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BRUNO BRUER, KARL MAN

LA QUESTIONE EBRAICA
a cura di MASSIMILIANO TOMBA

14 W, 200Z

INDICE

Nota del traduttore LA QUESTIONE EBRAICA: IL PROBLEMA DELL'UNIVERSALISMO POLITICO di Massimiliano Tomba 1. Perch la Judenfrage 2. Critica del cristianesimo e dell'ebraismo: un contributo alla crisi del XIX secolo 3. Riformulazione della questione ebraica 4. Emancipazione e liberazione 5. Dialettica dei diritti umani LA QUESTIONE EBRAICA di Bruno Bauer Introduzione I. L'esatta formulazione della questione L'innocenza degli ebrei La Spagna La Polonia La societ civile L'intraprendenza degli ebrei La tenacit dello spirito del popolo ebraico La vita sono l'oppressione Il numero dei criminali L'atteggiamento della conseguenza verso il suo presupposto Il fervore e il carattere esclusivo dell'amore cristiano I diritti dell'uomo e lo Stato cristiano L'opposizione religiosa dell'ebraismo e del cristianesimo II. Considerazione critica dell'ebraismo la legge mosaica o il Talmud? L'incoerenza e l'ostinatezza della coscienza del popolo ebraico La vita conforme alla legge dell'ebreo Il punto di vista etico del tardo ebraismo

7 9 10 13 18 22 28 41 43 47 47 48 49 51 52 53 55 57 58 59 61 63 67 67 73 77 83

2004 manifestolibri srl via Tomacelli 146 Roma In copertina: Elaborazione grafica da K. Malvitch, Uomo che porta un sacco, 1911 Cura e traduzione di Massimiliano Tomba Volume pubblicato con la collaborazione dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli ISBN 88-7285-332-X

III. La posizione del cristianesimo verso l'ebraismo IV.La posizione degli ebrei nello Stato cristiano V.Conclusioni

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NOTA DEL TRADUTTORE

VI. Gli ebrei francesi in relazione alla religione della maggioranza dei francesi 105 VII. Dissoluzione dell'ultima illusione L'ebraismo illusorio Gli ebrei come paladini della verit L'ebraismo e il cristianesimo disvelati L'ebreo nello Stato assolutistico L'illusione fondamentale Dichiarazioni del juste milieu tedesco Il grande sinedrio di Parigi Conclusione 117 117 122 126 129 134 139 146 152

LA CAPACITA DI DIVENTARE LIBERI DEGLI EBREI E DEI CRISTIANI DI OGGI 155 di Bruno Bauer
SULLA QUESTIONE EBRAICA

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di Karl Marx
I. La questione ebraica

IL La capacit di diventare liberi degli ebrei e dei cristiani di oggi 199 Note 207

La scelta di pubblicare la Questione ebraica di Bruno Bauer assieme alla risposta di Karl Marx non richiede certo una giustificazione, essendo lo scritto marxiano, nei fatti, la risposta allo scritto di Bauer. Quest'ultimo apparve con il titolo Die JudenFrage nei Deutsche Jahrbiicher fiir Wissenschaft und Kunst, 17-26 Novembre, 1842, nn. 274-282, pp. 1093-1126, e venne ripubblicato con l'aggiunta dei lunghi capitoli VI e VII nel 1843 per l'editore Otto Friedrich di Braunschweig. Nello stesso anno Bruno Bauer pubblic negli Einundzwanzig Bogen aus der Schweiz, curati da Georg Herwegh (Ziirich und Winterthur, Verlag des Literarischen Comptoirs, 1843), Die Fiibigkeit der heutigen Juden und Christen, frei zu werden. Il giovane Karl Marx recens entrambe le opere nel celebre scritto intitolato Zur Judenfrage ed apparso nei Deutsch-Franzdsische Jahrbcher, pubblicati a Parigi nel 1844 e curati da Arnold Ruge e dallo stesso Marx. Gli scritti di Bauer non sono mai stati tradotti in italiano, e per quanto riguarda la Judenfrage non nemmeno mai stata ripubblicata in lingua tedesca, nonostante sia molto probabilmente l'opera che per prima introduce e rende popolare l'espressione "questione ebraica" nei paesi di lingua germanica. Diverso naturalmente il destino dello scritto di Marx, che ha avuto nel nostro Paese diverse traduzioni, pi o meno buone e pi o meno azzardate. Ho in ogni caso cercato di tenere presente questa lunga tradizione di traduzioni della Questione ebraica. Qualche parola in pi merita sicuramente lo scritto di Bauer, il cui stile energico e appassionato rischia di perdere molto nel mero calco di una traduzione letterale. Ho per cercato, per quanto possibile, di riprodurre il pi fedelmente possibile l'andamento discorsivo e la sintassi di Bauer al fine di riuscire a dare un'idea dell'innovazione stilistica della prosa baueriana nel contesto della letteratura posthegeliana. Ma c' anche un'altra ragione che mi ha indotto a rimanere entro gli steccati di una traduzione quanto pi letterale possibile:

la Questione ebraica di Bruno Bauer stata ed ancora uno scritto controverso. Innumerevoli sono infatti le critiche di antigiudaismo ed antisemitismo rivolte contro quest'opera. Spero che questa traduzione non accenda una simile polemica anche in Italia sulla letteratura al riguardo s veda l'Introduzione ma serva invece, oltre che ad inquadrare lo scritto marxiano nel suo contesto teorico e storico-politico, a mostrare anche come la radicalit del discorso baueriano porti importanti elementi di complicazione alla concettualit politica moderna, anche in relazione a problemi contemporanei relativi al multiculturalismo e ai diritti umani. Desidero ringraziare innanzitutto il Prof. Antonio Gargano per l'entusiasmo con il quale ha accolto questa traduzione, impegnando l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di. Napoli nel finanziamento di questo lavoro. Alexander Grasse e Petra Linzbach mi hanno aiutato a risolvere alcuni "misteri" della prosa baueriana: a loro va un mio riconoscente grazie. Gli amici Luca Basso, Mario Piccinini, Gaetano Rimetta e Maurizio Ricciardi hanno avuto la pazienza di leggere il testo, dandomi preziosi consigli. Mi scuso con loro se non ho seguito tutti i loro suggerimenti. In particolare il testo doveva contenere una postfazione del dott. Ricciardi; spero vivamente di poter presto discutere e vedere pubblicato il suo contributo. Patrizia, oltre a seguirmi e a sopportarmi nel lavoro, mi ha aiutato a migliorare la forma del testo. A lei va il merito se la traduzione risulta un po' pi leggibile, mentre solo mia la responsabilit dei suoi limiti. Dedico questo libro alla memoria dei miei genitori, venuti a mancare troppo presto. Massimiliano Tomba Pordenone, 21.2.2004

LA QUESTIONE EBRAICA: IL PROBLEMA DELL'UNIVERSALISMO POLITICO Massimiliano Tomba

Sarebbe veramente poca cosa se questa traduzione italiana della Questione ebraica di Bruno Bauer servisse solo ad aprire o a riaprire discussioni e polemiche sul pi o meno presunto antigiudaismo di Bauer. Al riguardo molto gi stato scritto'. La questione che ci interessa mettere in evidenza riguarda piuttosto il modo n cui la straordinaria consequenzialit dialettica con la quale Bruno Bauer affrontava le questioni del proprio tempo si trattasse della questione della storicit dei Vangeli, del problema dell'emancipazione politica e dei diritti, o del giudizio da dare sulla Rivoluzione francese e sul 1848 ci pu essere d'aiuto oggi per far fronte a una nuova crisi, che per, per molti aspetti, affonda le proprie radici nella crisi del Vormiirz. L'intera riflessione di Bauer ha infatti a che fare con categorie in stato di crisi2, ed egli si assunse il compito, attraverso la critica, di dispiegare la crisi fino alle sue estreme conseguenze. Proprio questa sua radicalit intellettuale lo portava a mostrare indifferenza rispetto ai giudizi morali e politici del tempo. Non solo attaccava i liberali con la stessa radicalit con la quale attaccava i conservatori, ma anzi, di fronte alla velleit delle richieste liberali di diritti universali e libert, era portato a riconoscere maggiori ragioni ai conservatori. Con la stessa veemenza criticava la religione, sia l'ebraica sia quella cristiana. In ogni sua posizione mostrava indifferenza rispetto ai giudizi che lo colpivano. Questo suo cinismo si spiega a partire da un duplice ordine di ragioni: Bauer si identificava realmente con la Critica, e assumeva su di s il destino di portare il vecchio mondo alla fine. Le critiche che gli venivano rivolte non erano altro, ai suoi occhi, che vagiti di un mondo in disfacimento e colpito a morte. Ma c' anche un'altra ragione: la Critica di Bauer si innesta sulla crisi epocale, compenetrata dalla crisi, si fonde con essa. Ma questa stessa crisi non pu non trascinare con s valori e morale, che vengono cos a perdere ogni senso e riferimento per il giudizio. Se la crisi coinvolge anche il mondo 9

morale, perdono senso vecchie dicotomie come bene e male, buono e malvagio, eccetera. Esse lasciano il posto alla sola che ancora merita di essere presa in considerazione: quella tra il vecchio e il nuovo mondo. Qui anche il punto di arresto di Bauer. Egli non un partigiano del nuovo mondo, ma lo invece della Critica che, nelle sue mani, diventa avanzamento nella rovina del vecchio mondo, ricerca di quei conflitti e quelle contrapposizioni che ne accelerano la fine. Per Bauer non si tratta di negare Dio e lo Stato, ma di trovare la radice polemica della statualit moderna e del concetto di religione. su questa strada che Bruno Bauer, anticipando Carl Schmitt3, coglie la natura essenzialmente polemica dei concetti teologico-politici. avendo ben presente questo problema che si deve leggere la Questione ebraica.
1. PERCH LA JUDENFRAGE

Quando, agli inizi del XIX, secolo la parola francese "mancipation" prende cittadinanza nella lingua tedesca (Emancipation), essa viene immediatamente ad assumere un significato anticetuale. Il concetto di "emancipazione" viene ad occupare, nella crisi della compagine cetuale del Vormdrz, lo spazio lasciato vuoto dalla distruzione dei privilegi corporativi, esprimendo lo spirito del movimento di affermazione dei diritti civili e politici4. La dissoluzione cetuale e la separazione tra societ e Stato diventa, come in Christian Wilhelm Dohm alla fine del XVIII secolo, l'orizzonte d possibilit della libert di culto e della realizzazione dell'eguaglianza giuridica degli ebrei'. Sviluppo dell'economia capitalistica, affermazione del moderno Stato rappresentativo e crisi del sistema cetuale: in questo contesto storico-sociale che prende forma la questione dell'emancipazione degli ebrei ed emerge l'esigenza di un nuovo elemento cementificante capace di tenere assieme la moltitudine atomistica che compone la societ. Questi processi, pur affondando le loro radici nel XVII secolo, acquistano evidenza e giungono manifestamente alla coscienza con la Rivoluzione francese. La centralizzazione del potere nelle mani dello Stato e la formazione di una massa di lavoratori formalmente liberi costituiscono le forze che mandano in frantumi l'ordinamento cetuale, predi10

sponendo quello spazio che verr progressivamente occupato dai diritti di cittadinanza. all'interno di questo processo che il concetto di emancipazione si politicizza diventando un concetto anticetuale (antisandischer Begriffl6 Gli scritti di Bauer e Marx sulla questione ebraica si inseriscono in questo contesto, cercando, ciascuno a proprio modo, di dislocare la questione nel punto di incrocio di un'emancipazione universale. Non si tratta della sola emancipazione degli ebrei, anche noi vogliamo essere emancipati, scriver Bauer7. La questione dell'emancipazione universale o non , e la questione ebraica solo una parte della grande e universale questione alla cui soluzione lavora il nostro tempo8. Com' noto, lo scritto marxiano Sulla questione ebraica9, pubblicato nel 1844, divenuto talmente celebre da gettare nell'ombra le opere che doveva recensire. Si tratta dei due scritti di Bruno Bauer qui presentati: la Judenfrage e Die Fdhigkeit der heutigen Juden und Christen, frei zu werden10. Bauer ritorner pi volte sull'argomento", in parte perch sollecitato dalle critiche che gli venivano rivolte da parte conservatrice e liberale, ma, come cercheremo di dimostrare, anche perch l'argomento gli permetteva di precisare un concetto di libert che egli andava maturando in polemica con i liberali. Attraverso un radicale ripensamento della concettualit politica e della filosofia della storia, aspetti che nel Vormdrz tedesco si presentano tra loro inscindibili, Bauer intendeva oltrepassare sia la posizione dei sostenitori dell'emancipazione sia quella dei suoi avversari. La questione ebraica offriva a Bauer un'ottima occasione per mettere alla prova la teologia politica da lui stesso elaborata negli scritti di critica della storia evangelica fino a Lo Stato cristiano e il nostro tempou . Proprio nella Questione ebraica Bauer pu mettere in evidenza, con una forza mai raggiunta prima nei suoi scritti, la singolare convergenza tra determinazioni teologiche e politiche. La questione dell'emancipazione degli ebrei permette a Bauer di dare piena visibilit al nesso tra esclusione politica ed esclusione religiosa: gli ebrei sarebbero al tempo stesso contrapposti alla chiesa in quanto nicht-Christen ed esclusi dallo Stato come nicht-Biirger. A Bauer interessa mettere a fuoco questa doppia esclusione: due facce della stessa medaglia. Prima di inoltrarci nella Kritik baueriana forse utile spendere ancora qualche parola sulla genesi della Judenfrage e le sue 11

ripercussioni nei dibattiti dell'epoca. Come ricordavamo, la fortuna dell'opera marxiana ha contribuito non poco a fare ombra sul testo di Bauer; ci non riguarda solo lo scritto che specificamente Marx dedica alla questione ebraica, ma anche La sacra famiglia e l'Ideologia tedesca. Forse bisognerebbe sottolineare, pi di quanto stato finora fatto, che nel 1844 Marx ed Engels non avevano intenzione di confrontarsi con Bauer sul terreno della filosofia, ma su quello della politica; la polemica, essendo per lo pi stata condotta in un lessico ancora filosofico, suon per come un verdetto filosofico definitivo sulla Kritik baueriana. Sia per Bauer che per Marx si trattava di fare i conti con la crisi del radicalismo politico degli anni '40, solo che le risposte del professore di teologia e del suo pi giovane amico si configurarono non solo come divergenti, ma addirittura contrapposte". Per comprendere le intenzioni di Marx bastava leggere e prendere alla lettera quanto scritto nella prefazione del settembre 1844 a La sacra famiglia, dove si dichiara che il nemico pi pericoloso dell'umanismo reale in Germania lo spiritualismo o l'idealismo speculativo che, al posto dell'uomo individuale reale, pone l'autocoscienza o lo spirito. Il linguaggio filosofico cela appena la contrapposizione tra il comunismo di Marx e la filosofia dell'autocoscienza di Bauer. E non a caso nel maggio del 1845 Engels definiva ancora Bauer e Stirner gli unici seri avversari del comunismo". Questo giudizio va per mediato con il fatto che Marx continu ancora negli anni '50 a tenere d'occhio gli scritti di Bauer, ed Engels mostr sempre interesse per i suoi scritti sull'origine del cristianesimo". Ancora al tempo della marxiana Questione ebraica, pensata nel 1843 e apparsa nel febbraio 1844 nei Deutsch-Franzsiche Jahrbiicher, Marx ha parole di apprezzamento per l'opera di Bauer. La letteratura critica ha per spesso glissato su questi riconoscimenti. Oltre agli apprezzamenti di Marx per uno scritto baueriano del 184216, nella stessa Questione ebraica Marx scrive che Bauer ha posto in termini nuovi la questione dell'emancipazione degli ebrei, dopo aver fornito una critica delle precedenti tesi e soluzioni del quesito. (...) spiega l'essenza dello Stato cristiano, tutto ci con arditezza, acutezza, spirito, profondit, con uno stile tanto preciso quanto robusto ed energico17. Proprio la vicinanza di Marx a Bauer nei primi anni Quaranta" e la natura della polemica marxiana verso la Jundenfrage ci permettono di 12

leggere lo scritto marxiano come la risposta politica a uno scritto politico. Marx capisce che se la posizione di Bauer doveva essere superata, ci era possibile solo sul terreno dell'universalismo". Insistere su questo aspetto significa aprirsi alla possibilit di cogliere il senso filosofico e politico dello scritto di Bauer, e quindi il suo significato per il Vormiirz.
2. CRITICA DEL CRISTIANESIMO E DELL'EBRAISMO: UN CONTRIBUTO ALLA CRISI DEL XIX SECOLO

Per affrontare la Questione ebraica di Bruno Bauer necessario tenere almeno presente che egli scrisse la Judenfrage quasi contemporaneamente a Das entdeckte Christentum. In questa opera, censurata e distrutta prima ancora della sua pubblicazione20, Bruno Bauer raccoglie la provocazione che Werteimer lanci agli ebrei sfidandoli a scrivere una risposta all'antisemita Das entdeckte Judentum di Eisenmenger21. Se la Judenfrage fosse apparsa assieme a Entdecktes Christentum, sarebbe risultato pi chiaro il loro intento politico e polemico. Infatti, se si tiene presente Das entdeckte Christentum, la critica di Bauer alla religione cristiana non meno dura di quella che egli rivolge alla religione ebraica. Anzi, probabilmente lo ancora di pi, perch con il cristianesimo le opposizioni religiose sarebbero diventate assolute. Lo rilev Salomon che, pur non avendo avuto modo di leggere Das entdeckte Christentum, osserv che se Bauer avesse ragione, ci non porterebbe alcun beneficio per gli ebrei, ma sarebbe anche peggio per i cristiani22. Vediamo che cosa significa. Secondo Bauer il carattere universale dell'amore cristiano sarebbe determinato dal fatto che esso, a differenza della religione ebraica, non fa alcuna distinzione tra i popoli. Ma Bauer punta subito il dito su una contraddizione: il cristianesimo offre s a tutti i popoli il dono della fede, ma essendo la sua universalit ancora religiosa, anche il suo fervore universale in quanto esclude (ausschliefit) tutto ci che contraddice ed in contrasto con la fede23. Se il cristianesimo viene considerato come il superamento della religione ebraica, Bauer intende questo superamento come la forma cristiana del compimento del principio di esclusione (Ausschliefilichkeit) ebraico: se gli ebrei lasciavano 13

sussistere gli altri popoli, il cristianesimo avrebbe innalzato quel principio di esclusione ad azione e si sarebbe diretto contro ogni differenza rispetto alla comunit cristiana'''. Lo sviluppo, il progresso dall'ebraismo al cristianesimo, si denota insomma come accrescimento dell'intensit delle opposizioni polemiche racchiuse nel principio di esclusione. Il progresso che Bauer delinea dall'ebraismo al cristianesimo non permette di considerare la condizione cristiana come maggiormente emancipata rispetto a quella ebraica; non certo possibile attribuire a Bauer la posizione secondo la quale l'emancipazione degli ebrei dovrebbe passare attraverso il preliminare stadio cristiano, cio il battesimo25. L'universalismo cristiano sarebbe, secondo Bauer, sempre in procinto di ribaltarsi nel suo opposto: esso ha per oggetto non l'uomo, ma il cristiano, ed esclude necessariamente tutto ci che non cristiano. Scrive Bauer: Che nel cristianesimo l'inumanit (Unmenschlichkeit) sia spinta pi in alto che in ogni altra religione, che sia addirittura spinta al suo apice, dipende unicamente e fu possibile solo perch esso aveva afferrato il concetto massimamente illimitato di umanit e, rovesciandolo e deformandolo nella concezione religiosa, rese inumana (unmenschlich) l'essenza umana26. Solo il cristianesimo infatti, assolutizzando il concetto di umanit e sovrapponendolo alla cristianit, ha potuto generare il concetto di inumanit (Unmenschlichkeit)27 . La dialettica di umano e non-umano non per Bauer un corollario accidentale della religione, ma una conseguenza necessaria della coscienza religiosa28; ne segue che le sette, che si combatterono fino a sterminarsi a vicenda, non avrebbero fatto altro che realizzare una determinazione immanente al concetto della religione cristiana. C' un punto in cui Feuerbach e Bauer sono d'accordo. Entrambi, seppur con accenti diversi, vogliono mostrare che gli atti estremi dell'intolleranza religiosa si iscrivono nel concetto di religione. I punti di convergenza non sono da ricercare in una critica del cristianesimo il cui esito sarebbe l'ateismo; sulla politica dell'Essenza del cristianesimo che bisogna puntare lo sguardo. Anche Feuerbach rileva che fu il cristianesimo a produrre la radicalizzazione dell'opposizione polemica amico-nemico: Chi non con Cristo contro di Cristo. Con me o contro di me. La fede conosce soltanto nemici o amici, non imparzialit; presa solo da se stessa. La fede essenzialmente intollerante29. Scrive Bauer, rincarando la dose, che il tormento e lo sterminio (Zedlei-

schung und Vertilgung) cristiani non vanno inventariati tra i tragici errori del passato, dovuti a una cattiva interpretazione dei testi sacri, ma sono invece determinazioni che avrebbero nella religione la loro condizione di possibilit". Il cristianesimo, risolvendo il concetto di uomo nella fede, fa s che ogni partito religioso creda di rappresentare la vera essenza umana, negando con ci stesso l'altro in quanto inumano (unmenschlich)31. La formula cristiana chi non con me, contro di me (Mt. 12, 30) mostra, secondo Bauer, il carattf esclusivo (ausschliefilich) del cristianesimo, il cui amore univeis.1 diventa odio contro gli altri popoli e divide l'umanit in battezzati e non battezzati, uomini e nonuomini". Bruno Bauer non poteva che sottoscrivere il riferimento feuerbachiano a san Bernardo, un cristiano conseguente quando scrive: In morte pagani christianus gloriatur, quia Christus glorificatur33. Bauer, ed questa la differenza con Feuerbach, vuole sottolineare la valenza politica della concettualit cristiana facendone emergere il cuore nel principio di esclusione. Quando Bauer pensava ancora di poter collaborare con Feuerbach, lo esortava a sviluppare conseguentemente la propria critica nella politica. Proponendogli di collaborare alla Rheinische Zeitung, Bauer sottolineava l'urgenza di portare la critica della religione nella politica e invitava Feuerbach a continuare a crasez infcime, aggiungendo per che d'infame immortale se non vie34 ne annientato (crasiert) nella politica e nel diritto statuale . Senza la distruzione dei privilegi civili e politici non possibile nemmeno annientare il pregiudizio religioso", il quale s la base di quello politico, ma nel senso che il privilegio religioso la proiezione celeste di quello terreno, il quale, a sua volta, viene eternizzato in forza di quella proiezione celeste". Il privilegio civile e politico si consolida attraverso il privilegio religioso ed ecclesiastico, che in questo senso costituisce il suo fondamento. questa dialettica del principio di esclusione che Bauer vuole mettere in evidenza. La specificit di Bauer rispetto a Feuerbach andrebbe ricercata nella sua teologia politica, nel suo tentativo, che trova nella Kritik der evangelischen Geschichte der Synoptiker un punto alto e ancora inesplorato, di indagare l'analogia strutturale tra categorie teologiche e politiche. sotto questa luce che Bauer legge le narrazioni evangeliche, opere letterarie funzionali alla creazione della comunit cristiana e forgiate nel fuoco tipico di ogni feno-

meno dell' origine37 . Gli evangelisti, in quanto protofondatori della comunit cristiana, erano alla ricerca di contrasti. Cos quando si afferma amate i vostri nemici (Mt. 5, 44), il senso di questa frase da ricercare, secondo Bauer, nel pragmatismo di Matteo, che intendeva rivolgersi polemicamente contro l'Antico Testamento". La questione della Feindesliebe importante: secondo Bauer la frase non va intesa come espressione dell'amore universale, come l'impossibile superamento del principio di esclusione che invece d forza e tiene in vita la comunit cristiana. Quella frase ha senso solo se inserita nel suo contesto: qui che il metodo storico-formale inaugurato da Bauer d i suoi frutti migliori". Il precetto evangelico amate i vostri nemici ha senso solo nel suo preciso contesto, e cio come completamento di quanto lo precede immediatamente: Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico" (Mt. 5, 43). Il punto che la frase odia il tuo nemico non trova riscontro nell'Antico Testamento; essa un'invenzione funzionale alla costruzione di un parallelismo polemico tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Quella frase il prodotto di una riflessione posteriore, non di Ges, ma del pragmatismo letterario d colui che la chiesa nomin Matteo. Il quale, avendo Luca sotto gli occhi, vi aveva potuto trovare il comandamento dell'amore per i nemici (L. 6, 27): ci che mancava era la costruzione di questo precetto nella contrapposizione all'Antico Testamento. L'amore cristiano si pone come pi universale dell'amore ebraico perch non si limita all'amore per il prossimo, ma comprenderebbe anche il nemico. Bauer mostra per l'artifizio letterario di questa costruzione formale: l'ambre cristiano universale solo in contrapposizione alla religione ebraica, come dimostrerebbe l'invenzione di un inesistente precetto veterotestamentario di odiare il nemico. L'affermazione dell'amore cristiano per i nemici sarebbe dunque un'affermazione polemica, che costruisce il parallelo con la legge mosaica per contrapporvisi. Attraverso l'esigenza cristiana di inventare contrapposizioni polemiche funzionali alla costruzione dell'identit della comunit cristiana, Bauer spiega un luogo comune dell'antigiudaismo4. Riducendo tutta la storia evangelica a narrazioni, opere letterarie frutto del pragmatismo degli evangelisti e funzionali alla fondazione dell'identit e della comunit cristiana, Bauer lavora alla dissoluzione della storicit della vita di Ges e delle narrazio16

ni evangeliche. Per Bauer non si tratta di mostrare se Ges ha potuto fare un determinato miracolo, ma di mostrare che il Ges storico, vale a dire ci che stato detto di lui e ci che noi sappiamo di lui, appartiene al mondo della rappresentazione, e non ha nulla a che fare con un uomo del mondo reale"; il fatto storico cos dissolto nella sua narrazione. Bauer non nega semplicisticamente l'esistenza di Dio, ma mostra il carattere storicamente necessario della rappresentazione religiosa nella forma evangelica dell'autoestraneazione. In questo senso la filosofia dell'autocoscienza annuncia che Dio morto (Gott ist tot)42. Analogamente a quanto scritto da Nietzsche qualche decennio pi tardi La credenza in un ordinamento divino delle cose politiche, in quanto mistero nell'esistenza dello Stato di origine religiosa: se la religione sparir, inevitabilmente lo Stato perder il suo antico velo di Iside e non susciter pi alcuna venerazione" Bauer lascia deflagrare sul terreno della politica la morte di Dio, come fine della trascendenza del potere e sua comprensione nella sfera di una radicale immanenza. La critica di Bauer al cristianesimo e all'ebraismo dunque un capitolo del dispiegamento della crisi sul terreno della politica, come era annunciato nel sottotitolo di Das entdeckte Christentum: un contributo alla crisi del XIX secolo (ein Beitrag zur Krisis des neunzehnten [Jahrhunderts]). Intendendo gli evangelisti come creatori dei miti fondatori della comunit cristiana, e in quanto tali alla ricerca di contrapposizioni polemiche in forza delle quali dare forma alla comunit cristiana, Bauer pu concentrare la propria attenzione sulla trama polemologica della narrazione evangelica. La contrapposizione polemica da cui sorge il cristianesimo si svilupperebbe spazialmente dispiegando la polarit tra i battezzati e coloro che devono esserlo; il principio extra ecclesiam nulla salus non significa solo che al di fuori della chiesa non c' salvezza", ma indica il principio in cui si d la possibilit dell'esistenza giuridica della chiesa: i cristiani possono essere fra coloro che si salvano perch fanno parte della chiesa, di un'istituzione visibile la cui identit data dalla contrapposizione verso i non-cristiani. L'amore cristiano universale nella misura in cui si rivolge non agli uomini in quanto tali, ma all'uomo in quanto credente e in quanto pu diventarlo, o piuttosto deve diventarlo e deve necessariamente diventarlo se non vuole essere dannato". Cos Bauer. L'esclusio17

ne di alcuni necessaria alla costituzione della chiesa, alla sua identit in quanto organizzazione giuridica. un tema che ricorre anche in Schmitt, l dove, in accordo con Peterson, sostiene che la chiesa c' solo perch gli ebrei non hanno accettato, perch non vivono nella fede46. L'esclusione, e quindi l'opposizione polemica, diventa il principio costitutivo dell'esistenza della chiesa visibile. Scrive Bauer che ogni determinatezza deve necessariamente odiare le altre e non pu sussistere senza di esse (fede Bestimmtheit mufi die andere hassen und kann doch ohne diesselbe nicht bestehen)" . Perch la determinatezza di una comunit possa imporsi necessario che un qualcuno venga escluso e ridotto all'alterit contro la quale far valere la propria identit. Bauer intende mostrare il principio di esclusione come l'atto originario a partire dal quale prende forma ogni identit politica. Sarebbe questa la logica che attraversa sia la religione che il politico: la teologia politica di Bruno Bauer.
3. RIFORMULAZIONE DELLA QUESTIONE EBRAICA

