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ISSN 1592-9914

ETICA E ANIMALI
,\i/rcofrzgitz - Osscrl'azioni su Piutarco
SUSANNA MATI
Gli mzimali hanno diritti?
ALESSANDRO BECCHI
()/tre' Je/J{'rson - Il tema dei diritti animali
. - nelle dichiarazioni universali
MASSIMO DE MICCO
Gli esseri mnani e gli animali
davrz n ti a un destino comune
CAMILLA PAGANI
Le menti degli altri
ANDREA BASAGNI
Ntll W'il urruma, Juztura animrzie e linguaggio
Alcuni temi d'indagine
FULVIO GUATELLI
APPROFONDIMENTI
Ii concetto di
secondo lo Heidegger di Essere e tempo
RoBERTO RISALITI
Il concetto di fenomenologia secondo lo Heidegger
di Essere e tempo
di Roberto Risaliti
Apparentemente, secondo quanto dichiara Heidegger stesso al principio dell'opera
di cui tratto, Phiinomenologie non denota niente pi che una mera metodologia,
correlata in un senso subordinato a quella 'scienz che Heidegger intende ripor-
tare al centro dell'attenzione filosofica su basi, finalmente, autenticamente radi-
cali: la scienza pura dell'essere, l' ontologia.
1
Tale 'metodologi, avverte per im-
mediatamente Heidegger, presenta peculiarit tali da distinguerla da ogni altra.
Ogni scienza, infatti, dispone di un metodo che le proprio, correlativo al pro-
prio ambito d'indagine, oltre che, si direbbe, di una generalissima metodologia
formale che appartiene a tutte necessariamente, la logica. Ma ci che Heidegger
intende sotto il titolo <<fenomenologia una disciplina solo superficialmente
affine a quelle il cui nome pure formato in modo del tutto analogo ad essa.
2
Per
mostrare in cosa consista l'assoluta peculiarit dell'indagine fenomenologica ri-
spetto ad ogni altro discorso scientifico, Heidegger scompone la parola
<<fenomenologia>> nelle sue due componenti <<fenomeno e logos, analizzando il
significato dei concetti intesi da queste parole. Heidegger ritiene cos di dimo-
1
Questa relazione di subordinazione esplicitamente riconosciuta da Heidegger in questi
termini: Col problema conduttore del senso dell'essere, la ricerca si trova di fronte al problema
fondamentale della filosofia. Il metodo di trattazione di questo problema quello fenomenologico.
Ma con ci il nostro lavoro non si subordina n a un <<punto di vista, n a una Corrente>>; la
fenomenologia non n l'una n l'altra cosa, n pu divenir tale, almeno finch comprenda se
stessa. Lespressione <<fenomenologia significa primariamente un concetto di metodO>> in M.
Heidegger, Essere e tempo, Utet, Torino 1969, 7, p. 46.
2
Questi sono i rilievi di Heidegger sulla somiglianza solo apparente della fenomenologia
con le altre scienze: <<Preso superficialmente, il termine fenomenologia composto in modo
analogo a teologia, biologia, sociologia, che noi rendiamo solitamente con scienza di Dio, della
vita, della societ. In tal caso, fenomenologia sarebbe la scienza dei fenomeni in ivi, 7, p. 47.
Le discipline citate lo sono soltanto, naturalmente, a titolo di esempio. Quello che Heidegger
ha in mente di differenziare preliminarmente la fenomenologia da qualsiasi scienza, sia nel
contenuto che nel metodo di ricerca.
70 Roberto Risaliti
strare, in ultimo luogo, la dipendenza del discorso dal fenomeno, e di rivelare il
vero senso di quella 'scienza dei fenomeni' che risulta essere la disciplina signifi-
cata dalla parola composta dalla sintesi dei due termini.
l. Fenomeno, parvenza, apparenza
Di <<fenomeno>> Heidegger distingue vari sensi, comunque 'imparentati' fra
loro in modo tale che tutti fanno capo ad un concetto originario di fenomeno,
di cui gli altri sono modificazioni di tipo derivativo:
3
<<fenomeno>> determinato
come quel che si presenta per ci che esso effettivamente , ci che mostra. se
stesso direttamente, senza coprimenti, falsificazioni o ambiguit di alcun gene-
re. Ma cosa in effetti intenda Heidegger per fenomeno comincia a rendersi pi
esplicito solo con la successiva trattazione dei significati derivativi del termine
stesso. Essi sono sostanzialmente due: il fenomeno come 'parvenza' [Schein] e
come 'apparenza' ;
4
di quest'ultimo termine vengono distinti qua t-
tro usi differenti.
Parvenza il nome di quel particolare modo di manifestarsi di qualcosa in cui
quest'ultimo non si mostra come esso effettivamente , come ad esempio, nel
caso della percezione, quando abbiamo davanti a noi un oggetto, e crediamo sia
un certo X, ma successivamente, in base ad una percezione pi attenta ed accu-
rata, ci accorgiamo che non si tratta di un X ma di un Y. Nel nostro esempio la
cosa, l'ente, ed sempre stato lo stesso, ma viene esperito dapprima come par-
venza, e solo in un secondo tempo come autentico fenomeno; tale progressione
non per necessaria: pu essere che qualcosa si mostri sempre come ci che
non , oppure prima come ci che effettivamente e poi come mera parvenza, e
3
Ci a cui propriamente si riferisce l'espressione <<Phanomen, il significato fondamentale
della parola, viene in un primo momento cos illustrato da Heidegger: <<l:espressione greca
phainomenon, a cui risale il termine "fenomeno", deriva dal verbo phainesthai che significa
manifestarsi [si c h zeigen]; phainomenon significa quindi ci che si manifesta, il manifestantesi, il
manifesto; phainesthai stesso una forma media di phaino, illuminare, porre in chiaro; phaino
deriva dalla radice pha come phos, la luce, il chiaro, ossia ci in cui qualcosa pu manifestarsi,
rendersi visibile in se stesso. Bisogna dunque tener ben fermo il seguente significato dell' espres-
sione <<fenomeno: ci che si manifista in se stesso, il manifesto in ivi, 7 A, pp. 47-48. Faccio
notare che tradurre <<sich zeigen con <<manifestarsi quesrionabile anche se non errato. Una
traduzione pi fedele mi sembra che potrebbe essere mostrarsi, che rende meglio l'idea della
presenza della cosa stessa in prima persona, che Heidegger vuole dare.
4
Tradurre con <<apparenza il termine tedesco Erscheinung non , di per s, scorretto. La
radice della parola la stessa del verbo <<erscheinen, che si traduce normalmente in italiano con
<<apparire. Il punto che il concetto di <<Erscheinung costituisce uno dei fondamenti del
sistema filosofico di Kant (filosofo a cui nel corso dell'opera Heidegger si richiama spesso,
anche nel paragrafo stesso che stiamo analizzando), noto tradizionalmente nella cultura italiana
come fenomeno. Lo stesso traduttore di Essere e tempo, Pietro Chiodi, nella sua traduzione della
Critica della ragione pura kantiana, rende <<Erscheinung con l'italiano <<fenomeno, cfr. I. Kant,
Critica della ragione pura, P. Chiodi (a cura di), Utet, Torino 1967, specialmente l'introduzione
del curatore, pp. 18-19.
' i
Il concetto di jnomenologia 71
cos via.
5
Lessenziale, nel rapporto fra parvenza e fenomeno in senso autentico,
la dipendenza a priori quanto allo statuto antologico del primo modo di mani-
festarsi dell'ente dal secondo.
6
Non pensabile che qualcosa si manifesti come
parvenza se non pu essere accessibile, almeno in linea di principio, il fenomeno
corrispondente. In altre parole: sul fondamento di qualcosa che si mostra
indubitabilmente nel suo proprio essere, che pensabile la manifestazione con-
traffatta, coperta, non chiara o addirittura ingannevole della medesima entit.
'Fenomeno' in senso proprio e 'parvenza', pur nella loro indubbia differenza, si
contrappongono entrambi a ci che Heidegger denomina apparenza>>.
7
'Apparire'
infatti il nome di una complessa struttura in cui si distinguono i seguenti momen-
ti, o aspetti: l) qualcosa si mostra, si manifesta originariamente; 2) qualcosa non si
mostra (n come fenomeno, n come parvenza); 3) coglibile tuttavia una relazio-
ne peculiare tra ci che si mostra e ci che non si mostra, tale che ci che si mostra,
il manifesto, indice di ci che non si mostra, in qualche modo lo segnala: Heidegger
chiama questa relazione <<annunciarsi>> [Sichmelden]. Quando qualcosa in effetti
non si mostra, ma ci che si mostra, in qualche modo, ne 'parla', ne 'appresenta'
l'essere, quel qualcosa una apparenza: com' facile vedere, questa in realt l' op-
posto del fenomeno in senso autentico; il fenomeno qualcosa di manifesto nel suo
proprio essere, mentre l'apparenza qualcosa di soltanto alluso da qualcos' altro -
laddove questo qualcos' altro solo esso ci che effettivamente, direttamente ma-
nifesto o, come dice.Heidegger, auto-mostrantesi.
8
Questo per ancora non chia-
risce sufficientemente il senso di 'fenomeno' e 'apparenza'; ci che da questi nomi
s Con queste parole Heidegger introduce la cosiddetta parvenza: l: ente pu dunque mani-
festarsi da se stesso in maniere diverse, a seconda dei vari modi di accedere ad esso. Si d anche
la possibilit che l'ente si manifesti come ci che esso in se stesso non . In questa forma di
manifestazione, l'ente "pare cosi come ... ". A questa forma di automanifestazione diamo il nome
di parvenza,> in M. Heidegger, Essere e tempo, ci t., 7 A, p. 48.
6
Nelle parole di Heidegger: <<Soltanto perch qualcosa, in base al suo senso, pretende di
manifestarsi, cio di esser fenomeno, esso pu manifestarsi come qualcosa che esso non , cio
pu "avere solo l'apparenza di ... ". Questo significato di phainomenon ("parvenza") porta gi in
s implicito il significato originario (fenomeno: il manifesto), nel quale trova il suo fondamen-
to. Noi conferiamo al termine "fenomeno" il significato positivo e originario di phainomenon e
distinguiamo fenomeno da parvenza, considerando la seconda come una modificazione priva-
riva del primo>> in ibidem.
