Deu

laudatu.

Nella

st.

XXVI abbiamo

tre soli dei versi

appartenenti

al

tetrastico della fronte, cio sei ottonari che

rimano in -atu;

vedremo a suo tempo se e come si possa reintegrare il senso che resta dopo codesti tre versi alquanto sconnesso, per non dire interrotto, e notiamo che dietro ad essi vengono questi
altri,

che dovrebbero formare

la

coda:

ma certe de quantunqua ipsu mendicava multu pocu manicava, tuttu quanta si lo dava.
due endecasillabi finali sono facili a ricondurre alla giuspostando il soggetto ipsu e con una piccola aggiunta che precisa il senso ma il verso di collegamento dovr lasciarsi in corrispondenza di rima con questi di chiusa o
I

sta misura,

riportarsi

come

in tutte le altre stanze alle rime della fronte


:

Io

non ho dubbi su ci

tipo
bile,

un unico caso di deviazione dal strofico costantemente osservato non mi pare ammissiqui dove era tanto facile l'errore, in cui l'amanuense
collegamento della
st.

era caduto gi pel verso di


sostituire cio

IX,

di

una forma

una semplice, il propongo di leggere

tempo verbale composto con passato prossimo con l'imperfetto, e per


di
:

ma

[ket] ipsu

de quantunqu' mendicatu, multu pocu manicava, tuttu quantu [a li antri] si lo dava.


cert',

che un po' lu patre che soggetto del vb. lauda tanto nella IX che nella X sebbene nella IX il lauda debba ritenersi l'avanzo
;

del primitivo participio lauda [tu]

94
Resta il caso della st. XXVII dove alla fronte, regolarmente formata di versi che finiscono -and, -anno, succede la coda in questa forma
:

sicket certo tantu sarvio

puru et munnu et bellu senza vilio ket multu pl[acque] a ddeu lu so servitiu.
Qui, poich non pu esser dubbio che
il

verbo Servio appardi

tenga all'antipenultimo verso e non

al

penultimo, andiamo

bene per

la

coppia finale

ma

nel

verso

collegamento
la

manca qualche cosa


delle ultime

alla giusta

misura e manca poi

rima

coi versi della fronte.

Potrebbe esservi stata una inversione

due parole, dato che il verso originario fosse cosi che mediante la forma assimilata communisi sarebbe ottenuta la consonanza di rima (tannu canno : orando); se non che mancherebbe sempre un paio di sillabe alla giustezza dell'endecasillabo, e d' una sillaba
finito in Servio tantu
;
:

sovrabbonderebbe il verso se si considerasse come ottonario: ma pu darsi anche un caso diverso, cio che manchi alla
fine del verso

un gerundio, come
es.

tutti

quelli degli ottonari

precedenti
di guisa

p.
il

laudando,

pregando,

meglio amando

che

verso di collegamento sarebbe


ket certo tantu Servio [amando].
in
:

si

Siamo adunque
col ritmo casinense

un caso
la

di analogia,
il

ma non
;

di identit

in questo pure

verso di legamento

continua per lo pi

rima della fronte


si

ma

ottonario,
le

mentre nel sant'Alessio

presenta piuttosto sotto

sem-

bianze d'endecasillabo. Posto ci, ne verrebbe di conseguenza


che, dove cresce o cala di qualche sillaba, fosse da ricorrere
alla riduzione o all' integrazione congetturale
;

di

che vediamo,
;

se sia sempre possibile. Rifacendomi dai versi calanti


si

gi

integrato, col sussidio della rima, quello della

st.

XXVII,

ma

ve n'ha degli

altri.

Nella
si

st.

si

parla dell'educazione
tre soggetti diversi.

di Alessio e nel tetrastico

succedono

Infante, Deu, lu patre ; cosi logicamente e grammaticalmente


naturale che a

un certo punto

il

soggetto pi lontano

si

95
ripeta,

perch

gli
il

uditori

non possano aver dubbio


:

inte-

griamo adunque

verso di collegamento
[lu
flliu]

corno et qua!

conuscutu,

a hi fante preferendo lu
al

flliu, sia

perch meglio corrisponde

vicino lu patre, sia perch nella strofe detto che Alessio

ormai divenuto uomo, avendo anni vintidui complutu. Nella st. XIV manca certo qualche cosa al tetrastico iniziale
ce ne avverte la sconnessione del senso
;

d'altra parte

il

ri-

matore ha una spiccata tendenza ad amplificare i particolari latine, non ne omette nessuno vedremo se e come si pu integrare il tetrastico, ma intanto possiamo ricavare l'endecasillabo di collegamento giovandoci delle due
delle fonti
:

parole che precedono

il

distico di chiusa, solo che conside-

riamo che altrimenti mancherebbe una circostanza assai importante cio che la coronazione degli sposi

avvenne per

mano

dei sacerdoti,

dei quali sarebbe

detto solamente che

forunu adprestaii : ma apprestati a far che cosa? Leggo adunque, come suggerisce il confronto con altri testi della leggenda
^
:

[per lor

mano] adberoli

coronati.

Anche
stituire,

nella
il

st.

XXIII manca un verso

del tetrastico, quasi


re-

certamente
se

secondo, che pur possiamo con sicurezza


nelle sue proprie parole,

almeno quanto alle circostanze di fatto che a questo punto non potevano mancare ma dopo il tetrastico, che ha le rime in -ura, abbiamo
;

non

nel manoscritto
et era

una figura in ilio domo ket non erafacta

ia

per

mano de homo.

chiusa,

prima vista parrebbe aversi qui i due endecasillabi di mancando cio quello di collegamento
:

* Leggenda latina A: permanus honoratissimorum sacerdotum Bonvesin da Riva: per man di sancti previdhi, de previdhi honorai .
;

96
et era

una

figura in
ia

ilio

ket non era facta

per

4omo man de homo

ma

anzitutto

singolare

che proprio nel corpo del primo


ci

endecasillabo di

chiusa

riapparisca la rima
;

che doveva

avere

il

verso di collegamento

e poi ancor pi singolare

che manchino qui due circostanze non trascurabili per un amplificatore cosi diligente e copioso quale si mostra sempre l'autore del ritmo: le circostanze cio che la figura
era impressa nella sindone e che essa era l'imagine di Cristo.

Per ragione metrica adunque possiamo disporre


sopravissute del manoscritto cosi
et era
:

le

parole

una
in ilio
i

figura

ket non era facta


e logicamenie integrare
et era [in
^
:

domo per mano de homo

uno panno] una

figura

[de Christu segnor nostro] in ket non era facta i per

ilio domo man de homo.^

Meno

agevoli a sanare sono le piaghe nei casi in cui


ci
si

il

verso di collegamento

presenta sotto

le

sembianze di
facile
;

un doppio
tetrastico
:

ottonario, in cui continua la serie delle rime del

che vi

si

nosconda un endecasillabo
il

ima-

ginarlo,

ma

la difficolt consiste nel

ricostruirlo

tanto pi
il

che in
'

tutti questi casi

verso doppio che precede

distico

Bonvesino ha solamente uno dei due particolari in quella l'imagine del Segnor; ma la leggenda A: ubi sine umano opere imago domini nostri lesu Christi in sindone habetur. Dato il carattere popolare del ritmo la greca sindone doveva esser resa con una parola di pi facile intelligenza per gli
:

citae era

uditori.

Il

done, ma
volgare in
sto in
i

Marbodo ha infulgens pura sind'intonazione dotta; invece la leggenda prosa d la imagine del nostro Singniore lesu Chriritmo latino di
tutto
fatto

uno panno

senza

man d'uomo

ecc. e

n'ho tratto

miei complementi.

97

due rime conformi a quelle del tetrastico. Ci farebbe pensare a un procedimento sistematico da parte di uno dei trascrittori del ritmo, anteriormente, s'intende, all'apografo sopravissuto: per una delle tante illusioni analogiche, di cui ci danno esempio i codici di poesie antiche, potrebbe essere accaduto che un esemplatore del ritmo, trovando dopo il tetrastico un verso pi breve che sulla fine rimava con quello, credesse di esser davanti a un verso incompleto rispetto ai precedenti ottonari rimati anche
di chiusa

ha non una,

ma

internamente e
la

vi supplisse

qualche parola atta a


la
si

ristabilire

misura del primo emistichio e


suffragata dal fatto che
tra le pi

ipotesi

rima interna. Questa tratta sempre di rime


; -ia,

che sono

ovvie {-anza

-are

ea

-aie),

e an-

che di parole o

frasi

che non sono essenziali

allo

svolgist.
I

mento

del concetto. Del verso doppio che troviamo alla

nella sede del verso di collegamento, avr occasione di ri-

parlare nella spiegazione che


del ritmo
;

mi riservo

di dare dal

proemio

per

gli altri casi

ecco quello che io ne penso.


:

Nella

st.

XIII invece del tetrastico abbiamo un esastico

12 versi brevi, tutti in -are, parte dei quali


regolari, parte

sono ottonari
sillabe
;

sovrabbondano

di

una o pi

primo
alle

indizio di qualche disordine nel trapasso dall'originale

copie.
si

primi otto di questi versi, con minime amputazioni,^


il

riducono a formare

tetrastico

regolare

il

quale anzi

svolge un concetto solo, in maniera generica, cio che quando


il

padre di Alessio ebbe deciso di

far celebrare le

nozze del
si

figlio

festa
tri

con una fanciulla della casa imperiale, ordin che non si potrebbe imaginare. Poi seguono
:

gran
al-

gli

versi cosi

doe thalomi fecenu adprestare anmerdura sulevare. ove unqua eranu iullare
tutti

currunu per iocare.


tanta non pot stare da
;

Per es.

Ma

Ma

non potte stare del ms.


voleva puro exorare

ke

lu

voleva exorare

poe ket tantu da ke lu

ecc.

Casinc, Studi d poesia antica.

7.

98
cytari
tutti

cun tinpani

et

sanbuci

gianu cantando ad alta voce.


letti

La menzione

dei

due talami, da intendersi come

o pal-

chi eretti nella chiesa per incoronare sopra ciascuno di essi

uno dei due sposi prima di congiungerli in matrimonio, sembra un po' prematura, e mal collegata all' idea dei giulmentre lari accorrenti da ogni parte a festeggiare le nozze quest'ultima particolarit ben si connette con ci che precede e ne anzi compimento quasi necessario, per far intendere
:

il

carattere straordinario delle feste predisposte dal padre di


destinati
agli

Alessio, quella invece dei palchi

sposi

nella

chiesa

si

intenderebbe meglio se fosse riavvicinata a ci che


;

la quale ap detto sul principio della seguente st. XIV punto nel tetrastico manca di almeno un verso, che ben po-

trebbe essere codesto smarritosi, per anticipazione di copiatura, e trasfiguratosi,

per adattarlo alle rime del tetrastico cui


lie-

non doveva seguire. Se noi leggessimo, per esempio, con vissimi mutamenti
:

dee thalomi furono adprestati,

anmerdura su
st.

levati,
:

e continuassimo coi versi superstiti delia

XIV

sponso
gi

et

sponsa
a

f adunati,

in

talamo

fr levati ecc.,

emendazione di un tetraXIV) e di un altro sovrabstico lacunoso (quello della st. bondante (nella st. XIII). Resterebbero solamente da ridurre

saremmo

buon

punto nella

talami,

prof. Augusto Gaudenzi, da me interrogato su questi mi ha espresso l' idea che all'antica forma germanica e quindi anche longobarda di celebrazione delle nozze, secondo
1

II

la

sposi erano posti sul letto nuziale e ricoperti della benedizione ecclesiastica veniva impartita dopo la consumazione del matrimonio, la Chiesa in un dato momento

quale

gli

coltre, e la

possa aver sostituito

il trasporto dei due sposi nel tempio sopra due letti separati, che si accostassero poi durante la benedizione, mentre gli sposi erano posti sotto un unico velo. Lo stesso prof. Gaudenzi mi fa notare, a questo proposito, che in Roma molti instituti e forme giuridiche longobarde debbono essersi in-

trodotte dal vicino ducato di Spoleto.

99
a endecasillabi
verso di

due versetti che precedono la chiusa e il legamento si potrebbe ottenere leggendo press'a
i
:

poco cosi

oveunqua eran
tutti

iullare per iocare,

[cun] cythari, cun tinpani et sanbuci

gianu cantando ad alte voci.*

Nella

st.

XIX
si

l'emendazione abbastanza

facile, chi

con-

sideri che,
glie,

a proposito di pegni lasciati da Alessio alla mo detto vuolliote stu anellu

dopo che

dare

e stu

balzu

adcon mandare

pare eccessivo esprimere ancora

una
che

terza volta la stessa idea con


il

pr deu inutile,

un ad te lassare, e quando c' una pi piena fordel penultimo verso


;

mula deprecativa, come quella adunque tranquillamente


:

leggiamo

stu sudariu falume servare, emfra me et te Deu ne sia mesu emfra tanto Ke te sia erkesu.*

I,

Gravissime

difficolt offre la st.

XXI

regolare
;

vi

la
inrie-

chiusa di due endecasillabi insieme rimati

ma

le

vanno

nanzi nientemeno che sei coppie di ottonari, nei quali

cheggia sempre
pre,

la stessa

rima per dodici

volte.

Dico sem-

sebbene
si

si

abbia -ea nelle sedi 1-7 e

-za nelle sedi 8-12,

poich

tratta

sempre

di voci verbali della 3* pers. singo!

lare dell' imperfetto indicativo

lacuna che occorre nella precedente

Quando considero la gran st. XX, inclinerei a creil

dere che a questa dovesse riportarsi

primo dei

sei

versi

lunghi della XXI, tanto pi che, secondo la trascrizione in-

'

Non
, le

si

farebbe altro che toglier via

le

parole

tutti

cur-

runu
*
;

quali

non dicono nulla

di diverso dal

conservato

tutti

gianu
tiva

.
Il

si intenda come una parentesi esclamameglio forse sarebbe invertire gli ultimi due versi. Ognuno sente quanto di vivacit acquisterebbe l'espressione del segreto pensiero di Alessio.

verso penultimo

ma

-*^

lOO
terpretativa del Monaci,

non sarebbe propriamente una cop:

pia di ottonari,

ma

qualche cosa di pi
se quella remanea,

Ma mo

ore audite santu Alesiu que facea

donde, se pensiamo che possa esservi un avanzo della chiusa


della
st.

XX, possiamo,
di essa,

valendoci anche delle ultime parole


:

che restano

ritrarre

certo

commo se mo audite

far se quella

non sapia remanea

santu Alesiu che facea.

ci

biezza che

sembrerebbe essere di impedimento un'altra dubma ne ragioneremo quando indaghesi affaccia


;

remo
al

il

modo

di integrare la fronte della

st.

XX

per ora

limitiamoci a constatare che, ridotta cosi la fronte della


tetrastico regolare
(il

XXI

quale anche per

il il

senso ha uno
verso di colle-

spiccatissimo carattere di unit organica),

gamento, col quale dal discorrere del marito che fugge si passa a discorrere della moglie che resta, si ha a ricavare

da queste parole
mai
la

molge non sapia quomo ed quantu


il

sola

remanea
il

e tenuto presente che

tetrastico finisce
si

dicendo che

viagl'

gio di Ale.ssio era voluto da Dio,


di

offre

spontanea

idea

una
:

antitesi sentimentale,

nella constatazione della cruda


sola remania,

realt

mai

ia

molge

che riecheggia pi dolorosa ancora nell'esclamazione seguente:


frate,

quant'

la

mente desperata
!

quano

[che] sola resta la sposata

siamo

all'

ultimo caso assai

meno

disperato per noi

poich dal verso


zo ket adbe

em

proprietate tuttu dede en caretate,

glie al senso, anzi

espungendo em proprietate che nulla aggiunge e nulla toha l'aspetto di un glossema ^iVadbe

lOI
[-.=^

habet,
:

possiede), otteniamo

il

giusto endecasillabo che ci

bisogna

zo ke adbe

tiittu

dede em

caratate.
le

Ho

fatto
;

per via parecchie promesse,

quali

non ho

diri-

menticate

e ritorno per sui miei passi per assolverle,

facendomi dalla strofe proemiale. Metricamente essa quasi


regolare, perch ha la sua fronte in

ottonari

monorimi
si
si

e la sua

coda

in

un tetrastico di doppii se due endecasillabi


;

non che, come


collegamento
di parole
:

gi accennato, nella sede del verso

di

ci

presenta nel manoscritto questo groviglio

Alidubitanti poi puanza poilid'isi pusanza

e sul principio della terza parola soprascritta d'altra


la sillaba

mano
:

pri ; groviglio che


a
li

il

Monaci ha

risoluto cosi

dubitanti per privanza,


li

poi

derisi per

usanza

e certo, nello stato attuale del testo, questa la trascrizione

migliore che se ne possa ritrarre.


''^Anzitutto

da notare che

il

proemio cosa

tutta propria

dell'autore del ritmo, poich le altre redazioni della leggenda


di sant'Alessio entrano senz'altro

preambolo

in materia pari

lando di Eufemiano, padre di


egli

lui.

Ma

suoi buoni motivi per introdursi con

aveva uno speciale preambolo


il

rimatore

doveva

dire agli uditori che la recitazione della leggenda

versificata sarebbe stata

rappresentazione figurata dei singoli avvenimenti

accompagnata dall'esibizione di una si da togliere


:

ogni incertezza sul significato della sua narrazione


Dolce nova consonanza
et ora odite certanza
^

) \

facta l'aio per

de qual

mo

mustranza 'f mostr'e' sembianza;

' La voce mastranza, in luogo di maestranza ( maestria , Monaci, p. 130), non finisce di piacermi si che preferisco di leggere mustranza, che sembra anche corrispondere meglio alla
;

lettera del codice e al


*

mostre e

al

mostra dei vv. seguenti.

P'orse

anche

odit'e[n'J certanza.

I02
per memori'a retenanza
se
lu decitor se

non canza

nne avete dubitanza,


fatto,
:

mo

'n vo'

inostra[r] la claranza.'

Ho
lui,

direbbe l'autore, questo nuovo ritmo- per dimo-

strazione

voi ascoltate la narrazione veridica intorno a col'

del quale or mostro


il

imagine

poich
si

la ritiene

nella

memoria,
ne mostro
tigurata.

dicitore

non
;

si

cambia, non
la

allontana

dalla

vera storia del santo


la

e se

ne avete alcun dubbio,


cio

ora ve

spiegazione,

precisa

rappresentazione
il

Costantino

Nigra

intui

felicemente

senso

tutto

Monaci comunic la geniale osservazione che l'autore del ritmo qui forse allude al costume antichissimo dei cantori ambulanti, di mostrare agli uditori, in una specie di dittico, la effige del santo prima di
speciale di questi versi, e al
recitarne la storia.^
stica

Ma

io

credo che

la

dimostrazione ica;

non

fosse limitata alla imagine di sant'Alessio

non un
si

dittico

dunque,

ma

piuttosto un polittico, nel quale

suc-

cedevano via via


tare
il

tanti quadretti quanti

erano

momenti pi

com' per esempio, a voler ciprimo che mi viene a mente, il polittico a sei quadretti scolpiti in bassorilievo sopra lo stipite di una delle porte del Duomo di Modena, nei quali sono raffigurati gli trasporepisodi della vita leggendaria di san Geminiano
interessanti della leggenda
:

tate dal

marmo

su un cartellone di tela quei quadretti, di;

pingendoli a pochi e vivi colori

e avrete

un' idea

esatta

Lezione ha laclaraqa
'
.

restituita dal
.
.

Thomas, Romania, XL,

Preferisco vo'

tnostra (vobis

monstrat), per la

157 il ms. mostrar (volo tnonstrare) a vo' necessit di avere il legamento


;

grammaticale col vb. dare che


2

io

trovo nel

v.

seguente.
conoscerci
versi di

II

Monaci,

p.

129,

osserva giustamente non

della parola consonanza altro

esempio

col significato di ritmo,


i

composizione poetica
ritmo di Odilone da
,

Citer, a questo proposito,

un

St.

Emmeran,

in Pez, Thesaurus, anecd., Ili,


:

I, X e segg. dove parla dell' uso delle rime Porro quod interdum subiungo consona verba Quae nunc multorum nimius desiderat usus si che consonanza verr a dir proprio poesia ri;

mata.
^

Presso

il

Monaci,

p.

113.

I03
della <i<claranza con la quale l'autore del ritmo intendeva

ribadire nella

memoria

dei suoi
;

uditori la narrazione. Sino

a qui tutto chiarissimo


versi

verso che segue, e dovrebbe esser l'endecasillabo di collegamento, e un po' anche due
il
i

ma

coda costituiscono un enigma forte. Abbiamo visto come sono scritti nel codice e come sono stati trascritti e il Monaci ^ spiega per privanza nel senso di amichevolmente,
della
;

un buon riscontro a un passo lacopone da Todi), il tansi per toccai (che anche nella canzone del Ca.stra fiorentino, v. 23) ma, sebbene tutte queli

derisi per le derisioni (con

di

ste spiegazioni siano esattissime,

non

se

ne trae costrutto

1' incertezza in trov l'amanuense nel riprodurre questo verso dal suo esemplare pi antico, dove gi doveva essere guasto o interpolato quel pri soprascritto nell' interlinea ha tutta l'aria

che
cui

sodisfi la nostra

curiosit.

Manifesta

si

p tagliata inferiormente, quale invece pu benissimo intendersi come abbreviatura di pr- (cfr. nei vv. 26, 28, prosperitate, propizio), si da
la

di voler essere interpretativo della

ottenerne provaiza. nel


darsi ai dubitanti
;

senso di dimostrazione figurata da

seguono sembra appunto nascondersi una voce del vb. dare, credo che l'ultima parola non sia che una ripetizione male scritta di provanza, e che tutto il verso si abbia a rabberciare (dico cosi pensatamente perch sembrer a moki un conciero all'antica)
in questo

e poich nei versi che

modo

e ai dubitanti poi dar

si

provanza.

La chiusa che segue

tansi in altitudine et finivi


co.
. .

dessi et poi conpievi

Mi
:

riferisco al glossario, s. v.

lice interpretazione della

tinua

.Se chi
.

che deridere
verbale di
*

dopo una feMonaci conne dubiti, spera di convincere anche chi non sa Bisognerebbe, ad ogni modo, trar fuori una voce
a p. 108,
strofe,

Ma

prima parte della

il

modo

finito.

L'abbreviatura d'isi pu interpretarsi tanto derisi quanto

darisi.

I04
stata con

molta

felicit

spiegata

dal

Monaci, secondo

il

quale, l'autore sente di essere salito assai, di aver toccato


nell'alto e di aver dato all'opera sua finitezza e
Il

compimento

.l
il

senso clto benissimo


ora io

ma

resta

il

desiderio di avere

resto dell' ultimo verso,

labe
nel

dove mancano almeno quattro silmi sento incoraggiato da ci che s' intravvede
parole finivi e coiplev,
proprie della
altra cosa
:

facsimile e dalle

formula della
notarile,

completi o,
in

a sospettare qualche

ben inteso

senso traslato, come sarebbe


;

carta poi contradessi et poi conpievi

cio sollevandomi sopra

dubbi
e

altrui diedi fine alla

mia

con-

sonanza,
bitanti

la ridussi
t

a forma perfetta, quale necessaria per


o,

l'altro atto della

radi ti

volendomi assicurare dei dula

completai l'opera con

rappresentazione

figurata."'

NoVi so

quale sorte sia serbata a queste

mie innocenti

ovvio
,

il

riscontro col v. 3 del ritmo casinense

en altu

m'encastello
*

press'a poco con lo stesso senso.

Circa codeste formule mi basti rimandare alla classica opera

di E.

tnanischen Urkunde, Berlino 1880, voi.

Brunner, Zur Rechtsgeschichte der rmischen und gerI, pp. 66 e sgg. La foret dedi, nel
in

mula longobarda, compievi


compievi et finivi, mentre

Roma

ducato spoletino divent perdur la formula dei paesi

bizantini, compievi et absolvi; notabile in

un documento romano
p.

del 1148 questo distico finale

(Brunner,

85):

Concius

fa-

ctus Christo plurima nactus Boiani natus compievi scriba senatus


.

Per

la traditio la
;

formula pi usuale post traditam [car-

ma nei documenti romani al semplice tulam] compievi ecc. tradere preferito contradere (nelle forme contradidi, contradedi^
contradidimus
didernut,
risalga
il
,

contradedimus ecc.) col senso di scambiare, con.

segnarsi vicendevolmente {has duas chartas.


cfr.

sibi

invicem tra-

Brunner,

p. 93), e a

questa formula notarile ritengo


io

nostro contradessi.

Che

l'autore del ritmo di sant'Ales-

sio possa essere stato

un notaio romano
e qui nel

non

lo

affermer

ma

certo che di linguaggio


altri indizi,

giuridico tabellionale vi sono in

questo ritmo
retenanza

prologo per memori' a

sar un'eco della formula ad metnoriam retinendam

dei memorator notarili.

105
industrie, le quali del resto
giori di

non

si

esplicano in ardimenti magsi

quelli che

altri

in casi analoghi
i

sieno concessi

la critica congetturale

ha anch'essa

suoi diritti, e

quando

li

esercita a fin di bene, cio per intendere testi altrimenti inesplicabili,

pu anche pretendere
carattere materiale,

di prevalere

sopra altre raquelle della

gioni di
critica

come sono spesso

bene e non fidarsi meglio, dichiaro che le mie congetture non hanno alcuna pretesa d' impeccabilit e sar ben lieto scaltri me ne mostrer la fallacia, quando per sappia sostituire
poich
fidarsi

puramente paleografica.

Ma

qualche cosa

di pi

positivo e sicuro.
la
i

Ci posto, non mi pare inutile continuare


testo del ritmo
,

rassegna del
guasti e le

per avvertire

le altre

lacune e
il

anormalit ch'esso presenta e svolgere


razione sino alla
fine.

tentativo di restaunella
st.

Una

forte lacuna

abbiamo

II,

ove l'autore entra in argomento conia presentazione di Eufemiano, il padre di Alessio: mancano gli ultimi due versi
doppii del tetrastico e l'endecasillabo di collegamento
versi
;

e nei

mancanti dovevano essere amplificate le lodi di lui, forse con particolari ignoti alle altre redazioni della leggenda. Le qualit essenziali che la leggenda attribuisce ad Eufemiano,
la nobilt,

la ricchezza e la potenza,

sere enunciate con facili


ripetizioni
:

sono tali da poter esvariazioni che si risolvono in mere


di

come

qui

appunto

Eufemiano,
foi

rispetto

alla

potenza detto che de tutta


fu

Roma
il
il

soldanu e poi che

multu potentissimu

nella strofe stessa, anzi, quale sua


titolo di patrizio, che,

prima qualit, gli attribuito ha ben a proposito ricordato

come

Monaci,

fu

conservato in

Roma

sino alla soppressione decretata di tale ufficio da Eugeera circonfuso d'una aureola di sovranit esercidella maest imperiale.

nio III;i titolo che procedendo, com' noto, dalle istituzioni


bizantine,
tata in

nome

Non
di

probabile per altro


si

che intorno a questa qualit


i

Eufemiano

svolgessero
il

versi

mancanti
si

della

st.

II

nei quali pi converrebbe

pensare che

celebrassero altre

'

Monaci,

ivi

p.

no.

io6
condizioni di
deg^li
lui.

come
^

la

nobilt delia stirpe


:

'^

e la ricchezza
il

averi e dei possedimenti

perch ci che riguarda

suo

ufficio di patrizio

sviluppato

con una particolareggiata


Ili
;

enumerazione di
illustrato,
le

funzioni

nella

st.

nella quale mette

conto rilevare un particolare che


espressioni

illustra, e

ne

alla

sua volta
chiusa

notarili
si

gi

notate

nella

del proemio. Infatti l ove

dice che Eufemiano,


>),

giudice supremo della curia (in alta sede sedia

sedendo molto si

occupava

di

dirimere

conflitti

fra

cittadini

romani, io

leggerei et iniistitia \coi\ponia cio stabiliva le pene pecuniarie dovute per ogni atto iniquo, per ogni reato contrario

accenno all'istituto della compositio, che sarebbe un altro indizio dell'inclinazione del rimatore a vaalla giustizia:
lersi

del

linguaggio giuridico

non arrivo a
il

dire

indizio
st.

della condizione personale


regolare e

dell'autore del ritmo.

La

Ili

piana

salvo

che vi manca

verso di collegail
i

mento
ziieri
;,

col quale facile

imaginare smarrito
leggenda, che
;

particolare,

comune

alle altre redazioni della

tremila bat-

dei quali

si

parla nella chiusa

erano costantemente

ai servigi di

Della
la fine

st.

Eufemiano. IV non ci resta che un lacero avanzo, mancando

del tetrastico e tutta la

coda

dalle

altre

redazioni

risulta

che a questo punto doveva esser detto che quotidiail

namente
dove

patrizio

romano faceva imbandire


per
i

tre

mense,
le

di-

stinte e successive,

pellegrini,

per

poveri e per

ve-

dopo averli serviti in persona sino nona andava poi a prendere il suo pasto frugale in compagnia di santi ecclesiastici. Ho supplito la lacuna per esercizio d' invenzione non presumo di aver indovinato le parole, ma che quello fosse il senso non pu esser messo in
coi loro orfani, e che all'ora di
;

dubbio, per

la

concordanza delle

altre redazioni.

Nulla manca

^ Cfr. Marbodo, V. I Summae vir nobilitatis stemmate romanus afiflilserat Eufemianus . Marbodo, v. 4 regibus aequalis, aulae dux imperialis. 3 BoNVESiNO A suadomandason trea milia fangi haveva; leggenda in prosa: continuamente aveva al suo servigio tremila donzelli*.
: ; :

107
all'integrit della
st.

;l

quasi nulla a quella della VI, ove

sono perduti
che
si

di chiusa, nei quali, pi che qualche elogio generico della consorte Aglac. presumibile
i

due endecasillabi
alla

accennasse

sua

sterilit.-

La lacuna
narrazione
al

della st VII corrisponde nello svolgimento della

particolare che

coniugi rivolgevano calde pree quella dell'VIlI alla

ghiere a Dio per avere un


nascita del
figliuolo

figliuolo,
:

desiderato

nella

IX

si

pu supplire

con accenni

alla chiesa

ove

fu battezzato e

alla gratitudine

dei genitori; mentre di quasi nessun ritocco ha bisogno la X.

Invece tanto lacunosa da esser quasi perduta


s'

la st.

XI

intende di che cosa vi

si

potesse parlare, poich essa cade

tra due momenti della leggenda che negli altri testi si succedono immediatamente Alessio ha raggiunto la maggiore et, Eufemiano pensa di dargli moglie lo raccomanda perci a Dio con una preghiera, che poteva essere accennata, quasi
:
;

preannunciata, nel distico di

chiusa di questa XI

st.

ed

poi riferita nei primi versi della XII.

Ma

nel tetrastico del-

rXI
di

si

parla di un

vasu
si

dell'aur''

ubritiu,

cio di
al

un vaso
si

oro purissimo,^ n
i'

pu affermare che
che
il

vaso stesso

riferisca
'il

altro particolare
for.se

patrizio no lo volze lassare

sacrijiliu: vi
ii

un'allusione a
il

uno dei sacramenti


alla

intermedi tra
'

battesimo e

matrimonio, forse
:

cerimo-

consacrata alla beneficenza di Eufemiano

nel v. 25 so-

spetto un forte guasto perch quel iudicis necessitate non d

senso

ma

forse et uiduis necess. ,

come sembra

potersi

ri-

un abbaglio grafico del copista. Cfr. nell'epitafio di papa Benedetto IV, in DuCHESNE, Liber pontificalis, II, 233 Despectas viduas nec non inopesque pupillos Ut natos proprios assidue refovens. * In Marbodo, vv. Bonve16-19, c' un elogio di Aglae siNO invece, che ha tanti punti di contatto col ritmo volgare, dice Aglaes sua muier sterla era per natura d'eia nasce no' poeva
trarre dal facsimile, ci risparmia di pensare a
: ; : ;

alcuna creatura.
^

Per

il

complemento

di materia dell'auro,

sarebbe ovvio

il

riscontro con le aquile dell'oro in Purg., X, 80, se questa le-

zione tradizionale del passo dantesco non fosse ormai da abban-

donare per

la

pi vera

nell'oro

io8
nia della cresima o della prima
nella quale

comunione
offerisse

di Alessio, nella

occasione
la

il

padre

l'aureo
si

vaso

alla

chiesa di San Bonifazio sull'Aventino, ove

era localizzata,

come sappiamo,
V.

leggenda

comunque

sia,

anche qui da
(cfr.

notare l'espressione tutta notarile deirauro obrizo


83,

auro mundo) che dai


tabellionali

papiri dell'et bizantina pass


al

nelle

membrane

anteriormente

mille e riappi, credo,

parve sporadica anche in tempo posteriore,


nel secolo XIII. 1

ma non

Quasi nulla
tato dei possibili

ci

offre

da rilevare
nelle

la st.
st.

XII e gi
;

si

trat-

emendamenti
si

XIII e

XIV ma

nella
:

XV

il

tetrastico ci

presenta con profonde alterazioni

Lu eoe d'Alesiu santu. lonrecepia netantu. d'questohone keaueatamantau Lupatre colomatre et tutta roma cogtauanucket fosse adfrantu. Ma d' cuantu ued' scu A. ecc.
Premetto
stretti

che
di

gli

altri

testi

della

leggenda

si

tengono

ai

dati

fatto,

senza entrare
i""^

come
tratto

fa l'autore del

ritmo in considerazioni psicologiche

abbiamo dunque qui


soggettivo

una esplicazione tutta


rende pi

personale,

un
il

che

difficile l'interpretare
:

pensiero dell'autore. Io

trascriverei e supplirei cosi

Lu core d'Alesiu santu


de stu honor
[se

ron[or] recepia n tantu


ke[t
elli]

Suo patre

e la

dava vantu] matre [intantu]


;

avea tamantu

e tutta

Roma

cogita[ndu]

[per] cket[ell] fosse adfrantu

ma

de cuantu ved[e'n] santu ecc.

* Oltre il DucANGE, s. v. obryzum, opportunamente richiamato dal MoN.vci, p. 129, da vedere ci che scrive A. Gau-

DENZi
2

suir uso

di

questa formula nelle carte nonantolane,

in.

Bull, dell' Istituto storico italiano, n. 22.

parantur

Marbodo, vv. 38 sgg. Ergo coronantur festivaque cuncta Postquam completa fuerant convivia laeta, Castis ar:

descens animi flammis adolescens, Ingrediens, apto secreti tempore capto, Sacra dedit monita sponsae pr celibe vita e BonVESINO, vv. 41 sgg. Entrambi per soa grandeza si fon incoro;
:

nai
fo

Grangi godhii, grangi solazi in quel di fon menai. Quando vena la sira e lo tempo de reposar. La soa sposa Alexio si prend a visitar ecc
.

Della

st.

XVI non
:

ci

restano che

primi due versi, n

del contenuto di essa possibile


altre redazioni

trarre alcun indizio dalle


si

in sostanza

per

vede che per via d'amsposa.

plificazioni

il

rimatore doveva insistere sul proposito di Ales-

sio di consacrare a

Dio

la virginit della

La quale
st.

non so quanto
altrui

l'avr gradito:

ma

questa idea del voto per

accennata di nuovo nel primo verso della


tutta

XVII,

che insieme con XVIII


stici
:

nutrita di

particolari realiil

la

messa cantata e

le

laudi del clero,


il

passaggio dalla

chiesa al palazzo paterno,


alla sera e

gran convito nuziale durato sino


alla loro

l'accompagnamento dei coniugi


gli

camera,
altra la;

non senza

avvertimenti di rito
il

fatti

dal patrizio al giovine

marito. Per tutto questo tratto

testo

non presenta
st.

cuna che quella del verso di collegamento nella


ci

XVII

ma
:

d una sovrabbondanza assai forte nella st. XVIII invece e che i versi sovrabboninvece del tetrastico un esastico danti rappresentino una rifioritura,! dovuta a un recitatore
;

del ritmo, parrebbe facile ad ammettersi, se


ticolare realistico del verso di
et po'

non
(v.

fosse

il

par-

collegamento
si

124)

r usso dereto

'mserrao,

che tanto bene


precedente
:

si

accorda con l'emistichio immediatamente

entro

em kammora
il

se 'nn entrao,

quanto sarebbe sforzato


quarto verso
(v.

ricollegarlo invece con la fine dei

123)

et a la

molge

l'avviao.

La st. XIX non dobbiamo ritornare

ci

lascia

ormai pi nulla da dire


Il

invece

sulla

XX.

manoscritto d
cita

poi ke questa audia

La sponsa

stordita

mae use adcorgeva


i

quella gita net

cande emt'ra et foe emtendeva d' quella


i

Sarebbero
bis

vv.
;

123

bis e ter si

si
il

potrebbero eliminare

vv. 121 e 123

e cosi

riavrebbe

tetrastico, senza altera-

zione o menomazione del senso e del suo sviluppo logico.

IO
laove A.
. .

vita

lam.

cto et n sapia

cmosefa marno sequella

remanea ore audite

sic

que facea

ecc.

tro

Qui abbiamo anzitutto due versi doppii con le lor quatrime in -ita; ma non sono formati di emistichi ottonari, c' gran sovrabbondanza di sillabe invece si hanno delle
;

serie di parole

che costituiscono dei veri ottonari


. .

O poi ke questu audia. cande em terra et foe stordita. mae non se adcorgeva.
. .

dai quali

rima imperfetta
lesi

una consonanza a guisa di Oltre a ci sono paalcune sconnessioni del senso, che non si lascia coritrarsi

sembrerebbe

tra -ita e -ia

[-va).

gliere nella continuit del

suo logico svolgimento,

intorno

all'idea fondamentale della partenza di Alessio intuita dalla

moglie, sebbene egli l'avesse accennata solo con vaghe parole,

quando
il

le

aveva consegnato
134-140)

l'anello,

il

balteo e

il

susi

dario.

Proviamoci adunque a rileggere integrando, come


testo
(vv.
:

pu,

0[ra] poi ke questu audia la [tapina] sponsa cita, cande en terra et foe stordita, mae non se adcorgia [ke dicea] de quella gita, net [nulla cosa] emtendia de quella [sua nova] vita l ove Alessio [dicia], [ke] la m[eschina] certo non sapia

conmo

se

far,

se quella
si

remanea

ma

ore audite

cqu'e[lli] facea.
la
st.

Restaurata cosi

XX,

riprende
;

la

regolarit
alla

dello

schema metrico anche


che
la fronte della st.

la

XXI

passando sopra

man-

canza del verso di collegamento nella

st. XXII, noteremo XXIII manca di un verso, il secondo, nel quale senza dubbio alcuno doveva essere nominata la

Alla lezione del v. 140 data addietro


, nell'

(p. 100),

Santu Alesiu
il

que facea

ipotesi

che
p.

si

avesse a introdurvi col Monaci


;

nome

del santo, preferisco questa


Crestotnazia,
542,

tanto pi che lo stesso


attiene
alla lezione set

Moeque

naci nella

si

facea, pi conforme alla lettera del codice.

1 1

citt

d'Edessa, indicata nelle altre redazioni


:

e richiamata
:

nel principio del seguente verso

l ove era ecc.


flire

la

chiusa

gi stata reintegrata altrove. Nulla da


st.

intorno alle

XXIV

XXV,
di

salvo che

il

tima va ritoccato lievemente per


la

primo emistichio di quest' ulrestituirgli la rima dovuta


:

un verso, probabilmente il quarto del tetrastico, e la XXVII e ultima non ha bisogno d'altre cure. Ma finita qui veramente la consonanza dell'antico rimatore ? Certo qui finisce la prima parte della leggenda di
sant'Alessio, dalla sua nascita alla sua vita di penitenza
in

XXVI manca

Edessa
sola,

la

qual parte dovette correre

il

mondo anche da

come

dimostrato da una redazione, quella pi nota

sinora, del poemetto di Bonvesin

da Riva
il

ma come

del poe-

metto dello scrittore lombardo

si

felicemente scoperta la se-

conda

parte, 2 cosi ragionevole

pensare che anche


;

il

pi

antico ritmo svolgesse la leggenda nella sua integrit

il

Mo-

naci lo ha giustamente indotto dalla dichiarazione finale del

proemio
il

[finivi
si

e.

conpievi), e

si

pu osservare, a riprova, che

ritmo

arresta senza alcun accenno conclusivo, senza aldi

cuna parola

commiato

dall' uditorio.)

XV.
Altrove il Monaci stesso ha osservato, parlando delle leggende agiografiche abruzzesi, come dal loro contenuto si possa argomentare che alcune di esse furono dettate da
chierici,

alcune furono composte da giullari


il

le

une non

solo distinte per


1

linguaggio spesso pi
48 segg.
:

latineggiante,
petivit

ma
.

Marbodo,

V.

Laodicenamque
Syriae,
:

Urbem.
i

nec

ibi

remoratus Navigat

Edessam

mox

ntra

et

Bonvesino, vv. 62 e segg. In terra de Laudocia et E da ilio per terra so edro el ha apiliao La terra ha nome Edessa o' el arrivao; leggenda in prosa: capit al porto di Laudocia, e poi and in una citt che si
el fo

ipsam

navigao,

chiamava Edesa,
*

la

quale nella contrada di Siria.


trivulziano 93, del
s.

Da

R. Renier, nel codice

XIV
il

da augurare sia presto dato in luce nella sua integrit metto di Bonvesino da Riva, che di 130 strofette.

poe-

(2

anche dalla maggiore fedelt alla tradizione scritta e consale altre, crata nelle leggende riconosciute come autentiche di forma anche linguisticamente pi popolare, con una pi
;

libera elaborazione degli elementi fantastici e sentimentali.

Secondo questo
rici

criterio,

sarebbero da ritenere, opera di chie-

(anche allargando l'idea dal senso puramente ecclesiain pi casi

stico a quello di

sarebbero

persone fornite di coltura scolastica, come notai e i medici) le leggende del i


e di sant'Alessio
;

Transito della

Madonna
si

mentre invece pi

giullaresca sarebbe quella di san Giuliano.

La

diversit del
tre

procedimento
e per

vede bene,

del resto,

nelle

redazioni

della leggenda di sant'Antonio scoperte dal

Monaci medesimo

una parte dal Novati.* Due


parallele,

di

queste redazioni, evi-

dentemente

rientrerebbero nella letteratura giulla-

resca, perch alla leggenda tradizionale di sant'Antonio agquali si giungono e intrecciano casi meravigliosi e strani, svolgono da motivi assai divulgati nel medioevo la leggenda in tetrastici monorimi sembra pi che altro un raffazzonai
:

mento

di quella in strofe di

cinque versi,
e

ma

per

il

conte-

E.

Monaci, Una leggenda

una storia

versificate nell'an-

tica letteratura
cei,

abruzzese in Refidiconti della R. Accad. dei Lin-

classe di scienze morali, 5^ serie, voi.


2 II

V
lo

(1896) p. 488.
:

Monaci,

loc. cit.,
la

pp. 496-506,

ha pubbHcato
fine),

i* dal

codice Casanatense 1808


parte al racconto
1

Leggenda de
degli

beatissimo egregio

missere tu barone santo Antonio (frammentaria sulla


in

aderente
voi.
II,

latino

Ada

SS., Januarii,

pp.

20-141, e nell'episodio principale, quello della visita all'ere-

mita Paolo, all'altra leggenda pure latina degli


pp. 604 607
;

Ada

stessi, voi.

I,

2* dallo stesso codice un frammento della Historia


4.

sancii Antoni, in strofe di quattro endecasillabi

cod. Corsiniano 44.


al 2^,

27

un

altro

della

medesima

Hist.,

ma

monorimi 3^ dal frammento, in parte parallelo in strofe di cinque endecasillabi


;

monorimi. Il Nov^ati, nella gi cit. Raccolta di studi crii, dedic. ad A. d' Ancona, pp. 741-762, ha studiato e pubblicato un testo pi completo della 3* redazione, da un codice della biblioteca Visconti di Modrone, ove la Istoria sancii Anthonii fu copiata alla fine del secolo XIV secondo il Novati, sarebbe opera di un settentrionale, forse un giullare o un frate.
:

113
mito
si

corrispondono perfettamente.
tutto indipendente la

Ma

dall'una e dall'al-

Leggenda de santo Antonio, delia quale m'intratterr brevemente perch si ricollega per ragioni formali ai documenti che sono venuto studiando. Essa molto frammentaria, come gi il Monaci rilev dalla versificazione: infatti, egli nota.i versi qui sono ordinati, non a coppie come parrebbe a prima vista, ma a stanze composte di quattro ottonari e due endecasillabi, rimati aaaabbff e quanto alla struttura della stanza osservava che qui abbiamo uno schema cui finora due soli riscontri si trovano, quelli dell'antichissimo Ritmo cassinese e del Detra del
i
;

calogo bergamasco, molto antico pur esso;.- Ora

vi si ag-

giungerebbero
derare
alla
il

altri

termini di riscontro, se

si

potesse consi-

successione delle rime,


e in altri

metro della Leggenda de santo Antonio solo rispetto quale l'abbiamo nel Decalogo
;

componimenti ^ ma ci che pi importa il rilevare come anche qui si abbia invece un esempio di strofe composita, costituita da una fronte di doppii ottonari e da una coda di due endecasillabi, secondo questo schema
bergamasco
:

tf

r
-\-

8
9>

II
Il di

B; B;
nel tipo a versi doppii con rima

modo che rientreremmo


ci

interna, quale

dato dal ritmo casinense e dal ritmo di

Monaci,
Ivi,

op. cif., p. 494.

2
3

p. 495.
al

Intendo riferirmi
lo

tipo della stanza d'endecasillabi

se-

condo

schema A. A. A. A. B. B. ; quale nel Decalogo, ora riconosciuto di Cola da Perosa (ediz. di V. De Bartholo-

MAEis in Studi di fil. roni., \\\\, 125 segg.), in parecchie leggende agiografiche rimate (cfr. Quadrio, Storia e ragiotie, IV,
209;

De Bartholomaeis
p.

negli Scritti vari

di filologia per E.

Monaci,
per
le

204, e negli

Scritti di storia,

di filologia e d'arte,
;

correggere l'errore che


quinari
*.

nozze Fedele-De Fabritiis, pp. 347 e segg. dove da il tetrastico o la fronte sia di doppi
,

mentre

di veri e

propri

endecasillabi).

Casini, Studi di poesia antica.

S.

114
sant'Alessio, nell'uno
nell'altro

con

la

fronte

di

tre versi

doppii e

con

la fronte di

quattro.

La riduzione

della fronte

a pi limitata ampiezza pu essere indizio di minore antichit


;

come

forse tale lo svariar delle

rime nei frammenti


:

d'Alcamo (cfr. a p. 25) ma certo una semplificazione nel meccanismo di codesto tipo strofico rappresentata dalla mancanza del verso di collegamento, per la quale si riavvicina alla forma dei tre poemetti didascalici. 1 Ne conseguirebbe pertanto che la Leggenda de santo Antonio, la quale anche per ragioni linguistiche ha una certa impronta d'arcaismo, 2 avesse a riportarsi press'a poco alla stessa et del Transito della Madonna. N a ci contrasta un particolare meritevole di essere rilevato, per il quale
del contrasto analogo a quello di Cielo

questa leggenda
glio dire
il

si

riavvicina al ritmo di

sant'Alessio

vo-

proposito manifesto dell'autore di mantenere un


fra le strofe

collegamento
di

concetti o medesime, dall' una stanza all'altra:^ un carattere metrico che per tutto il secolo XIII frequente anche nella poesia cortigiana, cosi che
la ripresa di

mediante

parole, pi spesso anzi delle parole

non potrebbe essere invocato come un elemento sicuro per una determinazione cronologica pi ristretta.

'

Il

verso di collegamento, nella forma di un quinto ottoi'"*

nario rimato con quelli della fronte, solamente nella


neirS''

strofe

c'

apparentemente, essendo ripetuto


op. cit., p. 494

il

secondo

otto-

nario per errore del copista.


*

Monaci,
i

Per

la

lingua mi limito ad ossi

servare che
-ao,

perfetti deboli in -avit qui

riflettono

sempre

in

anzich altemansi pure in - e in -one,

come

nella Leggcida

di Santa Caterina,
^

che del 1330

.
i

Si confrontino specialmente

vv. 4 e 5,

19 e 21, 24 e 25,

28 e 29, 32 e 33, 36 e 37, 44 e 49 (tra i quali si inframmette un discorso riportato), 80 e 81, 84 e 85, 132 e 133, 152 e 153,

164 e 165, 175 e 177, 184 e 185, 219 e 221, 235 e 282, 284 e 285, 292 e 293, 312 e 313.

237, 236

238, 240 e 241, 244 e 245, 251 e 253, 260 e 261, 263 e 265, aSr

115

XVI.
Pervenuto ormai
nuto
il

alla fine di questa indagine,

credo ve-

momento

di tirar le

somme

e concludere che per


il il

un

periodo di tempo abbastanza lungo,


scrivere tra la fine del
fu usata in Italia,
di indole svariata,

quale

si

pu
del

circo-

secolo XII e

principio

XIV,

con qualche larghezza, in componimenti

ma

a preferenza narrativi,

didascalici e

dialogici,

una forma

di strofe

composita, costituita da una

fronte per lo pi tetrastica, qualche volta ternaria o distica,

monorimi, non sempre anche interiormente da una coda di due endecasillabi accoppiati che nei documenti primitivi di questa forma, il ritmo casinense e il ritmo di sant'Alessio, 1' unione della fronte con la sirima era fatta mediante un verso di collegamento rimato con uno dei due periodi della strofe che se qualche deviazione accidentale dallo schema metrico da riconoscere come oridi versi doppii

rimati, e

ginaria, per ragioni che per lo pi, dato

lacunoso dei

testi

quali

ci

tradizione orale e scritta,

lo stato guasto e sono pervenuti dopo una lunga generalmente ci sfuggono, non

meno

certo che la fissit dello

schema adottato dai singoli

rimatori fu quasi sempre osservata

come

principio assoluto
affini
,

che da questa forma


le

altre si

generarono

e similari, tra

quali merita

una particolare considerazione


il

anche perch

alcuni esemplari di essa sono quasi sconosciuti, quella in cui

scomparvero e
misura
tra
i

verso di collegamento e la differenza della

versi della fronte e quelli della

cpda

che

final-

mente

se alla ricostituzione critica dei testi pi laceri e de-

turpati dagli errori degli


la sicurezza,

amanuensi non
altri
i

si

pu procedere con
pluralit

che proviene in

casi dalla

degli

esemplari manoscritti,

tuttavia

tentativi

fatti

ranno di essere considerati come fatica inutile, perch possono di qualche guisa contribuire all' intelligenza
^

non meritese non altro

Cfr. la nota 3 a p.

113.

ii6
di questi poemetti, nei quali gli ignoti rimatori parlarono al

popolo, interpretandone
solo la materia,

sentimenti e
la

bisogni,

si

che non

ma anche
e

forma

in cui si era atteggiata,

riecheggi gradita nei secoli alle nostre plebi/


^

Sarebbe

utile

curiosa indagine quella di

ricercare

le

tracce della strofa composita nella poesia semipopolare del

tempo

passato e presente. Intanto mi piace di notare che una forma di strofe composita, sul tipo di quelle che abbiamo studiate, sopravive nell'odierna poesia romanesca
:

il

vivente cantastorie
le
,

ambulante, che si fa chiamare il Sor Capanna, recitava per piazze, or son pochi mesi, tra quelli ch'egli chiama stornelli
il

seguente

er general la Rocca Mannaggia benettanima tempo fa batte ar duello ma proprio de cartello, con un pazzo francese, che sputa fora fiamme e foco dalla bocca ma mo er francese, ch' omo de penna,

se vorse

aripensa a la faccenna vorrebbe spopolare, ma nun se move per er mal de mare.


;

II.

DA UN REPERTORIO GIULLARESCO

[Pubbl. nel Propugnatore, N.

S.,

voi.
si

II,

parte
la

II,

1889,

mancante

della fine, che qui

d per

prima

volta].

La

raccolta di antiche poesie volgari, della quale

mi

ac-

cingo a dare compiuta notizia, appartiene per la materialit


della composizione e della scrittura
al

sec.

XV, ma

per
;

grandissima parte di rime appartenenti ad et anteriore

come
e di

poi,

pur accogliendo qualche componimento d'indole


letteraria,

forma puramente

costituita

piuttosto

da

poesie popolari o almeno destinate a essere cantate o recitate al popolo.

Nell'insieme

la raccolta,

che assai probabille

mente

fu

il

repertorio di un recitatore, rende bene

variet
ri-

d'intonazioni e di colori proprie della lirica italiana, tra


flessa e

spontanea, tra popolare e letteraria, che fra

la

morte

del Petrarca e la nascita del Poliziano s'accompagn, se ben

tenuta in disparte, alle manifestazioni del rinascimento classico


;

come

tale riesce

una rappresentazione immediata,

direi quasi clta nel


italiano,

suo proprio tempo, dell'ideale poetico


trapasso dalla toscanit del Trecento

quale fu nel

all'umanismo del Quattrocento.


Questa raccolta non ignota
contenenza e alcuni pochi saggi,
repertorio giullaresco del secolo
agli

studiosi dell'antica

poesia, dappoich io stesso ne comunicai fino dal

1881

la

ribattezzandola
\

come Un

XIV

e tale

veramente

una descrizione

Sotto questo titolo pubblicai, in quattro lettere a un amico, e alcuni estratti della raccolta, nel Preludio di

I20
il

codice magliabechiano VII, io, 1078 della Biblioteca Na-

zionale di Firenze, stato gi degli Strozzi, nella libreria dei


quali ebbe
il

numero 169 e prima ancora


tutti

il

337.

un

li-

briccino di quarantun fogli, i quasi

pieni di poesie, di
si

una

scrittura fittamente raccolta,

la

quale
eulta,

dimostra a pi
assidua nello
ricever

segni

come

di

persona non molto


giurerei che
il

ma

scrivere.

Non

manoscritto, prima di

la presente

secolo

fa),

numerazione a carte (la quale , o parmi, d'un non abbia subilo qualche alterazione certo che
;

in qualche parte fu

sconvolto da chi lo rileg,

poich col
carta

rovescio della carta ventesima rimane interrotta una canzone,


della quale poi
s'

incontra

il

sguito nel diritto della


la

trentadue.
scritto,
tati,
si

Anche, noter per

storia

esterna del

mano-

di

che sul rovescio della carta decimaquarta sono nomano certamente dei sec. XV, i nomi di alcuni che
alla restaurazione di
tutti
;

erano obbligati a concorrere

un certo

oratorio della

Madonna,

sono

di famiglie
'-^

o di luoghi

del territorio di Reggio nell' Emilia

e che in

tempo non
del

posteriore al Seicento,

una mano

pietosa,

forse quella

gran raccoglitore e incettatore di codici Carlo di


Strozzi,

Tommaso
che in

ricopri

di

fittissime

lineette tutte le parole


off"esa

certe poesie

potevano suonare
:

e irreverenza alla reli-

gione e alla chiesa non si per altro che il contrasto fra i due sentimenti, quello dell'uomo pio che voleva nascondere e quello dell'erudito che voleva conservare, non ci permetta
di sorprendere,

se

bene con un certo sforzo del senso e della


il

mente,
sottili

le

parole offensive ed irriverenti sotto

nero di quelle

lineole.

una pi breve notizia avevo a. V, 1881, nn. 13, 18, 24, 22 data innanzi, nella Rassegna settimanale del 15 maggio 1881

Ancona,
(voi.
*

VII, pp. 312-315)*

Sono numerati 1-37, 37is, 38-40. Ecco questi nomi Guillelimis piuchi ; Bartolamio Sturalo; fnadona Philipa ; Pero Zupa ; Gerardo Gazato ; Gerardo da
:

Montechio
quella di

Sinteon de Bosin; Zulien d'Agosto; Benedeto

Shar-

dela; ser Facin; Uliver de l'agio.

La

chiesa da restaurare era

Madona sonda Maria de Terrabora

121

Le poesie contenute
generi metrici differenti

nel repertorio
:

sono moltissime e

di

canzoni, sonetti, strambotti e spequali

cialmente ballate

sulle

specialmente mi intratterr,
e

perch sono

le

pi

caratteristiche
tutte

curiose della raccolta.

Queste ballate sono quasi

regolari,

conformate cio
XIII troviamo

secondo

le

leggi metriche che sino


la

dal sec.

saldamente costituite per


per regolare
tetrastico,
la

poesia destinata a esser cantata

danza: alla ripresa, non mai pi lunga d'un


per

seguitano una o pi stanze d'identica conformasi

zione, che

sviluppano
ai

due mutazioni

una

volta,

corrispondenti
del canto
;

moti e alle fermate del ballo e alle arie

proprio

come

nelle ballate letterarie del

tempo

di

Dante. 1 Solamente alcune poche presentano delle irregolarit,

che non sempre agevole determinare se sieno dovute


o a trascuranza
de!
copista,

a imperizia degli autori

o se
e

sieno vere innovazioni nell'organismo

della

ballata

via

via andr rilevandole in servigio degli studiosi della metrica


antica.

La prima
libretto,

ballata del repertorio,

con
di

la

quale

si

apre

il

singolarissimo

documento

una forma
sino a noi

di poesia
:

popolare sopravissuta nei nostri volghi

in ciafinale finale
;

scuna stanza c' un equivoco, per cui se alla sillaba dell' ultima parola del secondo verso si congiunga la
tale

dell'ultima parola del primo, ne viene fuori un senso osceno


e quale

insomma

(salvo

lo

spostamento della parola

oscena dal secondo

al terzo

verso) nella modernissima can-

* Cfr. la mia Notizia sulle forme metriche italiane ; Firenze, Sansoni, 1884, cap. II, dove le leggi metriche della ballata furono per la prima volta raccolte di sui precetti degli antichi trattatisti.

2 Nel pubblicare queste poesie del repertorio mi atterr costantemente alla grafia del codice (solamente togliendo h quando inutile, sostituendo z a f, s o ss a :v, i a yj\ poich non essendo sempre sicura la patria dei singoli componimenti, sarebbe difficile distinguere ci che nella disformit dalla pi usuale lingua letteraria appartiene all'autore e ci che dovuto al copista. Nelle note raccolte in fondo a ogni poesia dar il testo preciso del ms., ogni volta che per ragioni particolari l'avr mo-

dificato.

122
zonetta
della

Bella Silfide,

dove

la

oscenit

anche pi

grossolana che non sia nella poesia antica. l Nel manoscritto


la ballata

un po' guasta,

e a racconciarla
;

non basteranno,

credo, le cure pi ingegnose

bisognerebbe invece trovarne

un'altra trascrizione, che fosse pi compiuta e corretta.^ Per

ora contentiamoci di questa del nostro repertorio

I.

Ben aza quela zota


che 'nnamorato m'.

La zota me d mostrandome
e la

briga,
la
fi-

figura del so bel viso,

me

par un gnielo de paradiso;


!.

e varda
*

Ben aza

ecc.

nuova canzonetta ; Firenze, stamp. Salani, M. Barbi, negli Studi letter. e linguist. dedicali a P. Rajna, Firenze 191 1, p. 102]. * [F. NovATi, negli Scritti varii di erudizione e di critica in onore di R. Renier, Torino 1912, ha rilevato test come alcune strofette della ballata della zotta fossero introdotte dal musicista modenese Ludovico Fogliani, fiorito nella prima met del sec. XVI, in un centone pubblicato nella raccolta di Ottaviano Petrucci tre delle strofette corrispondono alla i*, 2* e 12*
Bella
Silfide,

La

1878, in foglio volante [cfr.

dell'antica

la

quarta non

vi

trova riscontro

la

zota sta sotto al ponte

e vole che lui la fo- la fofornisca de confessa


;

zotta,

mala

zotta,

che

'1

cor furato lu'i.

Lo
mento
che
del

Stesso

NovATi ha riprodotto un
una
tra
barzelletta
il

ulteriore

dell'antica ballata,

rimaneggianova, da un libretto
il

fu pi volte

stampato
:

XVII
la

secolo, e da ultimo
strofetta

in

cader del XVI e Bologna, Benacci,

principio

1610

ec-

cone

prima

La
la

zotta de Zanibriga
.

mi mostra la fig. ura del suo che par proprio un Narciso Malviazo questa zotta, che ogn'hor morir mi fa !]
.

bel viso

123

La zota me d inpazo
e piarne pe' lo ca-

17

capuzo per la piaza, e mi dico che la non el faza Be aza ecc. e pur la '1 fa. La zota me dona una cotta, la voi pur che la fofornisa a conpimento niente de manco e' son contento Ben aza ecc. e varda l.
;
;

Quando
e la

la

zota
trete

si

me
;

vete

me

un pe-

per tanto ulioso

fame
22

star fresco e zoioso


l.

e varda

Ben aza

ecc.

La
e

zota va per l'erba


'1

g' in

mezo

la

mer;

[lo]

merlo da cantar
l.

tignialo in cabia per usar,

27

e varda

Ben aza
si fila

ecc.

Quando
el

la

zota

par che la se conchicon chi la die far usanza,


'1

maistro
filar.

li

fra

prestanza
ecc.

32

del

Ben aza
instesa

La zota vene
e

mi

g avri la fe-

fenestra del so zardin,

mi

gi porsi
'1

37

e la

pia.
la

un gardelin Ben aza ecc.


si

Quando
el

zota

vageza,

par che

la pete;

petena Un e stopa
se tu
i

vardi su la copa

42

la l' bianca.

Quando
la

la

zota

si

Ben aza ecc. va a l'aqua,

par pur una va-

vag[a] dona da vardare,


e fa
ta[nto] bela.

47

ogn'omo innamorare Ben aza

ecc.

La

zota

me

lusenga,

124
la

me

porze
dise
'.

la len-

letera

de so man,
:

e la

me
si

'

Va

pian pian
ecc.

52

e lezila

Ben aza
se lagna,

La

zota

la voi

pur che

la saca-

sachiera da paternostri,
e la
i

voi pur boni e grosi


l.

57

e varda

La

zota sta sul

Ben aza muro


el

ecc.

e la

me

mostra

cu-

cura de amar mi
e de voler gran ben a mi, 72
la
'1

fa e

non
[.
.

el fa.

Ben aza

ecc.

La

zota
tira

-azo]

me

per lo ca;

67

capuzo de mio fradelo el vene fora senza capelo tuto bagna. Ben aza ecc. La zota va sul mulo,

mostrandome
e
'1

el cu;

cuslier d'arzento fin


fo luni la

da maitin

72

che

mei mostra.

Ben aza

ecc.

La

zota

77

me mostrava el cocordon de quelo zenta do co' el' ben contenta che la 1' []. Ben aza ecc.
; !

La

zota

[.

.-ete]
le te;

[la]

me

mostra

dreze del so' bel capo


el polito e

82

e varda l.

ben ornato, Ben aza ecc.


co-

La

zota
el

m'enpresta
87

cosinelo del so bel leto,

unde

posto el

e varda l.

mio dileto, Ben azaecc.


per
le co-

In quel che la vezo boie


la zota

me

tira

125
cordele de
e la 92
li

calzar,

me

voi pur descrcpar,

se la por.

Ben aza

ecc.'

