AL DATO ARCHEOLOGICO di Marco Valenti 1. Pnrxrssa Negli ultimi anni, pur con un certo ritardo, larcheologia del medio evo italiano ha iniziato ad interessarsi del dibattito teorico; la discussione, senza occasioni di confronto congressuali o seminariali specifche, ha avuto luogo soprattutto attraverso rifessioni scritte. Si inseriscono in questo flone speculativo anche le posizioni inerenti il rapporto-(ormai) connubio fra ricerca archeologica e informatizzazione, che fanno parte della discus- sione teorica e metodologica a pieno titolo e forse, allo stato attuale, ne rappresentano la punta pi avanzata. Questo mio intervento nasce infatti da una serie di produttive discussioni di recente avute con alcuni colleghi, in particolare nelle fasi preparatorie e successive al seminario Punti di vista Lo scavo e il web 2.0. Percorsi/pratiche/rifessioni a Siena il 3 febbraio 2011 (consultabile al seguente indirizzo http:// archeologiamedievale.unisi.it/mediacenter/video/seminari/ seminari-di-archeologia-medievale-2010-2011/lo-scavo-web- 2-0-percorsi-pratiche-rifes); inoltre con gli stimolanti con- fronti partecipativi a pi voci nei documenti del gruppo FB Miranduolo in Alta Val di Merse Il progetto (https://www. facebook.com/groups/136449023512/docs/). 2. Ii nrcuvrno nriir iixrr vnocrssuaii Io penso che il dato archeologico, per sua natura, deve essere misurabile dal punto di vista quantitativo e qualitativo quando si intenda utilizzarlo in modelli di narrazione storica confutabili. Tale via, che richiede la totale trasparenza del processo di pro- duzione del dato e quindi la sua giudicabilit, ha stretti legami con le basi teoriche del processualismo. Proprio la misurabilit, che oggi non pu che provenire da una documentazione digitale il pi possibile completa e mostrata al pubblico in progress (si veda in questo volume il mio intervento sulla live excavation), nonch lesito fnale verso la costruzione di modelli verifcabili, mi accostano a tale corrente di pensiero; la quale, dopo il lungo e difuso attacco del post processualismo, sta iniziando a ripren- dere il suo posto anche ad un livello pi generale. Non infatti casuale che su scenari di ben maggiore riso- nanza dei nostri, dalla scorsa primavera, si sia aperto un serrato dibattito sul tema Postmodernismo o New Realism? Pensiero debole o pensiero forte? Realt o interpretazione dei fatti? Dibattito che sta andando avanti, basandosi sullo splendido pamphlet di Zygmunt Bauman e la sua societ liquida ovvero priva di punti fermi (Baumanz 2011) e nella critica dellidea che tutto sia socialmente costruito (gi anticipate in Searle 1995 ed Eco 1997, dove il reale visto come uno zoccolo duro con cui si deve fare sempre i conti). Punti fermi quindi; questo il concetto da recuperare nelle societ in cui viviamo ed anche nello specifco del nostro lavoro, proponendo dati e narrazioni che da essi derivano, radicandoli sulla possibilit, reale, di una verifca generalizzata. La tecno- logia digitale, con le capacit rese disponibili per costruirsi il proprio sistema di documentazione e veicolarlo universalmente, rendendolo partecipativo, attraverso le sconfnate risorse del web 2.0, costituisce lo strumento principe di trasparenza: larcheologia, non pu certo farne a meno. A guardare bene, il rapporto fra archeologia e digitale ben datato; gi dalla seconda met del secolo scorso, la teo- ria archeologica stata infatti infuenzata anche dallavvento dellinformatica, consciamente o inconsciamente; si tratta di un lungo rapporto. Ponendo in parallelo levoluzione del dibattito speculativo e le routine che imponeva il progresso informatico, si notano alcune signifcative convergenze. In particolare col- pisce come i primi passi dellapproccio quantitativo, basato su metodi statistici, inizino ad essere proposti da Albert Spaulding contemporaneamente allo sviluppo, proprio a partire dagli anni 60, delle basi di dati organizzate secondo schemi gerarchici, rimanendo comunque nellambito dei database lineari (in pro- posito il testo web molto ben fatto di Alberto Calvelli http:// www.antiqui.it/archeologiaquantitativa/sommario.htm. Sul contributo di Spaulding invece Cowgill 1977, pp. 325-329). Lo stesso afermarsi dellepistemologia processuale, in cui laspetto quantitativo era centrale nellambito del trattamento del dato, emergeva tra gli anni 60 e 70 mentre lindustria informatica