7
Quest'ultima infatti cos determinata: <<Apparenza come apparenza "di qualcos' non si-
gnifica dunque: manifestazione di s, ma: annunciarsi di qualcosa che non si manifesta, mediante
qualcosa che si manifesta. L: apparire un non-manifistarsi. Ma questo "non'' non pu assoluta-
mente esser confuso col "non" privativa che caratterizza la struttura della parvenza. Ci che non si
mostra, nel senso in cui non si mostra ci che appare, non pu mai nemmeno essere parvenza.
Tutte le indicazioni, le rappresentazioni, i sintomi e i simboli hanno questa struttura formale
fondamentale dell'apparenza, anche se sono molto diversi fra di loro in ivi, 7A, pp. 48-49.
8
Ci risulta chiaro dal seguente passo: <l fenomeno, ci che si manifesta in se stesso, sta a
significare un modo particolare di incontrare qualcosa. Invece apparenza significa un rapporto
essente di riferimento nell'ente stesso, tale che il rifirente (l'annunciante) in grado di assolvere
la sua funzione possibile solo se si manifesta in se stesso, se "fenomeno" in ivi, 7 A, p. 50.
72 Roberto Risaliti
denotato rimane oscuro proprio quanto al suo statuto ontologico. Heidegger defini-
sce l'apparenza come qualcosa che 'si annunci attraverso qualcosa che mostra s
direttamente, differenziandola cos dal fenomeno in senso autentico e mostrando
allo stesso tempo la dipendenza, ancora una volta essenziale, a priori, della prima
dal secondo. tuttavia l'importante distinzione tra i vari sensi dell'espressione
apparire>> -da un lato l'apparire come qualcosa in cui qualcos' altro si mostra, dal-
l' altro l'apparire come esso stesso qualcosa che si mostra- da Heidegger operata per
chiarire in anticipo quella che potrebbe essere una comprensione equivoca dei
concetti di fenomeno e di apparenza, a fornire qualche elemento in pi per capire
cosa egli intenda per apparenza e quindi, correlativamente, anche per fenomeno in
senso autentico.
9
Quello di apparenza un concetto, come si visto, assai ampio:
Heidegger esplicitamente vi fa rientrare anche quello di rappresentazione, nel sen-
so di raffigurazione [Darstellungj, quelli di sintomo, simbolo, indicazione, ma si
pu ragionevolmente supporre che l'elenco potrebbe continuare, per esempio con
il concetto di rappresentazione nel senso di immaginazione [ Vorstellungj. Ora,
possiamo legittimamente chiederci quale sia il carattere comune che unisce questi
particolari modi di mostrarsi dell'ente, che cosa cio permetta di considerarli -pur
nelle innegabili differenze- membri di un'unica generalissima classe. Mi pare che
questo carattere consista nell'essere, tutti questi tipi di 'apparenz, casi di quella
che si pu chiamare esperienza in senso amplissimo, nella sua costitutiva duplicit
di esperire e di esperito. La coppia di concetti esperienza-esperito mi sembra infatti la
pi adatta a rendere conto della duplice intenzionalit del discorso heideggeriano,
che , da un lato, quella manifesta ed esplicitamente dichiarata di mettere in luce il
tipico carattere dell'apparenza come un complesso strutturato in un certo modo, e,
dall'altro, quella non dichiarata, ma implicita in tutta la trattazione, di segnalare
l'intrinseco rimando di ogni tipo di queste strutture di enti ad una cognizione degli
enti che si manifestano; ma su ci torner pi oltre.
Considero dapprima quanto sostiene Heidegger discutendo dei quattro possi-
bili sensi del termine <<apparenza>>:
10
qui l'apparire nel primo senso , secondo
me, il darsi di un qualsiasi ente in una esperienza, e l'apparire nel secondo senso
il darsi del/esperienza stessa, la quale mostra s direttamente, si auto-manifesta
alludendo allo stesso tempo e secondo il suo proprio senso all'ente di cui espe-
rienza. Che le cose stiano in questo modo mi pare, infine, chiaramente presuppo-
sto laddove Heidegger analizza il concetto di semplice apparenza [bloj?e
9
Apparire : annunciarsi mediante qualcosa che si manifesta. Di conseguenza, quando si
sostiene che con l'espressione "apparenza'' indichiamo qualcosa in cui qualcosa appare, senza
essere esso stesso apparenza, non abbiamo definito il concetto di fenomeno, ma l'abbiamo presup-
posto; si tratta d'una presupposizione che rimane nascosta, perch in questa definizione di "appa-
renza'', l'espressione "apparire" usata in modo equivoco. L espressione: "in cui qualcosa appare",
significa: "in cui qualcosa si annuncia, cio non si manifesta''; mentre nell'espressione: "senza
essere esso stesso apparenza", la parola "apparenza'' sta per automanijstazione>> in ivi, 7 A, p. 49.
10
L espressione "apparenza'' pu, daccapo, significare due cose: da un lato l'apparire nel
senso dell'annunciarsi come non-mostrarsi, e dall'altro l'annunciante stesso che, nel suo mani-
festarsi, rinvia a qualcosa di non manifestantesi>> in ibidem.
Il concetto di fenomenologia
73
Erscheinungj.
11
Che Heidegger voglia alludere alla nota dottrina kantiana della
conoscibilit del 'fenomeno' in contrapposizione alla inconoscibilit della 'cosa in
s', viene inoltre confermato subito dopo.
12
Il fatto che l'apparenza possa ricevere
questo sovrappi metafisico di senso, diventando cos apparenza di un qualcosa di
per s inconoscibile in linea di principio, mostra per al tempo stesso la prove-
nienza e l'uso genuino (non metafisico) del concetto. Il concetto di apparenza
nasce sul terreno della conoscenza nel senso pi ampio, ossia di ci che ho chiama-
to esperienza>>, la cui natura era stata, prima che da Heidegger, problematizzata
da filosofi come Kant e Husserl (con i quali il confronto in Essere e tempo esplici-
to e continuo). l: uso che si pu fare di tale concetto per spiegare che cosa sia ci
che, in generale, , ha un ambito limitato, ma, entro questi limiti, accettabile per
Heidegger. Lente da lui chiamato annunciante>> ha infatti, come gi avevo nota-
to, la modalit d'essere originaria dell' automanifestazione, fenomeno in senso pro-
prio. Del resto, Heidegger riconosce esplicitamente che c' un senso per cui 'appa-
renz sta a significare il mostrarsi autentico in generale (oltre, cio, ad essere il
termine adatto per esprimere quel mostrarsi che anche un annunciare): E, infi-
ne, il termine apparire pu essere usato per significare il senso genuino di fenome-
no come automanifestazione>>.
13
Il punto che, in generale, i fenomeni non sono
soltanto le apparenze (apparenze nel senso di ci che si mostra e nel mostrarsi
allude ad altro); ci so?o anche fenomeni veri e propri che invece non hanno quella
forma strutturata.
14
E nella discussione che Heidegger fa della posizione di Kant
che possibile trovare un indizio per determinare meglio in cosa consista il feno-
11
Quest'ultima infatti cos determinata: Se l'annunciante che nel suo manifestarsi rinvia
al non-manifesto viene inteso come qualcosa che scaturisce dal non-manifesto stesso ed da
esso emanato, in modo tale che ci che non si manifesta venga concepito come non mai
manifestabile per essenza, in questo caso apparenza verr a significare produzione o prodotto,
tale per da non esprimere l'essere autentico del producente: apparenza nel senso di "semplice
apparenza''>> in ivi, 7 A, pp. 49-50.
12
Kant usa il termine apparenza in questo accoppiamento di significati. Fenomeni
[Erscheinungen] sono per lui, da un lato, gli "oggetti dell'intuizione empirica", ci che in essa si
manifesta. Questo automanifestantesi (fenomeno nel senso genuino e originario) , nel
contempo, "apparenza'' come annunciante emanazione di qualcosa che nell'apparenza si na-
sconde>> in ivi, 7 A, p. 50. Noto che qui Chiodi si discosta dalla terminologia da lui stesso in
precedenza adottata, traducendo l'espressione Erscheinungen>> che introduce la seconda pro-
posizione del brano, con <<fenomeni>> invece che con apparenze>>.
13
lvi, 7A, p. 49.
14
Noto per inciso che una possibile obiezione all'interpretazione da noi finora tentata, che
cio Heidegger esplicitamente sostiene quanto segue: Dunque, i fenomeni non sono mai ap-
parenze, anche se ogni apparenza rinvia al fenomeno>> (ibidem), non tiene conto del fatto che in
questo luogo apparenza>> inteso nel senso della struttura apparenza>>. Proprio due righe
prima Heidegger ha detto che il 'lato' dell'apparenza che si d effettivamente (non l'alluso,
l'annunciato) mostrarsi>> [Sichzeigen], dunque fenomeno. Il punto che l'apparire (che
fenomeno) rimanda per sua stessa natura a ci a cui allude, all'annunciato (che non fenome-
no): questa struttura apparire-ci che appare>> non essa stessa fenomeno, ma l'apparire, preso
assolutamente, lo , ed ci che fa s che ogni apparenza rinvii>> al fenomeno.
74
Roberto Risaliti
meno in senso autentico in generale. Nell'interpretazione heideggeriana di Kant,
infatti, i 'fenomeni' di quest'ultimo sono s delle apparenze in cui qualcosa necessa-
riamente si nasconde, ma sono anche gli oggetti empiricamente dati, ci che nell' espe-
rienza si mostra. I.:oggetto dell'esperienza nel suo mostrarsi viene giudicato da
Heidegger fenomeno nel senso genuino e originariO>> [corsivo mio]. Ci che si mostra
in un'esperienza diretta e chiara , in un certo modo, fenomeno _nel senso della
fenomenologia di Essere e tempo. Esso si differenzia dalla parvenza per il suo carattere
indubitabile, definitivo, in contrapposizione all'illusoriet, alla mancanza di resa
autentica di ci che viene mostrato, nel caso della parvenza. Nel caso dell'apparenza,
invece, la differenza rispetto al fenomeno categoriale. Heidegger rifiuta esplicita-
mente che ci si possa servire dello schema concettuale esperienza-esperito (o apparen-
za-ci che appare) per spiegare la natura del fenomeno in senso proprio; le cose stan-
no secondo lui nel modo opposto: solo sulla base della comprensione di che cosa
sia 'fenomeno' che possibile fare chiarezza sulla complessa struttura dell' Erscheinung.