Bauer decide di intervenire sulla questione dell'emancipazione degli ebrei, un tema per altro centrale nello scontro tra liberali e sostenitori del vecchio mondo cetuale e corporativo48, sollecitato dagli scritti che Carl H. Hermes pubblic a partire dal luglio del 1842 nella Kalnische Zeitung49. Facendo leva sul concetto di Stato cristiano, di ascendenza stahliana e messo in essere dalla politica conservatrice di Federico Guglielmo IV, Hermes affermava l'impossibilit di concedere la cittadinanza agli ebrei. Negando l'effettualit di uno Stato razionale fondato su principi universali", egli riteneva impossibile che in uno Stato cristiano vi possa essere la piena eguaglianza civile (vollkommene biirgerliche Gleichstellung) tra cristiani ed ebrei", almeno fino a quando gli ebrei continueranno a contrapporsi in modo ostile (feindlich) al cristianesimo. Facendo propria la struttura dell'argomentazione di Hermes e Frnke152, Bauer ribadisce l'impossibilit dell'eguaglianza tra ebrei e cristiani in uno Stato che ha il cristianesimo come proprio fondamento. Bauer sembra condividere la posizione degli avversari dell'emancipazione, ma solo in apparenza, perch egli intende superare anche questa posizione in quanto unilaterale; gli avversari dell'emancipazione questa la critica di

Bauer presupponevano lo Stato cristiano come l'unico vero Stato, senza sottoporlo alla stessa critica con la quale consideravano l'ebraismo". Bauer intende far valere contro i liberali l'impossibilit di emancipare gli ebrei nello Stato cristiano, e contro gli avversari dell'emancipazione l'unilateralit della loro critica. Il passo successivo consister per Bauer nel togliere l'ultimo presupposto, e quindi sottoporre al vaglio della critica anche lo Stato cristiano, che sia i liberali sia i conservatori lascerebbero invece sussistere. Bauer intende sottolineare che i sedicenti difensori della causa ebraica trattano la faccenda degli ebrei come una cosa a loro estranea, l dove invece la questione ebraica riguarda anche l'emancipazione dei cristiani. Non per il principio secondo il quale l'unione fa la forza e per il quale ebrei e cristiani, se vogliono essere emancipati, dovrebbero lottare assieme, ma perch la loro causa una e la stessa. Perch nessuno, n l'ebreo n il cristiano, libero nello Stato cristiano. Per Bauer non si tratta di edulcorare le catene che opprimono l'ebreo attraverso il passaggio al cristianesimo. Si tratta invece di mostrare la genericit dell'assoggettamento e la necessit di ripensare idea e pratica della libert. Bauer critica quelle concezioni che, non vedendo il nesso tra emancipazione ebraica ed emancipazione universale, risultano incapaci di porsi all'altezza dei compiti posti dall'epoca moderna. L'emancipazione degli ebrei appare dunque come un momento di una pi universale emancipazione, perch la sua realizzazione tocca da vicino la natura stessa dello Stato. Con il concetto di Stato cristiano Bauer intende esprimere la struttura logica che fa del principio di esclusione il momento costitutivo dello Stato. questo il nocciolo teologico che Bauer evidenzia al cuore del politico. Ci che i liberali erano incapaci d vedere era la natura esclusiva dello Stato, cosicch ogni tentativo di chiedere o esigere dallo Stato la cittadinanza universale risultava secondo Bauer velleitario, perch nella logica del politico che un qualcuno venga escluso. L'identit di una comunit politica pu esistere solo in forza di un'esclusione. Per Bauer la soluzione della questione ebraica, ovvero la questione dell'emancipazione, addirittura impossibile se l'opposizione viene compresa in modo puramente religioso, perch la religione il principio stesso dell'esclusione, e due religioni, fintanto che vengono riconosciute come religioni e come ci

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che supremo e rivelato, non possono mai arrivare alla pace54. Non quindi esatto sostenere che per Bauer la questione ebraica sia una mera questione religiosa. Come tale, infatti, la questione sarebbe impossibile. Mentre la Kritik lavora alla sua soluzione. Solo in prima approssimazione Bauer disloca l'intera questione sul piano di uno Stato compiutamente laico, nel quale la religione pu sussistere come mera faccenda privata: Ogni privilegio religioso in genere, e quindi anche il monopolio di una chiesa privilegiata, dovrebbe essere abolito, e se un singolo o i pi, o anche la stragrande maggioranza credesse ancora di dover adempiere a doveri religiosi, allora un tale adempimento dovrebbe essere concesso loro come una mera faccenda privata (als eine reine Privatsache)". Questa posizione, una concessione alle posizioni liberali dell'epoca, dir Bauer poco pi tardi, per immediatamente mostrata nei suoi limiti. Nei primi anni Quaranta Bauer dialogava con i liberali per radicalizzarli, per spingerli al di l di un orizzonte emancipativo ancora incernierato sul rapporto individuo-Stato. C' una duplice considerazione da fare. Da un lato bisogna tenere presente che la riflessione di Bauer soggetta a una potente spinta acceleratrice che lo portava a rivedere continuamente quanto scritto anche solo pochi mesi prima. Cos la stessa Judenfrage andrebbe immersa in un flusso di pensiero che, ritornando incessantemente sugli stessi problemi, va compreso in un arco temporale che tenga almeno in considerazione gli scritti pubblicati nel '44 sulla Allgemeine Literatur-Zeitung, scritti che ben mostrano come ormai sorpassate le posizioni di un paio di anni prima. Questa accelerazione nella riflessione, questo farsi autocritica della critica, per Bauer un modo, anzi il solo modo possibile, per essere all'altezza della crisi. questo l'unico elemento di continuit della sua riflessione. Ma c' ancora una complicazione relativa agli scritti degli anni Quaranta: si tratta della strategia politica di Bauer". Fintanto che Bauer dialoga con i liberali, collabora con Ruge e scrive nella Rheinische Zeitung, adotta la loro terminologia, pur non aderendovi totalmente'7. tenendo presente questo duplice piano che va letta la Judenfrage e l'autocritica del '44: la contrapposizione tra Stato cristiano e libero e vero Stato sar registrata tra gli errori dell'anno 184258. Bauer la considerava un cedimento al liberalismo dell'epoca: nonostante che 20

essa [la critica] sottoponesse il liberalismo stesso a una critica dissolvente, la si potuta ritenere una specie particolare di esso, forse il suo compimento estremo". Cos il fratello di Bruno, Edgar Bauer, rappresent la posizione della critica nel 1842: essa misurava l'opposizione mediante l'opposizione, confutava il popolo mediante il popolo libero, lo Stato mediante lo Stato libero, confutava la libert esigendo che il concetto di questa venisse universalizzato e venisse esteso sotto tutti i lati a tutte le istituzioni, a tutti gli individui. Confutava il concetto di diritto mediante l'esigenza dell'eguaglianza del diritto60. Invischiata in tutte queste contraddizioni la Judenfrage risulta essere un testo politico addirittura nel senso dell'intervento politico. Circostanza questa che, anche per il confronto con Marx, risulta fondamentale per l'intelligibilit di entrambi gli scritti. E fu questa sua particolare politicit a provocare la reazione sia dei liberali sia dei conservatori'''. In nome del "principio cristiano-germanico", Marcard afferm che scrittori come Bauer sono, consapevolmente o meno, pagati o meno, i veri aratori dell'aurea seminagione dell'ebraismo62. Dalla parte opposta gli si rimproverava da un lato di aver considerato l'ebraismo come un elemento estraneo allo sviluppo della storia63, e dall'altro di aver frainteso, se non addirittura falsificato, la religione, sottolineando il carattere esclusivo del cristianesimo e dell'ebraismo64. Ma tranne rarissime eccezioni, lo scritto di Bauer rimase incompreso nel suo significato politico. Mendel Hess, che fu rabbino a Weimer, pubblic nello Israelit des neunzehnten Jahrhunderts, di cui era redattore, parte della Judenfrage di Bauer, a cui non risparmi severe critiche. Particolarmente interessante un lungo colloquio, pubblicato nella rivista di Hess, tra un suo corrispondente e Bauer:
Trovai Bauer nella sua camera, che faceva da soggiorno, stanza per le visite e studio; era avvolto in una tale nuvola di fumo che, ovunque volgessi lo sguardo, non vedevo altro che fumo; sembrava ci fosse una locomotiva. Il critico mi rimase a lungo nascosto e la sua presenza si manifest solo attraverso il richiamo: "venga avanti". Alla fine fu aperta una finestra, il fumo dilegu, e incominciai a vedere l'uomo che con la sua penna aveva distrutto l'enorme edificio costruito in milleottocento anni. Un uomo magro, l'aspetto di uno studioso, di statura media e con un'ampia fronte, uno sguardo penetrante e i capelli biondi. Complessivamente non appare molto

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invitante, ma parlando guadagna in cortesia (...). Se l' presa particolarmente per il fatto che lo accusate [il corrispondente si rivolge a Hess. N.d.A.] di avere un pregiudizio contro gli ebrei. Disse che nella sua brossura sull'assemblea degli stati del Baden sosteneva gli ebrei, perch la verit e la natura della cosa lo portavano a far ci (...). Egli sostiene di essere un critico, e di non aver nulla a che fare con i pregiudizi (...). Prosegu dicendo che, qui come altrove, si sarebbe espresso sulla religione cristiana non meno criticamente che su quella ebraica, offendendo il vetusto sentimento cristiano-teologico. (...) Se guardiamo la storia delle religioni e il loro concetto, troviamo che ogni religione una casta che esclude dai suoi privilegi (von ihren Privilegien ausschliefit) la casta che le sta di fronte, alla quale nega e deve necessariamente negare i suoi diritti".

quest'ultimo elemento ci che maggiormente interessa a Bauer, perch attorno al concetto di esclusione (Ausschl4ung) che ruota il politico e si pone il problema di una reale emancipazione. Lo stesso Bauer sembra convinto che questa sia la sua acquisizione pi importante. Ai suoi critici egli obietta infatti che, per criticarlo, avrebbero dovuto confutare la sua dimostrazione che lo Stato cristiano, dato che il suo principio vitale una religione determinata, non pu concedere ai seguaci di un'altra religione determinata (...) la completa eguaglianza67. Per Bauer l'esclusione praticata in alcuni Stati cristiani non frutto di un fraintendimento del cristianesimo, ma connaturata alla sua essenza. Mostrando le condizioni teologiche di possibilit dell'esclusione politica, Bauer vuole riformulare la questione dell'emancipazione sopprimendo quella logica esclusiva.
4. EMANCIPAZIONE E LIBERAZIONE

Nel contesto del Vormdrz la questione dell'emancipazione degli ebrei si intrecciava con quella della loro cittadinanza. Bauer intende per riformulare il problema chiedendosi se possibile che nello Stato cristiano si diano libert e diritti universali68. alla storia che Bauer guarda. Alla storia fatta di lotte e conflitti. Con questo spirito studia e interpreta gli avvenimenti della rivoluzione di luglio, che, concedendo i diritti civili e politici agli ebrei francesi, sembrerebbe averli a pieno titolo elevati al rango di liberi cittadini. Ma questa libert, obietta Bauer, non anco22

ra reale; l'uguaglianza davanti alla legge infatti negata nella vita quotidiana, dove l'ebreo deve smettere di essere ebreo se, ad esempio, nel giorno del sabato deve prendere parte a una riunione della camera dei deputati. In questi riferimenti certo possibile dare ragione di quelle critiche marxiane secondo le quali Bauer prenderebbe in considerazione non l'ebreo di tutti i giorni, ma solamente l'ebreo del shabbat69. Ma per Bauer si tratta di mostrare come la presenza di una sfera religiosa istituzionalizzata infici la pretesa laicit dello Stato; come il riconoscimento statale di alcuni doveri religiosi, quali ad esempio il rispetto del giorno di festa, produca un torto verso i membri di un'altra religione. Secondo Marx, questa appare essere prima facie la critica, Bauer penserebbe l'emancipazione solo nella sfera politica, lasciando cos sussistere la religione come una faccenda privata relativa alla societ civile. Marx riconosce certo l'importanza dell'emancipazione politica, che considera un grande progresso, ma sottolinea che l'emancipazione non pu dirsi compiuta senza l'emancipazione reale e pratica". Nel suo scritto, Marx accusa Bauer di trattare lo Stato teologicamente e la questione dell'emancipazione ancora in termini religiosi: secondo Marx l'emancipazione politica lascerebbe sussistere le diverse religioni come diverse concezioni del mondo, riducendole alla sfera privata. In questo modo l'emancipazione politica non emanciperebbe l'uomo dalla religione, vale a dire dalla scissione, che propria dell'individualit moderna, tra bourgeois e citoyen: I membri dello Stato politico sono religiosi a causa del dualismo tra vita individuale e vita di genere, tra vita della societ civile e vita politica". Il dualismo religioso tra mondo terreno e ultraterreno si duplica, trovando la propria base materiale, nella scissione tra uomo pubblico e uomo privato, una scissione nella quale, alla pari di quanto avviene nella religione, la vita dell'individuo divisa in una vita celeste e una vita terrena: .questa vita dimidiata, questa scissione dell'individuo moderno in bourgeois e citoyen, in membro della societ civile e membro immaginario di una sovranit fantastica, a costituire la reale religiosit dell'uomo". Togliere la scissione significa dunque togliere quella universalit irreale con la quale il singolo, spogliato della sua reale vita individuale, viene riempito ed innalzato alle sfere celesti della politica. Ma quella universalit irreale pu essere 23

tolta solo attraverso una reale universalit: in ci, e in nient'altro, consiste l'emancipazione reale evocata da Marx. La posta in gioco dunque l'universalismo come questione che, in Marx come in Bauer, si pone a partire dalla fine della compagine cetuale73. La fine del vecchio cemento sociale, costituito da una pluralit di appartenenze politiche a ceti e corporazioni, pone con forza la questione di una nuova forma di legame sociale, di ci che pu tenere assieme individui atomistici ostilmente contrapposti gli uni agli altri. Mostrata l'irrealt della comunit politica statale, che riproduce incessantemente il dualismo tra bourgeois e citoyen e nella quale l'uomo conduce la propria vita collettiva solo nella forma di una parvenza, Marx nota come l'unico legame che tiene assieme gli individui sia la necessit naturale, il bisogno e l'interesse privato, la conservazione della loro propriet e della loro persona egoistica74. Ma proprio questo legame, in quanto contrapposto alla vita politica dell'individuo, in tanto mostra tutta l'irrealt di quella universalit pensata come mondo separato della politica, del citoyen contrapposto all'uomo reale. E qui, nel modo di intendere l'universale, che si delinea la direzione nella quale Marx intende superare Bauer. Ci che invece discutibile se Marx, con gli strumenti teorico-politici in suo possesso nei primi anni '40, fosse realmente in grado di compiere questo oltrepassamento. Nella sua replica alla Judenfrage di Bauer, Marx cerca nel lessico feuerbachiano una possibile alternativa alla comunit irreale dello Stato e ai rapporti tra le monadi egoistiche e conflittuali della societ civile. Il problema riguarda la possibilit della vita dell'individuo all'interno di rapporti che non siano a lui ostili o fantastici, ma che siano la sua stessa esistenza di genere". II Gattungswesen il termine provvisoriamente usato e presto lasciato cadere da Marx per indicare la conciliazione dell'individuo con il genere umano, cio l'immersione dell'individuo in rapporti che non gli stanno di fronte come una potenza ostile76, ma che egli riconosce come un proprio prodotto. Questo progetto abbozzato nella seconda parte di Zur Jundenfrage, spesso trascurata a beneficio della prima, ma fondamentale ai fini dell'intelligibilit della critica a Bauer e per comprendere il profilo delle nuove alleanze marxiane". Poca attenzione stata fatta su una particolarit della seconda parte di Zur Jundenfrage, la quale, invece di prendere in considerazione l'altro scritto di Bauer La capacit di diventare liberi degli ebrei e dei cristiani di 24

oggi , come sarebbe lecito aspettarsi, sposta totalmente la linea di analisi. qui che l'ipotesi baueriana di un repubblicanesimo radicale viene avvertita come insufficiente, perch lascerebbe sussistere il dominio di un potere estraneo ed ostile, rispetto al quale l'individuo sarebbe un mero trastullo: il denaro. Questa estraneit per Marx la radice ebraica del mondo moderno, da intendersi per solo e unicamente nel senso che i rapporti estraniati della religione trovano qui il loro presupposto reale: nel reale dominio del denaro come potenza estranea agli individui. La seconda parte di Zur Judenfrage indica la vera linea di ricerca di Marx. Nel '43 Marx non ha ancora elaborato una via autonoma capace di mettere a fuoco le leggi che regolano quel potere estraneo che incombe sugli individui, capisce per che la prospettiva di Bauer lambisce appena quei problemi che, nel momento stesso in cui vengono posti, marcano una nuova, divergente linea di pensare l'universale. ormai chiaro. La polemica tra Marx e Bauer non riguarda il fatto che Bauer lascerebbe sussistere la religione come mera faccenda privata, mentre Marx lavorerebbe alla sua soppressione nei rapporti reali; la questione riguarda la forma religiosa di un dualismo che si configura da un lato nell'universalismo irreale dello Stato come potenza contrapposta all'individuo, dall'altro come dominio della potenza del denaro, e cio di una forma di legame sociale inconsapevole e contrapposto ai singoli. In entrambi i casi la posta in gioco un pensiero e una pratica dell'universalismo capaci di andare al di l di un orizzonte meramente giuridico, fosse anche quello dei diritti umani. Per Bauer si tratta di pensare l'esclusione che necessariamente si produce nella forma Stato, non solo nello Stato cristiano come gli rimprovera Marx, ma in ogni forma statale in quanto determinatezza e identit politica. Per questa ragione, scriver Bauer, al centro del proprio interesse la Staatsform, e non la Gesellschaft, che non esclude nessuno (die niemanden ausscheP)". Ci non significa separare le due sfere fino a fare della societ il regno della libert realizzata. Al contrario, significa mostrare il modo in cui le ingiustizie di una sfera retroagiscono sull'altra. al riguardo paradigmatico il modo in cui Bauer mette in rilievo la contraddizione fra l'eguaglianza dei culti di fronte alla legge espressa nella Charte del 1830, e la scelta della domenica come giorno di riposo sancito dalla religione della maggioran25

za dei francesi. Secondo Bauer sancire statualmente il giorno di festa, anche se questo corrisponde alla religione della maggioranza, costituisce un privilegio che va a limitare la libert di chi non si riconosce in quella religione. Questa illibert retroagisce sulla legge obbligandola a sanzionare la distinzione dei cittadini, in s liberi, in oppressi e oppressori79. La scelta della domenica come giorno festivo discriminerebbe il sabato ebraico ed obbligherebbe gli ebrei a festeggiare un giorno per loro privo di significato. Il problema non risolvibile dichiarando anche il sabato giorno di festa accanto alla domenica, perch ogni politica del juste-mileu porterebbe necessariamente a un torto verso le minoranzen e non ha qui importanza la loro determinazione numerica. Anche se si trattasse di un solo musulmano, sarebbe comunque un torto. la struttura contraddittoria di un modo di intendere i diritti che Bauer vuole mettere in evidenza: non possibile distinguere tra vita (Leben) e legge (Gesetz), perch le illibert che si danno in una sfera retroagiscono necessariamente nell'altra. L'uomo eguale in quanto cittadino, libero in quanto la sua libert gli riconosciuta dalla legge, ma nella vita reale la proclamata libert di ogni cittadino viene negata, mostrando cos un meccanismo esclusivo che opera anche al cuore del presunto universalismo della legge. Commentando i dibattiti della camera francese del 1840 in materia religiosa, Bauer riporta la posizione di Luneau, il quale osserva che togliere dalla legge il riferimento alla domenica avrebbe significato dichiarare l'inesistenza della religione in Francia. Bauer glossa l'opinione di Luneau dicendo: non c' pi religione se non c' pi nessuna religione privilegiata. Si tolga alla religione la sua forza di esclusione (ausschlieknde Kraft) ed essa non esiste pi81. Dai dibatti francesi intorno alla scelta del giorno festivo, emerge che la religione non una mera faccenda privata. Leben e Gesetz costituiscono le polarit del ragionamento di Bauer, i pilastri che gli permetto di mostrare il limite della situazione. La proclamazione dell'uguaglianza davanti alla legge non tale se viene smentita nella vita, dove l'ebreo costretto a festeggiare un giorno per lui privo di significato. Le disuguaglianze e il torto che si danno nel Leben, e che si danno in forza di legge, inficiano il preteso universalismo della legge. Non esiste una politica compromissoria, nessun juste milieu, in grado di risolvere la questione. Un intero modo di intendere 26

l'universalismo in termini di Stato, diritto e legge appare ora come limitato. Per Bauer la questione ebraica non si risolve in una qualche forma di coesistenza tra sfere che mantengono la loro particolarit82 , una sorta di overlapping consensus tra le diverse concezioni del bene come base per la realizzazione di una convivenza pacifica entro coordinate "multiculturali"83. Siamo ancora lontani dalla soluzione del problema, ma inizia a configurasi la necessit di pensare diversamente i diritti: non come ci che garantito dallo Stato a partire dalla definizione di una soggettivit giuridica uguale perch astratta, ma come spazio di una politica il cui comune l' incontro di soggettivit concrete nelle loro, pratiche di liberazione e per i diritti. Per Bauer i diritti che lo Stato pu concedere all'ebreo in quanto ebreo sono una sorta di privilegio, qualche cosa di eccezionale che, cos come viene concesso, pu anche essere revocato. La stessa vita dell'ebreo nello Stato si configura come una momentanea eccezione rispetto all'essenza e alla regola84, perch il perseguimento della propria legge lo pone in contraddizione con i doveri verso lo Stato. Da una parte, quindi, non si possono dare diritti particolari, perch questi implicano esclusione e torto, dall'altra non possibile l'emancipazione in nome di un interesse particolare o dell'attaccamento a una determinazione positiva. Ma, ancora pi radicalmente, non possibile l'emancipazione in termini di diritti concessi dallo Stato: l'emancipazione non qualcosa che pu essere data, perch ci porterebbe inevitabilmente ad un rapporto di dipendenza verso l'autore di quella liberazione. Si pu essere solo soggetti della propria liberazione, e n quanto tali, pienamente autonomi. Scrive Bauer che <d'uguaglianza e la libert che vengono solo concesse e non conquistate, equivalgono all'ineguaglianza e alla illibert stessa perch lasciano sussistere il privilegio e la schiavit, che non sono soppressi nel lavoro e nella lotta reale (durch wirklichen Kampj)85. In questo modo Bauer oltrepassa un modo meramente giuridico e statale di pensare l'emancipazione, per dar forma a un nuovo modo di intendere l'universalismo politico. Non orizzonte giuridico, ma condizione di accesso al regno della politica. Non partecipazione allo Stato esistente, ma creazione di una nuova forma politica che viene incontro al principio della libert universale86. Non c' per Bauer alcun soggetto predeterminato della rivoluzione: nessuno pu portare la libert agli altri. L'autoco27

scienza, scrive Bauer, lascer ai non liberi la libert di non essere liberi (den Unfreien die Freiheit lassen, unfrei zu sein)87. il singolo a doversi fare soggetto della propria liberazione, innanzitutto lottando contro se stesso, contro il proprio interesse particolare e il legame a una tradizione che si considera valida unicamente perch inveterata. Se l'universale condizione di accesso alla politica, non pu essere pensato nella dimensione di un'anodina neutralit, ma va invece pensato in termini polemici, come lotta, anche e prima di tutto, come lotta contro le tradizioni storiche88 e contro la positivit dell'appartenenza a una qualche comunit. La strada indicata da Bauer tutt'altro che semplice: Pu essere che essa sia realmente pi dura: ma la mia unica preoccupazione che essa sia vera; l'unica questione se un male pu essere realmente estirpato senza andare alle sue radici, e chi vuole lamentarsi, accusi solo la libert, poich essa esige non solo dagli altri popoli, ma anche dagli ebrei, il sacrificio di tradizioni invecchiate, e non che ci si consacri ad esse89. L'avevamo gi visto: per Bauer la libert non pu essere n supplicata n donata, ma pu solo essere conquistata90.
5. DIALETTICA DEI DIRITTI UMANI