Pi osservazioni sono da fare intorno a questo singolare

componimento; e
versi delle stanze,

anzi

tutto

da considerare

il

metro.

per quanto alterati nella trascrizione ma-

nifestamente fatta a memoria, sono prevalentemente ottonari,


seguiti
tra le

da un quinario tronco che serve quasi


mutazioni e

di

chiave
:

la volta consistente nella ripresa ripetuta

questo versetto intermedio


alcun'altra ballata antica
tata a regolare la danza,
i
;

non

si

trova, eh' io

sappia,

in

ma

sta

bene

in

una poesia cand'avvertire


il

poich compie

l'ufficio

danzatori che, finite

ie

mutazioni, devono chiudere

giro

con un movimento corrispondente a quello iniziale della ripresa. E che questa poesia fosse proprio cantata a regolare
la

danza appare dalla sua formazione, poich non


concetto generale,
le
si

vi svolto

alcun determinato
rie di variazioni

intorno alla zota,

tare le grasse

risa delle

una sedovevano suscigioconde brigate campagnuole per


pi tosto
quali
vi

da ognuno facilmente intesa, senza poi che fosse bisogno di dir tutte le stanze e in un determinato
l'oscenit

or-

dine, potendosi a
il

ballo

qualunque punto della poesia intralasciare appare anche da un riscontro moderno, perch la
{romantica tramutazione,
sente
del

canzonetta della Bella Silfide


resto,

di Bella

Danzatrice)

si

dell'Emilia, e credo anche di


festini

non di rado nei paesi Lombardia e di Toscana, nei


la

carnevaleschi e nei ritrovi invernali, nei quali

no-

stra plebe

ama

di

ballare cantando

cantando,

s'

intende,

pi volentieri che altre cose quelle grossolane e volgari poesie,

proprio canzonacce da trivio, che attesterebbe assai sfavo-

revolmente della moralit


^

italiana,

se

non fossero per

lo

pi

Il

ms. ha

V.

13 coltra;
;

18

monete,
la

ma

suU'c' fu

scritta
le

un'^,- 24 el

tmi(;o

63

forse da

compiere ripetendo

pa-

oppure introducendo zota con un brazo). Nei vv. 63, 73,


role del V. 8,

parola brazo (p. es. La 78, 83 le lacune non appail

riscono nel e od.,

omise qua e

ma manifesto per alcune parole.

metro che

il

trascrittore

I2
gli

sfoghi di menti eccitate dal vino e dal


alla ballata antica,

momentaneo goutile
il

dimento. Tornando

sarebbe assai
l'altra

fermarne

l'et e la patria;

ma

l'una e

non mi pare
:

che

si

possano assegnare se non per approssimazione


repertorio
nei

tra-

scritta nel

primi anni del Quattrocento, do-

veva gi correre da qualche tempo le contrade, e se, come sembra, era nata nella valle del Po poteva esser molto vecdi consimili poesie plebee di chia o esser recente. Infatti
:

forma e

di spiriti e proprio nel

biamo esempi bolognesi sino dagli


zota;

metro della ballata noi abultimi decenni del se-

colo XIII, 1 al quale potrebbe perci risalire la cantilena della

se cosi antica,

non sarebbe agevole intendere come, tanto a lungo da poter esser raccolta in una forma non molto lontana dalla primitiva in un manoscritto del sec. XV. Credo quindi che la composizione della zota sia da porre all' incirca nella seconda met del
d'altra parte,

ma

durasse

Trecento, 2 anche perch


sintassi)

caratteri grammaticali (^suoni. forme,

richiamano

al

dialetto della regione Veneta,

dove

il

metro della ballata pare che fosse recente nel principio del sec. XV, allorch Leonardo Giustiniani incominci a coltivarlo largamente e con intenti di arte tratt in quel metro
gli

argomenti prediletti della Musa popolare.

Tra
si

cotesti motivi preferiti dal

e rimase

lungamente

di

poi,

la vita

popolo fu nel medioevo, monastica alla quale


;

riferisce la
la

tando

seconda ballata del nostro repertorio, racconvita licenziosa delle monache di un convento
:

II.

Kyrie, kyrie, pregne son le


Io andai in

monache

un monastiero,

a non mentir

ma

dir el vero,

G. Carducci, Intorno ad alcune rime dei secc. XIII Imola 1876 [ora nelle Opere, voi. XVIII]. 2 [Il NovATi, 1. cit., approva questa congettura; tanto pi probabile per la testimonianza da lui raccolta del cronista ere^

Cfr.

XIV ;

*
ov'eran done sacrate
:

127

diezi n'eran tute infoiate,

senza [dir de]

la

badesa,

che
8

la tiritera

spesa

faceva con un prete.

Kyrie ecc.
:

Or udirete
lasciando

bel

sermone
dileto

ciascuna in chiesa andne,


il

15

22

che si posava in sul lete per rifare la danza ciascuno aspetta l'amanza che die ritornare. Kyrie ecc. Quando matutin sonava in chiesia nesuna andava, [poi] ch'erano acopiate qual con prete e qual con frate [con lui] stava in oracione et ciascuno era garzone Kyrie ecc. che le serviva bene.
;
:

Sendo

in chiesia tute andate,

et tute

erano inpregnate

qual dal prete e qual dal frate,


l'una a l'altra guata
;

ciascuna cred'esser velata


29

avieno

capo di benda usata in capo brache. l'una a l'altra guatando si vengon maravigliando credean che fose celato,
lo
:

Kyrie ecc.

alor fu manifestato

questo tale convenente


36

e la badessa incontenente

ch'ognun godesse or dice.

Kyrie ecc.

Or ne

va, balata mia,

va a quel monistiero,

monese Domenico

Bordigallo,

il

quale, sulla fine del secolo

XV,

matrimonio di una figliuola di Bernab Visconti che tunc temporis cantilena illa amoris cantabatur, videlicet La zopa mi d hnpazo. La zopa fila la lana
scrisse a proposito del
:

cfr.

nella ballata

vv. 8 e 28].

128
che vi si gode in fede mia questo facto vero ciascuna non li par vero, et quale [] l fanziulla ciascuna si trastulla,
et
:

43

col cui

cantano kyrie.

Kyrie ecc.^

le alterazioni,

Di questa poesia da notare anzi tutto come, non ostante si possa riconoscere agevolmente che doveva
:

nella sua forma primitiva essere intessuta d'ottonari

la

mi-

sura dell'ottonario anzi conserv^ata nella maggior parte dei


casi (vv. 40),
2,

4, IO-I2,

14, 16-17, 19. 21, 23-25, 28-33, 36-37,


3,
5,

in altri
si

eccede d'una sillaba (vv.

9,

27,

39) che

facilmente

pu

togliere,'^ e nei

rimanenti manca di qual-

tro

che cosa che senza sforzo si pu supplire.^ Rispetto al meda avvertire che le stanze hanno l'organismo proprio
se

della ballata,

due mutazioni distiche e una volta ternaria, non che mancano della comune rima finale, di cui per altro doveva far 1' ufficio il Kyrie del ritornello e la ri;

presa d'un verso solo {Kyrie! pregne son


tonario sdrucciolo),
irregolarit

le

monache,
tre;

ot-

mentre dovrebbe esser di

le quali

sono

forse

da spiegare come una licenza del


la ballata

poeta popolare. i Quanto all'argomento, direi che


*

Il

ms. ha

v. 7

triter; 11
tiyl ptiero,
;

yl.
;

beleto ; 29 copo; 30 elluna

34

convento,

ma

l'errore

manifesto

41 ciascuna monacha
il

cognon godesse ordire ; dove da notare che al/ manca


37

segno dell'abbreviatura
*

44 cantan.

diezi eran, 9 or udrete, 27 ere, 39 Vi si gode. ^ Ci stato fatto nel testo per i vv. 6, 7, 18, 20, 34, 41 quanto agli altri si pu leggere v. 8 /a faceva, 13 e per rifare, 15 che al letto die rit., 38 va a quello, 43 ciascheduna, 44 e col cui. Pi difficile la restituzione della misura nei vv. 22 e 27 nel primo si potrebbe leggere poich le serviva bene, e nel secondo e l'una all'altra guata. * Chi non volesse ammettere queste licenze potrebbe pensare che della ripresa non sia avanzato nella trascrizione altro che un frammento, che primitivamente fosse di 3 versi e terminasse in -, e che ai versi finali delle singole stanze s'abbia da
3

Leggendo

dir vero, 5

i2g da qualche fatto reale, non senza naturalmente esagerazione degli accessori e qualche tinta un po' conventi di religiose potessero nel metroppo viva e che dioevo offrire materia a un canto di scherno com' la nostra ballata, appar manifesto da molli documenti anche letterari del tempo. Chi non ricorda nelle pagine del Decameron^ Masetto da Lamporecchio e la badessa di Lombardia ?
traesse occasione
;

Alla ballata delle

monache

licenziose tien dietro la notis-

sima poesia

di frate

Stoppa dei Bostichi,


la

Poi che

fortuna e

'I

mondo

men
non

voi pur contrastare,

me

ne vo' turbare,
il

anzi ringrazio

mio signor giocondo,


la

che credo inutile ristampare, tanto pi che


nostro repertorio assai
dal Carducci
late
;

lezione

del

meno buona

di quella

pubblicata

si

pi tosto traggo alla luce due gentili bal-

d'amore, sospiri ferventi d'un medesimo animo appas-

sionato.

IH.

D'amor
che
'1

si

dolze aspeto da

ti

aparse
arse.

cor subito e l'alma

me

dolze amor, per certo sola sei

quela lizadra luze che

me

infiama,

leggere 8 la faceva coti un pr ; 15 che al letto ritoviar de; 22 poich le serviva b ; 36 eh' ognun godesse or diz ; 44 e col cui cantan Kyrie: non saprei imaginare, in questo caso, l'ernendazione del v. 29. Ma questi troncamenti accuserebbero un'origine settentrionale, mentre di questa poesia crederei patria la Toscana (cfr. v. 5 infoiate; 26 guata; 34 conve nenie ; 42 si trastulla, che sono parole pi proprie dei dialetti toscani). * Giorn. Ili, nov. i^, e giorn. IX, nov. 2*.
:

XIV,

Cantilene e ballate, strambotti e madrigali nei secc. XIII a cura di G. Carducci; Pisa, Nistri, 1871, n. LXXIV.

Casini, Sludi di poesia antica.

9.

I30
tu sei quella che

me

fa

dir

'

Oi mei,'

tu sei quella che sola el

mio cor brama.


chiama,
se sparse.

Amor
8

in

ugni tempo

lui te
lui

per

la

tua luce chi fra

D'Amor

si

dolze ecc.

Roman
con
el to
i

per certo in mi sempre toa luce ochi belli e col dolce bochino,
lizadro volto pi reluce

che non fa el sole ni alcun saratno. Amor per certo t'ama, al to domino, 14 e per ti, dona, par el cuor disfarse. Oi me, che moro per ti, rosa bella,
io

D'Amor

si

dolze ecc

me desfazo per ti, dolce fiore, son liquefato per ti, anzolella. A morte corro per ti, mio splendor[e] secri adonca tosto, dolze amore, 20 se no, ch'i' vego el cuor anichilarse. D'Amor si dolze ecc. Tu pu' donarme vita e ancora morte, farme contento e farme star dolente, non se move el mio cuor se no' le sorte, che '1 tuo dolce viso resplendente, to dolce aspeto sempre sta in mia niente, 26 da pu' che '1 tuo bel fior in mi se sparse. D'Amor ecc. E' m' donatola ti, dolce mia vita, e fin eh' io viva sono al tuo comando,
;

tu se'

32

mio diamant'e calamita, donna voio avere el bando to dolce aspeto senpre vo cercando occhi mei m'aparse. dal primo di ch'a la mia dolce dona umeleniente vane cantando, canzoneta mia
d' ugni altra
i
:

D'Amor

ecc.

digli ch'io
in

son e voio esser servente,

38

ugni parte so dove eh' io sia, digando a lei che se vuole esser pia ancor poria el cor altoria[r]se. D'Amor

si

dolze ecc.'

IV.

Adoro
2

te, amor [mio], dolce mia per che nel cuor senpre tu me
'

vita,
sei
fita.

Il

petizione

ms. ha V. i de ti, che del verso

ma
in

la

lezione
della

vera data dalla


ballata
;

ri-

fine

22

dolento.

131
Fitta tu sola nel

prima per che


tu

sei se
1

mio cuor ben n'amase cento,


te sento,
el

viso to',

pieto e la

mano

dona molto da luintano, e tuto l'altro amor reputo vano, a ti me traze corno calamita. Adoro
e ogni altra

te,

ecc.

ti

me

traze ancor el to bochino

dolcesimo pi cha '1 mel[e] rosato, toi ladri e l'amor sarafmo i ocbi e '1 tuo lizadro cuor ch'a mi s' dato. Amor per certo el fior che m'i donalo 14 fa ra[ni]ma mia con ti sempre unita Adoro Non poria adonca separar za mai l'anima mia dal to dolze amore, per che nel basar vita me dai, e pi quando me strenzi apresso ei cuore.

te,

ecc.

Tu
20

sei

adonca

el

mio dolceto
rosa
fiorita.

fiore,

che m' donato

la

Adoro

te ecc.

Queste due ballate sembrano


autore, tanta la somiglianza
in

essere opera
pensieri
e

dello

stesso
:

dei

della forma

entrambe infatti par che s'alluda al nome della donna neir imagine della rosa fiorita (III 15, IV 20), il dolce fiore (III 16, IV 19), che ben. potrebbe accennare a una Rosa, il
bel fiore donato (III 26,

IV
io,

13)

da

Amore
che
ri

al

poeta; in enil

trambe sono ricordati


chino della
tore

gli

occhi belli e

ladri e

dolce

hoc-

donna
calamita

(III

IV
IV^

9,

ii),

attira a s

l'ama-

come

(III

29,

8),

con
(III
(III

la forza d'

un amore

sopranaturale, serafino o angelico


in

e segg., 27;

modo che

egli,

dato tutto a

lei

IV

3),

IV 11), non si

32 aparsi, 34 l^afii, 36 parte sso che pu risolversi in so =^ suo, sono. e in so'

Mi par
;

altre stanze,
il

primo

certo, sia per il senso, sia per il confronto con le che questo verso debba esser messo subito dopo sebbene dalla lezione manifestamente alterata non sia
la primitiva.

agevole ricavare

Propongo
ti

Fitta te sola nel

mio cuor

sento
;

col viso tuo, col petto e

tu

prima

sei se

per eh'

con la mano ben n'amassi cento, ogni altra molto da lontano ecc.

Il

ms. ha

v.

3 salta,

8 corno la cai., 15 separare.

132 cura d'alcun'altra donna


(III

30,

IV

6-7)

finalmente ambe-

due

le

ballate

hanno
una
e

la stessa costituzione metrica, cio

una

ripresa di due endecasillabi monorimi, e stanze di sei endecasillabi,


nell'

nell'altra
il

disposti

nello

stesso

modo
non

quanto

alle rime.

S'aggiunga
al
2 ftta

colorito dialettale, che


III

sempre rima con ama, in IV


imputabile
trionale di queste

copista (per es. in


in

4 iifiama in e

rima con

vita)

che nelle

particolarit fonetiche e morfologiche rivela l'origine setten-

due

ballate,

influenza del toscano letterario


le

due poesie sono trascritte 1' una ballata di tutt'altro genere e di altro autore e innanzi a una serie di componimenti, sui quali importa ch'io mi trattenga un pochino perch con le due ballate appariscono in rapporti strettissimi. I componimenti cui accenno sono sette e si seguono ne! manoscritto in questo ordine
:

non senza per una leggiera e non si trascuri il fatto che una di sguito all'altra, dietro
;

V.

Amor

ti

me

inclino e dico

vita,

recevi de

ben cuor

sta dolce scrita.

Dio sia con ti, signor de ungni dilleto. Dio t'aconpagni, e mi con ti nel leto. Dio sia con ti, dolce dolceta mia, Dio sia con ti, e mi in toa conpagnia. Dio sia con ti, dolce perlina bella, Dio sia con ti, e mi in la toa cella. Dio sia con ti, ch'el te varde d'enpazo. Dio sia con ti, e mi te tegna in brazo.

VI.

A A
In

dirte el vero dolce tu sei


ti

mia dolce

dea e

ciel stellato.

sola

m' dato
[-ato]

e al to voler[e].

ti

sta el

mio

piacer[e],

133
6
In 8
in
ti ti

bel possedere

'1

dolce amore.

vedo splendore e tolsi el primo fiorfe]


sei quella anzollella,

de

ti,

stella.

Tu
ic

Non
12

sopra d'ogni altra bela, so quanto tu m'ami,

che m'infiami.

14

16

ma so che li toi ami si m' presso. El to amor si m' acesso, nell'amare. e fame star suspesso El to dolce bassare me d vita. insenbre e l'abrazare

O
18

forte calamita,

20
22

o dolze mia sagita Per ti fuzi dolore, per ti receve onore

de dolzore.
e conforto.

Toe braze son mio


in lor sto

porto,

corno in orto
soi splendori,

pien de

fiori.

Toi ochi e
24
26 28

to viso e soi colori

mi

tien vivo.

Ogni

altra

dona schivo
nel presente.
fa

e questo vero scrivo

So

ch'el

m'

servente
e
'1

toa fazia relucente

bel bochino'.

VII.

Adorote, anzoleta, lucida pi che stella,


tu sei

mia donna

bella

e mia dolce perleta.

El to dolceto viso
el

cuor si m' infiamato, piacente riso si m' preso e ligato, e son inamorato
el to

di toi ochi lizadri.

ms. ha in fine del v. i una N.. che sta forse in luogo che volta per volta s'aggiungeva cantando 4 la lacuna non nel ms., ma segnata dal metro forse da 1. Col core innamorato ; 24. essoy.
^

Il

del

nome

134
12

quai sono doi ladri con toa dolce bocheta.


i

Tu me
tu

nfiamasti el core

col to dolce aspeto,

me

donasti

el fiore

che m'

sommo

dileto

tu vedera' in efeto
eh' io te servo fidele,

non volter mai vele


20
a
ti,

dolce dolceta.
bella]

Balata tosto vai


a N.[.
e
si
.
.

me

oferirai

lei

mia monachella,
la cella,

serata intro

dove
che
28

tien el

me

tra fuor

mio bene de pene


Adorote, ecc.^

tanto zolieta.

Vili.

12

te, amor, doize anzolina, suave amor del mio cuor infiamato, tu sola sei, che in ti son transformato, tu sola sei mia sposa e mia regina. Tu sei ancora mia dolze perlina, de la qua! sola son inamorato ancor, el cuor e l'anima t' dato, perch fra tute sei pi dolzolina. Tu sei mio dolze zio e dolce fiore, Venus lizadra e stella matutina in ti consiste tuto el mio amore. a ti mio cuor s'inchina, digando in sancta fede con cuor puro
:
: :

Adoro

Tu

sei

mia dona e

d'altra pi

non curo,
.-

16
*

perch Io '1 sa el nostro gran[de] dio ch'io son tropo pi to che non son mio
Il

ms. ha

V.

6
27

infamato,

8 presso,
nel
v.

17
il

afeto,

18 fidelle,

19 velie, 26 retien,

ftiara:

12

ms. non

segna

la

lacuna.
*
Il

ms. ha

V.

3 son

za Iransf.

135

IX.

dirte tutu quel ch'el

mio cuor

dice,,

credo che in vita mia rasonar noi poria,


4
tanto m'acende amor de toa Ben posso dir un poco per mio solazo e zuoco
ch'el tuo ardente fuoco radice.

si

me

trasforma corno osel fenice.


dire
bolire
'1

Ancor voio pur


che tu
12

me

fa'

l'intendere e
e a sto

sentire
cosi felice.

mondo son

i6

questo fa el tuo viso con i ochi vag e '1 riso: parme un bel paradiso, quando eh' io vedo ti, dolze pernice.

'

X.

Adoro

te, amor caro mio conforto, lucido specchio e radio risplendente,

fuoco atrativo che infiami mia mente, stella diana che me duce a porto. Se tu non fusti, za io seria morto e translatato a la beata zente, mo io vivo e sto per lo fior excelente

che instesso arcolsi fuora del to orto. ti adonca, dolce mia regina, el cuor e mi instesso i' donato, non voio Margarita ni Marina perch in ti sola sono transformato. Amor m'i si ligato
.

Il

ms. nel

v.

12

ha dopo

il

son una forma abbreviata

{qi)

che non saprei


radisso.

sciogliere se

non

in cosi o quasi; 14 risso; 15

P^-

136
15

dentro da ti con toa dolce catena, che fuor de mi scazi ogni dolor e pena.*

XI.

Adoro un dio
2

amo

ti,

mia

vita,

e sopra ogni altra nel cuor

Adoro un
4
6
8

dio,

ch'
ti

ma

sola senpre

me sei fita. sommo signore, me sta' nel core.


el

Adoro un

dio, signor del paradiso,


ti

ma de
Adoro
Adoro
adoro adoro
il

senpre contenplo
f' f'
i

bel viso.

dio chi
lui chi
'1

cuori lizadri,
toi

ochi ladri.

dio, e
lui

stato serafino,
f'

IO
12

che
ti

el

tuo bel bochino.

Adoro dio signor d'ogni persona,


qual de
dio,

me

volsi dar corona.


feci si bella,

Adoro
14 16

che te

pi l'amarla se fust in la mia cella.

Adoro

dio, e sapial tuto el


sei

che sola

mia

vita e

mondo, amor iocondo.'^


si

Al solo leggere questi singolari componimenti


subito ch'essi sono d' uno stesso autore. Intanto
chi cosi variamente effondeva
i

vede

si

noti che

chella (V 8, VII 24-25) era un

l'amata nella sua propria cella

duca che r innamorato fosse versi sembrando invece pi probabile che il poeta, chiunque fosse, imaginasse una storia intima d'amore tra un frate e una suora, e su questa idea componesse d'amorosi sospiri i suoi versi. I quali hanno comuni, oltre l'ardente e passionato desiderio che traspira da ogni parola, l' idea iniziale
;

suoi sospiri per una monamonaco desideroso d'avere (XI 14), ma non se ne inegli medesimo l'autore dei

dell'adorazione e
usate rispetto alla

le

espressioni carezzevoli
:

vezzeggiative

donna

il

poeta non
i

si

stanca di ripetere
e aspetti

quanto
'

ella sia dolce cosa in tutti

suoi

atti

(V

5,

Il
Il

ms. ha ms. ha

V. v.

15 fuora.
2

essopra.

tu

me

sei,

6 el lo bel viso, 14 nela

mia

cela.

^37
dolce dolce ia mia
;

7,

dolce perlina bella:


18,

VI

r-2, dolce

N.

dolce dea; 15, el to dolce tassare;

o dolze nia sagita de


;

dolzore ; VII
dolce bocheta
5,

4,
;

mia dolze perle la;


20,
ti

5, el to dolce to riso
;

12, toa
;

dolce

dolce la

Vili

i,

dolze
;

anzolina

dolze perlina; 8, fra tute sei pi


;

dolzolina

9,

dolze zio
;

e dolce fiore

IX

15,
;

dolze pernice;
la

9,

dolce

mia regina
cose
vita

14,

toa dolce catena)

chiama
le

coi

nomi

delle
:

pi
i,

gentili e delicate e

con

pi affettuose parole
5) e perletta

(V

XI
VII

i),

perlina (V

7,

VIII

(VII 4), stella (VI 8.

2)

e stella mattutina o diana (VIII io,

X
X

4),

lucido spec9),

chio e raggio risplendente


letta

(X
(VIII

3),
i),

angiolella

(VI

augioe fiot'e
le

(yw

i)

e angiolina

giglio

(Vili
9)
;

9)

(VIII 9), sposa (Vili 4) e regina (Vili 4,


bellezze straordinarie,

ne loda

ma
cfr. cfr.

specialmente quella del bel boc-

chino (VI 28, XI IO,

VII

12),

che accompagna
(VI

lieti

abbracciamenti (VI
piacente (VII
i']
,

16,

21) coi baci

15) e col riso

IX

14), e

quella del viso (VI 24, 27, VII 6,

IX

13,

XI Ben

6), del quale sono

ornamento principale due occhi


14) rubatori dei cuori (VII 11,

leggiadri (VI 23,

VII

io,

IX

XI

8).

vero che questi

sono luoghi comuni nella poe-

sia popolare e nella letteraria del

Tre e Quattrocento

ma

il

loro concorso in

un gruppo

di poesie, delle quali la

comune

ci apparsa per altri indizi, non senza signifiFermato questo punto, cio che componimenti sopra riferiti (V^-XI) sieno opera di un solo poeta, a me pare manifesto che egli sia anche autore delle ballate III e IV, con le quali presentano tanti riscontri di pensieri e di forma

paternit
cato.

basterebbero a provarlo
ballata IV e
il

la

somiglianza tra
l'

il

principio della

principio della poesia XI,


Ili

imagine ripetuta
occhi ladri,
il

della calamita (cfr.


bel bocchino

29,

IV

8,

VI

17),

gli

altre

consimili
di poesie.
Il

espressioni

caratteristiche di

Un' ultima osservazione da componimento V una specie di strambotto augurale, formato di cinque coppie monorime Il VI sembra essere una cantilena a distici incatenati, che rientrerebbe nel genere dei serventesi duati, come dicevano
tutto questo
fare rispetto ai metri.

gruppo

138
gli

antichi trattatisti,

ma

si

potrebbe anche risolvere ogni


(vv.
5-^)
:

distico in

un ternario a questo modo


In e In
ti

sta el
ti

mio piacere,

in

bel possedere

dolce amore. vedo splendore, e tolsi el primo fiore, de ti stella ecc.


'1

ti

cosi

si

avrebbe una forma pi vicina


l'

al

tipo

usuale delle

poesie a strofe incatenate, nelle quali

incatenatura suole farsi


altri
;

per mezzo d' un verso pi breve degli

ma

si

avrebbe
de

anche un
quinario
ti stella).

altro inconveniente,
(es.
Il

cio nella terza

sede ora un
Vili

dolce amore) ora

un

quadrisillabo (es.
1'
;

VII una ballata regolare di settenari


tetrastici,

una
due

serie di

potrebbe essere l'avanzo d'un


12-14) e
fosse

sonetto con doppio ritornello, uno di tre (vv.


di versi
(vv.

uno
bal:

15-16).
si

Il

IX parrebbe che

una
b

lata,

ma comunque
si

guardi incontriamo qualche

difficolt
[b b

perch o

considera formata di 4 stanze tetrastiche

X),

e allora la ripresa

dovrebbe essere di due versi [a X), e nelle prima stanza mancherebbe un verso o si considera formata da una stanza sola [b b b X, e e e X, d d d X) preceduta da una
;

ripresa tetrastica
larit

{X y y X),
il

e allora

si

avrebbero irrego-

ben gravi, cio


S e
12)

verso finale di ciascuna

mutazione
4),

(vv.
il

rimato col verso finale

della ripresa (v.

primo verso della volta (v. 13) non collegato per la rima all' ultimo delia seconda mutazione (v 12), irregolarit impossibili, direi,

a trovarsi in una composizione antica

perri-

ci ritengo che

abbiamo

qui

l'avanzo d' una

ballata a
i

presa distica e a stanze tetrastiche, e per chi ami

supple:

menti congetturali propongo di compiere

le

lacune cosi

[te

mia dolce donna,

volo] dir tuto quel ch'el

mio cuor

dice.

[Qual io per te mi

sia]

credo che

in vita

mia

rasonar noi poria ecc.

1,39
Il

anch'esso irregolare: e in questo caso

all'

intonazione parrebbe un sogli

netto,

mancherebbero
al

ultimi

della seconda terzina, innanzi

ternario

di coda,

due versi oppure

prima terzina mancherebbero i due primi versi della seconda che la lacuna pu per il senso, esser nell' uno o nell'altro luogo.' L' XI , come il V, uno strambotto a distici monorimi, che s'allunga per otto coppie, quasi una spe-

dopo

la

cie di strambotto doppio.

Dai sospiri del frate l'elice per amore ci trasporta al lamento del monaco doloroso la ballata che tien dietro quasi
subito nel repertorio alle precedenti poesie
:

XII.

De, ben

feci la

gran pacia

quando la capa me misi, e mazor quando impromisi


d'osservar
la vita

mia.*

Or udite

la

gran falanza

del prete che me converti, che mi dise una sua danza tanto ched e' mi vesti.

Et come

fu falso e rio

malano, il che m' messo in tanto afano De, ben che contar non vel potria. Quando vego i mie' conpagni
cossi dio gli dia

feci

ecc.

con i quali solea usare con garzon di sedice anni


star nel
io

mondo

a solazare,

non vel potria contare quanto grande il mio dolore


Noto, senza darvi importanza, che

'

altri

sonetti caudati

sono

in questa

sia,

prima parte del codice. * Queste ultime parole, come altre qua e l in questa poesono cancellate e si leggono a stento forse qui potrebbesi
:

leggere la vita ria.

140
cosi gli
si

schiante

il

cuore

20

m' meso in .questa via. La sera quando mi truovo in cella mia cossi solete, mille volte mi rimuovo
chi

De, ben

feci ecc.

sopra del malvagio lecto.


chi
s'

De, cosi gli si schiante mi fa cosi giacere


!

il

peto

io l'avessi al

mio potere
De, ben
feci ecc.

28

volentier lo 'npicaria.

Non

un rio partito ad uno omo innamorato ad giacer senpre vestito, s con una fune legato, senza conpagnia da lato
questo

giacer senpre in su la paglia,


si me sento gran bataglia, che dire non vel potria. De, ben Questi son l'ordinamenti che tengon l'encapuciati, ched e' paion pur poltrone a dormir senpre inpaiati. De, uomeni innamorati, non questo un rio partito ?
s'

36

feci ecc.

io vedesi

un bello

invito

44

volontier l'acetaria. De, ben feci ecc.

Quando
et io

il

ministro pasasse

o un altro magiorente

mi

fa

non mi g' inchinasse chiamar tostamente.

Sozo, ladro, sanguinente,

vane ad stare a gargarita,


sappi che non m' secreta
52
la

tua gran ribaldaria. De, ben feci ecc.^


in
la

tura,

Questo lamento del monaco ben singolare che dei frati rappresent pi volentieri mentre invece
ms. ha
V. 15

una
vita

lettera-

gode-

reccia,

alle suore,

come vedremo,

lasci quasi

Il

con grugon, 19 schianto, 20 a chi, 25 schianto

26 a

chi,

28 lanpicharia.

141
il

privilegio dei sospiri alla gioia

all'amore

ho cercato

inutilmente qualche

riscontro nella

letteratura popolare dei

secoli posteriori, e perci cotesta ballata

rare pi tosto

come

l'espressione

d'un pensiero

mi par da considee d' un sen-

timento individuale, per opera di un poeta di poca coltura, che s'attenne ai modi e alle formule della poesia del popolo
(cfr.

specialmente

vv. 5, 7,
il

io,

12,

17, 19,

25,

27-28, 36)

e ne riprese felicemente po'

verso prediletto,
e di ritmo,

l'ottonario,

un

monotono d'andamento

ma

pur disinvolto e

bene appropriato a un' invenzione pi che altro narrativa. Della patria di cotesta ballata c' pi d' un indizio linguistico
;

perch, per esempio,

il

verso 6 non pu essere ridotto


alla

alla giusta

misura se non sostituendo

(prete) quella dei dialetti settentrionali [pr), ai quali


ci

forma toscana anche


15),

rime compagni e aymi (vv. probabilmente anche la voce gargareta (v.


riportano
le
il

13,

assai

50),

che forse era

nome, comune o particolare, della cella di punizione nel monastero. La possiamo quindi tenere per un documento
della letteratura dell' Italia superiore
;

dialetti

della

quale

suggeriranno forse l'emendazione che certo bisogna nel


:

v. 37 un amico mi propone di correggere il primo, o nei V. 39 leggendo Queste son l'ordinazioni; correggerei pi tosto l'al-

tro in

Ched

e'

paion pir pazienti, che, tutto ben considerato,


al

risponde meglio

concetto
:

dei

versi

che precedono e di
il

quelli che seguitano


frire
i

il

pensiero che
sopporti con

frate

deve

sof-

segreti dolori della vita monastica,

ignoti ai secolari,

quali credono

che egli

li

pazienza, mentre

invece aspira alla vita libera e all'amore.

Con
ciclo

la

ballata

che segue incomincia nel repertorio


delle

il

abbastanza ricco
:

poesie

satiriche

intorno

alle

donne

XIII.

Done, siatene pregate,


se volete eser oneste,

quando vengon le gran non andate si lissate.

feste

142
Voi dovete ben pensare che l' pecado mortale de voler[si] scontrafar[e]
la [soa] faza

naturale.

Io ve dico ch' gran male

ed ato molto
12 tuto
'1

rio,
f'

[che] la faza che

dio

di la contrafate.

Done

ecc.

[Voi] pi belle za non site

con

lisare

de unguenti,

nante pi laide parete de cosi falsi argumenti.

Vui

portati nigri

denti,
;

questa cosa molto bruta


2o

ben mato chi ve toca quando site si lissate.

Done

ecc.

Quando

per

la via

passate

par che abiate stomegato,


tanto ve sete inibratate
e de argento [e] solimato
:

bambaceli da one lato che pezate vui parete


se

non ve ne remanete,

28

voi sarete delezate.

Done

ecc.

Pi d' un palmo

le

pianele

per

la

tera vui portate,

per parer maior e belle

quando per

la via

passate.

d'

inverno n d'estate,

36

n perch sia il solleone, n per nesuna casone vui de piedi non le trate, Vui andate [senpre] al domo per parer bene adornate, e credete da omne omo
eser tute vagezate
:

Done

ecc.

e vui sete bef[ez]ate

da molti che se n'adanno, non pensando a quello inganno


44
vui pure del grosso fate.

Done

ecc.

Le

altrui trece

conperate

143
per
e za
eh'

far capelli riciuti,


vili

non

[ve] pensate

ve son reconosuti. Noi ce ne siamo aveduti

52

che ce fati de molti ati illi ve son scontrafati, si che pi no le usate.


le

Done

ecc.'

Contro

portature delle donne,

come

gi inutilmente
suntuari,^ cosi

si

era

cercato un freno con gli ordinamenti poeti del Trecento, dall'Alighieri, mente alzarono la voce che a tal proposito usci in una invettiva famosa, ^ al Sacchetti, che ne scrisse una particolare canzone * la nostra
i
:

vana-

ballata porta nel coro dei moralisti letterati la voce del po-

sentimento di disgusto che

polo, e in forma tra schernevole e ammonitrice raccoglie il gli eccessi e le stranezze della

moda generavano
proverando
alle

nei

nostri

trecentisti.

E
(vv.

incomincia riml'alterazione
del-

donne,

genericamente,

l'aspetto naturale,

come mortai peccato


la bellezza

5-12): dipin-

gonsi e disfanno

che ha data loro iddio, aveva


il

gi esclamato nelle
valto,5 e
il

sue prediche

beato Giordano da Ri-

poeta popolare esprime su per gi lo stesso pen1'

siero. Poi riprovato


1

uso dei cosmetici e dei

lisci

(vv. 13-28),

II

ms. ha

parete, 17
leone,

li denti,

43^
Si

14 con vostro Usare, 15 layde asay 18 e questa e cossa, 23 tante, 34 et sole hi ingano, 44 pur, 46 far vostri capelli, non penssando
V.

3 vengono,

51 sono.
'

vedano su questa materia


il

G. Manzi, Sopra gli spetta-

coli,

le

feste ed

lusso degli italiani nel sec.

XIV Roma
,

1818;
;

Ciampi, Statuti suntuari ricordati da G. Villani; Pisa 1815 G. B. Vermigligli, Opuscoli; Perugia 1825, voi. IV; L. SimoNESCHi, Ordinamenti suntuari pisani per gli 1350, 1386 ; Pisa
S.

1889.
^
"*

Paradiso,

XV,

100 e segg.

G. Carducci, Rime di Gino da Pistoia e d'altri del secolo XIV ; Firenze 1S62, p. 542. Al contrario del Sacchetti un altro novelliere fiorentino, l'autore del Pecorone, metteva in ri-

ma

le lodi delle

donne
I,

seguitatrici delle

nuove fogge

vedi Gan-

tilene e ballate n.
=

CXLIX.
99.

Prediche,

144
che
al

Sacchetti traeva la dolorosa esclamazione


la

O
:

alchiriu-

mia maledetta che


sciva pernicioso
i

vera carne
ai

fai

dibucciare
e

, e

che

specialmente

denti

agli occhi
il

che
fio-

denti fanno neri e gli occhi rossi, dice

novellatore

rentino, e

voi portate neri


il

denti,

questa cosa molto


;

brutta, soggiungeva

poeta popolare
i

al

quale anche, co-

me

al

Sacchetti, erano fastidiosissimi

bambacelli, cio quelle


di

pezzette di

panno bambagino adoperate per tinger


il

ros-

setto le guance, per darsi

liscio e altri cosmetici. Bruttis-

simo costume era poi quello d' innalzare artificialmente la persona mediante 1' uso di zoccoli e di trampoli, lungo
i

quali potesse distendersi la lunga veste, in

onta alle leggi


:

suntuarie che limitavano

la

misura dello strascico


qual dice che

anche
fio-

questo costume deriso nella nostra ballata (vv. 29-36), co-

me

nella canzone di Franco,

il

le

donne

rentine usano
pianella e
il

ogni

industria
si

affinch

con

le

vesti

l'alta

calcagnin

cuopra.
i

Finalmente
rf://fl

la satira si

volge

ai capelli finti (vv. 45-52),


il

capelli

morie dileggiati

gi dal Cavalca,
ze,

quale contro queste portature e queste usanaltra corruzione del secolo, scrisse gravisin questi riscontri,

come contro ogni

sime parole.iMapi che insistere


facile moltiplicare

che sarebbe
la

e che mostrano ad

ogni

modo come
fatto

nostra ballata sia l'espressione di sentimenti


nel secolo
la

molto comuni
che attesta
la balil

XIV, mi pare da accennare un


poich se non
si

popolarit di essa, in tempi molto posteriori a quelli in

cui fu
lata

composta
le

pu dubitare che

contro

fogge sia cosa del Trecento, parr singolare

trovarla ancora vivente alla fine del secolo

XV

al

princi-

pio del

XVI

allorch Carlo di Giuliano de' Ricci fiorentino


in

la trascriveva

un suo codice dei Trionfi} In questa


la
;

tra-

scrizione pi recente sono notevoli difterenze dall'antica, le


quali mostrano

come

ballata fosse

venuta modificandosi

nella trasmissione orale

poich se anche molte delle discre-

Pu7igilingiia, cap.

XXVII.
f.

cfr.

il

Cod. Palatino 201 della Nazionale di Firenze, Catalogo dei Codd. Palai., voi. I, p. 216.

43 -44 a

145
panze sieno dovute all' imperizia del Ricci, questa non sarebbe sufficiente a spiegarne altre parecchie. Soggiungo in
s

nota la trascrizione pi recente l affinch chi vuole faccia da il confronto con l'antica, e mi limito ad osservare qui
in quella la ballata invece

che

che

alle

donne

in

generale

rivolta alle fanciulle, che


in parecchi luoghi
il

manca

dell'ultima stanza, e che


fu tanto

rimaneggiamento
22,

profondo da
o almeno
^-j
,

mutare del
il

tutto le

rime (vv. 13,

15, 21, 23, 26-27)

pensiero dell'originale (vv. 18,

28,

32,

35,

39,

42-43).

scherno il compianto questa che segue lamento d' una giovane innamorata per l'allontanamento del suo diletto
allo
:

Accanto

una

ballata di

XIV.
De, torna ch'i' t'aspeto
e non mi las morire,
' Questa cansona ichiste (1 iscrisse) Charlo di Giuliano d'Ardi[n]go di Zanobi d'ArdiinJgo de' Ricci fiorentino
:

Fanciulle siate avizate

quando vengano queste


se volete essere oneste

feste,

barbegello biacha dallato, che parette can pessati,


e di lungi giettate
fiati

non adate si ducale. Voi dovete considerade


ch'egli peccato mortale a voler si contafare voste facce naturale. Dicovi che fate male

28

tutti

quanti s'apusate.

Pi d' u'

parmo di pianelle pella via senpe portate

ch'egli chaso monto rio, che tale facca fatto el dio 12 ogni di la contafate. Voi chredete asser pi belle

per esere maggiore e belle, mai ve le cavate n di verno n di state, n per gnuna istagone
e gi
;

36

che' vosti dicci e vosti unguenti,


iscoricatevi la pelle

fissi un solidione mai sans'eze non andate. Voi andate da uno uomo

se vi

e per ese' vageggate. e chedete che

con monti vosti argumenti,


e per farvi netti e' denti e farvi putire la bocha
:

ugnuno
:

voste facce abbi guardate


anzi siate didegiate,

egli passo chi vi

pi che ignuno va fanno,

toccha
44

20

quando siate Quando andate

iserchiate.

pella via pa' ch'abiate aburatato,


co' vosta arte trista e ria ari'ento e solimato;

e voi siate in questo inganno e da voi de' grosso state.

Fanculle siate avisale,

quando vegono queste


se volete essere oneste

feste,

48

non andate

si

dicate.

Casini, Studi di poesia antica.

146
se

non dezo venire


i'

a goder col mio dileto.

Longo tempo

so' stata

a pensare solo in tiene,

d'essere teco abraciata


e tu ti parti da mene. Queste son si gravi pene che per te son quasi morta sempre sto sopra a la porta 12

per vederti, amor dileto.

De, torna ecc.

Tu

sai

ben quanto
lo
sie

che tu se' de, che tu


toni* a e io
t'

ho deto amor mio


t'
:

benedeto,
;

me

eh' io te disio

imprometo a dio

di donarti ogni solazo

e starti senpre in brazo

20

Si per altra

acostandome al to pecto. De, torna mi se' tolto de! non far demo[a]diu dimora. Fa che vega il tuo bel volto, se tu non vi ch'io mora;

ecc.

che se tu ritorni ancora io spero di vita assai. De, per dio, trame di guai,
28

non m'ocidar
Di
cotali lamenti di

di sospeto.
la
la

De, torna.

donne per
fare a

lontananza o per l'abnostra

bandono
si

dei loro

amanti abbonda
il

poesia
i

antica,
raf-

che parmi inutile


;

questo proposito

soliti

fronti

tanto pi che le conformit risultanti da simile

com-

-Questa

ballata tfascritta
:

(A) e a carta 22 (B)

seguo
3,

la

due volte nel cod., a carta 9 prima trascrizione, correggendola

con

la

seconda nei vv.


:

5, 6, 13.

Noto poi
;

le

proprie lezioni del

non teco A 5-6 so sta priva pensane solo A, so stata pur a pensare B 7 esere tieco A 9 Questi AB 15 sei B 16 tornanimi B, eh' io te desidero A 13 quanto dito A 20 acostandomel tuo B 21 Si per altri non mi tasi che mi se tolto A, Si per altri noti mi tasi o mi se tolto B 22 fare demodin A, fare modiu B; 24 l'ol B; 27 ttammi B 28 ncider B.
codice
2 lasciar

147
parazione potrebbero essere puramente casuali e dipendenti dall' identit del soggetto. i Voglio pi tosto avvertire qual-

che cosa circa la patria di questa ballata smi che v' incontriamo sembrano dovuti
certamente
dell' Italia superiore,
(v.

alcuni lombardicopista che era


sostituiscano le
v.

al
si

perch se
2

forme corrispondenti toscane


der per goder
e nelle rime
solazo,
;

las per lassar,

4 gol-

ecc.),

nulla viene alterato nella versificazione

ma

altri

lombardismi

(v.

19 brazo in rima con


il

e v.

22 demondhi, se pur da leggere cosi


tali

demo-

diu del codice, in senso di lungamente) sono

che non

possono togliersi senza guastare l'organismo metrico della poesia chi volesse sostituire la forma toscana toglierebbe la rispondenza delle rime trai versi 18-19, dovrebbe rifare arbi

trariamente

il

verso 22. Per queste ragioni credo che


;

la bal-

anche quest'altra che poco discosto segue nel codice, guasta e manchevole, si che in alcun luogo anche malagevole l'intenderne il senso. una specie di lamento moralizzante del marito perch la moglie vuol mettersi, come oggi si dice, i calzoni, o
forse

lata sia d'origine settentrionale

come

levar troppo la cresta al confronto del messere (cosi


dini dell'Emilia

conta:

chiamano ancora

il

capo della famiglia)

XV.
La dona mia
e perch zo voi eser el misiere,

me

spiace
lei

non poso aver con


che sotometerme

trigua n pace.

I^eva la cresta col visso superbo,

ma

io

al suo voler crede renegeria in prima la fede


el
:

ch'io stesse a lei corno [al] lione perch mi toca l'antico proverbio

cervo;

La casa non mi piace dove galina canta e '1 gaio tace.


^ Si cfr. quello che scrive in proposito A. Gaspary, La scuola poetica siciliana del sec. XIII, trad. di S. Friedmann Livorno 1S82, pp. ir6 e segg.
;

148
Chi della dona soa si fa sozeto vene vilan, ponam cha nula toca devrebbe al mio parer prender la rca, e las[ar] andar lui al suo dileto.
:

-eto

Chi no'

al

servo
i

hom

veraze

17
Il

ma

feminil de

omini falaze

La dona mia

ecc.*

gruppo di
:

ballate ch'or segue nel codice tutto di la-

menti

caratteristica forma, nella

quale oltre che

il

senti-

mento
sti

politico e

il

religioso

si

atteggi spesso nel medioevo

italiano

anche

il

sentimento d'amore. Leggiamo, intanto, que-

lamenti che porgeranno occasione a far parecchie e sva-

riate osservazioni.

XVL
Perch sospecto non sia per altri mi ven lassare e! camin che solea fare
per
ti,

dolze anima mia.


si

El parlar d'altrui

tanto

che za me met'i[n] gran dogla, perch derete e denanto a noi cercan far vergogna prego dio chi li svergogna
:

questi

falsi

traditori,
i

e mantegna

nostri onori

centra tanta zelosia.

Perch sospecto ecc.

Lo

lor

morso venenoso

pi fero ca coltello,
e pi che can rabioso
v. 7 chonto lione al 2 yo invece forse di fo senso richiede il contrario; v. 12 clamilatocha, lezione dalla quale non saprei cavar senso, se non forse 1. ch'ami la loca, e intendendo tca per femmina, metaforicamente v. 15 manca nel cod., ma doveva essere press'a poco (cfr. v. ^, perch si dice per antico deto, o qualche cosa di simile, che valesse a collegare la sentenza che segue con le precedenti parole.
1

II

cod. ha v.
il

cervo,

ma

149
mi d pena e fiazello zamai senti' martello chi mi fesse consumare quanto fa el so mormorare pin de tuta vilania. Perch
a
;

ni

20

ecc.

Questi

falsi traditori

cun lor lenge venenosse vano seminando erori


contra persone amorose.

Cun

lor

lengue dolorosse

28

prego dio chi li confunda, a nui dea vita ioconda ed a lor malenconia. Perch Dio confunda traditori
i

ecc.

zelosi e

mormoranti,
gli

pricaor o frar menori


chi n invidia su

amanti.

Dio

gli

dia dolor e pianti,

a noi dea vita zoiossa, a lor vita dolorossa,

36

tristeza e

malenconia.

Perch ecc.

le false traditrize

invidiose ribaldesse,

queste sun predicatrice,

done neigre
Dio
si

menoresse,
badesse,

le priore e le
gli dia lo

malano,

le

mi dn grand 'afano,
Perch ecc.

44

per vui, cara perla mia.

La

spartita che
ti,

mi

fazo

dona dilicata, de zugno sia de mazo a vera ancor retornata,


da
sia

e sera pi inaniorata

52

cun senbianti graciossi al despeto di zilosi, che De' meta in mala Non sera mai despartito
el

via.

Perch ecc.

mio cor

dal vostro amore,

tanto forte ferito

cun amor de tanto ardore

I50
che produse
el

to valore,

donna
per
60
ti

bella e virtuossa:

socori a la

Non

prego amorossa, pena mia. senti' ancor dolore,


si

Perch ecc.

non

spietata ferita,

68

quanto sento al mio core per questa amara spartita. Oi me che crudel saita mi conven per voi sofrire, ed ancor forsi morire Perch ecc. e finir la vita mia.
!

E bench da

lonzi sia,

rossa fresca e colorita,


dal mio cor in vita mia zamai non farai spartita perch sei la mia vita in Alba e in a,ltra parte, ni '1 mio cor da ti si sparie
;

76

in logo dove me sia. Zoia mia, dati conforto e lassa melenconia,

che sempre fin che sia morto m'averai in to' bailia ni far la zente ria
;

84

che e' non sia to servidore, fermo e forto inel to amore, Perch ecc per la tua gran cortessia. A dio t'arecomando, prego che non m'abandoni
;

altro

da

ni altro

non domando, curo che mi doni.


ti

Oi me! dolorossi soni, o canzon tuta piatossa, ben mi dai vita penossa,
92

Perch in la despartita mia. Vane, balatina mia, umelmenti e cunt amore, e di a la dona mia quanto forte el mio dolore Prega 'I so dolze valore chi mi rendi alcun conforto.
:

ecc.

151
e avanti vivo che morto

mi sostegna

in cortessia.

Perch sospeto ecc.*

XVII.
Tolto m'i col to parlare, vaga dona, el mio cuore, si che mi convien stare
per te suzeto all'amore.

Ma
di

se tu sarai benigna donarmi tua corona,

degna mia persona ogn' altra dona abandona per te lo mio cuor crudele; a quante voluto bene
sola tu sarai pi

signorizar

ora tu le caci fuore.

Tolto m'i ecc.

Se amor meco voi turbare,


canzoneta disviata, fa che me faci scusare
a sta
la

dona despietata,

quale m' si robata di tucto l'amor pasato, per suo servo m' legato
co' le

sue dolci parole.

Tolto m'i ecc.

XVIII.
Oi

me
oi

streto fuse io

in le toe braze,

o vita del cor mio,


oi

me
si

oi

me

me

Sun

vago de ti, anema mia, che quasi a morte vegno


;

cani, 31 Sian pricaor inutile avvertire che gr., datile 70 mi Si Alolor, 43 monori. 35 e 91), rossa sta per rosa (cfr. vv. 22, 25, 34, 35, 5o, 58, 59, 90

Il

ms. ha v.2 laxari, 8 cercam, 15

. .

86

ma
2

abandoni.
II

ms. ha
16

V.

6 la tua,

11

quante egli

a,

12 tu ne

le.

13

si voi,

Ad

questa.

152
regina del cor mio, speranza mia,

rendime algun sostegno de non aver desdegno de mi che t'amo pi ca l'ochio mio.
: !

IO

Oi me oi me oi me Perch me si' crudel, dona piacente, con l'amoroso viso, ochi toi lucente, bianca la boca e con lo to vago riso ? Angel de paradiso,
!
! !

17

me sia to servo sunt' io. me oi me oi me Perch me scaci, perch me [dejstruzi,


dove
Oi
!
!

perch

[sei] si
e'

feroce

?
:

Quando

te

chiamo, dona, pur tu fuzi

24

31

questo dolor me coce, per crido ad alta voce merz, merz, che non soferis'io. Oi me oi me oi me Abasa le to rechie, audi parole del to servo suieto, si' senpre la dona che '1 mio cor vole con lo lizadro aspeto de rendime dileto in le to braze, non me far morire. Oi me oi me oi me Per ti poso schivar la crudel morte e star in questo mondo, tu sera' de la mia mente fonte
!

[io]

da ti non m'ascondo, ma sempre pi iocondo te vo' servire el tenpo che


Oi

viv' io

38
*

me
di

oi

me

oi

me

*
!

questa ballata abbiamo due trascrizioni nel re36 (B). Nella seconda il ritornello non sempre di tre esclamazioni, ma di due, oyine oyme, nei
pertorio, a vv. 3,
e.

Anche

17 (A) e a e.

IO,
v.

24,
i

e di

una
B,

sola,
2

yme, nel
/e

v.

17.

Le

varianti
5,

sono

minime,
B, 6

fos' io

Che sun, AB,


B, risso

guasto

mor
AB,

B, 8

no B, 13 lucenti A, 14 uiso

A, 21 ma-

cole

22 voge A, 23 che e tion

sofareseo A,

che non so/ri-

SCO oy B, 27 ma vuy si senpre la dona AB, le brace A, 34 tu sera dela mia mente chiave fonte A, de la mia mente chiave B, 37 che vivo A.

153

XIX.
Valeto, per cortesia vane, vane a l'amorosa,
quella ch'
si

lacrimosa,

piena de melenconia. Quando voio spartir da lei, vita mia, scanbiato '1 viso; ma a dio, dolze amor mio, che parto con te deviso ben se non son morto o preso, o de questo o d'altro dano,
:

12

torner con gran guadagno Valeto ecc. per facio questa via.
;

Non me

ch'io vo a

curo de l'andata, si nobel conte

cercare le pi centrata, Famagosta e Clarimonte,


e la Pulgia

con

la fronte

e Palermo con Mesina,

2o

montagna e la marina: Valeto ecc. per facio questa via. Vita mia, prende conforto;
la

se la

Marca guadagnasi

io seria

com'omo morto,

rimaria doloso e lasso, eh' io me vego eser casso

de
28

posta fata ferma, me lasi ancora serva Valeto ecc.^ tu serai la vita mia.
la

se tu

XX.
Or ve
fazo a sapere,

care le mie sorele, che l' doia d'avere

de
'

ste

male novele.
8

Il

ms. ha

v. 5 vie voio,

me

parto, 14 a se nobel, 16 Cha-

rimonte, 24 lapso.

154
El nostro bou patrone
niisier lo carlevare
si fato el pasazo con canti e con balari mo' ne convien usare

mutando altri costumi, manzando erbe e legumi


12

che vastan

Dov'

le masele. boni boconi che nui solem manzare,


i

Or ve

fazo ecc.

dei poli e de' caponi

che fano confortare ? Oi me che consumare,


!

vezando sta tenpesta mutar ne conven vesta


!

20

e tirarne per le pele.

Or ve fazo

ecc.

pena gieve
che

al

core
a morte,

me consuma

e a tute vui sorele

che mego state

in sorte

pena si forte che pure non portse,

Non

se

'1

carlevar tornse

28

co' le so' feste bele.

Or ve

fazo ecc.

Se '1 fose a vui certanza de poderlo trovare, a tutta mia posanza


vorialo pur cercare per monti, pian e mare,
ripe e spiaze e coste,

36

per non manzar conposte ni salsa con sardele. Or ve fazo ecc.

quanto scarso e vano


sto nostro carlevare,

una sol fiata a l'ano ne vole visitare da poi gran mal di mare, ne l'asal per la decima, ve' sta mala quaresema
:

44

eh ' pi amara ca fele. Avanti me fa festa corno fa el fiol a pare, da poi me molesta

Or ve

fazo ecc.

155
fame dezunare. Convien dezunar fava con fasuH e lenti, che fa rabia de denti e mal de niaroele. Or ve fazo Se '1 pasa questa festa de questo ben perdone, chi male de testa e chi mal de magone
e
;

52

ecc.

destruta
e

la

masone

'1 savio pi par pazo; pur senio presi a lazo

60

e giosi innele zele.

Or ve
;

fazo ecc.

Signor mio carlesare,

non non

far

ormai

me

de mi partita '1 mio pregare privar de vita

ch'el vien quela sagita

tanto fera et acuta, che pasa ogni barbuta

68

Or ve fazo ecc. per fin a le zervele. Vane, balata amara, ' e di' da mia parte che vita non mi cara e far ne voio carte. Mutar voria questa arte, lasare el pese a l'amo, che '1 corpo pur me afamo
e do! me le budele.

76

Or ve

fazo ecc.'

XXI.
Lassa mi, com farazo ? ch'el me convien star romita, mentre che in corpo la vita, in sto monister salvazo. Monica me convien stare nel salvazo monistero;
* Il ms. ha V. 12 vasiano, 14 solemo, 28 bele feste, 39 Coni una sola fiata, 43 Chel u sta, 49 Conuiene dezunare, 55 mal, 58 par da pa(o, 62 partanga, 69 balata mia ani., 71 71011 e mi cara.

156 vunde non so che me fare, done mie, a dirve el vero, ch'el m' posto un velo nero
e tondi
12
i

biondi capelli.
-elli

-azo.

Lassa mi ecc.

Con

mie conpagnse andava a ogni perdonanza,


le

quando

stava a le fenestre
;

20

alguna ora intrava in danza vunde perso ogni speranza d'aver mai nesun diieto, pensa ben s'el me dispeto a sostinir tanto oltrazo. Lassa mi ecc. Soleva vestir camisa
bianca,

morbede

e sotile

or vesto tonega bissa

de stamegna, ed si vile la mia carne bianca e umile


;

fata aspra, zala e verde,

28

ogno bel color perde vunde me despererazo. Balata, segui mia voia, va cantando infra le done
e
:

Lassa mi ecc.

e dii

con tromento e doia


;

che incarzerata se more e recordete de questa putana [de] la badesa,


36

ch'el di el qual io non so' a mesa carne e vino non asazo. Lassa mi ecc.^

XXIL
Do!
3

lassa mi, topina sagurata,

che son zovene e bela


e fantinela,
e fu' incarcerata.

Il

ms. ha

V. 4

In questo monistero

vunde

che, 9 negro,
<?/

15

humele, 26 e /et (dopo la qual parola segnato il terminar d'una stanza con il ritornello Laxanii, e poi segue come se fosse una stanza

e quando,

17 perduto,

19 pensate, 21 so/euame, 25

157

Ancora non avea deze


che
fu'

ani

serata e streta in quela mura,


li

e vitime spoiar

dolze pani
;

e revestirme d'una vesta bruna

do

lassa mi, topina, quant'

dura

IO

greve le mie pene, aler e' fui privata. che d'ogni bene E' porto una camisa de stamegna su le mie carne preciose e bianche, e dormo sora un faso de gramegna
e spese volte sola su le banche
;

Do

lassa ecc.

quando credo posar


el

le

menbre stanche,

17

sona el matutino se non son levata. perdo el vino, Stagando sola sola sul mo leto un dolze sono alora me vignia credando ch'el fose el mio dileto che in le soe braze streta el me tegnia e in quel dolze tenpo che volea
e
:

Do

lassa ecc.

24

conpir nostro desio, alora e' fu' chiamata. oi me dolor mio, Vane balata [mia], vane ora mai
!

Do

lassa ecc.

da

la

a quante

mia parte a zascuna donzela, mai tu ne troverai,


:

31

e dige e contage questa novela che [eo] son serata in questa zela, perdo el dolze tenpo; e' fu' incarcerata. tropo per tenpo

Do

lassa ecc.'

Questi lamenti sono tutti nella con notevoli variet di versi e di natura dei singoli componimenti: notono, delle ballate XVI, XVII,

forma della

ballata,

ma
mo-

stanze corrispondenti alla


l'ottonario, duretto e

XIX, XXI,

il

settena-

se

nuova) Aspra ecc., 28 che me, 29 sequi, 30 E u, 32 incarcerata meya (lezione erronea che ho corretta dubitosamente in se more, in relazione d'assonanza con dotte o di rima con sore, che reocote de q., 35 ni carne si potrebbe sostituire nel v. 30), 33

ni nino.
1

II

ms. ha
15 e

V.

e 8

Edo

lassa e cosi nel principio d'ogni,


soleta,

ritornello;
el nostro,

quando credo reposar, 18 sola

23 conpire

24 che alora, 26 gascadun.

158
rio,

svelto e variato, della ballata


si

XX,
;

e la stanza

di

otto

versi che

svolge da una ripresa tetrastica sono indizi per

che ef^se insomma non escono dalla meditazione e dalla penna d'uno scrittor letterato, ma furono composte in mezzo al popolo per essere veramente cantate e ballate.* Le altre due, XVIII e XXII,
queste poesie d'una origine popolare

sono composte

di settenari e d'endecasillabi,

mescolanza che

pi propria della poesia letteraria, sebbene

non

sia aliena

dal genio popolare,

come mostrano parecchi esempi


:

antichi

e tra gli altri alcuni nel nostro repertorio.' Rispetto al metro,


resta

da

fare

qualche osservazione particolare

quasi in tutte

abbiamo quel sicuro segno della popolarit che l'assonanza (XVI 6, 8 doglia: vergogna; XVII io, ii crudele: bette; 12, 2Q fuore : parole; XVIII 32, 34 rnor le : fonte ; XIX 11,
12 dano
sei'va ;
:

gtiadagno ; 22,
13,
7,

XXI
XXII
forse

2 \ guadagnasi : lasso ; 26, 2j ferma 15 conpagtise : fenesh'e : iox^^ ^o, 22 done

more
5,

certa copia di rime

bruna : dura) : quasi in tutte abbiamo una lombarde (XVI 45, 47; 64, 65; XVII
despiet e
;

7;
6,

16,

17

roba =^ despietata e
64,
di

robato

XX
21,

8; 37,

39; 42, 43
II,
8,

44; 46, 48; 58,

XXII ridionale (XIX


22)-,

13),

e in

59; una troviamo tracce

65; XXI rima me-

13 15), elementi di fatto dei quali bi-

sogner tener conto nel determinare la patria dei singoli componimenti. Finalmente sono da correggere alcuni luoghi manifestamente guasti, nei quali
cosi in
la regolarit

metrica alterata

XX

23 facile restituire la lezione primitiva


in

E tutte

vuimie sore ;

XX

49-50 la rima e

la

misura

si

ristabili-

* Le pi antiche ballate d'ottonari, a ripresa tetrastica e a stanze d'otto versi, le quali si possano francamente asserir popolari, sono le bolognesi pubblicate di sopra un memoriale del1282 dal Carducci, Cant. e ball. n. XXIII e XXIV; del secolo

XIV due

tura letteraria, e

il Carducci, il n. XCI, anonima e di fatCLVIII, di Franco Sacchetti: parecchie schiettamente popolari ha il nostro repertorio, e abbiamo gi veduto che sono di questa forma n. II, XII, XIII, XIV. utile avvertire che questo tipo di ballata fu poi di gran moda nel secolo XV, per l'esempio di A. Poliziano, tra tutti i poeti coril

sole produce
n.

tigiani.
^

Si

veda

p.

es.

il

n.

XV.

159
seono leggendo Convien dezuno fare Con fasuli e con lenti ; in XXI 33-34 il guasto pi profondo e non mi riuscito di escogitare un probabile emendamento. Circa alla provenienza di questi componimenti possiamo
raccogliere, se

non

la certezza,

almeno osservabili

indizi della

appartenga all'Italia superiore dicono abbastanza chiaramente alcune forme conservate dalla rima (7 denanto. 38 ribaldesse. 40 me?wresse, 45 fazo, 47 mazo, 64 salta) e altre che, pur essendo indipenpatria di ciascuno.
il

Che

n.

XVI

denti dalla rima,


derere,

hanno

tutto l'aspetto d'essere primitive (7

20 pin, 22 lenge e 25 lengue, 31 pficaor, frar, 67 forsi. 69 lonzi, 76 Ioga,


primitivo poi a

chi n e 27 chi, 40 neigre,

32 85

arecomando)

me sembra

di certo essere

uno

spiccato piemontesismo (94

cimtamore cuni amore), che messo in relazione con ci che l'amatore dice nella nona stanza, come egli non cesser di aver nel cuore la donna sua sia in Alba sia in altro luogo, dimostra chiaramente l'origine piemontese di questo lamento di partenza onde s'accresce l'importanza di esso, perch viene ad essere uno dei pi antichi documenti della poesia volgare italiana in quella regione.* Dei n. XVII, XVIII, XXI, XXII non altro credo
:

si

Italia superiore,

possa affermare se non che devono essere stati scritti nella qual cosa, oltre che dalle rime, din.

mostrata dalle peculiarit dialettali interne, che non possono


essere sempre l'effetto di alterazioni del trascrittore.
offre parecchi
Il

XIX

accenni d'origine meridionale: la serie di rime


6,

un indizio molto eloforma priso s' incontra spesso nei rimatori toscani da Guittone a Dante,' ammesso generalmente che dovuta all' influenza letteraria dei poeti siciliani ma questo indizio avvalorato da un'altra
viso
:

deciso: preso (vv.

8,

9)

gi
la

quente, poich se anche vero che

Torino,

libro di Canti popolari del Piemonte pvi'obl. da C. Nigra Loescher, 1888, non trovo alcuna poesia che offra riscontri con la nostra ballata si invece dal Repertorio lessicale, che chiude il volume del Nigra, ho tratta la conferma dell'uso piemontese del cunt, e d'altre forme, come darera, tenga e len*

Nel

gia, n, neiro e ?ieigher,


2

De, ni ecc. ricorrenti nella ballata.