Heidegger riconosce la genuinit del concetto di fenomeno da lui contrapposto al
fenomeno come apparenza, ammettendo per al tempo stesso la mancanza della
determinazione di contenuto del concetto 'ci che si mostra in se stesso':
Poich in questa accezione del concetto di fenomeno resta indeterminato l'ente
a cui ci si riferisce in quanto fenomeno, e poich resta in generale indeciso se
l'automanifestantesi sia sempre un ente o un carattere d'essere dell'ente, non si
raggiunto che il concetto formale di fenomeno. Ma se per automanifestantesi si
intende l'ente a cui si accede, magari nel senso di Kant, mediante l'intuizione
empirica, il concetto formale di fenomeno ha invero un impiego legittimo. Preso
in questo senso, il fenomeno corrisponde al concetto ordinario di fenomeno. Tale
concetto ordinario non per il concetto fenomenologico di fenomeno.
15
Questo brano contiene considerazioni importantissime ed in apparente con-
traddizione fra loro: in che senso l'uso di 'fenomeno' per designare gli oggetti colti
in un qualsivoglia tipo di esperienza ha un impiego legittimo [rechtmiijige An-
wendung], quando tale concetto ordinario -cio non determinato feno-
menologicamente- non il concetto fenomenologico di fenomeno, ossia non sembra
essere quello di cui si serve colui che fa una teoria rigorosa di tali tipi di enti? Resta
comunque come un dato acquisito quanto segue: in un certo senso (ancora da chia-
rire) i fenomeni in senso ordinario, quotidiano (come quando in un uso empirico
del termine, si parla del <<verificarsi di un certo fenomeno, e cos via), sono fenome-
ni della fenomenologia di cui Heidegger sta illustrando la natura. Se il discorso si
fermasse qui, la filosofia che risulterebbe potrebbe essere chiamata una forma di
realismo ingenuo; una sorta di antologia in cui il predicato 'essente' (o 'reale') ver-
rebbe attribuito in modo acritico a ci che nell'ambito del vivere naturale, di tutti
i. giorni, viene senza troppi problemi implicitamente assunto come reale, come
dato ovviamente accessibile, e quindi usato, valutato, considerato in tutti i pi vari
rispetti empirici. Ma il discorso heideggeriano ben l ungi dal fer!I1arsi qui e dall'es-
IS lvi, 7A, pp. 50-51.
Il concetto di fenomenologia 75
sere una forma di realismo ingenuo: il concetto fenomenologico di fenomeno non
quello ordinario - anche se i due sono collegati in modo particolarissimo. Per de-
terminare concretamente tale concetto 'fenomenologico' di fenomeno ed i suoi
rapporti col fenomeno in senso ordinario, necessario, secondo Heidegger, affron-
tare la questione della scienza dei fenomeni (del loro l6gos), in quanto quest'ultima
d accesso alla loro verit (a ci che essi concretamente, effettivamente sono); dun-
que necessario occuparsi, in ultima analisi, del problema della verit in generale.
2. Il mostrare s come verit dell'ente
La questione del discorso filosofico, rigorosamente fondato, intorno ai feno-
meni, cio del l6gos, affrontata ai punti B e C del 7, e costituisce lo sfondo
problematico della trattazione dell'asserzione al 33, mentre il problema della
verit, oltre che in questi luoghi, viene pi volte successivamente sfiorato, ed
infine preso in esame in modo particolarmente approfondito nell'ampio 44,
dove viene trattato alla luce delle concezioni heideggeriane sull'Esserci e sulle sue
strutture d'essere. Data l'impostazione di questo lavoro, non affronto la tematica
del rapporto fra verit ed Esserci, !imitandomi a trattare della verit solo per
quanto necessario al fine della chiarificazione del concetto di fenomeno.
Come aveva proceduto per la nozione di fenomeno, Heidegger affronta quella
di discorso scientifico (o semplicemente 'discorso'), ponendo come punto di par-
tenza per l'analisi e la chiarificazione del concetto, la parola greca l6gos. Quella che
Heidegger si propone di portare alla luce l'essenziale connessione di l6gos, 'verit'
ed 'automanifestazione' (fenomeno in senso proprio), attraverso il riferimento a
quella che da lui chiamata concezione greca (griechischer Sinn] di questi concet-
ti, in quanto concezione pi originaria e perci, secondo lui, pi vicina al vero.
16
Ci che da Heidegger esplicitamente rifiutato infatti il modo consueto di
intendere illogos, il 'discorso' nel senso di discorso apofantico, che dice come stan-
no le cose, quando questo viene interpretato come giudicare;
17
Heidegger accetta
bens che l6gos possa significare anche qualcosa come 'giudizio', che cio possa
essere inteso come quel tipo di proposizione sensata che o vera o falsa, a seconda
che corrisponda (in qualche modo) a ci di cui essa parla, ma questo senso del
16
Al principio del 7B, dopo avere osservato che in Platone ed Aristotele il significato di logos
soltanto apparentemente equivoco, e aver asserito che il termine discorso accettabile come
traduzione di !Ogos, solo se si determina concettualmente il significato di <<discorso, Heidegger
afferma: <<La storia successiva del significato del termine !Ogos, e, soprattutto, le varie e arbitrarie
interpretazioni della filosofia successiva, coprono costantemente il significato autentico di discor-
so, che sufficientemente manifesto in ivi, 7B, p. 52. Sembra dunque di capire che il significa-
to che !Ogos ha nella concezione greca>>, una volta svelato nella sua originariet, cio liberato da
interpretazioni estrinseche e falsanti, sia un significato condivisibile da Heidegger stesso. Quello
che espone infatti il significato autentico [die eigentliche BedeutuniJ di !Ogos. Per quanto ri-
guarda il concetto di concezione greca di qualcosa, cfr. le pagine successive di questo lavoro.
17
Logos non significa e comunque non significa primariamente giudizio, se si intende per
giudizio il "collegare" o il "prender posizione" (accettare o respingere) in ibidem.
76 Roberto Risaliti
tutto secondario e derivativo rispetto a quello fondamentale ed autentico:
18
il si-
gnificato fondamentale di !Ogos , a parere di Heidegger, render manifesto ci di
cui nel discorso "si discorre"; tale determinazione, per, presa da sola, piuttosto
oscura. Per portarla a chiarezza, Heidegger la riconduce a quella aristotelica del
!Ogos come apophainesthai; il quale, a sua volta, da 'tradurre' cos: lasciare che
l'ente si mostri, per colui o coloro che lo intendono, cos come direttamente si
presenta.
19
Il 'discorso' dunque uno dei modi attraverso i quali qualcosa pu
mostrarsi (cio divenire fenomeno) in modo pi o meno originario.
20
Possono esi-
stere forme di discorso (ed esistono di fatto) che non hanno la peculiarit di porta-
re a manifestazione nel senso di fare cogliere qualcosa in modo diretto, esse per
non riguardano la teorizzazione e l'esposizione scientifica, in questo specifico caso
dei 'fenomeni', cio di quel!Ogos di cui Heidegger si propone di illustrare l'essenza.
Il nocciolo della posizione di Heidegger dunque duplice: in primo luogo
viene teorizzata la subordinazione della funzione discorsiva (congiungere termini,
mentalmente o sensibilmente, tramite sintesi, in modo tale che l'unit cos forma-
ta o vera o falsa) del discorso apofantico rispetto al suo portare l'ente di qualsiasi
specie a mostrarsi.
21
I.:altro aspetto della concezione che mi propongo di mettere
in luce che il 'discorso' (apofantico) propriamente un modo di accedere all'ente
o, in altre parole, una forma che l'ente ha di mostrarsi, di manifestarsi, e che in ci,
a sua volta, consiste la verit del !Ogos, e addirittura, come si vedr, la verit in
generale. Verit e falsit non apparte.ngono infatti al 'giudizio', alla 'sintesi', in modo
originario; Heidegger rifiuta esplicitamente che l'essere della verit consista in un
corrispondere ai 'fatti', alla 'realt', da parte di simboli, segni, pensieri, parole, pro-
cessi psichici di tipo discorsivo, e cos via. Prendendo come punto di partenza
dell'argomentazione la nozione di verit come Obereinstimmung(<<adeguazione>>,
18
Cos Heidegger presenta il quadro della situazione a questo punto dell'indagine: Logos
"tradotto", cio sempre interpretato, come ragione, giudizio, concetto, definizione, fondamen-
to, relazione. Ma come pu il "discorso" modificarsi in modo che l6gos possa avere tutti i signi-
ficati elencati, e per di pi nell'ambito di un uso scientifico del linguaggio? Anche se si intende
l6gos nel senso di asserzione, e l'asserzione nel senso di "giudizio", il significato fondamentale
pu essere smarrito, bench la traduzione sia apparentemente esatta, specialmente se il giudizio
inteso nel senso di qualcuna delle "teorie del giudizio" attuali>> in ibidem.
19
Illogos lascia vedere qualcosa (phainesthaz) e precisamente ci su cui il discorso verte; e
lo lascia vedere per colui che discorre (modo medio-passivo) o per coloro che discorrono fra di
loro. Il discorso "lascia vedere" apo ... , cio a partire da ci stesso di cui si discorre in ibidem.
20
Tale funzione di portare a manifestazione viene cos definitivamente indicata: Nel di-
scorso (ap6phansis), nella misura in cui esso genuino, ci che detto, deve essere tratto da ci
intorno a cui si discorre, in modo che la comunicazione discorsiva, in ci che essa afferma,
renda manifesto e come tale accessibile agli altri ci intorno a cui discorre. Questa la struttura
dell6gos in quanto ap6phansiS>> in ibidem.
21
<<Ed soltanto perch la funzione del lOgos come apophansis consiste nel lasciar vedere
qualcosa mostrando, che i!lOgos pu avere la forma strutturale della SynthesiS> in ivi, 7B, pp.
52-53. A proposito di tale Synthesis: Qui il syn ha un significato prettamente apofantico e
significa: lasciar vedere qualcosa nel suo essere assieme a qualcosa, lasciar vedere qualcosa come
qualcosa in ivi, 7B, p. 53.
Il concetto di jnomenologia 77
traduce Chiodi, ma forse sarebbe meglio <<corrispondenza>>), osserva che questo
concetto non affatto originario; esso deriva, piuttosto, dal carattere di 'scoprire',
di 'trarre fuori dal nascondimento', originariamente proprio del fenomeno dell'es-
ser vero.