concentra molte energie sulla nascita e lo sviluppo dei database relazionali; con una fruttuosa stagione di ricerche che porta pochi anni dopo allo sviluppo prima dei modelli gerarchici, poi di quelli reticolari e relazionali nellambito del database management, nonch a molte delle soluzioni tecnolo- giche tuttora in uso. Non mi sembra neppure casuale che dopo la pubblicazione di Ted Codd nel 1970 (un ricercatore IBM) del primo articolo sui database relazionali (nel quale delinea i principi del calcolo e dellalgebra relazionale per permettere ad utenti non esperti di archiviare ed interrogare grandi quantit di dati) nonch la formazione del gruppo di ricerca noto come System R (con lobiettivo di sviluppare un database relazionale commercializza- bile, poi approdato ad elaborazioni dellattuale DB2, il prodotto di punta di IBM per il database management), Hodder e Orton pubblichino il loro ben noto Spatial Analysis in Archaeology (Hodder, Orton 1979). Assonanze poi, anche a partire dalla met degli anni 80-inizi 90. Nellinformatica comincia ad essere chiaro che i database relazionali non rappresentano il modo pi pratico per gestire dati complessi, sentendo lesigenza di una maggiore fessibilit nella gestione e interrogazione del dato; gli interessi dei ricercatori si concentrano sui database object oriented, nei quali lutente deve essere in grado di defnire metodi di accesso, manipolazione e rappresentazione del dato sviluppati in proprio. Nellarcheologia quantitativa, allo stesso tempo, si sente la necessit di innovare i propri metodi dedicati dietro il fne di integrare maggiormente le procedure tradizionali della disciplina con strumenti che erano stati sviluppati in altri am- biti per cercare soluzioni al trattamento ed alla risoluzione di problemi di ben altra natura. In defnitiva in ambedue i campi si ricercava un approccio dedicato e guarda caso Fletcher e Lock pubblicavano il loro Digging Numbers fornendo unin- troduzione alla statistica scritta da archeologi per gli archeologi (Fletcher, Lock 1991). Ma non solo; sono questi anni di furore scientista che proprio sul ricorso allarchiviazione e, a seguire, del processamento statistisco, basava la validazione di quanto si elaborava. Insomma la proposta di modelli o di sistemi, accostando sempre di pi larcheologia alle scienze, dovevano fondarsi su argomentazioni logiche suscettibili di verifca; il modello non una semplice ipotesi, ma una costruzione articolata e dinamica, che deve essere capace di rispondere alla ricchezza di elementi che fanno parte integrante del contesto (Bietti Sestieri 2000). Credo quindi che linformatica, strumento imprescindi- bile dellodierna societ, veda connaturata in s, nella sfera archeologica, la dimensione processuale; the loss of the Innocence di Clarke (Clarke 1973), ci viene ancora oggi riproposta dalle attuali capacit di calcolo, di archiviazione, di difusione e di interrelazione totale dei computer, facendo riemerge proprio quella prospettiva teorica che dopo gli anni 90 del secolo scorso tanta denigrazione se non demonizazione ha trovato nella vasta massa di fautori dellimpressionistico post processualismo. Al riguardo mi ha sempre colpito un passo di Terrenato: Le recenti formulazioni postmoderne vanno rapidamente smantellando il mito di una conoscenza oggettiva del passato e di un procedere imparziale dellarcheologo. Limpianto re- lativista dellarcheologia postprocessuale lascia sempre meno spazio ai metodi matematici e statistici, che sono visti come potenzialmente riduttivi e meccanicistici (Terrenato 2000). 9 Se c qualcosa di vero in questa afermazione, nel senso che si sono osservati anche eccessi statistici e talvolta spiega- zioni semplicistiche, mi chiedo per, essendo queste le linee di giudizio sui metodi processuali, dove o a quali progressi ha invece portato il post processualismo; il quale, in defnitiva, ha creato una vasta massa di spiegazioni contemporanee od anche in contraddizione fra di loro, spesso molto impressionistiche o slegate dalla storia, dei fenomeni archeologici; peccando proprio di quella astoricit di cui venivano tacciati i new archaeologist; con un protagonismo della propria sensibilit e percezione dei fenomeni archeologici che trovo quanto di pi soggettivo e meno dimostrabile si possa produrre in fatto di narrazione storica; quanto di pi decostruttivo, con lampio ventaglio