Da quanto finora detto, dovrebbe apparire chiaro che Bauer non intende negare la libert agli ebrei, ma, mostrando i limiti di un modo di intendere la libert all'interno della logica individuo-Stato, cercare una diversa declinazione di quel concetto. N gli ebrei n alcun singolo individuo viene escluso dal regno della libert, e questo non in forza di una poco plausibile politica liberale di Bauer, bens a partire dalle categorie politiche all'interno delle quali Bauer articola il proprio discorso. La critica delle posizioni liberali favorevoli all'emancipazione porta progressivamente Bauer a formulare una critica dello Stato tout court91. Critica i difensori dell'emancipazione perch incapaci di pensare l'emancipazione in modo conseguente; per essi l'emancipazione sarebbe la partecipazione a un privilegio che, secondo Bauer, non solo non ha nulla a che fare con la libert, ma anzi riproduce quell'illibert che essi verrebbero combattere. La critica alle posizioni dei liberali non investe solo la loro inconsequenzialit sul piano della politica, diventa critica di una posizione 28

che invece di lottare per la libert, si trova schierata dalla parte dei suoi nemici. lungo l'asse di questa riflessione che si evidenzia l'odio di Bauer verso il liberalismo politico, che gi Barnikol92 mise in rilievo. La questione dell'emancipazione degli ebrei non n la questione dell'estensione della cittadinanza n quella di una particolare concessione di diritti agli ebrei. Entrambe queste concezioni sono legate a un modo di considerare i diritti a partire dallo Stato; ma il potere che concede i dritti pu sempre revocare quella concessione. Come, ricorda Bauer, storicamente avvenuto durante la Restaurazione. Secondo Bauer non si pu nemmeno parlare di cittadinanza in uno Stato che conosce solo una generale sudditanza. Lo Stato moderno, nel quale il popolo assurto al rango di sovrano, produce anche la pi radicale insignificanza politica dei singoli, che tendono a sparire in una massa anonima. La riflessione di Bauer trova nella logica diritti umani un ganglio di accumulo delle aporie costitutive del diritto moderno e del modo liberale di pensare il rapporto tra individuo e Stato. Se per Bauer i diritti umani non vanno pensati come concessioni da parte dello Stato, ancor meno devono essere considerati come diritti naturali ed eterni che lo Stato dovrebbe tutelare e garantire. Bauer rileva qui una profonda contraddittoriet in grado di lacerare e depotenziare la carica rivoluzionaria dei diritti umani. Se infatti, scrive Bauer nella Judenfrage, l'idea dei Menschenrechte stata scoperta dal mondo cristiano solo nel secolo scorso", non pensabile considerarli indipendenti dalla storia, vale a dire come droits naturales. In stato d'accusa sono le concezioni che considerano i diritti umani qualcosa di innato o di radicato nella natura, e quindi la stessa dichiarazione del 1789 che trasforma questi diritti in droits naturales et imprescriptibles de l'homme. Questa naturalizzazione ed eternizzazione dei diritti umani si rivela essere un'incauta strategia per disinnescare la loro origine, cio la pratica politica nella quale sono stati forgiati e nella quale ha preso forma una soggettivit politica. L'idea dei diritti umani non sovrastorica, non innata nell'uomo, ma viene piuttosto conquistata nella lotta (im Kampfe) contro le tradizioni storiche". I diritti umani non si inseriscono in alcun modo nel continuum naturale della storia, ma lo spezzano, sono il risultato di una lotta e di una frattura nei confronti di leggi e consuetudini consolidate. 29

Seguendo la strada intrapresa nella critica teologica, e sviluppata nella propria filosofia dell'autocoscienza95, Bruno Bauer intende mostrare che nessuna creazione dello spirito pu avere valore assoluto e durata eterna. Bauer segna una cesura netta tra la sfera del diritto e la natura; ci significa che il concetto di diritto, pensato e praticato nella crisi del sistema cetuale, va inteso come la negazione dei privilegi legati alla natura e alla nascita. Ogni richiamo alla natura, per quanto riguarda i diritti umani, non pu che suonare equivoco e fuorviante. Separare l'uomo dalla natura, farne un prodotto storico, significa per Bauer fare dell'uomo il prodotto delle sue proprie lotte, della sua emancipazione e delle battaglie contro la tradizione: l'uomo un prodotto della storia, non della natura, il prodotto di se stesso e della sua propria azione, e necessitava delle moderne rivoluzioni, attraverso le quali vengono fatti valere i diritti umani (Menschenrechte) contro gli istinti e le determinazioni naturali che governavano e dirigevano gli uomini nella vita cetuale (in dem stiindischen Leben), delle stesse rivoluzioni per mezzo delle quali giunge finalmente a se stesso e diviene uomo96. L'uomo, il preteso titolare dei droits de l'homme, esso stesso un prodotto storico, il risultato di una cesura dalla natura. I diritti umani, sorti dalla lotta contro ogni privilegio della nascita, restano prigionieri del principio da loro combattuto: la libert appena conquistata diventa, assieme alla propriet, alla sicurezza e alla resistenza all'oppressione, uno dei droits naturels et imprescriptibles de l'homme. Vengono cos isolati dalle lotte nelle quali solamente hanno realt, per essere, alla pari dei privilegi, radicati nella natura. Per Bauer l'uomo non nasce n libero n uguale, ma lo diventa attraverso la lotta contro privilegi e le tradizioni; solo nelle lotte in cui viene affermata la libert e l'eguaglianza si produce il moderno concetto d uomo. Sono queste le coordinate entro le quali Bauer costruisce la propria nozione di universalismo. Rimarcando una concezione polemologica della storia e dell'universalit che gli peculiare, Bauer fa convergere nella nozione dei diritti umani le proprie idee di storicizzazione e denaturalizzazione: I diritti dell'uomo scrive ancora non sono quindi un dono della natura (ein Geschenk der Natur), non sono portati in dote dalla storia passata, ma sono il premio della battaglia (der Preis des Kampfes) contro l'accidentalit della nascita e i privilegi che la storia ha finora lasciato in eredit di 30

generazione in generazione". Ora, per quanto riguarda il confronto tra Marx e Bauer, va detto che la questione al centro della Judenfrage non se l'ebreo possa essere emancipato politicamente o possa ricevere i diritti universali dell'uomo", perch secondo Bauer i diritti non sono n concessi n ottenuti per grazia, ma possono solo essere conquistati: sono solo il premio di una battaglia. Troppo spesso si evinta la posizione di Bruno Bauer unicamente da ci che Marx ha scritto polemicamente contro di lui, fraintendendo cos non solo la posizione di Bauer, ma anche quella di Marx. Quanti marxisti, o presunti tali, si sono presi la briga di andare a dissotterrare quel testo in gotico del 1843, da allora mai pi ristampato, e al quale lo scritto di Karl Marx intendeva rispondere? Quando Marx, nella sua replica, distingue i diritti dell'homme da quelli del citoyen, bisognerebbe interrogarsi sul senso di questa distinzione99. Per Marx essa riproduce quella tra il membro della societ civile e il membro dello Stato politico: nella sequenza delle scissioni uomo e cittadino, societ civile e Stato Marx mostra la totalit sociale come intimamente lacerata, segnata da cesure e tensioni che pongono in forma di problema la possibilit stessa di una sintesi. Attraverso la critica a Bauer e attraverso un ripensamento dell'universalismo, Marx cerca di delineare un modo altro di superare la scissione dell'individuo moderno". Ma Bauer che, nell'immediato, fornisce i pezzi d artiglieria pi forti per una critica della Dichiarazione e dei limiti della concezione dei dritti umani. Vediamo cosa significa. L'articolo dieci della Dichiarazione francese dell'89 recita: Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purch la loro manifestazione non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla legge"1 Non solo la libert di religione e di opinione trovano un limite nella legge, che ne determina sovranamente la sfera, ma quelle stesse libert esistono solo in forza della legge. Non della libert dell'uomo, ma di quella del cittadino che parla la Dichiarazione, sottendendo cos la completa sussunzione del concetto di uomo nel concetto di cittadino; l'uomo, appena liberato dai vincoli cetuali, viene ripiegato nella condizione di cittadino (Staatsbiirger), la cui libert determinata dalla legge. Nell'espressione Dclaration des droits de l'homme et du citoyen i due termini sembrano cos definire non due realt 31

distinte, ma un'endiadi nella quale il primo termine gi da sempre contenuto nel secondo. Il concetto di uomo radicalmente sussunto in quello d cittadino: si pu essere titolari di diritti umani solo attraverso la garanzia di un potere pubblico che li faccia rispettare. Si pu quindi essere titolari di diritti umani solo in quanto si cittadini di uno Stato: in questo senso l'homme della Dclaration pienamente assorbito nel citoyen. Seguendo questa trama argomentativa emerge che solo l'appartenenza alla comunit politica, a uno Stato, definisce l'essenza dell'uomo e i suoi diritti". La logica dei diritti universali sembra quindi essere attraversata da una contraddizione di fondo: i diritti universali avrebbero vigore unicamente per il cittadino di uno Stato, presupponendo cos implicitamente l'esclusione di chi non cittadino, e cio proprio di chi avrebbe pi bisogno di quei diritti universali". Ma c' un problema ulteriore: se la validit dei diritti umani viene garantita ancorandoli alla cittadinanza, la natura esclusiva di quest'ultima spezza i diritti umani in una vocazione universalistica, che sopravvive nella morale, e in una realt privilegiata, legata al reale potere in grado di garantirli. Questa particolare dialettica dei diritti umani, sulla quale si fonda anche la loro indeterminatezza, li trasforma in qualcosa di subordinato a reali rapporti di forza. Per mettere in evidenza limiti e aporie dei diritti umani, Bauer cercher di tracciare la loro genealogia nel contesto della Rivoluzione francese. Da una parte, come gi accennato, Bauer mostra il loro carattere storico, il loro essere risultato di una concreta battaglia storica, cosicch la pretesa eternizzazione dei diritti umani si presenterebbe come un loro presupposto teologico da disinnescare. Dall'altro lato, intraprendendo contemporaneamente un esame critico della Rivoluzione francese", cerca di delineare le conseguenze dell'eguaglianza sorta dalla distruzione dei privilegi operata dalla Rivoluzione. In forza dei diritti umani la Rivoluzione produrrebbe una radicalizzazione del concetto di guerra che, da guerra di una nazione contro altre nazioni, di un re contro altri re diventerebbe guerra di tutti i nemici della costituzione francese contro la Rivoluzione, e questi nemici sarebbero sia interni sia esterni'5. La Francia rivoluzionaria si autoproclama l'unica nazione libera e, nella difesa dei diritti umani e del principio della libert, si sente autorizzata a dichiarare guerra a tutti i nemici dell'umanit. 32

L'inimicizia diventa assoluta: non ci devono pi essere re in Europa; un singolo re sarebbe sufficiente a mettere in pericolo la libert universale16. questo il meccanismo innescato dall'assolutizzazione e ipostatizzazione di concetti universali in una nazione. questo l'esito della particolarizzazione di un universale: i francesi volevano rovesciare le nazionalit privilegiate, soprattutto i popoli, per togliere loro la specificit popolare nel fervore dei diritti umani credevano di essere legittimati a far ci e vinsero come nazione, vollero valere come nazione e dominare come la grande nazione, come il popolo unico ed esclusivo". La lotta intrapresa in nome dei diritti universali porta prima ad un superamento della distinzione tra nemico interno e nemico esterno, poi ad una svalutazione delle altre nazioni europee e all'affermazione della nazione francese come la sola meritevole di avere una storia". Ecco le forme del dramma che Bauer vede dispiegarsi dall'innesto dei diritti umani sul concetto di guerra: quando il concetto dei diritti universali dell'uomo fu messo in azione, immediatamente ai confini della Repubblica vennero completate tutte le forme del dramma". Ecco l'assolutizzazione dell'inimicizia: da una parte ogni principe, assieme a chiunque goda di immunit e privilegi, diventa un nemico dei rappresentanti della libert universale; dall'altro lato chi attenta ai diritti universali dell'uomo non pi un semplice nemico, ma diviene un criminale da annientare. Come proclamer nel 1794 Barre davanti alla Convenzione: L'humanit consiste exterminer ses ennemis". Mostrando il nucleo teologico della Dichiarazione Bauer mostra impietosamente tutte le conseguenze di quella teologia non disinnescata. Cos pure, per quanto riguarda i rapporti interni dello Stato, il soggetto della Dichiarazione appare ormai essere solo il cittadino, colui che eguale in quanto egualmente soggetto alla legge. La Rivoluzione ha perci s distrutto le antiche differenze cetuali e gli antichi privilegi, ma lo ha fatto assoggettando l'individuo allo Stato, che ha dissolto ogni differenza particolare in un'unica differenza universale: quella tra Volk e Regierungill L'eguaglianza quindi solo eguaglianza davanti allo Stato, rapporto universale dei sudditi sotto la totalit dello Stato, che domina tutti allo stesso modo"2 . La Rivoluzione ha quindi liberato l'uomo, ma questa libert, la libert di cui parla la Dichiarazione, solo la libert sancita dalla leggera: le illibert e le ine33

guaglianze sociali permangono come pendant necessario dell'eguaglianza politica114. Negli scritti del Vormiirz Bauer delinea il campo dei problemi che ai suoi occhi si dischiude a partire dalla Rivoluzione francese, e dalle rivoluzioni della prima met dell'Ottocento. Il principio di esclusione, studiato da Bauer nella critica evangelica e poi nella forma politica nella teologia politica dello Stato moderno lo porter ad affermare che il pregiudizio politico e religioso sono indissolubilmente uno e lo stesso115. Cos, quando Bauer indaga lo Stato cristiano e la questione dell'emancipazione degli ebrei le due cose sono tra loro connesse , l'importanza della sua riflessione data dalla ridislocazione concettuale di un coacervo di problemi non registrabile con gli strumenti categoriali dei liberali del tempo. Bauer ridefinisce l'intera questione ponendone una sulla necessit logica, per lo Stato, di determinare la propria identit a partire da un'esclusione e, di conseguenza, sul carattere necessariamente universale dell'emancipazione. L'incrocio nel quale Bauer pensa libert ed emancipazione diventa momento di apertura della forma politica statale. Il problema pensare la libert, il suo imprescindibile universalismo, al di l dell'orizzonte della libert che lo Stato dovrebbe garantire ai singoli. Qui la forza, ma anche l'ambiguit di Bauer. In Das entdeckte Christentum, che Marx assieme a pochi altri ebbe modo di leggere, Bauer cerc di articolare, attraverso il concetto di Gattung, l'elemento comune e generico di una pratica politica intesa come processo di liberazione. Quando Bauer afferma che il pensiero il vero processo generico (das Denken ist das wahre Gattungsprozefi)>>116, intende rilevare come la Gattung si definisca non sulla natura, ma come processo universale del pensiero"'. L'universale (das Allgemeine) va inteso secondo Bauer non come un oggetto dato al di fuori del pensiero e in s conchiuso, ma, come puro universale, solo nell'attivit del pensiero, come qualcosa di indifferenziato, senza soluzione di continuit e autosussistente. l'atto (That), l'elevazione e l'essenza dell'autocoscienza stessal". La libert per Bauer qualcosa che si manifesta nell'attivit del pensiero: universalit e polemologia al tempo stesso. L'universalit, come attivit del pensiero, non solo denuncia il torto di ogni esclusione di chiunque sia in grado di pensare, e quindi di chiedere ragione della propria esclusione, ma mostra anche che quell'universale non il terreno 34

neutrale della tolleranza: esso coincide piuttosto con la posizione degli esclusi. Non c' nessuna legge storica che garantisca l'universalismo dei diritti, perch questo, secondo Bauer, solo il risultato di una lotta tra gli esdusi e i detentori di privilegi. Questo significa per che l'universalit dei diritti umani emerge nei conflitti pratici (praktische Kiimpfe)1" come posizione di quella parte che non ha parte. L'universale si manifesta non in un qualche interesse particolare di un determinato soggetto storicosociale, ma nelle lotte degli esdusi per partecipare a quei godimenti che sono loro preclusi:
S, vogliamo partecipare; ogni nuovo principio ha inquietato, con la sua brama di partecipazione, e ha definitivamente rovesciato le classi privilegiate. Quando questa brama risvegliata non serve pi a nulla che la classe privilegiata permetta solo ai capi di partecipare al privilegio il suo privilegio deve necessariamente diventare diritto universale. Gli Hussiti non vollero lasciare il vino solo ai preti, la loro brama non era ancora placata che i sacerdoti lasciarono prendere parte al rito del vino alcuni principi laici. Ma essi volevano che ognuno ne potesse godere, e non pass molto tempo che chiunque lo volesse pot bere. In tutta la storia ogni classe esclusa (fede ausgeschlossene Klasse) ha voluto partecipare (mitgeniefien), e finora non si potuto negarlo a nessuna classe che lo volesse seriamente. Bevetene tutti, sta scrittom.

L'universale, per Bauer, e come sar anche per Marx, non si d come neutralit, ma come la posizione di una parte la cui pratica coincide con l'universale. Nei reali casi di esclusione l'universale non un compromesso con gli esclusi, ma invece la ragione che gli esclusi riescono a imporre ai detentori del privilegio, cio a chi li vuole escludere togliendo loro la parola, neutralizzando lo spazio politico attraverso la privazione della possibilit di giudicare circa l'ingiustizia di quella esclusione. Il celebre apologo di Menenio Agrippa permette di vedere all'opera l'erosione egualitaria di differenze che pretendono essere naturali. Com' noto, per convincere i plebei a ritornare al loro posto, Menenio Agrippa si serve di una metafora organicistica secondo la quale, per il buon funzionamento dell'intero, necessario che ciascuna parte compia il proprio dovere: se una parte viene meno al proprio dovere, a risentirne 1' intero organismo, e di conseguenza anche quella parte che ha preteso di far 35

valere il proprio interesse particolare contro quello della totalit. L'apologo ha per la particolarit di diventare falso nel momento stesso in cui viene pronunciato, perch la secessione della plebe mostra che la pretesa necessit organica del tutto venuta meno. La metafora organicistica mostra la propria falsit nel momento stesso in cui viene esplicitata; il suo contenuto di verit non sta nell'articolazione organica del tutto, ma in quella parte che, nella pratica dell'eguaglianza, fa valere la propria inclusione al discorso sul giusto. La plebe romana partecipa, attraverso la propria lotta, a tale discorso, imponendo cos a chi praticava l'esclusione il riconoscimento di un piano universale del logos121. questo il contento di verit della falsit dell'organicismo; il discorso di Menenio Agrippa la difesa di ci che gi caduto attraverso l'imposizione del logos della plebe e della sua partecipazione alla questione della giustizia. La concezione polemica di universale delineata da Bruno Bauer, concezione che egli si limit ad abbozzare per abbandonare subito dopo, permette forse di porre alcuni problemi al nostro modo di pensare l'universalit: dall'incrocio dell'universale con l'elemento escluso possibile ripensare l'universale non come neutralit, ma come parte di un conflitto. Ma, si diceva, il modo in cui Bauer pensa la libert attraversato da un'ambiguit122 . Il nesso tra libert e lotta per la libert porta ad intendere la libert come inscindibile dall'autocoscienza del soggetto che si libera. L'aver saputo superare la contraddizione racchiusa nelle dottrine contrattualiste e poi esplosa nella Rivoluzione, avrebbe dovuto fare della Kritik una forza epocale. Indicando i limiti di un modo di pensare la libert che prende le mosse dalla coppia concettuale individuoStato, limiti che si palesano nell'idea russoiana della coazione alla libert, Bruno Bauer cerca di indicare la soluzione in un'idea di libert che lasci ad ognuno la libert di diventare ci che vuole diventare123 , inclusa la libert di non essere liberi124. Cos, nel tentativo di oltrepassare l'orizzonte aporetico della concezione liberale della libert, Bauer deve articolare la propria idea di libert tra pratica di liberazione da un lato, e aristocratismo radicale, dall'altro. Se i diritti umani devono essere intesi come il premio di una battaglia, ne segue che li pu possedere solo colui che se li conquistati e meritati125 . Vi sono sorprendenti analogie con quanto scriver Nietzsche qualche decennio pi tardi126: le istituzioni liberali cessano di essere liberali non appena 36

si riesce ad ottenerle. (...) Fintantoch queste stesse istituzioni non vengono conquistate (so lange sie noci') erledmpft werden), producono effetti del tutto diversi: in realt, allora, promuovono possentemente la libert. (...) le comunit aristocratiche sul tipo di Roma e di Venezia, intesero la libert in quello stesso preciso significato da me attribuito alla parola libert: come qualcosa che si ha e non si ha, che si vuole, qualcosa che si conquista (das man erobert)127. Rilevare l'ambiguit della concezione baueriana della libert e dell'universale non significa rigettare la complicazione di quei concetti, ma al contrario assumerne fino in fondo la radicale ambivalenza: il potenziale liberatorio che si esprime proprio nel momento di massimo rischio, nel momento in cui quei concetti si rovesciano nel loro opposto. Bauer mostra come la concettualit politica dispiegatasi con la Rivoluzione sia attraversata da un'ambiguit strutturale che, nel momento della massima libert e dell'affermazione del principio repubblicano, rovescia questi concetti nell'assoggettamento universale (allgemeine Unterwerfung) e nel potere dittatoriale (dictatorische Gewalt) di Napoleonem. La Rivoluzione terminata nell'assolutismo, scrive Bauer nel 1846129, e con essa una nuova, inedita forma di dittatura ha fatto irruzione nella storia: la dittatura repubblicana. Come ho sottolineato altrove130 la riflessione di Bauer si articola sulla crisi dell'ordinamento cetuale. Bauer coglie e radicalizza questa crisi: da un lato registrando la dissoluzione di un'articolazione di rapporti concreti nei quali l'individuo trovava concretezza e senso di appartenenza a un comune; dall'altro dispiegando la crisi di ogni appartenenza comune fino alla teologia, cio fino alla crisi dell'Occidente cristiano, intendendo con questa espressione un comune riferimento ai valori cristiani. Quando Bauer mette in evidenza il carattere necessariamente esclusivo di ogni appartenenza, lavora alla dissoluzione della fondazione essenzialistica di un comune. In questo direzione sono da leggere i suoi attacchi sia alla comunit dei cristiani sia alla comunit degli ebrei. Bauer vuole mostrare che non pi possibile fare riferimento a un universo condiviso, perch, in uno Stato, la stessa religione cristiana, come appare evidente nelle discussioni rivoluzionarie francese, altro non pu essere che la religione della maggioranza. Non quindi un comune, ma qualcosa che appartiene ai pi, e che quindi lascia fuori, esclude, chi ebreo, musulmano o semplicemente deista. Una maggioranza 37

non d assolutamente luogo a un orizzonte comune condiviso, ma a sopraffazione verso chi non si adegua, come mostra bene il carattere equivoco della tolleranza. Tolleranza, afferma un grand'uomo del secolo scorso, non la parola che esprime la libert religiosa, ma invece, compresa esattamente, una parola offensiva e tirannica, poich l'esistenza di un'autorit che ha il diritto di tollerare, proprio per il fatto che essa tollera, pu anche non tollerare e violare la libert di pensiero e di confessione131. La strategia di Bauer cos dispiegata: egli barra strade per renderle non pi percorribili. Ecco, nuovamente, il suo contributo alla crisi del XIX secolo. Dalla crisi dell'ordinamento cetuale alla critica di ogni pretesa appartenenza fondata su valori o religione comuni, che sono in realt valori e religione di una maggioranza o, peggio ancora, di chi si pretende tale, Bauer pone, nel Vormiirz, il problema della rivoluzione a venire: quale comune o quale condivisione non esclusiva possibile in un mondo che ha distrutto sia gli antichi vincoli cetuali sia il comune senso di appartenenza alla cristianit? Bauer risponde, riprendendo nel '49 la questione ebraica, con la liberazione universale132. Con una liberazione che all-gemein, comune a tutti e alla quale tutti partecipano. questo il piano di una comunanza, come lotta comune, che Bauer individua nella crisi di ogni preesistente riferimento comune. solo nella rottura nei confronti della propria appartenenza che possibile la costruzione di un comune universalmente aperto, perch, al contrario, l'affermazione della propria identit particolare porta inevitabilmente ad esclusioni e privilegi. E quindi, nuovamente, a tolleranza e sopraffazione: due facce della stessa medaglia. I liberali del 1842, scrive Bauer sette anni pi tardi,
volevano ottenere l'emancipazione degli ebrei supplicando il governo: io mostrai invece che il governo cristiano-germanico, che riposa sulla differenza di ceto (...) poteva tutt'al pi conferire particolari diritti corporativi, che i cristiani (...) non potevano dare la libert agli ebrei, che la libert non pu essere n supplicata n donata, ma pu solo essere conquistata (nur erobert werden k6nne), che anche i cristiani devono ancora lottare per la loro emancipazione (um ibre Emanzipation kiimpfen miifiten), che l'opera di liberazione qualcosa di comune (ein gemeinsames) 133.