22
Il discorrere scientificamente di qualcosa un modo di cogliere l'ente
nelle varie maniere del suo mostrarsi, e quando un tale darsi dell'ente un mostra-
re s dell'ente cos come esso in se stesso, dunque non come un qualsiasi tipo di
parvenza, allora tale discorrere veritiero e il discorso stesso vero; quando invece
il discorso porta l'ente a mostrarsi come esso non , quando cio fa in modo che
esso appaia altrimenti da come , o in modo che non appaia affatto -dunque lo
nasconda-, il discorso falso. Ma il discorso, per quanto scientificamente fondato;
e dunque a suo modo 'veritiero', non ci che, nel senso pi fondamentale,
portatore della verit.
23
Il discorrere scientificamente pu lasciar vedere l'ente, os-
sia pu far s che qualcosa venga compreso come ci che effettivamente , soltanto
sul fondamento di questo stesso 'vedere, e, correlativamente, di ci che 'visto' in
quanto tale.
24
Sembra cos essere in questa struttura vedere-visto che consista la
verit in senso proprio ed autentico. Heidegger arriva a tali conclusioni sul concet-
to di verit attraverso una singolare interpretazione del linguaggio e del pensiero
greci, equiparando di fatto la aisthesis con il noein, trovandoli cio entrambi parte-
cipi di qualcosa di essenziale, da lui indicato con l'espressione <Nernehmen>>:
Secondo la concezione greca, 'vero' , e ceno pi originariamente del l6gos di
cui parliamo, la aisthesis, il semplice, sensibile afferramento [ Vernehmen] di qual-
cosa. Il che significa: il vedere scopre sempre colori, l'udire scopre sempre suoni.
Purch una aisthesis abbia di volta in volta di mira i propri idia, cio l'ente di volta
in volta genuinamente accessibile soltanto direttamente attraverso essa e per essa,
p.es. il vedere per i colori, per quel tanto il cogliere [ Vernehmen] sempre vero
'Vero', nel senso pi puro e originario, cio nel senso di ci che non pu che
scoprire (e quindi mai coprire), il puro noein, il semplice cogliere [ Vernehmen]
che guarda alle pi semplici determinazioni d'essere dell'ente come tale.
25
22
Questa idea non per nulla l'elemento primario del concetto di altheia. L'' esser vero" del
l6gos, in quanto aletht"Uein;significa: nellghein, in quanto apophainesthai, trarre fuori l'ente di cui
si discorre dal suo nascondimento e !asciarlo vedere come non nascosto (aleths), scoprirlo>> in ibitlem.
23
Ma proprio perch "verit" ha questo senso e perch ill6gos un modo determinato del
lasciar vedere, ill6gos non pu affatto esser considerato il "luogo" primario della verit in ibidem.
24
Qui <<vedere da intendere in un senso metaforicamente allargato all'intero ambito
delle possibilit dell'esperienza.
25
lvi, pp. 53-54. Faccio notare che la traduzione che fa Chiodi di <Nernehmen con perce-
zione>>, pur non essendo inesatta, pu essere causa di equivoci. Propriamente il verbo Vernehmen
significa sentire, nel senso dell'udire; in senso traslato significa anche percepire, ma nel
senso di cogliere, comprendere qualcosa. Si tenga pertanto presente' che il Vernehmen
heideggeriano non da intendere come inconsapevole, disattento vedere, ma come afferrare,
cogliere direttamente. Cos, sostituisco a percezione e percepire, qualora siano rispettiva-
mente la traduzione di Vernehmen e vernehmen, le espressioni cogliere, afferrare, e
quelle a loro apparentate: termini che mi pare racchiudano meglio la plurivocit di significato
che Heidegger d a vernehmen, per cui questo pu essere 'sensibile' ma anche 'intellettivo'.
78 Roberto Risaliti
La prima osservazione che mi sembra doveroso fare preliminare al resto del-
l' analisi ed ha carattere critico: mi pare che parlare di concezione greca della verit,
come se tutti i pensatori che nell'area storico-geografica che possiamo chiamare
<<antica Grecia>> condividessero una sostanziale nozione di cosa sia la verit, abbia
Nel dedicato al concetto di IOgos, gli unici filosofi
annch1 vengono ncordati sono Aristotele e Platone; quest'ultimo ad-
nominato al principio del paragrafo e comunque le sue
non sono mai di in tutto Essere e tempo se non per un
brev1ss1mo accenno ad una scoperta d1 Platone presente nel paragrafo dedicato
al fenomeno dell'asserzione.
26
Per dare fondamento alla propria tesi che il concet-
to autentico di verit il concetto 'greco' di verit, Heidegger si richiama, oltre
che ad Aristotele, soltanto alle tesi ontologiche di Parmenide e, in un luogo, ad
un di Eraclito Comunque stiano le cose nei riguardi
d_ell tentata da He1degger di parte del pensiero di questi filosofi,
CI che non mi sembra accettabile l'attribuire senza la mediazione di un adegua-
to mpianto critico le concezioni di alcuni, particolarissimi, filosofi, a tutti i filo-
sofi greci, o addirittura all'intera civilt greca, ammesso pure che di questa si
possa parlare come di un tutto unico, prescindendo cio dalle differenziazioni
storiche e geografcheY
In secondo luogo, bisogna osservare che il brano, in effetti, una parafrasi di
un passo di Aristotele:
Dico 'proprio' quello che non pu essere percepito con un altro senso, e ri-
spetto a cui non possibile l'errore: ad esempio per la vista il colore, per l'udito il
suono e per il gusto il sapore, mentre il tatto ha per oggetto molte variet di sensi-
bili. ogni senso giudica almeno i propri oggetti, e non s'inganna sul fatto
che un colore o un suono ci sia, ma su che cosa e dove sia l'oggetto colorato o
sonoro. Tali sensibili, dunque, si dicono propri [idia] di ciascun senso.
28
Heidegger considera il concetto qui espresso da Aristotele, in
mento alla natura della sensazione, come paradigmatico della concezione pi au-
26
, come gi notato, il 33, e il riferimento a Platone (ivi, p. 201) consiste nel notare che
questi riconobbe che il logos>> sempre <<discorso di qualcosa [16gos tinos], che verte su qualco-
Anche qui non si tratta di un'analisi di un qualsivoglia passo dell'opera di Platone, ma di un
nmando generico ad un concetto della sua dottrina.
,
27
sempre invece alludere ai <<greci proprio come popolo, non nel senso
c10e d1 <<l filosofi greci, come ad esempio in questo passo: <<Pertanto all6gos appartiene il non-
la La traduzione con la parola "verit", e pi ancora le definizioni
e d1 velano il senso di ci che i greci posero "ovvia-
mente a del s1gmficato d1 aletheta, muovendo dalla comprensione prefilosofica che ne
avevano lVI, 44b, _P 270. si possono identificare i <<greci di cui si parla nel
testo con 1 filosofi greci, dato che v1ene assento che la comprensione che i primi avevano della
verit prefilosofica.
28
Aristotele, De anima, B6, 448a 11-17 (trad. it. L'Anima, introduzione e
commento di G. Movia, Loffredo editore, Napoli 1979, pp. 151-152).
Il concetto di ftnomenologia
79
tentica ed originaria posseduta dai 'greci' riguardo alla verit.
29
Questa concezione
da Heidegger assunta come valida ed anzi sostenuta come, nell'essenziale, la
propria. Pertanto nelle considerazioni che seguono le espressioni <<concezione gre-
ca>>, <<concezione di Heideggen> e simili, della verit, hanno il medesimo significa-
to: denotano tutte quella concezione della verit che Heidegger considera 'grec, e
che poi usa, ampliandone l'ambito di applicazione, nel corso della propria opera.
'Discorso', nel senso di discorso scientifico, indica dunque un modo (derivativo,
non originario) di essere della verit, e quest'ultima, a sua volta, si rivela in modo
essenziale nell' afferramento diretto [ anzi, la verit viene dichiarata es-
sere, in primo luogo, puro afferramento, puro cogliere direttamente. Si deve per
chiarire come sia da intendere tale afferramento, in che cosa consista la verit
dell' afferramento: il brano che ho citato potrebbe infatti dare adito ad una inter-
pretazione fallace, intendere la verit del cogliere come se questa si trovasse nella
reale immanenza del cogliere stesso. pur vero che Heidegger, per esemplificare
quella 'concezione grec della verit che costituisce, tra le altre cose, il fondamen-
to dell'esser-vero dellOgos, sceglie espressioni come <<il vedere scopre sempre colori,
l'udire scopre sempre suoni. Esse fanno pensare che il cogliere considerato per la
sua 'materialit', sotto il punto di vista che Husserl chiamerebbe cio dei dati
iletici del cogliere stesso, sia vero nella sua fattualit di mero cogliere, ossia in
quanto chiuso rispetto alla trascendenza in generale, della cui verit 'relativ na-
scerebbe poi il problema. Ma questo proprio ci che Heidegger vuole assoluta-
mente negare: il cogliere come modo originario, quindi principale, fondativo per
ogni altro, di accesso alla verit <<il semplice cogliere che guarda alle pi semplici
determinazioni d'essere dell'ente come tale>> [corsivo mio]. Comunque sia poi da in-
tendere qui 'ente', risulta chiaro che il cogliere viene concepito sempre in essenzia-
le riferimento ad un qualcosa che non esso stesso atto di cogliere, n tanto meno
una parte del cogliere (in un qualsiasi senso di 'parte').
30
Se l'ente a cui il cogliere
fornisce accesso fosse la costituzione immanente del cogliere stesso, in che modo
la datit dell'ente potrebbe essere pi o meno 'adeguat [angemessene] rispetto a
questo ente medesimo (il cogliere)? Ma, al di l di questa breve osservazione (che
pure mi pare indicativa), l'intero impianto concettuale di Essere e tempo, cosi
come Heidegger l'ha presentato, anche soltanto fino al 7 di cui mi sto occupan-
do, che esclude l'interpretazione della verit del cogliere come immanenza 'reale'.
Spiegando quale sia l'oggetto della aisthesis, Heidegger puntualizza che essa ,
<<afferramento di qualcosa von etwas]>> [corsivo mio], e che si riferisce
29 Tale concezione autentica e originaria pu anche, a quanto pare, rimanere non esplicitata,
in quanto concezione della verit, anche al filosofo stesso che la formula; Aristotele, nel brano
che Heidegger parafrasa, non sembra affatto star facendo teoria della verit, bensl specificando
la natura di un tipo particolare di oggetti scoperti dalla afsthesis, quelli <<propri [idia], di volta
in volta, di ciascuno dei cinque sensi.