di possibilit fornite giungendo alla non spiegazione, nel perse- guire la vera fnalit scientifca dellarcheologia: fare storia. Io non ho mai abbandonato lapproccio processuale e ho tenuto un atteggiamento neo positivista (per altri, forse, vetero posi- tivista). Di ci sono attestati la mia necessit di documentare sino alleccesso afnch i dati da me proposti siano misurabili realmente e verifcabili o reinterpretabili da altri (lo vedo a pieno titolo tra gli obiettivi primari di unindagine e desidererei che fosse assunto da tutti gli archeologi); la mia attenzione verso lanalisi degli ecofatti, dei paesaggi, dellambiente e lelabora- zione quantitativa e spaziale attraverso il dialogo fra database management system e piattaforme GIS nonch uno scientistico bisogno di falsifcazione del modello. 3. Escnrn r Moxrr Ma il neo processualismo (se cos vogliamo chiamarlo) va oltre la prospettiva originaria. Ci caratterizza infatti una stretta interconnessione, tradizionale per lItalia, con la storia e le fonti scritte nonch un continuo confronto con gli stessi modelli storiografci. Queste mie afermazioni necessitano comunque di essere maggiormente dettagliate. Se come Binford, nei suoi primi approcci teorici (prima di sentire la necessit di dover replicare i processi che portavano alla formazione degli oggetti che studiamo archeologicamente, aprendosi cos con decisione alletnologia ed allantropologia), mi sento molto ottimista circa il potenziale dellarcheologia nel fare storia, la nostra prospettiva di ricerca va per nella direzione non solo di capire sistemi e sotto sistemi ma di collocarli in una dimensione modellistica che ci aiuti a comprendere la nascita, lo sviluppo, la scomparsa (non amo il termine trasformazione) di societ umane, politiche ed economiche; degli uomini e del loro vivere in societ. Non trovare regole, bens agire allinterno di elaborazioni da porre a confronto sia con gli altri archeologi sia con gli storici, gli antropologi ed i geograf, che ci porta a muoversi nelle linee di quello che possiamo defnire un processualismo storicizza- to. Con tale defnizione, da medievista quale sono, ribadisco comunque la necessit di indipendenza interpretativa dalla storia; con il signifcato di non ricondurre o interpretare il dato materiale nella teoria e nei modelli gi da essa predisposti, bens in autonomia come ci dice Giannichedda a proposito degli archeologi text aided: citando Ammerman, ricorda infatti come la scarpa presa in prestito spesso calza male (Giannichedda 2002, pp. 17, 21). Impostazione che era anche di Francovich: nel costruire la visione del passato linterpretazione archeologica non quindi gi data e condizionata da una serie di documenti scritti o dalle loro estrapolazioni, bens va costruita indipen- dentemente e poi sottoposta a falsifcazione e a confronto. Non signifca, si badi bene rifuto delle fonti storiche e della storia; tuttaltro; larcheologo deve avere una pi che solida conoscenza e cultura storica la quale, per, non pu e non deve essere dirimente nellinterpretazione dei nostri dati e nel loro posizionamento-giustifcazione in un processo ricostruttivo e narrativo (Francovich 2004). Il mio obiettivo di ricerca si riconosce quindi nella produzione di modelli, che potranno essere anche superati, ridiscussi e stravolti grazie al confronto con altri modelli; ma senza i quali non si percorre la strada della narrazione storica inerente la formazione e le vicende connesse a societ umane nella diacronia. Non mi interessa unarcheologia intuitiva, bens capire i grandi sistemi di tendenza, mentre vedo difcile (se non una vera e propria chimera) intendere e descrivere la every day life, seppur basata sui dati materiali ma soprattutto sullimmaginazione, la soggettivit e il legame stretto con il supernatural per esempio ben esemplifcati da Moreland con il suo recente e bel libro (dove peraltro mi pare cerchi di superare la dimensione post processuale, in realt mantenendola ben viva) fnalizzato a fornire una teoria allarcheologia del medio evo (Moreland 2010). In questo lavoro apprezzo alcuni aspetti per lautore fonda- mentali; per esempio sottolinea la mancanza di un vero dibattito teorico nellarcheologia medievale, che la teoria deve trovare la sua compiutezza nei dati e linfuenza del nostro presente sulla costruzione del passato. Non accetto per la mortifcante cor- roborazione