I liberali del '42 pensavano che la libert potesse essere con38

cessa. A questa posizione Bauer obietta che una libert concessa tutt'al pi un privilegio, che, cos come viene concesso, pu sempre essere revocato. Ma i liberali del '42 commettevano anche un altro errore: essi credevano che fosse possibile parlare della libert degli ebrei e dei cristiani, come se su quelle appartenenze esclusive fosse possibile fondare una vera libert e non invece, nuovamente, solo un privilegio. Bauer risponde affermando il carattere comune (gemeinsames) della pratica di liberazione, vale a dire la produzione, nella lotta, di un comune che eccede ed erode ogni appartenenza pre-data. Nel 1842 egli cerc, in una concezione radicale di repubblicanesimo, di esprimere la forma di comunanza che si d non in una qualche forma politica, ma in una pratica che si presenta piuttosto come dispositivo di apertura di quella forma. Dalle colonne del giornale di Arnold Ruge, con l'intenzione di strappare i giovani hegeliani al liberalismo, richiamandosi al vero Hegel, quello da cui i giovani hegeliani hanno appreso l'ateismo, la rivoluzione, la repubblica134, Bauer indicava in questa triade una sequenza politica: l'ateismo costituisce la premessa della rivoluzione, e la repubblica la forma politica che non segue la fine della rivoluzione, ma ne fa un proprio momento costitutivo. ll fallimento della rivoluzione del '48 immette per Bauer in un clima di generale Kulturpessimismus che lo porter a radicalizzare quell'aspetto della sua riflessione maggiormente sensibile alla faccia oscura della Rivoluzione e del livellamento. Il comune mancato nella liberazione viene prodotto da una nuova forza, da una forma inedita d dittatura che tiene i singoli uniti nell'universale assoggettamento. Ad esso Bauer cercher di opporre un qualche freno, cercher di essere egli stesso katechon. Ma in un'ambiguit di fondo, per cui, fino alla fine, cercher di essere da un lato spinta acceleratrice, martello egli stesso del livellamento135 , dall'altro continuer a cercare una qualche barriera, fosse anche solo personale, al livellamento. Cos, nel suo ultimo scritto annotava: le doglie dell'epoca cesaristica coincidono con il risveglio della libert e dell'azione personale. In mezzo alla battaglia e alla confusione dei partiti a nessuno impedito orientarsi nella ricchezza della storia e appropriarsi di ci che gli conforme; nel timore della centralizzazione un autonomo tentativo di riforma non vietato, ma oltremodo difficile"6. 39

LA QUESTIONE EBRAICA di Bruno Bauer

INTRODUZIONE

Libert, diritti dell'umanit, emancipazione e riparazione di un torto millenario sono diritti e doveri talmente importanti che anche solo appellandosi ad essi si pu essere certi di fare breccia in ogni uomo per bene; le sole espressioni sono spesso sufficienti per rendere popolare la causa che si deve difendere. Tuttavia accade troppo spesso di credere di aver gi vinto una causa semplicemente utilizzando per essa delle espressioni ricoperte, per cos dire, da un'aura sacrale alla quale nessuno pu opporsi se non vuole essere considerato disumano, sacrilego o sostenitore della tirannia. In tal modo si possono avere dei successi momentanei, ma non si pu n vincere la causa n superare le difficolt reali. Nei dibattiti attuali sulla questione ebraica capita spesso di sentire grandi espressioni, come "libert, diritti umani, emancipazione", parole che vengono accolte con grande plauso; ma per quanto riguarda la causa, non l'hanno fatta avanzare di molto e sar forse pi utile usare meno spesso quelle espressioni e pensare invece pi seriamente all'oggetto in questione. Se la causa degli ebrei divenuta una causa popolare, ci non un merito dei suoi difensori, ma s spiega con il fatto che il popolo ha il presentimento del nesso esistente tra l'emancipazione degli ebrei e lo sviluppo della nostra situazione complessiva. I difensori dell'emancipazione degli ebrei non hanno esaminato questo nesso e non lo hanno realmente descritto. In un'epoca in cui la critica si rivolta contro tutto ci che finora ha dominato il mondo, essi, per farla breve, hanno lasciato essere gli ebrei e l'ebraismo ci che sono, o meglio: non ci si mai chiesti che cosa sono e, senza indagare se la loro essenza si accorda con la libert, li si vuole liberare. Si grida addirittura al tradimento dell'umanit se la critica si accinge a indagare l'essenza dell'ebreo in quanto ebreo. Gli stessi che probabilmente ammirano soddisfatti la critica quando essa si rivolge verso il cristianesimo, o che considerano questa critica necessaria e addirittura la richiedono, quegli stessi sono pronti a 43

condannare chi ora sottopone al vaglio della critica anche l'ebraismo. All'ebraismo dovrebbe quindi essere concesso un privilegio, proprio ora che i privilegi cadono sotto i colpi della critica e anche quando, in futuro, tutti i privilegi saranno caduti? I difensori dell'emancipazione degli ebrei si trovano quindi in una posizione particolare: nel momento stesso in cui lottano contro i privilegi, concedono all'ebraismo il privilegio dell'immutabilit, dell'inviolabilit e della mancanza di responsabilit. Essi lottano con le migliori intenzioni a favore degli ebrei, ma manca loro il vero entusiasmo, poich trattano la causa degli ebrei come una faccenda a loro estranea. Quando prendono partito per il progresso e il perfezionamento dell'umanit, escludono gli ebrei dal loro partito. Essi chiedono ai cristiani e allo Stato cristiano, ma non agli ebrei, di rinunciare ai pregiudizi ai quali non solo si sono affezionati, ma che costituiscono il loro cuore e la loro essenza. Non si deve insidiare l'ebraismo. Il mondo cristiano deve ancora fare esperienza di grandi sofferenze per la nascita della nuova epoca in formazione: gli ebrei non devono patire alcuna sofferenza? Devono avere gli stessi diritti di chi ha lottato e sofferto per la nuova epoca? Come se ci fosse possibile! Come se potessero sentirsi a proprio agio in un mondo che non hanno fatto, al quale non hanno apportato il loro contributo e che anzi contraddicono con la loro essenza immutata! I peggiori nemici degli ebrei sono quindi quelli che non vogliono far sentire loro le sofferenze della critica che investe oggi ogni cosa. Senza essere passati attraverso il fuoco della critica, nulla potr entrare nel nuovo mondo che sta per sopraggiungere. Non avete ancora nemmeno reso la causa degli ebrei una causa realmente popolare, una causa universale del popolo. Avete parlato delle ingiustizie dello Stato cristiano, ma non vi siete ancora domandati se queste ingiustizie e questa durezza non abbiano il proprio fondamento nell'essenza delle costituzioni statuali finora vigenti. Se l'atteggiamento dello Stato cristiano verso gli ebrei connaturato alla sua essenza, allora l'emancipazione degli ebrei possibile solo presupponendo una trasformazione totale di quell'essenza nel caso cio e nella misura in cui anche gli ebrei 44

abbandonino la loro essenza: ci significa che la questione ebraica solo una parte della grande e universale questione alla cui soluzione lavora il nostro tempo. Gli avversari dell'emancipazione degli ebrei sono stati finora di gran lunga superiori ai loro difensori, poich hanno realmente preso in considerazione l'opposizione esistente tra l'ebreo come tale e lo Stato cristiano. Il loro unico errore fu quello di presupporre lo Stato cristiano come l'unico vero Stato, senza sottoporlo alla stessa critica con la quale consideravano l'ebraismo. La loro concezione dell'ebraismo apparve dura e ingiusta solo perch non indagarono criticamente anche lo Stato che negava, e doveva necessariamente negare, la libert agli ebrei. Noi volgeremo la critica verso entrambi i lati dell'opposizione: solo cos e in nessun altro modo essa trover la propria soluzione. Pu essere che la nostra concezione dell'ebraismo appaia ancora pi dura di quella degli oppositori dell'emancipazione degli ebrei, concezione alla quale ci si era ormai abituati. Pu essere che essa sia realmente pi dura: ma la mia unica preoccupazione che essa sia vera; l'unica questione se un male pu essere realmente estirpato senza andare alle sue radici, e chi vuole lamentarsi, accusi solo la libert, poich essa esige non solo dagli altri popoli, ma anche dagli ebrei, il sacrificio di tradizioni invecchiate, e non che ci si consacri ad esse. Che la critica appaia dura, o che lo sia realmente, comunque certo che sar essa e solo essa a portare la libert. Iniziamo col porre la questione in modo corretto e a sbarazzarci degli errori del passato.

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I. L'ESATTA FORMULAZIONE DELLA QUESTIONE

I difensori degli ebrei prendono generalmente le mosse da ci con cui gli avvocati sono soliti concludere, cio dal tentativo di commuovere i giud. i e il pubblico, non fosse altro che mostrando che i loro clier' hanno oltrepassato la retta via perch spinti dalla miseria. Essi si lamentano dell'oppressione sotto la quale hanno vissuto gli ebrei nel mondo cristiano, oppure, se ammettono n parte alcuni dei rimproveri relativi all'atteggiamento, all'indole e alla situazione degli ebrei, non fanno altro che rendere ancora pi odiosa quell'oppressione, pensando che essa sia la sola responsabile di quell'indole e della misera condizione dell'ebraismo.
L'INNOCENZA DEGLI EBREI

Chi cerca di difendere gli ebrei in questo modo, pensando di salvarli, fa invece loro il pi grande affronto e giudica perduta la loro stessa causa. Si dice spesso che i martiri furono uccisi innocenti non c' offesa pi grande che possa essere fatta loro. Non hanno fatto nulla di ci per cui soffrirono? Ci che hanno fatto non era in contrapposizione ai costumi e alle concezioni dei loro avversari? Tanto pi grandi e importanti sono come martiri, tanto maggiore deve essere stata la loro azione contro l'esistente, cio tanto pi grande fu la loro colpa verso l'esistente. Si vorr almeno dire che gli ebrei hanno sofferto per la loro legge, per i loro costumi e per la loro nazionalit o che furono dei martiri? Ma allora furono anche responsabili dell'oppressione subita, poich l'hanno provocata con la fedelt alla loro legge, alla loro lingua, alla loro intera essenza. Non si pu opprimere un nulla; ci che s opprime deve necessariamente aver provocato l'oppressione attraverso il suo intero essere e il suo carattere. Nella storia non c' nulla al di fuori della legge di causalit; gli ebrei non possono in alcun modo sottrarsi ad essa, poich con 47

la tenacia con la quale sono rimasti fedeli alla loro nazionalit e che i loro stessi difensori celebrano e ammirano in loro, attraverso quella tenacia essi reagirono ai movimenti e ai cambiamenti della storia. La storia vuole sviluppo, forme nuove, progresso e trasformazioni; gli ebrei volevano restare sempre gli stessi e lottarono cos contro la prima legge della storia non provocarono dunque loro stessi la reazione dopo aver fatto pressione sulla pi potente molla esistente? Gli ebrei sono stati oppressi perch per primi hanno oppresso e perch si sono opposti al movimento della storia. Se gli ebrei stessero al di fuori di questo gioco della legge della causalit sarebbero stati semplicemente passivi e non si sarebbero trovati a loro volta in tensione con l mondo cristiano; verrebbe cos a mancare anche quel vincolo che li lega alla storia e non potrebbero mai pi entrare e intervenire nel suo nuovo sviluppo. La loro causa sarebbe completamente persa. Riconoscete dunque agli ebrei l'onore di aver provocato l'oppressione che hanno subito a causa della loro essenza, di essere essi stessi la causa di quell'irrigidimento della loro essenza che l'oppressione ha cagionato, e fatene un membro, per quanto subordinato, di una storia bimillenaria, ma comunque un suo membro che ha la capacit ed infine il dovere di svilupparsi con essa. Talvolta i difensori dell'ebraismo dimenticano persino di aver attribuito agli ebrei il ruolo meramente passivo di chi sopporta, e celebrano improvvisamente in esso un influsso altamente benefico per la prosperit dello Stato. Un esempio!
LA SPAGNA

fosse rimasta nel regno. La situazione della Francia si fece forse disperata perch la revoca dell'editto di Nantes spinse all'esilio schiere di ugonotti? No! l'arbitrio del suo governo, il rafforzamento dei privilegi cetuali, l'assoggettamento dispotico del popolo, le esenzioni di cui godevano la nobilt e il clero, questo e nient'altro che questo ha portato la Francia al punto che solo la Rivoluzione la pot salvare. Chi sa se i caparbi ugonotti avrebbero portato un particolare contributo alla liberazione della loro patria: in breve, la Francia ha in ogni caso fatto a meno di loro. La Spagna si liberata dall'oppressione del governo ultracattolico anche senza il contributo degli ebrei; la questione piuttosto se gli ebrei, qualora fossero rimasti in Spagna, avrebbero partecipato in modo significativo a questa liberazione. Se gli Stati cristiani sono loro stessi la causa della rovina e dell'ascesa del loro potere, e se anche quando gli ebrei entrano in gioco lo fanno nel modo prescritto dal principio dello Stato cristiano, allora, d'altro canto, li possiamo scagionare dal rimprovero di aver provocato la rovina di uno Stato come, ad esempio, la Polonia.
LA POLONIA

Guardate! esclamano, ci che accaduto alla Spagna dopo che i sovrani ultracattolici condannarono all'esilio la laboriosa, operosa e colta popolazione ebraica! Eppure la Spagna non decaduta perch venuta a mancare la popolazione ebraica, ma perch il principio del suo governo era l'intolleranza, l'illibert e lo spirito di persecuzione. Essa decaduta per sua propria colpa, e doveva decadere sotto la pressione di quei principi, quand'anche l'intera popolazione ebraica 48

La costituzione che apr un mostruoso abisso tra l'aristocrazia al potere e la massa dei servi della gleba, permise agli ebrei di infilarsi in quello spazio in numero cos considerevole come mai prima fu possibile; una costituzione, dunque, che aveva lasciato vuoto il posto che nell'Europa occidentale fu conquistato dal terzo stato e che per riempirlo aveva bisogno di un elemento estraneo, questa costituzione ha portato la Polonia alla rovina. La stessa Polonia responsabile della sua sciagura ed responsabile anche dell'insediamento di una popolazione straniera che contribu solamente a rendere la piaga interna alla vita del popolo ancor pi pericolosa e letale. Se quindi la Polonia essa stessa responsabile del suo destino, d'altra parte non gioca a favore degli ebrei il fatto che essi abbiano saputo crearsi una posizione, in numero quasi uguale a quello complessivo degli ebrei europei, solo nella statualit meno compiuta d'Europa. Quella posizione si pu quasi definire come il complemento necessario ed essenziale di questo Stato; il fatto 49

che poterono ammassarsi in uno Stato che meno di tutti tale, costituisce una prova della loro incapacit di diventare membri di uno Stato reale; ancor pi gioca contro di loro il fatto che utilizzarono l'imperfezione della costituzione polacca solo per il loro beneficio privato, che allargarono ulteriormente e consolidarono la spaccatura della vita nazionale polacca invece di costituire il materiale atto a riempirla in modo organico o, meglio ancora, politico. Un avversario dell'emancipazione degli ebrei osserva e deplora che tutte le distillerie di acquavite della Galizia siano unicamente in possesso degli ebrei, e che tale possesso abbia messo nelle loro mani anche la forza morale degli abitanti. Come se gli ebrei fossero responsabili del fatto che la forza morale di un popolo contenuta in un bicchiere di acquavite o pu andare persa in questo bicchiere! L'avversario degli ebrei deve ammettere anche che il popolo polacco cerca nell'acquavite la sola consolazione per tutte le pene della sua vita e per ogni sopruso del suo padrone. Ma allora ci che il contadino rimprovera all'ebreo l'oppressione della costituzione. la miseria spirituale della vita che ha spinto il contadino a cercare il suo spirito in un bicchiere di acquavite e a trovare nella mano dell'ebreo, dal momento che questo possedeva tutte le distillerie, la forza spirituale del popolo. La costituzione ha conferito all'ebreo la sua grande importanza e lo ha fatto entrare in possesso dello spirito del popolo tuttavia un merito dell'ebreo il fatto di essersi posto all'interno di una tale costituzione in modo tale da dare al contadino quel tanto di spirito che gli ha lasciato la costituzione? un merito quello di spremere e distillare l'ultima conseguenza spirituale della costituzione? un elemento a sua favore prestarsi ed anzi considerare come suo unico affare quello di opprimere ancora una volta la vittima della costituzione? La costituzione responsabile in quanto gli porta il contadino sfinito, ma egli responsabile in quanto trae dalla costituzione solo le conseguenze peggiori. Questo rapporto si riproduce in generale nella societ civile.

LA SOCIET CIVILE

Il bisogno la potente molla che mette in movimento la societ civile. Ognuno utilizza l'altro per soddisfare il proprio bisogno e, allo stesso scopo, viene a sua volta utilizzato dall'altro. Il sarto utilizza il mio bisogno per mantenere s e la sua famiglia; io utilizzo lui per soddisfare il mio bisogno. Lo Stato cristiano ha limitato l'attivit egoistica della societ civile attraverso forme che tolgono a quell'attivit la sua mostruosit e che l'hanno infine legata all'interesse dell'onore. I diversi modi per soddisfare il bisogno sono riuniti in ceti, ed il ceto in cui il bisogno del momento ha maggiore forza, il ceto del commercio, che anche nello Stato cristiano deve quindi mantenere vivissimo l'egoismo, si strutturato nella forma delle corporazioni. Il membro del ceto ha come tale il dovere di perseguire non solo il suo interesse personale, ma anche l'interesse generale del suo ceto; l'interesse di ceto pone all'interesse privato del singolo membro un limite necessario; in quanto membro di un ceto egli si sente onorato perch non provvede pi solo al sostentamento del singolo, ma al bisogno della societ civile in genere. Ma dove regna il bisogno con i suoi capricci e le sue inclinazioni accidentali, per di pi il bisogno il cui soddisfacimento dipende esso stesso da eventi naturali contingenti, l il singolo pu conservare il suo onore, ma non pu far nulla per non finire in balia di un mutamento improvviso, imprevedibile e situato al di l del suo calcolo. Proprio il suo fondamento, il bisogno, che assicura alla societ civile la sua esistenza e le garantisce la sua necessit, espone la sua stessa esistenza a pericoli continui, mantiene in essa un elemento di insicurezza e produce quella mescolanza continua e sempre cangiante di miseria e ricchezza, indigenza e prosperit, il mutamento in genere. Gli ebrei non hanno creato questo elemento di insicurezza esso proprio della societ civile essi non sono responsabili della sua esistenza; un'altra questione per se deve essere considerato come un merito il fatto che attraverso l'usura se ne servano e lo abbiano reso loro appannaggio esdusivo, cio senza alcuna collaborazione con le altre cerchie della societ civile. Come gli di di Epicuro vivono negli intermondi, dove sono esentati dal lavoro specifico, cos pure gli ebrei si sono insediati al di fuori di specifici interessi corporativi e cetuali, si sono 51

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stabiliti negli interstizi e nelle fessure della societ civile e si sono accaparrati le vittime di cui necessita l'elemento di insicurezza della societ civile. I difensori dell'emancipazione ci ribattono che si loro impedito di entrare nei ceti e nelle corporazioni, ma la questione se essi, dal momento che si considerano come un popolo, potevano occupare una reale e sincera posizione in quelle cerchie, o se invece non si siano esclusi da s e, poich come popolo si collocano in tutto e per tutto al di fuori degli interessi dei popoli, se non debbano anche necessariamente prendere posto al di fuori degli interessi cetuali e corporativi. Come? Ci viene ancora obiettato, non volete riconoscere l'intraprendenza degli ebrei, la loro frugalit, lo zelo con cui si dedicano al loro guadagno, la loro capacit inventiva l dove si tratta di trovare nuove fonti di guadagno, non volete riconoscere questa infaticabile tenacia? Ma lo abbiamo appena fatto, e ci permettiamo ancora solo un paio di domande.
L'INTRAPRENDENZA DEGLI EBREI

causa della situazione accidentale in cui qualcuno viene a trovarsi per il fatto di essere nato in questa o quella comunit? Non sono piuttosto dei beni universali che non possono essere interdetti? Quanti fra coloro che hanno avuto un ruolo significativo nell'arte e nella scienza sono giunti dagli stati pi bassi della societ e hanno dovuto superare ostacoli straordinari per riuscire ad entrare nel campo dell'arte e della scienza? Perch gli ebrei non si sono fatti strada? Ci deve risiedere nel fatto che il loro particolare spirito di popolo contraddice l'interesse universale dell'arte e della scienza. L'intraprendenza degli ebrei tale che essa non ha nulla a che fare con gli interessi della storia. Opera in modo simile alla tenacia tanto esaltata nello spirito del popolo ebraico.
LA TENACITA DELLO SPIRITO DEL POPOLO EBRAICO

Ch ha lavorato per milleottocento anni alla formazione dell'Europa? Chi ha combattuto le battaglie nelle quali stata sconfitta una gerarchia che voleva affermare il proprio dominio al di l della propria epoca? Chi ha creato l'arte cristiana e moderna ed ha riempito le citt europee di monumenti eterni? Chi ha sviluppato la scienza? Chi ha ragionato sulla teoria delle costituzioni dello Stato? Non si pu fare il nome di un solo ebreo. Spinoza non era pi ebreo quando edific il suo sistema e Moses Mendelsohn mor di dolore quando apprese che Lessing, l'amico morto, era diventato uno spinozista. Ecco la seconda questione! Ebbene! I popoli europei hanno escluso gli ebrei dalle loro faccende universali. Ma ci gli sarebbe stato possibile se gli ebrei non si fossero esclusi da s? Pu l'ebreo come ebreo, senza cessare di essere un ebreo, lavorare per il progresso dell'arte e della scienza, lottare per la libert contro la gerarchia, interessarsi realmente dello Stato e riflettere sulle sue leggi universali? Oppure l'arte e la scienza sono cose che possono essere vietate attraverso un divieto arbitrario o a 52

Non sarebbe crudele, ma semplicemente equo e giusto nominare ai nostri avversari le stirpi che, nonostante i tormenti della storia, sono comunque sopravvissute tra i popoli civilizzati, persino nella diaspora. Anche senza farlo, potremo nondimeno porre la questione con esattezza. Costituisce forse un'onta per le stirpi, dalla cui fusione sorto il popolo francese, il fatto che esse abbiano perso e abbiano rinunciato alla loro indipendenza? Certamente no! La loro rinuncia e la loro dissoluzione nel tutto dimostra solo la loro capacit di formazione storica e la loro capacit di contribuire alla formazione di questo determinato spirito del popolo nella storia. Hanno conservato la loro precedente particolarit le stirpi confluite nella popolazione della grande, moderna repubblica dell'America del Nord? No! Ancora oggi i Tedeschi che vi affluiscono fanno rapidamente proprio il carattere che contraddistingue il tutto, e ci non torna certo a loro disonore; ci mostra solo la loro capacit di orientarsi secondo la linea universale di quella vita nazionale e di adattarvisi. I popoli europei permangono in quella tenacit che viene esaltata negli ebrei? Al contrario, essi cambiano il loro carattere e la storia esige questi cambiamenti. 53

Invece di esaltare la tenacit dello spirito del popolo ebraico e di considerarla come un merito, ci si dovrebbe piuttosto chiedere che cosa essa sia in sostanza e da dove provenga. Essa rappresenta la mancanza di capacit storica di sviluppo, fonda il carattere completamente astorico di questo popolo ed a sua volta fondata nella sua essenza orientale. In Oriente di casa questa essenza nazionale stazionaria poich la libert dell'uomo, e quindi anche la possibilit di sviluppo, ancora limitata. In Oriente, in India troviamo ancora dei Parsi che onorano il fuoco sacro di Ormuzd e vivono nella diaspora. L'individuo, e quindi anche il popolo che nel suo pensiero e nella sua azione segue delle leggi universali, si sviluppa anche da un punto di vista storico in quanto le leggi universali hanno il loro fondamento nella ragione e nella libert e si sviluppano con i progressi della ragione; questi progressi sono tanto pi certi e facili da realizzare in quanto la ragione ha a che fare, nelle sue leggi, con i suoi stessi risultati, e se essa vuole cambiarli, non deve chiedere il permesso ad alcun potere estraneo o ultraterreno. In Oriente l'uomo non ha per ancora acquisito la consapevolezza di essere libero e razionale, quindi non ha ancora riconosciuto la libert e la ragione come sua essenza, ma ha invece posto l suo dovere essenziale e supremo nell'adempimento di cerimonie prive di senso e fondamento. L'orientale non ha quindi ancora una storia, se storia merita di essere chiamato solo ci che costituisce uno sviluppo della libert umana universale. Starsene sotto il fico e la vite rappresenta secondo l'orientale la massima destinazione dell'uomo; egli esegue continuamente le sue cerimonie religiose e considera quelle celebrazioni sempre uguali come il suo pi grande dovere, rincuorandosi del fatto che sono esattamente cos e tali devono essere; di tutto ci non sa addurre alcun'altra ragione se non il fatto che cos sempre stato e che cos dev'essere secondo una volont superiore e imperscrutabile. Un carattere e una legge siffatti devono necessariamente conferire a un popolo una tenacia particolare, ma devono privarlo anche di ogni possibilit di sviluppo storico. Gli ebrei parlano a ragione del recinto della legge: la legge li ha esclusi dall'influsso della storia, e li ha tanto pi isolati in quanto proprio la loro legge comand fin dal principio la loro separazione dagli altri popoli. Si sono conservati: ma la questione se la legge possegga un 54

valore tale da lodarli per il fatto di essere rimasti immutati rispetto ad essa. Le montagne sono forse pi grandi e meritano maggiormente il nostro riconoscimento e la nostra ammirazione rispetto al popolo greco perch ancora oggi giacciono l, immutate, mentre i Greci di Omero, Sofocle, Pericle e Aristotele non vivono pi? Moses Mendelsohn individu il pregio della religione ebraica nel fatto che essa non insegnerebbe verit universali, ma prescriverebbe solo leggi positive, delle quali non darebbe alcuna ragione universale. Egli chiariva inoltre e certamente a ragione, dal momento che non ho potere su ci che eccede il mio orizzonte e di cui non mi posso dare ragione che per gli ebrei la legge manterrebbe la sua validit fino a quando Jehova non la sopprimer con la stessa determinatezza e altrettanto espressamente di come l'aveva rivelata sul monte Sinai. Questa fermezza una gloria? Trasforma il popolo del quale preserva l'esistenza in un popolo storico? Essa non fa che preservarlo contro la storia.
LA VITA SOTTO L'OPPRESSIONE

Se un popolo non progredisce con la storia, se non si infiamma nemmeno dell'entusiasmo necessario alla battaglia per le nuove idee storiche e se non si lascia conquistare dalle passioni storiche, allora gli manca uno dei mezzi pi importanti per l'innalzamento e la purificazione dell'eticit. Esso inoltre non si occupa pi in alcun modo degli interessi universali dell'uomo, la cura del suo tornaconto privato diventa la sua unica occupazione ed il sentimento del vero onore perduto. Nell'oppressione sotto la quale vivevano gli ebrei, si risponde, era inevitabile che i nobili sentimenti venissero in loro soffocati. Si vuol rimproverare loro la mancanza di eticit quando li si esclusi dalle faccende e dagli interessi che conferiscono uno slancio sempre nuovo allo spirito dei popoli europei? Di contro, gi stato osservato che l'oppressione, in genere, porta piuttosto a un miglioramento degli uomini e a un rafforzamento del loro sentimento dell'onore e dell'eticit. L'oppressione sotto la quale vissero i cristiani nei primi tre secoli della loro era, 55

li ha ulteriormente incitati a perfezionare le virt con le quali rovesciarono l'impero romano. Gli ebrei, per, durante l'oppressione sotto la quale hanno vissuto finora, non hanno trovato ed eretto nessun principio morale in grado di dare al mondo, o anche solo a loro stessi, una nuova forma. Dunque, se l'oppressione non ha migliorato gli ebrei, toglietela, dategli completa e illimitata libert e vedrete se non diventeranno migliori senza l'oppressione! Un'altra ragione ancora dovrebbe spingere a questo passo e a questo tentativo. Non vero che l'oppressione migliori realmente ed apra la strada alla reale eticit. Essa irrigidisce soltanto, isola l'uomo, gli recide la via verso la vera eticit rendendogli impossibile la partecipazione alle faccende pubbliche della vita statuale; conferisce inoltre alle virt private un carattere rude, oppure le trasforma in cura egoistica per gli affari privati che vengono sbrigati fra le pareti domestiche. Non si pu certo definire etico il fatto che i primi cristiani si occupassero solo di loro stessi e si preoccupassero solamente delle loro anime fosse anche per la beatitudine di esse , e fossero invece incuranti delle faccende generali dell'impero romano, o addirittura attenti ad ogni soffio d'aria per cercare di capire se era il prodromo di una tempesta in grado di porre fine ad esso. Tanto pi urgente quindi la necessit di togliere l'oppressione sotto la quale hanno finora vissuto gli ebrei! Fermi! Ci si chieda prima se gli ebrei, in quanto ebrei, non debbano necessariamente isolarsi dagli altri popoli, se non hanno essi stessi voluto che il carro della storia gli passasse sopra. Quando come popolo erano ancora indipendenti, ebbero forse un respiro pi libero, il loro petto era tanto ampio da essere capace di sentimenti umani universali, si sentivano meno oppressi? No! Neanche quando ritenevano di essere il popolo oppresso per eccellenza, e lo erano realmente, perch le pretese che costituivano la loro vera essenza dovevano necessariamente sempre rimanere insoddisfatte. Secondo la loro concezione fondamentale, essi volevano e dovevano essere l'unico popolo, vale a dire il popolo accanto al quale gli altri popoli non avrebbero il diritto di essere un popolo. Ogni altro popolo, in rapporto ad esso, non era un vero popolo; in quanto popolo eletto essi erano l'unico vero popolo, il popolo che doveva essere tutto e impadronirsi del mondo. 56