3Ci anche suggerito nella conclusione del periodo in cui viene teorizzato il cogliere
come <<luogo della verit: <<Questo noein non pu mai coprire, non pu mai esser falso; potr,
tutt'al pi, restare un non cogliere, un agnoein, insufficiente per un accesso sicuro e adeguato
all'ente in M. Heidegger, Essere e tempo, cit., 7B, p. 54.
80 Roberto Risaliti
sempre, ossia, in questo caso, necessariamente, a <<ci che di volta in volta genuina-
mente accessibile soltanto direttamente attraverso essa e per essa>>. Il che significa:
soltanto a partire dal cogliere diretto possibile qualcosa come il mostrarsi origina-
rio dell'ente, ossia quell'auto-manifestazione che sta a fondamento di ogni altra
forma mediata in cui l'ente si mostra (come parvenza o come apparenza), in modo
tale che il tipo di ente di volta in volta manifestantesi ci che proprio in rapporto
al tipo di cogliere in cui l'ente stesso colto. questo, a mio parere, il senso del-
l' esempio che Heidegger mette per inciso dopo aver determinato il senso autentico
della aisthesis, <<p.es. il vedere per i color>>: come il semplice colore pu esistere solo
se esiste una visione che lo percepisce (pur non essendo assolutamente essa stessa
'colore'), allo stesso modo ogni ente pu 'rivelarsi' solo nell'afferramento diretto
dell'ente stesso. A sua volta, come la visione , essenzialmente, tra le altre cose,
visione di colori, il Vernehmen coglie l'ente proprio in ci che lo rende quel certo ente,
nel senso pi generale possibile: pu cio trattarsi di un singolo oggetto, di una
specie, di un oggetto 'ideale', e cos via, come certifica il fatto che anche al noein,
come alla aisthesis, viene attribuito da Heidegger il carattere di cogliere. Funzione
sensibile e funzione intellettiva sono entrambe, anche se in modo diverso, modi di
cogliere qualcosa originariamente. La percezione <<delle pi semplici determinazio-
ni d'essere dell'ente come tale>> vera in quanto vero l'ente stesso che in essa viene
a manifestazione, nel senso in cui 'vero' l'essere di qualcosa, il suo mostrarsi piutto-
sto che il non essere affatto, o non-mostrarsi. Tale connessione essenziale tra verit
ed essere viene da Heidegger esplicitamente riconosciuta come un 'fatto'
31
che la
filosofia non pu non riconoscere, e che anzi ha riconosciuto fin dal suo nascere.
32
Heidegger cita vari luoghi di Aristotele al fine di ribadire questo concetto: l'identi-
ficazione di essere e verit. Ci conduce alla conclusione che da filosofia stessa
definita come epistme tis ts aletheias, scienza della verit>>.
33
Tali riflessioni portano
inevitabilmente Heidegger a rifiutare che 'verit' possa designare l'oggetto di una
qualsivoglia teoria della conoscenza: la verit, piuttosto, compresa nel senso pi
profondo e autentico, su cui ogni discorso scientifico non pu che fondarsi, il
mostrare se stesso, fenomeno.
34
Poich la verit viene altres identificata con il puro,
diretto venir colto, posso concludere che, a prescindere da ulteriori precisazioni,
l'essere fenomeno consiste nel puro essere colto.
31
Mettendolo tra apici, indico che il termine inteso in un senso non empirico.
32
Fin dai tempi pi lontani la filosofia ha congiunto verit ed essere. La prima scoperta
dell'essere dell'ente, dovuta a Parmenide, "identifica" l'essere con la comprensione che afferra
direttamente l'essere: to gdr auto noein estinte kai einai. Nel suo schizzo della storia della scoper-
ta della arkhai Aristotele osserva che i filosofi che lo precedettero, sotto la spinta delle "cose
stesse", furono costretti a indagare ulteriormente: auto to prdgma odopoiesen autois kai synendnkase
zeteim> in M. Heidegger, Essere e tempo, ci t., 44, p. 263.
33
Ibidem.
34
<<Che significa qui "indagare sulla verit", scienza della "verit"? In questa indagine la
"verit" sar forse assunta a tema nel senso delle teorie della conoscenza o del giudizio? Manife-
stamente no, perch "verit" ha qui lo stesso significato di" cosa", di "automaniftstantest' [corsivo
mio]>> in ibidem.
Il concetto di ftnomenologia 81
3. Il fondamento della verit come corrispondenza nella verit come mostrarsi
Ancora nel 44, quello dedicato al problema della verit, si trova una nuova
presa di posizione critica di Heidegger, molto articolata, riguardo al concetto
della verit come Obereinstimmung. non voglio entrare nel merito di questa po-
lemica; mi interessa piuttosto, a conferma della mia interpretazione del concetto
di fenomeno, come viene caratterizzato positivamente da Heidegger il proprio
concetto di verit. Al termine di una serie di argomentazioni fatte allo scopo di
mettere in crisi i modi tradizionali in cui la problematica della 'adeguazione'
viene posta, Heidegger nota come la propria critica non faccia scomparire il
problema della conoscenza, ma ne renda invece necessaria l'impostazione sulla
base del concetto autentico di verit in quanto necessario correlato dell'attivit
conoscitiva.
35
La critica di Heidegger, infatti, pur serrata, non rivolta
all'adeguazione in quanto tale, ma alla mancanza del concetto autentico di veri-
t, mancanza che rende incomprensibile la 'adeguazione' del conoscere e il cono-
scere in generale.
36
Heidegger allora si chiede: <<ln qual momento la verit si
rende fenomenicamente esplicita nel conoscere?>>
37
A tale domanda risponde in
questo modo: la legittimazione [Ausweisung] il concetto autentico e originario
che, frainteso, stato interpretato (sia pure in modi diversi) come adeguazione,
in cui si mostra la verit come tale.
38
Ma tale concetto , per adesso, altrettanto
oscuro di quello che pretende di chiarire; per portarlo a determinazione concet-
tuale, Heidegger si serve di un esempio, a cui fa seguire una complessa argomen-
tazione tramite cui arriva a definire contestualmente che cosa siano la
legittimazione, la precedentemente da lui trattata asserzione (la quale a sua volta,
come noto, espressione dell6gos) e, ci che pi ci interessa, la verit in senso
autentico. Seguo Heidegger nel presentare prima di tutto l'esempio:
35
<n sede di discussione del modo di essere della adaequatio, la distinzione fra il
pronunciamento del giudizio e il contenuto del giudizio non arreca alcun vantaggio; fa per
toccare con mano quanto la delucidazione del modo di essere del conoscere sia urgente e
indifferibile. Ma la relativa indagine non potr trascurare il fenomeno della verit che caratte-
rizza il conoscere in ivi, 44a, p. 268.
36
La definzione della verit come "adeguazione", adaequatio, omoiosis, certamente mol-
to generica e vuota. Ma essa deve pur avere in s qualcosa di valido se si mantenuta nonostan-
te il mutare delle interpretazioni della conoscenza di cui la verit costituisce comunque un
predicato essenziale in ivi, 44a, p. 266.
3? lvi, 44a, p.268.
38
Nel momento in cui il conoscere si giustifica come vero. Lautogiustificazione assicura al
conoscere la sua verit. La relazione di adeguazione deve quindi manifestarsi nel contesto
fenomenico della giustificazione in ibidem. il caso di notare che Chiodi traduce sempre
ausweisen e Ausweisung rispettivamente con giustificare e giustificazione, ma, come mi
sembra che il contesto mostri, non si tratta di riconoscere come accettabile, opportuno o com-
prensibile alcunch (sono questi i significati essenziali dell'espressione italiana giustificare).
Ausweisen lo traduco invece con legittimare, ossia rispondere alla situazione, confor-
marsi alla condizione prescritta.
"":"
82 Roberto Risaliti
Immaginiamo che un uomo, con le spalle volte alla parete, pronunci questo giu-
dizio vero: il quadro appeso alla parete di traverso>>. Questa asserzione si le-gittima
con ci, che l'asserente, girandosi, vede il quadro che pende di traverso dalla parete.
39
Faccio notare innanzitutto che Heidegger spiega in cosa consista la verit di
un'asserzione, dunque di un logos apophantikos, un discorso che dice come stanno
le cose, indicando la condizione per cui l'asserzione 'legittimat. Il problema si
sposta dunque sulla natura di tale 'legittimazione', in cosa concretamente essa
consista: secondo Heidegger l'asserzione legittimata, e dunque vera per come
pu essere vero un discorso (l6gos), quando c' qualcosa, nel caso specifico una
visione, che porta gli enti a mostrare se stessi cos come nell'asserzione sono detti
mostrarsi.
40
Lasciare che l'ente si mostri a sua volta giudicato da Heidegger un
manifestare l'ente stesso, come si legge nel 33, dedicato al fenomeno dell'asser-
zione.4' Cos viene precisato il senso di questa 'manifestazione' [Aufoeigungl: in
virt del fatto che l'ente pu essere in vista, cogli bile, che esso pu essere oggetto
di una proposizione (vera o falsa) anche quando assente; una sua 'rappresentazio-
ne', una sua controparte rappresentata, immaginata dall'asserente, potrebbe aver
a che fare forse con gli stati psichici di questi, ma certo non con l'ente.
42
Dunque
la verit del discorso consiste in ci: esso un modo di lasciare che l'ente mostri
s. A questo punto devo fare alcune osservazioni: Heidegger sostiene che l'asseri-
re, dunque il l6gos, vero nella misura in cui legittimato; la legittimazione di
un'asserzione sta nel mostrarsi, da parte dell'ente, cos come l'asserzione dice che
si mostra; quando ci avviene, il discorso non un estrinseco 'corrispondere' di
parole, o pensieri, a cose, ma un modo di manifestarsi dell'ente stesso. Mi chie-
do: che succede allora se l'asserente esprime un certo giudizio -si pensi all' esem-
pio del quadro- e poi vede che l'ente si mostra in tutt'altro modo? Cosa era inteso
dalla sua asserzione? Sembra che in tal caso l'asserzione semplicemente sia non
legittimata. Questo vuoi dire forse che quando l'asserente la proferiva (presuppo-
nendo naturalmente che egli lo facesse convinto di pensare e dire il vero) essa non
mostrava nulla? Sembra impossibile, perch ci significherebbe che in effetti
l'asserente sapeva gi che il proprio discorso era falso ancora prima della
39
Ibidem.