delle fonti scritte, espressa tramite il presupposto contestuale secondo cui i testi giocano un ruolo primario per comprendere quei processi storici che created and transformed the past nelle societ dove furono prodotti, consumati e im- piegati; pur non considerandoli prime movers, ma elementi di un complesso sistema culturale composto da abitudini, oggetti, cerimonie, immagini e rituali (Moreland 2010, pp. 1-2, in particolare pp. 276-301), in realt ne fa un impiego eminente per tracciare la sua visione storica; pi in dettaglio non accetto anche il signifcato immaginifco, riletto e interpretato alla luce de testi, che viene dato ad una serie di oggetti in strato od alla formazione di strati; ripeto, signifcati spesso troppo idealisti e svincolati completamente dalla materialit. Proprio la natura selettiva della fonte archeologica (cos come quella della fonte scritta) ci porta a ragionare per macro categorie e per macro ricostruzioni; costituiscono lunico mezzo reale per comprendere formazioni e cambiamenti, quindi pro- cessi storici in atto, dei contesti che studiamo; inoltre il modo migliore per dare voce a quei muti della storia, che Moreland vede come lobiettivo primario dellArcheologia storica, deli- neando i tipi di societ nelle quali si trovavano a vivere e non attraverso i quotidiani meccanismi religiosi, culturali, emotivi che costituivano agenti di oppressione e di incanalamento nel sistema in atto. Anche con lapporto delle fonti scritte (uno dei principali tra gli agenti di oppressione: Moreland 2001), creando quelle mappe comportamentali ricercate intensamente dal post processualismo nel rileggere e interpretare il dato ma- teriale alla loro luce, con posizione comunque di sudditanza verso la storia, sar sempre molto emotivo lafresco epocale che si tenter di pennellare, oltretutto scarsamente valido per andare a tratteggiare unintera societ. In defnitiva credo che larcheologia pu arrivare a costruire dei quadri generali, anche particolareggiati, ma non che tali quadri abbiano quella com- pletezza (pur intercettando tendenze reali in atto e spesso fon- damentali nello svolgimento del processo storico sotto esame) tale da connotarli di fgure vive con sangue pulsante nelle vene e cervelli i quali producevano energie intellettuali o credenze e principi di vita (condizionanti o auto condizionanti allinterno di un meccanismo di potere pi ampio), paesaggi della mente, paesaggi della fede ecc. Sullaltare di tutto ci si sacrifca (anzi viene ignorato letteralmente) che la storia spesso economia, o anche politica ed economia; che proprio gli stimoli economici (nella pi larga accezione, dal semplice bisogno del contadino di riempirsi la pancia al paesaggio rurale elaborato da chi detiene il potere e intende produrre surplus da gestire) fanno muovere gli ingranaggi delle vicende insediative. Queste sono alcune delle mie critiche o remore, principali sullapproccio contestuale: sta davvero nelle nostre corde di archeologi tratteggiare scenari soprattutto comportamentali? Io credo di no, oppure lo limitatamente e mi pare che si esagerato andando troppo oltre, approfttando di approcci e istanze cognitive, centralizzando troppo sullinfuenza dellide- ologia o di altre idee astratte (le mappe mentali sia individuali sia di una collettivit) nel conformare una societ attraverso i resti materiali; alla fn fne mi pare si sia trattato soprattutto 10 di semiotica storica o di psicologia storica, fnalizzate alla comprensione di ideologia e spiritualit. Raggiungendo posizio- ni estremistiche sulla variabilit e dinamismo di un contesto archeologico stratifcato, per il quale risulta pi opportuno registrare le sensazioni estrapolate ponendosi di fronte ad esso, piuttosto che il dato nel momento in cui lo si rileva. Molteplicit quindi di spiegazioni, assenza di una presa di posizione chiara e fondamentalmente, decostruttivismo, anche nel sottoporre a rilettura tutto quanto ci proviene da ricerche passate. Ricordiamoci anche come le fonti a nostra disposizione hanno dei grossi limiti; sono e saranno sempre incomplete, fotografando solo determinati momenti di storie pi lunghe: larcheologo si trova nella situazione di un cacciatore di animali estinti che trova orme e deve riconoscere un animale mai visto (Negroni Catacchio 1986, p. 42). E questo di per s ci da gi i confni di quanto andiamo a ricostruire o pretendiamo di modellizzare. Processualismo e post processualismo: due diversi modi di raccogliere il dato e della sua lettura, che possono essere sintetizzati con metafore artistiche attraverso il rafronto fra il maturo Escher e il pi spinto dei Monet. In Escher il realismo dominante per quanto spesso paradossale, volutamente e con coscienza deformato o incompleto, come nellesempio illuminante del Belvedere, metafora quasi perfetta dei nostri quadri interpretativi; in Monet la narrazione si basa su idee in pillole, bolle di sapone ed impressioni dalle quali verranno tratte altre impressioni. 