Ma per il fatto che esistono in generale dei popoli, essi furono oppressi; l'esistenza, la prosperit, la buona sorte e lo sviluppo degli altri popoli costitu la sua sofferenza. Ci significa che la loro esistenza fu esclusiva, e quindi sempre tormentata, poich l'esistenza degli altri popoli escludeva a sua volta l'essenza della sua esistenza l'esclusivit , la negava e la scherniva. Gli si dia allora la piena indipendenza, ed essi la continueranno a negare fino a che rimangono ebrei e continuano a considerarsi come l'unico popolo eletto e legittimo. L'idea di legittimit che hanno di se stessi non viene solo minacciata dalla realt e dalla storia reale, ma completamente negata; essi vengono cos necessariamente oppressi e la loro sofferenza incurabile. Da quanto detto siamo anche in grado di valutare con precisione l'osservazione, spesso ribadita, secondo la quale ci sarebbero in proporzione tra gli ebrei meno delitti di quanti non ve ne siano tra i cristiani in mezzo ai quali essi vivono.
IL NUMERO DEI CRIMINALI

La questione non riguarda il numero, ma il tipo di delitti; non la valutazione giuridica dei crimini corrispondente al grado della pena, ma il loro giudizio etico, rende conto del nesso tra il crimine e i rapporti sociali. Da un punto di vista giuridico un crimine pu essere considerato molto piccolo e per testimoniare un profondissimo decadimento della costituzione etica interiore; da un altro punto di vista, un giudice pu infliggere una pena molto grave, ma chi prende in considerazione anche la motivazione, giudica quel crimine come la soluzione violenta di un profondo conflitto etico che il criminale comune non era in grado di risolvere. La questione riguarda inoltre l'ambito degli interessi giuridici ed etici in cui sono commessi i crimini. L dove si incrociano i pi svariati interessi, come ad esempio quelli dei diversi ceti, dove delle leggi obsolete sono ancora in conflitto con nuove esigenze, possono essere commessi pi delitti di quanti ve ne sono in un ambito in cui non confliggono interessi cos importanti e dove ci sono quindi anche meno occasioni per un conflitto; tuttavia il maggior numero dei delitti commessi non rovescia il principio secondo il quale in mezzo 57

alla massa di questi delitti si costruisce un nuovo e pi elevato ordinamento etico. Di contro, pu essere che l dove vengono commessi meno crimini e di minore gravit, non solo manchi la forza e l'occasione per compierne di pi gravi, ma manchi anche la forza in grado di creare nuovi rapporti sociali. Porremo la questione con esattezza nella misura in cui valuteremo il ruolo del cristianesimo e dello Stato cristiano. L'ostilit del mondo cristiano verso gli ebrei stata dichiarata addirittura inesplicabile. L'ebraismo certo la madre del cristianesimo e la religione mosaica costituisce la preparazione di quella cristiana; da dove proviene allora l'odio cristiano verso gli ebrei? Da dove proviene questa inaudita ingratitudine della conseguenza verso il suo fondamento, della figlia contro la madre?
L'ATTEGGIAMENTO DELLA CONSEGUENZA VERSO IL SUO PRESUPPOSTO

mente spiegabile e fondata nei loro essenziali rapporti reciproci. Nessuno dei due pu riconoscere l'altro e lasciarlo sussistere; se sussiste uno, non vi l'altro; ciascuno dei due crede di essere la verit assoluta, cosicch, se riconosce l'altro, si smentisce, nega di essere la verit. Ma, si ribatte, questa carattere esclusivo del cristianesimo non contraddice l'amore che esso dichiara essere il suo principio? Vedremo.
IL FERVORE E IL CARATTERE ESCLUSIVO DELL'AMORE CRISTIANO

Perch il fiore fa a pezzi il bocciolo? Perch il frutto fa cadere i petali del fiore? Perch il seme maturo fa scoppiare la capsula? Perch non pu esserci successore se continua a sussistere il precedente; perch esso non apparirebbe mai se dipendesse da ci che lo precede. Nei rapporti storici e dello spirito il presupposto continua realmente a sussistere e vuole senz'altro sussistere nonostante la presenza della sua conseguenza. Esso nega dunque alla conseguenza proprio il suo significato, vale a dire che essa la conseguenza che ha puntualmente espresso, sviluppato e compiuto la sua essenza; esso contesta alla sua conseguenza il diritto di sussistere. Non la figlia ad essere ingrata verso la madre, ma la madre che non vuole riconoscere la figlia. La figlia ha in sostanza un diritto superiore perch la vera essenza di ci che sta prima e che, non appena apparsa la sua conseguenza, ha perso la sua vera essenza. Volendo definire egoiste entrambe le parti, si pu dire che il susseguente egoista in quanto vuole s e lo sviluppo, mentre l'antecedente vuole s ma non lo sviluppo. L'antecedente ha il germe dello sviluppo, ma nella lotta con la sua conseguenza non vuole riconoscere lo sviluppo in favore di altro ed entrare cos nello sviluppo. Ha la chiave della conoscenza ma non vi entra, ed impedisce l'accesso a ci che vuole entrare137. L'ostilit del mondo cristiano verso gli ebrei cos piena58

Il cristianesimo professa la legge dell'amore, ma deve anche osservare la legge della fede. L'amore cristiano appassionato e vasto, ma solo nell'interesse della fede. Esso fa riferimento al mondo intero, ma solamente per offrirgli la ricchezza della fede. Esso non fa riferimento all'uomo in quanto tale, ma all'uomo in quanto credente e in quanto pu diventarlo, o piuttosto deve diventarlo e deve necessariamente diventarlo se non vuole essere dannato. Se scritto che Dio, in quanto Dio dell'amore, non ha riguardi personali ma apprezza, in ogni nazione, colui che lo teme e gli rende giustizia138, ci significa solo che Dio non fa differenza tra le nazioni, ma accoglie nel suo regno chiunque voglia ricevere la vera fede. L'amore cristiano universale perch non riconosce alcuna differenza tra le nazioni, ed anzi offre a tutti i popoli il dono della fede. Dunque anche il suo fervore universale in quanto esclude tutto ci che contraddice ed in contrasto con la fede. La religione cristiana costituisce il superamento dell'ebraismo, e quindi anche del carattere esclusivo dell'ebraismo. Ma essa costituisce questo superamento solo in quanto il compimento dell'ebraismo e del suo carattere esclusivo. L'ebraismo nega il diritto degli altri popoli, ma li lascia ancora sussistere. Il suo fanatismo e il suo carattere esclusivo non erano ancora diventati azione, la sua parola non si era ancora fatta carne, il fuoco della religione esclusiva non era ancora stato gettato nel mondo. Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, si legge nel Vangelo; e come vorrei che fosse gi acceso !"9. 59

Il cristianesimo ha preso sul serio il carattere esclusivo dell'ebraismo, lo ha trasformato in azione e lo ha rivolto contro ogni differenza tra i popoli. Il fervore della fede non nient'altro che l'atteggiamento esclusivo del principio cristiano o il fuoco dell'amore cristiano. Questo fuoco attraversa l'intera storia della chiesa cristiana ed erompe in epoche particolari per conferire loro un particolare splendore. Agostino, ad esempio, lo attizz contro gli scismatici dell'Africa del Nord; alla luce di esso scrisse quei passi dei suoi scritti in cui ordinava la persecuzione degli eretici; quello stesso fuoco, come una nuova colonna di fiamme, indic ai crociati il cammino per l'Oriente; fece luce agli Spagnoli durante le guerre per convertire i popoli dell'America; brill nella notte di San Bartolomeo e nella violenza dei dragoni di Luigi XIV contro gli ugonotti. Nel fatto che ora il fervore cristiano si rivolga anche contro l'ebraismo non c' nulla di inesplicabile; l'ebraismo non ha ragione di lamentarsi di ci. La religione cristiana ha ereditato dall'ebraismo il fervore, il carattere esclusivo e l'orientamento polemico contro tutto ci che la contraddice. Il fervore cristiano solo il compimento, la conseguenza e la realizzazione grave e oggettiva di quello ebraico; se perci si rivolge anche contro l'ebraismo, quest'ultimo semplicemente colpito dalla sua conseguenza; nella natura della conseguenza rivolgersi contro ci da cui scaturita. Se perci il cristianesimo si dirige contro l'ebraismo, ci significa solo che il fervore compiuto si dirige contro il fervore ancora limitato o privo di energia. Da parte cristiana ed ebraica si osservato che se ci sono alcuni ebrei e cristiani che si odiano reciprocamente, ci non colpa della loro religione, ma di un'incomprensione della loro religione. Un'espressione straordinariamente indulgente questo alcuni! Erano dunque solo alcuni gli ebrei e i cristiani che si sono odiati, perseguitati ed oppressi per milleottocento anni? Hanno tutti frainteso la loro religione? No, essi si odiavano perch avevano realmente ancora una religione, sapevano che cos' la religione e osservavano realmente i comandamenti della loro religione. Se dopo una bimillenaria dimostrazione del contrario, alcuni affermano che l'odio dei partiti religiosi poteva sorgere solo da un malinteso, ci dimostra piuttosto che essi non si intendono 60

pi di religione. Se l'odio reciproco si realmente affievolito, ci possibile solo per un cedimento del vero fervore religioso, e cio, dal momento che la religione deve necessariamente essere infervorata, perch la religione stessa ha perduto la sua forza. Se si pensa per di poter mettere fine all'esclusione reciproca e si ritiene tuttavia possibile che la religiosit di entrambe le parti possa sussistere immutata, la pace che si concluderebbe su un tale fondamento non solo sarebbe incerta, ma anche falsa; non sarebbe praticamente una pace, perch anche un'accidentale corrente d'aria potrebbe attizzare la pi debole scintilla del fervore, sempre necessariamente contenuto nella religiosit, e svilupparla in una lingua di fuoco. L'illusione nella quale si sono finora trovati sia i propugnatori ebraici sia quelli cristiani dell'emancipazione degli ebrei, ci si mostra massimamente quando domandano perch mai il fatto che gli ebrei vivono in continua separazione dai cristiani per quanto riguarda la religione e i costumi pu essere addotto a ragione per privarli dei diritti umani e civili.
I DIRITTI DELL'UOMO E LO STATO CRISTIANO

La questione piuttosto se l'ebreo, in quanto tale, vale a dire l'ebreo che riconosce che la sua vera natura lo costringe a vivere eternamente isolato dagli altri, sia capace di ricevere e di concedere ad altri i diritti umani universali. La sua religione e suoi costumi lo obbligano a una continua separazione: perch? Perch costituiscono la sua essenza. Ma in quanto costituiscono questa essenza contraddicono, sono contrapposti ed escludono ci che ritengono essere per essenza diverso. La sua essenza fa di lui non un uomo ma un ebreo, cos come, allo stesso modo, l'essenza che anima gli altri non ne fa degli uomini, ma dei cristiani e dei maomettani. Ebrei e cristiani possono considerarsi e trattarsi reciprocamente da uomini solo se abbandonano l'essenza particolare che li divide e li obbliga a un'eterna separazione, se riconoscono l'essenza universale dell'uomo e la considerano come la loro vera essenza. L'idea dei diritti dell'uomo stata scoperta dal mondo cristiano solo nel secolo scorso. Essa non innata nell'uomo, ma 61

viene piuttosto conquistata nella lotta contro le tradizioni storiche nelle quali l'uomo era finora cresciuto. I diritti dell'uomo non sono quindi un dono della natura, un dono della storia passata, ma il premio della battaglia contro l'accidentalit della nascita e i privilegi che la storia ha finora lasciato in eredit di generazione in generazione. Sono il risultato della formazione, e li pu possedere solo colui che se li conquistati e meritati. Finch, in quanto ebreo, vive in continua separazione dagli altri e finch deve addirittura dichiarare che gli altri non sono realmente il suo prossimo, pu l'ebreo possedere realmente i diritti umani? Finch resta ebreo, l'essenza limitata che ne fa un ebreo deve separarlo dai non-ebrei e vincere sull'essenza umana che lo dovrebbe unire come uomo agli uomini. Con questa separazione egli dichiara che l'essenza particolare che fa di lui un ebreo la sua vera e suprema essenza, dinanzi alla quale l'essenza dell'uomo deve piegarsi. Allo stesso modo il cristiano, in quanto cristiano, non pu concedere i diritti umani. Ci che nessuna delle due parti possiede, essa non la pu dare all'altra, n la pu ricevere dall'altra. Ma gli ebrei possono per diventare cittadini? Possono dunque essere loro concessi i diritti del cittadino? La questione piuttosto se nello Stato cristiano in quanto tale ci siano diritti universali e non solamente privilegi particolari: infatti una somma pi o meno grande di privilegi, e quindi di diritti particolari, sono solo per alcuni un diritto, mentre per altri sono un nondiritto. D'altra parte ci non costituisce un'ingiustizia dal momento che questi ultimi hanno a loro volta dei diritti particolari che mancano agli altri; si dovrebbe quindi dire che la somma dei diritti particolari corrisponde alla somma delle violazioni del diritto, o che la mancanza del diritto universale l'ingiustizia universale. Gli ebrei vogliono diventare "cittadini" nello Stato cristiano? Ci si chieda prima se in esso vi sono cittadini e non invece solo sudditi; se il ghetto una contraddizione laddove i sudditi sono distinti in base ai privilegi dei ceti particolari; se si pu considerare cos rilevante il fatto che agli ebrei sia prescritto un abito particolare o un contrassegno particolare quando i ceti, allorch si presentano come tali, devono anch'essi distinguersi per mezzo del loro particolare abito. Ci si richiama alle concessioni che lo Stato cristiano ha fatto 62

in momenti di emergenza concessioni la cui vastit era tale da sfiorare quasi l'uguaglianza degli ebrei con i cristiani. Ma ci si dovrebbe chiedere prima se in quei momenti proprio lo Stato cristiano non si trovasse in una situazione di emergenza e in pericolo di vita, se non fece delle concessioni agli ebrei solo perch, per non andare completamente in rovina, doveva esso stesso fare delle concessioni a una pi alta idea di Stato. Non ci si lamenti per solo del fatto che le concessioni fatte agli ebrei nei momenti di emergenza furono successivamente ridimensionate e in parte revocate! Sono solo gli ebrei a soffrire? La loro condizione non forse generale? Se essi sono condannati a un'esistenza meramente privilegiata, o se lo devono nuovamente essere, ci non deriva unicamente dal fatto che il privilegio divenuto universalmente dominante o che deve diventarlo? Si chieda piuttosto che cosa hanno fatto nel frattempo, in che modo avrebbero abbandonato la mera esistenza privilegiata! Dobbiamo ancora formulare con esattezza una domanda. La soluzione risulter estremamente difficile, addirittura impossibile se l'opposizione viene compresa in modo puramente religioso, perch la religione il principio stesso dell'esclusione, e due religioni, fintanto che vengono riconosciute come religioni e come ci che supremo e rivelato, non possono mai arrivare alla pace.
L'OPPOSIZIONE RELIGIOSA DELL'EBRAISMO E DEL CRISTIANESIMO

Gli ebrei, si dice, non ritengono che Ges sia il Messia; essi non riconoscono ci che di pi alto il cristiano riconosce e ci che per egli vale come l'unico vero vincolo di ogni unit; essi non possono quindi mai entrare con lui in una relazione sincera. Dal momento che essi ritengono una menzogna e un inganno ci che vi di pi alto per i cristiani, ogni comunit con loro proibita da Dio stesso. Il cristiano non pu intrattenere nessun tipo d relazione con l'anticristiano. Tuttavia: quando l'ebreo si oppone al Vangelo nega realmente un'essenza superiore all'umanit? Lotta realmente per il proprio onore? Nella sua resistenza non ha a che fare con un'essenza divina alla quale l'uomo non pu opporsi senza doversi aspettare per questo la dannazione eterna? La sua man63

canza non consiste proprio nel fatto che egli non riconosce uno sviluppo puramente umano della storia, uno sviluppo della coscienza umana e quindi uno sviluppo della sua propria coscienza della legge? L'opposizione non in fondo solo l'opposizione tra i diversi livelli dello sviluppo dello spirito umano? Non si tratta in fondo di un'opposizione religiosa solo per la coscienza dei due partiti, vale a dire un'opposizione imposta da un'essenza ultraterrena suprema e posta oltre la storia? L'opposizione non viene significativamente sfumata e la possibilit della sua soluzione data qualora venga riconosciuta come un'opposizione semplicemente umana e storica, cessando cos di essere un'opposizione religiosa? Se l'opposizione non pi religiosa, se diventata scientifica ed ha assunto la forma della critica, l'ebreo mostra allora ai cristiani che la sua concezione religiosa solo il prodotto storico di questi e quei fattori; l'opposizione allora sciolta, poich essa non fondamentalmente pi possibile se non in una forma scientifica. Non appena cio l'ebreo rivolge contro il cristianesimo la critica reale e scientifica, e non pi solo la rozza critica religiosa, egli deve, per prima cosa, o contemporaneamente alla critica del cristianesimo, criticare anche l'ebraismo, perch deve concepire il cristianesimo come il prodotto necessario dell'ebraismo. Per quanto i due partiti si volgano l'uno contro l'altro, e quindi contro se stessi e contro la critica scientifica, essi sono una cosa sola per la scienza; il pregiudizio religioso non li divide pi e le differenze si risolvono nella scienza per mezzo della scienza stessa. La soluzione dell'opposizione consiste nel fatto che essa viene interamente soppressa e gli ebrei possono cessare di essere ebrei senza che sia necessario che diventino cristiani, o piuttosto devono cessare di essere ebrei senza dover diventare cristiani. Ma che cosa hanno fatto per rendere possibile ed attuare la soluzione di questa opposizione? Hanno mosso delle critiche? Hanno rivolto la critica contro l'ebraismo e il cristianesimo, contro ogni religione? Hanno trasformato l'opposizione religiosa in un'opposizione dello sviluppo storico? O criticando realmente la storia sacra come fantasia, come prodotto deteriore dell'opposizione religiosa, hanno confutato la favola secondo la quale essi sarebbero in possesso di informazioni segrete su Ges e il suo tempo, una favola della quale ancora oggi qualche ebreo si vanta? 64

In che misura sono capaci di elevarsi alla libert del punto di vista nel quale viene risolta l'opposizione religiosa? Se l'ebreo, com' nella natura dell'illuminismo che contrappone una religione all'altra, ritiene che il Vangelo sia un inganno, il cristiano replica religiosamente a questo argomento affermando che l'infausta situazione in cui egli si trova dal declino del suo Stato una conseguenza della maledizione divina, che incomberebbe sugli oppositori del Messia. Ma in cosa consiste la sciagura degli ebrei? Forse solo nel fatto che sono perseguitati e oppressi dai cristiani? Come se i martiri non fossero anche loro perseguitati e oppressi! Come se l'oppressione e la persecuzione non fosse anche il destino di quelli che, in nome di un'idea superiore, contestano il proprio tempo e devono attendere dal futuro, con piena certezza, la loro giustificazione. In che modo dunque sono stati oppressi e perseguitati gli ebrei sotto il dominio del cristianesimo? Non come martiri di un'idea superiore, non come martiri del futuro, ma come martiri di un passato di cui non riconoscono lo sviluppo quello stesso sviluppo in cui loro stessi vivono. La cosiddetta maledizione divina altro non che la conseguenza naturale di una legge che, gi in s chimerica e incapace di formare l'anima di una reale vita nazionale, contraddice e vuole tenersi lontano dallo sviluppo che solo poteva ancora darle qualche appoggio. La presunta maledizione divina non altro che la conseguenza naturale della contraddizione, nella quale gli ebrei si sono andati a infilare, tra l'intera storia e la loro legge. Un deputato del Wiirttemberg (nel 1828) volle vedere un segno della maledizione che incomberebbe sugli ebrei persino nel fatto che la stessa oppressione, sotto la quale essi hanno finora vissuto, non diventa la loro salvezza: un esclusivo beneficio del cristianesimo il fatto che i suoi seguaci vengano migliorati e nobilitati per mezzo dell'oppressione, un beneficio di cui non godono gli ebrei. Tuttavia, se si ammette realmente che l'oppressione nobiliti e migliori il che non , per quanto lo si voglia romanticamente credere , ci non necessita di una spiegazione sovrannaturale e del ricorso a una volont sovrannaturale dal momento che l'oppressione non ha in un caso le conseguenze che invece avrebbe nell'altro? Dobbiamo trasformare la questione in un enigma insolubile attraverso la sua risposta religiosa? Dobbiamo eternizzare l'opposizione per mezzo della sua luce religiosa? vero, 65

l'oppressione pu elevare, rafforzare, stimolare allo sviluppo; ma se non ha aiutato gli ebrei, ci dipende dal fatto che, a differenza dei cristiani, essi non erano il partito che rappresentava il progresso e al quale era legata la possibilit del progresso della storia universale; l'oppressione infatti, se pu in generale aiutare attraverso il rafforzamento dell'elasticit, pu favorire solo questa possibilit. Abbiamo dato alla questione la sua esatta formulazione, la formulazione che far emergere la risposta come una necessit inconfutabile. Andiamo ora a rispondere.

II. CONSIDERAZIONE CRITICA DELL'EBRAISMO

Si potr facilmente valutare il livello di uno Stato qualora vengano considerati uomini di Stato coloro che osano continuamente affermare che gli ebrei, che non osservano la loro antica legge e si propongono dei rinnovamenti nella loro religione, perdono di considerazione presso i cristiani. Se si vuole finalmente arrivare alla questione, allora la domanda se gli ebrei possono seguire la loro antica legge, se il loro attuale rapporto con la legge eleva la loro eticit, se la legge pu in generale essere etica; la questione addirittura sapere qual la loro legge.
LA LEGGE MOSAICA O IL TALMUD?

In generale gli ebrei elogiano l'attaccamento alla religione dei loro padri come una prova della loro grande capacit di restare fedeli al Sacro. Se capita loro di dover ribattere all'oppositore che ritiene impossibile la loro emancipazione, allora senza esitare indicano la loro religione come il saldo sostegno delle virt sociali e civili: ma qual questa religione? Secondo il loro presupposto la legge mosaica racchiude la pi pura dottrina etica; essi si considerano servitori della legge mosaica e, se messi alle strette, se i loro avversari utilizzano le idee e i comandamenti del Talmud come armi contro di loro, ma anche se attaccati dall'illuminismo che ha guastato loro i precetti talmudici, essi per lo pi dichiarano che il ritorno a un puro o depurato mosaismo sarebbe sufficiente, ma anche necessario, per elevare l'infima condizione del loro popolo. Ma che cos' il puro mosaismo? Questa determinata costituzione che prescrive questo determinato rito sacrificale, questo ordinamento sacerdotale, e questi rapporti di propriet che solo a Canaan, solo con il presupposto della sovranit del popolo, erano possibili, e che oggi sono assolutamente impossibili. Ma da che cosa si vuole "purificare" il mosaismo? Da tutto 66 67

ci che riguarda i riti sacrificali, l'antica disposizione sacerdotale e i rapporti di propriet prescritti dalla legge? Bisogna poi vedere cosa resta del tutto! Quelle disposizioni non sono solo una parte determinata, non sono nemmeno solo una parte cospicua della cosiddetta costituzione mosaica, sono piuttosto il centro al quale fanno riferimento tutti gli altri comandamenti, il fondamento che essi devono necessariamente avere se non vogliono essere sospesi in aria, il sostegno senza il quale cadono. E non vogliamo nemmeno parlare del fatto che la legge mosaica contiene di principio e nelle sue disposizioni pi essenziali tutto il rigore del rabbinismo, un rigore che n il ritorno alla sua purezza n la sua purificazione, se non vuole interamente dissolversi, pu realmente liberare dai precetti del Talmud. In breve, la legge mosaica non pu pi in alcun modo essere osservata. L'elogio che le vien fatto punito dalla sterilit di quella stessa menzogna. Quale elogio! che vien fatto in modo cos poco serio da essere praticamente smentito nella vita di tutti i giorni. Quale dottrina etica! che resta senza alcuna influenza sulla vita reale e i cui comandamenti non vengono minimamente seguiti. Quale principio morale! inapplicabile se solo oltrepasso i confini del Paese nel quale unicamente pu essere osservato. Poich gli ebrei celebrano il mosaismo come la dottrina etica pi pura, come il robusto sostegno delle virt sociali e civili, queste stesse virt vengono a trovarsi decisamente a mal partito: come minimo esse devono cavarsela da sole e fare affidamento sulla loro perfezione interna, perch da molto tempo ormai la storia ha spezzato il loro "saldo sostegno" e, ancora per molto, non vi alcuna possibilit che esso possa essere nuovamente restaurato. Ma i politici pi saggi, quelli che rispettano l'ebreo solo quando questo legato alla legge dei suoi padri, vorrebbero nuovamente riunire a Canaan tutti gli ebrei, vorrebbero che essi riacquistassero l'antica fede e che vivessero nelle stirpi, in mezzo alle quali viene stimolato e tenuto vivo il loro fanatismo. Non fornendo agli ebrei questa loro antica esistenza storica e non essendo in grado di procuragliela nuovamente, le loro chiacchiere sulla fedelt al Vecchio sono tanto vuote quanto quelle degli ebrei sul culto delle cose sacre adorate dai loro padri. L'idea che l'ebreo viva nell'obbedienza a una legge alla quale di fatto non obbedisce n pu pi obbedire, , nel migliore dei 68