191-192:
cfr.

Gaspary,

op. cit., pp.

pp. 202-203.

i6o
coppia di rime, andata: contrata (vv. 13, 15), dove da riconoscere una forma schiettamente meridionale/ e anche dalle assonanze dafio : guadagtw (vv. io, ir), le quali forse nella

forma primitiva erano vere rime. Altre ragioni per cui


clino a ritenere
siciliana,

in-

meridionale, non

saprei poi se

pugliese o

questa ballata, sono la menzione dei luoghi che l'amante vuol visitare e alcuni riscontri con altre poesie del-

Italia inferiore: Messina e Palermo, per esempio, sono insieme congiunte anche in una ballata che un codice antico intitola Ciciliana,- e in un'altra poesia del mezzogiorno pur il ricordo della Puglia e della Marca d'Ancona,^ come nel nostro lamento e inoltre il valletto ricorre pi solitamente
l'
;

in canzonette e strambotti meridionali.*

Il

n.

XX

invece

ci

trasporta nel settentrione, e precisamente nella regione della

Venezia; dalla quale, oltre qualche altra particolarit dialetcomune a tutta la valle padana, ce lo mostra uscito l'uso d'una singolarissima parola, tutta speciale dei dialetti veneti.^
tale

Resta da osservare, circa a questo gruppo di lamenti, alcuna cosa intorno alla materia. Il n. XVI l'ultima eco delle canzoni trovadoriche intorno ai malparlieri e ai lusingatori,
i

veri nemici dell'amore, capaci di turbare


felicit degli

vani discorsi la

amanti

questo

con i loro motivo dalla


pass
nella

poesia provenzale, dove


'

svolto

largamente,*'

di F. D'Ovidio, Ardi, glottologico ital., proposito della coppia di rime contrata : ingannata: il Gaspary, op. cit., p. 186, riconosce invece in contrata un latinismo, che in una parola di formazione secondaria sarebbe a dir vero assai strano.
II,

Questa l'opinione

93, a

Carducci, Cani,

e ball.,

11.

XXVIII,

v.

19.

E una canzone
f-

C, 35.

2>'22b,

popolare, conservata nel cd. Ambrosiano che comincia: Quando di Puglia e' tnossiini Per

andare in Ancona; fi^pubbl. gi per nozze Venturi-Fanzago (Ancona 1884).


*

Carducci, Cant.

e ball., n.

XXVIII

XXXIV.

voce maroele (v. 52) nel significato di emorroidi. L'antichit di questa voce non so che sia attestata da documenti del Trecento certo essa era d'uso comune nel secolo XVI, in cui l'adoper il padovano A. Calmo (cfr. V. Rossi, op. cit., glos5

la

sario, s.
^

v.)

Gaspakv,

op.

cit.,

pp. 75 e segg.

i6i
rimatori del lirica d'arte del Dugento, specialmente tra mezzogiorno,^ presso alcuno dei quali assunse un atteggiamento direi quasi popolare, certo pi umile e alla buona che
i

non fosse stato nella poesia Giacomino pugliese


:

eulta

si

senta,

per

esempio,

Oi bella dolzetta mia, far si gran fallimento di credere a gente ria de lor falso parlamento le lor parole sono viva lanza, li cori van pungendo per mala indivinanza.^ e dicendo

non

Questo atteggiamento o intonazione nuova

di

un motivo gi

vecchio, allorquando lo sviluppo successivo della poesia tofiir gi primi,

scana fece cadere in dimenticanza le rime dei siciliani che rimase, sembra, negli strati pi umili della
letteratura popolare donde ricomparve poi nel nostro lamento, che sebbene anteriore di qualche tempo alla trascrizione sua nel repertorio non direi pi vecchio della seconda met del
;

Trecento, e che ad ogni


tere della

modo non

ostante l'esteriore carat-

forma risponde ad un' ispirazione personale, ed certo l'opera d'uno di quei poeti semiletterati che in quel

tempo abbondarono nell'Italia superiore: curioso poi l'osservare che il motivo dei maldicenti si congiunga in questo lamento con l'altro, esso pure assai frequente nella vecchia poesia, delle dipartite con promessa di fedelt e di ritorno e che fra i traditori mormoranti e le invidiose traditrici che
;

invidiano
dei
e frar

gli

amanti siano ricordati

religiosi e le religiose

due ordini monastici prevalenti nel medio evo, pricaor


meiori, predicatrice e menoresse,

restringendosi cosi

contro una parti colar classe di persone l'invettiva che prima


era generica.
I

n.

XVII

XVIII sono lamenti per

la

durezza

della donna, tradizionali ormai nella poesia italiana, e para-

gonabili, per la vicinanza dei tempi e dei luoghi, alle que-

D'Ancona
LI,
Ivi,

XLVI,
2

e Comparetti, Antiche rime volgari, LVI, LXVIII ecc.

n.

XVIII,

n.

LVI

21 e segg.

Casini Studi di poesia antica.

ii.

102
rimonie che riempiono il canzoniere di Leonardo Giustiniani ;* con le quali hanno comuni, almeno il secondo, anche alcuni

modi

e alcune locuzioni speciali, cui

non

si

deve per
nella
al

tri-

buire grande importanza, perch sono

diffuse

poesia
delle

d'amore d'ogni secolo.


n.

Il

n.

XIX

appartiene
gi
si

ciclo

poesie di separazione, che,

come

accennato
;

per

il

XIV, ricchissimo questo nuovo esempio


delle
solite

nella nostra letteratura

se

non che

in luogo

singolarmente osservabile, perch querimonie generiche si diffonde in


ai fatti

accenni particolari e personali

del poeta,

come per

sua andata a m nobile conte, non senza pericolo d'esser tuorlo o preso, n senza speranza di un gran guadagno, circostanze che potrebbero ben riferirsi al caso di una

esempio

la

spedizione
n.
lo

militare.

XX, lamento

Pi importante per l'argomento il per la morte del 7ioslro bon patroiie, niisier
dir
cosi,

Carlevare, poich se le poesie,

carnevalesche

(contrasti, frottole, canzonette, confessioni, testamenti, pianti,

ed

sono abbastanza frequenti nei secoli ed abbondano poi nei seguenti sino al nostro,^ scarseggiano, anzi sono rare a dirittura, per i secoli antealtri

simili generi)

XV

XVI
il

riori

nostro lamento rientra di certo, per


ancora

secolo

XIV. ^ Curioso

che
il

il

il tempo, nel lamento per la cessa-

zione delle feste della carne e per

principio delle astinenze

quaresimali sia messo sulle labbra a una monaca, che parla


alle

sue compagne di sventura;


B.

si

che per questa parte


Giusi.;
-XII,
(v.

si

'

WiESE, Poesie

edite ed inedite di L.

Bologna,

1883, n. III (v. 8 aldi sto

mio lamento), IX,


i,
i,

miei lamenti), XIII, XV poco aldire), XVI, XVII


rosi tniei lamenti) ecc.
2

(vv.
(v.

2,

consenti a

mi

60 canto i esti lamenti un

consenti de volere aldire sti

amo-

Si

secoli
grafia.

XV e

veda in proposito L. Manzoni, Libro di Carttevale dei ^YF/; Bologna 1881, e specialmente la ricca biblio-

luce dal

Del quale forse anche la Confessio Cartiisprivii tratta in Manzoni, op. cit., pp. 235-236, di sur un codice marciano: un componimento grossolano, forse veneto, e comincia
3
:

Mete ve
e
f'

in oratione

la
:

vostra grossa confessione


'

e dseti

Me

confesso in niiser san capone

'

ecc.

i63
ricollega coi due che seguono. I n. XXI e XXII infatti sono lamenti di monache, dove poeticamente espresso il senti-

mento

di

compianto per
e

le

povere donne costrette per

lo pi

dalle ragioni d' interessi domestici a rinchiudersi fra le


dei monasteri
;

mura

esempi pi antichi eh' io conosca nella nostra poesia d' un genere che ebbe lunga vita e larga popolarit^ fin proprio ai nostri giorni, che i contadini toscani leggono ancora volentieri la canzonetta della Mona-

sono

gli

chella malcontenta.^

tutti

questi lamenti seguita nel repertorio

gioiosa di lode alla

timo Trecento e del che rifiorissero nelle tenui forme della poesia popolaresca i motivi e i sentimenti ond'erano gi state materiate le canzoni solenni e compassate e i sonetti agili e imaginosi dei
rimatori dello
stil

una ballata donna amata, come tante altre dell'ulprimo Quattrocento, in cui si pu dire

nuovo

XVIII.

Rendime

el

[mio] core,

dona de gran beltade,


vangate pietade de mi, to servidore. Tu sola sei mia morte,
tu sola sei tu

mia

vita,

me

pi dar conforto

* Citer per es. la ballata Ora inai che fora soft, ricordata dall'ALLEGRETTi, Diario in Muratori, Rer. ital. script., XXII, 772 come cantata a regolare il ballo in una festa senese del 1465 essa notata anche nell' indice di poesie popolari dell'ALVisi, Canzonette antiche, p. 169, e fu pubbl. da A. Ive nel Gior. stor. della leti, it., II, 153. Questo motivo popolare della monaca entr presto nella poesia letteraria, e gi un'eco ne risuona in un madrigale d'Alesso Donati, che coni. La dura corda e 'Ivel bruno e la tonica, in Carducci, Cantil. e ball., n. CCCIII. ^ Comincia Son rinchiusa in quattro mura, e la leggo in una stampa di Firenze, Salani, 187S, insieme con un'altra canzonetta della Monachella innamorata, che com. O monachella, di brun
:

vestita.

104
e

tuorme

sta ferita

d'onor serai grandita in ogno altro luogo


a tuorme de sto fogo,

che pur

Tu

sei

me da calore. dona zoiosa


le altre

Rendime

ecc.

sopra

bele

et [tuo] viso

amoroso

sopra le bianche pele, corno lucente stele, [o dona,] m' piato, che moro innamorato per dona de valore. Tu i ogni belezza nel tuo bel guardare,

Rendime

ecc.

de suave dolze[zza] adorna el to parlare che te poso loldare


d'ogni belt
fiorita,

ne
28.
la

l'air' si chiarita

toa faza d'amore.

Rendime

ecc.

Non

vezo paradiso,
altro dio,

non cerco

se no veder tuo viso,


ch[e] preso el cuor mio.

De
ne
36.

morto
el

fos[si] io

le toe bele braze,

mio cuor veraze grande ardore. Vane, canzon novela,


dove
iaze in

Rendime

ecc.

del sol incoronata,

a la lucente stela, ch' de belt ornata;


e di' che l' portata
afita nel

44-

mio peto per lo so bel aspeto de lei son servitore.


:

Rendime

ecc.^

Il

ms. ha

V.

o dona; ix de questo; 16 pie che sar

una

falsa grafia per pele,

non un'abbreviatura
si

lue; 18 nay piato ; 25

luogo di perle ; 17 che te; 31 de no veder (forse il coin

pista avea innanzi Se no de veder) tuo bel viso ; 34 brage bele.

'05
Nel ciclo immenso donne singolarissima
delle poesie medioevali
la ballata italiana,

sulla
la

natura

delle

quale or

segue nel repertorio, e dice della condizione delle donne d'alcuna citt. Due trascrizioni ne abbiamo, l' una nel nostro codice e l'altra nel Laurenziano, SS. Annunziata 122, e sono piene di varie lezioni, sebbene sieno quasi contemporanee;'
la

qual cosa non saprei altrimenti spiegare se non coli' ipo-

tesi

che

le trascrizioni

fossero fatte a memoria,

come per

Io
:

pi doveva succedere delle poesie pi divulgate e popolari


e ci pur confermato, oltre che dalla varie delle

lezioni,

ordinamento che le stanze hanno nei codici, nessuno dei quali, per la mancanza d'alcune, ci ha conservato la poesia nella sua interezza.^ Poich la trascrizione del nostro repertorio fu gi data in luce altra volta, ^ mi pare pi utile il presentar qui un tentativo, se anche non riuscito, alla di ricostituzione critica dell' importante componimento quale proceder tenendo a fondamento la lezione del repertorio, riducendo tutti i versi alla misura dell'ottonario o coU'aiuto dell'altro codice o con qualche emendamento congetturale, e ordinando le stanze con un criterio, dir cosi, geografico, quale sembra che fosse seguito nel testo primitivo. Ho preso a fondamento la lezione del repertorio, perdal diverso
;

ch meglio conserva nelle particolarit linguistiche il colorito infatti alcune parole in dialettale, che mi pare originario rima (vv. 16, 26, 47, 59, 71, 78, 96, 97, loi) mostrano che
:

la

poesia fu composta

nel

settentrione

d'Italia,

come

del
alle

resto indicherebbe

anche Ja prevalenza degli accenni

II

cod. Laurenziano SS. Annunziata 122 una ricchissima

raccolta d'antiche rime letterarie e popolari scritta nella

prima

met del secolo


~

Nel repertorio (A)


5.

guenti citt o regioni;

magna,

Ferrara,

6.

cenza, IO. Verona, 11.


scia, 4.

ha una stanza per ciascuna delle se2. Siena, 3. Bologna, 4. RoVenezia, 7. Treviso, 8. Padova, 9. ViMantova, 12. Milano, 13. Trento; nel
si i.

Firenze,

cod. laurenziano (B), per

le seguenti: i. Firenze, 2. Siena, 3. BreBologna, 6. Verona, 7. Ferrara, 8. Vicenza, 9. Venezia, io. Padova, 11. Treviso. s Propugnatore, V. S., voi. XV, P. 2*, pp. 346-49, dove fu pubblicata da me con altre rime dei secoli XIII e XIV.

Romagna,

5.

i66
citt di

quella regione, di fronte al ricordo di due sole citt

toscane.

XXIV.
El conven pur che rasone de le done che fan fal,

corno san meter in baio lor mariti per rasone.

De

le done fiorentine primamente volo dire,

che

le

son maistre fine


;

de baiar e de salire poi se sanno ben scarmire da' mariti quando vole,
e scoltando
le

parole

teme d'un botone. La belt de le senese

non

li

El conven ecc.

sopra tute le altre avanza, e questo vero e palese e non fiaba ni zanza ma ben ano per usanza
;

de zugar soto el capelo, de spiegar lo so penelo, quando el tenpo e la stasone. De le done da Bologna, quele son maistre dote e non lasan per vergogna de cercar lo di e la note dove son le mazor grote, dove usa lo groso pese,
;

El conven ecc.

28.

a l fan le volte spese per non perder quel bocone. Veder pi le romagnole, tute quante d'un volere, adornarse quando vole, quelo fano al suo piacere ai mariti danno a intendere che vano adorar el Santo, a pregar per lor cotanto
:

El conven ecc.

36.

che

De

le

conduca a salvazione. done ferarese

El conven ecc.

dir ve volo in veritade

i67
che le son senpre cortese, questo ven da gran boutade; e poi lasa soa citade
per cercar onne altro loco, a saziarse a poco a poco con chi voi de lor persone.

44-

El con ven ecc.

De

le

done da Veniesia

dir ve volo zertamente,


lor mariti

non apriesia una paia veramente anzi vano arditamente porta loro in mano, e po'
;

52.

e con prete e con mondano El conven ecc. ogno di va a far rasone.

Veder puoi

le

padoane
la

desfrenate andar per via,

e la sera e

domane
lizadria.

mostrando sua

mia che chi voi de lor mercato tosto ven cun lor a pato,
Io ve zuro en fede
60.

senza

far nulla

tenzone.

El conven ecc.

De

le

done da Treviso,

queste son cavallaresche, senpre con allegro viso,


tute quante zentilesche de bei bali e bele tresche ano onor de saver fare, e poi san ben solazare El conven ecc. con ognun zentil barone. De la Marca Trevisana Vesentine'no l'onore de saver ben far l'alzana quando le s'el mete in core; e non guarda a desonore che le faza al suo marito, pur che egh sia fornito El conven ecc. con' seria un bel montone. Veronese si ve digo che le son de bona liga, le non temono d'un figo chi le tasta un poco miga, el ghe voi si poca briga
: ;

68.

76.

i68
a tirarle al so domino,
84.

e '1 marito a capo chino fno andar com un becone

El conven ecc.

Le mantovane

zentili

sono de bona natura, che le son si alegre e dolze che trapasa ogne mesura
;

de' mariti
in far

non

fa

cura

quel che lor dilata,


El conven ecc.

anci quasi chi l'aspeta


92.

di trovare a la stasone.

Milanese son maestre

de

far

bene

la

magia

e de

mane

tute destre

per Alessandria de la paia, si che qui' da Cornuaia

quando
s'el se

lige a

ronpe

oltra el

dosso a dosso dosso


El conven ecc.

100.

che che
le

li

faza el stangaione.

Noi se n'anderemo a Bressa,


chi gli canta

son tutte dell'arte ben la messa, se volta in ogni parte.


le
:

S'el
a'

ghe fosse mille carte

mariti di star caste,

tutte sarian rotte e guaste


108.

Tornamo

per non perder lor ragione. a quele da Trento, che l' fuor de la contrata
quelle stando su la strada,

El conven ecc.

116.

ogni di facendo mostra, requerendose de zostra, nessuno l'abia in dispeto per usare el suo dileto o a cavalo o sia pedone

El conven ecc.^

'

Varianti dei mss.

convien p.

ch'io
;

ragioni B,

raxune
A., e. le
;

A;

2 delle

donne

fallo B, fanno
;

3 che
;

sanno

tn.

4 loro A, ragione B 5 Delle donne B 6 maestre B; S de lor b. e de lor s. A, del trottare e del s. B; g poi A, possa se san b. scermire B; io loro mar. A, da lor vuole B; 11 ascolt. A, e schorcando B; 12 non lor temano un b. A, le non li ^; 13 beltade A, delle B
sa metter in ballo

B
.

voglo B

7 chelle

lC)
Il

testo di questa ballata,

pur dopo
il

po' sdrucito, di

modo che non credo che

contentare chi volesse della poesia


;

un ne potrebbe testo originano nel


i

rammendi,
se

16 i? 2. B 17 ano ben 14 tutte quante B \$ q. si v. in p. B A, anno p. unsanza B; 18 sottol chapello B 19 ^ di s. suo pen20 q. el t. e la stagione B; 21 Delle donne di B. B; 22 nello B quelle s. maestre docte B 23 lasano A, le non teme p. v. B 24 di cierchar di e la ciocie B 25 sonno A, ove s. le tniglor grotte B 26 dove A, il grosso pesce B 27 /ano A, e gli si fa le v. spesse B 28 queli boconi A, bocchone B; ig A intender p. A, puoi le romangniuole B 30 tutte B, uno A; 31 chatninar quando le vuole B 32 fano apropriate questo falle al suo piacere B 33 ed a loro m. e d. intender A, antender B 34 chelle vuol andare al santo B 35 a p. che loro e santo A 36 che le e. a salvacione A, chelli B 39 che 37 Delle donne ferr. B 38 posso dir con v. B del so s. e chort. B 40 ^ questo A, vien B 41 ^ si lassa la so ciptade B 42 luogo A, va cerchando a luogo a luogo B 43 a solazarse A, saziandosi a p. B 44 vote A, vuol di /. B 45 Delle donne da Viniexia B 46 posso dir certanam. B 47 el so marito B 48 u. p. per niente B 49 manca A, vanno B 50 portando love B 51 con preti e con mondani A 52 va manca A, ragone B 53 Chi vedese le p. A, padovane B 54 despernate A, disfr.
;
; ;

(?

B B
61

56 ^o lezad. B 58 vuol 55 la sera B 57 ma te z. in _/. B 60 longa tenzione ; 59 appaio A, tosto siego chaze al patto B
;

Ma
fif^

torneino

mo
;

a Trevixo
63 alegro

B
;

62 chelle son chavallaresse B,


;

/^/' piene di gintileze B 65 de b. t. A, di bei balli e belle /. B 66 armo hon. di B, ano bene inde saver ben y. A 67 sanno A, e sapersi s ollazar e B 68 ehon ciascun B 69 Della triv. B 70 Vis. anno B

chavalcaresche
beli b. e

64

6'

m. A, chuore B 73 non g. A, al dixon. B 74 che divengna alor mar. B 75 pur che vegna fornito A 77 De le v. sy te dico A, T6 bello A, Martinetto a butiitone B vi dicho B -.l'ade la lor liga A, quelle son di buona /. B 79 /. un 80 ^/ chi A, se nessun le ademef. A, le non se tene pur d'un B stegha B 81 e poi si g voi A, vuol B 82 a Irate a suo dominio A, declino B 83 ^/ a lor marito A, a capo chino manca A fanno a. chom'un niotitone B, andare A 85-roo mancano in B 85 zentil 86 S071 88 tanto che 89 de lor tn. 90 de far 93 maystre 94 <5(? / magia io i- 108 mancano in A 96 pagia 95 ^/ rfe' /" ;;;.
71 ben trufare
;

A\

^7.

se

102 chelle; 105 ben mille; 106 da lor mariti; 109-116

mancano
;

in

109

Or tornamose

a q.

113 requerendese de zostra

114 non

l'abia nessuna in dispeto.

170
quale molto probabilmente c'erano altre stanze per altre citt
italiane,

e alcuni passi

dovevano leggersi un po' diversaNella stanza undecima,


epiteti

mente che
sonassero

nelle nostre trascrizioni.


le

per esempio,
;

mantovane dovevano avere


zentili (v.

che con-

poich

85) e dolze (v. 87), se s'accor-

dano per il senso, non convengono per la rima, n io saprei imaginare quale dei due aggettivi rappresenti un'alterazione, n di che cosa. Tutta guasta la stanza decimaseconda, nella quale non s' intende bene di che arte sieno maestre le donne
milanesi (v. 94), n se la destrezza delle mani sia tribuita a quelle o alle vicine di Alessandria della Paglia e n pure chiaro del tutto l'accenno ai loro infelici mariti, quei di Corno;

vaglia

(v. 97 e segg.). Nell'ultima stanza finalmente manca la rispondenza di rima tra il primo e il terzo verso, se non si legga al v. iii quelle sti la strada esse^ido o uscendo, che

sulla strada o drente

potrebbe consonare col nome di Trento, o anche forse quelle ; n appare se nei versi secondo, quarto e quinto la serie delle rime abbia a restituirsi leggendo cantra, mostra, zostr oppure co7ztrata, mostrata, zostrata, o se leggendo col codice mostra e zostra s'abbia a ritenere guasto
il

testo del

secondo verso, dove mancherebbe


dispero che un giorno o l'altro
sani le piaghe
:

la

parola di

rima.

Non

.si

trovi qualche

nuovo manoscritto che

per ora bisogna con-

componimento a una forma meno incompiuta e meno lontana dalla primitiva che non quella dei codici. E come quanto al testo non ho altro da dire, cosi poco posso soggiungere sull'et e sulla patria della ballata: che l'autore fosse un italiano del settentrione e pi specialmente del Veneto parmi accertato, che fosse un trecentista non sar chi dubiti ma entro
tentarsi d'aver ricondotto questo singolare
;

pi

ristretti confini

impossibile restringere l'una e

l'altra

nozione. Sul genere e sull'argomento di questa poesia, la quale ci rende ancora dopo parecchi secoli l'eco delle opinioni e dei giudizi correnti nel Trecento fra
le

genti di To-

scana e di Lombardia rispetto alla virt delle donne maritate, si pu ancora osservare che qualche particolare contenuto in essa pu essere chiarito da altri documenti letterari antichi
:

per esempio, ci che v' detto delle donne trevisane, circa la scioltezza dei loro costumi e l' indole cavalleresco e l'amore

171

da Dante ;i e che l'idea di fare per citt o regioni l'enumerazione delle qualit delle donne c' gi, sebbene con minore determinatezza di svolgimento, in qualche componimento antico, ^ e pi largamente poi nella
di vecchi commentatori di
si

delle danze, confermato

accenni di poeti, di cronisti e

Cinquecento ma di questa materia occupa da molto tempo uno studioso veramente dotto, dal quale aspettiamo su ci un compito lavoro.
letteratura popolare del
;

La

serie delle invettive contro le


si

costumi

richiude subito

per

d'amore del genere n. XVII e XVIII)


:

di quelli

loro mali donne per ad altri lamenti che gi abbiamo veduti (cfr.
i

far

luogo

XXV. Amor amar quanto me fai languire, che me dai pene che me fai morire.
Io doglioso pi che gli altri amanti

2.

me

8.

vezo morir senza algun reparo, vezo la morte che m' qui dananti per torme la vita cun pianto amaro unde te priego, o signor mio caro, che non me lasi pi vita tenere.

Amor

ecc.

14.

morte tume de sta [trista] vita, non posso ormai viver se no' noioso d'Amor, po' che feri con soa sagita lo mio cuor amaro et angososo mai non stete ch'el non fosse doglioso, Amor che non desiderase del morire. Balata mia dogliosa, tu n'andrai a quella zentil dona e' ha '1 mio core,
;

ecc.

Si cfr.

I.

Del Lungo, Dante

nei tempi di

Dante ; Bologna,
Dacia;
Pisa,

Zanichelli,
2

1888, p. 323.
della figlia del re di

Wesselofsky, Novella
1866, p.

Nistri,

XXV.

3 II prof. A. Zenatti, che attende a questo lavoro, mi ha liberalmente comunicato intorno a tale argomento molte notizie, delle quali non ho voluto valermi, per non farmi bello delle fati-

che

altrui.

172
e

da mia parte tu si gli dirai che la mia vita de dolor si more, e sostegnir voglio ben per suo amore de viver senpre in pene et in martire Amor ecc
.

'
.

XXVI.

O
2.

mia guerera, o mio destruzimento,


alzidime, per dio, che e' son contento.
fusti mi'

Za

alegreza in ogni passo,


del

salute,

donna e spechio

mio

core,

or se' tu freda pi che petra o sasso,

crudele, fiera e tenebrosa ognore.


8.

14.

o rea, perch tanto dolore si aspro tormento ? O mia ecc. [Tu] ben sai che fedel servo [e suzeto] stato te son e ser fin eh' io viva donca perch si m'i preso a dispeto che sol del guardo l'ochio to me schiva ? O nebia scura d'ogni piet priva, perder me fai del cor l'entendimento. O mia ecc. De, non .star pi, che voria eser morto ma tu non vi che mora pur che peni
falsa,
fai

me

sentire e

tu fuzi e poi mostri el viso acorto,

20.

gabando al tuo voler me meni. venenosa, questi duri freni me trno fuor d'ogni cognoscimento. Io vo, zudea, corno te piaze e vegno, e com tu comandi io tazo o canto perch te son fidele al tuo disdegno,
cosi

mia

ecc.

me consumi

O
26.

nel cor in tristo pianto. dolze mia serena, volzi manto,


la

che sumo ben de


*

tua paze sento.

mia

ecc.*

Il

ms. ha

V.

8 la vita, IO
* Il

Or

i amaro, 2 pene si che, 4 morire, 5 Non vego, inay non posso viver, 11 ferrir, 12, si dolglioso,

15 tu te nandaray,

17 et ala mia,

19 e che sostegnire.

ms. ha V. 3 paso, 8 sia aspro, 10 fuora, 22 tacho, 23 dispeto. Questa ballata, con pi altre del nostro repertorio, si legge in un codice trevisano illustrato da V. Gian, Ballate e strambotti del sec.

XV in

Giorn. stor. della

lett. ital., a.

1884, voi. IV,

173
Coleste due ballate hanno
zioni letterarie
:

tutti

caratteri

di

composiin

gi l'atteggiamento

medesimo che

esse

ben lontano da quel che suole assumere nelle poesie popolari, e non poche locuzioni e scorci di frase rivelano la penna d' un poeta culto, che doprende
il

sentimento d'amore

veva aver familiari

luoghi

comuni

della lirica toscana del


;

Trecento, e forse era toscano egli stesso


casillabi e a stanze di sei ci
letterari
:

poi

il

metro alieno

dalle forme popolari, che la baJlata a ripresa di

due endeappare sempre nei canzonieri frequentissima, per esempio, in quello di Franco

Sacchetti,

dove

le

pi vaghe ballate

hanno una costituzione

strofca identica a quella delle

due

nostre, i e in generale fre-

quentissima nella poesia toscana dell' ultimo Trecento, spe2 pi rara invece cie per gli argomenti morali e insegnativi
;

dove ne troviamo pochissimi esempi. Questa conformit dello stile e del metro e la somiglianza dell'argomento, poich 1' una ballata potrebbe considerarsi
nel settentrione d' Italia,
i" esso codice, la cui lezione diverge qua e l da pp. 1-55 quella del repertorio, si ha dopo la 2^ stanza, quest'altra che

manca

nel magliabechiano
Io
t'

pregata mille volte e priego


:

che no m'abandoni nulla mi valle. Per dolente a pianzer mi dispiego, fermo pur de morir iusto e liale. O spada mia, o dardo mio crudele, che non m'alzidi se tu n'i talento?
1

Carducci, Cantilene

e ballate, nn.

CLIX, CLXII, CLXIII,

CLXV, CLXVI, CLXXIX-CLXXXIII, CLXXXV, CLXXXVIICLXXXIX, CXCI-CXCIII, CXCVII, CXCIX-CCIII, CCV, CCVI,
CCX, CCXI. 2 Carducci
(Giovanni
op.
cit.,
;

nn.

CXXXII, CXXXIV-CLI, CLIII-CLVI


CCLXIII,
;

Fiorentino)

CCLII-CCLVIII,

CCLXV,

CCLXXXIII, CCLXXXVIII, CCXC-CCXCII,CCXCIX-CCCI (Niccol Soldanieri)

XC,

CCCXXVII (Ricciardo da Battifolle) LXXXIX, CVII, CIX-CXII (anonime del secolo XIV). 3 Carducci, op. mi. CCCXXVIII (Taddeo Pepoli) cit., CCCXXXVI (Matteo Correzaro) CCCXLIV, CCCXLV, CCCL, CCCLII (Matteo Griffoni). Di questa forma sono anche le ballate III-VIII, X e XV puhbl. dal Gian, 1. cit., le pi d'origine
;

C,

toscana.

174

come
scritto

la

continuazione o esplicazione dell'altra,

mi fanno

pensare ad un unico autore, del quale forse qualche mano-

potrebbe un giorno rivelarci anche

il

nome.

Lamento

anche quest'altra ballatina,


(cfr.

che rientra nel


nn.

ricco genere delle poesie di lontananza

XIV, XIX)

XXVII.
Gi perdi'
i' penso ne la tua partita, dona, comenza '1 pianto, el qual durer tanto ch'el tuo bel viso me far redita.
!

4.

Laso

s'el

mio cor sente,

14.

ancor che sempre sente pena del tuo partir, che e' fia l'ora, ch'el volto tuo lucente non vederan sovente i ochi che del pensare zascun plora ? Io temo, dona, ch'a quel'ora che fia el tuo partimento, ne sia forte tormento a far partir l'anima si smarita. Gi perch'

i'

ecc.^

Dall'ambito solito delle querimonie e dei sospiri d'amore,

che furono

la

prevalente materia delle ballate antiche, esce

una importante poesia narrativa d'un caso pietoso occorso a Rimini una giovane sposa di nome Viola, sorpresa in fallo dal marito, fu da lui uccisa a colpi di coltello, sebbene ella gridasse merc e implorasse il perdono. Il fatto, sebbene ne tacciano le cronache riminesi, dovette correr famoso per le terre di Romagna e allo stesso modo che anche oggi di si:
;

mili casi

si

fanno cantilene e bullettini pieni di particolari

fantastici, 2 se
^

ne impossess subito un poeta popolare, e ne


v.
(j

14. partir dona lanima. esempi chi ne vuole s fermi a qualche canto di strada in una qualunque delle nostre citt e ne chieda agli spacciatori di quei foglietti volanti che escono in luce continuamente dalle tipografie popolari. Recentemente un bel gruppetto di canti sul tema della donna uccisa dal marito stato pubblicato ed illustrato dal Nigra, op. cit., pp. 177-194. Il

ms. ha

vedevano, 10 chel del,


:

inutile citare qui degli

'^
fece

175

argomento

di

una ballata

tra lirica e narrativa,

che cerre-

tamente port
pertorio

la notizia del fatto

per

altri

paesi d' Italia su-

periore, finch fu trascritta


:

non senza

guasti nel nostro

XXVIII.
Cita d'Arimin bella,

4.

quanta sei fata scura, tu mi meti in paura da poi ch' morta la Viola novella.

Ogni dona pietosa


che aldise rasonare
soa morte dolorosa

che gli fo fata fare, cun un cortei d'armare che la feci morire,

com
12.

al diceti aldire

or feci morire la Viola novela.


Inanti che la morise
la

Cita ecc.

Viola novela

eia

medesma

dise

20.

De, guarda la mia mamela, quanta era vaga e bela or tuta insanguenata No' lo averla pensata tu m'alcidesse ben che ne sia degna.
;
!

Cita ecc.

Inzenochiata innanti
[a] lui si sta cortese,

e la gonella s' trata


e dise in palese

29.

mio marito, or pregote che me perdone Se mai mi trovi in cutal falimento dami pena e tormento. De, falla, e non guardar in quella.
lo
!

Or dolze

Cita ecc.

Una

soa cagnolina, la qual lei s' ave 'alevata, avea nome Armilina,

che lamentar si fo trovata, era tuta insanguenata


:

176
a par da
le
li

soi ferite,

37.

qual erano zite del bianco peto per infina la mamela. La soa fameia cara tuta vestida biava, e intorno la sbara planzeva zascaduno, non ci ni era nisuno visino in tuta quela terra
:

Cita ecc.

ogna botega era serata


45.

per onorar

la

Viola novela.

Cita d'Arimin ecc.

La lunga trasmissione orale di questa poesia, indizio certo ch'essa sia ben pi antica del codice, dimostrata dallo stato in cui la trascrizione di questo ci ha conservato il testo, assai malconcio, travisato in pi luoghi, manchevole. Anche
qui a rintracciare le alterazioni valido sussidio
tratta
il

metro. Si

manifestamente d' una ballata, con


:

la ripresa di quat-

la ripresa ha tre settenari e due rime incrociate la stanza formata dalle mutazioni di due settenari ciascuna, a rime alternate, e dalla volta identica alla ripresa, salvo che il primo verso di a b b A; essa rima con 1' ultimo delle mutazioni (ripresa stanza e d, e d ; d e e A) si tratta insomma d' una ballata di formazione regolarissima, non rara nella poesia del Trecento. Ci posto, procediamo all'esame della ballata e subito troveremo una grande anormalit nella terza stanza, la quale cresce d' un verso poich dopo le mutazioni (vv. 21-24), seguono cinque in vece dei quattro versi onde dovrebbe essere formata la volta. N questo il solo guaio

tro e la stanza di otto versi

un endecasillabo,

perch, pur lasciando da parte la falsa disposizione delle parole nel

primo verso dove

la

necessaria corrispondenza delle

rime suggerisce di leggere


Innanzi inzenochiata
a lui
si

sta cortese ecc.,

abbiamo l'antipenultimo verso che


dovrebbe essere
niuno sforzo di
settenario.

endecasillabo,

Tutte

queste

irregolarit,
di

mentre che

critica congetturale

potrebbe togliere

mezzo

177

con emendazioni, accusano, a mio giudizio, qualche cosa di pi grave che un semplice guasto della lezione e cercando
;

bene mi par d'aver trovato

la

via

d* uscir
versi,

dall' imbroglio,

ammettendo
nato,

la

mancanza

di

parecchi

per
Il

la

confu-

sione avvenuta di due stanze in una sola.

poeta,

accennella

come

si

suol fare in ogni ballata,

il

tema suo

ripresa (vv.

1-4),

incomincia toccando
dell'

dell'

impressione proViola deve aver

fonda che

la notizia

uccisione della
.

prodotta nelle donne pietose (vv. 5-12)

poi rifacendosi dal

momento
si

pi tragico del

fatto,

quando
marito,

la

misera gi

ferita

lamentava con dolorose parole


al (v.

(vv. 13-20), la descrive inal

ginocchiata e nuda innanzi


peccato
21-24).

quale confessa

il

Qui appunto cade la lacuna; e mancano le parole, con le quali la donna dovrebbe accennare alla natura della sua colpa, parole che dovevano formare la volta della
terza stanza
:

nel principio della quarta stanza


al

doveva incoci

minciare

la

preghiera rivolta

marito, perch per questo pri-

mo

fallo volesse essere pietoso

perdonando, preghiera che


in

stata conservata con

mancanze notevoli
versi

quelli

che nel
della

manoscritto sono
terza stanza, che

gli
si

ultimi cinque

(vv.

25-29)

potreb'oero disporre e compiere, per sem-

plice nostra curiosit,

a questo

modo

Or dolze mio marito, pregoti mi perdone


[io

so ben eh' io ho fallito


;]

senza alcuna cagione


se mai

mi

trovi

one
:

in cutal falimento,

de,

dami pena e tormento fai la [grazia], e non guardar

in quela.

Se ad alcuno questa mia supposizione paresse un volo fantastico, pensi, prima di battezzarla cosi, a quel aitai fallimento, che nei versi precedenti

secondo

non appare qual sia, e che, doveva essere narrato o confessato nei versi mancanti della terza stanza e pensi anche alle parole e non guardar in quela, cio non badar a quella colpa in cui m'hai trovata, colpa che, necessariamente, dovrebbe
la

mia

ipotesi,

Casini, Studi di poesia antica.

12.

178
prima, e non donde la convenienza d'ammettere una lacuna, la quale forse anche pi ampia che non ci mostrino g' indizi palesi del metro. A me pare
essere accennata
:

senza dubbio, per esempio, che nella poesia dovesse essere


descritta
1'

uccisione della donna,


i

che

certo

sarebbe stata
le

bene, secondo
tili

criteri dell'estetica

popolare, dopo

inu-

preghiere, alle quali anche sarebbe riuscita antitesi comefficace


:

movente ed

e tal descrizione ci sar stata nella pri-

mitiva redazione del canto, che, cosi

come

ci

rimasto, tra-

passa senza logica connessione alla particolarit aneddotica


della cagnolina, trovata sanguinante e lamentosa
ferite della

presso le

sventurata Viola (vv. 30-37), e


col ricordare
il

si

chiude poi opil

portunamente
Ristabilito

lutto della famiglia e

cor-

doglio di tutta la citt per


in
tal

modo
:

morte della donna(vv. 38-45). quel che sembra essere stato lo


la

schema generale
altre

della poesia, 1 resterebbero da fare


cosi nell' ultimo verso della

alcune

minori correzioni
(v.

seconda
1'

stanza

20)

manca

la

corrispondenza di rima con


il

ultimo

della ripresa,

ma

da credere che

poeta

si

contentasse di

una specie
tonica
si

di assonanza,

tra novella e degia,

pi

sensibile
la

ancora nelle corrispondenti forme romagnole dove


pronunzia larghissima
;

vocale

nei vv, 32-33

si

nota una

certa durezza della costruzione, dovuta forse a

uno sposta:

mento

di parole,

che saranno da ordinare cosi

Che avea nome Armilina, lamentar fo trovata ecc.,


anche per togliere nel v. 33 del codice l'eccesso di due sillabe nel V. 39 la rima e la giusta misura mancano, ma molto facile restituire la lezione primitiva, luta vestita a
;

bruno
terra
^

e finalmente nei vv. 43-44, anch'essi manifestamente

alterati,

da

ristabilire la

rima leggendo Ognuno in questa


li.

La

soa bottega serra, o gi di

Finalmente da

la mia ipotesi sarebbe stata, almeno, di 52 versi, primi 24 sono conservati, mancano i vv. 25-28, restano alterati nei vv. 25-29 del cod. primitivi vv. 29-36, e sono conservati gli ultimi vv. 37-52.

Secondo
i

dei quali

179
fare osservazione

ad alcune forme schiettamente

dialettali so-

pravissute nello strazio della trasmissione orale,

perch ba:

stano ad attestarci l'origine romagnola della ballata


(midisset), rasonare,
cortei, Irata (tractaj,

aldise

fameia, sbara sono

comuni a

tutto

il

territorio

padano,

ma

armare {armiere da
e

armarius), a par (a pari, appresso) infina,


caratteristico al dice ti (lo

sopratutto

il

dovette

cfr.

bolognese moderno
dialetti di

al ds),

sono proprie e particolari dei

Romagna

e per

da credere che

la

poesia fosse composta sul luogo

poco di lungi. Quanto al tempo, non vi sono accenni che ci permettano di determinare con precisione una data qualsiasi siamo per altro dentro ai termini del
stesso del fatto,
:

Trecento, se
secolo. 1

la

ballata era gi vecchia


e,

nel repertorio,

direi,

quando fu trascritta non molto lungi dalla met di quel

Quasi a sollevar

gli

animi dalla piet della Viola novella

s'accompagnano al compianto riminese alcune liete canzoni amorose sono lodi della donna, gioie del cuore, sospiri caldi e affettuosi, speranze e ricordi, e anche un po' di teorica e moralizzazione, d'amore, quali dal dolce stil nuovo in qua abbondarono nella lirica italiana.
:

XXIX.
E' ser sempre del core fedel servo e d' una dona, la qual de mi corona, poi che l' degna de onore.

mi tanto mi dileta la posso vedere, quella vaga zoveneta

quando

[Ora

infatti si

viaggio d' Irlanda per visitare il purgatorio di san Patrizio; l'andata sua fu per ragione di una sua amorosa chiamata la V i o 1 a novella, Antonio e Nicol da cfr. E. Levi, cosi un cronista riminese
nel quale Malatesta
il
;

pu dire che fu anteriore Ungaro dei Malatesta fece

al

1358,

l'anno

Ferrara poeti

uomini di corte

Ferrara 1909, p. 66].

lO
che

me d
la

tanto piazere.

Se
la

la fosse d'

cum
12.

un volere mia mente legata,


-

mia

vita sconsolata

sarebe fuor di dolore.


E'
la

E' ser ecc.

guardo cum desio,

tanto

me

pare graciosa

quella che ten lo cor

mo

in la soa faza amorosa.

Mai

vidi

si

bella cosa
;

che costei non resemegli


qui' ochi nigri soto
20.
i

cigli

relucente son d'amore.


Ell' tanto segnorile

E' ser ecc.

quella anzelica figura

L'altre mantelate vile,

ma Ma
che
28.

de

lor

poco se cura.
cotanto bella

ringracio la natura
la f'
;

relucente

com

stella

par che

la

renda splendore.

E' ser ecc.l

XXX.
Post' nel tuo volere, mio signore,
2.

zio che ad te piaze e dato t' '1 mio core. Al mondo non fu mai fra gli amanti dona veduta con tanta dolzezza,

credo che

'n ciel nel

mezo

a tuti sancti

creata fuse tua piacevoleza.

8.

Per te el mio cuore si pien d'alegreza, che a te sozeto servir l'amore. Post' ecc. Vert celeste regna in tua persona,
anzelica belt porti nel viso.

14.
^

Contento fai colui che a te si dona, o cara dona, col tuo vago viso. Tu sola se' colei che '1 paradiso gi fai sentire a l' infiamato core.
Il

Post' ecc.

ms. ha

v.

Quanto che
vidi,

fuore,

15 tene,

17

Mai non

12 Sy sarebe se, 9 21 Eie, 23 tute gly altre mani.


la p.,

Ma

24 loro.

i8i

La fama tua che

tanto graciosa
;

mmi
amar

constreto a volerti seguire


ti
'1

volio sopra ogni altra cosa,


:

l'anim' e
se forza
20.

corpo dato a te servire sir per te morire, in cielo i' ne rengracier l'amore. Post' ecc. quella dona, o vaga canzoneta,

me

per cui

se'

fata tu te n'andarai,

che m' ferito con sua saeta. Fra molti amanti tu la troverai [con dolce voce la saluterai]
26.

e poi

me

gli

darai per servidore.

Post' ecc.i

XXXI.
pu' tu fare, Amore, che mai sia da ti diviso, poich m'i donato il core, che mi tiene in paradiso ? Canto e festa e alegreza donami questa fanzulla, che co' sua piacevoleza nel mondo non par nulla el parlar suo mi trastulla, che passa ogn' inteleto,
a rienpie di dileto

Come

mia mente el vago riso. Mirando soi ochi vaghi che paren due beile stelle, ogni amante tu appaghi
la

Come

ecc.

sopra tute
e

le

pi belle

anco le sue mamele, che ciascuna pare un fiore,

anno in signore' il mio cuore, quando vede il suo bel viso.


Dolz' sopra ogn'altra cosa la tua boca vermeieta, tu sei tanto graciosa

Come

ecc.

Il

ms. ha 4 tanto,

5 cil,

16

Anmi

constrecta, 20 regracio,

25 manca.

l82
che fugir
la tua saieta

non po'

chi

amar

dileta

per che tua personeta ti fa degna di corona


28

sopra ogn'altra,

al

mio
;

aviso.

Come

ecc.

Celar non mi poso ormai,

36

canzoneta mia benigna el mio cuor ti donarai a la mia [dona] benigna di vert ella porta ensegna sopra a tute in ogni lato, per suo servo m' legato e da ogni altra diviso. Come ecc.^
:

XXXII.
Si incende la
2

c'ogn'altra

mia mente el tuo parlare amante i' vo' per te lassare


:

Credo che nobilt e zentileza con gran dileto adorni tua persona
tanto reluce in te ogni beleza che fai contento ognun che a te

14

20

si dona, per che sol per te una corona sopra ogn'amante degno di portare. Si incende ecc. Tisbe, Casandra e ancor Polisena nemiche fuoron d'ogni vilania, Isota e Dido e la reina Elna a' lor amanti feron cortesia ma sopra ogn'altra tu mi par' che sia quella che '1 tuo amante vogli amare. Si incende ecc. Canzon, de' va' cercando ogni paese, poi retorna a Pisa e qui ti posa con quella donna che tanto cortese, alegra e sagia, onesta e graciosa e sopra ogni altra tanto virtuosa che solo in cielo troverebe pare. Si incende ecc.*
;
!

Il

ms. ha 7-8 Cola sua piac. Che nel mondo, 12 col vago,

13 vag, \\
*
Il

pare no, 26
v.
2

la tua. altro,

ms. ha

3 nobilita, 8 ogn'altro
11

am.

(forse la

lez.

primitiva era su ogni altro am.),

Diedo.

i83

XXXIII.
Dolze mio signor, cun pura fede vegno a ti, domandando mercede. Al besogno se conose l'amico, qual e quanto fedele se trova ch'el bono amante senpre te dico de servir chi l'ama fa viva prova per, signor, el prego mio ti mova a far el don che lo to servo chiede.'
; :

XXXIV.

A
3

ti,

segnor, la mia vita comando,

perch tu sei quel solo che pi far eh' i' non vada penando. S' i' son e fui sempre tuo seguitore digno son di mercede a la tua alteza,
perch'egli pi presiato di valore
al suo servo graveza donar tuto a pigreza, tu sai ch'io non m'involo di cossa far che ti giunga onorando. La pena ch'adivien altrui non digna pi duol ca quella che vien meritata, e questo quelo che sendo benigno duolmi di mia fortuna sagurata. Die' mai non fusse mia dona spietata che certo com' io volo, cosi dimanderei quel eh' io dimando.*

colui che toglie

donca non

ti

IO

17

XXXV.
Mercede
la parola che pi chiama zascun amante prima quando brama.
V.

II
Il

ms. ha ms. ha

8 chel to servo.
9

V.

non

ini volto,

16 volto.

i84
r [r] chiamata za molta con lei, ella non mi risponde, anzi da me come fura s'asconde,
privando i ochi miei di zo la mente pi greve s'enfiama, perch la vede che di amar non ama.
;

Da

mia parte non si coglie colpa, vero non si niega, che l'alma sempre a la pietate piega
la

se

'1

14

zascun osso e la polpa tanto di speranza guardo afama ch'i' spero di suo fior tocar la rama.'
:

ma

XXXVI.
Quanto
a
3
di

prova vede mio inteleto

me se mostra sol questo vedere, che Amor al ben ha poco di rispeto.


vidi gi questa

forma

di lui

eh' el

me

tolgeva

come

so fedelle

da po' el senti' mutar e star crudele si che inganato da sua leze fui.
Allora dissi a qual non so di cui aver pi debia parte di piacere,
IO

vedendo
:

in

questa fede gran difecto.

Una speranza possa al cor mi zonze, dicendo Non ti temer questa volta
ingano mi fu tolta per l'alegreza che sperando punse ma ne le fine di graveza 1' unse tanto che morto mi pensai cadere, se de natura non fose l'efecto.^
la

mente da

l'

17

XXXVII.

Amor mi

di cosa che
Il
Il

prega nel voler talora da po' volgia si pente.


ella,

ms. ha ms. ha

V.
V.

2 gascurn, 3 colley,
di/., 11 po.xa.

12 gasctim.

io

grani

i85

temendo
4
di quel

pi la

zente

14

che ben pensando pi l'onora. Dunca non si dovrebe il signor mio pentir se pur atrova el suo sozeto con fedel desio, l'opra del qual cognose l'alto dio che sol vede la prova, se quel eh' falso si dimostra pio ben vegio che '1 mio core si l'adora ch'ogni suo prego per comando sente, et regna ne la mente come pensier che 'n lei senpre dimora.
:

XXXVIII.

Alma

12

lizadra, del tuo viso pio donna, che pi mi tiene et par che mi die pene, altro non poso sperando '1 disio. Perch te mostrarmi cotanto cruda ? ben sai che io a te servo con fede. Sera' per me sempre de piet nuda, come ancor se' e per zascun se vede ? IM'Amor che me tene questo non crede in tal erore tenuto per me ma chi spenga del tuo fia me al cor per servire in vita.^

Su queste rime non occorre


Le
ballate

XXIX

XXXI

tano quel carattere di

di fare molte osservazioni. sono di versi ottonari e presenmaggiore sveltezza e franchezza, che
;

ormai era connaturato a questo metro non le direi per popolari, poich nell'una e nell'altra, accanto a espressioni
e pensieri frequenti nella poesia di

popolo

(XXIX,

3 de

mi
;

corona, 5

A
mi

mi

tanto

mi

dileta,

27 reliicenie corno stella

XXXI,
*

tiene in paradiso,

33 di virt ella porta ensegna,

Il

ms. ha
i

V.

6 pentirse.
versi

9-12 quali sono nel ms., sebbene non diano senso sodisfacente n ordine giusto di misure e di rime.
2

Riferisco

i86
e tutta la descrizione delle bellezze nei vv.

13-28 e

il

pas-

saggio dal discorso indiretto


ci

al

discorso diretto nei vv. 13-18)

rivelano
poi

sono formule e modi propri della poesia letteraria, che il sentimento e l'inspirazione personale. La XXIX

sembra

in

lode di

una monachella d'angelica


al

figura,

che trionfava di bellezza

confronto delle altre mantellate^

cio di quelle serve di Maria, la cui congregazione fu fon-

data alla fine del secolo XIII,


solo nel secolo
di poi
i
:

ma

si

diffuse fuor di

Toscana
in-

da che

si

potrebbe trarre un

dizio per ritenere che la ballata fosse recente

quando pass

nel nostro repertorio, se


la

coppia

di

rime

pur a crederla non toscana basta lombarde della ripresa (vv. 2-3, dona:
si

corona). Schiettamente letterarie,

per

il

metro,

si

per l'infor-

tonazione sono

la ballata

XXX, dove

ritornano idee e

mule dello stil nuovo, che ricordano le donne angelicate di Dante e di Gino, e la XXXII scritta per una donna pisana, dove il ricordo di belle donne della leggenda classica congiunto alla menzione d' Isotta, frequente nelle poesie auliche antiche, e dove notevole un bisticcio, certamente intenzionale, foggiato secondo tutte le regole dell'arte del rimare. 3 Le due ballate XXXIII e XXXIV si direbbero sorelle, l'una es'-^

sendo esplicazione dell'altra e sono indirizzate ad Amore, ma appartengono al genere particolare di quelle composi;

^ Brocchi, Vite de' santi fiorentini, voi. I, pp. 309 e segg. MoRONi, Dizion. dierudiz. storico-ecclesiastica, voi. LXIV, pp. 191
;

e segg.

D'Ancona e Comparetti, Ant. rime XXIV, LX ecc. Trucchi, Poesie ital. ined., II, Rime de' poeti bolo-, 358 Renier, Rime di F. liberti, p. 233 gnesi, p. 167 ecc. n meno frequenti sono le menzioni di donne
*

Isotta ricordata in

volg., nn. V,
;

della
^

leggenda

classica.

, ed da paragonare col proverbio in bisticcio Pisa pesa a chi posa del bisticcio d le regole A. Da Tempo, Trattato delle rime volg. : ed. Grion, p. 162. Dei bisticci nei sonetti antichi (nelle ballate e nelle canzoni sono rari) si veda L. Biadene, 3Ior/o-

nel v. 16, retorna a Pisa e qui te posa

logia del son. nei secoli


cio in

una

XIII e V, pp. 162 e segg. Un bisticballata di Matteo Correggiaio, in Carducci, Cani,


i
:

XI

e ball., n.

CCCXXXVI,

'nnamorarmiin

te

ben

fui inali' io^y.

187
zioni,

ove

il

ragionamento prevale
il

all'affetto e

il

fare

sen-

tenzioso isterilisce

sentimento

non

ancora poesia gnole

mica vera

e propria,

ma

a questo

genere

due

ballate

si

accostano pi che all'amatorio. Nella


delle rime nelle stanze rivela la
rato,

XXXIV
d'

l'ordinamento
lette-

mano

un rimatore

n solo per

la solita
1'

settenario, tazioni e

ma
:

per

mescolanza dell'endecasillabo col incrociamento delle rime nelle due mu-

anche per
nella

la

mancanza
ultima
effetto d'

della rima di collegamento


particolarit,

nella volta

quale

pi che una

novit,

da vedere un

ignoranza o di trascuranza,

facile a spiegare nell'opera di

qualche gramo rimatore, im-

possibile in

assai

una poesia popolare. Del resto cotesta ballatuzza misera cosa, e degna sorella delle tre che le si acnel

compagnano
nella

repertorio,

tutte

gravacciuole
della

per

il

fra:

seggiare ragionativo e

per

lo stento

verseggiatura

XXXVII

si

ripresenta la

mancanza
cor
;

della rima di collega-

mento

nella volta,

ma
che

forse

il

luogo da emendare leggendo


rnio,

(v. Il):

Ben vegio

V adora

si il

con

la

quale lezione

s restituisce la

regolarit metrica

tutta guasta invece la bal-

lata

XXXVIII,

a sanar la quale ci aiuta, risparmiandoci di


l^

far congetture,

un codice del secolo XV P'rancesco degli Organi e dove si legge

dov' musicata da
:

cosi

L'alma leggiadra del tuo viso pio, donn', che pur mi tene et perch mi die pene altro non posso, sperando disio.
Poi che
ti

mostri a

me

ben

sai

che

io a te

cotanto cruda, servo con fede

sar' per

me sempre

di piata gniuda,

come ancor se', e per ciascun si vede. Ma Amor, che mi tien, questo non crede
in tale

onor ti tenga per me, ma che mi spenga

dalle tuo'

fiamme

il

cor per servir mio.^

glio 130 (Cfr.

Panciatichiano 26 della Bibliot. Nazionale di Firenze, fo/ Cod. Pane, della R. Bibl. Naz. Centrale di Fir. ;
1887, voi.
I,

Roma,
*

p.

46).

Al

v.

IO,

la

lezione errore del repertorio forse la vera.

'

rompere la monotonia di coleste ballatuzze viene nel lamento della malmaritata, che ci trasporta di nuovo alle imaginazioni e all'arte del popolo e poich nel repertorio sono altri componimenti sullo stesso tema, mi pare opportuno raccoglierli qui, perch sia pi agevole il farne uno studio comparativo. Dei temi prediletti alla Musa popolare fu in ogni tempo il lamento della malmaritata, cio, come ben la definisce una di queste nostre rime, della donna congiunta ad uomo che non sia da ella (XLI, 4), o, in altri termini, della giovine sposata a un vecchio. Non ignoto alle letterature cavalleresche della Francia, ove fu assai per tempo raccolto da
codice un
:

poeti

d'arte,^

questo

motivo piacque
francesi

ai

nostri pi

antichi

rimatori che ne fecero argomento di canzoni, indipendente-

mente
dove
il

dagli

esempi
la

provenzali.

Rientrano
II

in

questo ciclo

cantilena attribuita a Federico

imperatore,

poeta doloroso
la

d'aver perduto

la

rosa fronzuta,

com'ei

chiama, e di vedersela tolta


cio dal marito, imagina
;

dall'

uomo che

l'ha
fa

in balia,

il

lamento ch'ella ne
e proprio

ciascuna dia
di

e riferisce cosi

un vero

lamento

malmaritata

Nel mondo non foss'eo nato femina con ria ventura


!

E pur nel secolo di P'ederico un altro esempio troviamo un poeta popolare toscano Compagnetto da Prato in una sua canzonetta ^ fa parlare una donna, la quale, riprendendo
di
:

il

rio marito e rallegrandosi della vendetta che

sta

per

prendersi dell'oppressione coniugale, d a vedere quali fossero


i

conforti

onde

le

malmaritate s'ingegnavano di

alle-

viare gli affanni del loro stato.


^

Dopo
;

il

secolo XIII,

come

Gaspary,

op. cit., p.

153 e segg.
5,

G. Paris, Chansons du
136.

XV^
2

siede; Parigi 1875, pp.

118,
;

122, 131,

Carducci, Cantil. e ball., n. II D'Ancona e Comparetti, Ani. rime volg., n. LII cfr. anche P. Bilancioni, noi Propugnatore, V. S., voi. Vili, P. II, p. 286. ^ D'Ancona e Comparetti, A}it. rime volg., n. LXXXVII.
;

tanti altri motivi della poesia popolare,

anche quello della


e

donna
luppo
:

malcontenta del marito ebbe pi largo


le canzoni
ti

vario

svi-

consimile argomento abbondano poi


e per lo pi in versi ottonari, not

nel secolo

XIV

e
il

XV,

gi da
e

un pezzo

Carducci,^ e sebbene non ne citasse esempi


nella sua raccolta,

non ne accogliesse
^

pi d'una ne avesse vista nei codici

fiorentini

da credere che da lui stu-

diosamente cercati
stro

e forse aveva in mente quelle del nodue delle quali sono d'ottonari. La ballata XXXIX che prima ci occorre su questo argomento, non compiuta, mancando almeno tutta la volta della seconda parla in essa una giovine, maritata contro sua vostanza glia ad un vecchio, e lamenta con una certa dolcezza gen;

repertorio,

tile

la

propria bellezza sacrificata per


;

interesse

dagli

avari
lieta-

parenti

sospira la povera casa,

dove fanciulla vsse

mente, senza pensare che ancor fresca pi che rosa sarebbe


maritata in un vecchio, ancor bianca e bionda e tutta amorosetta sarebba finita in braccio a

un

n\axiX.o fiorito

dalia ara
i

bianca.

Non
:

cosa di fattura

volgare,

n secondo

gusti

della plebe

ma

manifesto che un poeta clto s' ricor-

Cantil. e ball., p. 4.

Un

altro dotto illustratore

della

nostra

poesia

popolare,

Sev.

sua Bibl. di leti, pepai. Hai., voi. I, pp. 337-339, trasse in luce dal codice marucelliano C. 155, scritto nel 1417, due altre poesie di malmaritate. La prima una ballata metricamente identica alle nostre XL e XLI (onde al v. 9 si deve ridurre ad aita l'aiuta del cod., per ristabilire la rima necessaria col v. precedente) parla la sposa, lamentandosi con la madre d'averla data a un vechierello gottoso. L'altra una canzone a rigoletto, cio un vero e proprio canto di danza, in
nella
:

Ferrari,

stanze di versi endecasillabi (identica nel metro alle ballate


IV,
sta

III,

XXVI, XXX, XXXIl, XXXIII


si

ecc.

del

nostro repertorio),
;

e svolge una specie di contrasto tra la

madre e la figliuola quelamenta, al solito, d'essere stata data al vechio e quella la consola e l'aiuta ad ammazzare il marito con un frutto avvelenato qui abbiamo una esplicazione, che direi letteraria, del mo:

tivo popolare

il

trapasso dalla forma dialogica alla narrativa

sono

indizi di scrittor letterato.

ci trae,

E gi che l'avvelenamento mi metto qui una cantilena, inedita per quel ch'io so, con-

igo
dato d'un canto popolare e n'ha derivato
timento, che attenua e raggentilisce
il

concetto

nel-

l'opera sua, spargendovi intorno quasi un profumo di


il

sen-

concetto, per s poco

morale, della ribellione

ai vincoli

matrimoniali. Ai gusti del

popolo rispondono invece le altre due ballate, XL e XLI. La prima pur essa un lamento di donna, ma senz'alcuna idealit gentile, anzi di una crudezza realistica, che potr
importare come rappresentazione di costumi,

ma

artistica-

servataci dal cod. laurenziano XLII, 38, in mezzo a ballate boccaccesche certo d'origine meridionale, e se qua e l frammentaria sia scusa alla pubblicazione la scarsit di documenti della letteratura popolare antica della Puglia e della Sicilia. Ecco
;

intanto quest'altro

frammento

Bella, c'hai lo viso chiaro


tal

bella, se
la

questo

gli

aporte,

marito

t'

Dio dato,
ti

l'alto Idio lo

levasse!

ch'anegato sia nel Faro chi parola ne trasse Se tu vuo' far ched e' mora,
!

ed or[a] Se tu vuo'

far

ched e' mora ched e' mora,


:

la faccia di quel giudeo,

morte avara in presente. La morte avara in presente, bella, se questo gli done dagli l'ala d'un serpente, lo fiele d'uno scorzone, e d' un istrice il suo dente, la coda d' uno scorpione [e] d'uno storione pescie.
;

guardalo quando va fora,


dagli dello camoleo
bella, la qual
;

D'uno
che
:

storione pesce
sia

nato alla montagna


esce

d'una medicina ancora,


ti

diragg'eo

agna
Se
d'
ti

prendi esto consiglio. per Dio Per Dio prendi esto consiglio,
bella, se

squrano
ti

le

bisce
di lattuga
!

capello non

rimagna

questo vuo' fare

una tortagna
di

circa l'ala d'un coniglio

e guai chi l'aduga

che sett'anni agia a volare, e la coda d' un volpigno che sia nato a mezo mare obella non ci adimorare, Non ci adimorare, o bella, s' tu vuo' che mora quel tristo
:
!

D'una tortagna

lattuga

che sia nata di giugnetto,


radicata d'una bruca
etto

dagli della rosolella,


la fronda d' un Anticristo e d'un somaro la 'sella che gi mai non fosse visto danne al tristo raddobbato. Danne al tristo raddobbato ch' cotanto duro e forte,
;

uga panpane tre da ulivetto d' uno moschetto e due uova,


e guai che lui trova D' uno moschetto e due ova che sie nato sanza '1 pizzo, una stranga che lo strozzi, la coda d' uno malvizzo
!

e d'

un ganbero cardato
le

ch'aggia

mascelle torte
il

d'un rizzo
et guai

di caniglia
lui piglia
!

intanto gli uscir

fiato,

che

lyi

mente, volgarit. Io sono malmaritata,

dice

codesta fem-

mezzo in gi, perch quanto al resto starei bene ben vestita, ben nutrita, con un marito bello da vedere. ma solo da vedere perch purtroppo tutti i miei guai si raccolgono in questo, d'esser mal fornita de quel che l'amor richiere per se non trovo chi mi contenti sar sempre infelice. Questo lamento un trionfo
mina,
solo per met, da
:
.

ma

della carne

la

sensualit pi

cruda e grossolana pervade

donna traendola dal desiderio d' un fratacchione poderoso agli sfoghi inutili della Venere solitaria n credo
cotesta
;

esempio nei canti popolari antichi o moderni, dove un simile stato morboso sia rappresentato con tinte cosi crude da far arrossire le novellatrici fiorentine messe in iscena dal Boccaccio. L'altra ballata un po' pi contegnosa la
che
vi sia altro
:

tapinella che
cifica
il

si

lamenta

si

tiene sulle generali, e solo spe-

dola in moglie a un vecchio

padre suo, ch' stato cagione dei suoi tormenti dane dal caso particolare trae un
;

avvertimento per tutte


maritaggi
si

le

donzelle, che
lei,

si

guardino bene dai


tristo

non vogliono poi compagno. Finalmente, l'ultimo e breve componimento che raccolgo in questo piccolo ciclo, una specie di strambotto, a distici monorimi, nel quale abbiamo quasi l'epilogo solito dei lamenti delle malmaritate il tradimento ch'esse fanno al marito invitando, in dispetto di lui, il giovine amante a godere i furtivi abbracciamenti. La vita stata sempre cosi e il tema della moglie che si lamenta del marito cattivo o gefatti

si

specchino in

se

piangere amaramente

la

gran noia di un

loso o impotente e se ne consola con l'aiuto

d'altro
i
;

uomo
credo
par
motivi

anche oggi abbastanza diffuso nella poesia popolare

per altro che sia destinato a scomparire,

come

tanti

di essa, poich la fantasia inventrice delle nostre plebi

che vada estenuandosi sempre pi.