4. Tronia r xonriii Credo poi che non si debbano applicare teorie aprioristiche e sostanziarle attraverso i dati ottenuti ma al contrario; il model- lo, conseguentemente la teoria, devono nascere dallosservazione dei dati; il valore della fonte e il potenziale informativo possono essere solo compresi riconoscendone il sistema di appartenenza e quindi le relazioni che legano le fonti tra loro, come ci ha insegnato Topolsky (Topolsky 1975). Dobbiamo in defnitiva essere consci che ci concesso di osservare determinati segmenti della realt storica, peraltro mai del tutto completi, la cui suc- cessione, spesso selettiva o selezionata dalla storia stessa di un contesto, lascia vedere macro tendenze nella diacronia e mai una vicenda evolutiva lineare e completa. A mio parere, negli ultimi due decenni, la fede assoluta della capacit archeologica di ricostruire il passato in toto, ha portato a psicologizzare troppo il dato materiale, spremendolo alleccesso di signifcati che potrebbero anche essere frutto della nostra mente o nellapplicare aprioristicamente schemi interpretativi preconcetti; rischiando di essere gli archeologi del romanzo Timeline che raggiunsero il Medioevo attraverso il teletrasporto quantico e si accorsero di quanto diversa fosse stata la realt materiale e culturale che immaginavano dai loro scavi (Crichton 2000). Io preferisco lavorare sulla base di dati quantitativi; ela- borazioni numeriche, il pi possibile tratte da corpora, tali da permettermi poi di applicare e ragionare su di esse attraverso la componente intuitiva o, per usare un termine abbastanza di moda oggi, esperienziale. Voglio cio chiarire esplicitamente che il frutto delle elaborazioni numeriche non sono la soluzione in s come credevano invece molti rappresentanti della New Archaeology, seguendo assunti tipici del positivismo logico; bens la base di partenza per rifessioni nelle quali larcheologo con la sua esperienza, il suo intuito, la sua intelligenza, produce a tutti gli efetti storia. Cos ho sempre operato nel mio gruppo di ricerca; ci siamo costantemente posti in questa terra di mezzo, nella quale i numeri vengono prima scavati, poi processati e infne pensati; ovvero interpretati riconoscendone il sistema di appartenenza e conseguentemente elaborando quadri storici che, ne sono conscio, saranno pur sempre incompleti, talvolta anche errati, ma verifcabili negli elementi alla base della loro formulazione; in defnitiva: trasparenti. Si tratta in conclusione di applicare nella lettura dei dati, basandoci sulla possibilit di disporne nel maggior numero, insieme e singolarmente, i tre tipi di ragionamento utilizzati per trarre conclusioni (inferenze) a partire da quello che osserviamo e/o conosciamo: la deduzione, linduzione e labduzione. Anche labduzione, il terzo movimento della conoscenza di Eco (Eco 1980), momento fnale e cruciale nel proporre modelli, non sar esente da errori; conclusioni non mai defnitive, bens il mezzo per stimolare nuove ricerche e raggiungerne di nuove secondo il modello di approssimazione progressiva alla realt che caratterizza il metodo scientifco. Quindi, metodi che possono accogliere la correzione, accettando la loro fallibilit. La teoria nasce dalla pratica e dal confronto con gli altri sub paradigmi teoretici (ricordo che non abbiamo in archeologia un paradigma condiviso); di conseguenza non mi afdo con cecit ad una causa sposata aprioristicamente; pur basandomi sul materialismo e sulla sua raccolta-processamento, proprio lelaborazione dei dati raccolti mi ha portato nel tempo ad ac- cettare ed includere nel mio modo di operare ricerca anche altre suggestioni; per esempio studiando soprattutto il lungo periodo dalla tarda antichit ai secoli centrali del medio evo, elaborando i dati e ipotizzando