casi e a dir poco, fantasiosa. Si tratta di un autoinganno e di un'illusione che pu sussistere solo perch si prescinde dalla massa dei comandamenti che ora come ora sono inapplicabili. Se i singoli comandamenti divenuti impossibili vengono realmente osservati e se si deve pensare al modo illusorio e apparente in cui possono essere eseguiti, ci non pu dar luogo che a una sofistica infinita. La sofistica, la casistica, l'accumulo di innumerevoli distinzioni e la loro suddivisione in nuove piccolissime differenze diventa infine il surrogato della reale osservanza della legge o, piuttosto, l'unica e, come vedremo, l'unica corretta sua osservanza. La legge diventa la legge di un mondo chimerico e assume essa stessa una forma chimerica. La legge mosaica divenuta chimerica, il mosaismo idealizzato, cio il mosaismo fantastico e sospeso per aria, che vive solo nella testa del sofista, attualmente l'unico mosaismo adeguato. Questo mosaismo non ha nemmeno bisogno di essere inventato: gi dato nel Talmud. ll Talmud rappresenta lo sviluppo della legge mosaica e dell'intero Vecchio Testamento, ma uno sviluppo chimerico, illusorio e inconsistente. Questo sviluppo illusorio perch una mera scheggia del Vecchio, una contrattazione e un mercanteggiare con il Vecchio, una sua ripetizione annacquata, e non una nuova creazione. Esso inconsistente e chimerico perch non osa arrivare alla rottura con il Vecchio, con quel Vecchio diventato oltretutto impossibile; esso deve rinunciare alle sostanziali condizioni di vita del Vecchio, ma ci nonostante non ha il coraggio di creare un nuovo mondo a partire da un nuovo principio. Esso non lotta neppure contro il Vecchio: ma dove mai si avuto uno sviluppo energico e vivificante che non avesse dato la sua forma e prodotto riconoscimento a un nuovo principio se non nella lotta contro il Vecchio? Il Talmud non rompe la forma del Vecchio per dare spazio al contenuto dello spirito, ma solamente una raccolta dei frammenti e dei pezzi nei quali si era disgregato il Vecchio dopo essere stato mandato in frantumi dallo spirito alla ricerca di una nuova forma. Lo sviluppo del Vecchio Testamento nel Talmud non assolutamente un atto di libert, non uno di quegli atti eroici della storia che testimoniano la forza e la capacit di sviluppo creativo dello spirito umano; i rabbini hanno solo raccolto i frammenti dopo che una rivoluzione storica, non provocata da loro, ha distrutto il Vecchio. Al massimo hanno ulteriormente sminuzzato e polveriz69

zato completamente i frammenti. ll mosaismo reale diventato una cosa impossibile. L'ebreo che intende obbedire semplicemente alla legge mosaica, vive in un'illusione. Il Talmud il mosaismo divenuto privo di fondamento. Hanno perci ragione quegli ebrei che non ne vogliono sapere di un ritorno al mosaismo, anche se solo nella misura in cui non vogliono riconoscere un tale ritorno: quando indicano ci che vogliono mettere al posto del mosaismo e quando, al tempo stesso, hanno intenzione di andare al di l del Talmud, allora non fanno altro che ritornare al mosaismo illusorio, che costituisce il punto di unione di tutti i partiti ebraici. Il ritorno al Vecchio Testamento, si dice "nell'istanza del 1831 dei seguaci di fede ebraica al Duca Wilhelm von Braunschweig", non sarebbe altro che un regresso culturale. Il Talmud rappresenta il perfezionamento sempre maggiore di Mos e dei Profeti, il passaggio nell'attuale ebraismo compreso nel suo eterno progresso. La prospettiva nella quale si trova ora la nostra religione di gran lunga superiore a quella del cosiddetto mosaismo. Superiore lo realmente, ma solo perch si levata pi in alto nelle regioni celesti del mondo chimerico. Di contro, elevandosi pi in alto, non ha piantato pi profondamente le proprie radici nel mondo reale, non si legata pi saldamente agli interessi etici dell'umanit. l'innalzamento sul pregiudizio, ma al tempo stesso l'elevamento del pregiudizio a categoria astratta. Il pregiudizio morto, ma risorto in questa posizione superiore come immortale vita uniforme. Ha perso i suoi elementi grossolani, ma conduce ormai una vita vacua. In questa posizione superiore, come illustrato ad esempio dal Sig. Salomon nella sua "Missiva al Sig. Frankel" (1842)", Israele ha rinunciato all'idea di indipendenza nazionale, non associa pi la sua salvezza al possesso di un angolo di terra, ed ha addirittura rinunciato ad una futura liberazione ad opera del Messia. Il suo tempo messianico sarebbe giunto piuttosto con l'emancipazione e la sua attesa messianica non sarebbe altro che il suo desiderio di essere liberato dalla schiavit politica e dall'oppressione politica. A queste condizioni ed esse sono realmente presenti, quelle dichiarazioni, fatte nel nome di Israele, sono sincere, e da questo punto di vista Israele non pensa realmente pi all'indi70

pendenza nazionale, a Canaan e al Messia sembrerebbe che l'emancipazione possa essere realizzata immediatamente se solo gli Stati nei quali vivono gli ebrei realizzassero a loro volta le condizioni necessarie a questo compito. Tuttavia proprio nel punto in cui la nazionalit degli ebrei e tutto ci che li rende ebrei sembra essere svanito, proprio qui si mostra in tutta la sua forza l'essenza ebraica: essa sa rimaner salda proprio nella sua perdita, e quindi, anche se in genere rende l'emancipazione impossibile, nell'istante in cui sembra essere pi vicina all'emancipazione, si allontana massimamente da essa. La possibilit dell'emancipazione dovrebbe essere stabilita unicamente dalla costituzione politica o dal futuro degli Stati in cui vivono gli ebrei, dal loro rapporto con essi e dalla loro capacit di sviluppo. Tuttavia anche dal punto di vista dell'ebraismo illuminato, gli occhi sono cos poco aperti ai reali rapporti di questo mondo che lo sguardo rimane orientato solo verso l'alto, verso la prerogativa chimerica, religiosa e politica di Israele. La divinit, si dice ora, ha grandi progetti per gli ebrei come se la questione non fosse invece di sapere quanto manca allo sviluppo dei rapporti statuali e alla cultura degli ebrei affinch possa essere eliminata la barriera che attualmente divide gli ebrei dai sudditi dei governi cristiani, cio come se la questione non dipendesse dal fatto che la barriera venga superata da entrambe le parti. Inoltre, da questo punto di vista, si dice che non da considerarsi impossibile che il nome degli ebrei appaia nuovamente libero e indipendente sarebbe dunque questa l'emancipazione alla quale aspira l'ebreo illuminato, sarebbe questa la vera integrazione negli interessi statuali, l'uguaglianza civile con i concittadini o addirittura la genuina partecipazione agli interessi universali dell'umanit? Che l'ebreo riesca a far s che il suo nome appaia nuovamente libero e indipendente? Se l'ebreo, senza saperlo, al posto dell'emancipazione reclama piuttosto l'esistenza autonoma del suo popolo quindi l'assurdit di poter iniziare nuovamente daccapo la sua storia, vale a dire una fatica inutile, dal momento che la sua seconda storia sarebbe la stessa e terminerebbe esattamente come la prima allora deve ancora concedere alla sua coscienza ebraica la soddisfazione di tirare le conseguenze ultime del suo particolarismo. Ad esempio Salomon, nella missiva gi citata, dice che la religione ebraica sarebbe la religione universale, quindi la religione che deve superare la super71

bia e l'alterigia delle religioni positive: ci significa che il carattere esclusivo dell'ebraismo riuscir finalmente ad escludere tutte le altre religioni esclusive ma ogni religione deve necessariamente essere esclusiva. Tutte le garanzie, anche quelle dell'ebreo illuminato, relative al fatto che egli non penserebbe ad una nazionalit autonoma del suo popolo, sono, per quanto possano essere sincere, illusorie. Nel momento in cui le esprime, nello stesso istante e con le stesse parole con le quali le espone, egli deve revocarle e negarle. Fintanto che vuole rimanere ebreo, non pu e non gli concesso negare la sua essenza, l'esclusivit, l'idea della sua destinazione particolare, il dominio assoluto, per farla breve la chimera del pi mostruoso privilegio. Tanto peggio per lui se, nell'istante stesso in cui protesta contro questa chimera, continua a salvaguardarla e parteggia per essa la prova che l'idea del privilegio cresciuta assieme alla sua essenza. E, per quanto ci non sia possibile, volendo egli fare attenzione e tenersi verbalmente lontano da ogni frase contraria alle sue assicurazioni ma, ancora una volta, ci non possibile! egli confuterebbe certamente con le sue azioni i suoi pi bei discorsi di umanit e di uguaglianza, poich egli dichiara impuri tutti quelli che non sono ebrei e, in quanto ebreo, deve necessariamente dichiararli tali. Le sue leggi alimentari sono la dichiarazione che tutti quelli che non sono ebrei non sono suoi eguali, non sono suoi simili. In breve, il mosaismo ha finora sempre saputo affermare il suo dominio tra gli ebrei. Come mosaismo divenuto sofisma, esso domina nel Talmud ed un'illusione se alcuni illuministi credono di poter ritornare al puro mosaismo; e per quelli che credono di essere gi molto vicini all'eguaglianza con i sudditi dei governi cristiani o con i cittadini dei liberi Stati, l'illusione andata tanto in l che essi cercano ancora di conservare il privilegio che il mosaismo gli conferisce, mentre pensano di averlo abbandonato. Qui tutto illusione! Ma ancora di pi! Il mosaismo era un'illusione anche quando il popolo era ancora indipendente e aveva una vita storica. Ne daremo una piccola dimostrazione mostrando il modo inconseguente con cui la coscienza del popolo ebraico agisce verso le conseguenze del suo sviluppo storico, cio come riduce ad illusione il suo proprio sviluppo. 72

L'INCOERENZA E L'OSTINATEZZA DELLA COSCTFNZA DEL POPOLO EBRAICO

Per ogni passo che si vuol fare nelle discussioni religiose bisogna tener conto che il pregiudizio teologico si sforzer di impedirlo. Cos per il passo che siamo ora in procinto di compiere abbiamo a che fare con teologi cristiani ed ebrei che lottano per affermare che la legge veterotestamentaria insegnerebbe l'amore umano universale e la moralit. Nelle mie lettere sul Signor Dr. Hengstenberg (Berlin, questa faccenda stata trattata in modo tale da rendere ) 1839)141 impossibile ogni obiezione; esse sono una sentenza contro quelli che vogliono trasformare ad ogni costo la legge in una legge morale. Per la questione che ci interessa in questa sede sono sufficienti le seguenti osservazioni. Per l'ebreo solo il suo connazionale fratello e prossimo, tutti gli altri popoli al di fuori di esso sono e devono secondo la legge devono necessariamente apparirgli come privi di legittimit e senza diritto. Se gli altri popoli non hanno nessun diritto di esistere accanto ad esso, allora la differenza tra essi e il popolo che solamente in possesso di ogni diritto e di tutta la verit deve scomparire, i membri della nazione estranea, che si trovano all'interno della vera e unica nazione, devono sparire. Ci in parte accaduto con gli stranieri di cui spesso parla la legge. Si presuppone che essi si pieghino all'essenza della legge del popolo e, proprio in ragione di questa inclinazione a piegarsi, che restino in mezzo ad esso. Cos, in parte, non sono pi degli estranei e, nella misura in cui non lo sono pi, vengono raccomandati alla benevolenza del popolo. Ma nel momento stesso in cui la legge sembra essere pi vicina all'idea dell'amore umano universale, si allontana da esso e ritorna nuovamente nei limiti della nazionalit esclusiva. La clemenza, o piuttosto le buone azioni che si devono compiere verso lo straniero, gli sono concesse in quanto straniero. Egli e rimane uno straniero, e se l'ebreo entra in rapporto con esso, non si rapporta a lui come l'uomo con l'uomo; se gli fa del bene, non glielo fa come uomo verso il suo simile: l'ebreo resta ebreo e lo straniero straniero. Egli rimane uno straniero cos come il popolo la legge fa addirittura esplicitamente menzione a un tale rapporto era parimenti straniero in Egitto. 73

Non serve a nulla che lo straniero si pieghi all'essenza della legge del popolo, alla fine non serve a nulla nemmeno l'obbligo della legge stessa a considerare la differenza tra il popolo e i popoli come un'apparenza che non dovrebbe neppure esistere: piuttosto, se essa non smette di considerare lo straniero come uno straniero, ristabilisce continuamente la differenza. Essa non sarebbe pi la legge, la quale considera quella differenza come un'apparenza illegittima, se non ponesse e consolidasse continuamente quella stessa differenza. Questa contraddizione diventa enorme quando si dice che Jehova nel tempo del Messia si riveler come il Dio dei popoli e li accoglier nella sua comunit. Nella stessa contraddizione cade la dichiarazione che Jehova avrebbe piacere dell'amore, e non del sacrificio. Tutte queste opinioni e dichiarazioni si propongono niente di meno che la difesa dell'onore dell'ebraismo: a questo fine le hanno volute utilizzare gli apologeti cristiani ed ebrei. Esse servono piuttosto a rendere ancora pi grande la sua colpa e a far conoscere, nel loro assoluto rigore, il suo rigore. Si tratta di offese contro lo specifico principio dell'ebraismo della legge concezioni che si formarono nella lotta contro il fanatismo, la limitatezza e l'esteriorit della legge tentativi che l'ebraismo ha fatto per oltrepassare i suoi limiti originari, quindi inconseguenze dell'ebraismo verso se stesso. Ma restano inconseguenze. L'essenza dell'ebraismo consiste nel suo essere inconseguente. La sua consequenzialit consiste nell'essere e rimanere inconseguente. Quelle dichiarazioni sono delle offese contro l'esistente, un attentato contro ci che ha valore nel popolo; gli uomini che si sono resi colpevoli di queste offese, sono perci stati abbandonati, rinnegati, perseguitati e lapidati dal popolo. In quanto inconseguenze, concezioni particolari, esse sono state ripudiate e sconfessate dall'intero, dallo spirito dominante della legge, dal positivo e da ci che realmente vigente. Tutta la storia ebraica le ha trattate come delle inconseguenze; nel corso del suo sviluppo storico, cio, lo spirito del popolo ebraico fu talmente inconseguente che non pens ad attuare le concezioni riformatrici che gli si erano offerte. Anche se si affermava che Jehova voleva accogliere tutti i popoli, continuava per a sussistere, non affievolita, l'esclusivit della legge e della vita del 74

popolo; l'idea che a Jehova piacerebbe l'amore e non il sacrificio non incit nessun ebreo a porre la legge dell'amore al posto del culto del sacrificio. Sull'inconseguenza vinse invece la consequenzialit del principio di esclusione, della limitatezza e del meccanismo senza anima, nel quale doveva ricadere tutta l'essenza esteriore del sacrificio. Questa potenza della consequenzialit si spinge tanto in l da conquistare anche la coscienza individuale nella quale si erano formate quelle concezioni superiori. Lo stesso autore che espressamente e ripetutamente supera ogni differenza tra gli ebrei e i popoli, ad esempio, l'artefice della cosiddetta seconda parte di Isaia, capace dell'inconseguenza di riprodurre questa differenza nel modo pi duro e di dire che, in futuro, i popoli saranno gli schiavi degli ebrei. Non esiste spirito del popolo pi insicuro e inconseguente di quello ebraico: esso si sviluppa in contrapposizione alla sua limitatezza e si abbandona in concezioni che dovrebbero superare la sua legge, ma non prende il progresso seriamente, non procede realmente in avanti, rimanda ad un lontano futuro ci che gli appare essere l'autentica verit, lasciandola cos inalterata nel presente; ma, al tempo stesso, fa s che anche in futuro la verit non sia presa seriamente e che la vittoria sia piuttosto riservata alla limitatezza ci significa che non c' nessuno spirito del popolo pi conseguente di quello ebraico: nel progredire, esso non progredisce realmente, nello sviluppo non si sviluppa e, nonostante le idee superiori che gli si sono imposte, resta ci che . Questa consequenzialit non altro che ostinazione egoistica, che nega le vere conseguenze dello sviluppo storico e le perseguita come inconseguenze. Se la religione ebraica rappresentava la fede di questo determinato popolo nella sua unicit, il suo sviluppo storico doveva avere come esito la mancanza di fedelt in se stesso del popolo; poich credeva di essere in possesso della verit universale, doveva anche porre la verit come un possesso universale di tutti e distruggere la sua limitatezza nazionale. In quanto ebreo, nella misura in cui vuole rimanere ebreo e vuole in generale rimanere il popolo che in possesso della verit, il popolo non pu raggiungere questo fine del suo sviluppo storico e non pu ammettere che esso sia raggiunto. La sua storia non pu venire a 75

capo di se stessa. La sua fede in se stesso impedisce all'ebreo di avere una storia; se l'ebreo non pu in ogni caso sfuggire allo sviluppo storico, allora, quando questo sopraggiunge, deve negarlo. La sua fede in se stesso, cio la sua religione, che lo porta necessariamente alla mancanza di fede in se stesso, gli impone al tempo stesso di rimanere ci che . Ma in queste circostanze egli non pi ci che era (l'ebreo che era capace di questo determinato sviluppo, che aveva questo sviluppo davanti a s e doveva necessariamente porlo): dopo lo sviluppo e dopo averlo negato, egli piuttosto l'ebreo che esiste contro l'intento della sua storia e, quindi, anche nonostante la storia. l'ebreo che esiste in opposizione alla sua destinazione in breve, l'ebreo antistorico. L'ebreo ostinato e conseguente, ma solo nell'incoerenza e nell'inconseguenza. Dato che deve essere cos ostinato e incoerente, poich non pu pi essere l'ebreo della legge, l'ebreo dell'esclusione, vale a dire l'ebreo reale, se realizzasse le idee alle quali lo portano la sua storia e la sua fede in se stesso, trasformerebbe la sua intera essenza in una contraddizione, la sua esistenza in un'esistenza patologica e addirittura in un torto. Dal momento che egli persiste nel suo carattere esclusivo e si attiene alle minime prescrizioni della legge come fossero comandamenti supremi ed eterni, a dispetto del fatto che fu riconosciuta la falsit del suo carattere esclusivo e della sua essenza legale, egli degrada le verit dei suoi profeti a falsit; i profeti stessi, poich la loro sensibilit e le loro parole sono conformi allo spirito del popolo ebraico e non stanno al di fuori del loro popolo, rimandano al futuro l'attuazione di quelle verit. Quali verit! Che in quanto divine devono necessariamente essere eterne, gi ora valide, e che invece dovrebbero valere solo nel futuro! Quali idee! Che non possono pretendere di avere alcuna influenza sulla vita del popolo se il privilegio del popolo non dev'essere abbandonato! Il popolo doveva soffrire una contraddizione a causa della quale sarebbe infine andato in rovina. Lo sviluppo etico di un popolo pu consistere solo nel fatto che esso compia seriamente le pi alte idee sorte nella sua coscienza, che lavori con passione per esse e che addirittura, al caso, si sacrifichi per esse. Il popolo ebraico si ribellato allo sviluppo e quando fu eccitato dalla passione ci accadde molto spesso e pot accadere in modo molto forte ci ebbe luogo 76

solo per un privilegio, e se infine si sacrific come popolo, esso soffr solo perch voleva affermare un punto di vista contrassegnato come falso dal risultato del suo proprio sviluppo. E se esso ha a che fare con delle idee superiori, idee alle quali la coscienza ebraica si era elevata, la questione sapere se l'esistente, il positivo e la legge potevano rendere etico quel popolo.
LA VITA CONFORME ALLA LEGGE DELL'EBREO

Dopo i chiarimenti forniti dalla critica moderna circa il modo in cui si sviluppano i popoli e le comunit religiose, la formulazione esatta della questione consiste piuttosto nel sapere se un popolo, che ha prodotto una legge come quella mosaica, poteva possedere e conoscere una vera eticit. Le leggi religiose sono l'espressione, scaturita dai popoli stessi, di ci che essi ritengono essere la loro vera essenza; un'espressione che essi hanno riprodotto nella storia sacra, come ad esempio quella dei patriarchi, dei profeti e dei re, nella forma dell'esposizione ideale della loro essenza. Nelle loro leggi e nella loro storia sacra i popoli hanno portato alla luce la loro intimit, l'hanno rivelata ed espressa, e se tale espressione della loro essenza retroagisce su di loro, le conseguenze sono da considerare soltanto o come un loro merito o come una loro colpa. Che cosa sono dunque gli ebrei secondo le loro dichiarazioni quali le possediamo nella loro legge e nella loro storia sacra? Innanzitutto un popolo non libero. Essi non sapevano ancora che le leggi esprimono la natura dei rapporti e valgono come le leggi interiori e naturali di questi rapporti. Non potevano quindi dare ragione di ci che chiamavano legge. Nel momento in cui presso di loro prese forma qualcosa che noi, se abbiamo in mente la nostra idea di una legge relativa ai rapporti secolari solo impropriamente possiamo chiamare legge, quella legge era per loro qualcosa di estraneo, di inesplicabile e assolutamente sproporzionato: era la volont di Jehova. Per farla breve si trattava di una determinazione che non aveva assolutamente nulla a che fare con la natura dei rapporti per i quali essa doveva essere una legge. La legge semplicemente arbitraria e loro sono i suoi schiavi, che devono obbedire senza sapere il perch e addi77

rittura senza che sia loro nemmeno permesso chiedere il perch. Uno spirito del popolo che si d leggi e si pone in relazione con esse in questo modo, interiormente cupo e chiuso. Esso si sviluppa, ma senza sapere come; il suo sviluppo senza libera coscienza e quindi anche senza un contenuto umano universale. Esso esce dalla propria chiusura per esprimere ci che gli sembra essere giusto e vero, ma solo per un istante, per chiudere subito dopo nuovamente gji occhi di fronte a ci che ha espresso. La sua propria opera per esso la volont e l'azione di una potenza estranea, cio della potenza divina. Da un'interiorit cos ristretta e chiusa non possono sorgere delle verit universali. Se capita eccezionalmente che nel Vecchio Testamento siano stabiliti dei precetti universali, come ad esempio il "dovete essere santi, perch io sono santo"142, anche questi precetti sono ugualmente gettati l in modo arbitrario: essi sono sconnessi, caotici, privi di ogni sviluppo, di fondazione interiore e di ogni connessione perch ad esempio il popolo dovrebbe essere santo se Jehova lo ? Qual il legame essenziale fra i due? Perch proprio questo popolo a dover essere santo dal momento che Jehova lo ? per farla breve, questi stessi precetti universali sono arbitrari. Quindi, da questo punto di vista, tutte le leggi sono arbitrarie e il loro contenuto il pi accidentale. Che per esempio sia l'olio il mezzo con il quale viene conferita la santit a una persona non deriva n dalla natura dell'olio n dall'essenza della santit (non ci soffermeremo qui sul fatto che la santit costituisca in genere la separazione arbitraria tra gli interessi naturali e spirituali degli uomini e che quindi l'arbitrio stesso possa arbitrariamente scegliere i mezzi con i quali esprimere questa separazione: qui intendiamo la santit in genere come la determinazione universale, cos come la presuppone il Vecchio Testamento) ma che poi l'olio santo debba addirittura essere composto con questi e questi altri ingredienti, che addirittura gli ingredienti debbano essere scelti in queste determinate quantit, che gli abiti di certe persone debbano essere confezionati con questi determinati tessuti, e che questi tessuti debbano essere esattamente di questo o quel colore, che i peccati vengano espiati attraverso l'uccisione di animali privi di ragione, che in certi casi ben definiti gli animali debbano essere questi determinati animali, che in casi particolari debbano essere bruciate queste o quelle parti di animali, tutto 78

ci non altro che arbitrio. La scienza contemporanea comprende questo arbitrio. La critica sa interpretare i riti e le cerimonie del culto ebraico; essa ha cio scoperto come sono sorti, che senso e che rapporto abbiano le singole parti con l'idea spirituale del tutto. Per prima cosa va per detto che ci sono certamente dei riti totalmente arbitrari e assolutamente indecifrabili; ci sono poi delle usanze la cui interpretazione possibile in quanto espressione assolutamente inadeguata dei .,ntimenti e delle faccende interiori dell'uomo: il loro legame n l'intimit dell'uomo si limita a un accordo assolutamente oscuro con esso; infine, all'ebreo che si conforma alla legge, non assolutamente lecito interpretare o voler sapere interpretare le prescrizioni della legge. La vera vita consiste per lui nell'osservanza di riti arbitrari e incomprensibili. L'elemento arbitrario per lui l'essenziale e la sua stessa essenza; questa o quella parte degli abiti, questo o quel loro colore sono per lui questioni essenziali. Non permesso trattare ci che arbitrario e accidentale come arbitrario e come accidentale. D'altra parte non c' qui alcuna distinzione tra ci che accidentale e ci che necessario. L'elemento accidentale il vero e il necessario, e l'elemento essenziale il futile e l'indifferente. La costruzione di una casa, la sua riparazione, l'uso delle posate, eventuali malattie, la scelta degli alimenti, tutti questi elementi arbitrari sono sottratti all'arbitrio, alla sua propria natura e carattere, per essere elevati nel mondo dell'unico essere, che costituisce l'unico contenuto di quel mondo. La guarigione dalle malattie non avviene attraverso la medicina, la scelta dei cibi non oggetto della dietetica, la pulizia delle pentole non un affare domestico, ma tutte esprimono la pi alta faccenda della vita, una faccenda religiosa. L'ebreo dimostra la stessa illibert e la stessa dipendenza da ci che in s indifferente nella sua idea che l'anima e lo spirito umano possono essere alterati dalla natura, che ad esempio possono essere resi impuri da determinati cibi, da certi sviluppi naturali del corpo, dal contatto con dei cadaveri. Quando lo spirito teme la natura ed convinto di poter essere contaminato da essa, esso non s ancora completamente distinto dalla natura o, in altre parole, la natura ha per esso un valore immediatamente spirituale e rappresenta addirittura una superiore potenza spirituale. 79