XXXIX.
Piacse a dio che
e'

non fosse mai nata

o lasa dolorosa.
1

NiGRAj

op. ciL, pp. 445 e segg.

192
fresca son pi che rosa
4.

Oi

un vechio maritata son vaga [e] gioconda e d'Amor sento soa dolze sagita guardando[mi] nel spechio bianca e bionda,
[e]

vegome

in
!

me

dolente

me

vego tuta quanta amoroseta

ond'io prego les che gran vendeta


faz'a qui che marito

me
12.

de, ch' za fiorito

e la soa barba bianca deventata.

Piacse ecc.

Mei' mi serebe ancora essere in casa

parvola povereta corno m'era,


ch'a esser cosi d'ogni allegreza rasa
16.

che mai veder non poso primavera.'

Piacse ecc.

XL.
Ch'io
ch'i'

me
si

so'

meza
o da

e e

me
la

mal maritata meza no, so' mal maritata

cintura in zo.

Che giova
et aver

esser ben vestita manzare e bere,

et esser mal[e] fornita

de quel che l'amor richiere ? Non de tal[e] podere questo miser mio marito, che l' in tutto disfornito, Ch'io per le done non vai no.

me

so'

ecc.

Che giova marito

bello,
?

[da] poi ch' tanto cativo

Quando d'amor

li

favelo,

vr de mi se mostra schivo. Fosel morto, com' vivo


!

ch'io provase

mia ventura Credo ben per mia sciagura che mai vedoa non ser. Ch'
!

io

me

so' ecc.

'

Il

ms. ha

v.

io

faqa quy me me de marito,

13

Mcyo,

14

parz'oh p be

eleta,

16 poso

prima

nota.

193

Non posso
che

celar la doglia

me

fa star

angossiosa

28

quando a Iato me se spoglia che non ha de quella cosa, io ne son[o] si bramosa che ne moro de dolore se non trovo un fratechione, mai contenta non ser. Ch'
;

io

me

so' ecc.

Non me

giova medesina, n dar conforto n zoia,

36

n [darli] ova de galina che lo faza star de vola, ched e' tuta non me doia tanto tenpo star dizuna ch'io non so bianca n bruna che sofrisi el mal eh' i' . Ch'
;

-^

io

me

so' ecc.

Quando
!

l'altre

me

favella,

dicon com' se fa fornire, oi me lasa, meschinella, de dolor voria morire. Io non posso soff[e]rire

44

che non faza de persona l'amor me strenze e sperona, pur el far non me vai no.'
:

Ch'io

me

so' ecc.

XLI.

Dona che
si

sia donzella

se debia reguardare

in

de doverse maridare om che non sia da


!

eia.

O me

lasa,

topinella,

che no' l'averia mai dito io era donzela de aver tolto tal marito el me pare forte tristo

quando che

pur da la e, 5 Che me g. d' ess., 8 riChe me g. d'aver mar., 15 yo li f., 16 in ver de mi, 20 giammay, 21 Io non, 23 in luogo di spoglia prima aveva spoya, 28 Giammai, 32 voglia, 37 l'altre donefav., 38 Et
ms. ha
v. 4

MI

chiede, IO misero,

13

d.

corno.

Casini, Studi di poesia aulica.

13.

194
ch'el
i'

non se poria contare bestemmio pur me pare,

12

che

me

dete a

lui

si

bela.

Dona

ecc.

No' era donzela ancora molti amadori avia, ben mi parea esser moria
lo di

vedia credia aver per marito un vechio. Ora ve', vrdati in spechio

che no'

e zamai

nun

lo

20

zascauna eh' donzela.

Dona
;

ecc.

Or v[ne, mia

b]alatela,

a tute quante donzele da per [tuto tu favjela,


di

che no'

sia

mai de quele.

D[one

triste e tapin]ele,

28

a tur mari contra vola e[l sar sempre gran n]oia par ben da ella.' s' el no'
i

Dona

ecc.

XLII.
De, basarne, misere, basarne la boca, azo marito tristo che non me la toca
de, basarne, misiere,

bsame
li

li

lapr
;

rosi,

azo marito

cognosi de, bsame, misere, bsame piano piano, ch'el no' me senta lo mio cristiano. Chi basa bela bocha e non strinze li lapri non sa che cosa sia dolze basare.
[tristo]

che no'

A
una
del

proposito di quest'ultimo componimento noter, di pasil

saggio, che per


ballatina,

concetto dell'invito
si

al

bacio

si

ricollega a

che molto malconcia


fra

legge in
altre

un codice

primo Quattrocento,

mezzo ad

rime popolari.

Il

ms. ha

V.

4 omo,

11

vo blastemando 21
,

alatoela, 22

le donz.,
2 II

24 queste, 26 so voya.

ms.

in fine ai versi

ha un Amen.

195
anzi a rime che in parte ricorrono anche nel nostro
torio.^

reper-

Strenzi le lapre piano, l'amor mio,


eh' a zucar
s'

asomeglia,
[il

alza la zira che m'alzide

core].

Tu

ben quanta pena sostenni per to amore,


sai

avanti che per

me

fusti

piatoso

solvimi la catena

che me strenzisti al core, che zorno e note non trovo riposo. Per facisti mia vita angososa tornare in gran dolzeza, che per toa zentileza vene amore.

forse

anche questo canto

di

donna

maritata, che in-

vita l'amico a proibiti amplessi.

Ai lamenti delle malmaritate tengono dietro


questa volta di gi ovini innamorati,
per la crudelt delle loro donne e sospirano
di desiderio
:

altri

lamenti,

che non trovano pace

consumandosi

XLIII.

Laso
in

per mia [s]fortuna post' amore dona che pi eh' altr' duro '1 core. r servo lei con tuto '1 mio ingegno, perch m' induce '1 so aspeto piacente
!

ma

par che

come
'

mi' servir ell'abia a sdegno, crudel ch'alcuno amor non sente


'1
;

il

dove

guasti sono tanti che

cod. trevisano gi accennato (Gian, 1. cit., p. 41), il Gian disperava di ridurla a for-

ma
L.

regolare.

Alcune correzioni,

di cui

ho tenuto conto, sugger


lett. ital., a.

BiADENE

nella Rivista critica della

1885, p. 154

non parendomi possibile

ci che egli suppone, la

mancata cor-

rispondenza di rime tra la fine della ripresa e la fine della volta, ho aggiunte le parole ultime del v. 3, con le quali la regolarit metrica ristabilita ma certo e in quel verso e in altri c' ancora da sanare.
;

IQ
n per
viver
altra
fai

cason cosi dolente


e star in tanto ardore.

me

XLIV.
Guarda una
volta in za verso
'1

tuo servo

cun ato de merzede, lo qual a ti pietosamente chiede. Poi che si' bela, de, non sie crudele,
benigna, chi per te sospira ochi e la mente al tuo fedele, che sente sommo ben quando te mira. Quela vert d'amor, che [in] lui spira
si'
;

ma

volzi

perch da s ti vede, accenda ti per la soa pura fede.*

XLV.
Amor,
io

me lamento
'

De

chi

m'

inamorato?
privato
talento.

e voi che sia del

mio dolze
!

Amor

ecc.

Fortuna, per tue sorte

de

donarne

la

morte,

poi che per vita sento. Ai laso, chi m' morto

ma

pur

me do

conforto

e sto in gran tormento Al cor che pur me dole de l'aspettar, che vuole
1 nel cod. Panciatichiano 26, in una lezione pi toscana; con la quale (B) ho racconciato qua e l i guasti del magliabechiano (A). Ecco le varianti 2 i dona volta A, volta in eia B, elianto de in. A, coti atto di ni. B, 3 atte B, 4 si bella sei B, 5 sia B, 6 gli occhi B, 7 quanto A, ti B, 8 Quella virt chellui sp. B, che luy respiera A, 9 dassai fi B, io Atende a ti A, Accienda te per la sua B.
:
.

197
13

tanto a farine contento.

A=peto
i6
17

non so quando

ser fuor d'esto bando,


ch'ai suo voler consento.

Amor,

io

me

lamento

Amor

ecc.

XLVI.
Desdegno
in dona non convenevole cor t'amo e tu d'amor sei frigida,
!

De

fin

poi de guardar
ch'io

mi

sei si aspra e rigida,


'1

me

despiero e

viver

m' increscevole.

Talor benigna sei, ma poi de subito deventi cruda, und' io molto me dubito che '1 mio servir non [ti] sia deletevole. Piacente dona, non volermi ucidere, ma sta in vr mi con volto allegro a ridere, che la tua pace en tutto salutevole. ^

XLVII.
Sia maledeta l'ora e
'1

di ch'io vini

soto el ziogo d'


3 e la

Amore,

vana speranza che manteni.


'1

Sia maledecta la Fortuna, e dove

sostene
le

sia la constanzia mia, la f, le

colpo che non guarr mai prove,


e'

lagrem' e sospir che

sparsi

mai.

Sia benedeta tu, che lieta stai


del me' greve dolore,

IO

tanta

si'

bella e

de vert onore.

'^

Nulla di singolare , quanto al concetto e al metro nelle due ballatine che aprono e in quella che chiude questo pic^ Il ms. ha V. 2 de chi ina tu iti., 15 Pero fur desto, ma il bisogno della correzione manifesto. 2 II ms. ha V. 2 core, 4 vivere, 5 Tallor, 9 e ridere. 3 E nel cod. Panciatichiano 26 in forma pi toscana, con l'aiuto della quale (B) ho emendato alcuni errori del repertorio

198
colo ciclo di lamenti

d'amore

(n.

XLIII,

XLIV, XLVII),
quella
culti pasi

poich e
lirica

pensieri e la forma sono molto usuali in


del sec.
fra
il

mezzana

XIV, che

fatta

da rimatori
e

sava facilmente
dolci motivi
:

popolo, compiacentesi a ricantarne

due

di esse infatti

(XLIV

altre del nostro

repertorio, sono tra le


il

XLVII, come pi intonate da FranceNotevoli

sco degli Organi,

famoso musicista

fiorentino.^
:

invece per ragioni metriche sono


altro

le altre

esempio pratico della ballata


si

due la XLV un minima, cio con la ri;

presa di un solo verso breve e le stanze di tre

della qual

forma d

la

regola e un esempio suo Gidino da

Somma-

campagna,"'

ma non
;^

se ne conoscono che pochissime d'altri

rimatori antichi

e la

XLVI

una

ballata

piccola, ossersdruccioli,

vabile per esser composta


versi
netti

tutta

d'endecasillabi

che nelle ballate sono rarissimi,* e nelle canzoni e socominciarono a venir di moda con Fazio degli Uberti.''
i

Dopo
ch
(A).

lamenti

le

gioie d'amore,

ma

per
si

poco

poi-

alle tre ballate,

che or seguitano e che


i

possono dire

venni B, 2 sotio giogo 4 nialadetta B, e manca A, 5 sostenni colpo ch'io B, 6 costanza B, le f B, 7 lagrint. B, sospiri B, eh i sp. B, 8 benedetta B, che n leto A, 9 da me h.,
le varianti:

Ecco

nialadetta l'or.

B, ziego

A,

chu

ini attenni B,

del

mio grieve

B, io tanto se

b. e

di virt

B.

Nella ripresa

manifestamente errato, in tutti e due i testi, l'ultimo verso, mancando la necessaria rispondenza di rima e forse da emendare leggendo il v. 3
;
:

e la speranza che

mantenni

in core

non essendo probabile una


1

irregolarit metrica di questa natura.

codici Panciatichiani della

R.

Bibl.

Nazion. centrale di

Firenze,
II a).
2

Roma,

1887, voi.

I,

pp. 46 e 47 (cod. 26, carte 6 d e

Trattato dei ritmi volgari, pubbl. da G. B. Giuliari, Bo-

logna, 1870.
3

Non

ricordo che la ballata di

M.

Griffoni

in

Carducci,

Cantil. e ball. n.
*

CCCXLIII.

in

Carducci,
^

Tutta d'endecasillabi sdruccioli una ballata di A. Donati op. cit., n. CCCXVI, unico esempio che fosse noto

tnora.

BlADENE,

Op. cit., p.

141.

199
espressioni di cuori contenti, tien dietro

mentoso

di canti di separazione,

d'

un altro abbandono o
che
la

ciclo

la-

di

lonta-

nanza. Intanto in queste tre nulla che meriti d'essere par-

ticolarmente notato
intera,
l'

solo dubiterei

XLIX non
la

sia

perch mentre nella ripresa abbiamo


la

domanda

del-

innamorato e
la

risposta
;

della

donna,

nelle

due stanze

parla sempre un

uomo
la
;

che contro ci che noi aspettiaquale cosi com'


ci

mo dopo

ripresa,

annunzia un diaal
altri

logo a contrasto
della poesia non

ma
si

se e

quanto manchi
sospetto.

compimento
codici pos-

pu imaginare, e solo
il

sono tramutare

in certezza

XLVIII.
Chi fiso guarda in questa margarita r enmazene d'Amor vedr scolpita. Stassi co' 1' arco atenta e ponderosa per dar nei cuer zentil dolze ferule e questo io provo con tanta vertute che tien la vita mia sempre gioiosa

onde non so qual pietra preciosa tra nui pi de l'anel degna gradita.

XLIX.
-

Donna, sperar poss'io ? Servo mio dolze, si, cor del cor mio. Io vo sperando, bella dona cara, pi d' altr' amante mai per ti porto la mia vita amara,

servo
fa

come

tu

sai.

Donna, quando

porai,

che penar, de, mi tome a desio. Dona d' amar non fu mai pi contenta per so fidel sozeto
;

II

ms. ha

V.

vedera, 3 sfarsi.

200
prima che Amor de mi za non sen penta, dona, piglia el dileto
;

e se in

me
in
ti

'1

difeto

14

fa

che

Amor

per minor

sia

oblio.

De
2

questa donna,

Amore

pi trov' o[g]nor la gran vert nel core, eresie la soa vertute

ne la [mia] mente cum tanto desio che del dolze salute contento provo ['n] 1' intelecto mio

14

""

ferma crede o[g]nor pi nel [suo] valor[e]. L'alta fede ch'io porto con gran piacer in questa dona ognora tanto mi d conforto che nel [c]reder me conven far demora si che pur s' avalora in me la fiama del contento ardore.
la
i'
;

onde

lede eh'

Or vengono lamenti di partenza, in mezzo ai quali si sono intromesse una baliatina di lode alla donna amata (LII) e una, incompiuta, d' ammaestramenti morali, sulla maldicenza (LUI) argomento anche quest'ultimo trito e ritrito, quanto l'altro.
i
:

XLL
Como
2
partir
'1

da
io

ti

me

deb'io mai,

che

ben

eh' io sento, dona, tu

me

'1

dai

Non
eh'

so

com

non mora pur pensando

ne conven euntra '1 volere, i' non preso bando e Morte sopra me monta '1 podere. andar
e zia de vita
1.

me

II

ti

Amor
2 II

V. 9 contento. Forse nel v. 14 da per mi or sia ^n oblio. ms. ha V. 14 la fianiata ardire.


.
.

ms. ha

fa che

in

201
Ai Fortuna
8
!

perch da

tal

piacere
?

lontani me, da poi che tu lo sai

Dime Fortuna, dime

fera cosa,

deb' io sperar di riv[e]derla ancora ? che se '1 sperasse, quel dol che 'n mi posa

14

che pi non ve faria dimora perch da lei son si aceso ognora che '1 bello aspeto mi tol ogni guai.i
forsi
:

LII.

L'aspeto vostro, don', mio conforto, mio caro spechio '1 vostro viso acorto. Prima ve tegno nobel posessora, a vui son dato servo non diviso vui sete quela che '1 mio cor adora, fiorita rosa nata in paradiso ven a me dal vostro benigno riso
;
:

en gran

leticia el vostro diporto.^

LUI.

La mala lengua

[] d'ogni mal radice, bench '1 mal torni spesso a chi mal dice. Per bel a zascun chiuder la boca, cercando in prima i suoi che gli altru' danni che biasmando altrui quel eh' a lui toca conven che per s steso [se] condanni e tal soto color de boni inganni La mala lengua parla che pi [a] tacer seria felice. Pensa zascun che de invidia se mova l'animo acceso del mal dir d'altrui, vilt porta nel core e zo fa prova
; : ;

ecc.

etc

ms. ha v. ms. ha V. ^ Il ms. ha V. move, II la prova. canza di tre versi


1

II

5 i

o,

che pu essere
7 virante.

i'

ne

8 lontamine.

II

2 nobele,
i

Dopo
(in
-

mala, 4 danipni, 6 condampni, 7 ingani, 9 il v. 11 segnata con un etc. la manui,


-

ui,

ice)

compimento

della stanza.

202

LIV.
Ochi, pianzeti, e
tu,

cor tribulato,

da poi che

me convene

dolorose pene dona regale eser privato. Pianzete tanto che venga pietate per l'universo a zascuna persona, poi che la dona de gran nobiltate

cum
da

la

me voi privar de soto soa corona de tanta fama soa che '1 mondo sona me voi pur lontanare
; :

pianzere e lagrimare
[or

convene

a]

mi

tristo e sagurato.

Ochi pianzeti etc*

LV.
Coni lagreme sospiro per greve dolia ch'ai cor[e] me sento; morir descontento se '1 vostr' amor non , el qual desiro.
Io

me
che

sento partire
[la]

l'alma dal corpo per

pena

assai

me

fate sentire,
:

partir

unde piango con dolorosi guai non voria mai


lontan dal vostro aspeto

amoroso, constreto, se '1 vostr'amor non


1

, el

qual desiro.
nobilitate,

Con lagreme

etc.^

II

ms. ha

V. 3 et

cum,

11 piangete

e lagri-

mate.
2 II ms. ha V. 2 pre, 5 sceinto, 6 lanima da laninia dal corpo oper pena say, io lontano : ma questo dovrebbe essere un v. endecasillabo per racconcerei cosi tutta la volta:
;

Partir non voria mai lontano dal vostro amoroso aspeto


[a

morir son] constreto


'1

se

vostro

amor non

, el

qual desiro.

203

LVI.
Cuni doiosi martiri el mio cor[e] tormenta

romagno descontenta, signor mio caro, del vostro


De,

partire.

me

lassa

eh' io fui

quasi, dolze signor mio,

tradita

per che prima vui non me dicesti de vostra se non che la fiorita vostra faza i' no vedi
[e]

partita,

r amorose sedi

son desertate con crudel sospire.'

LVII.
Piango '1 partire et l'andar mi conforta che '1 tornar tosto fia con gran scorta. Non forza nel falir to zascun guida pur non ho ma per te el mal si che dolia potr morire che tal invidia si gran torto porto
ms. dopo
la ripresa

II

segue cosi

Avemandare

io

ro-

magno sconsolatamente

foy quasi dol^e signor mio tradita ecc., dove manifestamente si sono intramesse parole che non dovevano essere nel testo primitivo della ballata, la quale regolare cosi com' io 1' ho ridotta. Molto probabilmente le parole Avematidare (o meglio A ! ve n'andate, oppure Voi ve n'andate) e io romagno sconsolatamente rappresentano il principio della i^ stanza, che il compilatore del repertorio non sapendone altro lasci, trapassando alla 2.', che sarebbe la sola conservata. L' emendazione del v. 5 mi par necessaria per il
che
lasay chio

me

senso. Inoltre al v. 9 il ms. \\?i ferita, al v. 11 sede e al v. 12 son degerate, dove io non so indovinare altre migliori lezioni da quelle in fuori che ho poste nel testo.

204
et

che r inteleto sempre 1' alma fida ferma pi sar nel servire etc.i

LVIII.

De
el

sospirar sovente

constreto so' vegiendo per sembiante


cor che te consente
i

ochi toi vaga ad altro amante. Recever questo ingano la mente mia convien ch'ognior sospiri, non trovando a Tafano remedio algum, tanto son martiri et da s n'un gire che nel pensier me par aver falato, ma pur se so' mertato pizat'omai farmi chiara la mente.
volgier
i
;

LIX.

Amor che m'i che me convien


!

conduta
partri

in

1'

ultim' ora,

e con gravi sospiri

senza speranza mia vita demora. Quanto sera amara et angososa la dispartnza mia Con gli ochi basi e la mente pensosa
!

paser per la via, poi che Furtuna ispietata e


1

ria

vv. 3 e segg. potrebbero restaurarsi cos

Non ho

conforto alcun del to

fai ire,
;

pur non ho mai per te alcun conforto si che de dolia mi potr morire che tal invidia a si gran torto porto che 'n r inteleto senpre l'alma fida, e ferma pi sar nel servir scorta.
2
II

sta ballatina

ms. ha V. 7 afa7ino, io /alito, ii ineritalo. Si cfr. quecon quella che com. Donna, l' altrui mirar che fate
cit.,

porgie, pubbl. dal Ferrari, Bibl.

voi.

I,

p.

361.

205
mi voi dar penitenza non so per che fallenza contanta pena i' porto a ciascun'ora. 12 Io non m'alegro tardi n per tenpo
zamai in vita mia, da poi ch'i' perduto
el

Amor! che m'i

ecc.

20

el dolze tenpo aver solea piango e sospiro la note e la dia tuo viso anzelicato el pensier m' falato, Amor! che m'i ecc. n te n altri posso aver ancora. 1

qual

io

Il

motivo dominante

in tutte cotesto ballate dei pi fre-

quenti nella nostra vecchia poesia popolare e letteraria, ed


pur vivo nei canti del popolo nostro presente
:

la

separa-

zione dalla persona amata, avvenga essa per deliberato volere o per

vicende di vita e di fortuna, sempre una forte


;

cagione di dolore agli animi

e naturale lo sfogo, che oc-

cupa

di s tutte le poesie di partenza.

In queste nostre

non

sono da fare osservazioni di grande importanza, poich la singoli individui posfamiglia troppo numerosa perch
i

sano meritare speciale considerazione

nella ballata LI
la

un

uomo che
la

si

lamenta della separazione, grida contro


la

For-

tuna e avanza timidamente

speranza di rivedere un giorno


si

donna

nella

LIV

il

poeta

volge agli occhi,

invitanregale,
;

doli a pianger seco la separazione voluta dalla

donna

sovrana dei cuori, che porta corona di bellezza e


nella

di pregio

LV

sono lagrime e sospiri per


;

la

lontananza dall'in-

namorata

nella

LVI parla invece


le
i

la

donna, tradita dall'uomo


di

che innamorandola non

aveva detto

dover partire

nella

LVII

la

cosa pi notevole sono

guasti della lezione,


sei versi,

poi-

ch a una ripresa distica seguitano


costituire
sufficiente a

che dovrebbero

una stanza, ma non presentano alcun ordine di rime uno schema regolare; la LVIII il lamento d'un uomo, perch la donna lo ha lasciato per un altro amante.
1 II ms. ha V. ii fallmtga, 13 mi nalegro, iS El tuo. Nel codice trevisano (Gian, p. 48) si ha una redazione pi ampia di questa stessa ballata, con due stanze di pi dopo la prima del nostro repertorio, ma senza l' ultima Io non m'alegro ecc.

206
ed frammento d'un pi ampio componimento, un contrasi legge compiuto in altre raccolte,^ ma anche cosi frammentario meritevole d'attenzione, perch le varianti
;

sto che

mostrano che queste poesie erano trascritte a memoria e la LIX, piena delle solite querimonie d'un amante contro la
Fortuna che gli ha dato si forte colpo e lo costringe a partire senza speranza di veder mai pi il viso angelicato della sua donna, anch'essa una nuova prova della trasmissione
orale di questi canti

poich si legge con molte variet in un altro codice del Quattrocento, con due stanze in pi e mancante della seconda del nostro testo; - e anche notevole perch certe rime dell'una e dell'altra redazione par:

rebbero accennare un'origine meridionale ^ dico parrebbero, perch non ignoro, che molte di coteste forme napoletane
;

e siciliane erano divenute ormai di uso generale nella lingua

poetica italiana sino dal Dugento.

Dopo
di cui

lamenti di partenza

viene

quest'altra ballatina

ho riscontrata la lezione con un testo toscano, dov' musicata con molte altre consimili poesie
:

LX.
Dona,
la

mente mia

si

'nvaghita
la

del tuo zentil aspeto


ch'altro dileto

non
el

mia

vita.

Io

guardo

gli ati beli

e honesti e vag[h]i
;

che contentano
no' cosa
al

cor sol de vedere

mondo che

pi mi appaghi
:

che mirar te, n cheggio altro piacere per e' ha de vert tanto potere la tua somma bontade sempre Amor me 'nvita.-^ ch'a onestade

ball, citato in

Carducci, Cani, e ball., n. CHI. Il primo verso di questa un codice di laudi (cfr. Alvisi, Canz. antiche,

p. 88).
2 3 *
^

Vedasi la nota a p. 205. Per es. partivi: sospiri; mia: solia: dia;

alcidi

vidi.

Gaspary,

185 e segg. nel Panciatichiano 26, che la reca con qualche variante
op. cit., p.

207

Dopo
tro

tante e cosi varie dolcezze

d'amore un grido
altre,

di

vituperio risuona nel nostro repertorio^ con un'invettiva con-

una vecchia,

alla

quale ne aggiunger due


Il

traen-

dole dalle ultime carte del manoscritto.


chie antico nella nostra poesia: gi

fastidio delle vec-

Guido

Guinizelli, l'ari-

stocratico cavaliere e poeta bolognese, lasci


lismi di cui fu maestro a

da parte

g' idea-

Dante ed

agli altri fiorentini,


di

per

inveire contro una vecchia, forse, agli occhi suoi

facile
:

amatore, colpevole di far troppo buona guardia alle figliuole


Volvol te levi, vecchia rabbiosa, e sturbigon te fera in su la testa perch dimori in te tanto nascosa che non te vene a ancider la tempesta
;

Dal
sto

cielo,

continuava messer Guido, dovrebbe piombar pre-

una

saetta a incenerirti, e sarebbe

una gran
i

festa per

me
ma

che tu

morissi

gli

avoltoi e

nibbi e

corvi
ti

dovrebbero

mover lamento

all'alto dio
si

sovrano che
tra

lor
gli

rendesse;

forse n pur essi

curano d'averti
le

unghioni tanto

sono dure e sugose


per

tue carni, e per resti quaggi a mia

disperazione/ Rustico di Filippo, popolano fiorentino e poeta


i

tempi suoi novissimo e singolare, se

la pigli anch'egli
le

con una bugieressa vecchia puzzolente, gridandole


strane co se
;

pi

Dovunque

vai

con teco porti

il

ciesso

....

in ver lo tuo fragor tant' repente

che par che s'apran mille monimenta, quand'apri il ciefFo in corpo credo figlienti le volpe, tal lezzo n'escte fuor, sozza giomenta.^
(B) dal testo del nostro repertorio (A)
2
:

Donna

B, si vagita

A,

gentil aspetto B, 3 diletto Bj 4 atti belgle onesti B, 5 contenmi piaqua A, ne cosai tnondo so che tali ... rfz B, 6 nonn e
, . .

pili

podere B, mapaghi B, 7 remirar te ne domando A, 8 di m'invita B. 9 sonma A, biltade B, io che hon. 1 Ritne dei poeti bolognesi del sec. XIII; Bologna 1881, p. 42. 2 A. D'Ancona e D. Comparetti, Antiche rime volgari,
.
.

voi.

V, p. 227.

2o8

Cecco AngioHeri,

il

senese umorista contemporaneo di

Dante, come avanz


a

gli altri poeti antichi nel


il

rimare burle-

scamente, cosi anche per


tutti
;

tema

delle vecchie

and innanzi

e tre sonetti gli


il

si

attribuiscono su tale argomento.^

Graziosissimo

primo, e degno veramente che l'imitasse,


il

trasferendone l'invenzione alla figura d'una giovine,

primo
per

amico dell'Alighieri

^
;

meritevole d'esser qui


:

riletto,

alleggerire la noia di queste nostre ricerche

De

giiata, Ciampol, ben questa vecchiuzza com'ella ben diversamente vizza,


!

e quel che par quand'un poco si rizza e come coralmente viene in puzza
;

e com'a punto sembra una bertuzza del viso e delle spalle e di fattizza, e quando
la

miriam come s'adizza


:

e travolge e digrigna la beccuzza

che non dovresti

si

forte sentire

d' ira, d'angoscia, d'affanno o d'amore, che non dovessi molto rallegrarti, veggendo lei che fa maravigliarti, si che per poco non ti fa perire gli spiriti amorosi nello core.^

Ma

gli altri

due sonetti sono

assai

meno

vivaci

gi

si

pu dubitare se sieno proprio dell'Angiolieri, perch costituiscono una tenzone, e uno almeno dovrebbe esser d'altro

poeta che rispondesse per

le

rime a una proposta burlesca.^

Singolare per altro in questi due sonetti l'abbondanza di


parole che rispondono in rima al nome vecchia, come appunto in una delle ballate del nostro repertorio (LXI, 39 e segg.j. Nel sonetto di proposta Fautore si lamenta della ma-

A, XIX,
2

C. e LuD. Frati, Indice delle carie di Pietro Bilancioni, 41, 99, 174. [Si veda ora l'ediz. dei Sonetti di C. Ang.

a cura di A. F.
P.

Massera

Bologna 1896].
e le sue

Ercole, Guido Cavalcanti

rime ; Livorno 1885,


cfr.

pp. 146-1513 Cod. chigiano L, Vili, 305, n. 339;


*

A. D'Ancona,

Studi di critica e storia letteraria; Bologna 18S0, p. 176.

Cod. chig., nn. 527 e 528.

2og
lizia d'

una vecchia, con

la

quale ha che

fare,

si

duole

che

sia

prosperosa e lesta e sappia conoscer ci


il

ch'uovi va

pensando: da che indurrei che

motivo all'invettiva fosse

anche

in questo caso la
;

alle figliuole

e in ci

buona guardia che la vecchia faceva mi conferma la risposta in questa


:

l'ignoto rimatore dice all'amico clie vorrebbe mandargli in

una secchia
tra la

il

sangue

di quella

vecchia sperta, simile ad un'allui

quale non lascia mai vedere a


Il

la

sua donna:

viso atecchia quand'

i'

vo guardando

e sol dov'io sia


idio

si

lieva la testa:

non teme e men la sepultura. anni e mesi vie pi che le mura


li

del Culiseo, e va ad ogni festa,

veleno e fuoco per


In questi sonetti, dai quali

occhi gittando.

il

motivo delle ingiurie


la

alle
*

vecchie pass a traverso


sino al Berni, noi

rimatori del Tre e Quattrocento


la

abbiamo

ragione per

quale anche
trattate

nella nostra poesia popolare le vecchie

sono

tanto
le

male. Poich, se la fantasia delle genti italiane non


carezza con amorosi pensieri n
d' imagini e di parola,
le raffigura

ac-

con gentilezza

ma

le

prosegue di
fastidiosa
le

satire

amare e punla

genti e ne vede solo la parte

increscevole,

ragione sempre

la stessa:

che

buone

mamme,

spesso
;

non ignare
e
il
i

del male, fanno troppo vigile guardia alle figliuole

sempre pronti a dir corna di chi impedisce loro cammino, se n'adirano e metton mano agli strali. Quando
poeti,

sar fatta, e sarebbe ora che alcuno vi

pensasse,

la

storia

della nostra poesia popolare antica e saranno ricostruiti sui

non

scarsi avanzi

cicli,

per dir cosi,


inventrice

nei

quali

le

nostre

plebi esplicarono la loro

fantasia,

nell'immenso
io credo, suo-

numero

delle poesie relative alla


alla

donna poche,
;

neranno lode
d'irriverenza.

veneranda canizie

le

pi

saranno

voci

fra queste, irriverentissime le tre ballate del

nn.

Si vedano le ballate pubblicate dal Carducci, CLXVIII, CLXXX, CLXXXIII (Franco Sacchetti), e
'

op.
il

cit.,

madri-

gale

CCCVII

(Alesso Donati).

Casini, Studi di poesia antica.

14.

2IO
nostro
fuori,

repertorio, le quali

pur non devono esser

lasciate

poich nella loro grossolanit e laidezza


caratteristici del

sono docu-

menti assai

sentimento e dell'arte popolare.

La

ballata
il

LXI

ci

stata conservata
II,
ti,

anche da un altro
che appartiene di
di

manoscritto,

magliabechiano

6i,

certo al secolo
sto

XIV
;

e ci attesta cosi dell'antichit


il

que-

componimento corrono, come a la

quale anche per certe voci che v'oc-

celata, in segreto,

nascostamente, riialda
la

nel senso di maliziosa (che dal frane, renai'd,

volpe),

e paiarina in senso ingiurioso generico,^ potrebbe


principi di quel secolo, che pi tardi coteste voci

risalire ai

vettero essere usuali. Di tale antichit sarebbe


trascurabile
il

indizio

non donon
le

fatto

che in ognuno dei due


le stesse

m anoscritti
lungo

stanze non sono tutte

n sono disposte nel medeesser corsa a


tra le

simo ordine
dimostra
genti per

il

qual perturbamento e smarrimento di parti

che

la

poesia doveva

prima di esser fermata sulle carte. Oltre la ripresa, i due codici hanno comuni sette stanze, e ciascuno n'ha una (7* nel repertorio, S'* nel magliabechiano II, II, 61) in pi, che non nell'altro; l'ordine poi delle parti comuni tale che le stanze 1-6 e 8 del repertorio sono I, 4, 2, 3, 7, 5, 6 del magliabechiano II, 11, 61. A ristabilire l'ordine primitivo non pu essere altra guida che il senso ma trattandosi d'una serie d'ingiurie collegate da un tenuissimo filo narrativo e atteggiate spesso in esclamazioni difficile, per non dire impossibile, fermare qual sia lo sviluppo logico del componimento. Ad ogni modo, io lo ridurrei cosi trasmissione orale,
:
:

Il

nome

patavino

fu

dato specialmente nel secolo XIII


;

ai

seguaci di una setta religiosa poi nel secolo XIV prese un senso generico ingiurioso, sul quale da cfr. G. Garampi, Memorie delta b. Chiara di Riinini; Roma 1755, pp. 33-34 e 170.
* Tengo a fondamento la lezione del repertorio (A), correggendo e compiendo con quella del magliabechiano II, n, 61 (B), dove la ballata a e. 97 (5/ cfr. A. Bartoli, I manoscritti ita-

liani della Bibl,

Nazion. di Fir.; Firenze 1881, voi.

II,

p.

104.

21

LXI.

La vecchia d'amor m' biasemata


2

non pasar per

la

mia centrata.
scarfalda
;

La vechiarda

rinalda,

m'aguarda quando [tu] m'adochi mal fugarda, rutarda, bifarda, musarda, che volto e che ochi
!

Perch m'i cosi incolpata,


8

Con

fiammore, sopra [de] mi stride si ch'ognora vanore, temore, dolore, ben par che m'ocide et me tanto lagniata
tremore,
;

crudel vechia rinigata ardore, furore,

14

20

eh' i' son tucta sfigurata. Biastemando, lagnando, saltando, giostrando, d'intorno travasa; [e] butando, minando, runpando, spezando per tuta la casa et dice che m' trovata con uom stare a la celata.
;

S'

i'

t'

apelo,

fratelo
ella

per quelo el cuor

mio belo, mi rinpogna


;

felo,

miselo,

rubelo,

or ve' lo pian d'ogni menzogna: dice che so' svergognata,

26

poi ch'i' ebi sua brigata.

Ogni male
sia tale

avale sopra a

la

mortale sua testa

et [or] vale,
ti

non

vale,
:

che

l'ale

cale

tanto se' molesta

taci e c'or fost abrusciata,

32

soza vechia scortigata.


[O] gotosa,
gri[n]tosa,

malosa,

noiosa,
ti

ogne male
gavosa,
di

vegna

invidiosa,

gri[n]tosa,

noiosa,

mal

dir sei pregna.

38

Ancor non se' gastigata di chiamarme innamorata


Coni morsechia
l'orecha,

una vechia

212
stortechia
la bertechia
si

scannechia crudel vechia rinigata,


44
tu sarai la

mette per gioia ingordechia smordechia, e la par una troia


;
:

mal trovata.
fatiga
far liga
;

gran briga,
co' striga

e sbirfa indovina
l'antiga
di

no'

miga

mia amiga,
:

ch' ispiga

bona vicina

ma
50

tu,

vecchia, se' sempre stata

patarina in est contrata.

sannuta,
spaluta,
[o] barbuta,

dentuta,

grahuta,
fai
;

gran noia mi
berruta,
tu

grognuta,
:

gozuta,

mal

ci

starai

io so' si amaistrata

56
1

che tu rimarrai scornata.'


Varianti dei mss.
:

vecchia

biasim. B, 2 passar
.

con-

trada B, 3 vecchiarda ribalda scalfarda B, 4 mi sguarda chi B, quanto A, 5 sangarda A, notarda bef. B, 6 volta
.

adocB, se

A, 8 vecchia rineg. B, 9 Chon ardor furor fiainor B, comordore fianm. A, io tremor sovra B, II ongnor pavor dolor B, tremore A, 12 timor ancide B, 13 ed am.mi tanto langnata B, 14 tutta isfig. B, 15 Bestemmiando B, 16 per luto trav. A, 17 butt. men. ropando B, 18 ispeta ben guardata B, 20 e sa ben zatido per tutta B, 19 dice che eh i son sviata B, uomo A, 21 Si t'apello frade Ilo mio bello B, nio belo manca A, 22 perch ti faveto A, o feretto per quello ella mi ranp. B, 23 eli a AB, fello misello rivello B, faveto ma fella rubelo A, 24 or ve' lo manca B, pien di mesongna B, 25 et dice A, dicie eh i son sverg. B, 26 io abbi B, 27 Ongni B, avale manca in A, 28 sia tale or vale A, sovra sua t. B, 29 e vale B, 30 ancor se mot. A, 31 tagi chor B, 32 vecchia disperata B, 34 venga A, 36 senpugna A, 39 Comorsichia A, Cho morsecchia lorecchia una vecchia B, 40 tortecchia saliga per gioia B, stortichia A, 41 e sniordecchia e scandecchia rotenchia B, 42 e scannecchia ella par B, tortichia eia par una toxa A, 43-44 lunga curva ed agrifizata contrafatta e divisata B, 45 EU e B, 49 mattu B, 50 erroneamente si 1. patavina nel cit. Catalogo del Bartoli II, 105, 51 O manca in A, sannuda dentuda zonbuda B, 52 ispalluda B, 53 barbuda berruda grongnuda B, grongnota A, 54 gotzuda E, gogota A, 55 eh i son ben si amaestr. B, 56 chettu rienarrai iscorn. B, ne rinnaray A.
volto

A, occhi B,

7 stncolpata

213

Vediamo un
critici elle si

po' d' intendere, e

non facciamo come quei

contentan di leggere, se pur riescono almeno

a questo.
la

L' invettiva in

quale parla all'innamorato e

bocca d'una donna, certo giovine, si sfoga con lui per i mal;

trattamenti, o meglio per la stretta vigilanza d'una vecchia

non dico
flessibile,

della madre, perch le madri finiscono per lo pi


in-

chiudendo almeno un occhio, e questa vecchia invece


rigidissima sino a esser dispettosa
:

sar probabil-

mente una suocera, o, meglio ancora, una matrigna. Fermato possiamo spiegare press'a poco cosi La vecchia mi biasima, perch io faccio all'amore; dunque, mio caro, non passar pi per la mia contrada (vv. 1-2). La vecchiaccia maliziosa, cattiva mi guarda fieramente allorch tu mi dai
ci,
:

un'occhiata; quant' incresciosa, scostumata, beffarda, scioperata


!

e che volto stralunato e che occhi

biechi

Crude

vecchia rinnegata, perch mi hai tu accusata in


(vv.
3-8).

tal

modo

Mi grida addosso con parole


si
il

ardenti, furiose, im-

petuose, rabbiose,

che ogni momento mi par di morire


dolore; e mi ha tanto stra(vv.

per l'avvilimento e la paura e


ziata ch'io

ho perduto

il

mio

solito aspetto

9-14).
di

Bedi

stemmiando, rimproverando, saltando, andando


l

qua e

corre per ogni parte, e per tutta la casa butta all'aria le


si

robe,
le

trascina dietro gli oggetti,

rompe

e spezza ci che
dice,

viene alle mani; e tutto questo perch,

m'ha
Se

troio
ti

vata a parlar di nascosto con un

uomo

(vv. 15-20).

chiamo, mio bell'amico,


te:
e,

ella

mi rampogna perch parlo con


dice

essa

ha

il

cuore malvagio, incapace d'amare, insensibile,


di

tu lo vedi, pieno

menzogna

che

io

sono una

svergognata, da quando sono entrata in casa sua (vv. 21-26).

Ogni male peggiore diventi ora tale per lei e valga o no, mi auguro che ti possan calar le ali, che tu possa morire, tanto sei molesta: stai zitta una volta, che tu possa esser bru;

io

ciata viva, sozza vecchia scorticata (vv.

27-32).

gottosa,

venga ogni peggior male invidiosa, scrofolosa, uggiosa, noiosa, sei pregna di maldicenza non sei ancora punita di chiamarmi innamorata ?
piena di mali,
;

fastidiosa,

uggiosa,

ti

(vv. 33-38).

Quando s'adorna

gli orecchi, si

mette per gioiello

214
un vecchio
tortiglione
:

quella scimmiaccia ingorda morsica


i

sguaiatamente, e digrigna

crudel vecchia rinnegata, tu andrai a

sembra una troia male (vv. 39-44). una gran briga e fatica aver che fare con strega e indovina non mica cosi la mia vecchia amica, che un moma tu, vecchia, sei sempre stata didello di buona vicina sprezzata da tutti in questa contrada, come una patarina (w. 45-50), Tu che hai lunghe zanne e gran denti, e le gambe storte e sei tutta spalle, mi fai gran noia tu che hai la barba e il grugno e il gozzo, non starai molto al mondo.
denti
si

ch'ella
finir

Io invece sono cosi furba che, riuscendo a far all'amore di

nascosto,
io

ti

far rimanere svergognata (vv.


^

51-56).

Cosi

intendo questa singoiar poesia:

n credo d'aver colto

1 Raccolgo qui in nota alcuni appunti lessicali, quasi per dar ragione della mia esegesi ma non pretendo d'aver tutto veduto Aguardare, vb. cui risponde in B n tutto inteso a dovere. sguardare, di pari significato, cio guardare con molta attenzione,
;

ha pochi esempi nella lingua antica ricordo, come testo antichissimo e sicuramente spettante al sec. XIII, il Bestiario moralizzato tratto da un hs. eugubino del sec. XIV dal prof. G. MazZATiNTi (Roma, 18S9), dove del calandro detto (son. 39, vv. 3-4):
:

Che, se l'omo dea essere guarito, aguardalo de bona voluntade;

berruta, agg., forma attestata da

ambedue
il

codd.,

affine

forse a birro col senso cattivo, che

ha anche

nei dialetti dell' Italia

superiore,

per sfacciata,

femm. sbrra donna di rotti


senso dispre-

costumi
giativo

bertechia,

nome,

affine a bertuccia e in

bertuzza nel sonetto gi cit. dell'Angiolieri), o a bercelata, nome, nascontone, che vuol dire adultero, drudo diglio, frequente nelle poesie antiche parlandosi dei convegni
(cf.
;

d'amore

(cfr.

Odo

delle

Colonne
; :

in

D'Ancona

Comparetti,

Ant. rime volg., n. XXVI, 26 quatido in'avia in cielato ; Rinaldo d'Aquino, ivi, n. XXXII, 47 e in cielata tenuta), ed da celare, che in senso di nascondere pur del linguaggio poetico (cfr. Carducci, Cant. e ball., XXIV, 17); fiammore, nome, foggiato su fiamma, come ardore, bruciore, fervore ecc. sui corrigavosa, agg., pu spondenti verbi, qui nel senso traslato; essere dal fr. gave, gozzo, e sarebbe sinonimo di gozzuta; ma mi pare pi tosto da riconnettere con gavo (cfr. dimin. gavc-

215 sempre nel segno, anzi sar lieto che altri pi ingegnoso o pi fortunato veda pi chiaramente dove io ho guardato con poca luce. N altro ho da dire intorno alla ballata LXI se non che merita attenzione anche per talune singolarit metriche: le stanze sono tutte regolarissime, e hanno tutte la
volta formata di due ottonari,
si

che

per

analogia voluta

dolo, e

il

che gavinosa; andar di qua e


Malrn., Vili,
alcuni da

derivato gavigna e gavina), onde sarebbe lo stesso giostrando , il vb. giostrare ha il significato di

Firenzuola, Lucid., IV, 3 Lippi, grabuta, agg., vorrebbe dire uno che resta ingarbugliato, se fosse affine a garbuglio, derivato secondo
di l
:

cfr.

i,

ecc.;

dei

una due codd.

rad.
c'

garb
p.

grab

(cfr. \.&Q.sco

grabeiij

ma

in

uno
di

invece zembuda (in un volgarizzamento


114,

zembuto traduce il lat. struma), che avrebbe pi veramente il senso di deforme per le gambe grinlunghe e storte, ingiuria solita ad affibbiarsi alle donne grognuta, da grugno, il tosa, agg. da gritita, viso arcigno grifo del porco, e figuratamente il volto dispettoso, imbronciato ingordechia, agg., da ingurdicula, diminutivo dispregiativo ispiga, nome, pu essere per spica o per spicchio, dJingurda; due nomi che possono ben trarsi al senso figurato di esempio^ lagnando, lagniata, voci del vb. laniare nel modello ecc. nmlfugarda, espressenso traslato di straziare coi rimproveri sione che mi sembra significare persona o cosa che induce in altri la repugnanza, corrispondente al nostro incresciosa, fastidiosa ; ma non so che ve n'abbia altri esempi nella lingua ital. malosa, agg., come malotico, in senso fisico, o come maligno misello, agg., dal lat. misellus, ma dal senso in senso morale;
Boezio, ed. Milanesi,
;

dell'ant. misero, privo d'ogni cosa, tratto a quello di privo di senti-

mento, incapace d'amare, freddo


morsichiare, che
si

morsechia, voce del vb.


le

trova nelle antiche poesie popolari in senso pro:

prio (Alvisi, Canz. ani., p. 50

Gli vidi morsecchiar


l'

carni e

l'osso); e qui invece vale quasi accarezzare, tratta

imagine dai
:

cani e dai gatti che cosi soglion fare per grattarsi gli orecchi potrebbe anche essere nome derivato da morsa {mordeccia nei
dialetti dell' Italia superiore lo

stromento con cui

si

stringe

il

labbro superiore

al

cavallo perch stia fermo), e significare gli


;

orecchini, in quanto stringono gli orecchi

ma
;

allora sarebbe

da

leggere

morsechia [a] l'orechia, e quest' necessario pel musarda, agg., senso, non ammissibile per ragione metrica il femm. di musardo (frane, ynusart), che i lessici spiegano per

Cam

2l6
dalle leggi costantemente osservate

dai

nostri
i

antichi
della

parri-

rebbe che fossero da ridurre a


presa, leggendoli:

tal

misura

versi

La vechia m' biasimata non passar per la centrata.


:

un son. di Guelfo TaA, XIX, 38) Cecco Angiolier, tu mi patavina, agg. che insieme con riinegato par un niusardo ; (cfr. vv. 8 e 43) ricorre anche nel Pulci {Morg., XXVII, 8) ma
ozioso, perdigiorno ecc. e che trovo in
viani (Frati, Indice
cit.,
:

non senza l'idea religiosa [cfr. addietro, a p. 210]; rida cfr. col fr, renard: credo correzione di trascrittore, che non capi, il ribalda di B, anche perch la rima ci rirutarda, agg., foggiato chiama piuttosto a una forma rinarda forse per necessit di rima, sul nome rutto, onde venne ruttaforse

nalda, agg.

tore che nella lingua antica significa pi genericamente

scostu-

mato, indecente (cfr. Boccaccio, Comni. a Dante, I, 372); sannuta, agg. del nome sanno (cfr. Dante, Ip/., XXI, 122); sbirfa parola da riavvicinare a sbirciare e a sberciare, e pare indicare qualche cosa come losca, di sinistro augurio ma non scannecchia, vb., trovo riscontri che la dichiarino meglio; formato sul nome scanna per sanna (cfr. Dante, Inf., XXXIII, 35, scane per sanne), nel senso di battere o digrignare i denti
:

da scarfare, vb. dei dialetti meridionali, da excalefacere, scaldare (cfr. scalf un novo in Cielo dal Camo,
scarfalda, agg.,
str.

29),

epiteto spiegato dalla frase napoletana

moderna

vec-

chia scarfata, cio schifosa, puzzolente,


di riscaldato

come

cibi

che sanno

in un processo modenese del un prete di Camurana che da un ragazzo fece dire a una donna vecchia scanfarda e vecchia cogliona et altre parole ignominiose cfr. G. Spinelli, La fiera di Bruino; Modena 1912, p. 15 e forse qui c' un'eco, non solo della parola,

[aggiungo ora che

161

si

parla di

ma
la

di tutta la canzone]; sfigurata: il vb. .y/-?-;-ard? vale perdere cfr. Bernardo da Bologna in propria figura, sciuparsi ecc.
:

che sfigurio di sue belle parute ; smordecchia, vb. composto, da niordecchiare affine a morsecchiare spaluta, agg., che ha spalle difettose e acute, (vedi sopra)
dei poeti boi., p. 141
:
;

Rime

{In/., XXI, 34); - stortechia, nome, travasa, potrebbe estortiglione o gioiello formato a nastro;

come

il

diavolo di Dante

sere alterazione della forma trapasa da trapassare, secondo la ma meglio s' intende da travasare, il cui flessione lombarda

sepso chiaro vanore, nome formato suU'agg. vano, con senso di avvilimento, prostrazione d'animo ecc.
;

il

2 17

Le mutazioni poi sono formate in modo assai singolare, constando ciascuna d'un decasillabo e di un novenario, quello con una cesura dopo la quarta e la settima sillaba, questo
con una cesura dopo la terza: le quali pause si ottengono per mezzo di rime interne (due nell'endecasillabo, una nel novenario) che sono rispondenti alla parola finale del primo verso. Quest'uso delle rime interne, gi in gran voga sino
alla fine del secolo

XIII nei sonetti,^ nelle ballate raro,


^
;

ma quando
io

occorre limitato a una rima interna per verso

e di ballate che abbiano in

un verso pi d'una rima


:

interna,

non conosco

altro

esempio che questo

altra ragione

per

chi volesse riportar la ballata

LXI

ai principi del

Trecento,

quando l'abuso

delle rime

interne,

almeno

in

altre

forme

metriche, era ancora recente.

La seconda

invettiva contro la vecchia jd chiara e di

facile intelligenza:

parla in essa

il

giovine innamorato, con


il

un linguaggio pi temperato,
per
il

sotto

quale non celato

proposito di riuscire a eludere la vigilanza esercitata

intorno alla ragazza.

Sembra anche questa una


secondo verso
alla

ballata,

d'una

sola stanza, la quale ripete con singolare coincidenza la rima


finale della ripresa nel

di ciascuna

mutazione

e poi certamente guasta nel terzo verso delia stanza che

non
in-

risponde,

come dovrebbe,

rima del primo, e ripete


far dubitare, a

vece quella finale della ripresa: e cosi n' venuta fuori una
serie di versi
vista,

monorimi che potrebbero


si

prima

se proprio

tratti

d'una ballata.

LXII.

Do, mala vechia, lo mal fuogo l'arda, lo mal nimigo te possa portare Tu teni la ma dona si celata che a poco a poco me fa' consumare
!

L.

BiADENE, Morfol. del sonetto


es.

ital.,

p.

90-91.

Per

nelle ballate L, LI,


e ball, di

LXXI, LXXXVIII, CU, CVI


G. Carducci.

della raccolta di Cantil.

2l8
fa

bona varda
al to

si

tu la sa' fare,
la vo'

che
fa
8.

dispeto te
si

involare

bona varda che per amor

tu la sa' fare

eia

convien basare.

Pi cruda di linguaggio, e piena di pensieri e d'imagini


scurrili la terza,

che per questo appunto sembra pi viva:

mente

plebea delle precedenti

LXIII.

Laida vecchia stomegosa, maledeta se' tu ogni ora, che in del mondo ni de fora non fo mai si mala cosa.

Quanto tu sei brutta e ria dir non posso a parte a


de bruteze tu
sei dia,

parte,

d'ogni vicio tu sai l'arte volgendo pur lodarte com posso e tu sei degna, comenzando da la tegna
;

mo

12

dico che tu sei tignosa.

De

la copa vien la marza, che te colla zo del capo, la codegna te se squarza si che '1 fa parer un napo e non voglio dir un napo,

ma
2o

el

se inpliria le sechie

con quel che e[sce] da l'orechie, che te fa tutta lodosa.

chi piase aver sonalgi


verdi, zali, grandi e grosi,
si

recolgia quii scarcasi


;

che tu spudi quando tosi par[e] che senpri [tu] fosi o pregara o beroldiera,
28
tanto quella to gorziera de fastiedio copiossa.

Il

ms. ha

V.

2 inimigo,

6 te la convien inv.

219

Tu
i

'

la

niufa d'una alloca,

ochi tuo' par do scalogne,

et te puza pi la bocha che non fa mile carogne una porca quando grogne
;

tu

me

soni a la favela

brutta vecchia, laida, fela,

36

Dio

te dia vita penosa.

Tu

corno sponga da trincar vin e vinaza


' la golia
;

grisa barba, folta e longa,


la

pi laida petegaza
;

non se truova n arzoalda


morta
sei'

44

da pietra salda, corno cagna rabiosa. Chi guarda el to bel volto cun le galte adorn' e vage,
tu

me
la

pari

un omo

in volto

barba a quatro page; chi volese aver lumage tu n'' senpre pien lo naso ch'el te posa dar un baso
52

cun

una serpe velenosa.


se truova in villa vallo che tegnise el to letame, non stala de cavallo in che sia tanto letame, non canpo tanto strame che netase el to canale, che pi puzi da nadale che non ol de mazo rosa. Tu ' pelose pi le lache cun le cosse e le zenochie che non n buo' n vache; le s' piene de pedochie, com grani de fenochie:

Non

60

un migliaro
68

ie bagorda ne la to quintana lorda, che non voria mai far posa.

E' te mander un barbiere

cum

rasori e forfesete,

che non faza altro mestiero che tosar quele to tete,

220
e la barba che

ne mete
:

a le to masele granze, c'ha color de meleranze 76

melio dir d'una leprosa. Non lengua in taverna pi canina e pi mordaze,


se la fose in vita eterna
el

conturberia

la

pace

mo, perch ne la fornaze de r inferno se renchiude


le

mal vechie

e le svanzude,

84

tu te seria nascosa.

Nel mal
tuti
i

dir tu te nutrichi,
in foco
;

come salamandra
vicii

son to amici,
ti

la virt in

non loco

ti

piace ogni mal zuoco,

92

a ti piace ogni custume, par che invidia te consume pi che ogni altra invidiosa. El to volto de naranze, tuto pieno de magagne porti quel de dri da nanze dalle spalle a le calcague mo, s'el vien che tu me incagne,
;
:

io te far

cum

nimico,

100

pezo assai che non dico, grama, trista e dolorosa. Lasa star le done honeste con la to lengua perversa e' non credo al mon[do] peste
;

si

feroze e

si

diversa

108

che Dio te dia tal fersa che tu perdi ogni lenguazo, si che tu non faci oltrazo a nisuna vertuosa.
Ballatina

mia lizadra, vane cun tuo' voce ardita fa che quela vechia ladra de mal dir sia [dis]gradita de cantar non far finita
le malici'

e sue bruteze

221
fin

ii6

a tanto che se sveze quela lingua scandolosa.i


la saluta
il

Leggiadra,

come
:

congedo, questa poesia non


al

certamente
tro difficile

pur non nella sua crudezza e volgarit senza

quel colore di realismo che


il

popolo piace. Sarebbe per

alsi-

determinare qualche cosa di precso e di


al

curo intorno

tempo
alla

e alla patria del singolare


ci

componiri-

mento
dal

il

linguaggio, nel quale

stato

conservato,

chiama, vero,

regione padana,
il

ma

se di

Po

sia
le

da cercare
(v.

luogo ove nacque, io

qua o di l non saprei


;

perch

forme, attestateci dalla rima,

come

legna

(v.

ii)

per tigna, scalogna

30) per scalogno (cipolla d'Ascalona)


(v.

sponga

(v.

2,-])

per spugna, lumaghe

49) per

lumache
si

(il

ms. ha lianage, vage, page, dove, da credere che


nunziasse con suono gutturale paghe, vaghe ecc.),

pro-

sono ed
genere,
;

erano proprie dei

dialetti

dell' Italia

superiore,
nell'

in

tanto nel Veneto, per esempio,

quanto

Emilia

se

naranze

(v. ci

93)

ci

fa

pensare

alla regione oltrepadana, alla

cispadana

richiama invece

la

forma meleranze
fratelli gli

(v. 75)

usata
so-

poco prima, e
nalgi o sonagli

di veneto linguaggio
(v.

sembrerebbero quei
scavcsi

21) di cui

sono

(v. 23)

o scavagli del dialetto emiliano [scavare' = sputacchio, con un suffisso che risale a un lat. aculuni). Il criterio linguistico adunque non sufficiente a chiarire la patria di quella ballata, tanto pi poi che sino al Quattrocento troppo pi grande che oggi non sia era la conformit fra i dialetti delle regioni padane e per la maggior parte dei testi dialettali antichi, quando manchino le prove storiche, sogno di fi;

lologi troppo fiduciosi della loro scienza grammaticale e lessicale


il

fermar con certezza a quale

citt

provincia ap-

partengano. La nostra ballata, contentiamoci di questo, un


altro

documento

della letteratura antica dell' Italia superiore

1 II ms. ha V. io posso de tu, 13 te vieii, 15 che la col., 19 che n, 21 piasese, 60 hole, 68 possa, 74. a quale, 83 male, 86 saitnandra, 87 li vidi, 90 despiace, 93 de color de nav., 95 tu porti

quelo de drieto danattzi, 98 cun inim., 115 desveze.

222
e,

quanto

alla

sua
del se

et, se

non
in

forse cosi lontana

come

quella

della vecchiarda (LXI), pur risalir qualche

diecina d'anni
nel

pi
e

addietro
incirca

tempo

cui

fu
la

scritta

repertorio
alla

all'

ne pu porre
perch
ci

composizione
di

del secolo

XIV.

E come documento

met quella letteratura non


modi
della

senza importanza,

attesta

ancor vivi o riviventi


alla simili-

nei pi bassi strati della poesia certi concetti e

pi antica poesia aulica

accenno specialmente

tudine della salamandra (vv. 85-86), appropriata nella ballata alla

vecchia che

si

affina e vive nella

maldicenza, come
;

nel fuoco l'animaluccio che fu infesto a Benvenuto Cellini e sa


tori

ognuno che

di questi studi
si

si

diletta,

quanto

trova.^

ei nostri primi poeti


Dalle invettive contro

compiacessero

di quell'

imagine

le

vecchie risaliamo in pi spira-

bil

aere con alcune ballate d'amore.

LXIV.
El tuo bel viso dolze l'alma mia mi fa languir d'amore, si eh' i' non so che faza e '1 mio cuor sia per te, lizadro fiore. Pi volte t' veduta
star
si

soleta e bela,

poi che a

me

se'

venuta

con
eh'
i'

si

dolze favela,

creduto cogliar la ramela amoroso, che Amor lo piant nel bosco zoioso
di quel fruto

A me

poco iu[n]tan dal core. non vai cantare, n far soave voce, n tanto predicare.
fatto

Ricordo che un simile

ho gi avvertito a proposito

della ball.
2

XVI.
I,

Vita, lib.

cap. 4. Cito questo luogo


105.

come testimonianza

del persistere di certi concetti tradizionali.


3

Gaspary.

op. cit., p.

2 2.

n far de le che a me tu

man
sie'

croce

ben aspra
;

e feroce,

non mi vai cortesia ma io non volio se


eser tuo servidore.
Io

no' tuta via

non
eh'
i'

vo' pi cantare

se no' questa parola,

mi convien zurare

se mai te truovo sola


di farte entrar[e] dentro da la scuola de le done amorose, che san sanar[e] le pene angosose

a chi siente d'amore.

LXV.
Lasa, eh'
i'

son constreta

d'amare un zoveneto, il qual per mio dispeto fuoco d'amor non cura n saeta. Misera sventurata, quante pene mi fa costui sentire,
1

II

ms. ha
la

V.

lanirna, 21

volio.
cit.,

nel codice trevisano (Gian, loc.


in pi

p. 46),

Questa ballata anche dove ha una stanza

dopo

prima

Se alcuna volta branco dei fior che stan de intomo,


e tu

me

volte el fianco,
:

nascondi el viso adomo quando credo aver el pi dolze zorno quelo m' luto fele che tu me sei si aspera e crudele che perdo ogni vigore.
;

E oltre questa stanza in pi, il codice trevisano presenta alcune notevoli varianti, che senza alterare il senso dimostrano che queste poesie si scrivevano a memoria, non esemplandole da altre copie noto tra le varianti trevisane al v. 3 si che ?w?t so che pose al mio cor sia, 6 lizadra e bella, 7 eser da mi venuta, II che sta piantato nel bosco, 12 che sta apreso del core, 13 me non vai pregare, l de braze erose, 18 e non sai cortesia, \<^ che non penso se no'' tuta via, 23 el me conven, 27 le piage penose, 28 che son fate d'amore.
:

224
sol per la crudelt

12

che se ritiene per potermi tradire io voglio a ciascun dire de la sua gran beltade, pu' de la crudeltade ch'ognor mia vita fa pi debeleta.
:

Egli d'alta e nobile statura

con dilicati membra, ziovene vago e de zentil natura, d' un angelo m'asenbra ognora mi rimenbra la sua gracia vermelia
:

co' le polite ciglia,

20

28

la luce che mi mostra amoroseta. Par un falcon[e] quando va per via tanto par avenente, umil, benigno e pien di cortesia, onesto e riverente contenta tucta gente, quest' pi bel che Addamo, e me che tanto l'amo d' un solo sguardo a pena mi dileta. S' i' lui riguardo per esser contenta subito prende sdengno, da me fuzendo pi crudel doventa che dura pietra o legno e di superbia prengno
: ;

mi dice
36

vilania,

fuzendo cortesia, quanto pi posso a lui senza desdeta. Questo crudele di spietato e belo a
ritruova, ballatina
;

pregai che a me non sia cotanto oi me lasa topina


!

felo,

che a
l'esser

la
si

morte m' inchina


forte ingrato.

Poi

44

che in ogni lato se m' ucidese gli ser suzeta.^


di'

II

ms. ha
f),

v. 3 di guai,

amore,

7 solo,

17 rilmenbra

fi

rimembra
dise.