40
<<A cosa si riferisce l'asserente quando -non vedendo il quadro, ma "solo rapprsentandolo"-
emette il giudizio? Forse a "rappresentazioni"? Certamente no, se per rappresentazione si inten-
de un processo psichico. E non si neppure riferito a una rappresentazione nel senso del rappre-
sentato, se con questa espressione si intende un' "immagine" della cosa reale appesa alla parete.
In realt il giudizio emesso sul quadro "solo rappresentandoselo "si riferisce, in virt del proprio senso
pi proprio, al quadro reale appeso alla parete. al quadro che ci si intende riferire e a null'altro
[corsivo mio] in ibidem.
41
<<Asserzione significa, in primo luogo, manifestazione. Teniamo cos fermo il senso origi-
nario di l6gos come ap6phansis, lasciar vedere l'ente da se stesso in i vi, 33, p. 196.
42
<<Anche se questo ente non cos vicino da poter essere afferrato o "visto" '.la manifestazione
si riferisce all'ente stesso e non a una semplice rappresentazione di esso: dunque, n a un "semplice
rappresentato" n a uno stato psichi co dell'enunciante, cio al suo rappresentarsi l'ente in ibidem.
Il concetto di ftnomenologia 83
legittimazione di questo, quando invece l'asserente diceva e pensava che l'ente
stesse in un certo modo, e solo la successiva visione dell'ente ha mostrato che
l'ente non sta cos. Inoltre, se il discorso un modo di mostrarsi dell'ente, se esso
cio intende direttamente l'ente, e non dei suoi surrogati, perch deve contare
soltanto la visione 'oculare' dell'ente, per decidere di come in effetti esso si mani-
festa? Non sorge invece un'opposizione fra due modi contraddittori di mostrarsi
del medesimo ente? O, viceversa, si potrebbe trattare di due enti distinti che si
mostrano, ognuno a suo modo: una volta (seguendo l'esempio) il quadro-appe-
so-storto che mostra s nel discorso, la volta successiva il quadro-appeso-diritto
che mostra s nella visione. Ma se cos, in che modo l'asserzione riguarda l'ente
che inteso dalla visione, in che senso da quest'ultima pu venire una
'legittimazione', positiva o negativa che sia, del discorso? In qualunque modo si
risponda a tali domande, certo che la teoria della verit, almeno per quanto
riguarda la verit del logos, e correlativamente delle asserzioni, altamente
problematica e discutibile. L esempio fatto da Heidegger mostra, senza teorizzare,
come sia nel cogliere percettivamente il quadro appeso di traverso la legittimazione
dell'asserzione che predica del quadro l'essere appeso di traverso, ma ci viene
anche esplicitamente teorizzato, sia pure in una proposizione posta apparente-
mente, per cos dire, di passaggio:
l: asserzione un esser-per la cosa essente stessa. E che mai legittima allora la
percezione [corsivo mio]? Niente altro che questo: la cosa essente stessa l'ente stes-
so, che era inteso nell'asserzione.
43
dunque la percezione, per quanto riguarda almeno una certa classe di casi di
legittimazione, che decide di ci che Heidegger ha chiamato la legittimazione di
un'asserzione, ossia, in ultima analisi, della verit dell'asserzione. Ma, poche ri-
ghe dopo, la medesima 'legittimazione' viene illustrata come il mostrare s del-
l'ente nella sua identit,
44
perci la percezione, in quanto 'legittimazione' (mo-
strarsi della verit) dell'asserzione, coincide coi mostrarsi dell'ente, ossia col feno-
meno vero e proprio.
45
Secondo Heidegger, l'essere-scoperto [ Entdeckt-sein], pre-
cisato come il 'come' [ Wie] dello scoprimento (o svelamento, che dir si voglia),
per l'ente in generale ci che la percezione visiva per il quadro appeso di traver-
so: il cogliere direttamente. Non si vede come altrimenti determinare in generale
43
lvi, 44a, p. 269.
44
<<Nel procedimento di legittimazione il conoscere si riferisce esclusivamente all'ente. La
verifica ha luogo in esso. presso questo ente stesso che si gioca, per cos dire, la conferma.
Lente stesso inteso si mostra cos come in se stesso, e ci vuoi dire che esso, nella sua stessit,
cos come esso, nell'asserzione, mostrato essere, scoperto essere in ibidem.
45
Ci viene ulteriormente precisato nel modo seguente: <<La legittimazione ha a che fare
soltanto con l'essere-scoperto dell'ente stesso, con l'ente nel "come" del suo svelamento. Essa
trova la sua verifica nel fatto che l'asserito, cio l'ente stesso, si manifesta come il medesimo.
Verifica significa: manifestarsi dell'ente nella sua identit. La verifica ha luogo sul "fondamento"
dell' automanifestarsi dell'ente in ibidem.
" i
84 Roberto Risaliti
lo <<Scoprimento dell'ente che al tempo stesso il mostrare s dell'ente, il suo
essere fenomeno. Heidegger non esplicita tutto ci, ma il pensiero da lui espres-
so in questi paragrafi sulla legittimazione, presuppone che il mostrarsi autentico
dell'ente sia possibile in assoluto solo come un cogliere diretto l'ente. Nell' esem-
pio visto il cogliere consiste nella percezione, ma anche sostituendo alla perce-
zione tutti i modi in cui l'ente pu essere metaforicamente 'afferrato', proprio
nel suo specifico mostrarsi, ci che non mi pare cambiare mai che il mostrarsi
dell'ente, attivit apparentemente autonoma, ha invece intrinsecamente bisogno
di una 'recezione' (in senso generalissimo) dell'ente stesso. In ogni caso, con
l'identificazione del mostrarsi con il vero, e di quest'ultimo con il come dell'esse-
re-scoperto, sembra che si sia giunti gi al concetto fonomenologico di fenomeno
a cui Heidegger alludeva nel 7 A.
46
Non pensabile che qui ci che si mostra sia
fenomeno nel senso ordinario: ci ch,e il discorso lascia vedere non semplice-
mente l'ente ma lo scoprirsi dell'ente.
4. Fenomenologia e ontologia
Si visto come il concetto di fenomeno raggiunto in via preliminare, ci-che-
si-mostra-in-se-stesso [ das-Sich-an-ihm-selbst-zeigende], sia stato giudicato dallo stes-
so Heidegger meramente formale; mi riallaccio ora a quel punto dell'opera dove
l'autore, dopo aver trattato dell6gos, riprende la trattazione del concetto di feno-
meno sulla scorta dei risultati raggiunti in merito alla natura del discorso 'scienti-
fico'. Secondo quanto Heidegger sostiene nel paragrafo finale dedicato al 'metodo
fenomenologico', da lui stesso usato nel concepire e scrivere la propria opera, a chi
comprenda la vera natura di ci che inteso dalle espressioni <<fenomeno>> e logos>>
salta agli occhi una <<intrinseca connessione>> tra ci che da queste denotatoY In
un primo momento, per, la connessione tra <<fenomeno>> e <<logos>> viene ricono-
sciuta solo dal punto di vista formale; in altre parole: com'era stato raggiunto il
concetto formale di fonomeno, cosi, dopo la chiarificazione del senso autentico del
l6gos, possibile dare una definizione formale di fonomenologia. Essa suona:
lasciar vedere da se stesso ci che si manifesta, cos come si manifesta da se
stesso. Questo il senso formale dell'indagine che si autodefinisce fenomenologia.
48
46
Difendendosi anticipatamente dalle critiche di cui si immagina diventare bersaglio per il
suo rifiuto della concezione corrente della verit e per la caratterizzazione di questa come
automanifestazione, Heidegger afferma infatti: <<Lesser vero del logos in quanto apophansis
l' aletheuein nel senso dell' apophainesthai: lasciar vedere l'ente nel suo non-esser-nascosto (esser-
scoperto), facendolo uscire dal suo esser-nascosto. La altheia che nei passi da noi citati coinci-
de per Aristotele con prdgma, phainomena, significa le "cose stesse", ci che si manifesta, l'ente
nel come del suo esser-scoperto in ivi, 44b, p. 270.
47
<<Se esaminiamo concretamente i risultati dell'interpretazione di "fenomeno" e di "logos",
salta agli occhi un'intrinseca connessione fra ci che inteso con questi titoli in i vi, 7C, p. 54.
48
lvi, 7C, p. 55.
Il concetto di fenomenologia
85
Tale definizione , ancora una volta, formale perch rimane oscuro che cosa si
mostri ai propri oggetti, li lasci cogliere semplicemente per come essi stessi, di
volta in volta, nella loro natura, si mostrano:
49
tale scienza deve quindi avere carat-
tere puramente descrittivo. 5 innegabile, in effetti, che esista un uso ordinario di
'fenomenologia' in questo senso, cio come pura descrizione sistematica di un
determinato ambito di enti. Ma se la fenomenologia deve essere il 'metodo'
dell' ontologia, essa non pu limitarsi a descrivere i vari enti, nemmeno nelle loro
determinazioni generali, poich <<il compito dell'antologia il prelevamento del-
l'essere dall'ente e l'esplicazione dell'essere stesso>>;
51
ma le mie analisi hanno mo-
strato che il disvelarsi, lo scoprirsi dell'ente nel come del proprio 'mostrarsi', iden-
tico al suo essere fonomeno, e che quest'ultimo possibile solo nell'essere col t? diret-
tamente, nell'essere 'scoperto'. I.:essere colto, per quanto non venga da He1degger
portato ad un'esplicita problematizzazione e trattazione, non si pu concepire che
costituito allo stesso tempo dall'atto di cogliere e dalla cosa colta che ad esso neces-
sariamente si connette. Ci che colto l'ente, cio la 'cosa' (nel senso pi generale
del termine) che abitualmente data nel vivere quotidiano senza che venga esplicitato
il suo carattere di esser-colta. Il mostrarsi dell'ente invece il venire alla luce dell'es-
ser-colto dell'ente, inteso non genericamente (il generalissimo carattere 'esser col-
to'), bens nella modalit di 'scoprirsi' che propria, di volta in volta, dei vari tipi
di enti. Nel contesto della de-formalizzazione del concetto di fenomeno e in vista
quindi della fissazione del concetto fonomenologico, di fenomen?:
Heidegger, in merito alla propria metodologia (la fenomenologia), osserva che ciO
che essa porta tematicamente ad esplicitarsi, qualcosa che 'innanzi tutto e per lo
pi' non si mostra, ma il fondamento, ci che rende que! che 'innanzi
tutto e per lo pi' si d a vedere. 5
2
Ricordo che la locuziOne <<mnanz!tutto e per lo
pi>> [zuniichst und zumeist], ha in Essere e tempo un uso tecnico:
53
i due termini
esprimono quella che Heidegger chiama <<quotidianit>> [Alltiiglichkeit], in cui l'Es-
4
9
<<Scienza "dei" fenomeni significa: un afferramento dei propri oggetti tale che tutto ci
che intorno ad essi in discussione, debba essere trattato in presentazione diretta e legittimazione
diretta>> in ibidem.