L'ebreo fu incapace di arte e di scienza perch mancavano al suo spirito la liberalit e l'estensione necessarie per iniziare un rapporto libero ed umano con altri popoli, per occuparsi liberamente e teoricamente della natura e degli interessi umani. La sua intera essenza limitata, contratta e, infine, imprigionata nelle faccende pi strane, futili e insignificanti: nelle pentole, nelle posate, negli abiti e nei contenitori dell'unguento. La gerarchia, l'ordinamento a caste solo uno dei modi determinati nei quali si assoggettato lo spirito ebraico del popolo. C' gerarchia ovunque lo spirito del popolo, in tutti i suoi membri, non ha ancora la forza, la liberalit, la mobilit o la capacit di svilupparsi. All'interno del popolo esso necessita di un particolare popolo per ottenere la sua esistenza specifica, vale a dire per ottenere l'esistenza ristretta e vincolata che corrisponde al misero grado della sua formazione e, all'interno di questa esistenza ristretta, esso sceglie il gran sacerdote, oppure lascia che sia la natura e la nascita ad assegnare quel ruolo ad un unico individuo, nel quale solamente esso acquista la sua vera e propria esistenza. Questo solo il popolo vero e in senso proprio. L'essenza suprema dell'ebreo della legge o piuttosto di colui che nella sua esistenza esclusiva, particolare e accidentale le vincolato questa essenza suprema in se stessa inconsistente poich non dimostra la sua universalit nell'azione, ma si interessa piuttosto solo delle miserie e si manifesta nell'arbitrio. Essa la contraddizione stessa e, per affermarsi, deve affaticarsi e infervorarsi. Il suo fervore non perci uno sviluppo razionale del suo significato universale, ma ha la forma d un'improvvisa e brusca esternazione, della vendetta che si mostra repentinamente capace di una dimensione teoretica solo quando si tratta di essere creativa nello stabilire le pene corporali. C' qui teoria solo per il codice penale. Il popolo esprime in tutta la sua storia; nella sua lingua e in tutto il suo carattere, questa incoerenza della sua essenza. Esso vuole essere il Tutto, l'Unico, l'Uno, l'Universale. Ma esso qualcosa di unico solo in quanto ha legato la sua intera essenza in questo unico apice, con una violenza tale che non v' pi posto per alcun interesse universale, e quindi tutto ci che altro da questo unico apice deve essere negato e scansato come ingiustizia, idolatria e peccato. La superbia e la boria di un popolo che crede solo in se 80

stesso e che, in quanto l'Unico popolo, vuole essere tutto, sono provocate e sostenute dal fatto che ci sono comunque dei popoli, ma, per lo stesso motivo, sono anche rese instabili e incerte. L'Unico popolo non ci che deve essere, Uno, Unico e Universale, quando ci sono altri popoli. Esso si inganna sul proprio conto se ci sono dei popoli felici e possenti, e, per non abbattersi completamente, per non disperarsi, deve restare tanto pi energicamente fedele all'idea della sua Unicit ed inebriarsi nella propria convinzione che gli altri popoli sono ingiusti ma essi sono ingiusti per il solo fatto di esistere come popoli, di esistere cio sotto l'apparenza dell'essenza del popolo, il cui principio spetta invece solo al popolo Uno e vero. La durezza, la rozzezza, la ferocia e la crudelt erano e dovevano essere le caratteristiche specifiche di questo popolo nelle sue guerre, poich esso combatteva contro popoli che, ai suoi occhi, erano assolutamente privi di legittimit. Si parlato del valore militare degli ebrei: ma il valore militare, cio la calma e la tranquillit nel mezzo della battaglia, la coscienza di combattere per uno scopo che si sa essere garantito e illeso anche nel caso in cui si soccomba come singoli o qualora la sorte decida sfavorevolmente l'esito di una battaglia questo valore militare si ritrova solo tra i Greci e i Romani. Ci che stato chiamato il valore militare degli ebrei non era altro che uno slancio selvaggio contro un'opposizione ingiustificata, furore dell'annientamento, il fuoco divoratore dello spirito animale, uno slancio senza ritegno e smisurato, al quale, in caso di cattiva sorte e insuccesso, segue un avvilimento altrettanto senza ritegno, e quindi, di nuovo, un altrettanto energico levarsi all'idea della prerogativa esclusiva del popolo. Da nessuna parte, quindi, e in nessun rapporto si possono trovare eticit, contegno etico e vera umanit! una mancanza che si mostrer in tutta la sua chiarezza quando prenderemo in considerazione il rapporto del popolo con la sua legge. Sarebbe venuta meno la prima condizione di una tranquillit interiore e del consolidamento dello spirito del popolo se la realt, l'esistenza accanto ad altri popoli, fosse stata smentita e fosse passata in secondo piano rispetto all'idea che questo Un popolo doveva essere l'unico popolo reale. Incessantemente ogni movimento della storia costituiva una prova che il popolo era infinitamente lontano dalla sua idea; la stessa esistenza nazionale 81

del popolo costituiva una continua negazione della sua idea. Ma se ora esso si sente realmente un popolo, che vive le passioni di un popolo e si apre ai sentimenti naturali propri dei popoli, in tal caso contraddice di fatto la sua idea secondo la quale esso dovrebbe essere santo, dovrebbe sottrarsi ai sentimenti naturali degli altri popoli e quindi condurre una vita totalmente ritirata e solitaria. Potendo sentirsi come un popolo reale e laico solo a scapito della sua idea, questo sentimento di s, poich era isolato e separato da ogni idea e da ogni legge universale, doveva essere solo qualcosa d confuso, di caotico, di cupo, una macchinazione oscura e ingarbugliata, un conflitto interiore. Gli ebrei non hanno mai potuto portare il popolo a unit, a una totalit statale e a un ordine interno. La loro legge era dunque gi in s la negazione di s. Se, nel momento in cui sorge, essa appare e si presenta al popolo come qualcosa di estraneo, come una volont imposta, allora essa stessa a sottrarsi dalla vita del popolo e a separarsi dal cuore nel quale dovrebbe risiedere. Nel momento in cui sorge, respinge da s il popolo e questo, da parte sua, agisce allo stesso modo, cio respinge la legge. La storia ebraica racconta solo di un'ininterrotta serie di rivolte contro la legge, apostasia dopo apostasia; solo per un istante la legge fu in qualche modo riconosciuta, e cio quando costitu l'occasione per dare inizio alla ribellione del Nuovo. Gli ebrei sono dunque l'unico popolo nella storia del mondo che non si mai potuto conciliare con la propria legge: esso la seguiva solo quando cessava di essere un popolo ed aveva perso la sua indipendenza nazionale. Questo era scontato e non ci si poteva aspettare nulla di diverso dal momento che la legge non poteva sussistere che nell'estraneit rispetto all'essenza del popolo; essa non poteva stabilire alcun rapporto razionale con le reali faccende del popolo, poich il suo compito era piuttosto solo quello di porre la totalit dei rapporti politici sulla testa. Questa la legge se la si pu ancora chiamare legge che regna in un mondo fantastico. L'uguale ripartizione della propriet, che la legge prescrive e presuppone, impossibile e non ha mai avuto luogo tra gli ebrei; le disposizioni del Pentateuco per mantenere questa uguaglianza sono puri postulati e fumose invenzioni aritmetiche; un anno del giubileo, come voluto dalla legge, impossibile e, cos come la legge lo prescrive, non mai stato celebrato. L'intero rapporto della vita del popolo con il 82

Sacro, com' richiesto dalla legge, non ha mai avuto luogo e non solo impossibile solo in un modo fantastico, ad esempio, tutti gli uomini di un popolo, per tre volte l'anno e nello stesso momento, lasciano le loro abitazioni e, mentre celebrano le grandi feste davanti al tempio, lasciano impunemente indifesi i confini del Paese ma la maggior parte delle leggi qui menzionate sono addirittura cavillosamente ricavate e poste nel loro nesso ideale solo quando il tempio, del quale presuppongono l'esistenza, non esisteva ormai pi da molto tempo. Popolo e legge erano semplicemente opposti e dovevano esserlo, senza mai poter colmare o appianare la contrapposizione. La legge si faceva beffe dei rapporti politici e mondani, il popolo la considerava come la sua essenza, il suo destino di non essere un popolo reale, cio un popolo accanto ad altri popoli. Esso voleva essere il popolo del miracolo, possedeva quindi la legge del miracolo e non poteva minimamente integrarsi in questo mondo e nelle sue reali leggi etiche. Se esso deve rimanere fedele alla legge e se l'ebraismo vuole preservarsi come tale, allora il rabbinismo la vera forma della legge, e la segregazione il vero compimento della legge. Il popolo ebraico non volle essere un popolo come gli altri, un popolo in senso proprio, un popolo accanto ad altri. Ebbene! divenuto ci che voleva essere: un popolo come nessun altro. Esso non pi realmente un popolo tra i popoli, e non per questo ha cessato di essere un popolo. diventato realmente il popolo del miracolo, il popolo dell'illusione e della chimera. Proprio per questo la legge divenuta compiutamente ci che fondamentalmente fu sempre stata: la legge di un mondo fantastico, assolutamente contrapposto al mondo reale nel quale vivono i suoi servitori la legge dell'illusione, della chimera, di un calcolo e di una combinazione fantastica e sofistica. La domanda relativa al punto di vista etico del tardo ebraismo ha con ci gi avuto risposta. Non dobbiamo far altro che ripresentare concisamente quella risposta.
IL PUNTO DI VISTA ETICO DEL TARDO EBRAISMO

La legge resta nell'impossibilit e nell'incapacit di dare al popolo un sostegno etico interiore. 83

Poich essa consta di disposizioni arbitrarie e non prende in considerazione la natura dei rapporti reali nei quali il popolo vive, essa gli conferir una straordinaria durezza e far s che esso possa restare immutato in mezzo agli altri popoli; ma la legge raggiunger questo suo scopo solo impedendo al popolo di prendere parte agli interessi degli altri popoli o anche solo di farsi un'idea di ci che muove la sua vita storica. L'obbedienza verso l'intera legge, poich di fatto impossibile com' sempre stato non potr essere che un'obbedienza teorica: elucubrazione, casistica e sofistica. La durezza e la violenza di questa sofistica tanto pi grande in quanto essa non ha a che fare con determinazioni relative ai rapporti umani universali, ma con disposizioni riguardanti questo popolo particolare, addirittura questo popolo in questa particolare situazione in Terra Santa (in un contesto di popoli che erano ancora dipendenti dalla natura e legati alla religione naturale, pi simili a degli spiriti animali che a spiriti di popoli), il rapporto di questo popolo con la santit della legge. Solo alcune disposizioni della legge quelle cio che si riferiscono alla sfera esterna, ad esempio all'osservanza di determinati periodi, alla cura religiosa del corpo, ai cibi, a tutti quei casi dunque che, dal territorio della Terra santa, possono essere dislocati in qualsiasi altro territorio solo tali disposizioni possono essere seguite dagli ebrei in esilio. Ma no! Non possibile. Il loro rispetto diventato una vuota apparenza, poich il loro senso autentico, la loro opposizione alla religione naturale, e quindi anche il loro rapporto con essa, ormai andato perduto. Ad esempio il precetto riguardante la pulizia e la conservazione di certi cibi ha il suo senso solo in un mondo nel quale sia quelli che vi si attengono, sia quelli che devono essere posti in contrapposizione dall'osservanza di quel precetto, vedono nella natura un nemico dello spirito, il male e un regno del peccato. In Europa esso ha perduto il suo senso originario. Per tenere in piedi la vuota apparenza si deve infine ricorrere all'ipocrisia. Come se egli non fosse responsabile di ci che il servitore fa su suo ordine o per il suo piacere, ad esempio, nel giorno del sabato, l'ebreo ha bisogno di servitori cristiani che tengano acceso il fuoco nella sua casa. Ma proprio ora che l'adempimento di quelle disposizioni 84

divenuto privo di senso e mera parvenza, quelle usanze isolano pi che mai l'ebreo, in particolare dagli altri popoli; tanto pi che il suo falso zelo, privo di ogni fondamento e ridotto a una mera parvenza, deve necessariamente porre l'ebreo, che vede in questa apparenza la sua vera e suprema essenza, nonch l'essenza del suo stesso popolo, in contrapposizione con la seriet con la quale i popoli europei si occupano delle loro faccende importanti. Questa contrapposizione ancora pi radicale di quella che, nel trascorso adempimento di queste usanze, lo aveva contrapposto alle orde dei Cananei. Oggi che egli risiede in mezzo ad altri popoli, non solo la forza di esclusione dell'ebreo ha pi che mai l'occasione di dare prova di s, ma ha anche raggiunto il suo apice. Egli ancor sempre il membro del popolo eletto; ed per questo che il mondo continua ad esistere, che il sole sorge e tramonta, in attesa che giunga il suo tempo, il tempo che lo porter a dominare. L'attuale vita in segregazione solo un periodo di prova, che finir con l'avvento del Messia. Quelli che, subito e senza preamboli, vogliono vedere attuata l'emancipazione degli ebrei, ad esempio Mirabeau, hanno detto che l'attesa del Messia avrebbe impedito loro di essere dei buoni cittadini tanto poco quanto l'attesa del futuro Cristo avrebbe reso incapaci i primi cristiani di esserlo. Ma prima avrebbero dovuto dimostrare che i primi cristiani, nonostante le loro attese, erano reali cittadini di questo mondo, che la loro attesa del Signore non li ha resi indifferenti verso le faccende dell'Impero romano e di fatto non erano indifferenti a tali faccende, essi prestavano attenzione ad ogni movimento per capire se si trattava del segno premonitore del Giudizio che avrebbe posto fine al Regno di questo mondo. I difensori dell'emancipazione dovrebbero quindi prima dimostrare, cosa assolutamente impossibile, come una comunit, che vede solo nel futuro o nel cielo il tesoro caro al proprio cuore, possa partecipare seriamente e sinceramente alle faccende dello Stato e alla storia di questo mondo. Pu il cuore essere devoto a due signori? Pu essere contemporaneamente sulla terra e in cielo? Se in cielo, in terra si trover solo l'involucro senza cuore e inanimato del corpo. Gli ebrei in quanto tali non si possono amalgamare con i popoli e non possono confondere la loro sorte con quella di questi ultimi. Come ebrei devono attendere un futuro particolare, un 85

futuro che destinato unicamente a loro, dal momento che destinato a questo determinato popolo e gli garantisce la signoria sul mondo. In quanto ebrei essi credono solo al loro popolo, e questa fede la sola di cui sono capaci e alla quale sono tenuti: gli altri popoli gli paiono empi, e questa empiet necessaria e prescritta affinch non venga meno la fede nel loro privilegio. La loro fede in s soli deve costantemente infiammarsi dell'empiet con la quale essi considerano gli altri popoli. Per il modo in cui abbiamo considerato la questione e l'abbiamo semplicemente considerata per come stata considerata dalla totalit della storia fin'ora compiuta e per come doveva essere considerata secondo la natura dell'oggetto la vicenda degli ebrei sembra essere diventata pressoch disperata. La sua soluzione non apparir pi semplice nemmeno se ora specificheremo la posizione del cristianesimo rispetto all'ebraismo e dimostreremo che l'ebraismo, colpito dal cristianesimo e dallo Stato cristiano, stato colpito dalle sue proprie conseguenze in quanto conseguenze realmente compiute. Ma se c' una soluzione, la si pu trovare solo l dove la difficolt ha raggiunto il proprio apice.

III. LA POSIZIONE DEL CRISTIANESIMO VERSO L'EBRAISMO

Da molto tempo la dottrina ortodossa ha considerato l'ebraismo come la preparazione del cristianesimo e questo come il compimento di quello. Si trover quindi giusto dire che il cristianesimo l'ebraismo compiuto e quest'ultimo il cristianesimo ancora incompiuto e inconcluso. L'ebraismo si era posto come fine l'avvento del Messia, la cessazione dei riti sacrificali e la nobilitazione della legge a legge interiore della moralit e intimo convincimento. Ma non ebbe il coraggio di raggiungere questo fine. La comunit cristiana per questa affermazione diamo per presupposta la correttezza della dimostrazione della critica moderna sorse con la dichiarazione da parte dell'ebraismo che esso avrebbe terminato il proprio corso e raggiunto i suoi limiti. Essa l'ebraismo che dice a se stesso: punto! il fine raggiunto. Sono ci che dovevo essere ed ho ci che dovevo avere. La comunit, l'ebraismo che tracci questa immane riga, si quindi spinta fuori e si separata dall'ebraismo che voleva rimanere ci che da lungo tempo era, ma che non voleva raggiungere il suo fine e la sua fine. Ma se il cristianesimo l'ebraismo compiuto, non sufficiente che esso dichiari che il fine raggiunto, che il Messia arrivato e la legge portata a termine, deve anche produrre il contromodello di quello sviluppo senza fine nel quale l'ebraismo vede la propria essenza e la propria destinazione. Deve quindi, al tempo stesso, dichiarare che il fine non sarebbe raggiunto e la vera venuta del Messia, diventata ora la sua seconda venuta, il secondo avvento, sarebbe ancora da attendere. Il Messia certo stato presente, ma la sua vera rivelazione, quella rivelazione nella quale Egli si manifester nella sua vera magnificenza e inizier il dominio universale, deve ancora venire. La comunit non quindi ancora diventata ci che dovrebbe essere, essa non ha ancora ci che dovrebbe avere come l'ebraismo essa deve attendere tutto dal futuro. 87

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L'ebraismo accusa gli altri popoli e i rapporti tra popoli di essere empi; esso perci inconseguente se ha ancora fede in questo Un popolo e se tenta di fondarsi su rapporti in seno al popolo. Il cristianesimo supera questa inconseguenza. Esso rende universale l'accusa di empiet ai popoli, non escludendo dalla sua accusa nemmeno l'Un popolo e rivolgendo la sua rivoluzione contro tutti i rapporti dello Stato e del popolo. Per amore del Vangelo si devono lasciare casa, fratelli, genitori, moglie e figli143 , per riottenere poi tutto centuplicato. Ma la patria, i genitori, i fratelli, la moglie e i figli che si ottengono centuplicati, non sono pi una reale e terrena patria, non sono pi fratelli, genitori e figli reali, la moglie centuplicata non pi la moglie reale. Ci che si ottiene centuplicato solo l'apparenza di ci che si perso e a cui si rinunciato: il suo riflesso celeste. Il cristianesimo ha fatto ci che l'ebraismo ha fatto solo in modo incompleto e non conseguente; ha cacciato l'uomo dalla sua casa, dalla sua patria, dai suoi rapporti e legami terreni, ed anche dai legami con lo Stato e il popolo, per riconsegnargli tutto ci che ha perso per amore del Vangelo in una forma fantastica: una patria fantastica, una casa fantastica, un padre fantastico, una madre fantastica, figli fantastici, fratelli fantastici, una moglie fantastica. Il cristianesimo sopraggiunse quando i popoli ebbero perso la fede in se stessi e disperavano della loro vita politica. Esso l'espressione religiosa della miscredenza che i popoli avevano diretto contro se stessi: la dissoluzione dei rapporti politici e civili nel loro fantastico contromodello. Il popolo ebraico fu il popolo che propriamente non fu un popolo, il popolo della chimera e, anche riguardo ci, ancora inconseguente, poich voleva esistere come un popolo reale. Il cristianesimo supera questa inconseguenza, questa falsa apparenza dell'esistenza del popolo e crea il popolo fantastico, il popolo sacro, il popolo del sacerdozio regale144 . Il cristianesimo super i limiti del popolo e fond la comunit universale, ma port a compimento l'ebraismo anche sotto l'aspetto del compimento e dell'universalizzazione del particolarismo e dell'esclusivit. L'ebraismo escludeva solo gli altri popoli dall'Unico popolo: la comunit cristiana esclude invece ogni popolo in quanto tale e ogni nazionalit, orientando il suo fervore contro ogni popolo che volesse credere in se stesso e che, con 88

questa fede e fiducia nel proprio diritto, volesse darsi delle leggi. Esso esclude in genere chiunque conti su se stesso e su quei diritti che egli possiederebbe in quanto uomo: esclude quindi chiunque conti sui diritti dell'umanit. Esso non vuole l'uomo reale, ma l'uomo privato della sua vera umanit, l'uomo della resurrezione, l'uomo fantastico. Secondo la legge ebraica l'uomo non pu sfuggire al destino di contaminarsi in svariati modi. La natura nella quale vive lo insidia, il suo nemico e la fonte di impurit, dalle quali egli deve sempre liberarsi attraverso sacre abluzioni. Il cristianesimo prende sul serio l'inevitabilit della contaminazione ed innalza la natura impura, nella quale l'uomo vive, a natura universale, alla natura dell'uomo in genere. L'uomo per natura impuro; egli necessita quindi di un'abluzione che non toglie singole macchie, ma l'impurezza n quanto tale. A questo serve il battesimo. L'ebraismo distingue tra alimenti particolarmente puri e alimenti particolarmente impuri, non vedendo che hanno tutti Una e la stessa origine. Perci il cristianesimo consente tutti gli alimenti, in quanto sono prodotti dalla natura; solo cos esso pu portare a compimento la distinzione tra alimenti puri e impuri: ai cibi quotidiani della natura esso contrappone l'Unico, il vero, l'autentico alimento veramente nutriente, l'alimento santo e miracoloso offerto in comunione. Le leggi igieniche e alimentari separano l'ebreo dagli altri popoli; il battesimo e la comunione isolano il cristiano da tutti gli altri uomini. Esso miracolosamente puro, tutti gli altri vivono nell'impurit che, secondo la fede ebraica, inerisce alla natura umana. Per esso l'uomo in quanto tale ad essere impuro. Il popolo ebraico non ha potuto produrre alcuna reale legge dello Stato e del popolo; esso fu solo un insieme di atomi. Questo isolamento fondato nell'essenza dell'ebraismo; esso doveva quindi giungere a compimento nel cristianesimo diventando un dovere e la suprema destinazione dei fedeli. L'essere fedele deve trasformarsi in una faccenda privata e questa deve diventare la sua suprema occupazione. Egli non deve curarsi di nulla pi che di se stesso, della sua anima e della sua beatitudine, e questa deve essere tenuta in cos alta considerazione che, in caso di necessit, tutto ci che ha valore tra gli uomini ed ritenuto essere di estremo valore, deve essere sacrificato ad essa. 89

In un atteggiamento continuamente ipocondriaco l'ebreo deve fare attenzione a non diventare per un qualche caso impuro, e deve domandarsi se non lo forse gi diventato realmente. Il cristiano vive in una natura assolutamente impura nella natura umana corrotta dal peccato; egli ha perci ancor pi ragioni per rimuginare ed essere ipocondriaco. La sua unica preoccupazione, il suo unico interrogativo, consiste nel chiedersi se o non puro, se eletto o abietto. Non ha nient'altro da domandarsi, nient'altro di cui preoccuparsi. In nome di questo isolamento ipocondriaco, il sacro popolo miracoloso della comunit degli eletti un popolo ancor meno reale di quanto non lo sia il popolo ebraico. Nemmeno esso un popolo, non lo per mezzo di s, non lo completamente e interamente; in se stesso non assolutamente nulla. Esso realmente presente solo nel suo sommo sacerdote, nella testa che pensa per esso, che decide e delibera in ogni faccenda nel Messia. Se il popolo come tale non nulla e tutto accade solamente nel sommo sacerdote e per mezzo di lui, allora le disposizioni morali e universali, che si sono formate in questo popolo miracoloso, non hanno valore perch il popolo vi ha dato la propria adesione e vi vede la propria volont, e nemmeno perch sono in se stesse vere e perch devono valere di per s, ma hanno valore unicamente per il fatto che sono prescritte e rivelate da colui che solo pensa e decide per il tutto. Cessano cos di essere morali e costituiscono piuttosto l'apice sul quale si potuta erigere la natura positiva dell'ebraismo. Nell'ebraismo l'arte e la scienza erano impossibili: ancor pi nella sua conseguenza, perch in essa tutto ci che nell'ebraismo rendeva impossibile l libera e schietta attivit con il mondo e le sue leggi universali, compiuto e portato al suo punto estremo. L'arte e la scienza sono possibili solamente se la preoccupazione per il bisogno personale non la sola richiesta agli uomini. Ma nella comunit l'uomo non deve mai pensare che potrebbe liberarsi dalla preoccupazione per i propri bisogni, egli deve essere assolutamente e completamente pieno di bisogni, in se stesso vuoto e insignificante, in una parola non deve mai liberarsi dalla preoccupazione per se stesso: l'arte e la scienza, che d'un sol colpo lo eleverebbero al di sopra della sua insignificanza e porrebbero fine alla sua egoistica e ipocondriaca preoccupazione per se stesso, sono perci impossibili o severamente vietate. 90

In breve, se la nuova legge l'ebraismo compiuto e la realizzazione della vecchia legge, allora essa rappresenta anche il compimento della contrapposizione nella quale si trovava rispetto al mondo e ai suoi rapporti reali. Inoltre, se la vecchia legge era la contraddizione con se stessa, se la sua consequenzialit consisteva nel revocare e negare i suoi elementi di consequenzialit, riducendoli cos a qualcosa di inconseguente, quella contraddizione raggiunger il proprio apice nella nuova legge. Essa dovr eliminare le conseguenze alle quali doveva portare la sua generalit e universalit, e le dovr eliminare con tanta maggiore forza in quanto la sua universalit sostanzialmente solo il principio di esclusione portato a compimento. L'esatta applicazione della vecchia legge la casistica. Vediamo ora in che cosa consiste l'applicazione della nuova. La questione ebraica ci fornisce l'occasione migliore per farlo. Noi assicureremo la nostra imparzialit davanti agli occhi di tutti se, al nostro posto, faremo parlare un uomo al quale si deve riconoscere il merito di aver spiegato con esattezza la legge evangelica. Nel suo scritto Die Unmeiglichkeit der Emancipation der Juden im christilichen Staate (1842)145 , il proselito Frnkel afferma: il cristianesimo non contrasta in alcun modo l'emancipazione mondana degli ebrei in quanto uomini, al contrario il cristianesimo predica e insegna l'amore per il prossimo, e le miserie umane, se un ebreo deve guadagnarsi il pane e, per mangiare, deve fare il funzionario, l'insegnante, il commerciante o il mendicante, tali miserie stanno realmente molto al di sotto della sua grandezza. Ma importante soprattutto sapere se questa grandezza la grandezza che si dimostra nell'eliminare qualcosa, o se invece la grandezza che l'uomo mostra quando, in quelle diverse circostanze della propria esistenza, resta un uomo libero e consapevole della sua dignit e riconosce come uomini gli uomini che si trovano in quelle diverse circostanze. Il cristianesimo dovrebbe riconoscere l'ultimo tipo di grandezza per quella autentica, poich esso, come osserva il signor Frnkel, non si oppone all'ebreo in quanto uomo ma predica in generale l'amore per il prossimo. Mette per anche in pratica le sue dottrine? Agisce confor91

memente a come predica? Riconosce poi realmente l'uomo in quelle differenze casuali nelle quali si viene a trovare? Qualora distingua l'uomo dalle determinatezze accidentali nelle quali vive, lo rispetta realmente come qualcosa di pi elevato della sua esistenza contingente? Oppure gli lascia scontare la sua condizione accidentale? Non revoca il proprio amore per l'uomo a causa delle differenze nelle quali egli vive? O si scorda dell'uomo al di sopra dell'ebreo, del turco e del pagano? Il signor Frnkel ci d la risposta esatta: il cristianesimo non contrasta l'emancipazione mondana dell'ebreo in quanto uomo, ma combatte l'emancipazione dell'uomo qualora egli, come ebreo, voglia far valere la verit della sua religione al di fuori di Cristo; ci significa che esso distingue tra l'uomo e l'ebreo, l'astratto e il concreto, la chimera e la realt; in ci che astratto, irreale, nel mondo chimerico dei pensieri, esso amore; nel concreto, nella realt, l dove dovrebbe dimostrare che prende sul serio l'amore per l'uomo, lo revoca. L'uomo paga per l'ebreo. O meglio, l'uomo non ancora realmente presente, non ancora riconosciuto. C' solo l'ebreo, e non pu esigere, non pu avere ci che sarebbe garantito all'uomo se esistesse realmente. Ma egli non esiste ancora. L'ebreo non ancora un uomo, non nemmeno un ebreo e un uomo, ma solo e nient'altro che un ebreo, cio un'essenza altra da quella del cristiano, un'essenza con la quale il cristiano in quanto tale non pu avere nulla in comune. Ma perch l'amore deve negarsi e l'uomo passare in secondo piano rispetto all'ebreo? Perch secondo la dottrina di Cristo, risponde il signor Frinkel, al di fuori di Cristo non c' alcuna salvezza per l'uomo. Dal momento che il cristiano in possesso di questa salvezza, deve considerare tutti gli altri, che non la posseggono, come estranei. L'amore che in quanto cristiano ha promesso agli altri, proprio in quanto cristiano lo deve revocare. Deve farlo: infatti, osserva il signor Frinkel, l'egoismo del mondo deve piegarsi e infine si piegher davanti alla tensione cristiana verso l'unit (vale a dire al santo egoismo, all'unico egoismo giustificato). Ora, prosegue il signor Rinke', le idee liberali del tempo (di cui fa parte anche l'idea di emancipazione) sono identiche all'egoismo del mondo ed hanno un fondamento comune al di fuori di Cristo, mentre invece il cristianesimo predica un amore 92

che radicato solo in Cristo e ricava il suo miracoloso alimento da questa eterna sorgente del diritto, della verit e dell'uguaglianza. Questo amore alimentato in modo miracoloso, e quindi esso stesso miracoloso, non si fonda sulla natura del rapporti umani, non trae il proprio stimolo e il proprio alimento dal contenuto di questi rapporti e dalle loro implicazioni; esso non trae l'impulso di uguaglianza da una viva simpatia verso tutto ci che umano (homo sum, nihil humani a me alienum puto) ma trae il suo alimento al di fuori dell'umanit reale; non un amore umano, ma sovraumano, sovrannaturale, e l'uguaglianza alla quale tende un'uguaglianza fantastica, che pu scandalizzarsi delle differenze esistenti in questo mondo senza poterle per realmente superare: non pu cio riconoscere l'uomo che vive in queste differenze. Gli ebrei si considerano come un popolo particolare; ma il cristianesimo, osserva di contro con precisione il signor Ffinkel, non riconosce alcun'altra nazionalit che quella radicata in Cristo Ges. Le nazionalit reali sono invece normalmente radicate nelle disposizioni naturali dell'umanit e si sviluppano storicamente. Se i popoli si escludono e si combattono, lo fanno perch i loro interessi sono entrati in conflitto; stipulano la pace non appena riconoscono reciprocamente i loro interessi; si uniscono per delle imprese comuni se li unisce un'idea superiore che, per realizzarsi, necessita di questa unione di disposizioni naturali. Nello Stato reale e nella storia degli Stati l'ebreo in quanto tale dovette sempre rimanere un elemento estraneo, non perch ha una particolare nazionalit, ma perch la sua nazionalit chimerica, non reale, in una parola incapace di fraternizzare o di fondersi con le nazionalit reali. Dal punto d vista cristiano la questione completamente diversa: qui tutte le nazionalit reali sono qualcosa di nullo e insignificante, pure chimere, e la nazionalit ebraica solo una chimera particolare che conta tanto poco quanto le altre, poich essa, come le altre nazionalit, ha una radice diversa da quella dell'unica nazionalit che riconosciuta dal cristianesimo e che l'unica e la sola radicata in Cristo Ges. Il cristianesimo non vuole alcuna nazionalit reale, non vuole nemmeno questa determinata chimera della nazionalit della quale vanno fieri gli ebrei: esso vuole solo Una, solamente Una nazionalit fantastica, cio quella nella quale sprofondata ogni nazionalit reale e ogni altra nazionalit chimerica. 93