20 amorsceta, 23 humile, 30 dici, 32 desdita, 40 uci-

225

LXVI.
Contenta sei che mora, do, vaga vista, signora mia crudele
tu perdi
4.
'1

pi fidele

servo ch'avesse mai niuna signora.

"

Che zova ne l'amare


eser tanto suzeto

De, non ti consumare per amor , mi fu deto alora el mio conceto


a' libri

Petrarca,
12.

[che]

and d'amor l dove quando disse chi [more] d'amor sua

scrise

vita onora.

Contenta ecc.

Ma

per zerto spero ch'ancora vera tenpo


io
'1

che
dir

tuo animo altiero

20.

Perduto '1 tenpo , dizendo El mio bel tenpo senza cason[e] l'a^o alziso e morto a gran pecato e torto, perch rechiesa fui senpre ognora . Volo finir mio canto, ben che non sia odito, i' ben posso dir tanto che non fu mai odito
: : :

oi

me
qual

m'i
i'

si

['n]vilito
[ti]

che
la

[io] la

morte

domando

in

dono,

te perdo[no],

28.

micidial del servo che t'adora.2

Si riferisce, credo,

ai

noti versi delia

canzone Ben mi eremora

dea passar:
Fa
eh'
i

di tua man, non pur bramando, un bel morir tutta la vita onora.

i'

Il

ms. ha

V.

3 i perdi,
:

8 dicto, 25

Oi me

tu.

Meglio forse

vv. 25-26 -sono

da leggere
Oi
si

me
che

tu
la

m'i morte

'nvilito
ti

domando

in

dono.

Casini, Studi di poesia antica.

15.

220

LXVII. Or
3,
si

disparte la speranza mia,


lasi in

conforto del mio bene,

ora mi
[Se]
si

pene

vane

via.

disparte rmar doglioso,


;

IO.

17.

finar de sospirare da poi eh' i' perdo il viso gracioso chi mi solea tanti dileti dare, giammai non finar di sospirare, e ziro tormentando, senpre andar gridando note e dia. Topina me che me [de]struze el core pensando che dirai for di partanza Ben[e] mi ne vo per vostro amore . Star nel foco con gran penitenza, oi me, laso, non per mia falanza, eh' io perdo ogni conforto Fortuna ria. perch mi ' tu morto. Ballata mia, va donde amor ti manda,
! :

giammai non

zinochirti dinanzi colei


digli ch'el

servo se gli recomanda, per la partanza i' mi moro per lei e contergli tuti martir mei
eh'
i'

^
:

per
i'

lei

24.

fin eh'

non torno

note e zorno a l'amanza mia.i

Le quattro

ballate d'amore, che

s'accompagnano nel

re-

pertorio all'invettiva contro la vecchiarda (LXI), presentano

alcune singolarit meritevoli d'essere rilevate. Gi ho accennato che la LXIV si legge anche in un altro codice, dove ha una stanza in pi e molte varianti, che pur non alterano profondamente il senso si che non si deve credere che nel;

II

ms.

ci

d una lezione
:

in pi

luoghi

corrotta

per es.

nel V. 12 io leggerei

pensando che dovrai


Il

far dispartanza.
22,

ms. ha

V.

20

E digli,

22 martiri,

per lamwte, 24 Per in fin

ch'i non fo ritorno.

227
r una o nell'altra lezione
si

tratti di

un rifacimento, potendo
lungarac-

spiegarsi benissimo le differenze con la trasmissione orale di

queste e d'altre simili poesie, che dovettero correre

mente

tra

popoli della valle

padana prima d'essere

colte nei repertorii dei giullari.

Ho
;

detto della valle padana,


i

perch a quella regione appartengono

manoscritti

che

ci

hanno conservato cotesta ballata ma prima ancora che sulle rive del Po dovette esser cantata su quelle dell'Arno, se,

come

me

sembra, a giudicarla toscana basta

la

soavit dei

versi e delle rime, la leggiadria gentile della parola e delle

imagini, che la poesia di


fuori della patria di

popolo non ebbe, nel Trecento,

Dante. Per quello che a

me

ne sembra,
letterati,

questa ballata di quelle che, composte da rimatori

divennero presto e rimasero poi lungamente popolari,

per-

ch

il

sentimento amoroso v'era atteggiato ed espresso in


e

quella forma di piana


piace, n senza colori

temperata idealit che al popolo ed imagini che sono proprie della

poesia popolare

che

sia tale lo dice la

mescolanza dell'en-

decasillabo col settenario, cara ai rimatori culti di ogni tempo,


aliena dal genio delle nostre plebi, inclinate pi tosto ad ef-

fondere

loro spiriti nella

rotta

monotonia dell'ottonario

ma non

pertanto piacque e fu cantata popolarmente, anche

fuor di sua patria.^

La

stessa

settenari nelle ballate

LXV

mescolanza d'endecasillabi e LXVI, dove anche, come


variamente disposti,

nella precedente, prevalgono, sebbene

in entrambi i testi la ballata abbia un colorito dovuto ai trascrittori settentrionali, non ci presenta in rima alcuna forma veneta o emiliana vi troviamo, vero, favela e rainela, ma in rima con bella (cosi in tutti e due i codd.), segno di provenienza toscana vose e erose in rima con feroce e solo in un cod., che l'altro ha toscanamente voce e croce. E altri segni di originaria toscanit sono il vb. brancare (v. i della
1

Sebbene

dialettale,

2^ stanza, nel cod. trevisano),

il

nome

ramella
in

(v.

9),

il

nome
delle

parola

(v.

22) nel

senso di discorso, e anche


16),

la frase

far

man o

delle braccia croce (v.

che trovo
in

tamente n. CIX,

toscana
9.

del

sec.

XIV

una ballata cerCarducci, Cani, e ball.,

228
i

versi brevi

tutt'e

due
n

d'

intonazione letteraria, pi rigide


le

e fredde della lor sorella che

precede, non dovettero avere

una grande

diffusione,

si

trovano, ch'io sappia, fuori del

nostro repertorio.

La prima

tuoso di una donna,

la quale,

un lamento abbastanza affetdolendosi d' un giovinetto inegli d'alta statura, di


;

sensibile alle sue grazie, ragiona della grari beltade del suo
diletto e della sua crudeltade
:

memla

bra delicate, tanto bello da somigliare a un angelo


ciera vermiglia e gli occhi vivaci

sua
;

innamorano chi

lo

guarda

avvenente
tutti

come un
:

falcone, senza averne la superbia, e a

piace, perch perfetto di forme e di


il

costumi,
la

come
lo

fu gi

primo uomo
lei,

ma

fugge sdegnoso
si

donna, che

perseguita coi suoi sguardi, e non


rezze di

lascia vincere dalle ca-

anzi le dice villania, mostrandosi cosi

crudele

e dispietato

come

bello. Sono,

come
:

si

vede,

luoghi co-

muni

della poesia

amorosa antica

salvo che a un
i

uomo sono

trasferite

molte di quelle cose che


;

nostri rimatori sogliono

dire pi spesso delle


rico

donne n v' calore e impeto di limovimento, ma le stanze si seguitano scolorite e umilmente dimesse, senz'alcuno dei tratti vigorosi della poesia popolare. E pi scolorita e dimessa la seconda, che lamento di uomo per una donna crudele il poeta, se pur gli possiamo dare questo nome, protesta la sua fedelt, sebbene riconosca che a nulla giova, e va col suo concetto agli ammaestramenti del Petrarca, pensando che anche a lui sar
:

onorevole morir per


eh'

mano

della sua signora,


tutta la vita

un bel morir

onora;

e alla citazione petrarchesca (singolarissima, e unico


pio, credo,

esem^

nella poesia del Trecento) fa seguire le sue spe-

donna crudele si penun giorno d'averlo ucciso a gran peccato e torto, e perdonandole ad ogni modo, perch non vuol mancare ai suoi particodoveri di fedele amatore. Anche qui la materia e
ranze, dicendo con povere rime che la
tir
i

lari concetti

e imagini sono conformi a

troppa parte della

lirica

amatoria antica, perch s'abbia a tribuire qualche me;

rito

all'anonimo rimatore

che lesse certo nei

libri

d'amor

229
l dove scrisse Petrat'-ca,

ma, come molti verseggiatori mo-

derni fanno, non v' impar proprio nulla.

La

ballata

LXVII

un lamento

di

donna per

la

partenza dell' innamorato, un

grande famiglia che nel nostro reperda torio ha parecchi rappresentanti (cfr. nn. XIV, XIX ecc.)
altro individuo della
:

notare c' in essa alcuna traccia di pi arcaico linguaggio,

che non

sia quello usuale nelle poesie del

repertorio
gi

cosi

dispartire e partanza o meglio dispartanza,


nella lingua del Trecento
frase notte e dia,
;

infrequenti

cosi

il

che sa dei

dialetti

verbo finare ; cosi quella meridionali ^ e forse


;

anche l'agg. topino, che fu tanto comune nel Dugento, ma presto venne a scadere.^ Non voglio trarre conclusioni circa l'et e la patria della ballata, senz'altro appoggio che di pochi
fatti

linguistici,

ma

richiamo l'attenzione di chi vorr

studiare questi antichi documenti della nostra poesia, sopra

una singolarit che non mi par da trascurare. In mezzo a tanto idealismo rimato una voce aspra ci richiama alla realt della vita e la prosopopea satirica del monico zoioso ci consente di dimenticare per un momento le dolcezze e sospiri. Il canto popolare, che alla vita dei conventi ha chiesto tanto spesso dei motivi lamentosi XX-XXII), lascia parlare questa volta, a (cfr. n. II, XII, guisa di confessione, il frate di sollazzevoli e gioconde abi;

tudini,

quale in pi
gli

tipi

sostanzialmente conformi lo rapprela fantasia di

sent di su
cio
^
:

esempi vivi

Giovanni

Boccac-

Gaspary, Scuola

poet., p. 253.

Molti esempi delle varie forme (talpino,

taupino,

taipino,

da questo aggettivo registr il Biadene, negli pi sono Studi di filo lascia romanza, voi. I, pp. 225, 449, e della fine del secolo XIII e del principio del XIV.
topino) assunte
i

'

Decanieroi, giorn.
la
:

I,

nov. 4^

III, 4^, 10^

IV,

2''
;

VI, 10^.

Anche

confessione della
si

monaca non

ignota al canzoniere

popolare

veda

la ballata edita dal


i

monegeta
stiniano.

racconta

Gian, p. 55, ove la santa suoi amori con tre frati degli ordini pre-

valenti nel sec.

XIV, un domenicano, un francescano e un ago-

Monicho son tuto coyoso senca nula fede, biancho bello et amoroso mato chi me crede.
Monicho son dal monastero
et

ho

si

bella chota
in rota

None
furar

inoniester
fida

si

sancto chio non

meta

chy sen
si

ne la mia nota del cantar damore conuiene 1 core, a chi non si provede.

Monicho.

Monicho son dal monistero da le tre canpane Non so far altro mistero, se no infornar pane Quando conili mie bianche mane, e con la longa palla E quando inforno el pane, tuta la sala tremolar se vede.
Monicho son dal monistero. da la calcagnolla Son perfeto baratiero. e maystro de scola Quando la mia cariola. si uolta datorno De quanto he dolce quel corno, che damor procede.

Monicho.

Monicho.

Monicho son dal monistero. da ly gicsu sancti Volontieri yo me confeso ben che sia brigante E ho promeso a la miamante. de far la contenta de le brace fargli cento, e chiedegii mercede.
Cosi scritta la poesia nel nostro repertorio
role ch'io
;

Monicho
son e te.

le

pa-

do

in corsivo furono,
fitte

da quella pia mano cui gi


nascondere l'antico
te-

accennai, ricoperte di
sto ai cupidi occhi
;

lineette per

ma

lo

svanir dell'inchiostro pi recente

ha

restituite alla
si

lettura,

chi v'adoperi

un po'

la

vista,

le

parole che
altri

vollero eliminare.

Restano ci non pertanto


pre-

guasti da sanare, perch la trascrizione antica ci

senta continue irregolarit nella misura dei versi, e l'emen-

dazione critica che se ne volesse fare potrebbe trarre

facil-

mente ad

errori nuovi.

prima
ci

vista

sembra
;

trattarsi di

una

ballata di versi brevi a ripresa tetrastica

ma

singolare ap-

par subito la mescolanza, che


pari e dispari,

data dal codice, di versi


;

senari e settenari, ottonari e novenari


stenta ad ammetterla
si

tanto
te-

singolare che
sto primitivo,

si

come propria

del

preferirebbe di ritenerla quale risultanza

di alterazioni subite dalla poesia in

orale.
la

una lunga trasmissione Se non che l'esame comparativo delle stanze induce persuasione che cotale mescolanza si debba realmente ri;

conoscere nella ripresa e nelle volte

infatti

come sono

no-

231
venari
il

primo e
il

il

terzo verso della ripresa,

cosi

sono

il

primo
tre

terzo di ciascuna volta, salvo alcune

viazioni
poi

facili
il

a togliersi
il

minime decon emendazioni lievissime men;

secondo e

quarto della ripresa e della volta sono


il

s enari, fatta

eccezione per

quarto delle stanze prima e quarta

ove

si

presenta nella misura del settenario. Nelle mutazioni


i

manifesto che sono senari

versi

pari,

senz'altra

devia-

zione che quella della prima stanza, ove nella


pari
;

prima sede

si avrebbe un settenario ma per i versi dispari v' qualche maggior incertezza tuttavia, poich l' identit metrica delle mutazioni legge assoluta e qui abbiamo sempre novenario il primo verso, senza possibilit di ridurlo a misura pi breve, se ne deve dedurre che solo apparentemente sieno
:

ottonari

versi di terza sede nelle

prime

tre stanze,

ma

che

anch'essi debbano essere ricondotti alla misura delle


sillabe.

nove
:

Lo schema adunque sarebbe questo


y,

per la ripresa
;

gy, 6 X, q
6
e,

6 x, e per la stanza

g a,

g a, 6 d

g ,

e,

6 X.

Le

irregolarit

sono

facili

a togliersi nelle
8

musi

tazioni,

leggendo rispettivamente
.

al v.

non so far\e\ altro

mistiero e al \

12 so7i\o\ perfetto baratiero (se pur


le

non
e

vogliano ammettere

dieresi viistero e

baratter)

resti-

tuendo nel
non

V.

4 insieme con la giusta misura anche la rima,


il

moniester si severo, che


le

sancio da

me

gi intrave-

duto sotto

cassature non lezione sicura, certo poi er-

ronea, e tra congettura e congettura mi par sempre da preferire quella

che
i

al testo
;

rida

una sembianza pi genuina.


per questi sarebbe agev.
v.
3

Resterebbero
vole
il

settenari

ma anche

ridurli a senari,

cambiando nel
leggendo nel

et

ho si bella
71071

cola in e ho si bella ecc.,

6 chi

si pro-

vede
V.

(la sintassi

antica

non ha bisogno
perch
si

di dire a chi) e nel


il

18 chiedergli 7nercede (non essendo necessario


e chiederceli,

legamento
ter-

congiuntivo

ha qui

il

caso di tre

mini simili nel quale l'asindeto normale. Credo

tuttavia

che non
zioni,

sia

il

caso di ricorrere a codeste

piccole amputal'

perch piuttosto dobbiamo riconoscere nel poeta

in-

tenzione di comporre una ballata a versi lunghi compositi,

ciascuno di un novenario e un senario

e cosi le apparenti

232
sovrabbondanze
di alcuni dei versi brevi,

che
testo

in realt

sono

emistichi di versi doppii, scompaiono di per s per l'elisione.

Conservando adunque
scriverei,

la

giacitura che
la

il

ha nel codice
io
la
:

(anche questo particolare ha

sua

importanza)
in questa

tra-

con pochissimi mutamenti,

forma

Monico son tute coioso


2

senca nula fede

bianco, bello et amoroso,

mate
et

chi
si

me

crede.

Monico son dal monastiero non moniester si severo chi sen fida ne la mia nota
6
furar
si

ho

bella cota
in rota
!

eh' io

non meta
si

del cantar d'amore,


a chi

conviene

'1

core

non

provede. Monico.
;

Monico son dal monistiero da le tre canpane non so fare altro mistero se no' infornar pane quando con Ili mie' bianche mane e con la longa
;

palla

IO

inforno

el

pan,

la sala

tremolare se vede. Monico.

Monico son dal monistiero

14

da la Calcagnolla, sono perfeto baratiero e maistro de scola si volta d'atomo quando la mia car'iola de, quanto dolce quel corno che d'amor procede. Monico.
; ;

Monico son dal monistiero


volontieri io

18

da li Gies sancti ben che sia brigante, de farla contenta, e ho promesso a la mi' amante e chiedergli mercede. Monico. de le brace fargli centa

me

confeso,

Dopo
verili
;

ci ritorniamo a motivi pi

usuali

canti
idillii

di par-

tenza, contrasti d'amore, lamenti di sconforto,

prima-

sono

soliti

argomenti

di poesie

alle quali

doveva

conferire la musica ond'erano accompagnate.

LXIX.
Poi ch'el

me

convien partir[el,

dona

di tanto piacere,

certamente, a
di dolia

mio

parere,

penso morire.
sagurato,
:

Doi

me

lasso,

pi ch'altro che nato sia

tanto

sento tormento per questa partanza mia,

me

233
volentier morir voria

e la morte anche bramo,


12

che veder me si lontano te, o dolce anima mia. Io voria esser morto, poi che pi non posso stare

de

Poi ch'el ecc.

tanto dolce

'1

mio core

per amor ti voi' pregare non me debi abandonare,


oi,

per nesuno altro amore

lialmente te servitore

2o

te star fin al finire.

Poi ch'el ecc.

Vane

via,

ballatina

vane

al viso

anzelicato

l di quella fi-esca rosa,

di cui

son innamorato
lei

prendo cummiato recomandam'al bel viso,


che da
dolce
fior di

paradiso,
partire.

28

da

ti

non posso

Poi ch'el.*

LXX.

Ben me
falsa,

sont'avizuto,
;

del tradimento

onde molto me pento, se t' mai ben vogluto. Falsa, tu mi zurasti

cum

toi filisi paroli

ch'altro che

me non

volei per

amante

possa tu me mostrasti la luna per lo sole,

dagando fede

a'

toi falsi

sembianti.

Non

ti

savria dir quante

volte tu m'' inganato,

14

poi che me son fidato ne l'amor eh' i ' perduto.

Ben me sont

ecc.

Non me
ms. ha
V.

dir vilania

Il

17 che

non me

debi,

22 avante al viso, 25

cti-

tniuato o cumuiato, 27 o dolce, 29

non me posso.

234
che tu non hai rasoni, per che in fede ma non
te falai

mo

tu per zilosia

crede a quele persone che 'nvidia porta del dileto che Ben lo sa Dio che mai

i.

non
24

[ti]

f'

falimento

se t' fato contento,

Ben me sont ecc. mal merito n' abuto. Falsa, non te scusare che l' palese altrui che [per] lu to mal fare ogn'om t'acusa: ben te savria mostrare quando, corno e cum cui tu si m' ' fata la torta fusa. Mai tu ne si' ben usa
di far cutal ingani
:

34

vn con cento malani, che to' amist refudo.


cuor del corpo mio, la scusa che ti fazo perch non credi com

Ben me son

ecc.

ai

maldicenti

Me

trovasti!

zamai
in brazo,
?

con nisun
se no' con

omo
ti,

amor, che mi contenti

Or per Dio, or te penti, e non te recordare,


che
44
ti

ter in zoie care.


e'

com

t' za tenuto.

Ben me sont

ecc.

LXXI.
Niente mi zova a [mia] dona servire con cor piatoso che par[e] languire. La mente mia dolzemente brama,

usando sua figura tanto


fra tute

bella

cose pare una stella, ciascuna sieco porta bona fama.


V. 6 cimi li toy,
7

Il li

ms. ha
toy,

che non volevi, 8


16,

me

mostri,

IO a

li e

non

ti,

13 infidato,
d.,

non hy, 33 vane, 37 non

la credi a

mi

corno ali

in.

41 hora te periti.

235
Schivar volgilo e nanti morire,
8
nanti ca femena mi faze perire. Bon'ora de culei no' m'aviti lo mei guardando che vr mi sparzea, n conlenta d'Amor non si fazea sedendo sopra scani infiniti. Io non posso n so [pij eh' i' mi dire, poi che dS lei mi co[n]ven fuzire. Oi [me] zorno plen de onni lamento ch'ancora sopra de mi si mantiene, il sangue mio sgrisola per le vene vedendo ognora pi tradimento
:

14

parlar di

lei

non

volo,

ma

finire

20

e lasar altrui vendeta complire.^

LXXII.
Oi [mia] mente obscura, perch non pensi rason e dritura

Tu

fai

[lo]

viso ardito,

corno colui che segue suo volere, ma ne Ifo] mio credere


k

tu sei cieca,

secondo

[lo]

mio dicto

e questo truovo scrito

tra celo e tera [in] divina scriptura.

Intendi tu che vai

mordendo

oltrui

con inganno

considra quel che fano ferit' a cor che non si salda mai, che senpre vive in guai
14

non posendo recuperar figura. quanto poco seno, vedendo alguno senza casone,
facendoli lesione no' a drito, rna [a] torto pi ch'a
tal

meno:

20
1

boca ronpe freno talor che de alto cade


V.

in pianura.

II

ms. ha
ms. ha

6 ciascuna che sieco porta,

19

galar di

lei,

trascorso di penna del copista.


^
Il

V.

sidera,

12 ferita di cor, 14 sua figura,

9 Oidi intendi, manifesta ripetizione; 11 con 19 a tal, 20 talora.

236

l-XXIII.

Canta
2

la

quando

phlomena, el dolze tenpo s'aserena.

Chi per Amore canta onni sua silva li par[e] zardino, che lo cor quando pieno de quela lieta amorosa pianta non porta pena tanta chi conplito si cessa e refrena.
;

Za per tenpo alguno a provo mi vidi d'una marina, ferito con runa vermiglio color convertir in bruno
14

questo se fo' per uno, che intorno intorno li caze

la

pena.

LXXIV.

Amor me
2

prese in tenpo di verdura vr colei che m' stata senpre dura. Ro sa vermeia nata in un zardino
tuta fiorita de fior et

amor

fino,

oi

me

topino

fazo

morte oscura.
;

tanto risplendi Lucente figura, aurea zoia, che '1 cor mio acendi, com ladra e mia mente prendi

fura.

O
II

crudelle e dura,

tu m'i furata
i

l'anima mia, che tu


or non
si'

consumata

ingrata

invr la fede pura.

Ma
14

di

gran calura

ardo

in quel fogo,

che

me

distruze regnar pur

un poco

17

provar mia ventura. merc clamo, Anzelica natura, che '1 non perisca quei ch' preso a l'amo, per quela creatura. d'amor bramo
nel beato loco

Balatuza, a quella

dona

di valore

'

Il

ms.

Ila

V.

25 qatido,

chel cor,

14 che dintorno.

237
la

mano

gli

toca con gran dolzore


facio

che per dolore

morte oscura.*

Qualche osservazione, specialmente di carattere metrico; onde sar agevolata anche la restaurazione di alcuni passi assai guasti. La ballata di partenza LXIX, di ottonari,

come
senta

altre simili d' intonazione e d'origine


la singolarit

popolare; e preil

che

in tutte e tre le stanze

terzo verso

non ha rispondenza

di rima,

come dovrebbe,

col

primo. La

rigida osservanza della legge d' identit delle mutazioni per-

suade facilmente che siamo davanti, non a una irregolarit


metrica,
forse
si

ma

un'alterazione del testo

primitivo; al

quale

torner

leggendo

nel

v.

7 taiito

sono

tormentato,

nel

15 tanto dolce

tuo conforto e nei 23 di quella fresca


il

rosina (dove sar anche da riconoscere

nome

della

donna

amata, Rosina). Un'altra alterazione


della della

si

ha nel verso ultimo

prima stanza, ove dovrebbe essere ripetuta la rima finale ripresa probabilmente si aveva originariamente un de te, dolce mio desire, o qualche altra espressione simile.'^ Della ballata LXX abbiamo a stampa un altro testo alquanto ma non mette conto fermarsi a diverso e forse pi recente pi minuziose analisi. Nella LXXI sono notevoli alcune for:

"^

me

(v.

9 aviti ^= avvidi,

sgrisola, rabbrividisce), che parreb;

bero accennare ad origine settentrionale


sto

qua e
il

quali

se non che il temalconcio e altre incertezze presenta, per le senso alcuna volta sembra sfuggire. Della LXXII ebbi
l

dapprima 1' impressione che vi fosse la singoU^rit metrica della mescolanza di versi senari con gli endecasillabi ma un esame pi accurato del componimento sembra escluderla
;

Ilms. ha

V.

nel tenpo,

de7iver coley, 6 che tanto,

11

71071

esser ingrata,

13 di regnar,

14 prova7ido,

15 mercede te clamo,

16 choluy che presso, 17 damor yo bra7no, 20 son che per. 2 Meno probabile, perch troppo duro riuscirebbe
strutto,

il

co-

che

vi sia stato solo lo


:

chiusa primitiva cosi fatta mia, vedere.


3

spostamento delle parole di una Che da te me si lo7tta7W, Dolce a7iima

Carducci,

Cantil. e ball., n.

CIV, pp. 135 e segg. (diverso

il

numero

e l'ordine delle stanze).

238
cosi che resteranno giustificati
i

pochi e

lievi

emendamenti

introdotti per ristabilire la giusta misura di alcuni versi.

vera singolarit metrica


(eccetto la

ci

data invece dalla ballata


il

Una LXXIV,

tutta d'endecasillabi; poich

primo verso

di tutte le stanze

prima e l'ultima) ha una rima interna corrispon:

dente a quella della ripresa


della quale

una specie
;

di incatenatura,

non conosco

altri

esempi

legamento nelle stanze


vuto ad alterazioni del

iniziale e finale
testo,
si

mancare di tale non deve essere doil

a proposito determinato del

rimatore, forse per esigenze musicali.

Tra questa

ballata e le precedenti
di carattere

s'

interpongono nel requali la

pertorio delle poesie

letterario,

lunga

canzone morale

Quando 7 pensiero
alla lor volta

l'atiwio co?iduce e

strofe dell'altra canzone.

Ahi donna grande


tra
essi

possente e

due ma-

gnanima;
strambotti

le quali

sono inframmezzate da framassai

menti di carattere popolare,


:

notabili

questi

LXXV.

Dime, bruneta, dal onde nasesti che


[e
li]

polito viso,

sei tanto bela ? E' credo che nasesti in paradiso


biati [in ciel]

de

ti

favela

bela boca e il tuo suave viso reluce pi ca la diana stela.

La

Guardo

lo cielo,

quando

el

sereno

cosi fa el tuo viso n pi

n meno.

Tutto

lo mondo m' tornato in guar Dio voia che la po[ssa] mantenire la boca che io bas[a]i no' me favella,
;
:

o les Cristo, fla repentire. Fla pentire di questo pecato o dio, grazia, che moro inamorato. E' moro inamorato, tu no '1 crede, O dio, o dio, mercede. e vo chiamando
;

239
3-

L'omo, ch' traditore a la soa amanza, per tuto el mondo se voria bandizare
farlo

nuda e a la discalza, che non trovse pani da vestire


andare a
la
;

farlo stare a l'aqua e al vento,

perch

lui

padisca quel tradimento


la s'

mora de

lanza che le sia lanzata,

che per paura

mal maridata.i
nel repertorio

Cosi

si

vengono alternando
intonazione
le
;

gruppetti
i

di

poesie di varia

popolarissime

per

motivi e

per lo svolgimento
assai importante

tre

che seguono,

delle quali

una
in

documento

dei gusti delle

nostre plebi
fisiche e

fatto di bellezze e virt muliebri.

Le qualit

morali
il

delle nostre

donne sono qui cantate

e classificate

secondo

colore delle chiome e della pelle, e secondo la statura e la

complessione
all'altro della

motivi tradizionali, che passarono dall'un capo


penisola,

ebbe,

come abbiamo

visto (cfr.

qualcuno localizzandosi, si che si il n. XXIV), anche una simile


ballata

rassegna per citt; n in questa

mancano appunto
si

accenni a luoghi determinati, a Firenze, a Bologna, alla Sicilia.

tutta

una vasta materia, della quale


le

dovranno rac-

cogliere gli sparsi frammenti e farla oggetto di accurati studi

per accertare la genesi e

tramutazioni di tante invenzioni

sbocciate dall'anima popolare, quando non era ancora per-

vasa e angustiata dagli


stro e

spiriti

pi materiali del
il

tempo noquale
ci
si

manteneva nel corso

dei secoli

suo carattere etnico


ballata,

e nazionale.

Ma

leggiamo, per ora,

la

potuta ritrarre dall'esemplare un po' guasto, che


servato un canto senza dubbio assai antico,

ha conap-

fors'anche

partenente alla fine del sec. XIIL^


gli ultimi due versi appartengano ad alidealmente si possono collegare col principio di questo, in quanto la donna tradita dall'amante giovine ha dovuto acconciarsi a sposare un vecchio. 2 Lo schema metrico per la ripresa x-.y. y. x e per le stanze
^

Non

escludo che
;

tro

componimento

ma

a.

b,

a. b ; b. e. e.

x;

versi tutti ottonari.

240

LXXVI.
Per amor de belle brune, done, piacave ascoltare, ch[] io ve voio contare la bont de ciascadune. Prima le bianche mirate, che tucte l'altre despreza fazen de lor tal derate che men che luto s'apreca
:

poi mostrando lor belleza quell' statue di marmo,

12

2o

che pi fredo non l'Arno ca l'amor de ciaschedune. Poi le negre guardirete, volendo veder lor flazello senza fai ve trovarete el fuchi di Muncibello [e] mai pi grave cortello non produse la natura de poca [la] ventura de trovarse con negune.
;
: !

De

le

perch

rose vo' tacere, l' tute focose

ma

se pur le voi vedere,


:

troverai son venenose non credeste mai lor mose

perch'ell'n tote infidele

28

senpre tesse quelle tele gi e su con' fa le cune. Le palide fusche et smorte son molto maliciose dal demonio son scorte
;

tanto

sonno

viciose

mirate le lor pose con quanti ati elle mastegia, monstrando pace guerregia

de

36

per ligare altrui con fune. Oderete de le longhe quanto sonno da laudare a vedere paron fionghe

241
che voglan[o] traboccare
poi de senno non tocare
;

quanto ne' lor capo porta se Bologna fosse morta,


44
refarebela a castune.

De

le piccole ascoltate,

che son tant'argolliosse;


le lor le

mente

so' infiamate,
:

membra
la

superbiosse

poi

non sonno deletosse


picola statura,

per

52

s'acende de rancura con' fa el mantico le prune. De le grasse li rimorci, amor mio, che stai in Bologna le lor carne son da porci e '1 sodor de scrofa assogna
;

ma

nante andarla in Bregogna eh' eo volesse amar grassa,


tanto so' corrota

massa

60

che per poco cade giune. Le magre son zintilesche,


ora intendireti un poco
se de l'anni
le lor
:

non son

fresche,
:

lingue

mena

foco

68

guardase da lori gioco chi non voi dar gran percosse, che tosto manca lor posse per virt che non c' piune. Poi che tocte n defeto, quale dopne son d'amare? de mezana forma [e] aspeto,
quelle vo[io]

comendare

ma
per

le

brune

so' pi care

le lor belle figure,

poi non fanno lavature

76

n de biaca n sapone.

Le brune sonno

umile,

savie, belle e deletose;

son d'amor tanto zentile


pi che de

mazo

le

rose

senpre stanno vigorose, con bell'ochi e' anno in testa


Casini, Studi di poesia antica.

16.

, ^

242
tocta danza fazza festa

84

per amor de ciascadune.


Ballata, [tu] se' formata

92

de rason[eJ con speranza se mai fossi domandata, di' che bruna la mi' amanza. Or mirate in questa danza qualunc' ha un tal colore ella m' furato el core, non le vechie da bastune.
;
:

la

Le altre due rientrano nel ciclo delle poesie nelle quali donna ancor giovinetta confida alla madre le sue aspirazioni allo stato coniugale. L'una, la LXXVII, di un realismo cosi crudo che ho avuto il dubbio se non fosse stato pi con;

veniente lasciarla dormire ancora nel repertorio manoscritto

un documento storicamente e letterariamente assai notevole metto da parte ogni scrupolo. Forse non mancano che i due versi trascurati dal copista poich alla madre che le lo svolgimento sembra compiuto in s risponde qualunque, di uno sposo raccomanda di contentarsi la figliuola che non lo vuole n troppo giovine n troppo maturo, ma fresco e gagliardo. Vi un certo parallelismo, che confermerebbe trattarsi non di un frammento, si invece alla prima stanza in cui si parla di componimento integro
poich
si

ma

tratta di

di

sposo troppo putto segue


si

la

seconda in cui detto


alla
terza,

che

desidera fresco e forte


il

in

cui

si

de-

preca

pericolo del matrimonio con

guire nella quarta lo stesso

un vecchio, si fa seconcetto di voler un marito ga-

gliardo e pronto al giuoco amoroso. L'altra ballata,


si

LXXVIII,
ed una

svolge a dialogo alternato, anzi quasi drammaticamente,


il

perch sulla fine entra in campo

valletto

delle redazioni pi importanti del contrasto tra la


la figlia,

madre
nei

che tante forme

e cosi svariate

assunse

canti

popolari di ogni tempo.


^ Il ms. ha V. 7 fazendo de, 9 et poy. 15 fallo uetrauazete 24 che san, 35 che niotistrando, 47 sonno, 55 da pora, 61 soino 66 dare, 69 le lor, 77 huinele, 92 bassmie. * Ricorder il canto del Monferrato in Ferraro, Canti p-

243

Una

redazione di questo contrasto anteriore

al

1282,

nel quale

anno un notaio bolognese


;

la

trascrisse in

gistro di contratti

e metricamente

una

ballata

di
i

un reforma
senti-

regolare, sebbene per la lingua, per !a forma,

per

menti che

vi

sono espressi

sia

un esempio
e

di poesia schiet-

tamente popolare, anzi grossolanamente

rozzamente plebea.
il

In questa ballata la ragazza che crede venuto

suo giorno,

espone francamente
contrariatane,
si

fa

madre il desiderio di maritarsi, e, maggior animo e incalza con argomenti


alla
:

un po'

crudi,

ma

efficaci

Matre, tant'ho '1 cor azunto, la voglia amorosa e conquisa,


ch'aver voria lo
visin pi

meo drudo
;

la camisa con lui me starla tutta nuda n mai non voria far devisa, eo l'abbrazaria en tal guisa che '1 cor me faiia allegrare.

che non

il

Quando
versi

si

leggono

si

fatte cose,

osserva a questo punto


si

Carducci primo editore del contrasto, e

pensa che quelo

sti

sono
ai

di certo anteriori al 1282, anteriori alle can-

zoni ed

sonetti nei quali

Dante lev all'ultimo grado

spiritualismo e la trasfigurazione ideale della donna, bisogna

pur convenire che

le

dicerie sul corrompersi dei

costumi e
collo sca-

con

essi della poesia,

anzi dell'arte in generale,


la

dere dei Comuni, per

materialit e

il

sensualismo invalso

nell'arte coli 'imitazione dei modelli antichi a principiar dal

Boccaccio, sono dicerie pi o meno eloquenti, e non altro, non altro. E badate che questa ballata non unica, e non pu quindi esser riguardata come traviamento o deprava-

le/. 7nonferrini, Torino

1870, p. 35

quello di
I,

AHmena,
;

in

Pi-

TR, Canti popol.

siciliani,

Palermo 1870,

816

quello

delle

Marche in Gianandrea, Canti popol. march., Torino 1875, P- 266 e quello di Pontelagoscuro in Riv. di filol. rom., II, 202. Rientrano nel ciclo di questo contrasto le operette del Croce registrate ai nn. 194 e 205 del saggio bibliografico dato da O. GuerRiNi, La vita e le opere di G. C. Croce, Bologna 1879.

244
zione individuale la ballata bolognese il primo esemplare o de' primi, d' una serie, d' una famiglia intera di poesie consimili/ Infatti su lo stesso argomento abbiamo, con:

temporanea al contrasto bolognese, una poesia attribuita senza fondamento a Ciacco d'Anguillaia di Firenze, un rimatore dugentista che rinfresc
diporto,
di
il

nel

rivoletto

popolare

la

grave e noiosa inspirazione trovadorica. Mentre cavalca per


poeta ascolta
:

lamenti di

una fanciulla desiosa

marito

Oi madre bella lungo tempo passato ch'io deggio aver marito e tu nello m'hai dato.
. . .

La madre con buone parole vuol calmare


della fanciulla,

gli ardori
:

precoci

ma

questa adirandosi risponde

Per parole mi veni tuttor cosi dicendo questo patto non fina ed io tuta ardo e inciendo.
;

La voglia mi domanda una cosa che non suole.

questa scappata

la

madre perde

la

pazienza e con
:

pun-

genti e dolorose parole riprende l'audace figliuola

Oi

non pensai mala tsa che ben conosco omai


figlia,
si

fossi

di che se' goliosa

che tanto m'hai parlato non s'avene a pulciella, credo che l'hai provato si ne sai la novella. ^

Intorno ad alcune rime dei

sec.

XIII

XIV,
I,

p.

96 [ora
e dal

nelle Opere, voi.


-

XVI IL
e

p.

249].

Pubbl. gi dal Trucchi,


ballate,

Poesie Hai.
p.

ined.,

73

Carducci, Cantilene
volg., ed.

io

[ora

nelle Antiche
p.

D' Ancona e Comparetti,

voi.

Ili,

194]. Cfr.

rime Bar-

245

A
y. y.
tipi

qual tempo risalga

la

nostra ballata
:

LXXVIII

que-

stione molto ardua a risolvere

lo
b,

X;

stanze: a,

b,

a,

b ; a,

schema metrico (ripresa X) non disforme dai


XIII
;

che gi erano usuali

alla fine del sec.

e qualche

traccia di assonanza potrebbe invocarsi


alta antichit. 1

come

carattere di pi

Ma mi pare preferibile l'ipotesi che si tratti un rifacimento relativamente recente, rispetto al tempo in cui fu raccolto nel nostro repertorio rifacimento dovuto quasi certo a un rimatore dell'Italia superiore mi conforta in questa opinione il fatto che un altro testo se ne trova in un codice del 141 7,'- si che tra la fine del sec. XIV e il principio del sec. XV si ha da porre la maggior divulgadi
;

zione di questa poesia; l'esser poi formata di settenari piuttosto che di ottonari

un

altro carattere,

se

non

di

minore

antichit, certo di origini


il

meno

popolari.
:

Ne ho

ricostituito

nel repertorio (A) manca hanno nove stanze, nel marucelliano (B) c' la ripresa e similmente nove stanze ma non sono tutte le stesse, perch quattro solamente sono comuni ad ambedue
testo

valendomi dei due codici

la ripresa e si

codici.

In queste condizioni solamente

il

senso poteva servir

di guida a ricostituire l'integrit del testo secondo lo svolgimento pi logico dell'invenzione: sono tre parti, nella prima delle quali (ripresa e stanze I-IV -^ ripresa di B st. i^ di A, st. i^ B, st. 2^ e 3^ A) la giovine fa una lunga e calorosa istanza alla madre perch si apra la porta al suo innamorato ^ nella seconda (stanze V-X r= 4*, 5^ e 8^ di A, 5^ di B e j"* e 6'^ di A) la madre risponde e la figlia ri;

batte circa

il

pericolo delle maldicenze, finch insistendo la

TOLi,
p.

Storia

della

letteratura

italiana,

Firenze 1879,

voi.

Il,

242 in nota.
^

Nel

v.

15

chiama:
:

pessi: avresti; 82 luna


la

mamma; :^2) hnpazzita : follia ; 52 sapersona. Tutta irregolare per le rime

stanza formata dai vv. 88-94. 2 il codice Marucelliano C, 155, di sul quale fu pubbl. da

S.

Ferrari, Bibl. di
3

letter.

popoL,
le

I,

333-334.
.

II e III ( alla i* d^ e alla 2^ di A), che rinsalda l'un testo all'altro.

Si noti

il

parallelismo tra

stanze

24
figlia nel

suo precoce desiderio

la

madre
S'"^

l'allontana

nella

terza (stanze

XI-XIV

=
:

alla

y""

di B, 9^ di

e 9^ di

B) la figlia va alla finestra a conversare col valletto e dopo un breve colloquio apre la porta e lo fa entrare in casa. Ecco le due ballate

LXXVII.

Sapete
spetel
no'

el

ben

ben, fida mia, lo usar de bon.

Madre mia,

se l' tre' puto


:

me

sa sa sonar leto
le

corde [en tute], Spetel bon ecc. no' me po' tegnir bordun. Madre mia, se [l'] hom fresco be' me sa tendere el balestro,

guastan

IO

mandame

d[e]rito el vereton.

.Spetel

bon

ecc.

Madre mia, non

dileto

14

la note star in [sul] leto con un vechio che me runchize in peto, Spetel bon ecc. ch'el g nasca i strangoion. Madre mia, se l' uno ben gagiardo, che me sa mandar el dardo,

mandamel giuso e-mandamel


18

on.

saldo Spetel bon ecc.*

LXXVIII.
[

Mamma,
i'

che deco fare

eh'

non posso posare

La base metrica
il
:

di ottonari,

ma
x.

il

testo,

che do quale
la
1.

lo

ha

codice, assai guasto.


.V,

Lo schema sarebbe, per

ri-

presa
sa; V.
V.

y.
9,

II- 12,
V.

ben forse era enunciata l'idea di un moxvo pronto e destro; forse: Con un vechio star in leto Che me runchize in per
le

stanze

a. a, a.

Al v.
e

si

pu

peto;

15, s'

un

ben, v. 17

mandai giuso

mandai

saldo.

247
3

IO

per un valleto ch'i' sento di fora?] cosa dego far, mamma, che son si 'namorata e amo quel garzoneto da hii che son si amata, e do spesso soleto pasa per la contrata mostra sembianti e par che [per] mi mora.
!

[Priegoti, dolcie

mamma,
;

ch'aempia el mio disire questo valletto, mamma, vol[e] per me morire vedi che merz chiama, per deo gli degia aprire
;
!

17

si

no' gli apro,

mamma,

par che mora].

Se per mi fosse morto,


per lui voria morire, per prendi conforto,

mamma,

falli

aprire.

El pare un zilglio d'orto, per lui voria morire


:

24

aprili,

mamma,
mamma,

se non vo' ch'i' mora.

De, lasseme aprire,


dolze
tu
'1

la

porta

vederai venire

soleto senza scorta, nisun l'ara sentire


:

mamma,
31

or

ti

conforta,

che non far qui gran[de] demora. Dolze [mia] fiolecta, vezo che se' inpazzita [da] dio si' maledeta,
;

se

fai

tanta follia

certo sarai bandita


si

com
da
la

falsa e ria

38

et

gente svergognata [ancora].


paura,
i

Non di zo mamma, eh'


e

posto mente,

e l' la note scura

non se vede niente,


gran fredura
;

et per la

a leto tuta zente

45

e sto

meschino piance qui de fuora.

248
[

Bench non sia veduta] fiola, quando far da te [partuta] al s'ander vantando
dolze
ch'el[li] t'

avuta

sta note al so

comando
danno
e a lui onore.

52
[

e a

ti

sera gran

le

Mamma,

se tu sapessi
al core,

fiame dentr'

mille merci n'avresti

perch' io sento d'amore mamma, se m'ucidessi,


noi lascieria d fore
;

59

megli' eh'

i'

l'apra che per

me non

mora].

de, lassalo intrare,


eh' io ten prego per dio
;

amare et tengolo per mio/ e non so com' dia fare,


e l' preso ad

_
bon'ora.

mamma,
66

el

core mio,

[se sta fora]


fiola,

de

aprili a

Dolze che tu
che

vezzo
;

se'

innamorata

[sacciolo pello certo


tu sar 'ngannata];

73
[

de far el pezo perch t' castegata levamete denanti a la malora. r tanta paura di no' mi svergognare malvagia gente fura
cierchi
:

e atta a mal parlare e niente non cura se po' altru' biasmare

80

non saccio che mi far Vedi che nascosta

d'aprirgli ancora.

sotto gli pie la luna e a dormir s' posta ciasc[hed]una persona

e verun qui s'accosta


tant' la notte

bruna

87

aprimi, donna, e non aver paura].

Zurote per quel dio.

249
che d'amor m'
ferito,

no' eser dal cor mio,

tu sei la

senpre sera secreto mia speranza e io so' el tuo desio


:

94
[

de, apri

mo,

stu

non

voi'

eh' io

mora.

Vienne, dolze valletto, che io ti voglio aprire,

dolcie
s'i'

mio

diletto,
;

dovessi morire

e prenderai diletto
di si nobil servire
:

IDI

passa qua dentro e

meco

ti

conforta].^

Ritorniamo

in pi spirabile aere,
:

che seguita un gruppo

di ballatine gentili

LXXIX.
Solo viazo o preso el pelegrino che smarir me conven laso, topino Nella mia mente non poso pensare corno io durare debia in questa vita, che ogni bene me sento mancare pur recordando l'amara partita, l'anima trista remane smarrita che seguitar vorria vostro camino. Ben che non sia onesto del vinire l dove sete, o nobel mio sengnore.
! :

superfluo avvertire che anche nelle stanze comuni

ai
;

due

testi,

che sono

la

ma mi

parso inutile

sono delle varianti raccoglierle. In B dopo il v. loo segue


vi
vogli che giur segreto

V, VI, VII e X,

che no'

Io degi

dire

passa qua dentro ecc.


si
i

che parrebbe che vv. 95 e segg. dovessero precedere la strofe del giuramento ma si tratta pi probabilmente di un'aggiunta fatta da chi volle richiamar l'idea del giuramento nel
:

momento
l'amata.

conclusivo dell'ingresso del valletto nella casa delAvverto, per maggior chiarezza, che le stanze tra parentesi quadrate sono quelle che mancano nel testo A.

250
chi poderia contar tanti martiri,

14

20

vedendose allongare one so amore, non sequisci sempre a tut l'ore l dove annse quel bianci armilino? Prega questa crudele, o balatina, che tanta crudelt non regna in lei per monti e piani senpre tu camina per fin che gionta gie sera' ai pedi, et poi gie contarai le pene mei, le quali io porto per quel sengnor mio.
se
;

Solo viazo o preso che etc.^

el

pelegrino

LXXX.
Quei ochi gentil vagi pien d'amore m' ferito a morte el mio core. Ame ferito d'un dardo mortale
si

dentro dal cor pasato,

nessuna medessina non mi

vale,

l'amor m' venenato.se piaser da vui, viso rosato, senpre m'apelo vostro servidore. Per servitor non te toro zamai,
;

Quei ochi

ecc.

de zo io ne so' atenta et sempre mi tu porti pena e guai, de zo ne so' contenta quasi ch'ai ponto non m'avesti venta
:

14

far noi sapesti,

or portine dolore.

Quei ochi

ecc.

Dolor ne volo portar poi ch'i' falito, madona, se '1 ve pare; e l[o] mio cor sera senpre [compito]
vostro servo verase;

20

pregar ve volo, madona, se '1 ve piaze, Quei ochi ecc. che perdonate a questo pecatore. N '1 tuo bel dir n '1 tuo merc chiamare

Cosi la do
1.

come

sta nel codice.


si

Al

v.

15 quasi certa-

mente da ma qua e ho voluto

leggendo ai pei; senso oscuro, specialmente nel v. i che non toccare, perch ripetuto per intiero sulla fine.
questo ; al 18 la rima
il

restituisce

251
vara niente, tu te desevi ben altro pensare che non era contenta. Questo voio che tu sapi certamente,
te

non

26 da l'ochi mei tu non arai vigore.

Quei ochi

ecc.

mi non vai aiuto n conforto n a mi merz chiamare i to bei ochi m' ferito a morte, onde non [ne] posso pi scanpare altro che morte a mi non po' tu dare,
;
:

32 che

men lamento

a Dio, nostro signore.

Quei ochi

ecc.

Tucta

so' tua, no' se po' celare

nostro innamoramento,
tucta son tua, convien manifestare,
tu sei el

mio intendimento

far bensi che tu serai contento

38 pregote, amor, che tu non

sei' traditore.

Quei ochi

zentil ecc.^

LXXXI.
Privato so',
2

ma non

per mio

falire

di quel bel zio clie

me

fa languire.

[E] piar la via

de

l[o]

disconsolato,

poi che la dopna mia


si m' [ajbandonato dove so' arivato or me conven morire. Partir da la tera
; !

Privato so' ecc.

et

far

andrmene in vila, com [la] cera


al sol[e] se stila,
fa l'anguila

che
et

com

14

chi cerca

de

fuzire.

Privato ecc.

[Io] star solitario


[e]

senza conpagnia,

in un[o] viridario

far la vita
* Il ms. ha chiamare nierze,

mia

v.
2)\

la morte, 34
si

gentili v agi pieni, 15 portare, 21 dire, 28 y nostri iftnamoramenti, 35 e

tucta.

conviense. Al v. 38

legga

sei'

trattore.

252
o [ijsperanza mia,
20
Io
tu

me

fa[i]

morire.

Privato so' ecc.

non me voio [aft'ato de te] pi lamentare,


tristo [dijsconsolato,

26

senpre lacrimare questo mio cantare voghio [di g]i finire.


;

ma

et

Privato so' ecc.^

LXXXII.
Ai laso me! ch'el
2

me convien lassare quel dolze amor ch'amando me fa penare. Trovai una fiera rossa
in
;

una vesta scura Amor, socorso , e Dolce criatura or non m'esser[e] dura, lasandote pigliare . Ai laso Et ella de bon core
gridai
: : !

ecc.

14

aspetava la sagita, che de l'arco d'Amore faceva la partita. Oi me, la ferita ca sento al cor passare Ferito m'aveti el core, o dolce venatore,
trovati chi

Ai laso ecc.

me

conforte,
;

20

o caro mio signore che zamai voi fresco fiore non voglio abandonare . Ai laso ecc. Conforto ve voio dare, o cara mia speranza,

26
*

ma convir lacrimare per voi, o dolce amanza, et per la [mia] partanza che me conven pur fare .
Il

Ai laso

ecc.

ms. ha

V. 9

Pariirome, 24
insolita,

ma

la note et di senpre. Alla

ripresa d

due endecasillabi non corrisponde


:

due

settenari

anomalia

la volta, che di che riappare nella ballata se-

guente.

253
Partir

pur

me convene

da

voi,

o caro mio dileto,


el

ma

sentir gran pene

non vezando

vostro aspeto.

32

amor[e] perfeto, non ve poro parlare . Ai laso ecc. A Dio t'arricomando co' l[o mio] capo inchino et senpre pur sperando

de vederti, amor
oi

fino

me

[lasso,] tapino,

com

longo el

mio sperare

Ai lasso ecc.

LXXXIII.
Gran pianti agli ochi, grave doglia al core abunda senpr'e l'anima si more. [Per] per questa amara dipartita chiamo la morte, no' me voi oldire contro mia vola dura questa vita
:

che mile morte me convien sentire ma ben che viva mai non vo seguire se no' vui, chiara stela, dolze amore.
;

LXXXIV.
Vita non pi misera e pi che tropo amare altrui con
ria

zilosia.

La do come

sta nel ms.,


vi
si

tesi

quadrata.
si

Ma
;

labe,

che quasi

con qualche aggiunta tra parensono versi che crescono d' una o pi silpotrebbe pensare che originariamente fosse
tutto considerato,
saita,
il li

stata di ottonari

pur, io

ridurrei a settenari
trova,

leggendo cosi

v.

15

m'av,
;

16,

19 che mai,

21 vo' o voi', 23 togliere

ma

30 forse era lontan dal vostro

aspeto, 38 si longo
lare,

V mio sperare. Metricamente irregoperch la volta (b. x) non corrisponde alla ripresa {X. X). 2 Questa ballatina si legge anche in codici musicali, p. es. nel Laurenziano 87, e. 133 b, e nel Panciatichiano 26 al n. 44.

254
Giovane bela, virtuosa e vaga, che zovame di questa mala vita, poi che fusti principio de la piaga,
si

a sanarla corno fa l'ardita

virt
si

che regna in ti non sia smarita, che ['n] dui corpi un solo animo sia?^

LXXXV.
Io
2

mi disparto da

[te] zentil fiore,

dolce speranza, e lassote '1 mio core. Amara tanto m' questa partita
dagl[i] ochi toi, caro

mio tesoro

or senza te che far la mia vita,

14

che pi contento non po' far dimoro Per di pianto me convien far coro, e suspirando andar per tal dolore. Chi mi dir di te ormai novela? chi mi consoler di tal[e] danno ? Ricordati di me, o vaga perla, pensa che porto per te tanto afanno e guardati da color che non sano come son tuo e ser, zentil fiore. Ochi dolenti, ragion voi avete di piangere e dole[r] cotal partita pensate come e quando rivedrete
;

quella gioliva rosa colorita


io

20

26

prego Idio che li donni la vita, sia ella benedeta a tute l'ore. Prego ciascun che piet di me prenda a' mie' suspiri e al mio lamentare e nulo sia che di ci mi riprenda, s i' mi dovesi per lei consumare la sola, che me pu consolare che son suo servo [ed] l[o] mio signore.
;
;

quella chiara stella pregar voglio,


ballata,

che tu vadi e non tardare

dirgli del partir corno

mi dolio
26
al n.

Anche questa
e.

nel

Panciatichiano

24, nel

Lau-

renziano 87, a

167 a ecc.

255
e licito

non m' dover pi stare

or pur che questa

me

convien[e] fare,
'1

32

io

me

ne vo e

l[a]sote

mio
vi

core.
la
si

Io

mi diparto.^

In

mezzo a queste

ballate

una

quale un esem-

pio assai caratteristico delle difficolt che


trascrizione dei testi antichi.

incontrano nella Nel codice sta in questa forma:

Ffinire mia vita mi convene chon guay e con ssospiri poi che me veco tolto el pi bel volto che naque camay. E vo finir con pianti e con ssospiri la mia vita amara la mia vita angososa senpre piango la crudel ventura chol cuore e l'anima mia poy che furtuna ria

ora

me

stata

si

perfida e

dura.

Piango e sospiro perche e son diviso e son lutan da ti luce serena che de adornece pasa el tuo bel viso
griseyda, casandra, e polisena
e
filis

bela e la rayna helena

odio

la

morte crido

e di far

chome digo
dolor signor o paura etc.

per

tal

Questa poesia mi ha dato molto da pensare che si tratdi una ballata appariva abbastanza manifesto dall' esservi tre gruppi di versi finiti con la stessa rima in-7/ra ma il primo gruppo non poteva essere una ripresa, appunto per la mancanza di una rima corrispondente. L'ultimo gruppo invece dava una stanza integra di ballata, secondo lo schema
:

tasse

Il

ms. ha
17

V.

io dampno,

13
sia,

coloro,

15 ragione,

dote colai,

rive derete,

20

1?

21

Y prego

16 e di ciaschun che de
v.

piet di me, 25 ella sola, 26 servo el mio.

Nel

6 forse in-

vece di contento da 1. con teco ; v. 11 forse stela invece i perla, ma pu stare l'assonanza 16 forse doler di tal ; 26 potrebbe anche essere che son suo servo e [servo] V mio signore, cio
;

Amore.

256
donde si ritraeva che la ripresa B ; B. e. e. ; dovesse essere foggiata cosi: A. b. b. X. Fermato questo punto, non mi fu diffcile riconoscere nel secondo gruppo dei versi la ripresa, la quale si era venuta a interporre tra l'una

A. B, A.

e l'altra mutazione della prima stanza rappresentate dal primo se non che in questo sconvolgie terzo gruppo di versi
;

mento'

il

copista lasci nella

penna qualche

altra cosa,

un

paio di versi circa, ch'io segner coi puntini, essendo impossibile imaginare che cosa dicessero.

LXXXVI.
E' vo
la'

finir con pianti e con sospiri mia vita amor[os]a, la mia vita angososa sempre pianger la mia crudel ventura. Finir mia vita mi convien con guai e con sospiri, poi me vezo tolto el pi bel volto che nacque zamai
;

olto
-olto

col cuore e l'alma mia,

12

poi che fortuna ria ora m' stata si perfida e dura. Piango e sospiro perch e' son diviso
e son luntan

da

ti,

luze serena^

che de adorneze pasa el tuo bel viso Griselda, Casandra e Polisena e Filis bela e la raina Elna ond' io la morte crido
;

e di far

come Dido
signor, paura.

2o

per

tal dolor[e],

A questi sospiri e lamenti, a questi canti d'amore si congiungono in questa sezione del repertorio alcuni canti satiuno gi si dato (al n. LXIII) insieme con altri contro rici e or ne resta da produrre un altro che rientra le vecchie
: ;

nel ciclo,

assai largo anch'esso e meritevole di studio, dei

testamenti satirici.
tira

un particolare atteggiamento della

sa-

popolare, che. per quanto risulta da questa ballata, in-

257
veste r usanza invalsa nei secoli XIII e
nelle

XIV

di

introdurre

disposizioni

testamentarie dei legati,

fossero

pure di

somme minime,

a favore delle varie chiese e dei singoli con-

venti del luogo; n v' quasi testamento di quel

tempo che

non contempli, come

nella nostra satira,

conventi dei fran-

cescani e dei domenicani, degli eremitani e dei serviti:

LXXXVII.
Io vo' far[e] testamento,

testamento eh' io vo' fare, z ch[e] eo si vo' lasare.

Vescovato de lo prato, eh' i ri[n]segna de cantare ca so' ati ad imparare. Io Io lasso ai frari Menori i mei guai e i mei dolori, se de quei non ano asai,
Io lasso a l[o]
li

mei

grilli

vo' far.

II

s'aradopiano
Io lascio la

li

guai. Io vo'.

15

mia fia cara al monester de santa Clara et se non li piace de stare in quelo vada a stare a l[o] bordelo. Testamento L'altra mia figliattina
laso a santa

Catarina,

ch'ella stia nel

monestero
Testa[mento].

19

fazza stento e vitopero.


[Io] lasso a
la

mona Mozza

mia galina chioza,


Testa[niento].

et se la fa di polzini

23

sian[o] dati ai fra Hermini.

Io lasso ai fra di Servi

cinque liepre e doi cervi,


eh'
i

no'

toca colle

mane
Testamento
etc.

27
Il

li

piglia colli cani.

testo di questa ballata satirica


si

ha un carattere spiccata-

mente popolare, che

rivela nella novit dell'invenzione;

come

in quei grilli lasciati ai canonici del

Duomo

per farne
presi dai

dei cantori, in quei cervi e lepri che


Casini, Studi
di

non saranno mai

poesia antica.

17.

258
padri serviti: e un po' anche nella grossolanit della concezione realistica per quelle figliuole destinate indifferentemente,
e spesso infatti era la stessa cosa, al monastero o al bordello. N meno popolare il carattere del metro, poich in questa
ballata

lunga trasmissione orale,


il

prodottesi forse in una dobbiamo riconoscere l'ottonario, verso prediletto della musa popolare antica.^ Segue, a conclusione del repertorio, un altro gruppo di
le alterazioni

non ostante

ballate

d'amore su motivi
della

svariati,

mescolate con alquante,


:

dir cosi, di costume e d'occasione

tra tutte pi notevoli la

donna abbandonata dall'amante, con forti accenni realistici, compreso quello delle feste di non so qual citt interrotte per la morte Bonifazio IX nel 1403 la XCVIII coi consigli della madre alla figliuola che va a marito e la C, che uno dei pochissimi esempi superstiti della poesia studentesca, poich evidentemente fu composta da uno scolaro, forse dell'universit di Bologna, per lusingare
;

XCIV, lamento

a suo profitto qualche prudente sposina o qualche allegra vedovella.^

LXXXVIII.
de Pochi mei vago dilecto, pi te guardo pi te so' sozeto. Se mai piet avesti de persona, ahi piet de me, viso rosato

Amor

com

verso alla giusta misura con piccome l dove il ms. ha V. 9 li mei dolori, io et se, 15 ad astare, 19 et /azza, 26 li loca. Pi difficile da ridurre il v. 14, forse da 1. se no' i piace stare in quelo ; e nel v. 13 si faceva probabilmente, cantando,
*

Ho

qua e

ricondotto

il

cole aggiunte o con qualche emendazione,

l'elisione della vocale iniziale.


"

Alla poesia universitaria bolognese appartiene assai prola ballata lo stesso

LXXVI, e forse anche la LXIII, le quali sistema metrico dalla ballata C ripresa x.y.y. x stanza a. b, a. b ; b. e. e. x. Noto, a tale proposito, che questo schema quasi identico (se ne scosta solo nella disposizione delle rime della ripresa) a quello di una ballata popolare bolognese
babilmente

hanno

delle pi

antiche, anteriore

rime

ecc., n. 44, e Opere,

al 1282 (Carducci, Intorno alcune XVIII, 249).

259
se fose re, io te poria corona
in

alegreza et in perfeto stato

de quel eh' io poso so' aparechiato, vu a comandare e mi servir constreto. Amor el dolze sguardo e l[o] piacere m' si ligato che fuzir non posso non dileto, se no' de vedere vostra benignit che m' percosso
:

-osso i6

pensando neI[o] to benigno aspeto. Se mai la vita te far dimora, non mirar mai altro viso voi sete bela sopra onne figura co' l'ochi adorna e co' l[o] dolce riso:
. . .

24

parme vedere el sancto quando riguardo a vui,


Giacio
poi
la

paradiso,
chiarito spechio.

nocte et sogno de dormire

infra le bracie tue, zilio

amoroso

me

resveglio con dolci sospiri,


le

strengo
tanto

bracia e non nula cosa,


-iri
;

30

gionge una pena doliosa che l'anema se parte da l[o] peto. Dolce speranza mia, siate piatosa, da po' ch'io v'amo con tanto fervore;

me

non
in

te mostrar[e] tanto desdegnosa verso me che son to servidore che in fra l'amanti non amadore
:

c'ama soa dopna de

si

grande

affeto.^

LXXXIX.
Con
dolci

mei

sospiri
;

chiamoti, amor, merc


no' so veder perch
tu m'ai lassato senza

mio

falire.

la

^ l\ m, ha V. 8 a ini servir, 9 e/ vago piacere, 12 la vostra, 22 collochi, 25 spno de dorm., ^2 daspo, 34 de me, 36 cosi grande. Un'altra ballata nel cod. trevisano, Gian, loc. cit., p. 34-35,

quale ha

comune con questa


1-6;

nostra la forma metrica e le paresto


si

role dei vv.

ma

in tutto

il

dimostra per un

rifaci-

mento.

zo
Amor, con
io

bel piasere

12

20

senpre t' servito, con dolce ben volere fedelmente seguito ora i preso un partito per farme pi dispeto d'altrui prendi dileto, abandonando mi con gran martiri. Recordar te dovresti del primo avegnimento, nel qual me prometesti fede con sagramento e mo a tradimento tu m'ai abandonato, ay lasso suenturato che senza colpa me conven morire. La tua dolce natura
:
; ;

piasevol e graciosa,
l'angelica figura

grata et amorosa
osita venenosa,

amara pi ca

fele

com serpe
28

crudele senza alguna piata me

fai

languire.

Do,
tu

me

credeva star[e]
del to orto
;

nel

mezo

me

solevi dare
:

alcun dolze conforto

or m'i cazzato a torto

36

de fuora del to amor[e] me, questo dolore con grave pena tu me fai dolce mia balata, va senza far dimora a la persona ingrata, che d'amor me devora e di che seria ora e tempo de far pace,
;

oi

sentire.

44

ma con amor verace ad ogne segnor ben non se p


:

servire.

Con

dolci etc.^

Il

ms. ha

V.

13

doneresti,

23 e Vang., 39 a quella per-

sotia.