5o Il carattere descrittivo della fenomenologia viene precisato in questo modo: <l carattere
della descrizione stessa, il senso specifico del!Ogos, potr essere fissato prima di tutto a partire
dalla "cosit" della cosa che deve essere "descritt', dovr cio essere portato nella determinatezza
scientifica del modo di incontro dei fenomeni in ibidem.
51
lvi, 7, p.46.
5
2
<<Qual , per sua essenza, il tema necessario di una presentazione esplicita? Si tratter,
evidentemente, di qualcosa che innanzitutto e per lo pi non si manifesta, di qualcosa che resta
nascosto rispetto a ci che si manifesta innanzi tutto e per lo pi, e nel contempo di qualcosa che
appartiene, in linea essenziale, a ci che si manifesta innanzi tutto e per lo pi, in modo da farne
il senso e il fondamento in ivi, 7C, pp. 55-56.
53 Il significato delle due espressioni viene cos illustrato: ''Innanzi tutto" significa: la ma-
niera in cui l'Esserci "noto" nell'essere-assieme pubblico, anche se "in fondo" esso ha "oltre-
passato", esistentivamente, la quotidianit. "Per lo pi" significa: la maniera in cui l'Esserci,
non sempre ma "normalmente", si manifesta ad ognuno, ivi, 71, pp. 444-45.
86 Roberto Risaliti
serci vive senza problematizzare il senso della propria esistenza e tanto meno quel-
lo dell'essere. Ci con cui quotidianamente si ha a che fare sono, naturalmente, gli
enti; enti di ogni tipo: se stessi, gli altri, utensili, cose naturali, istituzioni, valori, e
cos via. Sono essi che si mostrano 'innanzi tutto e per lo pi'. Ci che invece nella
quotidianit viene coperto o avvertito solo oscuramente questo stesso mostrarsi;
esso coperto nel senso che non esplicitamente 'guardato', analizzato, posto
come tema di una ricerca esplicita, ma presente nel senso che proprio esso ci
attraverso cui, necessariamente, gli enti, sono ci che sono, nonostante il suo darsi
venga costantemente tralasciato, dimenticato.
54
Per fenomeno in senso
fenomenologico si deve quindi intendere, nelle parole del filosofo stesso, !'essere
dell'ente [das Sein des Seienden].
55
Devo osservare che Heidegger non d mai una
vera esplicitazione di tale concetto, nel senso di una determinazione positiva di
esso; ancora una volta per d'aiuto per la comprensione ci a cui tale concetto
autentico, originario, di fenomeno viene contrapposto. Da un lato, Heidegger
chiarisce che l'essere dell'ente non un altro ente che in qualche modo stia 'dietro'
il primo, come, invece, il caso per il fenomeno dell'apparire. 56 D'altra parte, il
fatto che Heidegger senta il bisogno di operare una ferma distinzione tra il feno-
meno come mostrarsi e il fenomeno come apparire indice che i due fenomeni
partecipano pure di qualcosa di essenziale, altrimenti non si vede il senso di volerli
distinguere nella forma. La differenza tra essi sta in questo: il mostrarsi non
concepibile come strutturato, nel senso di 'struttur che stato visto allorch ho
trattato il concetto di apparenza. Non ha importanza qui in che modo sia conce-
pito, nella relazione che contraddistingue l'apparire, l'elemento annunciante: che
quest'ultimo rappresenti pi o meno veracemente la cosa di cui apparenza, o che
esso necessariamente occulti ci di cui 'emanazione' o 'produzione', sono tutte
questioni che presuppongono l'interna duplicit dell'apparire, per cui qualcosa
mostra s autenticamente e qualcos'altro invece alluso da questo qualcosa che
manifesto, trovandosi cos metaforicamente dietro di esso. E in questo senso che
differiscono l'apparire e il mostrarsi. Precedentemente, nel corso dell'analisi del-
l' apparire, avevo per raggiunto un altro risultato: la determinazione di quale sia il
'terreno' d'essere a cui appartengono tutti i tipi di 'apparenz o, in altre parole, in
cosa consista realmente, di che 'stoffa' sia fatto l'essere dell'apparenza. Questori-
sult potersi descrivere come ci che di solito indicato dall'espressione pura
esperienza>>, a sua volta riconducibile, prescindendo da eventuali modificazioni e
54
<<Ma ci che, in senso eminente, resta nascosto o ricade nel coprimento o si manifesta solo
in modo contrafJtto, non questo o quell'ente, ma, come le indagini che precedono hanno
dimostrato, l'essere dell'ente. Tale essere pu esser coperto cos ampiamente da cadere nell'oblio._
e da far dimenticare il problema dell'essere e del suo senso>> in ivi, 7C, p. 56.
55
Pi precisamente: <l concetto fenomenologico di fenomeno intende come
l' automanifestantesi l'essere dell'ente, il suo senso, le sue modifcazioni e i suoi derivati in ibidem.
56
E il mostrarsi non un mostrarsi qualsiasi, e non affatto qualcos<! come apparire.
Lessere dell'ente non pu assolutamente essere inteso come qualcosa "dietro" cui stia ancora
alcunch "che non appare" in ibidem.
l
Il concetto di fnomenologia 87
modalizzazioni, al cogliere diretto (di cui un esempio pu essere l'intuizione empirica
di Kant). Sotto questo punto di vista Heidegger non contrappone mai, n diffe-
renzia in alcun modo, il concetto fenomenologico di fenomeno da quello dell' ap-
parenza, n nel 7, n in nessun altro luogo dall'opera.
57
All'interno del sistema
kantiano, in cui, detto brevemente, gli enti sono dati nell'esperienza, rintracciabile,
a parere di Heidegger, qualcosa che fenomeno in senso autentico
(fenomenologico): la forma di tale esperire, o meglio, nel caso specifico, le forme
della sensibilit del soggetto. Dunque, ci che autenticamente fenomenologico
nella 6losofia di Kant, sarebbe se non altro questo: che lo spazio e il tempo si
mostrano direttamente. Ma questo automanifestarsi, nel caso di spazio e tempo,
consiste, com' noto, nell'essere intuizioni pure - e intuire un modo di
<<vernehmen>>, nel senso ampio che questa espressione ha in Essere e tempo. Nei
7 A, Heidegger ha riconosciuto che il concetto ordinario di fenomeno, assimilabile
all'oggetto dell'intuizione empirica di Kant, ha un impiego legittimo; nel 7C
emerso che tale 'fenomeno' in senso ordinario, quando oggetto di trattazione
puramente descrittiva, fa s che tale trattazione possa essere considerata una, per
quanto ingenua, fenomenologia, ossia una 'scienz degli enti cos come vengono
colti. Lontologia, per parte sua, si pretende come scienza dell'essere in generale;
come si rapporta allora con la pura descrizione dell'ente e con quella dell'essere
dell'ente? Secondo lo Heidegger di Essere e tempo, i' essere, pur non essendo in
nessun modo un ente, dunque un dato dell'esperienza, per necessariamente
essere di un qualche ente, comunque quest'ultimo sia determinato.
58
La
fenomenologia, come organo dell'ontologia, deve perci descrivere l'essere del-
l'ente esperito (fenomeno in senso ordinario); ma che cos' l'essere di ci che
esperito se non il suo essere esperito stesso proprio cos come si mostra, senza trala-
sciare nessuno dei 'modi' in cui si mostra? La ricerca intorno all'essere non pu
dunque tralasciare di occuparsi dell'ente; ne tratta, anzi, necessariamente, se l'esse-
re sempre essere dell'ente. Cos il fenomeno in senso ordinario fenomeno per la
fenomenologia di Essere e tempo: in quanto riferimento obbligato, apriorico, ri-
spetto al tema autentico della ricerca, l'essere come venire ad essere colto. I risultati
raggiunti costringono a chiedere: qual il rapporto tra ontologia e fenomenologia?
In che senso la fenomenologia il 'metodo' dell'ontologia? Come si distingue la
prima dalla seconda? La risposta a tali domande pu apparire sorprendente, ma
57 Confrontandosi con la filosofia kantiana sostiene addirittura: Nell' orizwnte della problematica
kantiana, ci che fenomenologicamente si intende per fenomeno pu essere illustrato come segue
(facendo riserva per altre differenze): ci che nelle apparenze, cio nel fenomeno in senso ordinario,
gi sempre si manifesta preliminarmente e contemporaneamente, bench non tematicamente, pu
essere portato tematicamente all' automanifestazione: e questo cosl-automanifestantesi-in-se-stesso
(le "forme dell'intuizione") sono fenomeni della fenomenologia, ivi, 7 A, p. 51.
58 Poich il fenomeno, inteso fenomenologicamente, sempre e soltanto ci che forma
l'essere, e l'essere sempre l'essere dell'ente [corsivo mio], il progetto di astensione dell'essere ri-
chiede in primo luogo una corretta esibizione dell'ente stesso. Lente deve parimenti manife-
starsi secondo la modalit di accesso che genuinamente propria di esso. In tal modo il concet-
to ordinario di fenomeno diviene rilevante fenomenologicamente in ivi, 7C, pp. 57-58.
88 Roberto Risaliti
Heidegger stesso ad esprimersi esplicitamente sul rapporto antologia-fenomenologia
per ben tre volte nel corso del 7C, paragrafo che, opportuno ricordarlo, prelude
immediatamente
59
allo svolgimento di quelle due sezioni dell'opera che sono ri-
maste notoriamente le uniche effettivamente scritte e pubblicate della parte speci-
ficamente teoretica di Essere e tempo. Dapprima Heidegger si esprime in modo tale
da sembrare lasciare aperta la possibilit di concepire la fenomenologia come
'ancell, sia pure unica (e necessariamente tale), dell'ontologia,
60
ma pi oltre il
suo scritto non lascia adito a dubbi: Considerata nel suo contenuto cosale, la
fenomenologia la scienza dell'essere dell'ente: ontologia>>.