societ, insediamenti, economie e sistemi economici mi sono trovato strettamente connesso con modelli interpretativi che si avvicinano molto al marxismo strutturale in quanto, fondamentalmente, ho incontrato soprattutto due tipi di contraddizioni: quelle tra i diversi interessi dei gruppi so- ciali (divisione di classe, con controllo dei mezzi di produzione da parte della classe dominante) e quelli tra i rapporti sociali di produzione (il modo in cui lambiente viene organizzato sulla tecnologia disponibile, determinando anche chi lavora e come ci si appropria dei prodotti del lavoro). Inconsciamente quindi, mi sono aperto a quella famosa terza via, che sopito lo scontro feroce tra materialisti e idealisti, si auspicato di raggiungere, con risultati sinora non eccelsi. 5. Nrcrssir ni ninarriro Dibattere e proporre la propria posizione teorica, in asso- luto, lo ritengo fondamentale. Il chiarifcamento dei principi di raccolta, lettura ed elaborazione dei dati sono le fondamenta della narrazione; sulla base dei principi ai quali mi conformo, infatti, si qualifca e prende un determinato corpo la ricostru- zione storica ed il passato che ricerco. Da medievista, poi, so che lapproccio al dibattito da parte dei membri della comunit alla quale appartengo, stato sempre limitato. Forse ad un lettore anglosassone, se mai consulter questo testo, la mia scelta di polemizzare con i post processua- listi ed il ribadire unadesione decisa al processualismo seppur con aperture dettate dalla contemporaneit e da una teoria che si forma anche dallesperienze che ho svolto sul campo, potr sembrare una sorta di ritorno al futuro alla Zemeckis (Ritorno al futuro Back to the Future flm del 1985 diretto da Robert Zemeckis per la Universal Pictures). Ma da noi, intendendo lambito medievistico italiano, non cos. Pur con alcune eccezioni, prima fra tutte la scuola ligure di Mannoni sino alle lucide pagine di Giannichedda (Giannichedda 2002), ci siamo comportati come alcuni archeologi classici per i quali la teoria un pane azzimo; destinato soprattutto alla mensa di chi si occupa di epoche scarsamente dotate di resti materiali od oggetti defagranti, frutto di un passato monumentale; insomma, cibo per poveri. In generale, non abbiamo cos scelto di perseguire e sviluppare del tutto la via tracciata proprio da Mannoni ed il suo gruppo sin dalla met del XX secolo con lo scopo di comprendere come venivano risolti i problemi pratici di vita dalle varie societ umane nella diacronia, attraverso gli stru- menti empirico-sperimentali della cultura materiale intesa nella logica dei tentativi e correzioni degli errori di Popper; con crescita della conoscenza e, attraverso la discussione libera su metodi e risultati, con miglioramento della base teorica e metodologica. Forse, e purtroppo, unottima ma falsa partenza. Per questa via, consciamente o incosciamente, magari tardi anche se non lo mai, ci siamo ritrovati, a partire dagli anni 11 fnali del secolo scorso, a mettere in relazione e confronto, progressivamente, alcune versioni diferenziate del passato; in particolare su un tema fondamentale: la fne del mondo antico e la formazione del mondo post classico, che afronto anchio nella mia ricerca principale per la Toscana. Ladesione consapevole o inconsapevole alle linee interpretative dei due principali orientamenti teorici, ha visto lergersi di altrettanti schieramenti, se cos possiamo defnirli, fondamentalmente individuabili come continuisti e discontinuisti, con tutti i rivoli di ricerca che ne sono scaturisti e relative visioni polemiche dei fatti, dalletnogesi sino alla formazione delle nuove realt socio- economiche ed insediative del primo Altomedioevo. Tra i protagonisti del confronto, alcuni storici interessati ad una rilettura del presuntuoso dato archeologico secondo nuo- ve chiavi possibiliste e decostruzioniste insieme ad archeologi aderenti pi o meno consapevolmente alla teoria contestuale, hanno assunto posizioni negazioniste rigorose, in particolare per ci che riguarda gli aspetti dellapporto barbarico e delle stratifcazioni ad esso legate, sia nella fne di una civilt sia nel costruire quel nuovo mondo narrato da Leciejewicz in ottica europeista (Leciejewicz 2004). Lessere contro a priori, nonch le suggestioni soggettive e multi spiegazioniste, caratteristiche dei post processualisti da Hodder in poi (Hodder 1982; Hodder 