201

xc.

relucente stella,

che rendi gran splendore,


-ofe

4
-ai

-ella.

el to viso clarito,

12

tanto me innamorai de ti zio fiorito che per nesun partito me posso consolare, se non lasi basare [a] mi toa boca bella. Como rosa vermeia
porti lo labro belo

e soto la sua cegla


i l'ochio

ladroncelo,
el

che quando

vezo in quello

me
2o

fa

tanto languire

per

che parme de morire ti, o zovencella.


el

Quando riguardo
tanto
fin

pieto

de questa luce pura

me

fa

esser beato

sta nobel creatura,

ser

58

che vita me dura servo fidele, cercando el dolce mele de questa lizadrella.
i

Mai non

porr[i]a contare,

donna, le toe belleze, n con lengua parlar[e]


le

toe piasevoleze,

tant' le toe dolzeze

che trapasa el mio core vezando ti bel fiore,


36
per

ti el mio cor s'apella. Venus, dio d'amore, pregote piamente che col to gran fervore

202
vadi amantenente

44

a quella eh io so seruente, pregandola con tuto che me consenta fruto de soa dolce ramela. Vanni, ballata, cara da mia parte cantando a quella luce clara per cui muoro penando e di' che suspirando
;

senpre chiamo
socori a l'ochi

oi mei mei

52

c'arde corno fasella.

etc.

finis.

XCI.
Dileto che no' spero d'aver mai [da] poi che Ti [e] per vilt lasai.

Una

cerveta davanti m'aparsi,


in

Gazando per amor


pigliar la volsi,
si

un boscheto
:

bela mi parsi.
tuto

Ella parlando col benigno aspeto

Lasame andar a

mio

dileto,

14

che ancor per certo pigliar me porai . me lame[n]to che ebi el cor vile, si bela cerva eh' io lasai fuzire questo di casi un[o] de' mile avere el bene e noi saver lenire questo per certo noi poso desdire, unde mia vita regna in pena e in guai. Onde pregar vogl' io li cazadori, prenda la cazza quando po' pigliare chi el bon tenpo nesuno non dimori, che tosto vien ch'el somegliante apare
E'
:

[Dilato].

Dileto.

1 II ms. ha al v. 20 zonuencella, v. 51 allochi. segnata dai miei puntini manifesta per ragione del volta b. e. e. X. doveva corrispondere ad una ripresa x. V. 5 doveva suonare press 'a poco Da poi che io mirai cosa di simile.
:

La lacuna
metro
:

la
Il

y.y. x.

o qualche

203
questo dico per mi, so' in tanto afare che nessun bene speto aver zamai. Dileto.i

XCII.

Doi ochi vaghi me consuma el core, dolcemente fa' vista dam.ore. Tu volz: l'ochi presti con vageza, vezosamente fugi chi te mira tu me mostrasti una vaga beleza, elle l'anema fuor dal core me tira
si
; :

l'ochi vageti la

mente

sospira,
furi el core.

tanto

ei

lizadra che

me

14

20

Se io te miro con vista d'amore, non pensare ch'el sia per to dileto anzi ti sguardo con riso del core per darte mazor pena al to despeto se la posanza seguise a l'afeto, faria vendeta de ti traditore. Perch crudele invr de mi cotanto si' ragoiosa fiera con desdegno la mia vita se consuma in pianto, per le toe mane ben morir convegno de, vedi in prima, dona, se so' degno Doi ochi vaghi.* et poi m'alcide s'el t' pur onore Etc.
;
:
; :

xeni.
Perch
colli toi
fai

senbianti

nammorar
1

ciascuno,
a
e.

II

codice Magliabechiano XII, 1034,


:

60 b reca solo
chio lebbi
v.
i

la ripresa cosi

Diletto none ispero dauer


.

maj Da poi
. .

per

vilt lasciaj

Il

ella,

la p, 19 che 7 e lasame, 14 et son in tanto. ^ Il ms. ha v. 6 eia mi tira. anche nel cod. trevisano, CiAN, p. 38 con una corrispondenza continuata, non ostante le molte variet di lezione che non alterano il senso un caso
; :

ms. del repertorio ha in guai, 16 che prenda.

zamai, 6 et

molto caratteristico di due lezioni parallele dipendono dalla trasmissione orale.

in

cui

le diversit

264
iovenneta, sot'al bruno

gabe fai di tuti quanti. Dopna, questo non senno


[u]n alt[r]o abito riquesto,

risponder a ciascun segno tanto aperto e manifesto desir bite pi onesto poi che tu senti d'amor[e],
:

12

de voler un amadore e non prometer a tanti. Dal mercenaro al zentile


nula tu
fai

differenza;

mostrite a ciascun umile

con equal benivolenza et quando, tra lor sentenza, credon venir all[i] efeti,
:

tu

me

par che

ti

dileti

20

di stradar tucti l'amanti.

E non

so da che se mova che de te dicon pur bene e tu me despresi a pruova dov'el non
si

convene

28

grave pene, io te volo contare e dire [ma] tu no me vi odire, n vedermete davanti.^


[]

e s'el

me

XCIV.
d'un quadrello che m' passato el core, gito or se n' el mio amore ch'era si bello. Gito or se n' colui, che zorno e note gi mai non fina va trovarmi apreso a lui, de mia persona dileto pigliava esso me contentava
Ferita
;

mano.

versi 22-28 furono aggiunti


Il

ms. ha

v.

7 di risponder,

posteriormente da un'altra 15 ma tnostrandote a cia-

scun huniele, 16 com elgual, 18 ali efati.

205
de piaceri
IO
e

d'amore
core
si

me
Or
eh' io
so'

ferito el

co'

un

cortello.

Ferita.

lasa, sventurata,

ho perduto

bel

amadore

rimasta inganata,
si
!

ch'el se n' cito con

gran furore.

Lasa, quanto dolore


topina sventurata,
17

Che faranno

che pregna m' lasata quel donzelo. e' conpagnoni, i quai se fan chiamar Ciarmeli[t]ani, che n perduti e' caponi,
lepori, starni, pizoni e fasani
?

Ferita.

24

che farano e' lontani con lor[o] citadini, o signor bello. parenti con vecini, Maledico la morte
del nostro santo papa Bonifacio

Ferita.

che guasto questa corte, termino non o zia dato ni spacio

unde
31

el

mio cor
core

sie sacio
:

de' piaceri e d'amore

me

ferita el

con un cortelo.

Ferita ecc."

XCV.
Guerra m' fata per altrui mal dire, oi me, laso, e non per mio falire De, quanta m' noiosa questa guerra,
!

la

qual m' fata si crudel e forte preso m' '1 vostr'amor e '1 cuor mi ser[r]a per voi, madona mia, spero morte
: :

se

non m'aiuti e non


le to'

me

da' conforte,

ne

bracia spero di morire.

crudelt, de, quanto se' disesa nel cuor di questa


el

dona tanto cruda

vostro amor[e] m' preso la vista e '1 bel parlar, che fa vostra persona

II

ms. ha

V.

3 e 4

or gito,

io e 41

ed

ante,

11

lasa mi,

15

Or

lasa,

18 e 22

Or

che, 21 che anno,

24 con lor vec, 25

maled., 29 core.

266
in

doso

porti vestimenta

bruna

14

e per niente

Poi che sie

mi fase' morire. morto e non mi piangerete

20

con lagrime piatose dentro al core infra nui insieme non vi pentirete poi che fie morto el vostro servidore senpre v' apelato mia signora e non ve fali' mai al mio parere. finis. 1 Guerra m' fata.

XCVI.
Soto
viti

el

manto

scarlato

l'ochio vageto
al

per quella che s' trato Chi vedese la dona mia a Sancto Francesco stare dicendo avemarie

brun veleto.

domandando

gracia tale

cum
IO

gran suavitade laudando Dio vero la trata dello vello de si grant devocione.
si

Soto

[el

manto etc]

Si in
ella

prima la era bella, ben sete cotante

eia s' zirlandela

si

dei so' capilli volanti, nisun che se avanti

17

de averge una pi bela eia [se] muriria da despeto.


Per ne voio pregare
vui tute vedoelle

Soto

[el

manto

etc.].

24

che non dibiate portar[e] quel[le] brune gonelle che vui si' pi biasemate che l'altre vituperate [de] mustrar si una teta zuza
;

al peto.

Soto

el

manto etc*

ms. ha v. 5 vostra ani., 16 dentro dal, 19 per mia. Nel V. II manifestamente da 1. la vista m' presa e forse al v. 17 nui da ritenere un errore grafico per uui. 2 La lezione del ms. assai guasta, o almeno assai incerta si che ho dovuto trascrivere con qualche mutamento per man1

II

267

XCVII.

Da pu' che maridata sete, zoveneta vaga e bella, mai non spiero aver novela che per mi bona sia. Mai non spiero in questo mondo d'aver zoia n conforto, poi che maridata siti vui che ieri '1 mio deporto etc.

Da

pu',

O
12

me, non fu' acorto quando vui ve maiidasti, anco vui forte falasti che no' mei fese a sapere etc. Da pu'. E' me scuso a Dio e al mondo che non sapi mai niente
las'a

sino 16

quando e' fui sposata piacque a Dio e ai mie' parenti pensa mo, se fu' dolente
:

etc.

Da

pu'

de vederme a
stare

tal partito,

cum

l'anelo in dito
ti

20

arecordandome de

etc.

Da

pu'.

Si tu passi per la centrata,

cum za tu solevi fare, tu me olderave su stare


arecordandome de
tenere
ti.

etc.

Da

pu'

finis.

il senso e la forma metrica, che sembra di versi ottonari con un endecasillabo in fine della ripresa e di ogni stanza. Il ms. d al v. 3 che fatrata lo briifio, 4 la mia dona, 7 falle, io cum la irata, \^ si el fose nisuno che se 2> granda suucnitade, aventasse, 22 pero che vuy, 23 che lallrie, 24 al peto ustrasi una tetaquca. Guasto senza dubbio il v. io ove manca la rima finale

in -eto.
1 II ms. ha V. 3 daver, 8 lo mio, 9 e 17 Ho, 16 piaglielo. ed ay mie. Nei vv. 20 e 24 la sillaba iniziale si elide nella reMetricamente nel v. 21 forse da leggere St. citazione un esempio raro della stanza, che invece di avere la sua propria
. ;

volta, ripete la ripresa

nella seconda stanza probabilmente le e coppie vanno invertite disponendo i versi cosi 7, 8, 5, 6 qualche cosa di simile dovr farsi anche nella quarta, si che le due rime -enti: -ente cadano nel mezzo.
:

268

XCVIII.
Poi che sei zonta fa mia, che tu
al
si'

ponto,
sposa,

vrdate de non far cossa che despiaza al to marito. Quando '1 vidi corozato
e tu allegra no'
li

stare

se tu lo vedesse

[.

are]

cun
fa,

fano molto speso, no' li stare apresso,


el

12

fin ch'el

corozo no' ezito.

Quando
no'
li

a noz'e festa vai,


star

melinconosa

tuo'to luogo, ben lo sai,

stame allegra e onesta sposa ben sopra ogni cossa del manzar trop'o del bere,
fa
fia,

tenpralo al to volere

2o

chi no' las' se isgranito.


Fia,

no'
fia,

cun questa zente vile far tropa demoranza i

mostrate signorile segondo la to posanza fia, pia una si fata usanza che to mari[to] contenti,
;

cun
28

fa[n]ti e

cun sazenti

senpre sta cun cuor ardito.

Quando
fia,

tu va' in giesa,
;

el cuor divoto a dio quela sancta scuola no' li aver altro disio fia, ancora priego mio,
tie'

int[r]e

;'

Io

non perir' in ogna parte, ben far te sia una arte

36
^

ch'el te sera in cielo salito.^

Il

principio di questa ballata riferito

zioni osservabili in

una

frottola di F.

con alcune mutaVannocci pubblicata dal

209

XCIX.
De, min aver
tanti amanti,

dona mia,

cli'el

non

t'

onore:

ama
4

mi, to servitore,

sopra i altri tut quanti. Pu' che to servo son fato


[e'

no' volli] mai 'n

amore
'1

altra ca te a nisun pato,

ch'e' t'

d l'anima e
rosa fiorita

cuore

de, trame de tanto erore


tu,

che

si'

de, conforta a la
12

mia

vita,

preso m'i coi to sembianti etc. De, nun. Li senbiant tuo' lizadri,

m'
Io

cosi preso e ligato,

co' le belle

membra

squasi

mio cuor

tu m'' furato:

to bel visso anzelicato

m'a' comeso 20

in to' balia;

priego te speranza mia,

De tormento

mie' lamenti no' sia[n] tanti etc. De, nup. m'i co. iso
. .

de pena e de gran torto anzola de paradiso,


per Dio,

dame

conforto

28

vago diporto me contenti a la mia volia de, trame de pena e dolia, regraciando Dio coi sancti. De, nun.

ogne

to

finis.

dietro il trattato Delle rime volgari di A. da Tempo Il ms. ha v. 5 Quando vidi Bologna, Romagnoli, 1869, p. 335. lo to marito cor., 9 e se, 11 Jia levate e no, 12 infin, 21 zente de tetipio vile, 22 no li, 28 cun lo cor, 30 tien, 33 ancor ben e, 34 mai in, 36 cielo in salito. Al v. 20 da leggere forse isgradito. > 6 e noneuiti may I e 9 cotanti, 5 Da pu, Il ms. ha V. Jiamare, 7 altri ca to, 8 che e, 12 cum. y to, 15 t colo mio bete membro, 16 forato, 17 eljo, 19 spearanza, 20 ehe l imo lamento

Grion

no sia tanto, 21 may

cosso,

22 grani, 25

ogna

to bel, 27

de dolya,

270

e.

Done, non voi lasare


la

dolze

amor

di studenti,

12

20

sun ben cognosenti a doverve meritare. E [lo] so perfetto amore, donzele, senpre prende, che per certo al vostro cuore gran dileto sentire e, se ma' el vederete fresco com' fior su la rama, de, zascauna che non brama lo so dolze inamorare? Non tema le maridate visitarli cun bie' guardi, che a refar le sue inbasate illi non serano tardi e' d'amor zetano dardi cun le suo' dolze parole, che ai fati torna sole cun dileto de abrazare.
ch'eli
;
;

vui pianz, vedoele,

ochi senpre ride, che le vostre belle vageze i studenti alcide vui pare stele claride a cui
li

[cojsi

soto

vostri veli bianchi

prego che per vui non manchi


28
le

lezadro vagezare.
sia,

Per prego zaschauna de che condicion se


si

la

vuol prende[r] corona


lizadria

de amorosa

e cognoscer cortesia,

l'amor vostro de

[a]l

scolare,

28 con

li.

Non

so altrimenti

emendare
v.

il

v.
:

6,

anche mi sodisfa l'emendazione del


meglio.

15

altri

n il 20 e n veda se sa far
;

271
legnaselo molto caro

36

ch'el

vago a solazare.'

CI.
ti piaci, dame morte d che i martur son pi forte. F contento ne son che pi non poso levar la vita mia da tormento con le mie propie man pi volte moso per far l'animo tuo, dona, contento solo un desio me tien eh' io non consento Da poi. 8 speranza, che me toli da la morte. Como omo desperato lacrimando, quando lu[n]tan mi truovo da la morte, per vui, madona mia, vo suspirando col cuor trafito che da dola sento ne li ochi toi tu porti un foco ardente^ che me consuma ei cuor e dame morte. Da poi. 74

Da

poi che pur

morte

me

Zamai soto le stele non fu dona de cotanta belt spiatala e cruda de lucente cristalo una coIona, giazata e freda quando tu pozi nuda e' priego el fin amor che no' te studa
; :

20

de cotanta belt condurrne a morte.

Da

poi.

la luce del sol

ten anderai,

zenochion da mia parte


in

te

penerai

ai

piede

la saluterai
lei
i

che
26

mando

ben mile mercede

e digi ben che

che senza

lei

porto tanta fede non poso aver conforto.


utile
il

Da

poi che pur, etc.^


si

Sarebbe molto

fermare come e su quali fonti


tutti
i

formasse questo repertorio, che ha


letterarie e di canti popolari

caratteri

di

una

raccolta giullaresca, da servire cio a

un

recitatore di poesie

che girasse da un luogo ad un

altro col

suo istrumento musicale per buscare miseramente

^ Il ms. ha v. 2 de li st., 5 El se perfeto dolze am., io star per vuy fresco che fiore, 11 perche, 21 pianzete, 35 e tegn. 2 II ms. ha V. 2 li marturi, 11 in zenochioni ay pie te poneray al V. 18 forse da 1. quanto possi.
:

272
da vivere.

Ma

lo stato presente delle nostre


italiani, e

cognizioni

in-

torno agli antichi canzonieri


ov' rappresentata
la

specialmente di quelli
il

poesia di popolo o per

popolo, non

consente di fare una simile indagine. Troppa altra parte di


questa produzione giace ancora inedita o mal nota, e
i

ter-

mini
noti

di confronto ci

pochi relativamente

mancherebbero componimenti

assai

spesso,

essendo

del

nostro repertorio
si

anche per

altri

manoscritti. Quello che


gli
;

pu affermare
avuti

con sicurezza

che per molte ballate

esemplari

innanzi dal raccoglitore furono toscani

sia

perch pi par-

ticolarmente proprio della Toscana fu nel secolo


della canzone a baio che
si

XIV

il

tipo

svolge da una ripresa tetrastica


le

per stanze di otto versi/ sia perch


nel manoscritto
si

rime

false ricorrenti
alle

restituiscono quasi

sempre ricorrendo

corrispondenti forme toscane.

Non

tutte per altro le poesie,

che siamo venuti leggendo, sono di origine toscana, manifesta essendo per alcune la provenienza dalla valle padana
e pi probabilmente dalla regione emiliana.

Tra queste

ul-

time molto singolare

il

canto

narrativo

dell'uccisione di

Ottobuono Terzi signore di Reggio, che cosa del tutto locale e aliena dalla forma che qui si aspetterebbe del lamento,
tanto diffusa tra
il

XIV

il

XV
CU.

secolo

de la morte de misier Oto, da Rezo per andar a Rubiera Or diseva Gui' Torelo O' volete andar, signore ? Or diseva misier Oto E' volio andar a Rubiera [a Rubiera volio andare] a far pase con el Marchese . signore questa pase bona Or diseva Gui' Torelo or questa pase bona per andar in Toscana, per andar in Toscana a refrescar conpgnia. Quando fo dentro a le sbare, fermava so' penoni
chi voi oldir novale ch'el se parti
! :

<'

Si

vedano

gli

esempi

raccolti

dal

Carducci, nel
i

lib.

delle Cantilene e ballate, e specialmente

nn.

LXXXVII, XCI,

xciii-xcix, CI, CHI, cv, cxiii-cxv.

273
sovrazonzeva
el Sforza,
:

quel conpagnon armato.


Sforza, tu sei si forte
:

Or diseva misier Oto Or respondeva el Sforza Caz man a la spada,


che
l'
li

armato

son cosi usato ch'el avea al so galene,


Io

tai la testa

a quel falso traditore.

L' morto misier Oto, che iera nostro signore . morto misier Oto, le man al ciel levava El povolo da Rezo quel falso traditore E l' morto misier Oto, sera nostro signore . el marchese de Ferara

Le novele zonse

Rezo

La composizione
la

e la divulgazione di questo canto


:

cadono

entro limiti di tempo ben determinati


uccisione di Ottobuono a Rubiera per

il

27 maggio 1409 fu
dello Sforza con-

mano

una compagnia di cavalli ai servigi di Niccol III il d' Este marchese di Ferrara 29 giugno, dopo che anche Guido Torello conte di Guastalla ebbe abbandonato Iacopo Terzi succeduto al fratello Ottobuono nelle signorie di Parma
dottiero di
;

e di Reggio,

Reggiani
in

si

ribellarono e proclamato signore

Niccol

III

consegnarono

la citt

ad Uguccione Contrari, che


marchese.' Fu
i

ne prese
ribellione
in quel

possesso

nome

del

il

nostro

canto uno dei mezzi adoperati per disporre


?

Reggiani alla

molto probabile

ma

giugno del 1409,

in cui

certo esso fu composto Reggio vide compiersi in-

torno e dentro alle sue


menti.

mura

tanti e cosi inaspettati avveni-

il

canto fu raccolto quasi subito nel repertorio giul-

laresco, che fu

cisamente in

messo insieme in quel torno di tempo - e preReggio o nelle vicinanze. Ma dalla regione ci-

spadana

il

repertorio prese presto altro


in

cammino

e attraverso

l'Apennino pass
scrittevi per

Toscana

poich sopra una delle

sue

pagine, che era rimasta in bianco, tra altre composizioni tra-

mano

di copista settentrionale, un'altra

mano,

di

pochissimo tempo posteriore,

ma

certo fiorentina, aggiun-

1 Per tutti questi fatti basti rimandare a G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi, voi. III, pp. 84-92 ove sono citate le
;

fonti sincrone.
-

Leggesi

infatti nella e.

15 b cio, relativamente,

in

prin-

cipio della raccolta.


Casi.mi, Studi di poesia antica.

iS.

274
geva, intitolandola Villana, una canzone a ballo, assai graziosa e gentile, improntata della pi schietta toscanit.^

CHI.
Villana.
El dolze viso e gli tuoi biondi crini mi paron pur negli atti fiorentini.

2.

De, quanto che mi paiono costumati


or gli tuoi ochi
i

quai son tanto


si

belli,

e gli atti tuoi che son

vaghegiati,
:

8.

uom ne favelli non vanno a machia mai cosi stornelli quanto son gli tuo' modi pellegrini. Giorgina mia, eh' i' non me lo pensava che tante pene a lo cor tu mi dessi giorno e notte di te mi ricordava, pensando nelle braccia mi tenessi sarei tuo servo se mi promettessi,
de' quali pare che ogn'
;
:

14.

ch'ogni speranza in te posto in confini.

Giorgina mia, m'' 'namorato


del tuo bel viso, ch' tanto giocondo
;

ben mi posso certo tener beato


pi che altro

uomo che nato sia al mondo, che son certo ch'ogn'altro cacci al fondo se non me, che m'' dato gli ochi fini.
ricorda
le

Con
un paio
tri

questa ballata, che


il

pi belle di Franco

Sacchetti,

repertorio pass

dunque

in Toscana,

dove dopo
di

di secoli lo raccolse la

curiosit

erudita

Carlo

Strozzi: lo raccolse e lo salv dalla distruzione cui tanti alsimili canzonieri

andarono

soggetti, specialmente
alle

ebber dato qualche parte pi viva di s


lari del

dopo che stampe poposi


ri-

Cinquecento, ove riecheggiano tanti motivi e


antica

specchiano tante forme della nostra pi


popolo.
1

poesia di

nella e. 28

b,

tra

la ballata

LXX

una canzone che

com. Ardente flama.

275

Nota aggiunta.
Quando questo
ne rimase interrotta
verso di
di
colta,
scritto
la

apparve nel Propugnatore


il

ove poi

pubblicazione, aveva

titolo

un po'

di-

Due

aitichi repertori poetici ;

poich era mio proposito

dar notizia particolareggiata e saggi copiosi di un'altra racche , per cosi dire, l'antitesi del repertorio reggiano. Que-

sto infatti materiato di poesie popolari o popolareggianti,

con
;

qualche esempio di canzoni e sonetti di carattere letterario invece quello del codice Vaticano Regina 1973, da me studiato e in parte trascritto or sono venticinque anni, costituito di poesie letterarie, alle quali s' intramezzano qua e l composizioni dj
carattere popolaresco.
la voglia di

recare ad atto

vano, da poi
notizia,

La soppressione del Propugnatore mi tolse il quale ora sarebbe il mio proposito che l'egregio prof. Adolfo Cinquini, avvenutosi
;

anch'egli nel codice Vaticano Regina, ne ha dato una compiuta

pubblicandone

la

tavola e cospicui saggi, nei Classici e

neolatini, l'erudito periodico


lini (a.

aostano diretto dal prof. Silvio Pel;

V, 1909, pp. 121-128, 229-244


1912, pp. 1-38,

a.

a. VIZI,

121-152 e 364-378)

VII, 1911, pp. 373-386 la cessazione del


; ;

quale, avvenuta alla fine dello scorso anno, ha interrotto anche


la

pubblicazione dei testi inediti del Vaticano Regina. Auguriamo che sia ripresa e compiuta altrove, senza che passino tanti anni.^come accaduto per il mio repertorio giullaresco.

III.

LEGGENDA

POESIA FRANCESCANA

[Pubbl. nella Rivista d'Italia,

a.

1898, fase. 6].

Quando
letteraria,

si

incorniciasse tra noi a scrivere in poesia vol-

gare, con intendimenti pi o


tal

meno

determinati di fare opera


ri-

questione che forse non potr mai essere


si

soluta, chi

non

contenti di

accettare

un'indicazione

ap-

prossimativa che pu variare anche di qualche decennio. Date

non si debbono pretendere n assegnare, poich la evoluzione iniziale di qualsiasi forma letteraria in un periodo di origini per sua natura un fatto, il quale sfugge a quaprecise
intesa e fermata.

lunque determinazione cronologica che non sia largamente E i documenti della poesia italiana che sinora
si

son

fatti

passare

sono

in generale

molto sospetti

come appartenenti sospetti non


;

al

secolo XII

gi quanto alla

genuinit loro,
attribuite.

ma riguardo

alle date

ad

essi

congetturalmente

Cosi l'iscrizione metrica ferrarese del 1135 forse fu originariamente scritta in latino e poi ridotta in volgare
nell'occasione di qualche restauro del
i

Duomo

nel secolo XIII


il 1

versi bellunesi relativi a

un

fatto

accaduto tra

193 e

il

196 sono pi probabilmente un'esercitazione di chi trascrisse,

sia
il

pure non molti decenni di poi,


;

la

cronichetta latina ove


si

fatto era narrato

la

cantilena giullaresca, nella quale

creduto di trovare un'allusione a Galgano Inghirami vescovo


di Volterra dal 11 50 al

1171,

vuol

essere

meglio studiata
si

prima
vi fu
si

di accettarla

davvero come antichissima,

perch
1251,

un

altro

Galgano vescovo della stessa

citt fino al

perch

riletta

pi attentamente sul codice d parole e sensi

28o
ben
di

diversi

da

quelli

che

vi

furono riconosciuti

del contrasto
,

Cielo, delle rime

d'amore provenzaleggianti
il

dei

trattati

morali lombardi non

caso di parlare, parmi, perch nesal

suno

di cotesti

documenti pu aspirare

primato del tempo

nella storia della nostra poesia. Resterebbe


dei primi di data certa, o quasi,
il

dunque come uno

cantico delle creature di

Francesco d'Assisi, che se anche


lustro del secolo XIII.

fu

composto negli ultimi


all'

anni di vita del santo sarebbe da riferire

incirca al quinto

Se non che un

critico

italiano,

che congiunge

alla
il

pi

erudita dottrina la geniale eleganza dello scrivere,

Della
assai

Giovanna, ha recentemente combattuta, in due


famose laudes creaturariim quali a noi sono
dalla tradizione manoscritta francescana.

scritti

ricchi di osservazioni e di argomentazioni l'autenticit delle


state conservate

Le sue conclusioni,
elementi noti della

derivate dall'esame obbiettivo di


questione, furono le seguenti
:

tutti gli

Si sa che san Francesco ha

composto una lauda delle creature, come pure ne ha composte una intorno alla virt ed altre a Maria se poi la laude
;

delle creature fosse dettata in volgare, se in versi o in prosa

assonanzata, non
il

si

sa

si

ha quindi ragione

di dubitare

che

cantico volgare attribuito a san


:

Francesco non sia vera-

mente opera sua


dal considerarlo

in ogni
il

modo

la critica oculata,

ben lungi

come

pi antico

esempio

di poesia reli-

giosa popolare scritta in volgare, deve prudentemente collocarlo tra


i

documenti

di

dubbia autenticit, siccome

fattura

anteriore alla compilazione dello Speculimi perfectionis (che

forse dei primi anni del Trecento),


nella forma in cui
ci

ma

posteriore,

almeno

stato

tramandato,

alle pi antiche, fine del

leggende del Santo, e forse appartenente alla


gento. Pareva

Du-

dunque che

il

nome

di

san

Francesco doquali le

vesse quind' innanzi essere cancellato dalla storia della nostra


poesia; e ci poteva spiacere agli
spiriti gentili,

ai la

ragioni della critica sembrava che avessero tolta

vaghispi

sima

illusione,

per cui
l'

la

memoria

e la fede del Santo


al

popolare che abbia

Italia si

collegavano

primo

fiorire

della nostra poesia di popolo.

2I

Ma

a rinvigorire quella illusione, e darle anzi la forza di

convincimento scientificamente sicuro, venuto con un'opera di poderosa erudizione il pi illustre dei biografi di san Francesco, Paolo Sabatier: egli nel recente volume, che
di

primo

una nuova Collectioii de documents pouv Vhistoire religieuse et littraire du Moyen age S ci presenta una edizione critica dello Speculum perfectionis, nel quale fermamente ritiene di aver scoperto la leggenda antichissima di Francesco d'Assisi scritta da fra Leone, uno dei compagni del Santo, nel 1227, molto prima che Bonaventura da Bagnorea e Tommaso da
Celano eliminassero dalla biografia francescana
menti che dovevano pi tardi
contesa, in
rifiorire,

quegli

ele-

come strumenti

di

mano

de' propugnatori della pi stretta disciplina.

Non mi
batier,

sento di dar giudizio assoluto sulla scoperta del Sa-

la

quale viene a mettere sopra una nuova via


gli studi

le in-

dagini e
il

francescani

ma mi

par da escludere che


:

dotto scrittore sia caduto in una illusione

ch'egli adduce, tratti dalla metodica

gli argomenti comparazione dei testi

e de' codici, sono


tare
il

tali e tanti che non credo si possa rifiuconsenso alle sue conclusioni, se prima non sia dimostrata la fallacia dei suoi raffronti e dei suoi ragionamenti.

Di

modo che dobbiamo


non
si

riconoscere

come

allo stato presente


il

degli studi, e finch

sia altrimenti dimostrato

contrario,

non
di

possa negar fede e autorit di testimonianza storica

allo

primo ordine, per tutto ci che riguarda san Francesco, speculum perfectionis. Ora, in questo libro, che veramente improntato del
vita del
fa

sentimento tutto immediato della perfezione francescana, che

di

un inno continuato o ingenuo alla candidissima poesia, frate Leone ci


il

Santo piena
la

conoscere

genesi

famose laudes creaturarum che san Francesco chiamava cantico di frate Sole perch il sole
testo primitivo delle
,

la

pi bella tra le cose create e pi assomiglia al Signor nostro

che nella Scrittura detto Sol di giustizia. Egli racconta del


^

Speculum perfectionis seu


Paris, Fischbacher,

S. Francisci

assisiensis
edidit

legenda

antiquissina alidore fratre


iA.Tis.v.;

Leone, nunc primum

VAVhSh-

1898; in-S^, di pp. CCXIV-376.

2S2
singolare
le piante,

amore che aveva Francesco per


i

l'acqua, le pietre,

fiori,

riferendo aneddoti e abitudini del Santo e

le
il

sue raccomandazioni al frate ortolano di non coltivar tutto


terreno con sole erbe

mangerecce,
vi

ma

di lasciarne
le
i

una

parte perch al

tempo debito

crescessero

piante ver-

i loro fratelli, fiori, si che uomini vedendoli ne fossero eccitati a cantar le lodi della creazione. Cosi il Santo venne meditando le laudi del Si-

deggianti destinate a produrre


gli

gnore intorno
morte,

alle

cose create

a comporne

il

nucleo
la

principale (22 versi) fu occasione, due anni innanzi


la visione
il

sua
an-

apparsagli
far

che ebbe
le laudi,

pensiero di

San Damiano dei suoi compagni


in
:

allora

altrettanti

joculatores

Domini che andassero per il mondo a cantar come effettivamente sappiamo che fecero parecchi
di lui.

dopo
Cesco
frati,

la
le

morte

Ma

intanto, essendo
le

ammalato, Fran
gli facesse

cantava egli stesso e se


il

faceva ripetere dai suoi

perch

pensiero della divina lode

dimen-

ticare l'acerbit delle sue

pene e dei suoi mali. Frate Leone,


onnipoteite boti Si-

che

riferisce la

famosa laude, Altissinm

gjiore,
i

nella sua forma definitiva di 33 versi, racconta

come

quattro versi del perdono fossero composti


il

quando Franil

cesco seppe del dissidio sorto tra


Assisi, e attesta

vescovo e
al

podest di
il

ancora come presso


si

termine suo

Santo

aggiungesse a quella laude, e


e da frate Angelo,
rella
le le

facesse cantare

da esso Leone

strofe finali

per nostra corporal sol'ultimo suo saluto

morte, con

quali

disse quasi

alla terra.

minute di frate Leone una voce sincera, a simulare Sa quale mal sarebbe riuscita l'abilit di un falsario. Ma io chiedo licenza di aggiungere una osservazione, non fatta sinora, la quale dovr pur aver qualche peso nella controversia. Dato anche, ma non concesso, che lo Speculuvi perfectionis fosse quella tarda impostura che si creduto, mai possibile imaginare che un falsario del secolo XIV, o della fine del XIII,

Le indicazioni

cosi precise e cosi

lasciano l'impressione di

per rifare a

modo suo

e in

volgare

le

laiides

creaturarum

avesse saputo foggiare una forma cosi rudemente primitiva.

283

quando

tutt'altri

esemplari

gli
le

si

offrivano nella poesia relidi

giosa gi passata a traverso

prove di Garzo e

lacopone

?
il

Al principio del Trecento, o anche


canto sacro
si si

alla fine del

Dugento,

era fissato ormai in una forma tipica, la quale

tenne tanto connaturata alla materia religiosa che, sebben

anche l'atteggiamento epico drammatico e in quel tempo la rielaborazione della prece francescana avrebbe assunta senza dubbio alcuno la costituzione metrica della vera laude, o ballata di argomento sacro, e pi probabilmente secondo uno di quelli schemi che troviamo nelle laudi cortonesi e nelle umbre. Invece il fratifosse essenzialmente lirica^ prese

cello raffazzonatore avrebbe, in servigio dei suoi fini settari,

dovuto

fare

uno studio
ai

critico,

come potrebbe un

erudito dei
;

di nostri,

sulle evoluzioni metriche

della poesia volgare


la lauda-ballata era

riconosciuto che

tempi del Santo

an-

cora ignota,

ma

allora e poi sin verso la


il

met

del secolo XIII


il

avevano tenuto
ternario (citer
frasi

campo

della poesia popolare

distico e

il

un esempio cronologicamente

certo, la para-

bolognese del pater noster, gi


posteri gli bisognava
si

trascritta in

un codice
i

datato del 1279), avrebbe pensato che a ingannare

contemanzi

poranei e

rifar

quel

tipo;

per

dargli miglior colorito arcaico,

sarebbe accorto esser opinsieme piuttosto con

portuno che molti versi

si

legassero

una assonanza che con

la

rima

perfetta,

perch

le

assonanze

anch'esse erano pi frequenti nella poesia popolare del Du-

gento che in quella del Trecento.


Finalmente, poich tutto questo non sarebbe parso sufficiente,
il

povero

fraticello

avrebbe anche pensato che, se

la costituzione ritmica e

metrica dell'endecasillabo e del set-

tenario ai di suoi era rigidamente disciplinata da leggi certe,


ci

non
;

si

sarebbe potuto pretendere nei tempi di san Fran-

cesco

e per a dar carattere di autenticit alla

sua

falsifi-

cazione, pi che dei settenari e degli endecasillabi veri, avrebbe


foggiati dei periodi di prosa ritmica e assonante pi o

meno
tra

lunghi,

si

che ne uscisse un qualche cosa


la

di

mezzo
egli

la

forma legata del verso e


sarebbesi arrestata
l'

forma

sciolta della prosa.


;

qui

industria del fraticello

ma

con pa-

204
ziente indagine avrebbe

dovuto ricercare

le

cronache,

per

leggere in quella di Riccardo da San


girasse le terre del
al

Germano come
i

nel 1233

frate minore, o almeno vestito convocando popoli al suono di un corno insegnava a cantare una lauda di beneizione

Regno un

modo

dei minori, che

Benedictu laudata et glorificatu Benedictu laudatu et glorificatu

lu
lu

Patre,
fillu

ecc. ecc.

la quale contemporaneamente, come gli attestava Salimbene da Parma, era divulgata all' Italia superiore da un altro giullare di Dio. Benedetto dalla Cornetta, non ascritto ad alcuna particolar religione, dice il cronista, ma assai amico dei frati minori, e anch'egli concionatore di popoli, non pi al suono del corno, ma di una tromba metallica. Il redattore, chiamiamolo cosi, delle laudi delle creature,

trovati in tal

modo

gli

elementi dissimulatori del falso,

sa-

rebbe proceduto adunque all'opera sua con una cosciente

preoccupazione d'imitare nella forma metrica generale, nella


tecnica del verso, nella mossa e negli atteggiamenti della parola quella che
la
i

critici

futuri

avrebbero riconosciuta come


;

poesia religiosa pi prossima all'et di san Francesco

cosi

avrebbe rinunciato a valersi del mezzo pi usuale e sponproprio


giuoco.

taneo, e pi corrente ai suoi tempi, della lauda-ballata, per-

ch con questo mezzo avrebbe scoperto

il

Vero che

altri

meno

abili di lui ci rimasero, e delle altre


si

poesie francescane, di quelle che

ristamparono tante volte

come

Cantici di san Francesco, la critica degli eruditi anche

vecchi fece presto ad accorgersi ch'erano composizioni tarde su motivi antichi.

Ma un

cosi fatto miracolo di fraticello falsificatore l'amico

Della Giovanna mi consentir facilmente

non

potersi

imaan-

ginare vissuto mai

e se egli ci mi consenta, risorger in

me
che

la

credenza

alla

genuinit delle

laidi delle creature,

all'

infuori della scoperta del Sabatier, la quale chiudela

rebbe definitivamente
esplicita e

questione con la testimonianza pi


desiderata

pi autorevole che possa mai essersi


letteraria.

in

una di.scussione

Desormais

il

n'y a plus place

285
le moindre doute , dice a questo proposito il Sabatier non sar abbattuto, che mi par difficile, tutto l'edifizio da lui studiosamente elevato in questo volume, se non sar

pour
e se

dimostrato cio che la restituzione dello SpecuLuvi perfectionis

a
le

frate

Leone

sia l'effetto di

un inganno o
fatto

di

una

illusione,

parole del geniale biografo di san


la

Francesco resteranno

come

constatazione
ritoglier

di

un

accertato.

Ma

se

anche
storia

dovessimo

fede

alla

narrazione di
di

questa

francescana, se dovessimo
sospette e settarie,

nuovo tra le fonti rimarrebbero pur sempre fortissime ragioni


relegarla
il

per credere alla genuina origine del cantico del sole, quale
lo

leggiamo, su per gi

medesimo,

in tutta la

sua svariata
canori-

tradizione manoscritta. Cosi par da concludere che la


cellazione del

nome

di

san Francesco dalla storia delle

gini della poesia italiana sarebbe adesso arbitraria e prematura.

IV.

APPUNTI SU GINO DA PISTOIA

[Il

n.
il

fu

pubbl. nel Propugnatore, N. S. voi.

I,

parte

I,

a.

1888;

n. II, nel Giornale di filologia


voi.
II,

romanza

diretto

da E.

Monaci,

a. 1883.]

I.

Nuovi documenti biografici. mono-

Dopo che

L. Chiappelli ebbe pubblicata la bella di

grafia su la vita e le opei-e giuridiche

Cino da Pistoia}
gli

parecchi studiosi ricercando qua e l per


la

archivi ebbero

ventura d' imbattersi in


dell'attivit del

altri

notevoli documenti delle virelativi


i

cende e
lari

maestro di Bartolo,

pi al

suo insegnamento o
ripetentisi di

alla

sua operosit professionale, singo-

alcuni perch correggevano errori o inesattezze vecchie,

mano in mano e di libro in libro, non ostante maggiore accuratezza delle indagini. Dei quali documenti parmi opportuno il dare notizia nell 'accingermi a mettere in
la

luce alcuni
tura

altri,

del tutto sconosciuti e inediti, che la ven-

mi pose
altri

fra

mano

nel passato

anno,

facendo ricerche

per
sit,
I

studi in

una biblioteca tanto

ricca di belle prezio-

quanto trascurata dai nostri


biografi di
al

eruditi. in patria

Cino non recano del suo ritorno


13 19
;

documenti anteriori
testa la presenza
di

ma

il

dott.

G.

Papaleoni ha
ci

trovato e pubblicato un atto del 18

maggio 1318 che Cino da Pistoia a quel tempo


Battaglieri,

at-

un

consulto legale, reso a istanza di Simone


tore dei dazii del

esat-

comune

pistoiese,

in

una vertenza insorta

per ragioni di collette tra cotesto officiale e


di

monna

Fiorina

Giovanni Ciappetta
Pistoia, Bracali,

e giudica che la

donna non possa

1881;

Casini, Studi di poesia antica.

19.

2QO
esser molestata n tenuta a pagare sulla sua dote le collette

imposte gi
allibrata

ai genitori di

lei,

quod causa
al

dotis

est

anti-

quior et quod dieta domina Fiorina


:

per se est principalis


parere del giu-

la

sentenza seguit conforme

reconsulto.^ Cosi siamo certi che Gino nel 1318 era in patria
;

contro l'affermazione dei suoi biografi che lo fanno

let-

tore,

per quell'anno e per

seguenti

sino

al

'20,

in

Trel'in-

viso.

E come

ricavassero l'erronea data del 1318 per

segnamento trivigiano di Gino mi agevole chiarire, per una preziosa indicazione datami dall'egregio dott. Oddone il quale mi avverte che il documento cui si riferiZenatti
;

sce

il

Tiraboschi- per affermare che in quell'anno

furono

eletti

a leggere in quello studio pe' tre anni seguenti Uberto


in Bolo-

da Gremona e Virgilio Foscarari, allora professori


gna, e Niccol de' Rossi trivigiano,
Pistoia,
e
il

celebre

Gino da
della

documento non saputo

rintracciare dai biografi del

pistoiese, si legge a

stampa da un secolo nella Storia

Marca
gerlo

trevigiana e veronese di Giambattista Verci.^

a leg-

si

vede chiaro che

nel Gonsiglio dei trecento di Tre-

viso furono proposte due coppie di dottori per scegliere un

professore per la letteratura ordinaria e uno per la straordinaria


:

che a quest' ultima cattedra Gino da Pistoia


e che la scelta

fu

propo-

sto insieme col trevisano Niccol

anch'egli

De Rossi, dottore e rimatore cadde sul De Rossi, il quale ebbe a


concittadini,

favore centosessantotto voti di suoi


pistoiese, o

mentre

il

meno

noto o non procacciante, ne raccolse

soli

novantacinque.*
^

G. Papaleoni, Ui nuovo documento di C. da Pistoia nella


ital., a.

Rivista critica della letter.


tica.
2

1880, n.

i.

L'atto tra le carte

pistoiesi del R. Archivio di Stato di Firenze, sezione

diploma-

Storia della

leti,

ital.,
t.

tomo V,
p.
66).

lib.

I,

capo

III,

|.

XIV
nu-

(2^ ed.,
3

Modena

1789,

V,

Voi. Vili, p.

142 dei

documenti,

tra

quali

ha

il

mero DCCCXCVIII.
*

Anno

1318, 2 agosto. Elezione di Lettori pella Universit di

Trivigi, tratta dal

Cod. documenti

Trivio:iani

Co

Scotti N. 6

291

il

Era creduto per una notizia data da Scipione Ammirato giovine che nel 1334 Cino da Pistoia fosse stato condotto
vero provisio
In Christi
in diete Consilio corani dicto

Infrascripta

domino
pro-

Pot. lecta et vulgarizzata fuit per

me

Not. infrascriptum, cuius


est

tenor

talis est

nomine amen, Hec


Antianorum
et

quedam

visio facta per certos sapientes et supragastaldiones electos per

Curiam domini
Tar[vixii],

potestatls,

Consulum Comunis
scripte per Guipot.

ex vigore reformationis Consilii

CCC

donem

lacobi de Marostica not. tane domini

super elec;

tionem Doctorum ordinariorum et extraordinariorum fienda nam habita de [hac re] atione et colatione cum pluribur Doctoribus luris Civilis tam Bononie quam alibi, tam de modo eligendi quam etiam de eorum salario, secundum formam diete reformationis, decem ex eis presentibus duobus tamen absentibus legitime citatis, eligerunt ad lecturam ordinarium in mane in civit[ale] Tar[vixii], videlicet dominum U[s]bertum de Cremona doctorem utriusque juris legentem Bononie cum salario CCXXV florenorum auri in anno, usque ad tres annos prox. vent. incipiendo a festo S. Luce proxime venturo, et dominum Vigilium de Foscarariis de Bononia doctorem luris legentem Bononie cum Salario CCCCC librar, den. par. in anno usque ad dictum terminum trium annorum incipiendo ad dictum festum S. Luce venturi. Qui vero duo doctores debent balotari in Consilio CCC et
cadere in unum, et qui plures ballottas habuerit erit primus, secundum formam diete reformationis. Item elegerunt duos Doctores ad lecturam extraordinariam post
videlicet
luris

nonam in Civit. Tar[vixii], dominum Nicolaum de Rubeis de Tar[vixio] doctorem cum salario CCCCC librarum denariorum parvorum in anno
tres annor

usque ad
luris

prox. vent. et

dominum Cinum de

proxime venturos incipiendo a festo S. Luce Pistorio doctorem utriusque

ad dictam lecturam extraordinariam

cum

salario

CCCC

li-

brarum denariorum parvorum in anno usque ad dictum terminum trium annorum, incipiendo ad dictum festum S. Luce prox. vent. Qui vero Doctores debent ballotari in predicto Consilio CCC et cadere in unum, et qui plures ballotas habuerit erit primus secundum forman diete reformationis. Unde posito partito per dictum dominum Pot., exequendo formam diete provisionis et secundum formam ipsius ad bux. et ballot. hoc modo, quod videlicet illi consiliari! in dicto Consilio existentes, qui volunt dictum dominum Usbertum et eis placet ponant ball, suas

292
a leggere in Firenze
tini e
:^ un documento scoperto dal sig. P. San. egregiamente illustrato- dimostrerebbe invece storico fiorentino prendesse abbaglio, e che l'anno

da

lui

che

lo

della condotta di
il

Santini,

Gino non vero


libri

fosse stato

il

1324.
il

Infatti,

ragiona
al '26,

ci

che asseriva

biografo pi rei

cente del pistoiese ch'egli leggesse in Siena dal 132

ha notizia solamente dei salari pagati a Gino dall'ottobre '21 al giugno '23, e poi dall'ottobre '24 al giugno del '26; cosi che nell' insegnamento
perch dai
di

Biccherna

si

senese del nostro giureconsulto fu un' interruzione d' un anno e pi, dal giugno '23 all'ottobre '24. Inoltre, prima del X334
(e,

aggiungo

io,

lo

confermano

documenti che ora


la

si

pub-

blicano qui) Gino aveva ricevuto

cittadinanza

fiorentina

ed era in Firenze ben conosciuto e stimato. Finalmente provato dai documenti pubblicati dal Gherardi,^ che in Firenze
tevole
tica
ci

fu, se non un vero e proprio Studio, certo un noraggruppamento di insegnamenti ofciali di gramma-

e di filosofia,
a)

di fisica e di leggi,

negli anni

che cor-

documento scoperto dal SanOra, tini un consulto reso agli ultimi giorni di giugno del 1324, per una questione insorta a proposito dell'elezione fatta di Azzo dei Manfredi da Reggio a podest di Firenze per il
sero dal J321
'24.
il

secondo semestre di quell'anno in primo luogo dal pistoiese,


in

il

consulto sottoscritto

il

quale

firmandosi

Ego

bux. albo, qui vero volunt dictum

dominum Egidium ponant


.
.

Item similiter posito dictum dominum pot. hoc modo, quod qui volunt dictum dominum Nicolaum de Rubeis et eis placet, ponant ball, suas in bux. albo, qui vero volunt dictum dominum Cinum ponant ball, suas in bux. lazuro reperte fuerunt in buxolo albo
in lazuro, reperte fuerunt
ball.

LXVI

partito per

CLXVIII
'

ballote, et in lazuro reperte fuerunt

XCV

ballote
di
S.

. il

Ist.

fiorentine di S.

Ammirato con V aggiunte


II,

A.

giovine; Firenze 1847, voi.


-

p. 264.

Di un documento

inedito di Citio

da Pistoia niV Archivio

storico italiano, a.
3

1884, serie 4^, voi.

XIV, pp.

18-34.

Statuti dell' univ. e studio fiorent. dell' a.

seguiti da un'appendice di doc.

MCCCLXXXVII, dal MCCCXX al MCCCCLXXII;

Firenze, Viesseux, 1881, pp.

no, 277-279.

293
Cinus da Pistorio consulo ut supra appare come
pilatore della

memoria

giuridica favorevole alla

comnomina del
il
:

podest in questione, e poi da Pace da Certaldo che dichiara


consulo
tri

una cum soprascripto domino Gino e con gli alche seguono ut supra scriptum est sine ulla interlinearasura vel cancellatione , e finalmente da Rinaldo Cada Alberto Rosoni e da Decco da Figline, anch'essi
e,
il

tura,
sini,

giureconsulti

Casini e

il

come messer Pace, da parecchi dunque da riferire la condotta

Rosoni almeno, dottori di legge, anni.^ All'anno 1324 sarebbe


notata dall'Ammirato, anche
si

perch in quei primi principi dello Studio

capisce che

il

comune
gliata

cercasse dottori grandi e famosi

(e

quello stesso anno,

o alcun tempo prima, furono chiamati a leggere Osberto Fo-

da Cremona e Andrea
altro

Ciafferi),

non gi
intorno

nel '34

quando

quel primo simulacro universitario era svanito.

Un
qui
i

insegnamento
i

di Cino,

al

quale furono
;

molto dubitosi

suoi biografi, quello di Napoli


oflciali

documenti

fermare e a chiarire
la

la

ma anche sono venuti in buon punto a concosa e il merito di aver disbrogliata


;

questione va a Giuseppe de Blasiis, autore della breve e

succosa memoria su Cino da Pistoia ne II' Universit di


poli} Mentre
il

Na-

pistoiese insegnava in Perugia


al '33,

(i

suoi biografi

dicono che fu dal 1326


incominci, egli
il

ma vedremo
:

che non vero)


15

ghibellino imperialista fierissimo, a strine


il

gere rapporti con la corte angioina

re Roberto,

il

agosto 1330, con suo diploma dato in Quisisana presso Gastellamare di Stabia, invitava Gino a recarsi a Napoli lettore
di leggi civili, dichiarando ch'egli era

molto desiderato dai


i

napoletani sui quali avrebbe


condia.

riversato

mieli della sua fae


:

Gino accolse certamente


le

l'invito,

si

rec a Napoli
il

per incominciare

sue lezioni nell'ottobre

durante

corso

dovette dare, richiestone da un vescovo, quel consulto circa


la validit di

una donazione

fatta

ad una donna di mala

vita,

Si

vedano

le notizie

raccolte in proposito dal .Santini, loc.


a. 1886, voi.

cit.,
2

pp. 22-23.

Arch. storico per le prov. napoL,

XI, pp. 149-150

201-

che ricordato da Baldo da Perugia


invidiose

*
;

ma
alle

disgustato dalle

quali accenna una notissima sua poesia,- fini il corso nell'estate del '31 e abbandon Napoli per sempre. E and di nuovo a Perugia, dicono i suoi biografi, dove per l' insegnamento dell'anno 1332 gli erano gi stati assegnati gli stipendi, uno per la lettura ordinaria di fiorini centosettantacinque, e uno per la straordinaria di fiorini trecentoquindici. Se non che sul ritorno di Gino Perugia gravi dubbi mi sono sorti in mente, studiando documenti nuovi da me trovati a Volterra, ai quali intanto necessario premettere una rapida
di giuristi e di

mene

giudici,

in

notizia del codice che

li

contiene.

Visse nella prima met del secolo


rano, ser Biagio di Giovanni,
nella matricola
il

XIV un
come
di

notaio volter-

quale

tale registrato

dei giudici

notai

Volterra

compilata

nel 1338 di seguito agli statuti


notarile di quella citt
:

novamente formati dal Gollegio

visse per lo pi in patria e vi mori,*


e vari offici nel suo

dopo aver sostenuto molti

comune

can-

celliere della Signoria e dei dodici difensori del

popolo vol-

terrano nel 1329, durante la podesteria di Gione di

Mino da
e

Siena
la

'
;

consigliere del suo

comune

nel 1334 e nel 1338 per

contrada di Borgo Santa Maria, dov'egli abitava,

pur

almeno per la seconda met dell'anno camerarms o camarlingo." Ma come tanti altri seri del suo tempo il nonel '34,
taio volterrano usci a cercar fortuna fuori delle patrie

mura,

Baldo, In

sec. Codicis
f.

partem Commentai'a,

lib.

IV, de con-

dici,
2
^

ob turp. caus.,

17.

Ed. Ciampi (Pistoia 1826), p. 157. Arch. comun. di Volterra, Stat. e mutrie dei Notai, f. 32." * Mortuus notato accanto al suo nome nella cit. matricola, di mano del solito cancelliere che intorno alla met del
.

secolo

XIV

pose

la stessa

nota accanto

ai

nomi

di

molti suoi

colleghi

X, quaderno 2, per me Blasium filium Johannis de Volterra dictorum dominorum duodecim scribani et officialem. Arch. comun. di Volterra, Delio., filza XII, passim.
^

Arch. comun.

di Volterra, Deliberazioni, filza

aprile- maggio

1329,

scriptus

*>

295

non and in signoria, come allora dicevasi, ossia a far da podest o da vicario in qualche gran citt o in piccoli castelli, ebbe e tenne onorevolmente l'officio di cancelliere a Pistoia nei primi tempi della dominazione fiorentina su quella citt riacquistata, com' noto, dopo la morte di Castruccio, sul principio del 1329 e riordinata con parvenza
e se
;

di libero

reggimento, conservandole

suoi anziani e

il

suo

gonfaloniere di giustizia,

ma

in sostanza sottomettendola al-

l'autorit della Signoria di Firenze.^ Ser Biagio


fu

da Volterra

adunque

cancelliere della citt di Pistoia per tutto l'anno


;

1332, e vi torn pi tardi

non

ben chiaro per quanto


pubblici e
d'affari suoi

tempo,

ma

v'era certamente nel 1339. Stando in quest'offi-

cio scrisse molte lettere d' interessi


privati in
in patria

un grosso
e

libro cartaceo, ch'egli certo riport seco

che dopo chi

sa quali

vicende

pervenne nel
tutte in

secolo scorso alla libreria Guarnacci in Volterra,


si

trova. ^

Le

lettere di ser Biagio

sono molte e
utile
:

dove ora gram-

matica, salvo quest' unica

che stimo

di

pubblicare a

saggio del volgare del notaio volterrano

scritta ad Accia-

iuolo Acciainoli, vicario del re Roberto in Prato ed estratto

poco tempo innanzi capitano


G. Villani, Cr., X, 131
;

di

Pistoia,^ e

se

ne pu

fer-

Istorie pistoiesi

pp. 232 e segg.

Marchionne Stefani,
Ist. fior.

Ist. fior., lib.

(Milano 1845), VII, rub.


II,

455

S.
;

Ammirato,
F. T.
;

(Firenze

1847^',

voi.

pp. 211 e

segg.

pp. 160 e
2

Perrens, Hist. de Florence (Parigi 1879), voi. IV, C. Guasti, / capitoli del comune di Firenze, I, 4. 169

Cod. LXIX,
:

moderna

sul foglio di guardia scritto di mano 9, 4 Epistolae [ser Blasii] Joannis ser Blasii notarli et
;

civis volaterrani conscriptae


civitatis Pistoriensis in annis

cancellarli

eiusdem

civitatis

tam nomine proprio quam nomine Domini 1342 ad 1353, quo tempore munere fungebatur ma l' indica;

zione degli anni erronea, n certo facile determinare

il

pe-

riodo di tempo cui appartengono


i

molte lettere di ser Biagio, perch nel rilegare fogli del codice dovette essere alterato l'ordine primitivo e in fondo alle lettere o manca la data o incompiuta. ^ Quest'Acciaiuolo, figlio di Nicola e padre di Nicola il gran siniscalco (cfr. M. Stefani, Ist. fior., lib. VIII, rub. 642), nole

29(>

mare facilmente
28 giugno e
sce ad affari del

la

data trovandosi tra due lettere,


1

Tuna
si

del

l'altra del

luglio 1339.

La

lettera

riferi-

comune

di Pistoia, circa la
:

nomina

dei ma-

gistrati e la pacificazione delle parti

Volendo mandare ad executione quello che-nne


et

scriveste
lettera
es[s]i
;

a bocca da vostra

parte

ci

disse

el

vostro chavalieri,
nell'altra

che

avemmo quelli xxviij cittadini guelfi, che vi mandammo si contengono, et alcuno

altro

con

e ivi avendo in nota tucti e' guelfi che sono stati all' uficio dell'anzianato dalla prima balia conceduta in qua e altri guelfi che credevamo che fossero degni a quello oficio, di

concordia deliberammo che tucti quelli ch'erano stati s' intendes|s]ero tra noi essere approbati e gl'altri tucti mectemo a secreto scruptino singolarmente e quelli che per le due parti almeno furono approvati el nostro chancellieri tucti gl' scripti non sapendo noi chi l' vinta o perduta e facendone a-llui fare copia per mandarla a voi suggellata, in quel mezzo, chome crediamo che fosse piacere di dio, avendo anello a consiglo quelli savi, fuvi per pi dette molte buone parole e finalm.ente che si ragionasse chon di questi paciari che in questi nostri fatti si prendesse via di pace e di concordia, e cosi chon quelli che stasera aviamo potuto avere fatto, e ellino molto benignamente e con dolci e buone parole e chiare anno risposto, di che tucti noi e chi 1' udi n'ebbe grande allegrezza, e siamo certi che anche voi n'averete ed allegrezza e honore. Per la qual cosa ambasciadori, e' quali avavamo electi per mandare domactina, non verra[n]no cosi tosto, per che intendiamo d'accompagnarli d'alquanti patiari, e' quali sono e sera[n]no chon noi un corpo e unitamente veranno a domandare nostro intendimento. Noi
;

nientemeno
cata di

vi

mano

mandiamo quella scripta suggellata e publidel nostro chancellieri, la quale vi piaccia tei

soli dell'Arte di

minato assai spesso nei documenti fiorentini, e appare tra conCalimala nel 1328 {Deliz. degli erud ., VII, 209)
tra
i

priori del 1332 e '34 {Del., XII,

8,

176), tra

gonfalonieri

di societ negli anni 1333, '36, '37 (Del., XII, 170, 208, 221), tra
i

dodici buoni uomini


.
i

nel

trimestre

XII, 241

In Pistoia era stato testimonio a un'atto relativo a


Cancellieri, nel 1309 (Del., X,
tra
i
;

marzo-maggio 1339 {Del., una

pace

tra

compreso
mori

fu gran guelfo e 174) banditi nella famosa sentenza di Arrigo VII del
;

fu lungo tempo vicario regio in Prato, e 1313 (Del., XI, 124) nell'officio nel 1340 {Ist. pisi., p. 296).

297
nere secreta e cosi suggellata iffine al venire de' nostri ambasciadori, e poi non manifestarla n mostralla a nessuno per che scandolo ne potrebbe nascere e che siate a' Signori nostri e preghiateli che in questi nostri facti soprasegano iffine al venire de' nostri ambasciatori/
;

Altre notizie del nostro ser Biagio e delle sue relazioni


private
altri

mi sarebbe agevole raccogliere dalle sue lettere e da documenti - ma allargherei senza opportunit questo
;

scritto,
Il

che ha un

fine pi preciso e determinato.^


ci

minutario del cancelliere pistoiese


importantissimi alla storia di
;

ha conservato,
alcuni
lettera degli

tra

altri

Pistoia,

notevoli

documenti su Gino
st di Firenze nel

primo

tra essi

una

An-

ziani e Gonfaloniere di Pistoia a Rinaldo

da

Staffoli,
la

podequale
di Pi-

primo semestre del 1332/ con


Al
f.

Cod.

cit.,

f.

31."

30^ una lettera del

comune

mensis Aprilis VII Ind. (1339), affinch egli permetta all'Acciaioli, suo vicario in Prato, di accettare l'ufficio di capitano di Pistoia; e al f. 32* un'altra delrs luglio per ringraziare il re d'aver concesso cotale permesso. 2 nominato il nostro ser Biagio anche in due lettere di Filippo Belforti (1319-1357), vescovo di Volterra le quali sono pubblicate nell'opera di A. F. Giachi, Saggio di ricerche storiche sopra lo stato antico e moderno di Volterra ; 2* ediz., Volterra,
stoia al re Roberto, data
;

XX^

Sborgi, 1887. p. 382.

Non voglio per altro, gi che ne ho l'occasione, lasciar di conoscere un documento, per pi rispetti notevole, intorno al celebre canonista bolognese Giovanni d'Andrea, che si legge Domini Johanni Andree. nel minutario di ser Biagio, f. 30^ Excelentissimo canonici iuris doctori domino Johanni An[dree] Anziani et Vexillifer lustitie populi civitatis Pistoni salutem et quidquid possunt servitii et honoris. Statutorum nostrorum censura iubente, omnes solutiones seu restitutiones, que occurrunt
^

far

quomodolibet fiende nostro communi, ipsius communis camerario fieri debent. Ex quo, si restitutionem illam florenorum XVIII auri, quos ille nobilis miles reservande memorie dominus Rolandinus iubsit restitu, fieri intenditur, expedit ut fiat camerario antedicto. Et sic vobis presentibus respondemus, ad cuncta vestra beneplacita semper prompti. Datum Pistorii, die

VI

'

Aprilis [1339] . Del. degli erud, tose, XVII,

109.

298
quel magistrato raccomanda a quest'officiale
la

causa d' un
l'eccellen-

cherico pistoiese accusato d'un maleficio, e io prega a dar


fede a ci che in proposito gli esporr a voce

uomo, signor Gino, degnissimo dottore di leggi, dei Sighibuldi, onorevole cittadino pistoiese. Ecco la lettera di raccomandazione, dove appare il nome del giureconsulto.
tissimo
militi domino Raynaldo de Staffulo, honorapotestati Civitatis Florentie, Anciani et Vexillifer lustitie Civitatis Pistorii salutem omni felicitate repletam. Que datur nobis ex nobilitate vestra securitas fiducialiter nos inducit ut eidem egregie nobilitati vestre, dum casus ingeritur et maxime in hiis que honestatem et iustitiam respiciant, preigitur ces notras cum singulari fiducia porrigamus. Benedictus vocatus Leste quondam ser Vitacchini clericus et in sacris ordinibus constitutus dilectus civis noster, cui pr sui suorumque potius meritorum retributione tenemur, sit in carceribns Communis Florentiae, pr quodam malleficio quod dictum fuit per eum fuisse commissum tempore Petri della Brancha, olim potestatis Civitatis Florentiae, nuperque pr parte cuiusdam ex vestris iudicibus malleficiorum fuerit citatus dictus Benedictus ut coram dicto ludici veniret, pro-

Strenuo

bili

Cum

cessurus super
dicti

eum tempore precamur quatenus, licet non indigere credamus, per vestram curiam contra dictum Benedictum clericum civem nostrum non fiat aliquid
inquisitionem contra

quamdam

domini

Petri formata,

Vos

affectuose

quatenus iura concedunt, sed suo iuridico luIn hiis insuper quae circa predicta honorabili Dominationi vestre horaculo vive vocis exponet excel lentissimus vir dominus Cinus, dignissimus doctor legum, de Sighibuldis, laudabilis civis noster, fidem dignemini credulam adhibere, et ea nostri gratia et amore efectualiter exaudire. Parati semper ad omnia vobis grata.
novitatis,
nisi

dici dimictatur.