61
Tale decisa afferma-
zione pare essere per in contrasto con quella compiuta al principio del paragrafo
che tratta del metodo fenomenologico della ricerca, quella, per l'appunto, in cui
viene detto che la fenomenologia il metodo dell'antologia. Per la precisione,
Heidegger sostiene che fenomenologia>> designa <<primariamente [corsivo mio] un
concetto di metod(J>>. possibile conciliare posizioni cos apparentemente incom-
patibili? A nostro avviso le soluzioni possibili sono due. La prima consiste nell' ac-
cettare un'intrinseca contraddizione nel cuore di Essere e tempo. Ci si pu fare in
molti modi: si pu ad esempio considerare la fenomenologia come una sorta di
residuo di un Heidegger pre-ontologo influenzato ancora da Husserl. Cos l'au-
tentico pensiero heideggeriano in Essere e tempo sarebbe da cercare nella
riproposizione del problema dell'essere in quanto tale e nel collegare tale problema
a quello dell'essere dell'uomo. Tutto ci, e specialmente la questione dell'essere
dell'uomo, sarebbe per tutto da chiarire, una volta considerata la fenomenologia
come un corpo estraneo nell'edificio concettuale dell'opera. Si pu ---e questo
quanto fanno la maggior parte degli interpreti- accettare la contraddizione nel
senso di fingere che essa non vi sia e leggere l'opera come analisi dell'essere dell'Es-
serci (l'esistenza) e del senso di questo essere (la temporalit) lasciando nella pi
completa oscurit proprio la natura, l'essere di tale antologia, affidandosi ad una
pre-comprensione generica degli enti investigati (chi non sa che differenza c' tra
un essere umano e, ad esempio, un martello? Chi non sa che prima o poi la sua vita
in questo mondo avr fine? E cos via). Naturalmente possono esserci ancora altre
strade, tutte per improntate ad un medesimo proposito: attenersi a quanto dice
Heidegger al principio del 7, ignorando o comunque togliendo decisamente
importanza a tutto ci che viene sostenuto in merito al rapporto fra essere e fono-
meno in altri luoghi dell'opera, e soprattutto ai punti A, B e specialmente C di
59
Il paragrafo successivo e, in effetti, il numero otto, ancora parte dell'introduzione. Ma
tale 8, che si intitola <<Schema dell' opera, non fa che riassumere quanto detto nei primi sette
paragrafi e delineare lo schema dell'opera; non ha perci alcun peso concettuale rilevante.
60
La fenomenologia il modo di accedere a ci, e il modo di determinare legittimamente
ci, che deve costituire il tema dell' ontologia. L ontologia li o n possibile che come jnomenologia>>
in M. Heidegger, Essere e tempo, ci t., 7C, p. 56. Nel medesimo paragrafo, Heidegger aggiun-
ge: Lontologia e la fenomenologia non sono due diverse discipline che fanno parte della filo-
sofia assieme ad altre. I due termini denotano entrambi la filosofia, nel suo oggetto e nel modo
di trattazione in ivi, 7C, p. 59. .
61
lvi, 7C, p. 58.
l
. l
Il concetto di Jnomenologia 89
quello stesso 7. Io voglio seguire una via diversa, quella di tentare
zione che renda conto delle affermazioni espresse da Heidegger sulla fenomenologia
e sull'antologia in modo da cercarne un'interna coerenza. Se tale coerenza si
strer, ci sar ricavato dallo scritto stesso di Heidegger; in nessun modo vorrei
imporre al testo una 'coerenz che gli manca. . .
Inizio la mia analisi riportando il brano in cui Heidegger d una determmazwne
negativa dell'antologia, cerca cio in primo_ luogo di cosa essa non , per
poi in un secondo momento dare uno schtzzo provv1sono dt essere.
Usando il termine antologia, non si vuole proporre una dJsctplma filosofica
determinata, connessa alle altre. Non si deve assolutamente assolvere i compiti di
una disciplina pretesa; al contrario si tratta di una discipl_ina a
dalle necessit oggettive di una ricerca determmata e dal modo d1 trattaziOne
richiesto dalle <<cose stesse>>.
62
l: antologia non qualcosa che c' gi, che dato nell'insieme delle conoscen-
ze o delle teorie presenti nel mondo; n d'altronde possibile determinarla con-
cretamente in base alle presunte antologie appartenenti alla storia del pensiero;
63
l'unica strada percorribile diventa dunque il fare emergere da ci che il modo di
farne trattazione per quanto riguarda il suo essere. Le cose stesse de;ono, per cos
dire, dettare all'omologo il modo in cui vanno comprese ed esplicate. Se_gue
questo punto quel passo, da me citato proprio all'inizio di m
viene asserito che il metodo della trattazione fenomenologtco, e che 1! termme
fenomenologia>> denota primariamente un concetto di metodo. Vediamo per
ora come Heidegger specifica nella proposizione a
quel brano, la funzione metodologica della fenomenologia: non carattenzza
il che-cosa cosale degli oggetti della ricerca filosofica, ma Il loro come [Er
charakterisiert nicht das sachhaltige Wtzs der Gegenstande der philosophischen
Forschung, sondern das Wie dieser].
64
. . . ,.
La ricerca filosofica, in quanto antologia, ha come oggetti posstb1h l mtero
campo di ci che, in qualche modo, : gli enti. Se l'ontologia dovesse descrivere
62
lvi, 7, p. 46.
6
3 Come dimostra il seguente passo: Ii metodo dell' ontologia resta altamente problemati-
co finch si prende semplicemente consiglio dalle ontologie storicamente tramandate o da
tentativi analoghi. Poich, nel corso di questa indagine, il termine ontologia usato in senso
formalmente ampio, viene a chiudersi da se stessa la via di un chiarimento del metodo median-
te l'esame della sua storia in ibidem.
64
Ibidem. A mio parere la traduzione di Chiodi -qui da me modificata- di questa propo-
sizione, contiene un fondamentale fraintendimento interpretativo. Egli traduce il diesen> fina-
le come un genitivo femminile singolare, riferito alla Forschung filo.sofica.
Ci sarebbe grammaticalmente corretto; ma cosi questa proposlZlone non farebbe che npetere
quanto Heidegger ha gi detto due volte proprio subito che c!o la !l
metodo dell' ontologia, ne lo svolgimento; m breve: ne c,ost.ltUisce 1!
come. Ma la prima parte, neganva, della proposlZlone mostra palesemente la volonta d1 ch1anre
in che modo la fenomenologia si rapporti agli oggetti dell'ontologia: ritengo pertanto che quel
diesen> debba essere interpretato come un genitivo plurale riferito a Gegenstande.
90 Roberto Risaliti
gli enti nella loro mera 'cosalit', cio dandone predicati reali (cogli bili all'interno
dell'esperienza), il suo raggio d'azione andrebbe dalla banalit disarmante della
constatazione di singoli stati di cose,
65
alla determinazione categoriale degli enti,
cio secondo delle specie a priori. Quelle che da Husserl vengono chiamate ontologie
regionali sono infatti esplicitamente riconosciute da Heidegger come un dato; ma
esse, pur muovendosi in un ambito di essenze, non sono ancora l' ontologia che in
Essere e tempo deve essere costituita.
66
Il 'metodo' fenomenologico, non riguar-
dando minimamente come in generale siano fotte le cose (la cosalit degli enti),
decide di come le cose siano accessibili come enti, in che modo concretamente
divengano oggetti di ricerca per l' ontologia. Ci naturalmente equivale a dire che
la fenomenologia studia come, in assoluto, gli enti si manifestino. Ma se, come
abbiamo visto, il mostrarsi dell'ente, il suo manifestare se stesso (in ultima analisi
il suo venire ad essere colto direttamente) costituisce il suo essere, ecco che la
metodologia dell' ontologia viene a coincidere con l'ontologia stessa. Quando que-
st'ultima venga non solo formalmente teorizzata come possibile e addirittura ne-
cessaria, ma effettivamente svolta, non pu concretizzarsi che come fenomenologia.
Non si d dunque alcuna contraddizione tra il presentare la fenomenologia
come metodologia dell'ontologia e, in seguito, il dichiarare l'identit di entram-
be, qualora si conceda ad Heidegger una gradualit nel procedere dell'indagine.
67
Si potrebbe dire che, nel caso dell' ontologia, la metodologia da essa stessa richie-
sta si sviluppa in modo cos genuino (a partire dall'essere stesso delle cose) da deter-
minare l' ontologia, quando questa voglia divenire ricerca concreta, proprio per
quanto riguarda la natura degli enti indagati (dunque nei principi di questa scien-
za). Infine, vale la pena notare che tutte le tre identificazioni dell'ontologia con la
fenomenologia vengono operate alla fine del complesso 7, al punto C, quando
la convergenza delle analisi di fenomeno e di l6gos ha mostrato l'intrinseca neces-
sit del 'metodo' fenomenologico per l'ontologia, in quanto in esso consiste il
disvelarsi dell'essere degli enti.
65
Banalit filosoficamente disarmanti; uno storico, per esempio, pu fare ricerche di anni, e
con buonissime ragioni, per determinare l'esatta datazione di un certo evento: eppure, dal
punto di vista filosofico, fare ci non che emettere un giudizio singolare empirico, la consta-
tazione di un mero dato di fatto.
66
Il problema dell'essere mira perci alle determinazioni a priori delle condizioni di pos-
sibilit non solo delle scienze che studiano l'essente in quanto essente cos e cos, e che si
muovono quindi gi sempre in una comprensione dell'essere, ma anche delle ontologie stesse
che precedono le scienze ontiche e le fondano in ivi, 3, p. 27.
67
Non a caso gi al principio del 7 Heidegger anticipa la peculiarit del concetto del meto-
do fenomenologico: <<Quanto pi un concetto di metodo si sviluppa genuinamente e quanto pi
ampiamente determina i principi conduttori fondamentali di una scienza, tanto pi originaria-
mente esso si radica nel confrontarsi con le cose stesse e si allontana da ci che-chiamiamo artifi-
cio tecnico, di cui ci offrono molti esempi anche le discipline teoretiche in ivi, 7, pp. 46-47.
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