1990), hanno portato a rileggere i dati con gli strumenti forniti dalle scienze sociali, a guardare il contesto soprattutto come ideologico privilegiando il valore comunicativo degli oggetti, a revisionare e reinterpretare i dati archeologici nel merito delle fonti scritte e narrative nelle quali si sono trovate le spiegazioni invece che contestualizzare, mostrando cos congruit ma anche diformit (e tornando, a parer mio, ancillari alla storia). Inoltre levoluzione allargata degli studi di genere, il successo e talvolta il travisamento se non il portare alle estreme conseguenze delle tesi etnogenetiche, la defagrazione del concetto di acculturazione nel generalizzare e prendere come dogma assoluto o paradigma il concetto che cultura archeologica (alla Childe per capirsi) ed ethnos non coincidono in nessun aspetto, sino a negare la possibilit e la libert di attribuzionismo, hanno materializzato un disegno di emarginazione di quanti la pensano diversamente e di quanti perseverano nel fare osservazioni ed ammissioni sulla base delle seriazioni, numeri, associazioni e dei confronti dallambito locale a quello europeo (di oggetti, tipi di abitazione e di villaggio, rituali funerari, conformazioni paesaggistiche storiche ecc.). Perch allora continuare a fare archeologia per compren- dere e ricostruire societ antiche ed i loro cambiamenti, se la spiegazione ed il quadro ideologico-culturale di riferimento sono gi pronti? Inutile aver ribadito e conquistato il principio che lArcheologia indipendente dalla Storia se poi le regole interpretative ed il giudizio sulla bont dei dati da noi raccolti e lagenda della ricerca non nascono dallinterno della disciplina; in ultima analisi, viene apposto un imprimatur sulla lettura dei dati materiali. In realt, come predicava Francovich, pur con fasi di contatto, dobbiamo andare alla costruzione di modelli interpretativi propri, da confrontare poi con quelli storici. Non sarebbe il caso di prendersi una pausa rifessiva, so- prattutto di matrice teorica, e lasciar parlare gli archeologi fra di loro, ripetendo piuttosto lesperienza delle summer school di Pontignano (coordinate da Francovich e Manacorda) che negli anni novanta del XX secolo tanti rapporti trasversali fra specialisti di periodi diversi e tanto progresso ed apertura hanno portato sia nel metodo sia nella teoria allinterno della nostra comunit? Forse stiamo rischiando lo status quo. Io so bene che queste parole non saranno giudicate po- litically correct. Ma il mio contestare il post processualismo, per esempio, non significa combatterlo od ostracizzarlo; signifca invece discuterlo sulla base di ci che penso e credo, appoggiandomi sulla teoria da me applicata ed in evoluzione per lesperienza che svolgo per molti mesi allanno sul campo. Non due emisferi che cozzano fragorosamente, bens due diverse accettazioni teoriche del fare archeologia e dei risultati che ci proponiamo di raggiungere. Ma tutto ci senza estremismi di posizionamento ideologico, semplicemente in nome del confronto e dello scambio. Questa la via da seguire, cio il confronto aperto e nel rispetto delle posizioni, cercando un dialogo anche duro e non facile, che arricchimento per tutti nessuno escluso, e non istituendo barricate destinate a mettere in crisi la ricerca pi che farla progredire, amputando di volta in volta larto che si ritiene malato. Larcheologia dovrebbe ritrovare se stessa, ora come non mai. Biniioonavia Baumanz Z. 2011, Il buio del postmoderno, Reggio Emilia. Bietti Sestieri A.M. 2000, Larcheologia processuale in Italia, o limpossibilit di essere normali, in N. Terrenato (a cura di), Archeologia teorica, X Ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in Archeologia (Certosa di Pontignano, Siena, 9-14 agosto 1999), Firenze, pp. 213-242. Clarke D. L. 1973, Archaeology: Te Loss of Innocence, Antiquity, 47, pp. 6-18. Cowgill L.G. 1977, Albert Spaulding and archaeology method and theory, American Antiquity, 42, n. 3 Jul, pp. 325-329. Crichton M. 2000, Timeline, Milano. Eco U. 1980, Intervento a: Paradigma, indizio e conoscenza storica, Quaderni di Storia, 6, 4, pp. 40-54. Eco U. 1997, Kant e lornitorinco, Milano. Fletcher M., Lock G.R. 1991, Digging Numbers, Oxford. Francovich R. 2004, Villaggi dellaltomedioevo: invisibilit sociale e labilit archeologica, in M. 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