Questa lettera di molto interesse, perch attesta che Gino nel primo semestre del 1332 era in Pistoia e quindi si recava a Firenze a trattare a viva voce aff'ari per il suo comune e cosi infirmata l'opinione dei biografi, che dicono
;

1 Cod. solamente

2^, preceduta e seguita da lettere senza data 4 e 5 sono lettere con data del giugno dell' in certo per altro, per il nome del dizione XV, cio del 1332 podest fiorentino, che la lettera del 1 semestre i33-ct.,
f.
:

ai

f.

299
aver egli letto in quell'anno in Perugia. Gli stanziamenti per
questo insegnamento
ci

sono

ma

bisogna credere che Gino,


rinunziasse
alla

gi innanzi negli anni e reduce da Napoli, dove aveva letto

senza

troppo suo sodisfacimento,

cattedra
To-

confermatagli e preferisse di restare nel dolce paese di


,

scana gentile daini stesso sospirato ardentemente poco tempo

prima/
se

e fermasse la sua stanza in Pistoia,

donde pot
e

re-

carsi spesso e

con meno disagio

in

Firenze,

fors'anche,

non

si

vuol negar fede alla testimonianza dell'Ammirato,


1334.
Il

esservi invitato a leggere nel

dubbio che Gino non


di

insegnasse nel 1332 in Perugia,


in

ma

rimanesse tutto quell'anno

Toscana, confermato da un altro gruppo

documenti consi ri-

servati nel minutario del notaio volterrano, tutti anch'essi del


'32, e

bisognevoli di qualche schiarimento storico, perch

connettono con un episodio della conquista fiorentina di Pistoia.

cadde
i

noto che nella guerra tra Firenze e Gastruccio, Pistoia


il

maggio 1325

in

mano

del tiranno lucchese, e che

Fiorentini tentarono inutilmente di recuperarla per pi anni.


nel 1328, racconta Giovanni Villani
-

Ma

all'

uscita di gen-

messo innanzi segretamente a messere Filippo di Sangineto, capitano di guerra per lo duca ^ rimaso in Firenze, per uno Baldo Gecchi e Iacopo di messer Braccio
naio, essendo

Bandini, guelfi usciti di Pistoia,


di Pistoia per imbolio e

come poteano avere


se
si

la citt
il

forza

volesse

assicurare,
.
.

detto messer Filippo cautamente intese al trattato.


coldi sera, di 27 gennaio, serrate le porte,
si

e meril

parti

detto

messer Filippo di Firenze con seicento uomini di cavallo di sua gente e non men seco nullo fiorentino, se non messer

messer Rosso della Tosa, che ordin il tratmesser Filippo. Di sorpresa FiHppo e Simone entrarono in Pistoia la mattina del 28 gennaio e ne caccia-

Simone

di

tato col detto

Nella poesia
Cr.,

cit.

(ed. Ciampi, p.

157).

X, 58. 3 Carlo duca di Calabria aveva abbandonato Firenze il 28 dicembre 1327, lasciandovi capitano Filippo di Sanguinei o Sanguineto, nobile calabrese di famiglia venuta di Francia cfr. PerRENs, Hist. de Florence, voi. IV, pp. 124, 125.
2
:

300
rono
di,
il

presidio di Castruccio

la

citt
la

tutta

fu

corsa e
di

rubata sanza nullo ritegno, e dur

ruberia pi

dieci

rubando guelfi e ghibellini, onde molto fu ripreso il capitano. L'anonimo autore delle Istorie pistoiesi dipinge con viva parola il memorabile fatto La gente di messer Fi:

lippo e l'altra forestaria tutta ch'erano in Pistoia comincia-

rono a rubare ed a pigliar uomini ed a farli ricomperare ed a sforzare femmine, e non vi rimase ghibellino n guelfo,
n bianco n nero che rubato non
tirono per paura, che
fosse,

e molti se
partiti
;

ne pare
tutto

non se ne sarebbono
tenne per
li

quello

tempo che

la terra si

Fiorentini,

non

si

fece altro che rubare, ed eziandio


lata

non

vi fue

persona regoperi-

che non fosse rubata

e pi volte fue la citt in

Lo danno che riceverono li Pistoiesi fue si grande che non si sarebbe potuto contare. Li Fiorentini di questo si mostravano dolenti ma per tutto ci non vi ripararono mai. Ed vero che vi mandarono messer Simone della Tosa per podest perch riparasse. Li Pistoiesi furono
colo d'ardere.
;

molto allegri della sua venuta,


stoiesi

perocch
;

egli

era de'
li

pi
Pi-

savi e de' pi leali cavalieri di Firenze

e credettono

che per

la

sua andata ogni male cessasse da loro. Lo


e se anzi
ch'egli
si

riparo suo fue che egli consentiva alla sua famiglia ch'ognuno

rubasse,

come faceano
si
;

gli altri

forestieri

entrasse ofcio vi

facea male,

dopo

la

sua venuta vi

facea

male e peggio e tanto di male vi si fece che Dio permise che poco tempo stesse a loro ubbidienza.^ Infatti Castruccio accorse con sue milizie, assedi la citt dal maggio all'agosto, e costrinse il presidio fiorentino, onde era capo messer Simone della Tosa."- a rendersi a patti, salve le persone, con ci che se ne potessono portare. La podesteria o capitanato pistoiese di .Simone della Tosa,
egli costituito in quell' uflcio

fosse

da Filippo da Sanguineto come

attesta

il

Villani d'accordo coi documenti, o

mandatovi dalla
Pistoia,
fu

Signoria di Firenze

come

dice

il

cronista di

di

Jst. pisi.,

p. 209.

G. Villani,

O-., X, 85.

30I
breve durata, dal principio di febbraio
del
al

principio d'agosto

1328;

sei

mesi, dei quali

Pistoiesi,

dovettero serbare

quel cattivo ricordo, che nelle pagine del loro istorico tra-

spare dalle parole roventi ch'egli scaglia contro


officiale.

il

malvagio
tristo

questo Simone doveva essere un assai

cattivo cittadino e procacciante

uomo, poich

tutte quasi le

testimonianze che

ci avanzano di lui nelle storie e nei documenti del tempo gittano sovra la sua figura una luce sinistra. Gi l'esempio della malvagit egli l'aveva avuto nel
;

padre, Rosso della Tosa


gliuoli,

il

quale morendo lasci

due

fi-

Simone
si

e Gottifredi,
i

che

dalla

parte

furono

fatti

cavalieri,

e chiamavansi

cavalieri del filatoio, per che e'


si

denari che

dierno loro,
^

toglieano alle povere feminelle

che filavano a filatoio.


sterie,

Da

giovine Simone esercit pode-

come
il

quella di Citt di Castello


;

dove

fu

nel

1307,

non sappiamo con quale fama


trovandosi

e in patria tratt le armi,


d'altri

suo nome e quello

Tosinghi nei ruoli


^

dei feditori alla battaglia di Montecatini del 13 15,


egli coi suoi,

ed ebbe,

lunghe contese con


della

la

famiglia degli Strozzi,

coi quali si pacific nel

13 17.* Pi vive discordie

ebbe

Si-

Tosa suo consorto, essendosi fatto capo di quelli che disamavano la signoria del re Ruberto ^ ed essendosi per audacia e astuzia fatto cosi potente da esser tenuto quasi signore della citt ^ e in queste discordie and
:

mone con Pino

tant'oltre che pi volte combatt, per odio al parente, partiti

che sarebbero

stati

giovevoli agl'interessi del comune.''

D. Compagni, Cr., Ili, 38. Arch. di Stato di Firenze, Consulte della

rep.,

VII,

e. 43,

del 4
^

marzo 1307.
Deliz. degli erud., XI, 211.

XI, 289, Cr., IX, 76; cfr. M. Stefani, lib. V, rub. 318. 6 lib. V, rub. 322, all'a. 1316 scrive: la setta di mass. Simone della Tosa era si grande che col bargello era al tutto signore della citt, e con loro teneano molti ghibellini
*

Deliz.

cit.,

G. Villani, M. Stefani,

ch'erano in Firenze e tutta gente che non facieno n arte n

mercanzia . ^ G. Villani, Cr., X, 135

M. Stefani,

lib.

VII, rub. 457.

302

Non deve

quindi far meraviglia ch'egli avesse spesso

offici

principali e incarichi d'importanza;

delegato a levare

al

fonte

come nel 1327, che fu battesimale in nome del comune


duca
di Calabria,
^
^ e nel 1329 del comune sindaco e

un
alla

figlio

nato in Firenze

al

che fu ambasciatore agli Ubaldini

pace di Montopoli tra


fu
il

le citt della

lega guelfa e Pisa.

maggiore autorit del tristo Simone ed egli si valse del momento opportuno per sollevare contro il comune di Pistoia una singolare questione era stato costituito podest di quella citt per un anno, ma le milizie di Castruccio l'avevano ricacciato a Firenze dopo
Questo
;

momento

della

soli sei

mesi di podesteria
il

Pistoia

strata la

pagasse adunque il comune di tempo rimanente avrebbe cosi dimosua gratitudine a chi aveva promosse e favorite,
;

salario del

invece di reprimerle, tutte


pistoiese.

le
si

ruberie accennate dall'anonimo


riferiscono molti documenti del
ri-

questa causa
;

minutario volterrano

ma

di essi a noi interessano, per

guardo a Gino,

seguenti:

Magnificis dominis dominis Prioribus Artium etc. Cum iura nostri Comunis, occasione questionis quam movet eidem dominus Simon della Tosa, ad instantiam egregii legum doctoris domini Cini vestri nostrique concivis, iuxta suarum licteraruni tenorem ad eum presentialiter trasmictamus ut iudicari et discerni possit in questione predicta, que iuri et equitati conveniant, vestre Magnificientie suplicamus quatenus placeat quod in facto ipso per Sex sapientes et officiales super biado non fiat aliquid novitatis, donec idem dominus Cinus nobis

respondeat de predictis. Simili modo scriptum est dominis Sex officialibus super biado in civitate Florentie*.

G. Villani,
Deliz.
cit.,
cit.,
f.

2 3 *

Cr., X, X, 249.

22.

Deliz.

XII, 306.
i^.

Cod.

cit.,

303

Prioribus Artium Florentiae pr parte Communis Pistorii per sapientes viros dominum lohannem Karet Vexillifero

Forma ambaxierie exponende dominis


lustitiae civitatis

Conradum domini Vinceguerrae et ser Conradum domini Marchi, ambaxiadores dicti Communis hec est. Inprimis, adsueta recomendatione praemissa, dicant et exponant preiatis dominis ambaxiatores predicti, qualiter nobilis et potens miles dominus Simon della Tosa iniuste et indebite gravavit et oppressit plurimum ab octo mensibus citra et nunc gravat et opprimit prefatum commune Pistorii pretextu residui salarii quod sibi debitum asserit, ab ipso commune Pistorii pr tempore [unius anni cum salario florenorum] Vili.'' auri, quo se asserit fuisse constitutum vicarium diete civitatis per dominum Phylippum de Sangineto nomine domini regis Roberti, ex eo quod dictus dominus Simon dicens se stetisse in dicto officio circa sex menses petit a dicto communi salarium integrum totius anni predicti et quod, dicto domino Simone vexante dieta occasione commune predictum, domini Priores Artium et Vexillifer lustitiae tunc temporis existentes, cognoscentes iniustam et inequam petitionem domini Simonis, imposuerunt eidem silentium ad instantiam communis Pistorii, qui dominus Simon cum predictorum dominorum successoribus procuravit quod ipsi successores, vigore balie custodie civitatis Pistorii actribute officio dominorum Priorum, comiserunt predictam quaestionem iamdicti salarii in dominos officiales biadi cilini,

vitatis

Florentiae, inscio et

non

citato

communi

predicto

Et quod dictis officialibus contra dictum Commune procedentibus de facto potius quam de iure, Commune Pistorii sequens voluntatem eorum et dicti domini Simonis, qui petebat diffiniri dictam questionem per iurisperitos, dicens se velie stare iuri, ipsam questionem, una cum dicto domino Simone, compromisit in sapientes viros et arbitros dominum Cinum de Sighibuldis, dominum Thomaxium de Corsinis, legum doctores, et dominum Vellium Buoniohannis de Pistorio
;

Et quod postquam fuit de iuribus diete quaestionis pluries disceptatum Inter dictos arbitros et partium advocatos, dominus Simon predictus negligit et recusat dictam questionem iuris terminari de iure, sed ad compositionem dampnosam dicto Communi nititur devenire Quare ambaxiadores predicti supplicent dominis preliba;

304
siderato

quatenus, consideratis predictis quae vera sunt, et conquod dominus Simon non fuit expulsus de cvitate Pistorii per pistorienses, vai eorum culpa, sed ipsa civitas fuit perdita sub dicto domino Simone, prout omnibus notum est, et considerato etiam quod per capitula pacis inite inter Communia Florentiae et Pistorii dictus dominus Simon compelli debet per ipsum Comunem Florentiae a dieta sua petitione desistere, et aliis consideratis quae ius et equitatem respiciant, placeat praedictis dominis et dignentur Communi
tis

Pistorii in predictis assistere et favere, ne huiusmodi iniuria sub tante paternitatis protectione vexetur, compellendo seu

compelli faciendo arbitros antedictos, ut commissionem predictam diffiniant infra tempus et terminum compromissi, vel aliis opportunis remediis sicut eorum paternitati videbitur
convenire.

Hec demum prolixitas patrum, quaesumus, non adgravet animos, quia necessaria nobis est, cum nuUus civis noster propter potentiam dicti domini Simonis audeat predicta et alia pr Communi nostro facientia enarrare.^

Excellentissimo viro domino Cino de Sighibuldis, legum dignissimo professori. Anziani et Vexillifer lustitie civitatis Pistorii placidam ad vota salutem. Ad utilitatem reipublice per vos semper impensa devotio laudabilium exibitione operum claruit evidentiss[im]e et nunc patet. Ecce, igitur, excellentie vestre receptis licteris et earum perpenso tenore,
illieo

sapientes nostros ad videnda iura nostri Communis in domini Simonis insimul tenuimus, que ad vos ut in eo videri et discerni possitis que iustitie et equifacto questionis

tati

conveniunt destinamus."

dis,

Excellentissimo legum doctori domino Cino de SighibulAnziani et Vexilliter lustitie civitatis Pistorii, salutem cunctis felicitationibus locuplettem. Quia vestra res agitur quotiens de negotiis civitatis nostre tractatur, non vobis suadere sed recolere intendimus que in questione domini Simoetenim sicut nis agenda existimant et cupiunt cives nostri
;

Cod. Cod.

cit., cit.,

f.

5"

dopo una

lettera del 12

giugno 1332.

f.

22^

305
vos patere confidimus, Commune nostrum questionem prefatam commisit confidentia vestri dumtaxat sperans indubie sub tali iudice non modo ius consequi sed favorem ob quod universi cives nostri mirantur de hiis quo presentialiter nobis scribunt domini Vellius et Johannes, videlicet quod vos et dominus Thomas videmini velie ipsam questionem per modum compositionis diffinire et non de iure tantum, prout ante commissionem predictam Communi nostro extitit intimatum, cum aliter commissioni non prebuisset assensum. Quare cum compositio credatur nostri Communi fortiter dampnosa, tam consideratione presentis negotii quam exempli aliis exibendi, excellentem sapientiam vestram affectuosi[ssiJmis precibus deprecamur quatenus insistere vobis placeat et velitis quod dieta questio iuris diffinitionem recipiat et non facti.
;

Nec vobis, quesumus, nimium sit molestum quod dominus Simon asserit vos nobis scrississe ipsum iustitiam non fovere, quia hoc, ut
satis

astutie vel scribentis

a veritate remotum, mendacio imputandum/

est

vel

eius

Da

questi

documenti appare manifesto che per tutto l'anno


si

1332 Cino ebbe una larga parte nella questione che


tava tra
il

agi-

comune

di Pistoia e
le

Simone

della

Tosa

che fu
e

chiamato, non pure a vedere


a darne consulto
(la

ragioni della sua

patria

qual

cosa avrebbe
la

potuto

fare

anche

da lontano),
insieme con
a
tal

si

bene a terminare

questione

come

arbitro,

Tommaso

Corsini e Veglio Buongiovanni, e che

fine tratt di

persona con Simone, ci che non avrebbe


quell'anno.

potuto fare se non in Firenze, donde non sappiamo che quel


tristo s'allontanasse in

Dopo

ci chi potr con-

tinuare a credere che nel 1332 Cino fosse lettore a Perugia?

II.

Di alcune rime attribuite a Cino da Pistoia.

rono

Dei rimatori toscani, che precedettero e si accompagnaal rinnovamento della lirica compiuto da Dante, Cino

da Pistoia fu dei pi fecondi, e di lui ci sono avanzate molte pi canzoni e sonetti e ballate che non di tutti insieme minori poeti del dolce stil nuovo. Queste rime ci
i

Cod

cit.,

f.

24^

Casini. Studi di poesia antica.

20.

3o6
sono
state conservate
il

da pi autorevoli manoscritti, dei quali


pubblicato dal Moeruditi

notevolissimo

chigiano L. VIII-305

naci e dal Molteni.^


poeti restituiti alla

Ma Gino
storia
il

da Pistoia non uno di quei


ricerche degli
si

dalle

mo-

derni, poich gi tutto

Cinquecento
Dante,
e

compiacque

di leg-

ger

le

rime dell'amico

di

gli

tribut l'onore di

quattro edizioni.

La prima
detto,

la rarissima delle

Canzoni di
yn.

Dante, madrigali del

madrigali di m. Gino et di

Gi-

rardo None Ilo ; Venezia, 15 18, e contiene solo due ballate,

mentre a quarantotto salgono


seconda, che
la

componimenti

accolti

nella
di-

nota stampa dei Sonetti e canzoni di


1527.
Il

versi antichi autori toscani; Firenze, Giunta, e pi benemerito editore del pistoiese fu
il

terzo

Pilli,

che die in
nu-

luce le

Rime

di m.

Gino da Pistoia giureconsulto e poeta ce1559,

lebratisshno,

Roma, Biado,
Trent'anni

accrescendole fino
il

al

mero

di

125.

appresso,

p.

Faustino Tasso
dell' Ecc .'""

mise fuori una nuova edizione Delle rime toscane


giurecoisulto et antichissimo poeta
il

sig

Gino Sigibaldi da

Pistoia raccolte da diversi hioghi,- distribuita in due libri ed

aggiuntivi molti sonetti di altri rimatori per risposta ai sonetti epistolari di Gino. Il primo libro di questa edizione ha cinquanta delle poesie gi edite nelle stampe precedenti, e di inedite una canzone, una ballata e trenta sonetti il secondo invece ha solamente poesie inedite trentanove sonetti, una sestina e quattro ballate, che l'editore chiama madrigali. Delle poesie novamente date in luce nel primo libro dell'edizione Tasso le pi sono attribuite a Gino da autorevoli mss. e non si pu dubitare della loro autenticit ma per alcune poche di quel libro e per tutte quelle del secondo furono ragionevoli i dubbi per i quali il Bartoli afferm che non potevano seriamente esser prese in considerazione dagli
;

nome
il

Bologna, Fava e Garagnani, 1877. Questo codice ha col di Gino 108 componimenti, e parecchi altri di lui senza suo nome. * In Venetia, presso Gi. Dorneytico Imberti, MDLXXXIX.
'

307
studiosi della lrica dell' aniot-oso viesser Cino
tro
.^

lui

peral-

manc un argomento
i

decisivo,

una prova esterna che


;

avvalorasse
e questa

risultati

dell'esame interno delle poesie sospette

prova posso ora offrire agli studiosi, avendomene gentilmente comunicati gli elementi un giovine e valente
erudito,
il

dottor Ludovico Frati, bolognese.


il

Anzi tutto premettiamo che


stato tratto in

p.

Tasso non pu esser

inganno da

altri

ed esser stato in buona fede,


bagaglio poetico ad;

che anzi
dossato
ii

egli presentiva

come qualcuno avrebbe potuto due

bitare della legittima provenienza del


al

vecchio rimatore pistoiese


Et acci

perci a scansare

pericolo scriveva nella dedicatoria del libro al sig.


:

Tom-

mondo creda che siano parti del sig. Cino, dir come e per che strada mi siano capitati alle mani. Doppo la morte del sig. Gino sterono per molti anni insieme con alcune altre, 'che furono poi date a stampa dal sig. Niccol Pili in Roma, e queste con animo di dar loro una compita forma furo?io lasciate da parte. Laonde passarono molti anni fino al tempo del gran Giuliano de' Medici, quale ne fece dono al fratello cardinale, che essendo asil sunto al sommo pontificato, le diede a Giacopo Sadoleto,
il

maso Vecchia

che

fu

poi cardinale,

huomo

di molte lettere e di bellissimo

e chiarissimo ingegno.

Occorse

essendo
giunto
il

il

Bembo

in
et

Roma

fatto

doppo alquanti anni che da Papa Leone decimo


il

scrittore dei brevi,

essendovi parimente

Sadoleto, con-

come
le
il

di virt cosi di singoiar amist e benevolenza,

Sadoleto

care tutto

don al Bembo, che le tenne fra le cose pi tempo che visse. Doppo la morte del Bembo
capitarono in

con molti
teruzzi,

altri scritti le

mano

del sig. Carlo Gual-

che

diede a vedere a mons. Carafa gi Arcive-

scovo di Napoli, e questo Prelato ultimamente l'anno 1575, doppo una predica ch'io feci nella sua chiesa, fra molti favori e doni,

mi

fece questo di queste poche rime.

La

cita-

zione del

Pilli,

accurato editore di Gino, e

il

ricordo dei car-

A. Bartoli ,Storiadella
Pisa,

lett.

Vita e poesie di Gino;

bitato dell'autenticit del II

Gi il Ciampi, aveva dulibro dell'edizione Tasso.


italiana, IV, 72-75.

Capurro,

1813,

p.

64,

3o8
dinali e prelati e letterati grandi per le

rebbe passato
Sadoleto e
il

il

ms. delle rime, e

il

fatto

mani dei quali sache il Bembo, il


studiosi dell'an-

Gualteruzzi erano noti

come

tica lingua italiana,

dar credito di

tendevano a conciliare benevolenza e a sincerit alla nuova edizione e per molto


:

tempo nessuno sospett


oggi manifesta.

della ciurmerla del p. Tasso, la quale

La
G.
3.

biblioteca
8.

Bertoliana di
del

Vicenza possiede nel cod.

20,

cartaceo,
;

secolo

XVI, un canzoniere
di autore,

di

522 componimenti

senza

nome

ma

la lettura di

esso lo rivela fattura di

un petrarchista, come

tanti

ve ne

furono nel Quattrocento.


quel
linare dal

questo petrarchista fu certamente


e

Marco Piacentini veneziano


1430
al
~
;

piovano di Sant'Apol-

1455, ricordato dal

Cicogna* e da

altri

eruditi

poich tredici dei sonetti anonimi del codice Vicen20, si

tino G. 3. 8.

trovano col
^

nome

di lui in altri mss., cio


i.

l'Estense IX. A. 27
i

il

Vicentino G.

io.

22.*

Ora

fra

522 componimenti del Vicentino G.

3. 8. 20,

che abbiamo
del

detto doversi ragionevolmente considerare


1

come opera

Iscrizioni venete, III, 265.


;

Agostini, Scrittori veneziani, I, XVI Morelli, Operette, Crescimbeni, Commentari^ V, 47. I, 812 3 Forse quello stesso codice del 1447, nel quale il Quadrio, Storia e ragione di ogni poesia, II, 181 e VII, loi), lesse rime del Piacentini, del Recanati, di Simone da Siena, di Tomaso d'Aquino. Ha otto sonetti di M. Piacentini (a carte 62, 77, 100, 1 Gi vidi lampeg105, 121 e 123) dei quali ecco i principii giar sole in disparte 2" Mira, il nostro trionfo, amore in questa ; 30 Non creda il mondo cieco che vaghezza; 4" Quanto il del possa in noi veder chi vuole; 5 Chi 'l stato incerto mio, donna vedesse ; 6 In dolci umane membra un cuor di pietra ; 7 Bella diadema al pi leggiadro volto; S" Quando tneco avvien
2
; :

che alcuna volta.


*
f.

un

codice composto di due parti distinte,

la

prima

di

71. contiene 142 sonetti senza

nome

d'autore,

ma
:

di imitazione

petrarchesca, la seconda di
tori,

f. 43 contiene 86 sonetti di vari au1-3 sono i soseguenti del Piacentini netti I, 4, 8 del cit. cod. estense; 4 Solcano i 7niei pensier come diversi ; 5 Lodovico mio caro io veggio iti questa ; 6 Mara-

fra

quali sono

309
Piacentini,
si

trovano tre dei sonetti pubblicati dal

p.

Tasso

nel
le

primo

libro della sua edizione delle rime di Cine, e tutte

rime dal medesimo editore date fuori nel secondo libro/


la

E, poich

imitazione petrarchesca avrebbe lasciato intraquesti per ocClini, di-

vedere
cultarla

la mistificazione del frate osservante^


si

diede pensiero di accomodare ad tisum


le

remo
scritto

cosi,

rime del buon Piacentini, e dove questi aveva

spesso
diletto,

Lmira o l'aura sostitu selva o selvaggia, rifacendo versi come nel son. Pianta Selvaggia a me sommo
i

che nel ms. vicentino comincia invece

Fresco verde
pas;

odorifero laure tto.

Se
sare

il

p.

Tasso traesse

le

rime, che egli vuol

farci

come opera

di Gino, dal

codice vicentino non sappiamo

quello che crediamo accertato l'inganno ordito da lui agli


studiosi della poesia antica, che
tato di essere svelato.

prima d'ora avrebbe meri-

viglia non talor

s^

io

inoro; 7 Dico talora a

me

stesso che

pensi ? ; 8 /' vorrei


netti

pur non
il

so di cui doler^ni. Gli ultimi tre so-

sono
I

di

quelli

che trovansi nell'ed. delle rime di Gino


7 a p. 105 e gli altri
lib.

procurata dal Tasso,


'

due a

p. 145 e 147.

tre sonetti del

coni. Pianta selvaggia a'nie

sommo

diletto.

talor

55-58),

minati.
ballate

Quando misero avvien eh' io spesso miro, Maraviglia non s'io moro ; dai quali il Bartoli, {Storia della leti., IV, dice di non averli trovati in nessuno dei mss. da lui esaLe rime del II libro sono trentanove sonetti, quattro e una sestina.

SPIGOLATURE

DI

RIME ANTICHE

Queste spigolature, che riproduco con qualciie soppressione di cose superflue o a dirittura
inutili,

furono pubblicate, a
la

tempi diversi,
materia:
fu
i! il

ma
I,

possono stare insieme per

comunanza

della

dato nel
voi.
II,
I,

Rime inedite dei secoli XIII e XIV Propugnatore, voi. XV, parte II, 1882, pp. 331 e segg.
n.

col titolo di

n. II, nel Prop..

N.
II,

S., voi.

I,

parte
n.

II,
;

1888, 413-418;
il

il

n. Ili,
II,

ivi,

parte

1888,
;

pp.
e
il

93-116

n.

IV,

ivi,

voi.

parte

del dott.

un opuscolo per le nozze Luigi Casini con Teresa Gullini, Razzano, tip. A. Monti,
1889, pp. 300-303
in

ottobre 1905].

I.

Poesie varie dei secoli XIII e XIV.


Al comm. Francesco Zambyini.

Le mando per
rentine,
grafica

il

PropiigJiatore alcune poche rime

anti-

che inedite, racimolate

di su pi codici delle biblioteche fio-

accompagnandole di qualche indicazione bibliomi duole di non aver agio in questo momento di dare una compiuta illustrazione critica a certe poesie che la
:

meriterebbero,

pur tuttavia credo che Ella vorr


osservabili della

far

loro
lette-

buon viso come a documenti


degnamente mostrare
Il
1'

nostra

ratura antica, dei quali altri in vece

mia sapr meglio

e pi

importanza.
II,

codice magliabechiano

IV,

in, dell'anno

1274, dal

una lunga poesia religiosa,* ci porge un notevole componimento [n. I], trascritto nei primi anni del secolo XIV sul foglio della guardia anteriore, che era rimasto in bianco. Il tempo della trascrizione, la forma metrica che propria dei pi antichi documenti della nostra poesia" e la lingua arcaica di questo componimento, ci
quale
trassi gi e diedi in luce
^

Comincia
tomba della

A voi vengno,
Clelia

messere, o padre onnipotente e tro-

vasi nel Serto di olezzanti fiori da giardini de il' antichit deposto sulla

Vespignani, a cura di F. Zambrini, Imola,

Galeati, 1882, p. 127-130 [ora nel presente voi., pp. 15-17]. 2 II distico monorimo si trova usato nel pater noster, anteriore al 1279, pubbl. nelle Ritne dei poeti bolognesi del sec.

XIII

a mia cura, Bologna, Romagnoli, 1881, p. 184

(cfr.

anche A. Mus-

314
permettono
di

ritenerlo

come appartenente
ricorda
tale,

al

secolo XIII.
certi

L'argomento

trattato in esso

quelli
si

di

conti
lu-

francesi dello stesso

tempo
7in

un

che

nomina gatto

pesco, se ne va

per

canmino in pellegrinaggio e incontra

due cavalieri bretoni che ritornano in Inghilterra, dopo esser gran tempo a Mongibello in cerca ed aspettazione del scambiati con questi cavalieri saluti ed auguri, ser re Art gatto continua suo viaggio e trova un romito, cui espone
stati
:

quali luoghi voglia visitare e da cui riceve consigli


tosi dal

parti-

romito,

incontra strane e
il

meravigliose

fiere

ne

dice brevemente

nome

e le qualit, affrettandosi subito di


il

poi a concludere che compiuto

proprio viaggio se ne torn

a casa.^

Dal codice laurenziano gaddiano 148, gi magliabechiano XXIII, 62, membranaceo dei primi anni del secolo XIV,
contenente
viene
il

le

storie de
II
;

Troia et de

Roma

(f.

1^-52^),
(f.

pro^)

sonetto

trascritto sull'ultima carta

52

del

codice, che era rimasta bianca, nello stesso secolo. L'argo-

mento

del sonetto

non

nuovo

nella nostra antica


i

poesia,

la tristizia delle

donne, e ricorda

soliti

grandi uomini in-

gannati da esse: Merlino, Salomone, Aristotele, Davide, Sansone, Art,


V.
3),

Adamo

e lo saccente (se cosi

da

restituirsi nel

che sarebbe Virgilio. Questo sonetto pu riscontrarsi con alcuni versi del sirventese di Leonardo del Gualacco pisano,
dalle
nei quali

sono ricordati

cotesti antichi savi ingannati

donne

in fahrbuch fur romanisch und engl. Liter., VIII, 207-212); leggenda di Santa Margherita (cod. marciano, n. XIII; cod. 2661 della bibl. imp. di Vienna cod. ambrosiano IV, 95 sup.) ricordata dal Mussafia, Monuni. ant. di dial. ital., p. 113; nella parafrasi dell'orazione domenicale nello stesso cod. marciano XIII, f. iioa-ii*, ricord. ibid. p. 115; e nelle due poesie </^/fatnore di Ges, Mussafia, ibid., p. 158-168 e del giudizio universale, Mussafia, ibid., p. 168-180; nel lamento della donna padovana in Carducci, Cantiletie e ball., p. 22-26, ed in altri componimenti del Dugento. ^ [Nel riprodurre il detto del gatto lupesco, ho tenuto sott'occhio la ristampa datane dal Monaci, Crestomazia, pp. 449-450].

SAFiA
nella

315
Salamoi!, che seppe arte,
disse lo mal che se lo scritto
fu

danno non mente


;

.^

da femina treciera
si

Merlin diriso

malamente tradilo una leciera ... Quando d' Eva mi membra nul'altra al cor mi membra
e Sanson
Il

.^

sonetto

III

trovai nel codice magliabechiano VII,

ii,

1118 (gi strozziano 383), piccolo libriccino in membrana, ed indel secolo XIV, secondo il catalogo della biblioteca
:

un explicit (f. 29 ) datato del M.ccc.viiij ma di due mani una pi antica (f. i ^-21 b) ed una pi recente in appresso. Il codice contiene alcuni poemetti latini medioevali, come il Liber faceti di un anonimo di Narni, il Liber Pindari de excidio troiano, il Liber de contetnptu mundi
fatti
;

di

Bernardo
Al
f.

di 7

Morlach,
b,

il

liber physiologi

ed

altre scritture

latine.

che era rimasto in bianco,


il

fu scritto

nei

do in luce, e che non esce dalla solita materia amorosa, se non per la menzione delle leggende di Florio e Biancofiore e di Piramo e Tisbe
primi anni del Trecento
sonetto, che
:

l'una

e l'altra

del

resto

ricordate assai

spesso

nell'antica

poesia italiana.
I

sonetti

del secolo

IV-IX provengono da quel frammento di codice XIV, posseduto dal sig. avv. C. Bologna, che io

stesso feci conoscere altrove,^ e sono insieme collegati


dalla

come
Gino

comunanza
tutti di

della fonte cosi

da quella dell'argomento,

essendo

risposta per le rime a questo sonetto di

1 Riguardo alla leggenda della moglie di Salomone vedasi Paris, Romania, IX, 436. 2 Le antiche rhne volgari secondo la lez. del cod. vat. 3793 pubbl. per cura di A. d'Ancona e D. Comparetti, Bologna, Ro-

il

gnoli,
3

1882, voi.

II,

pp. 63-74.

Le rime

dei poeti bolognesi del secolo XIII, Bologna, Rop.

magnoli, 1881,

rico della letter.

it.,

VIII e 415 [e pi largamente nel Giorn. stovoi. II (1883), pp. 334 e segg.].

3ib
da Pistoia, nel quale l'amico amorosa
:

di

Dante espone una visione

[V]inta e lassa era [gi] l'anima e


'1

mia

corpo in sospirare e 'n trarrer guai, [co]si che nel dolor m'adormentai et nel dormir piangendo tuctavia, per Io fiso menbrar, eh' io facto avia, quand'ebber pianto li miei occhi assai, in una [nuova] vision entrai ch'Amor visibil veder mi parea,
:

che mi prendeva e mi menava

in loco,
;

ov'era la ge[n]til mia donna sola e avanti a me parea che gisse [un foco, dal qual parea che uscisse una parola,

che mi dicea Merc, merc un poco . Chi ci mi spon con l'ale d'amor vola].i
:

Dal medesimo manoscritto Bologna


di
il

trassi

la

poesia pubil

blicata al n. X, sulla quale chiaramente inscritto

nome

Dante

gli studiosi della lirica

dantesca vedranno se sia

caso di prestar fede alla testimonianza del codice Bologna.^

La poesia
5,

n.

XI
b),

[ora n. X] nel codice magliabechiano VII,


in

1040

(f.

50

una parte

di esso codice scritta nel se-

un componimento schiettamente popolare, che per alcune forme linguistiche (v. 9, ireste; v. j6 mimilia ; V. II Jghura in rima con sng7iioi'a) e per il ricordo del
colo
:

XIV

V.

IO

si

manifesta di origine siciliana

ci che confermato

dal fatto che nella stessa parte del codice ad altre poesie

posta innanzi l'indicazione di Cecilliana^ e Cieciliana}

Da un
Ho

importante manoscritto di poesie popolari,

il

maal-

gliabechiano VII, IO, J078, del quale parlai lungamente


1

dati

versi i-ii di questo sonetto


col testo delle

come sono
di

nel cod.

Bologna,
stoia, ed.
2

compiendolo

Rime

m. Cino da Pi-

Fanfani, Pistoia, Niccolai, 1878, p. 360.

tasi

omette nella ristampa questa poesia, della quale tratpi a lungo nel volumetto di Aneddoti e studi datiteschi,
[Si

Citt
3
*

di Castello,

1895, pp. 9-20.


e ballate, p. 56.

Carducci, Cantilene
Ibid., p.
52.

317
trove, trassi

due

ballate del secolo

XIV

la

XJI, che

un

dialoghetto vivo e spigliato tra l'amante e l'amata; e la XIII

che narra

le

qualit delle

donne

di pi citt italiane.^

I.

ki per

Dico mal uomini vanno, prode e chi per danno,

per lo

mondo

tuttavia.

Cosi m'andava l'altra dia per un cammino trastullando,


e di

mio amor

gi pensando,

e andava a chapo chino.

IO

Allora uscio fuor del cammino, ed intrai in uno sentieri, ed incontrai duo cavalieri de la corte de lo re Art. ke mi dissero: Ki sse' ttu?

15

E io rispuose in salutare Quello k' io sono ben mi io sono uno gatto lupesco,
:

si

pare

ke a chaluno vo dando un esco ki non mi dice veritate. Per saper voglo ove andate, e voUio sapere onde sete
20
e di qual parte venite Quelli mi dissero
:

Or intendete,

25

e vi diremo ci che volete, ove gimo e donde siamo e vi diremo onde vengnamo. Cavalieri siamo di Bretangna, ke vengnamo de la montagna, ke U'omo apella Mongibello. Assai vi senio stati ad ostello per apparare ed invenire

Ancona, Rassegna settimanale, voi. VII, p. 312-315 [e ora in questo voi., pp. 117-275; ove queste due ballate sono date rispettivamente ap. 199, n. XLVIII
-

Vedi

il

mio

scritto.

Un

repertorio giullaresco,
articolo nella

Sarzani, 1881, e anche

un mio

e a p.

166, n.

XXIV.

3i8
30
la

veritade di nostro sire,

k'avemo perduto non sapemo ke ssia venuto. Or ne torniamo in nostra terra, ne lo reame d' Inghilterra.
lo re Art,

35

A
E

dio siate voi, ser gatto,


'1

voi con tutto


io

vostro fatto

,
:

A
40
li

rispuose allora insano dio vi comando ciascheduno.

Cosi da

me

si

dipartir

chavaleri

quando ne

giro

e io andai pur oltre addesso

per

lo sentiero
'1

e tutto

ond' i' era messo, giorno non finai


diserto,

in fin a la sera k' io albergai

45

con un romito nel gran

lungi ben trenta millia certo.

Ed
si

al

acomandai

mattino mi ne partio, lo romito a dio

50

ed anci k' io mi ne partisse lo romito si mi disse


verso qual parte io andasse,
veritade non
li
:

celasse.

E
55

io

li

dissi

Ben mi
fallace,
'1

piace,

non
k' io

te

ne sser
ti

non

dica tutto

dritto.
;

Io

me

ne vo

in terra d' Egitto

e voi' cercare Saracinia e tucta terra Pagania, e arabici et [e]braici

60

et'

tedeschi

e
e

'1

Soldano e

'1

Saladino

'1

Yellio e tutto so dimino

e terra Vinenriun et Bellem

65

e Montuliveto e Gerusalm e l'Amirallio e '1 Massamuto e

U'uomo per kui Christo


qua ke fue

atenduto

d'allora in

pilliato

e ne la croce inchiavellato da li giudei k'el giano frustando,

70

com' a ladrone battendo e dando allora quell'uomo li puose mente e si li disse pietosamente
:

319

75

Va

tosto ke
si
:

e Christo si li disse

deano si spesso rivuolse ad esso, Io anderoe


ti

non

e tu m'aspetta k' io torneroe. E poi fue messo in su la croce

So

85

a grido di popolo ed a boce. Allora trem tutta la terra cosi e' ci guardi dio di guerra . A questa mi dipartio y .dando e da lo romito acomiatando, a cui dicea lo mio viagio ed uscio fuori dello rumitagio, per uno sportello k'avea la porta,
:
.

pensando trovare
ond'
io

la via scorta,

90

andasse sicuramente. AUor guardai e puosi mente e non vidi via neuna, l'aria era molto scura e '1 tenpo nero e tenebroso e io chom' uomo pauroso
ritornai vr lo romito,

95

da chui mi era gi partito, e d'una boce l'appellai,


si
li

diss' io

Per dio, se ttu

sai

100

105

cammino, or lo m' insegna, k' io non so e dond' io mi vengna Quelli allora mi guardoe, co' la mano mi mostroe una croce nel diserto, ben diece millia certo e disse Col lo cammino, onde va chatuno pelegrino, ke vada o vengna d'oltremare . A questa mi mossi per ad andare
lo
; :

verso

la

croce bellamente,

no

vedea neente per lo tempo chi era oscuro e il diserto aspro e duro. E a l'andare k' io facea verso la croce tutta via
e quasi
si

vidi bestie ragunate,

115

ke tutte stavano aparechiate per pillare ke divorassero.

320
se alcuna pastura trovassero.

Ed

io ristetti per vedere, per conoscere e per sapere ke bestie fosser tutte queste,

I20

ke mi pareano molto alpestre. Si vi vidi un grande leofante ed un verre molto grande ed un orso molto superbie
;

e vidivi quattro leopardi


125

e due dragoni con rei sguardi e


e
si

vi vidi lo tigre e

'1

tasso
;

e una lonca e un tinasso


si

vi vidi

una bestia

strana,
;

eh'

uomo
vi

appella baldivana

130

si

vidi la pantera

e la giraffa e la

paupera

'1

gatto padole e la lea,

la

gran bestia baradinera

ed
135

altre bestie vi vidi assai,

le quali

ora non vi dirai, k npnn tenpo n stagione.

ssi vi dico per san Simone ke mi partii per maestria da le bestie et anda' via

Ma

140

e cercai tutti

li

paesi,
;

ke voi da

me

avete intesi
ffa

e tornai a lo mi' ostello.

Per finisco ke

bello.

II.

Siria

donna fusse chanoscente ch'uom ch'ai mondo [] nato Merlino e Salamene e lo s[accen]te
Qual
di

uom

pi saggio

e Aristotile ne fu inghannato.

Davit profeta e '1 buon Sensun posente, Art cho' lo ritondo n' spingnato
:

ma

[in]uer eh' io fu' di lor pi cha[no]scente,

[che] m'acese to foco dispengnato.^


1

versi 5-8 difficilmente

si
-j^

riescir

ad intenderli

io

come sono

nel cod., che

nel

per altro ha

c/iascetiie,

li d dove

321

Adamo, che da
II

Cristo fu creato,

fu discaciato fuor del paradiso

perch da femina

fu

inghannato.

Or dunque
14

chi sera

da

lor servito

chi pi lo[r] serve e pegio n' chanbiato,

che fenmina non sanca mal

vitio.

III.

Volete udir s' io abbo gran martorio, ve dir 'n est picciola storia, che colui che d'amor va dando gloria me feri, or non mi d suo aggiutorio che non port mai tante pene Florio
il
;

quando
li

colei tanto avia in

memoria

venduta per moneta oria, Pirramo che per sua Tisbe mrio.
fu
^

II

14

De, non vi par che 'n ver di me scrucido che percotendo a me con atto acortto me fece esser da me cotanto cupido quando mirando ove l'occhio portto, ma a lo guardo di una rosa lucido, rimaso so' al tutto quasi morto.
;

IV.

[Messer Nicchola risponde].


[L'] alma e '1 corpo tuo che si dolia dolean del cor si chom' io imaginai, ch'avean perduto e ito era, ben sai, a quella che ricever noi volia e in 'sto suo tornar pi non potia, ch'amor lo perseguia sempre mai
:

chiaro l'errore. Potrebbe spiegarsi


(dei guerrieri della tav. rot.)
*

scrucido, cosi

il

il v. Art col ritondo stuolo 5 ne sopraffatto cfr. prov. espenher. ms., che io non intendo; forse da legg.
:

se' ruvido.

Casini, Studi di poesia atitica.

21.

322
dicendo
8
:

In

foco

meo

t'afinerai .
li

'1

cor piangendo merc


quell'era
'1

cheria.

E
li

parlar dolente fioco,

ch'enscia del foco ch'auro affina e chola, con* face amor al cor per darli gioco.

Se
14

sia soffrente

ch'el del passo

il

non sera gi fola trarr di Malamoco

e quest' la risposta di Nicchola.

V.

Messer Nicchola ri[sponde].


[Ijnsengna d'umiltate e cortesia porta mo', mesagero, a cui tu vai, e di ci, credo, assai li agradirai si ch'avrai di leger[i] sua contia
:

e fa che per te confortata sia,

tanto pietosamente

il

[p]regherai,

poi che sia sua vision contrai e che puot' esser ch[e] nel foco g[i]a.

II

Or di che '1 foco disiar di gioco d'amor cho' humilt nel qual se invola forca orgoglo; grida l'amor coco. Dicho l'amor che suo difecto gola, ci trovar merc et di ci con fuoco
parlar dimostra che forte
li

14

'n

dola.

VI.

Messer Mula da
[A]
tal vision

Pist[oia] R[isponde].

risponder non savria


;

hom

che non fue in forca d'amor mai e per, s'eo, che mai noi saporai,

non dico a pien, non falleria. Ma, perch sme strana fantasia Amor veder et d'un foco escir lai,
in ci
*

Con

= come.

323
diragio quello che ne imaginai,
8

del foco e de la boce chenn' escio.

Quell'era l'alma tua che fuor di gioco per che in forte fiama si discola piangeva e in merc diceva eo coco dola ch'amor menava a tua che e di tormenti tra cala ' preso roco
:

14

di star si dispietata or

mai disvola.

VI.

R[isponde].
[G]ioven sonecto, chome vo' che sia, baste nel mio difecto a quel che vai
;

senno no'
4
[a]

fu sofficente

il

sai

homo

terren per naturai via.

Troppo
p[re]so

forte n' voler

com' dia
dir divinai
;

risposta ferma del songno che t'i

dormendo, che

porta chi l'esporr a tua volia.

li

Mal p[u] dentro di voler dir coco domandasse a dricto de la sola per bon singnificar trar di quel gioco. la voce Nicchola S
chi
fioco
sola.

14

Vili.

ludicium intent[i]on[e] mea d del foco che [tu] mandato m' i che sia i sospiri e i dolor che trai per illa que est pulcrior nappea.
.
.

Cosi ha

il

Di questi

versi

ms. n saprei come intendere. non ho potuto legger che

le

poche parole

recate nel testo.

324
Ochulis tuis et quacunque dea et allo cor che si inamorato i,

ve chinde proceda
8

la

voce ornai
ea.

que pietatem petebat ab

Che
atavit

'1

cor[e] di dolori e sospir roco


:

linguam aloqui de gula


disse a
1'

II

dio, pietatem peto quia coco.

La qual

merc, merc

14

cor cui

o[m] cotal parola de la qual gli gioco amor maius pondus mola.
:

IX.

L'alma e '1 corpo Tom ch'avazo i' oblia pena e di crude! ch[e] i per amare amor chu' [tu] servit' i si mosse per p[i]etate a far contia alla tua donna di pene che fria et avanti lei sola ben sai per farti del servente dono omai addusse '1 corpo tuo che ben dolia.
di forte
;

Et per mostrar
lo foco

le

pene udere

coco

per abrevar la fola

II

to' penar fioco. Et per ch'avessi pi tosto consola,

era la copia del

14

per ch'era dell'amor mostrato avoco, g^ida merc allei che non ti mola.

X.

D'un piacente soridere amor pur mi balestra


e Ho mio cor idio ringratia. Piacciati d'amor credere
d'est legiadra e destra
e ferendo
il

cor mi satia.

Il

ms. ha

dere. Forse da leggere

in dire

3*5
Chon
9
sicch
tuoi risguardi ancidimi

lass dalla finestra,


'1 morir m'este grata. Per tutta la Ciecilia si spande la tua fighura sicch' gran luminaria.

12

Infra

t' elletta per

ben ciento milia mia singniora,

15

non m'essere contraria. Se '1 tuo chor non s'aumilia chiamo la morte ancora
che m'este necessaria.

18

3a6

II.

Sonetti del secolo XIII.

Scorrendo
dallo Steveson

il

catalogo dei codici vaticani palatini iniziato


e
p.

dal

De

Rossi

{Cod.

palai,

lat.

Biblioth.
di

Vatic, voi.

I,

275 e segg.) avevo


al

notato

un codice

materia giuridica, in fondo


antichi
si

quale,

come

in tanti altri libri

osserva, erano stati trascritti versi e sentenze latine

e volgari.

latino latino 753,

Prendendo in esame il manoscritto, che mi sono accorto che quel gruppetto

il

pa-

finale

molto interessante per gli studiosi della poesia italiana del

Dugento, poich insieme con alcuni componimenti conosciuti affatto ignoti, che vengono ad accrescere la serie delle rime del secolo XIII si che non sar inutile il darne una pi compita notizia che non sia quella del catane reca alcuni
:

logo vaticano.
I

primi

215

fogli

del

codice

contengono

il

Digestum

novum
pl
il

di scrittura del

secolo XIII,

con glosse marginali e


pi
recenti.
Il

interlineari,
testo,

che in parte sono della stessa mano che esemin

parte

sono

di

mani

fo-

glio 216, che nel dritto

era rimasto bianco

nel

rovescio

portava

estratti di leggi

longobarde

e franche, fu tutto riemdi sentenze scritte

pito nel corpo e

nei margini di

versi e

da varie mani,
molta
cuni
tra
fatti
il

ma

a tempi molto vicini, e con probabilit


il

1307 e

131

1,

ai quali

anni appartengono
in

al-

di

Lombardia
si

registrati

sommariamente

uno dei
al

margini: certo poi coteste giunte sono tutte anteriori


al

132

1,

quale anno

riferisce
la

un breve carme
il

latino per

conolo

scere

quando cade
(f,

pasqua,

quale,

mancando ormai
Digesto

spazio nel foglio finale, fu trascritto invece nell' interno del

codice

28*).

Chi raccolse nella

fine del

la varia

materia doveva essere un milanese, o almeno uno che seri-

3*7
veva a Milano
s'
;

alla

quale citt

si

riferisce

una

statistica
le sei

(non

intende bene di che cosa) distinta secondo

porte di

quella.^

tro morali e

Le rime volgari di questo foglio sono sei sonetti, quatdue amorosi, e anche trascritti in diversa maniera. Nei due primi quattordici versi procedono, seguitamente, distinti ciascuno dal seguente con una lineetta vertinegli ultimi quattro invece si osserva cale o con una curva
i
:

il

modo

usato nei pi antichi canzonieri,

tori

andarono a capo
salvo

trascritpoich ad ogni coppia delle quartine e ad


i

scritte di seguito.

nel quarto che ha ambedue le terzine Noto questo fatto perch mi par di riconoscervi un indizio che i due primi sonetti fossero trascritti a memoria, gii altri invece esemplati da codici pi antichi di che un altro segno nel pi intenso colorito dialettale onde stata alberata la primitiva forma dei due primi, e nell'omissione che nel .secondo l'amanuense avea fatta di due

ogni terzina

versi
nel

(il

V.

ii

il

v.
:

13),

aggiunti poi per via di richiami

margine esterno
si

e la trascrizione a
i

memoria
in

tanto pi

probabile, se

considera che
e

rono divulgatissim.

due sonetti famosi nel Dugento,


i

questione fuassai

andarono

spesso accoppiati. Sono

notissimi sonetti morali sull'

uomo

saggio di Fabruzzo dei


e piace
il

Lambertazzi e di Guido Guinizelli,


in

trovarli conosciuti

Lombardia,
secolo

il

paese della

poesia insegnativa e morale


anni,

del
la

XIH, anche molti


i

una trentina o
dal

pi,

dopo
i

morte dei loro autori.

Trascrivo

codice

sonetti,

disponendone
il

versi al

modo moderno,
vando, salvo
scritto
i

interpungendo un po'
di

testo,
il

ma

conser-

casi avo'ertiti nelle note,


:

testo del
d'

vaticano

questi avanzi

venerandi

manouna poesia

a che

Eccola cosi com' nel codice gli eruditi milanesi veggano si riferisca, se alla popolazione o ad altra materia
;
:

Porta hor[ientalis] habet MDCCCXXXVIIIJ Porla uova habet MCCCLXXV Porta cum[asina] habet MCCCCLXXVIJ Porta uercellina habet MVIIIJ<=XLIIJ
Porta ticinensis habet MCCLXXXXVIIJ Porta romana habet MCCLXXVIIJ

I[d] e[st]

VIIIJ M.

1.

et sunt in bur-

[
i

^^^^ ; fluitate
-^

quam

coniunctis ipsi ciuitati.

328
cosi lontana dai nostri ideali di arte debito

mantenere pi

che

si

pu

inalterate le sembianze.

I.

Alt Fabrici[us] de Lanb\er\taciis

bo7i\oniensis\.

Homo no' prixe anchora si saxamente, nexu a fari a quel c'ora devene, che r usanza che cori infra la zent noi faza folo s'el g smeneve[ne]
;

e quel ch'ai

mondo

fa

pu foUament
'

achoyay bene se pot ventura y vene, second I' usu sera cognoscent, ugn'omo sazo a qui or prende bene.

Launde

la zent ne vivo i[n] grande eranza che ventura fa pari follo e sazo, zaschu si cu[m] xe plas al so volir.

Ni non quar[da] rason ni mesuranza che faza bene l ov' ria danza e mal a qui che bene dorian aver.

II.

Homo
ma
don

ch' sazo no' core

liceri

penssa et grada si cu[m] voi mesura, e qua[n]t pensato reten so * penser


fin

a tanto ch'el ver l'asegura.^

ma
fol

Ni no' se dove tenri homo trop alter, resguardar so stat e soa natura
:

quello chi sol ere' vediro

lo vero,

ni

non pensa

ch'altru'

gen pona chura.

Vola l'oseg p[er] aero a strenge guisse ni tu ti en d' un volar ni d' un ardir e tu ti n div[er]si op[er]am[en]ti.
*

ms

renten sos.
/a segura.

' ras.
3

ms. creve diro.

329

Deo
f'

e natura el

mondo

i[n]

grado misse,
:

desparssi senni e inte[n]dim[en]ti

p[er] co

ch'omo pensa non

de'

dir.

III.

Cernile Madona, pietate da audire pene e li marti[r]e che p[er] vu' sento, che lo me coro ho messo in du' volere e Tu' e l'atro me d penssam[en]to.
le

1'

u'

me

dice che ve deca dire

e demostrare tuto Io

me' talento

e l'atro

me

to' si l'ardire

che de parlare no[n ] ardim[en]to.


Chota[n]to dico a vu' lo me' martire
no' [so] parlare, sto
si
:

com muto
;

marce ve quero, dona de savere

Che sum
p[er]

si

se no'

bem me

corale me[n]te c[on]batuto amare e crecome morire,


dati,

centile dona, aiuto.

IV.

Arbor che

fructo porta sen^a flore soa some[n](;:a spande sen^a inganno

non

collor si fin

de nesun panno
'1

che sulla fine no' p[er]da

bellore.

honore,* ^a p[er] time[n]ca no' g para affanno Gentil achisto quel fiorisse ogn'anno ^
:

(;:ascu[n] se sforce i[n] achista[re]

la te[n]pesta no'

to'

'1

so odore.

'
'^

Forse piagate. ms. achi sta honore. ms. ognanno.

330
P[er] ch'ell'
si
i

umore a soa
dol';:e

radice

temperati cu[n]
el

rasone:

ho[m] n'

fruto pi ch'el dar no[n] dice.


vice,

Ben

valente chi vive in tal

p[er]ch de mal algu[n] non casione


e sopra
i

altr[i]

vita del fenice.

V.

L'amor posso laodar e la ventura poy m'no tanto de bene donato che m'no messo i[n] si grand'altura
^

c'ogn'altr'ama[n]te

n'aco so[r]mo[n]tato.

Amor no
n che e*l bon
inanti

voi che spera d'ora i[n]hora

p[e]r

mi

falso sia

s[er]vi[r]

che deco

clamato far ancora


;

tempo me n'

miritato.

par che p[er] mi voia fa[r] mentire bon p[ro]v[er]bio che tanto se clama chi tropa sale ad alto sol cade[re].
lo

^
:

Ma e' sum posto a si dolce rama che no' temo niente del falire; p[er] el me' core sop[r']ogn'altra l'ama.

VI.

Lo homo
de gram

no' cognosse
-

se no' sustene
solaci

in

- piennanie[n]te lo bene p[ri]ma[mente] male *


:

vene - in forte pene alota se conosse - quanto vale


. .

:'

2 '

ms. ella ventura. ms. cognaltramante ms. se clamato, dove per errore
6.

si

ripetuta la parola

fi-

nale del V.
*
^

ms. ptna male. ms. mancano i versi

5-8.

^
P[er] lo diavolo ch' saluto
'

in su la rota
-

vede i[n e co[m]

lo c]ielo
vi sta in
*

chi n' caiuto


^
-

iosso

tato

trabucato.

P[er] sa[v]io

chi questo

exemplo nota

de soa gra[n]deca ne [cosi mantene] senpre

sta ergoiosso, lo so stato.

'

' * ^

ms. salumi. ms. uedhe i cielo. ms. Eccho ui sta in tutu; ed lezione incerta.
. . .

m.

saio.
le

plite

ms. non lascia leggere per congettura.

due prime parole, che ho sup-

332

III.

Tre

ignoti rimatori del Trecento.

cosi,

noto che

gli

umanisti,

se pur

li

possiamo chiamare
la

che vissero nel secolo XIV, non ebbero per


il

lettera-

tura volgare
nisti del

disprezzo
:

ostentato poi da molti degli

uma-

Quattrocento

tra per l'esempio del

Petrarca e del

il movimento di ritorno del pensiero monumenti letterari della civilt antica era in quel secolo appena iniziato, molti furono i grammatici e latinisti, massime dell'ultimo Trecento, che non disdegnarono di de-

Boccaccio, tra perch


i

verso

porre talvolta

l'alto stile

per discendere al piano uso della

amatorie o morali o politianche noto abbastanza ch'essi solevano mandarsi l'un l'altro, accompagnandole con certe loro epistole risonanti di gonfia latinit, quasi ornamento delle povere e tisicuzze rime e affermazione dell'ardore onde s' ingegnavano
che.

lingua volgare e scrissero rime

Le quali

l' incremento degli studi classici noto, dico, anche per esempi recentemente venuti in luce, quali sono le epistole di Bartolomeo da Castel della Pieve e di Tommaso Malombra, che contengono ciascuna un cattivo sonetto.^

di aiutare

questa usanza dobbiamo

la

conservazione di parecchie

rime, che non accolte nei

date dagli epistolari

e in

ci sono state tramanuna raccolta appunto di lettere e

canzonieri

F.

NovATi, Bartolomeo da Castel della Pieve grammatico


il.,

e rimatore trecentista nel Giorn. storico della letter.


voi. XII, pp.

a i888,

181-218

le

epistole e

sonetti di

della Pieve

o Citt della Pieve e di pp. 207-210, e pubbl. di sur un codice della

da Castel T. Malombra sono alle


B.

Comunale

di

Ber-

gamo.

333
d'altri

documenti dell' umanivSmo trecentista^ ho trovato le poesie, che ora metto in luce e che appartengono a tre diversi scrittori
Il

non

noti finora
al

come

poeti volgari.-

primo, rispetto
del

tempo, tra questi poeti Paolo di


ci

Bernardo,

quale

qualche notizia

danno

parecchie

sue lettere latine e alcune di altri a lui dirette, raccolte tutte insieme con quella che accompagna a un suo amico

due sonettuzzi morali. Gi questo rimatore non del tutto ignoto agli eruditi, e pi d'uno, a sentirne il nome, avr ricordato subito una delle senili del Petrarca a Paulo de Bernardo veneto, dove sono espressi, insieme con grandi
proteste d'amicizia,
i

vti coi quali

il

poeta accompagnava
gli pre-

l'amico nella navigazione, cui questi s'accingeva, e

gava fausto
fruttato

il

ritorno." e

ser Francesco)

Amico, ho scherzato (scriveva mesnon me ne pento. Lo scherzo mio mi ha


alla

una

bella tua lettera,

quale brevemente ora


scrivi, e so

ri-

spondo. Tengo tutto per vero quel che mi


tu

che

che all'amicizia nostra possa


anzi

m'ami quanto amare pu un uomo. N punto io stimo far danno il tuo matrimonio
:

ho per fermo che quella se ne avvantaggi. Conciossiach, quantunque talvolta soave a portarsi, sempre per altro pesante la catena d' Imene, e come avvenga che tu ne senta la gravezza, pi dolce ti sar il rammentarti di me. E non temere che il tuo silenzio possa da me prendersi ad argomento di raffreddata amicizia. Uso ad interpretare sempre in bene i fatti degli amici miei, se verrai spesso a tro^ [ il codice Vaticano 5223, del quale nella prima edizione questo scritto furono dati l'indice e alcuni /aggi che ora si omettono perch chi n'abbia voglia li pu cercare nella colle-

di

zione del Propugnatore].


2 Nelle schede di P. Bilancioni, conservate alla Comunale di Bologna e cercate a questo hne dal mio dotto amico Carlo Frati, non cenno alcuno di questi tre poeti, che sono pure ignoti

all'indice dell'Allacci e alle centurie del Crescimbeni, e, inutile


dirlo, alla bibliografia dello

Zambrini
in F.

si

che

si

pu tenere per
Opera omnia,

certo che nessuno studioso ponesse ancor gli occhi sulle loro rime.
3

Epist. sen.,

X, ep.

3,

Petrarchae,

Basilea,

1581, p. 873.

334
cuore

varmi o spesso mi scriverai penser che tu faccia ci che il ci avvenga di rado, dir che non vuoi ti detta: se
distrarmi dalle

mie tante faccende:

per

tal

modo

1'

una

cosa mi sar prova del sincero tuo amore, l'altra trarr ad

argomento della tua modestia e della tua discretezza. Vivi dunque tranquillo de' miei giudizi intorno al tuo affetto per fatti tuoi. Il mio cuore semme, e a tutti quanti sono pre lo stesso e sempre tutto per te. Resta ora che sapendoti in procinto di fare un viaggio oltre mare, io mi faccia ad
i

augurarti felice l'andata, prospero


propizi
telli
i

il

ritorno, placide l'onde,


tratto a sorte co'
fra-

venti.
il

Non

di

Nettuno che

ottenne

regno delle isole e del mare, n d'Eolo cre-

duto dominatore delle tempeste, e veramente re di piccolo

regno

a'

tempi della guerra di Troia,


venti dai suoi tesori,

ma

si

di Cristo onni-

potente Signore della terra e del mare, del quale scritto

che cava

pone nei
io

tesoi'i

gli abissi
te l'asi

come

le

acque del mare in un


la protezione.

otre,

imploro sopra

senza e
lido e

Egli che a suo talento dirige


ti

venti

e l'onde, col soffio di Zeffiro

sospinga quando sciogli dal


a noi
ti

mandi l'Euro che propizio

riconduca. Egli

sano e salvo colla cara consorte del tuo talamo ti accompagni e ti riporti a noi, che qui restando col vivo desiderio
di presto rivederti,

lei

quello che presso

mentre ascendi la nave a te diciamo ed Vanne Stazio la sposa di Achille


:

felice,

ma

nostro ritorna-.^ Questa epistola contiene allusioni


di Paolo,
;

che restano chiarite da quella


trarca sino dalle prime parole

cui

accenna

il

Pe-

come aneddoto

petrarche-

sco e insieme
tore,

come documento

della vita del

nostro rimariferita,

la lettera di

Paolo mi pare degna d'esser qui


;

un tentativo di volgarizzamento or dunque, pochi giorni prima d'abbandonarsi alle volate retoriche della

almeno

in

rate con note da G.


voi. II, p.

Cito dalle Lettere senili di F. Petr., volgarizzate e dichiaFracassetti Firenze, Le Monnier, 1869-70,
;

lettere petrarchesche, contro l'uso

copioso illustratore delle suo che di dar notizia dei corrispondenti del Petrarca, non dice nulla di Paolo di Bernardo segno, parmi, ch'ei non ne trov memoria alcuna.
109.
Il

F., diligentissimo e

335
sua epistola
Paolo
io
:

il

Petrarca aveva ricevuto questa lettera del suo

Il

nostro Anastasio ritornando da Padova mi ha ora


e,

rimproverato,

com'egli ha affermato, per parte tua, che


finora

abbia trascurato l'omaggio della devozione che


te,

avevo dimostrata verso di t'abbia scritto da poi che

massime perch non pare ch'io


n che per
i

sei cost,

messi che

spesseggiano in cosi breve distanza t'abbia mandato a dire

alcuna di quelle parole che sogliono esser grate agli orecchi degli amici. Avrei
sti

discorsi,

mo,

se

che tu

mandato gi male, lo confesso, quetemendo un possibile turbamento di si grand' uoAnastasio stesso non avesse in modo ridicolo aggiunto credevi esser causa di cotale negligenza la donna di
degli

recente sposata. Se la cosa risibile, piacemi di rider teco


della sorte

uomini,

la

quale

agitata per diversi casi

per lo pi va a sdrucciolare a termini impreveduti, e spesso

mentre

s'affretta

ad oriente precipita,

condotta per oscuro


il

cammino, ad occidente. Giova anche ammirare


sebbene
l'

destino
i

mio
an-

proprio, che, desiderando lo studio, la solitudine e

recessi,

ingegno

sia

inadeguato, entrai

nelle

recenti

gustie del matrimonio.

perch pi

ti

meravigli che nulla


flotta

manchi alle pubbliche incombenze, pronta la sto deve navigare verso la Siria e in Cipro,
ziatore.

che pre-

di libero

sono

divenuto servo e finalmente di studioso son diventato negoE, o Dio buono, quanto occultamente adoperi e co-

me

meravigliosamente permetti che

vicende.
dalla
forti,

si succedano le umane Che se per caso dal proposito sarai rimosso pur umana affezione, che suol cadere anche negli uomini

mi
si

abbastanza gradito

che presso
nulla,

il

maestro delle

virt

tenga parola di un
qual io mi
sia,

uomo da
il

si

che non sem-

bri che,

dalla tua

memoria

sia uscito.

ogni

mio pensiero circa a quelle tue parole, comunque siano state dette, chiamo in testimoni Dio e la mia coscienza che mai in alcun tempo ti son stato affezionato pi d'adesso, e che niuno, se si pu dire, io amo come te in questo mondo. Imperocch sino dalla tenera et
modo,
aftinch tu conosca
io

incominciai ad ammirarti,
ti

ti

venerai,

ti

tenni per guida,

da ultimo

elessi quasi

imaginario testimonio del viver mio,

336

come

ricordo di aver da una tua lettera appreso che suona


di Epicuro.
la

una sentenza
nit tua, cosi

Cosi finalmente mi trascin l'uma-

presenza delle cose, cosi un non so quale

segreto ardore, che spesso, trascurate, per non dir messe in


disparte, le opere di
altri
illustri,
il

che sia detto col loro


e diligentemente le

perdono, volsi
cercai

il

mio desiderio

alle tue,

da ogni parte: e, ci che sar fuori della tua credenza, come ho potuto ho raccolto presso di me cento e quasi delle tue Epistole, prendendole in diverse parti, da te, dagli amici,

e anche,

non meno furtivamente


;

di quel

che so-

glia farsi,

da ignoti

quanto conto poi

io

ne faccia e come
i

difficilmente le lasci allontanare

da

consapevoli di questa mia cura, talvolta


in lungo

me sanno molti, quali, me ne chiesero coil

pia con grande instanza, n l'ottennero, lo confesso, menati

con parole e con


di avarizia.

altre speranze,
il

che vorrei che


avarizie

fosse da alcuni inteso per

suo verso, affinch perci non


Poich, mentre tutte
le

mi incolpassero

per loro natura sono spiacevoli, questa dei


dio io ho sempre detestata
;

libri e dello stu-

ma
i

temetti la negligenza degli

uomini e

molti errori,
e a

pei

quali

spessissimo perirono

le

cose migliori,

molti negai

tuoi scritti,
libri

mentre abba-

stanza liberalmente presto gli


ti

altri

che ho. Che poi non


la tua narifiuta,

abbia

scritto,

come volgarmente
buona ragione
:

suol farsi tra gli amici,

non

stato senza

poich so che

tura, se

pur qualche cosa ho conosciuto di essa,


le

anzi

abomina
felici

lusinghe della popolarit

so inoltre che le tue


e

occupazioni
:

amano

la

tranquillit
la

rifuggono dallo

strepito

ho conosciuto ancora

orecchi siano indegni di


rato ci che

mia imperizia e come i tuoi fanciullesche parole, e ho conside-

mi par d'avere udito pi volte dalla tua bocca,

cio che tu con la miglior parte di te stesso guardi gli amici

per quanto lontani. Le quali cose tutte mi hanno reso tardo


tanto,

ma non mi hanno fatto dimentico di te, che amo da non aver pi cura della mia anima che della memoria tua, sebbene io assai spesso, per non smettere in tutto l'uso del volgo, abbia commesso ai nunzi che venivano da te di volermi ricordare che certo non fu fatto. Che altro
a scrivere,
:

337
dir? Poich, cosi mi amino
tente,
g' iddii

o meglio dio onnipoall'

se io mi trovi presso gli antipodi o

inferno,

dove

sentimento ancor mi rimanga, a quelli non sono sottomesso pi che se traessi teco eterna vita. E queste stesse

qualche

sono parse vane, ma da una parte mi stimola il fedele amico, e da un'altra il nuovo viaggio mi costringe al buon successo del quale domando, se ne ho il merito, che tue lettere mi siano auspicio di questo
cose che ora scrivo mi
;

cammino. Sta sano, mio


Queste
lettere,

felicissimo signore, e
il

non

ti

gravi

intercedere presso Dio per

tuo devoto.^
il

mentre

ci

attestano che l'amicizia tra

Pesi

trarca e Paolo di Bernardo era pi che superficiale,

anzi

potrebbe dire dimestichezza o intimit,


ziosi

ci

danno pure pre-

ragguagli biografici
le

bene
rire

lettere

manchino
libro,

poich cotesta corrispondenza, sebdella data dell'anno, si pu rife1368, al quale

senza alcun dubbio

al

appartengono
;

le

senili del

decimo

dov' quella indirizzata a Paolo

che intorno a quel tempo il nostro rimatore aveva preso moglie e s'apparecchiava a partire con un ofcosi se ne trae
ficio
te.

pubblico, navigando verso

le

colonie veneziane d'Orien-

Doveva dunque

essere abbastanza giovine,

ma non

giofa-

vanissimo, se gi qualche anno innanzi usava una certa


dogli

miliarit col Petrarca, al quale scriveva a Milano, presentan-

un maestro

di

grammatica,

Giacomino da Mantova,

che insegnava, sembra, in Verona. Del resto, un indizio pi


sicuro dell'et sua l'abbiamo in una lettera che Paolo scrisse

a Benintendi dei Ravignani cancelliere della repubblica veneta, esprimendogli tutta la sua gratitudine
il

e riconoscendo

proprio sapere da
;

lui

che nella cancelleria l'aveva spinto

agli studi letterari

e questa lettera

in cui

il

Ravignani mori, accenna cosi un

non posteriore al 1365, fatto non antemia notizia G. Voigt, Die

Sull'epistolario di Paolo di Bernardo, oltre la


si

del cod. Vaticano,

veda

la

dissertazione

di

Briefsanimliingen Petrarca' s und der venetianische Staatskanzler Benintendi (pubblicata nelle Abhandlungen der historischen Classe der k. bayerischen Akademie der Wissenschaften, Monaco 1883,
voi.

XVI,

fase.

Ili,

pp. i-ioi).

Casini, Studi di poesia antica.

22.

338
riore al

1352, in cui fu eletto cancelliere, ''O al pi 1349, in cui cominci a far


e
le

non an^

teriore al

veci del cancelliere dagli

che, per

da un calcolo approssimativo, si deduce che la nascita del nostro Paolo cade nella prima met del sec. XIV, e propriamente intorno al 1330. Dove nascesse non appare con sicurezza, ma l'essere chiamato veneto e il vederlo bazzicare per tempo nella cancelleria veneziana e gli offici che
acciaccato

Niccol Pistorini ammalato

anni

ei

tenne nell'Istria e nelle colonie d'Oriente, fanno pensare


egli fosse proprio cittadino di

che

Venezia
in

di

che poi mi
citt altret-

par di trovare esplicita dichiarazione in una sua lettera dove


dice d'esser nato in mezzo alle paludi,

una

tanto ricca e fiorente di molte cose, quanto aliena dagli studi


liberali."
I

pi dei corrispondenti del nostro Paolo sono ignoti

alla storia letteraria,

ma

dovettero

tutti essere,

qual pi qua!

meno,
scribi

letterati,

e per la

maggior parte

cancellieri o notai o
all'arte e scrive-

che nei momenti d'ozio indulgevano


epistole in

vano

grammatica spai'gendole di dubbie e grosse eleganze, esagerando la retorica petrarchesca o colucciana allora di moda nelle segreterie, e dando cosi da fare a noi poveri moderni che cerchiamo nelle loro scritture dei fatti e troviamo solo delle parole. Pur da questo epistolario possiamo spigolare qualche curiosa notizia degli
rattere,

studi,

del ca-

delle occupazioni del nostro rimatore.


:

Gran parte del


sue idee sugli
le

viver suo erano le amicizie


le

egli fa

ai

suoi corrispondenti
le

pi calde professioni d'


si

affetto,

espone

amici,

scusa largamente del silenzio cui lo costringono


il

sue occupazioni, invoca

perdono con vive raccomanda-

1 G. Agostini, Notizie storico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori veneziani, Venezia, 1754, voi. II, pp. 322 e segg., dove sono raccolte importanti informazioni biografiche

e bibliografiche su Benntendi.
2

Lettera a Michele Alberti


.

...

in palludibus

ortum

ur-

beque ut multis

florentissima, ita a studiis liberalibus alienissi-

ma

prorsus

Forse per altro potrebbe essere accennata Ferscrisse la lett. gi


citata
e'

rara,

donde Paolo

a Benintendi

ma
alla

in questa,

che pur lunghissima, non

accenno alcuno

patria.

339
zioni
;

e a tutti ripete le stesse cose e le

razioni,

sebbene l'amico del


e

medesime dichiasuo cuore, almeno per un certo


fosse
il

tempo

dopo

la

morte del Petrarca,


lui

veramente Miin

chele Alberti da

conosciuto verso

1380,

Oriente.

Gli scriveva da Negroponte spiegandogli

come non

potesse

essere poeta, alummis Pieriim, egli che s'affaticava


cancelleria, servilibus
offitiis

deditus

e confessava di
libri,

in una non aver

portato con s da Venezia se

non due

l'uno contenente
l'alli

Macrobio

De

saturnalius e Apuleio

De

mireo asino, e
;

tro alquante

opere di Cicerone malamente trascritte

of-

feriva all'amico, cosi

com'erano: un'altra volta

gli

ragionava
era stato

a lungo del parlare in singolare o in plurale, e un'altra an-

cora confessava all'Alberti che, morto


finch aveva trovato lui

il

Petrarca,
il

quattro anni senza trovare alcuno cui dedicare

suo amore,

degno
si

di tanta amicizia.

Da Negroil

ponte scriveva anche a Raffaino Caresini, cancelliere e cronista della Repubblica, e


gli

rallegrava con

lui

che

senato

avesse concessa

la

nobilt veneziana, sebbene nobile egli


i

fosse
vili

anche innanzi per le sue virt e per suoi meriti cinon ostante che fosse nato di bassa gente. Prima d'andare in Oriente era stato nell'Istria, che pi lettere sue dell'anno 1367 sono datate da Capodistria, e nei
e letterari,
'71 e nel

'74

era

stato

a Treviso

nell'uno

nell' altro

luogo, credo, con officio di cancelliere dei rettori della Re-

pubblica mandati a governare

le terre

del dominio
dalle

e cosi
lettere,

mi par
ogni

di raccogliere

da

indizi

offertimi

sue

che vorrebbero essere chiarite con indagini

d' archivio.

Ad
che

modo

noi

ne abbiamo abbastanza
Petrarca,

per

fermare

Paolo di Bernardo coltiv


letterati e fu

gli studi letterari

e l'amicizia dei

nella seconda met del secolo XIV, pur essendo nato nella prima e senza toccare forse il Quattrocento. Di lui come rimatore volgare ci avanzano due soli sonettuzzi morali, ch'egli stesso mand all'amico Bernardo da Casalortio con una epistola latina, che recher nell'originale, perch il lettore abbia un saggio del-

dimestico col

fiori

l'uno e dell'altro

stile

del nostro Paolo.

340
Epistula domini Pmili de Bernardo

ad Bernardum de Casalortio.
Fuerat aliquando necesse, vir optime, ut casus aliquis aut
opportunitas se offerret quod torporem
excitaret,

meum

ac

ignaviam

utque

rei

dudum

omissae, atque supervenientibus

aliis abiectae,

aliquid vicissitudinis praeberetur. Fateor

nam-

que, dilecte mi, a decennio citra vix ter stilo scripsisse ma-

terno

cuius rei

etsi

causae
fuit

forte

aliquae

adduci

possint,

haec tamen potissima

quod concurrentem non habui, qui


Itaque
destiti

pari certamine congredi

vellet.

hoc defectu,
;

nec minus familiaribus


et

et recentibus

semper

curis obsessus

ad

alia transvolavi,

sicut

mos

est instabilitatis

humanae.
alia

Extorsit

tandem quorumdam ignavia quod nulla occasio

vix potuisset elicere, ut ad seposita studia


citationes ingenii

dudum

ac exer-

aciem mentis dirigerem

et,

ut Flaccus no-

ster ait, antiquo ludo iterum


satis ut ipse,

me

includerem, non spectatum

neque iam rude donatum, sed remissus atque obductum ignorantiae coecitate. Itaque duos, ut aiunt, sonetos in commendationem almae virtutis, utcumque fere parvitas ingenii mei, edidi, tecum participans ineptias meas, quae etsi multae sint, multum tamen ad illas addicit protervus ludus fortunae
longe,
si

versatilis.
tuis,

Vellem libenter

ut

ipsi

Rithimi di-

gni essent auribus

profecto felix essem fortuna[tu]sque


iudicio ex
si

quicquam dignum, tuo


sint,
tibi dicati

me

esset.

At qua-

lescunque
rit

sunt, leges, et

forte aliquid fue-

quod ad rem

attineat,

abunde

fuerit mihi, si

minus suppor-

tabis

nugas meas, qui alias saepe mea onera supportasti. Postremo quod in excusationem cordis (?) non mei, sed cuius ne ausim dicere, pridie aliqua subiunxeris me absente, non tibi

ad grates assurgo, quippe ad has invalidus


neus. Illas

et

minus idotri-

tamen summus

opifex, cuius est premia dare pr

veritate certantibus, ex affluenti

munere

gratiae suae tibi

buet, certus sum. Valeque.

341

[j]

Vera vert dal ciel convien che cada e trove loco in terra a s conforme,
che guidi et rega le felice norme dil ben che tende a la superna strada. Cum l'animo excelente sempre vada contra coloro il cui inteleto dorme,
direto, constante, iusto et uniforme,
si

che non treme


Costei governa

al
il

menar de
tuto e
si

la

spada.

consilgia

disprexiar la morte e le ferute di quei che contra il ver tutor s'impilgia.

Tanta la gratia di questa virtute che qualuncha si fa di suo' familgia certo di hauer l'angelica salute. Perch di dio flgia, suore e spoxa,

gemma

celeste alta e glorioxa.

[ij]

Vera vert disprexia ogni tereno, vera vert fa l'homo esser beato, vera vert contenta ogni creato, vera vert non p vegnir a meno. Vera vert il vitio tien a freno, vera vert si chazia ogni reato,
vera vert non teme alcun elato, vera vert fa l'uom di grazia pieno. Vera vert ti fecie sempre honesto, vera vert te ha scrito in suo quaterne,
vera vert
ti

tolgie ogni molesto.


ti

Vera vert

renda sempiterno,

vera vert ti duca al fin modesto, vera vert ti guidi al luoco eterno. Vera vert ti fecie mio pavese, Vera vert ci scampe d'ogni ofese.^
1 Questo sonetto da aggiungere a quelli che con lo stesso cominciamento d'ogni verso ha registrati L. Biadene, Morfologia del sonetto nei sec. XIII e XIV, Roma iS88, p. 170 e seg.

342
Il

secondo dei nostri rimatori Pier Paolo Vergerlo di


:

Capodistria, notissimo tra gli umanisti dell'ultimo trecento

nato a mezzo

il

secolo

XIV

fatti

primi studi a Pail

dova, egli

si

rec a Firenze, e vi conobbe


poi
e

cardinale Fran-

cesco Zabarella, che lo aiut


vita
:

protesse

per
e,

tutta

la

insegn
al

filosofia nello

Studio fiorentino

pi

tardi,

dal 1393

1400, in quello di

Padova

fu segretario di

Francesco Novello da Carrara e compose, a gloria dei suoi signori, le vite dei principi carraresi e altre prose e carmi
laudatori
:

quando

la loro

fortuna tramont

si

ritrasse nella

nativa Capodistria, donde torn qualche volta a Venezia e

a Padova
cilio di

e finalmente nel 14 14 segui lo Zabarella al conalla

Costanza e
d'Italia.^

corte
fu,

di

mori fuori
rola,

Non

giudica

Sigismondo imperatore e il Voigt,^ un letterato

di professione,

n un umanista nello stretto senso della pabench mantenesse un'estesa corrispondenza epistolare
il

coi migliori ingegni di Venezia, quali Carlo Zeno,

Trevi-

sano e

il

Barbaro,

come pure

col

Crisolora,

con Giovanni

da Ravenna, Gasparino da Barzizza e il Salutato. E perci anche da parte di costoro egli fu spesso ricordato con dimostrazioni di onore, specialmente pee avere in un violento

opuscolo assunto

le difese di Virgilio,

la cui statua
Il

era stata

ignominiosamente manomessa a Mantova.

V^ergerio

non

vossiane, voi.

Vergerlo cfr. A. Zeno, Disseriazioni Colle, Storia dello Studio di Padova, L. Bernardi, nell' Arch. stor. ital., voi. IV, pp. 58 e segg. serie 3% voi. XXIII, p. 176 Baduber, P. P. Vergerlo il seniore, Capodistria 1866; C. A. Combi, Di P. P. Vergerlo il seniore .da Cap. e del suo epistolario, Venezia 1880. L' epistolario raccolto dal Combi stato pubblicato recentemente da T. Luciani, Epi2

Per

la vita di
I,

P.

P.

p.

51

Paolo Vergerlo seniore da Capodistria, Venezia, 1887 {Monumenti storici pubbl. dalla R. Deputazione veneta di ma una pubblistoria patria, serie 4', Miscellanea, voi. V) cazione assai difettosa, e mal risponde alle speranze che gli stustole di Pietro
;

diosi
^

avevano concepite del lavoro del Combi.


//

risorgimento

dell' antichit classica,


I,

trad.

da D. Val-

busa, Firenze 1888, voi.

p. 431.

343
disdegn,

come

altri

dottori,

la

lingua

volgare

primo forse tra i nuovi poeti latini tentava in derno il metro solenne dell'ode saffica, per altre materie pi piane ricorreva alla forma ormai consacrata dall'uso pi co-

mentre argomento mo;

mune dei rimatori e scriveva sonetti non belli veramente, ma arieggianti in qualche reminiscenza di concetti e di espres:

sioni la lirica petrarchesca.

Del Petrarca

infatti egli

era grane

dissimo ammiratore, n solamente ne scrisse


studi V Africa e l'altre opere latine
;

la

vita

ne

si

dovette ancora ceral

care con amore

le

poesie volgari tanto largamente diffuse


si

suo tempo, se

egli

versi volgari di

compiaceva di rime assai meno famose. Pietro Montanari par che s'alluda in una

si accennano le sentenze e si aggiunge che pi dolcemente risuonerebbero a sentirle dire

epistola vergeriana, dei quali

in lingua volgare e dal

loro

proprio autore

;^

pi

chiara-

mente poi in un'altra, si discorre di' wn carmeiivulgare, crederei un sonetto, tam sententi^ giiarn verbis insigne, che il giureconsulto Ognibene della Scuola compose e pubblic in lode di Michele da Rabatta, uomo d'armi e di studi, amicissimo del Vergerlo." Non deve quindi apparir singolare
che
il

nostro umanista verseggiasse volentieri in volgare


i

di

che sono documenti

sonetti

che

egli

da Roma mand nel


al

febbraio del 1398 a Ognibene della Scuola, quasi per rispar-

miare una

lettera.^

Era giunto nella

citt eterna,

seguito

del cardinale Francesco Zabarella, e volendo dar notizia di


s all'amico

padovano non seppe

far di

meglio, o forse an-

che per istanchezza del viaggio recente non pot far altro che trascrivere i due sonetti, premettendo loro brevissime

Epist.

XCVI

Quae quidam
cfr.

[sententiae] longe

suavius
.

resonarent
2
*

si et

vulgari idiomate et ab auctore suo dicerentur


;

anche Epist. LXXXIX e XCVIII. I sonetti non hanno data ma sono preceduti nel codice da una lettera del Vergerio ad Ognibene, data in Roma 5 febbraio 1398, in cui detto Ego ad te pridie, ne me immemorem crederes, duplex Carmen vulgare, quale solemus, misi lacobus de Zabarellis rediens tibi reddidisse debuit .
Epist.
: :
:

LXXXI

344
parole circa
gli

argomenti.^ Del primo sonetto anzi,


si

io

av-

verto a scarico di coscienza,

potrebbe dubitare se per av-

ventura fosse solamente trascritto, e non composto, dal Verraptim edito, per altro, parmi che debba significare gerlo composto in fretta,"' e della fretta che l'onestade ad ogni segni che si possano desiderare. Ad atto dismaga ha tutti ogni modo ecco due sonetti
:

Domino Omnebonum
[Artium legimque
docto7-i,

de la Scola

amico optimo, Paduae].

Amice

karissime, bene valemus et laeti vivimus.


est.

DomiStatum

nus Franciscus in magno honore apud omnes


urbis hoc Carmine accipies raptim edito
:

Roma che fu d'ogni vertute hospitio, maestra de iuste arme e sante lege, de mal ladron ora speloncha e rege,
non
disciplina,

non rason,
i

ma

vicio.

La
le

qual quanta za fusse, fanno indicio

gran ruine,

marmi

e l'alte

sede
vii

e gli archi triunphal, che ora el

grege

destrurie, vuopra de grande artificio.

Ma
che,

questo

'1

fine

de

le

cose fiumane,

quando per vert

se crescie in stato,

durasse in quel quanto vert rimane.

Ora
et a

de qui ogni valor scaciato,


fati
il

gli antichi

paion cosse vane,


sol

Roma

nome

lasciato.

sonetti, fosse giunto da i che non molto innanzi era a Bologna, donde scrisse una lettera in data IV kal. Jan. 1398 a maestro Bernardino da Imola, e che nel viaggio si ferm, almeno qualche giorno, nel Casentino. 2 II vb. edere ha il senso di comporre in pi luoghi degli scritti del Vergerio, p. es. -ix&W Epist. LXXXI vulgare Carmen quod in laudes tuas edidit potrebbe per altro aver il significato di pubblicare, e ci darebbe ragione a chi volesse negare al Vergerio il primo sonetto.
'

Che

il

Vergerio, quando scrisse

poco

in

Roma

appare dal

fatto

345
Aliud quoque Carmen vide
qiiod Corniti Roberto de Pupio,
:

qui nos comiter acceperat ex itinere, reddidi


Virtute e zientileza insieme aconte,
el

studio di Parnaso e l'aurea verga,

el el

dolce nido dove amor alberga, magnanimo cor e le vuopre promte,

de queste cose, glorioso conte, et meco ovonque i' perga e se mai fia che '1 debole ingegno erga, al mondo fien per mio stilo raconte. Udito sempre che '1 bel Appenino, che parte Italia nostra, ingegni sie produr sublimi, com' al ciel vicino et or di te n se pente n dole, che gloria se' del buon sangue latino,

memoria porto

unde natura e Iddio lodar

si

vole.
P. P.

Vergerius.
la

Il

secondo
al

di cotesti sonetti
;

notevole per

persona
ap-

che v' lodata


parteneva

Roberto conte

di

Poppi e di

Battifolle

ramo guelfo

dei conti Guidi e fu capitano dei


i

Fiorentini nella guerra del 1370 contro

Visconti

cono-

sciuto nella storia letteraria per l'ammirazione


str al Petrarca, invitandolo a visitare
il

ch'ei

dimoa
ri-

Casentino e

conciliarsi
si

con Firenze,' e per alcune rime non ispregevoli


il

;^

che quando

Vergerio celebrava come accolte

in lui

le

virt

dell'uomo d'armi e del poeta,


el

studio di Parnaso e l'aurea verga,

non indulgeva alla fantasia cortigianesca, ma diceva il vero. E notevole, dunque, cotesto sonetto, perch corregge un errore, nel quale, seguendo un vecchio scrittore di genea-

'

Cfr.

Petrarca,
Vita

Seniti, lib.

II,

lett.

VI

e VII, e

due

let-

tere di

Roberto nel laurenziano

pi.

XC

inf.,

cod. 13, pubbl. da


e d'altri ecc.

L.

Mehus,
2

Amor. Camatd.,

coli.

CXXVI, CCXXXXIX.

Cfr.

G. Carducci, Rime di m. Cina da Pistoia

Firenze 1862, pp.

LXIV-LXVI

e 424-427.

346
caddero quelli che modernamente parlarono del conte Roberto e affermarono ch'ei mori nel 1374 ^ par che fosse invece ancor vivo nel 1398, e forse non ancora troppo veclogie,
;

chio, se al Vergerlo le terre di giate parvero

Casentino da

lui

signoreg-

un
.
. .

dolce nido dove amor alberga,


di

e se

si

proponeva
:

celebrare

altrimenti

le

gloriose

im-

prese del conte

E
al

se

mai

fia

mondo
il

fien

che '1 debole ingegno erga per mio stilo raconte.

Lo

stilo,

onde
stile

Vergerlo voleva narrare di

Roberto, era

certo quello stesso ch'egli adropr nelle vite dei Signori da

Carrara
neria

magniloquente

di tronfia latinit, cosi

povero

d'arte vera quanto abbondevole d'adulazione e di cortigia;

e fu quindi ventura che al


:

signore di

Poppi

man-

casse la biografia vergeriana


sonetto.

ne abbiamo abbastanza del

Anche
alla storia,

il

terzo dei nuovi rimatori, che

crescere r innumerevole serie dei trecentisti,


se

vengono ad acnon ignoto

non

delle lettere,

almeno
del

della coltura in ge-

nere
luce

Giorgio Anselmi parmigiano,

quale or torna in
del

una canzone

assai curiosa intorno all'origine


le

mail

trimonio e contro
a'

donne,
il

fu

medico e

filosofo di

gran grido
e

suoi belli tempi, tra

declinare del secolo

XIV

co-

minciare del seguente.^ Nacque figliuolo a un altro medico,

maestro Enrico da Parma che mori nel 1386, e doveva

es-

1 Cfr. G. B. Baldelli, Vita del Petr., p. 286 G. FracasSETTi, nelle note alle Lett. senili di F. Petr., voi. I, p. 126 G. Carducci, loc. cit. i quali accettarono la data del 1374
;
; ;

proposta
mil.
;

dall'

Imhoff, Geneal. viginti

illustriurn

in

Italia

fa-

Amsterdam 1710, p. 139. Le notizie dell' Anselmi sono

raccolte da

L Aff, Memo1789-93, voi. II

rie degli scrittori e letterati parmigiani,

Parma

pp. 153-161.

347
sere ancor giovine nel 1400, allorch prese moglie per un subitaneo cambiamento che egli stesso descrive in una sua
epistola
;

aveva studiato medicina, o sotto

la disciplina

pa-

terna o nelle scuole di Pavia, e fu per


legio dei medici di

Parma,

nel
;

tempo ascritto al colquale fu uno degli eletti


1443 era gi morto,
la-

nel 1440 a riformare gli statuti

nel

sciando quattro

figliuoli,

Ilario,

Bartolommeo, Giovanni e

Andrea, e parecchie opere


tre

di

medicina, d'astronomia e d'al-

materie scientifiche. Lasci anche qualche componimento


;

in versi

tra gli altri

una Sylva de

solis

trmmpho,

forse

un

carme latino a imitazione dei Trionfi del Petrarca, del quale ma questo carme era gi perduto era grande ammiratore
:

nel Cinquecento, e

Pomponio

Torelli,

rassegnando

vecchi

e recenti poeti parmensi, v'accennava come a cosa di cui fosse pervenuta a lui solamente la fama
:

Syderum
et

ignes, atque hilares choreas

dem

fertur

voces celebrasse maior Anselmus, sequitur nepotem

gloria maior.

maggiore del nipote aveva dunque oscurata nel oscurata, ma non ispenta del tutto, se stampando nel 1506 la sua Hecuba e nel 1526 glEpigrammaton libri septem Giorgio Anselmi iuniore (nato ini

La

gloria

Cinquecento quella dell'avo

al 1450 da Andrea, e morto nel 1528), sentiva il bisogno di distinguer s dal vecchio medico poeta e s'aggiungeva il soprannome di ?iipote, onde poi lo design anche il Torelli.- Poca fama, almeno di poeta, dovette ad ogni modo avere il vecchio Anselmi anche presso i contemporanei, che erano abituati ad ammirare il Petrarca. Anch'egli, il medico parmigiano, lo ammir, e pi di venticinque anni dopo la propri morte del gran poeta egli, mandando a un amico

torno

versi volgari sul

matrimonio, chiedeva con molta instanza

Carmina; Parma, Viotti, i5oo, lib. IV, p. loi. Aff, op. ciL, voi. Ili, pp. 238 e segg. dove anche pu aver notizia delle altre opere di G. Anselmi il giovine.
*

si

348
corpia di qualche cosa non posseduta del Petrarca
:

Se pe-

caso tu avessi qualche cosa del Petrarca, che tu sapessi non

aver io, domando che non ti spiaccia trarmene copia dove credo che non si possa intendere se non di rime volgari, e n pur di quelle del Canzoiiere gi pubblicato nel 1400, si
:
,

pi tosto delle estravaganti che

il

poeta dov lasciare in gran

copia

delle opere latine, anch'esse gi conosciute, nessuno


fatto

avrebbe
tutte d'
stri

una

richiesta cosi generica e fors' anche nessuno

avrebbe potuto domandar copia a un

amico,

poich

sono
i

una

certa estensione, e gli amici

non sono poi

noPe-

copisti.

Quello che TAnselmi profittasse studiando


:

il

trarca eccolo qui nella sua canzone

Sapienti et Egregio Artium et Medicinae oc tori domino Magistro Guielmo de Verona honorabili viaiori

etc.

Circumspecto, prudente

et

caro amico,
sei

poy che a l'extremo nodo gionto

che di lungo uso come naturale, che, come sia et quale detti miei sapray se ascolti alquanto et se a colui chi l'orden ab antiquo
i

del
io

novo

et vario intrico

principio fosse stato lungo experto,

non credo per certo


si

che

ligati

avesse

sucessori,

avisati gli errori

e r invidie, gli affari et le discordie

de che son sta primordie gli ordenamenti che anno posto in fundo ugni vertute al mondo per che l' uom vive sempre con dispeto, cum pensier, con angosia et con sospetto.
;

Gi pi
1'

d' in

giorno

in

giorno s'acreseva

umana gente

et era pi robusta,

che niun segue et da ciascun gradita. O dolce, o santa vita Contenta di radice et di locusta n Ypocras la sete lor spingneva,
! :

349

ma

el

fonte che sorgeva

le riscaldate

membra

risorava

non era ancor n le frute di


et le

la biava,

ma
n

terra propie fate, case in alto trate sol di rami et vag fior contexte

di seta lor veste,


la

se non come donava non era ancora cura


al

natura

greco navigare il mar di Coleo, n a l'affricano in terra meter solco.

Ma

era

1'

uomo

innocente et sincero,

n si curava ragunar thesoro n far monition de alcuna cossa, che avaritia rabiosa ancora non tenea la mente loro contenti a quel che a vita fo mestiero fin che '1 duro pensiero
;

di passer di figlioli la brigata,

da poi che dolce


pi ch'ai bisogna

et

amata
pare,
:

s'ebbi la dona, incominzi adunare


il

temendo
si

ch'ai figlio

che, se io

principio fu

manchasse il verno ben discerno, la donna di avaricia


;

e possa di altericia che chi s vide figli pi potere superbo pi de i altri volse bavere.

Da

poi che cominci

figli

per suoy

tener che pria l'umana caritate

venendo Tom, nutriva cum s estesso,


el se dispuose adesso fundar di pietra e far case murate e seminar la terra et zionger boj'

e consequente poi domesticar la bestia e tuor la lana cossi r industria humana comin(;:i di vestirse et di godere, n li bast di bavere quanto a la sola vita fo bastanca, che ancor ebbi speranza col suo vicin far cambio et haver meglio
:

350
e fece suo conseglio,

spregiar la morte e navigare

il

mare,
stare.

sperando pi

di

haver e meglio

la donna appropiosse molgie et esso suo marito, questo filgio mio. e sol per dire O dur pensier e rio per noi heredi che l'aven seguito contenti noi se mai stato non fosse el dolce amor che '1 mosse, che in si continui affani n' conduti, tanto che stolti e dotti per forca n sotoposti al dur pensiere che figli di mogliere vuol per cui l'ossa e '1 mondo e dio robare. Perch s'el desperare che le sue herede al mondo sien gradite, convien chel se marite e come maritato ecco convene ch'el pona di ben far zascuna spene.

Adunque V uom
:

et fo sua

E poy la bella donna fa sospetto chiunque guatt et su per 1' usso passi, tanto che teme che li sia robata o ver che namorata, che pi gli aggrava, sie di quel che vassi n po' nel cor soffrir tanto dispeto, unde che l' intelletto suo quasi perde et coni pazo diventa a tal che non si attenta da cassa dipartisse notte e giorno
:

et cossi quel

musorno
con vergogna,
el

finisse la suo' vita

e s'el

dorme

se sogna

combatter con colui che gli la toUe, si come pensar suole. Et s'egli sozza, qual mazor dolore cha sempre haver ne gli ochi che l'acuore?

E
e

spesso per

la

cassa va orgolgiosa

mena

tanta furia, o chel conviene

tacerte e lei per forca esser signore,

o se tu gride ancore

351
et ella pi, et se le

day pene
trista e dolorosa,

piange e s chiama

e chi te la die sposa

bestemia, e tuo' secreti manifesta

sempre com tempesta con seco, e non i solcho Talor dice Oc' hay ditto ?
e
vivi
:

a dritto.

t' veduto, io el so ben, con la tale che dio le faci male trista che l' ma questa la caxone per che tu m'abandone , e dicete che sei di puochi fatti con queste sempre angosia e dolor datti.

io

E se gli aven che iu falir la trova convien che taci e che l'angosia porti in pace, se non che sei vergognato in per ci che '1 peccato e la iusticia non volgian che morte con le tuo' man le donni et non li ay prova, per che '1 giudice mova punir la peccatrice del delitto unde el convien che afflitto a tuo mal grado sempre inanzi agli ochi el tuo dolor ti fiochi e nanci tempo al fine tuo pervegna. Or adunque t' ingegna che se tu tolgli donna molto bella
; ;

non ti contri di quella ch'io t' narato, et s'el te avegna cossa a seno e senra furia fa cum possa.
Al mio
canzon,
fratel
la tuo'

ragion pur

va baldamente e narra, cum tu voy

e confortai stu

poy

per dolce amor di molgie n di figli vert non lassi et a' vicii s'apilgli.

PaRMAE,

1400, PER TUUM GeORGIUM DE Anselmis de Parma.

Frater,

tasiae occurrit, tibi descripsi

hanc praesentem cantilenam, secundum quod fante audiens uxoratum quam


;

352
vide, lege
:

ubi

si

quam

indicibilem dicacitatem,

deducenti

indulge fantasiae,

et corrige.

Unum

precor

quid responde.

Et scias dilectum patrem nostrum Magistrum Francischinum


nupsisse uni ex nobilibus dominabus
piensi.
tre

de

Villa

Lantea pa-

Aliud ex doctoribus
:

nostro Petrino

non audivi, ut de patantum Magistrum Danielem de Santa


et sociis

Sophia,

dum

adiisse, et

essem Placentiam eum visurus, Paduam patrem suum et nostrum dominum Magistrum Mariturus
tibi

silium Papiae esse. Si quid erit

animo respondere, per


et

hunc mercatorem praesentis latorem


scribit

per

quem

tibi
si

etiam

Magister Petrus, affinem nostrum, rescribe. Et

quid
Si

Petrarcae,

quod

scias

me non

habere, fortasse habeas, eius


vel
alterius.

rogo non tedeat mihi copiam transcribere, quid cupis Vale ad

me

facturum, aye, scribe. Dilectis fratribus maioriet

bus meis Magistris Nicolao


velie.

Bartholameo me recommitte,

Parmae.
rientra,

La canzone dell'Anselmi

come avr
delle
si

visto

ognuno,
delle

nel gran ciclo delle poesie sulla natura

donne,

quali altri s' gi occupato e


tile insistere

si

occupa,
:

che parmi inualla

su questo argomento

quanto

forma,
tutti
i

la

canzone vorrebbe essere petrarchesca,


ratteri della tristissima

ma

ha gi

ca;

poesia d' imitazione del Quattrocento

e r intonazione discorsiva e ragionativa, pi che alla lirica,


ci

fa

pensare alla gran massa delle rime insegnative che


il

l'ul-

timo Trecento e
in quella

primo

Quattrocento

ammonticchiarono
italiana.

grande e deserta landa dell'arte

353

IV.

Lauda inedita

di

Matteo Griffoni.
e storico

Di Matteo Griffoni poeta


abbastanza bene

la vita e le opere.

bolognese conosciamo Nato nel 1351, figlio a

Guiduccio Griffoni e a Giovanna Crescenzi, parente del famoso agronomo, crebbe educato a buoni studi letterari e giuridici esercit il notariato, col quale si apri la via ai pub:

blici uffici, e fu nel

ambasciatore del
gia,

Comune

1389 del magistrato degli Anziani, nel '93 al pontefice Bonifazio IX in Peru-

nel

'97 podest

ad Imola, nel '98 gonfaloniere

di giu-

stizia,

ossia capo della

Signoria, e finalmente nel 1401

am-

Lambertino da Canetolo dal 1384 donna Elena dottore. Aveva sposato fino cavaliere e Codec, di ricca famiglia mercantesca, e n'ebbe parecchi figliuoli e per questo matrimonio s' imparent con Pellebasciatore a Firenze insieme con
;

grino Zambeccari, scrittore latino e volgare dei pi notevoli


tra
i

bolognesi d'allora. Finita

la

signoria di Giovanni
il

Ben-

tivoglio, del
esiliato

quale fu caldo fautore,

Griffoni fu nel 1403


:

da Leonardo Malaspina, luogotenente dei Visconti ma, richiamato in patria dal card. Baldassarre Cossa, ritorn ai pubblici uffici, e attese a scrivere una cronaca latina della sua patria, che distese su fonti pi antiche per il tempo che va sino circa al 1370, e su memorie proprie, su documenti contemporanei, su racconti orali per gli anni che seguono
sino
al

1426, nel quale mori.^


il

Alle storie letterarie, oltre che per

Memoriale

histori-

cum
1

pubblicato gi dal Muratori,^

ma

meritevole d'essere pi

[e

ora A.

G. Fantuzzi, Notizie degli scritt. bologn., voi. IV, pp. 297-98 Sorbelli, pp. II-XI del voi. citato nella nota se-

guente].
di
2 Rerum itali(. scriptor., voi. XVIII, pp. 105-234, [ora a cura A. Sorbelli e L. Frati nella nuova ediz. dei Rer., tom. XVIII,

parte

II,

Citt di Castello, Lapi,

1902].

Casini, Studi di poesia antica.

23.

354
compiutamente studiato/ Matteo Griffoni noto come autore un sonetto d'argomento politico, attribuitogli dalla di rime voce pubblica, da lui stesso riferito nella cronaca all'anno 1385; ^ alcuni componimenti, madrigali e ballate, furono dati in luce dal Fantuzzi,^ che li trasse da un libro dall'archivio
:

bolognese

e pi altre rime dello stesso

genere

al

piccolo

patrimonio poetico del Griffoni aggiunsero ai di nostri il Carducci * e il Grion,^ e d'altre forse sarebbe facile arricchirlo

cercando meglio nelle raccolte di


Intanto mi
sia lecito di accrescerlo

antiche

poesie

volgari.^

d'una

lauda, ad

onore

della Vergine, nella quale pi che altro singolare la

menper

zione che

il

poeta

fa di s stesso,

raccomandandosi a

lei

la salute dell'anima.''

Oracione ouer Canzone facta a la Vergene Maria per Mattheo Griffoie da Bologna.

Reyna

preciosa,

matre de Yes Cristo omnipotente.


codd. cita il Fantuzzi, uno di propriet dei Pepoli Comunale di Bologna, segn., 17, K. VI, 9) pubbl. dal Muratori, e uno dell' Istituto (ora Biblioteca Universitaria di Bo1

Due

(ora Bibl.

logna, n. 812), in cui la cronaca tribuita a Giovanni Griffoni e va dal 781 al 1428, mentre quella edita dal Muratori va dal 1109
al

1426, aggiuntevi alcune


il

vedasi su questi codici


2
3 * 5
^

Rer. ital. scr., Op. cit., pp. 299-301.

poche cose degli a. 1428 e 1572 [ora Sorbelli, pp. XXIV e segg.]. XVIII, p. 195 [nuova ediz., p. 79].

Cantilene e ballate ecc., pp. 322-28. Trattato delle rime volgari di K. da Tempo ecc., pp. 358-62. [Ora delle poesie del Griffoni si ha pi compiuta notizia

dal Sorbelli, pp. XXI-XXIII].

Questa lauda nel cod. Riccardiano 1121, a carte 71^- 72^ Nel medesimo codice, che una miscellanea di prose e rime
"^

scritta nel secolo

XV,

forse in

Roma,

si

legge alle carte 67b-7i^

una Frottola morale composta per ser Gre gnor o Rouerbella nodaro et citadino de bologna, che comincia: Audite, alme pietose,
audite, audite.

355
chol cuor et

cum

la

mente

ti

mi do, vergene gloriosa.

Anni pi de cinquanta
ch'ai e
'1

mondo

vieni son gi trapassati,

si vanta haver tenuti alchun modi laudati,

mio cuor non


maculati

ma

tutti

12

de vicii et de cose mundane, inamorate et vane, in balli et canti et in vita dannosa.


et pien

In peccati mortali,
in odorato,

viso,

gusto et tacto

et altri molti mali

i6

20

eo son soesso caduto come matto: tutto el mal ch'i' facto, pensato et decto fin al di presente, pentito veramente chiedo perdono cum ciera lacrimosa.

de

Pi che pietra o diamante

24

son fermo ne la fede del tuo figlio; voglio vivere constante n mai voltarmi per altrui consiglio,
per fugire
lo bisbiglio

28

de l'inimico de humana natura, che sempre mai procura de deviarme da te, vera sposa.
Benigna matre mia, fontana de pietate et d'alegreza, non guardare la follia et li peccati de mia gioveneza
-eza;

32

d'ogni peccato dolente et pentita


et fa

che

in l'altra vita

36

essere mi truovi in pace et vera posa.

Deh

non

me

ne abbandonare

40

J)en ch'io sia stato misero peccatore, fermo son de tornare a viver sempre tuo buon servitore,
et lassare tanto errore

nel qual son stato poi che venni al

mondo

356
ch'io

44

perh famme giocundo venga in gracia de


te

ti,

donna

pietosa.

Ad

48

mi do chol chore, mi do cum la mente de! piaciati de tore per servo mi, ch'amor mi te consente priegote dolcemente che a Questo tracto tu non m'abbandoni, ma de gracia me doni
et al tuo figlio
:
;

52

la

tua misericordia graciosa.

56

60

Et quando de sta vita me partir, per dio, non haver isdegno fino a guerra finita defende me dal nemicho maligno, et ben che non sia digno, piacciate de chiamare Mattheo Griffone et farli dare perdono dal tuo figliuolo benigno d'ogni cosa.

357

V.

Frottola politica bolognese ATTRIBUITA A TOMMASO PeLLACANI.

Dei fatti del 1385, ai quali questa Frottola si riferisce, e brevissima narrazione cosi nei cronisti contemporanei come nella Historia del Ghirardacci ma ricerche d'archivio po;

trebbero chiarirci ampiamente lo svolgersi di quei

fatti e gli

accenni contenuti nel nostro documento storico-poetico, se lecito chiamarlo cosi. Il quale non ignoto agli studiosi da
poi che, trascritto dal processo che fu intentato contro l'autore,
fu dato alla luce nei Racconti Storici di

O. Mazzoni Toselli

443 e segg.), ma cosi sfigurato, per cattiva trascrizione e peggiore stampa, da non
(Bologna, Chierici, 1888, voi.
II,

p,

potervisi riconoscere facilmente

il

senso.

L'ho riprodotto

in

lezione pi corretta, quale

si

legge nel codice Campori, ap-

pend. 38 della R. Biblioteca Estense, non senza qua e l giovarmi del testo processuale bolognese le allusioni, ho cercato di farle intendere con le brevi noterelle messe a pie di pagina; dell'autore avrei voluto dare, ma non ho avuto agio di rintracciare notizie, salvo che nel 1379 fu uno dei
:

soprastanti ai lavori di edificazioni delle

mura

e porta di via
di vi-

Castiglione e
sitare le

membro

di

una commissione incaricata

comunit del contado per isgravarle delle soverchie


fu degli Anziani.

imposte e nel 1382

norum Ancianorum reperte

Copia unius scripte posite apud capellam palaci] domidie viij. aprilis Mccclxxxv. que dicitur fore fabricata per Thomam ser Pigoli de Peli acati is cui male successit dieta de cauxa.
Povol mio tu
i

oxelado
te

da

quilli
j

che vlem mudar


tu

to

stato

non par che

n'acorgi.

Se

non

te

guardi

358
inanci,
|

incontrate
f'

cum

f'

ai
^
|

Pepoli

che l'oste da Solatu te lassi sitare


|

rolo
I

perdere so stado

e la Ghiexia per volere Gar|

narolo

si

perde

lo

gran garnaro.^
|

Ma

per

volere tore Barbiano


t'

e per desfare

Zoane d'Agio
El
tei

^
|

che no'
e

venuto
^

fatto.

No'
i

vi tu chi te fa

questo
vi

fa

tuoi vixini

dentro
stado
?

tuoi citadini.

Non

tu

chi anchoi
*
|

rege questo

El Miseri Francesco
I

Rampone
|

polli

'1

confallone

a presso gli

altri

che qui di Peda la paxe che


j |

se

pom

dire qui

da

la

guerra
|

Miser Ugolim di Scappi,^


|

Miser

Tomaxe de
;
!

Minotto,^
]

Miser Zoanne da Loyano,''


|

Pie-

dro de Maestro Enoch, ^


vi

compagnoni sempre a secreto conseglio.


I

lacomo Griffone ^ e altri suo' non bexogna che ti noti che continuo troi
|

Non

vi tu quel

che tu
!
|

fai

e che ufficiali tu i
|

Guarda

Tu mandasti un Miser Zoane de che ignorancia questa mo l'ai manPolo '"a Fioren9a per capitanio de toa gente Guarda dato per sopra capitanio a Barbiano de la toa gente. come la toa gente de' ubedire questo vilam puQolente,
:
]

Nel 1350: cfr. SoRBELLi, La signoria di Gio. Visconti a Bologna (Bologna, Zanichelli, 1902), pp. S-ii. * Nel 1376, quando Granarolo di Romagna fu assediato da Giovanni Hawkwood con gli stipendiari della Chiesa, e a Bologna fu restituito il governo popolare, cacciatone prima il legato pontifcio, Guglielmo di Noellet cardinale di Sant'Angelo. ^ Gio. d'Azzo degli Ubaldini, capo di una compagnia di ventura, entrata nel 1385 nel Bolognese e recatasi a difendere Bar'

biano di
*

Romagna contro l'assedio Famoso dottore di legge (n.

postovi dai Bolognesi.

1350 circa, m.

1401) e
;

dei principali cittadini di Bologna nel

governo del 1376


cittadino

cfr.

uno Fan;

Tuzzi, VII, pp. 156-162.


5

Dottore di legge e autorevole

(m.

1405)

ivi

VII, p. 348. ^ Figlio di Minotto della famiglia Angelelli. Ascritto al consiglio generale nel 1376.
''

Ambasciatore a Firenze col Ramponi nel 1378; consigliere


Goufaloniere del popolo nel 1376 (m. 1399). Nessuna notizia di questo Giovanni di Polo.

nel 1387.
^
**

359
eh ' uno mer^aro da vendere reve
dli a lui tre livre el di
|

e core^e senga fiuba

ch'el no'
:
|

varve dui dinari

con-

siderando Qo ch'el sa fare


so
rio,
I

el

no' cavallo n rondino che


|

sia,
I

sempre sa
si

si
|

ordenare

ch'elio officio

da
|

sala-

e saputo
|

fare

ch'el so no' valea dui dinari

mo

vale migliara

da che el fo questo stado. un Piero Martello ch' maestro de tal zanAncora c' ^ bello elio era povero e iotone e mo de offici] fatto bona
^
|

monicione.
si

E
|

offici]

a quisti mai
li

non mancha
si

perch sano
Fiorentini

trabutare

che mai no' che

po' manchare.

Nom
|

vi tu

quisti

sano
'

fare
|

ch'i

MiserTadiodi Pepoli a Fiorenza presto per averlo a la soa posta a le bexogne? uno stra^arolo di Albertuci,'' ch'el no' f Non vi tu troppo tempo ch'el munte su la renghiera e domande de portar le arme perch Miser Tadio di Agoguidi * lo vosu la renghiera zo lea fare ama^are ? po' un di revoce che avea ditto e po' disse e consegli ch'ai dito Miser Tadio sia restotoido li soi beni.
teneno
|

Non

vi tu

che

fa dire
;
|

questo?

li

dinari

me

penso.
|

Non
9oni
g

so che tu te pensi
|

io so

ben che per antigo


|

quan-

t' in str Castiglioni,


I

Schiassi,
^
|

Checho Albertuci
?

e Ardi-

eram

soi confalloni

e bene te lo mostrarno.
|

Non

vi tu chi la

questo Checho
|

Ell' pochi di ch'el


j

munte su

renghiera
1

e consegli qui che gli era


|

che

al

tuto se seguisse

che Barbiano se desfese


consigliere nel 1387
figlio di

e ch'el metesse

Figlio di Mattiolo

era degli Anziani


fu poi prori-

nel

primo bimestre 1385.


2

Taddeo

il

giovane,

Giovanni Pepoli,

cessato e condannato nel 1386 per un tentativo tornare in patria.


''

fallitogli di

Gli Albertucci erano artigiani

Andrea

sartore fu fatto del

consiglio nel 1412.


*

Cittadino grande, che fu odiato dal popolo

come

fautore

del rimpatrio dei Pepoli e per tale motivo confinato a


nel 1376.
'-'

Firenze
case in

Famiglie favorevoli

ai Pepoli,

che avevano

le loro

va Castiglione.

36o

mano

ai

dinari
|

ch'el glie n'era


le

cun
|

le pale,

ch'elio lo sa!

vea bene

perch cun
i

soe mani
; |

elio

li

avea tocadi
disse
;

e
j

pochi di era

avea romenadi
renghiera
a le burse
| |

dappo' a

l'altro

conseglio
|

munte su
metesse

la

e
|

per simel

modo

che se
|

mano

e fssese valente

mente

e que-

sto disse de le burse


I

per zugar de noxi boxi.


j

El Marchexe pur savio*

ch'el se sta colla


le

ad axio
|

e fa

donare de bon cavalli


;
|

e de

altre

cose assai
|

per

savere zo che bexogna

doe
fare

castelle
|

non
si

falla.'
|

ch'i

san

fare

vada omai com'ella vole che i una farfalla lassa pur ch'i sarano ben si guardare che la
e
|

Tu non

compagna^ non
I

se por andare.

Non
?
i

vi tu

Philippe

Guidotto
|

*
|

ch'

anche de
f'

quilli

octo
e
li

el

tratado del cardenale


i

in casa d'Alberto^

fare
j

reti
I

g'

Pepoli

Se
I

tui i dinari,

cum cum
|

alcun di Baldoini.
dixe Checho,
|
i

te faran be' bela bri-

sogno,

che

te

so dire de chiaro
e

che Zoane d'Ago e


]

gada

tornar subitamente
stare.
|

menar tanta gente


j

che Bar-

biano lassarai
fadiga
; j

e daratte tanta briga

che teparr gram


j

de verso Modena a Miser Guido


|

vira
|

molto ben
altri

fornido
citadini,

in
li

Barbiano remaxo
quai aspectano
li

Pepoli

cum

tuoi

conpagni.
perde,
|

E' ve<;o ben


I

s'el recolto se

che

me

par dubio

asai,

ch'el ce sera de molti guai:


e altri
I

piglia

ogn'omo dixe piglia dixe dagli dagli: questo un inpire


|

lo cui d'agli.

Io vego questo

onde vene
|

Fiorentini vorano fare


i

corno ano fatto a Peroxa,

tornare in caxa
i

Pepoli,
|

com

ano

fatto a

Sena
:
|

qui chi

eran

fuorusiti

per tenon.

ben se vede che qui a conseglio no' chiamato, se no' quilli che en de quello stado. E sano si ordenare che Anciani n conscio non gan che
Miser Tadio
e

questo
|

asai

^
3

Niccol II d'Este, marchese di Ferrara. Conselice e Zagonara.

La compagnia

del conte Lucio di

Landau.
il

*
5

Consigliere nel 1376, anziano nel 1384. Alberto Guidotti, gran fautore dei Pepoli, bandito per

tentativo del 1386.

36i
fare.
|

e tanto cussi farano

che

al

sodio

te

meterano,

chi

no' provede tosto.

un bom mengone, che se lassa si non qa che fare li compagni eno spauruxi e de tuto go che ano a fare a quilli da la paxe lassano fare da poe che fono in questo officio mai no' avno altro conseglio, solo quili da la paxe, che i ano missi in tal guera che questo anno no' se dessra. Chi sa fare barataria officio aver tuta via ano ing parado da Bertolomio di Manzoli ^ ch'avanz de barataria da che fo questo stado pi de 8000 prima era un pol?

Miser Lorenzo
|

menare

che a
|

l'officio

tron,
?

Io

non

t' altro a dire


fai

se no' che dighi provedere

e per certo se non

tosto

a signoria vira' tosto.


|

Io so

bene che de queste

parole te farai beffe

e di-

rai queste

eno

(jan^e

e cussi te farano a
i

credere
|

quigli

che ano voglia de fare ^ Vo' tu vedere se tu


erano in
sasti
la

fatti.

ei
li

bem
festi

savio

Bolognesi
j

che
las-

conpagna
;
|

tu

venir dentro,
j

possa

li

ano scripto qui li toi fatti chi dal fradello chi dal parente, e cussi ano dato ordene de savere e po'
andare
e
| [

lassadi retornare.
g

Guarda che seno questo,


li

a fare sentire

li

fatti toi
\

a quilli che ano

parenti

in la
|

conpagna

chi te fa guerra

: |

questo crego che de' bastare,


gnoscetis eos
^
|

ma

ab operibus eorum co-

e metergli a scotto.

Lorenzo Mengoni, anziano nel 1392.


Cittadino nobile ricordato pi volte nei
fatti

della

seconda

met del secolo XIV.

INDICE DEI CAPOVERSI

A A

dirte el vero dolce (cantilena incatenata) dirte tuto quel ch'el

....
....

Adoro te Adoro te, Adoro te, Adoro te, Adoro un


Ai laso

mio cuor dice (ballata) amor caro mio conforto (sonetto ?)


amor, dolze anzolina amor mio, dolze mia vita
anzoleta
dio e
!

... (sonetto ?)....


(ball.)

...

Pag. 132
135
135

134
131 133

(id.)
ti,

amo

mia

vita (strambotto doppio)


(ball.)

me

ch'el

me

convien lassare

...
. .

136 252
185
171

Alma

lizadra, del tuo viso pio (id.)

Amor amar, quanto me fai languire (id.) Amor a ti me inclino e dico vita (strambotto) Amor de l'ochi mei vago dilecto (ball.)
:

132

Amor! che m'i conduta


Amor,
io

in l'ultim'ora (id.).

...

258

204
196

me

lamento
in

(id.)

Amor me prese Amor mi prega

tempo

di verdura (id.)

....

236
184

nel voler talora (id.)

Arbor che fructo porta senra flore (son.) A tal vision risponder non savria (son. di Mula da Pistoia) A ti, segnor, la mia vita comando (ball.)
Bella, c'hai lo viso clero (cantilena)

329 322
183

190
123

Ben aza quela zota (ball.) Ben me sont'avizuto (id.) Canta la philomena (id.) Chi fiso guarda in questa margarita (id.) Ch'io me so' mal maritata (id.) Circumspecto, prudente et caro amico
Anselmi)

233

236
199
192

(canz.

di

G.

348

364
Cita d'Arimin bella (ball.)

Pag. 175
(id.)

Come pu

tu fare,

amore

iSi

Com lagreme sospiro (id.) Como partir da ti me deb'io


Con
dolci

202

mai

(id.)

200

mei
sei

sospiri (id.)
(id.)

259
225 203 129
271

Contenta

che mora

ti

Cum
Da Da

doiosi martiri (id.)


si

D'amor

dolze aspeto da
ti

aparse

(id.)
(id.)

poi che pur

piaci,

me

morte

....
.

pu' che mandata sete (id.) De, basame, misere, basame la boca (strambotto).
feci la

267
195

De, ben

gran pacia

(ball.)

139

De

guata, Ciampol, ben questa vecchiuzza

(son. di

Cecco Angiolieri) De, nun aver tanti amanti (ball.) De questa donna, Amore (id.) Desdegno in dona non convenevole

208


(id.)

269 200
197

....

De

sospirar sovente (id.)

204
145

De, torna ch'i' t'aspeto (id.) Dico mal uomini vanno (detto del gatto lupesco). Dileto che no' spero d'aver mai (ball.) Dime, bruneta, dal polito viso (strambotto) Doi ochi vaghi me consuma el core (ball.) Do lassa mi tapina sagurata (id.) Dolze mio signor, cun pura fede (id.) Do, mala vechia, lo mal fuogo t'arda (id.) Dona che sia donzella (id.) Dona, la mente mia si invaghita (id.) Done, non voi lassare (id.) Done, siatene pregate (id.) Donna, sperar poss'io? (id.)
!

317 262
238
263
156
183

.... ....

....

217
193

206 270
141

199

D'un piacente soridere

(cantilena)

324
272

chi vole oldir novelle (canto storico)

El conven pur che rasone (ball.)

166

El dolze viso e

gli tuoi

biondi crini

(id.)

274
223

El tuo bel viso dolze l'alma mia

(id.)

ser senpre del core


finir

(id.) (id.)

E' vo

con pianti e con sospiri


(id.)

179 256
145

Fanciulle siate avizate

Ferita d'un quadrello (id.)


(gentil

264

madona, pietate da audire

(son.)

329

305
Gi perch'i' penso ne Gioven sonecto, cliome vo' che
la

tua partita (ball.)


sia (son.)
al

.... ....
(ball.)
.

Fag. 174

323
253
196

Gran pianti Guarda una Guerra m'

agli ochi,

grave doglia
il

core

volta in za verso
fatta

tuo servo
(id.)

(id.)

per altrui mal dire


liceri (son.
si

265

Homo Homo

ch' sazo no' core


no'

prixe

anchora

di G. Guinizelli) saxamente (son. di F.

328

Lambertuzzi) Insegna d'umiltate e cortesia (son. di Nicola) Io mi disparto da te zentil fiore (id.)
Io vo' fare testamento
(id.)

...

32S
322
254
257

ludicium

intentione

mea

(son. bilingue)

Kyrie, kyrie, pregne son le

monache

(ball.)

.... ....
.

313 126
147

La dona mia

voi eser el misiere (id.)

Laida vecchia stomegosa (id.) L'alma e 'I corpo Tom ch'avazo i' oblia (son.). L'alma e '1 corpo tuo che si dolia (son. di Nicola) L'alma leggiadra del tuo viso pio (ball.) La mala lengua d'ogni mal radice (id.) L'amor posso laudar e la ventura (son.) Lasa, ch'i' son constreta (ball.) Laso! per mia sfortuna post' amore (id.) L'aspeto vostro, don', mio conforto (id.) Lassa mi, corno farazo.? (id.) La vechia d'amor m' biasemata (id.) Lo homo no' cognosse piennamente lo bene (son.)

218

324 321
187 201

330 223
195 201 J55

....
.

211

330
239 246
183

L'omo

ch' traditore a la soa

amanza (strambotto)

Mamma,

che deco fare (ball.) Mercede la parola che pi chiama (id.) Monico son tuto coioso (id.) Niente mi zova a mia dona servire (id.)
Ochi, pianzeti, e tu, cor tribulato
(d.)

230 e 232

234 202
151

Oi me! streto fose io (id.) Oi mia mente obscura (id.) O mia guerera, o mio destruzimento

(id.)

....

235
172

relucente stella

(id.)

(id.)

261

Or si disparte la speranza mia Or ve fazo a sapere (id.)


Perch colli toi sembianti (id.) Perch sospecto non sia (id.) Per l'amor de belle brune (id.)

226
153 263 148

240

366
Piacse a dio che
e'

Piango

'1

partire et l'andar

non fosse mai nata (id.) mi conforta (id.)


(id.)

...

, . .

Pag. 191
203

Poi ch'el

me

convien partire
al

232

Poi che sei zonta

ponto

(id.)
(id.)

268
181

Post' nel tuo volere, mio signore

oxelado (frottola di T. Pellacani) Privato so', ma non per mio falire (ball.) Qual uom di donna fosse chanoscente (son.) Quanto di prova vede mio inteleto (ball.)
Povol mio, tu
sei

...

357 251

320
184

Quei ochi gentil vagi pien d'amore (id.) Reina preciosa (lauda di M. Griffoni)

di

250

354
163

Rendime

el

mio core

(ball.)]

Roma

che

fu

d'ogni vertute hospitio (son.

P. P.

Vergerio)
Spetel bon,
Si incende la
fiola

mia
'1

(ball.)

344 246
197
182

Sia maledeta Fora e

d ch'io vini (id.)


el

mia mente
el

tuo parlare
(id.)

(id.).

...

Solo viazo o preso

pelegrino

Soto

el

manto

scarlato (id.)

249 266
195
151

Strenzi le lapre piano, l'amor

mio

(id.)

Tolto m'i col to parlare

(id.)

Tutto lo

mondo m'
ciel

tornato in guerra (strambotto)


(ball.)

238
153

Valeto, per cortesia

Vera vert dal


di

convien che cada (son.

di

Paolo

Bernardo)
di
,

341

Vera vert disprexia ogni tereno (id.) Vinta e lassa era gi l'anima mia (son.
Pistoia)

Gino da
.

310
345
553 321

Virtute e zientileza insieme aconte (son. di P. P. Vergerio)

Vita non pi misera e pi ria (ball.) Volete udir s'io abbo gran martorio (son.)

....

INDICE DEL

VOLUME

Dedica Pag. v Proemio vii I. Di alcuni ritmi e poemetti volgari i IL Da un repertorio giullaresco 117 III. Leggenda e poesia francescana 277 IV. Appunti su Gino da Pistoia (I, Nuovi documenti biografici; II, Di alcune rime attribuite a C. da P.) 287 V. Spigolature di rime antiche (I, Poesie varie dei

....

secoli
III,

XIII e

XIV

II,

Sonetti del secolo XIII


;

Tre

ignoti rimatori del Trecento

IV,

Lauda

inedita di

M.

Griffoni

V, Frottola politica bolognese


311

attribuita a T. Pellacani)

Indice dei capoversi

363

4094 C37

Casini, TOiiimaso Studi di pesi a antica

PLEASE

DO NOT REMOVE
FROM
THIS

CARDS OR

SLIPS

POCKET

UNIVERSITY

OF TORONTO

LIBRARY

SS-V

You might also like