Gli ebrei si richiamano alla loro eticit, al progresso della cultura e della civilizzazione, ma fa osservare loro il signor Friinkel il cristianesimo pone l'amore cristiano al di sopra di ogni sapere la questione pu essere posta in modo molto semplice e non c' bisogno di indagare se l'eticit della quale vanno fieri gli ebrei sia una reale eticit, se sia cio quell'eticit che rende capaci di condurre una vita politica: s tratta piuttosto solo di mettere fin dal principio l'amore in conflitto con la cultura, per conferirgli subito la vittoria. Gli ebrei adducono come pretesto il fatto di credere n Dio; si spesso sostenuto che la fede in un Unico e medesimo Dio dovrebbe unire gli ebrei e i cristiani, ma, osserva giustamente il signor Friinkel, il cristianesimo dichiara ogni spirito che non riconosce che Ges Cristo s' fatto carne, come lo spirito dell'Anticristo. Il Dio dei cristiani un altro Dio rispetto a quello degli ebrei. Gli ebrei negano il Dio dei cristiani e questi non possono costituire alcuna comunit con chi nega il loro Essere supremo. Gli ebrei, prosegue il signor Frnkel, sono caritatevoli e riconoscenti verso chi di religione diversa, ma Cristo dice "chi non con me contro di me" 146 ci significa che l'amore cristiano e resta esclusivo, incorruttibile, ostinato, inesorabile. Quindi non di alcun aiuto per gli ebrei il fatto di avvicinarsi ai costumi e agli usi dei cristiani, di essere d'accordo con i cristiani per quanto riguarda opinioni politiche, letteratura laica, arte e scienza, di intrattenere con loro rapporti commerciali o addirittura di fare il servizio militare assieme tutto ci non li aiuta assolutamente, infatti tutti questi attributi, queste qualit e aspirazioni, osserva il signor Frnkel, sono solo di questo mondo, e anche se il mondo vi presta attenzione; anche se di fatto deve prestarvi attenzione, l'apostolo Paolo ci dice come dobbiamo considerare e come dobbiamo rapportarci a tutto questo quando, in Rom. 12:2, ci mette in guardia dal conformarci a questo mondo. L'unico vero rapporto nel quale possono reciprocamente trovarsi ebrei e cristiani perci la reciproca esclusione. Gli ebrei si sono gi rapportati in modo esclusivo: ci che loro hanno fatto ai popoli, i cristiani glielo hanno pienamente restituito. Nel comportamento dei cristiani essi vengono colpiti dal loro stesso principio di esclusione, principio che i cristiani hanno ereditato 94

da loro e semplicemente perfezionato. Lo Stato cristiano non pu porre ebrei e cristiani in nessun altro rapporto che non sia quello imposto dalla loro essenza religiosa e confessione. Non rimarr alcun dubbio circa la nostra imparzialit se lasceremo che sia un ebreo a stabilire come deve essere collocato il suo popolo all'interno dello Stato cristiano. Lo Stato non vince attraverso la soppressione delle nostre qualit particolari, dice un altro Frnkel che parla a nome degli ebrei (Die Cultus-Ordnung der Juden in Preussen, 1842)147, ma piuttosto per mezzo della loro conservazione, perch chi giura fedelt alla sua religione, non pu negare obbedienza nemmeno ai suoi superiori, perch chi riconosce la santit della sua fede, non la rifiuter nemmeno ai diritti umani e alle leggi dell'umanit. La religione ci che comprende tutto, ci che si estende a tutto, la totalit, e chi l'accoglie in s e le fedele, deve tenere in alta considerazione anche il singolo, il particolare, l'individuale e la moralit. La moralit, l'eticit, i rapporti umani, tutto ci che umano in genere, i diritti umani e la legge dell'umanit tutto ci quindi solamente qualcosa di singolare, individuale, particolare sarebbero una particolarit? L'uomo solo qualcosa di particolare mentre l'elemento religioso l'universale? Perch parlarne ancora! Dal momento che l'elemento religioso esprime la sua vera essenza, esso dice anche che l'elemento umano, l'umanit non pi la sua essenza, ma solo qualcosa di particolare, che deve passare in secondo piano rispetto all'elemento essenziale al quale esso stesso si richiama e che deve completamente negarsi in caso di conflitto. Ebbene! l'ebreo vuole che la sua religione sia mantenuta; essa la sua essenza e la sua totalit. Egli vuole far dipendere il riconoscimento dei diritti umani dal riconoscimento e dalla santit della religione. Ebbene, dunque! Lo Stato cristiano fa ci che l'ebreo stesso vuole. Agisce secondo le sue parole: egli stesso quindi la causa del proprio destino nello Stato cristiano. Qui come altrove colpito dalle proprie conseguenze e non pu quindi nemmeno pi lamentarsi.

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IV. LA POSIZIONE DEGLI EBREI NELLO STATO CRISTIANO

Lo Stato cristiano fa ci che l'ebreo vuole avere, ci che ha cercato di fare lo stesso ebreo fintanto che esisteva la sua teocrazia: egli proclama la religione essenza e fondamento dello Stato, solo che lo Stato cristiano proclama sua propria essenza la conseguenza dell'ebraismo. Lo Stato cristiano evangelizza o, come dice il proselito Fraikel, nello Stato cristiano l'evangelizzazione viene considerata e praticata come un noi aggiungiamo: come il primo comandamento divino. Se quindi il Vangelo il compimento della legge, allora anche lo Stato cristiano la piena realizzazione d ci che la teocrazia della legge considera come proprio ideale; nella sua costituzione non viene tralasciato o soppresso un solo iota della legge. Recentemente, per dimostrare l'impossibilit o la non esistenza di uno Stato cristiano, si fatto molto spesso riferimento a quei precetti del Vangelo che non solo non vengono seguiti dallo Stato odierno, ma che esso non pu nemmeno seguire se, in quanto Stato, non vuole dissolversi completamente. Ma la faccenda non pu essere liquidata cos semplicemente. Che cosa impongono quei precetti evangelici? La sovrannaturale rinunzia a se stessi, la sottomissione all'autorit della rivelazione, l'allontanamento dallo Stato, la soppressione dei rapporti secolari. Ebbene, lo Stato cristiano richiede e mette in opera tutto questo. Esso si appropriato dello spirito del Vangelo, e se non lo rende con gli stessi termini del Vangelo, ci dipende dal fatto che esprime questo spirito nelle forme dello Stato, vale a dire in forme prese a prestito dallo Stato e da questo mondo, che per, nella rigenerazione religiosa che devono subire, sono ridotte a mera parvenza. Lo Stato cristiano l'allontanamento dallo Stato, allontanamento che, per attuarsi, si serve delle forme statali. Il popolo rinato ha il dovere di tenersi alla larga da tutti i rapporti reali del popolo, ha il dovere di trasformarsi in un nonpopolo. Esso non ha alcuna volont propria, non sufficiente a 97

se stesso, per se stesso deve piuttosto essere un nulla. Esso il popolo della propriet, ma la propriet di un altro. La sua vera esistenza si trova solo nel vertice e nel capo al quale sottomesso, che per, originariamente e secondo natura, gli estraneo, nel senso che stabilito da Dio e gli viene assegnato senza il bench minimo intervento da parte sua. Le sue leggi non sono opera sua, ma rivelazioni positive, alle quali deve obbedire incondizionatamente e senza poterle criticare in alcun modo. La potenza e il potere che costituiscono il popolo in senso proprio, o quanto meno il tutto, richiedevano una serie di mediazioni che le rappresentassero sempre e ovunque come il non-popolo, il popolo fittizio, cio il popolo minorenne. Questo ceto di intermediari costituisce una prerogativa, un privilegio assegnato dalla natura e dalla nascita, oppure accordato arbitrariamente per grazia dal potere, o ancora legato alla prestazione di certe condizioni che non hanno bisogno di stare nel bench minimo rapporto o nesso interno con l'ufficio di quegli intermediari. Poich infine la massa del popolo fittizio semplicemente la massa che non ha alcun diritto universale e alla quale non permesso avere alcuna coscienza universale, essa si frantuma in una miriade di cerchie particolari, determinate e messe in forma dal caso, cerchie che si differenziano per interessi, passioni particolari, pregiudizi, e che, in quanto espressione del privilegio, hanno il permesso di chiudersi reciprocamente le une alle altre, prendendosi cos cura dei loro interessi particolari in questa massa non ci sono che interessi particolari. Esse non hanno affari universali, non possono e non devono averli; poich non hanno nemmeno intenzione di avere affari universali, nella cura delle loro faccende particolari viene concessa loro autonomia e autorit privata, cosicch nessuna cerchia riceva dei diritti che possano conferirle un qualche potere sulle altre. Il signor Hermes148 aveva perci pienamente ragione quando, nella Kanische Zeitung, affermava che lo Stato cristiano non dovrebbe essere edificato secondo principi universali, ma che le sue istituzioni dovrebbero essere valutate sulla base di passioni e pregiudizi. Quando invece il signor Philippson, nella Rheinische Zeitung, osservava che poich gli uomini sono pieni di passioni e pregiudizi, proprio perci la legge dovrebbe essere superiore ad essi nella misura in cui si tratta del concetto di legge, egli ha 98

ragione, ma ha torto se le leggi, invece di costituirsi per aria, esprimono i rapporti reali, se sono l'essenza e le leggi dell'esistente e se, in generale, si guarda al mondo reale. La legge esprime sempre e solamente ci che nella realt essenziale. Se ora il pregiudizio a godere di questo onore, se esso cio vale come qualcosa di essenziale, la legge non pu essere nient'altro che la sanzione e la legittimazione del pregiudizio. Se l'ebreo si ritiene qualcosa di particolare rispetto al cristiano allora anche la legge lo tratta come qualcosa di particolare. Il pregiudizio dell'ebreo che certi alimenti e certi contatti lo renderebbero impuro. Egli ritiene che la propria essenza consista nel mantenersi puro da queste macchie: la sua essenza lo isola dunque anche da ogni non-ebreo la legge non deve allora prendere in considerazione l'essenza dell'ebreo, non deve essere l'espressione di questa essenza, il compimento del pregiudizio dell'ebreo, non deve cio isolarlo dagli altri? Essa fa soltanto ci che egli vuole. Per l'ebreo l'essenza universale dell'uomo non vale ancora come qualcosa di pi e di superiore rispetto alla sua essenza particolare pu la legge imporgli un'essenza diversa da quella che vuole avere? Il signor Philippson dice che la religione non sarebbe che il manto dell'ipocrisia, il pretesto dell'oppressione dell'uomo, il vincolo della coscienza. Come? Forse Philippson considera la legge veterotestamentaria relativa ai cibi e alla pulizia un pretesto per isolarsi dagli altri per secondi fini? Egli non lo conceder, n noi sosterremo una tale assurdit. Ugualmente non si dovrebbe dire che lo Stato cristiano si serve della religione solo come pretesto dell'oppressione. No, l'ebreo si isola perch non considera l'essenza dell'uomo superiore alla sua essenza particolare, perch non considera ancora l'essenza dell'uomo in genere come la sua propria essenza; ed per la stessa ragione che lo Stato cristiano non riconosce che l'esclusione violenta, l'ordine gerarchico dei funzionari e delle corporazioni, perch esso e i suoi membri riconoscono come loro essenza solo il potere e la corporazione. Come il signor Hermes, anche Frnkel ha chiarito con precisione l'essenza dello Stato cristiano quando afferma: non vi il minimo dubbio (certo che no!) che il governo abbia il diritto di subordinare la concessione di certe prerogative (che quindi sono legittimamente presupposte come prerogative) , privilegi e uffici a certe condizioni, quali ad esempio il giuramento sulla 99

verit degli scritti del Nuovo e del Vecchio Testamento. E non si dica invece che la celebrazione di certe cerimonie ecclesiastiche non darebbe allo Stato alcuna criterio e la bench minima garanzia riguardo all'affidabilit dei suoi membri. Se ci che, secondo la propria natura, sarebbe un diritto universale e un dovere per l'universale, da accordare e assumere in quanto tali, viene invece presupposto, concesso e posseduto come privilegio e prerogativa, allora la condizione per la quale viene concesso e fatto proprio pu essere casuale ed arbitraria; essa non abbisogna di alcuna relazione con la particolare essenza di chi pratica quella concessione, allo stesso modo delle cerimonie di investitura che, nel Medioevo, il vassallo doveva eseguire in particolari momenti. Quelle condizioni dovevano addirittura restare arbitrarie e poste al di fuori dell'ambito dell'oggetto, cosicch la concessione del privilegio fosse riconosciuta e indicata come grazia. Il privilegio pi universale, e quindi anche quello pi esclusivo, la fede. La fede essa stessa che, a ragione, vuole che la si consideri in questo modo, perch non una libera azione, ma l'espressione e la conseguenza della sofferenza la fede, l'uomo non se la d da solo, non la sviluppa a partire dalla ragione, non pu disporne in modo arbitrario e determinarla come vuole; essa piuttosto un dono della grazia, che la concede arbitrariamente ed elegge chi vuole ad una condizione di grazia. Il cristiano deve quindi, senz'ombra di dubbio, riconoscere il suo privilegio, considerarlo come linea guida della sua vita e regolare, conformemente ad esso, i rapporti, il modo di comportarsi, l'amore e le sue buone azioni. Lasciateci fare del bene, ci dice il Santo Apostolo, e il signor Frnkel a ragione si richiama a questo versetto: lasciateci fare il bene a chiunque, ma preferibilmente ai fratelli di fede! 149 Esattamente come l miracoloso popolo dei credenti, anche il popolo di Israele si vanta di avere un privilegio particolare. Un privilegio sta di fronte all'altro: l'uno esclude l'altro. Lo Stato cristiano costretto a considerare, salvaguardare e coltivare i privilegi; il suo intero edificio appoggiato su di essi. L'ebreo considera la sua essenza come un privilegio: l'unica sua posizione possibile nello Stato cristiano quella privilegiata: La sua esistenza non pu che essere quella di una corporazione particolare.

V. CONCLUSIONI

La richiesta di emancipazione da parte degli ebrei e il sostegno che essa ha trovato tra i cristiani sono il segno che le barriere che li dividevano reciprocamente iniziano ad essere spezzate da entrambe le parti. L'ebreo ortodosso non dovrebbe in alcun modo desiderare l'emancipazione, perch se fosse realmente concessa ed egli ne beneficiasse realmente si verrebbe a trovare all'interno di rapporti e situazioni nei quali non sarebbe pi in grado di osservare la sua legge. Quando il cristiano si esprime a favore dell'emancipazione dell'ebreo, egli d prova del fatto, ne sia consapevole o meno, che l'uomo ha preso il sopravvento sul cristiano. Che poi anche singoli Stati durante le guerre rivoluzionarie abbiano fatto importanti concessioni agli ebrei e siano arrivati quasi a concedere loro la piena cittadinanza, o quanto meno a promettergliela, tutto ci fu possibile solamente perch, nelle bufere di quel periodo, la forma dello Stato cristiano non reggeva pi e, nell'immediato, almeno una parte dei privilegi doveva essere sacrificata. Nel periodo della Restaurazione le cose andarono diversamente: le concessioni promesse furono ritrattate, quelle gi realizzate limitate. I privilegi furono ristabiliti e gli ebrei nuovamente perseguitati. Non furono per i soli a soffrire: tutto dovette soffrire in quel periodo: la ragione, il sano intelletto umano, i diritti universali dell'uomo. Doveva accadere. Questa epoca doveva diventare un'epoca di sofferenza universale perch precedentemente era stato commesso l'errore di ritenere possibile l'emancipazione lasciando in piedi i privilegi delle barriere religiose o addirittura riconoscendoli nell'emancipazione stessa. Furono cos fatte delle concessioni all'ebreo in quanto ebreo, lasciandolo anche in seguito sussistere come ebreo, vale a dire come un'essenza che deve escludere tutte le altre da s, rendendo cos impossibile la vera emancipazione. Tutto soffre a causa di questo errore, perch nessuno ebbe ancora il coraggio di essere uomo. Se in quel periodo furono sacrificati singoli privilegi, era per rimasto il privilegio supremo,

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il privilegio originario, il privilegio del cielo, sovrannaturale e divino, quel privilegio che deve sempre riprodurre tutti gli altri privilegi. L'emancipazione degli ebrei possibile in modo completo, efficace e certo, solo se essi non vengono emancipati in quanto ebrei, cio come un'essenza che deve necessariamente rimanere sempre estranea ai cristiani, ma se diventano invece essi stessi uomini, in modo tale che nessuna barriera, nemmeno quelle falsamente ritenute essenziali, li possa separare dal loro prossimo. L'emancipazione non pu quindi nemmeno essere vincolata alla condizione che essi diventino cristiani una condizione per la quale sarebbero comunque dei privilegiati, solamente in modo diverso da come lo erano prima. Un privilegio verrebbe semplicemente sostituito con un altro. Il privilegio permarrebbe anche se fosse esteso alla maggioranza, permarrebbe addirittura se fosse esteso a tutti a tutti gli uomini. La questione dell'emancipazione, per ogni suo aspetto fino ai singoli punti qui discussi, stata perci concepita finora in modo sostanzialmente sbagliato poich la si considerata solo unilateralmente, e cio come mera questione ebraica. In questo modo non la si certo potuta risolvere n teoricamente n la si potr mai risolvere praticamente. Chi non egli stesso libero non pu neanche aiutare gli altri a diventare liberi. Il servo non pu emancipare. Un minore non pu liberare gli altri dallo stato di minorit. Un privilegio pu ben limitare l'altro, pu cio, pur limitandolo, riconoscerlo e renderlo noto come privilegio, ma non potr mai, a meno che non neghi se stesso, porre al posto del privilegio il diritto universale dell'uomo. La questione dell'emancipazione una questione universale, la questione della nostra epoca in generale. Non solo gli ebrei, ma anche noi vogliamo essere emancipati. Poich nulla fu libero e poich finora hanno dominato minorit e privilegio, nemmeno gli ebrei poterono essere liberi. Noi ci escludemmo tutti a causa della nostra limitatezza; tutto fu limitato e le caserme di polizia nelle quali siamo schedati rasentano necessariamente il ghetto. Non solo gli ebrei, neanche noi vogliamo pi accontentarci della chimera; anche noi vogliamo diventare un popolo reale, dei popoli reali. Se gli ebrei vogliono diventare un popolo reale non lo 102

possono per diventare nella loro nazionalit chimerica, ma solo nelle nazioni storiche e capaci di storia della nostra epoca devono abbandonare la prerogativa chimerica che, fintanto che viene conservata, li separer continuamente dai popoli e li render estranei alla storia. Prima di essere anche solo lontanamente in grado di prendere parte, sinceramente e senza celate riserve, alle faccende della nazione e dello Stato, essi devono sacrificare la loro mancanza di fede nei popoli e la loro fede esclusiva nella loro inconsistente nazionalit. Prima di poter pensare di essere e rimanere dei popoli reali e degli uomini reali all'interno della vita della nazione, dobbiamo per abbandonare la mancanza di fede nel mondo in genere e nel diritto dell'uomo, dobbiamo cio abbandonare la fede esclusiva nel monopolio e nello stato di minorit. impossibile che le azioni della pi recente critica e il grido universale di emancipazione e liberazione dallo stato di minorit siano destinati a restare senza successo anche nel futuro pi prossimo. L'estensione di questo successo per il futuro dipende da eventi la cui portata e il cui primo risultato decisivo non pu essere valutato in anticipo. Una cosa per certa: finch non sar messo in pratica l'unico mezzo necessario, ogni altro mezzo rimarr un palliativo, alimenter i dissidi e, in nome di quella stessa questione, sar occasione di nuove battaglie. Quest'unico mezzo consiste nella totale mancanza di fede verso l'illibert, nella fede nella libert e nell'umanit. Questa fede dimostrer infine il proprio fervore un fervore che sar tanto grande e invincibile, cos come l'uomo pi grande del monopolio e del privilegio. Questo radicale! Troppo radicale! dir forse qualcuno. Ebbene si dia allora ascolto alla saggezza del juste milieu!

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VI. GLI EBREI FRANCESI IN RAPPORTO ALLA RELIGIONE DELLA MAGGIORANZA DEI FRANCESI

Lasciamo che le cose seguano il loro corso: questa l'espressione consolatoria del punto di vista che, pur non volendo certo mantenere per sempre l'incertezza e la noia del presente, non pu nemmeno risolversi a compiere delle scelte radicali e decisive: lasciamo che le cose seguano il loro corso e tutto si compir da s. Soprattutto non crediate di poter ottenere qualsiasi cosa con la teoria. La teoria crudele, ingegnosa nelle crudelt e il suo maggiore piacere dar forma a dei conflitti a partire dalle pi piccole difficolt, concentrare le pi semplici complicazioni fino a strangolare entrambe le parti, spingere in genere tutto al massimo e all'estremo. La vita invece ricca di mezzi per aggirare le difficolt, per smussarle e renderle prive di rischi; essa placa l'eccitamento e il fuoco della teoria, getta dell'unguento nelle ferite aperte dalla teoria. Cos anche alla nostra esposizione si rimproverer di aver inutilmente esagerato le difficolt e di aver trascurato tutte quelle mediazioni di cui la vita dispone e che essa utilizza sempre felicemente al momento opportuno: la teoria presenta invece la situazione come talmente pericolosa da portare a credere che, da un momento all'altro, stia per iniziare la pi buia delle tragedie. Noi non disprezziamo assolutamente la vita ordinaria, ma non si deve nemmeno far troppo conto su di essa se dobbiamo tenere in considerazione solo ci che si rapporta liberamente e onestamente alla propria legge, vale a dire ci che si d la legge che esprime la propria coscienza pi alta e che realmente supera quella legge che di fatto la misconosce; se quindi in genere degno di considerazione solo ci che riconosce la propria legge. In questo senso, la cosiddetta vita ordinaria, alla cui forza taumaturgica fanno appello gli avversari della teoria radicale, non degna di stima; essa porter sempre al punto in cui deve essere massimamente disprezzata. Con i suoi rimedi anestetizzanti essa non placa solo la tremenda e violenta teoria, non placa solo la teoria del pensatore, 105

ma placa anche la sua propria teoria. Il cristiano pu cos mostrarsi benevolo, caritatevole e filantropo verso l'ebreo, pu cio sconfessare la sua teoria che, in quanto cristiano, lo obbliga a non avere alcuna comunit con gli ebrei; pu riconoscere nell'ebreo l'uomo, pu cio mostrarsi non come cristiano, ma come uomo. La vita ordinaria per cos inconseguente da non riuscire a superare anche nella legge, e con piena coscienza, la teoria e il presupposto che essa supera nella realt. Non osa elevare a teoria vigente l'azione con la quale supera quella teoria incompleta. Lascia sussistere la legge che nega all'ebreo i diritti universali dell'uomo, vale a dire che essa stessa ancora incapace di riconoscere come legge il diritto universale dell'uomo; solo momentaneamente e nella contingente eccitazione della compassione umana, essa conferisce all'ebreo il valore di uomo, altrimenti, nella legge vigente e nei rapporti giuridici (i quali, dal momento che riguardano l'interesse di tutti e non solo quello di qualche singolo animo sensibile, non possono essere regolati solo secondo l'impeto contingente del sentimento e neppure possono essere abbandonati alla sua eccezionale magnanimit), mantiene la teoria tremenda, abbattendosi e demoralizzandosi per il fatto che non pu decidersi ad essere cos tremenda e a superare quella teoria della crudelt. La vita ordinaria pu quindi essere contrapposta alla teoria solo nella misura in cui, di tanto in tanto e solo momentaneamente, si sottrae superficialmente alla sua dura teoria. Ma in fondo, nel suo corso ordinario essa dominata dalla sua teoria, la quale pu essere superata solo dalla teoria vera e crudele, vale a dire dalla teoria che ha il coraggio di porre fine alla crudelt. La vita ordinaria si contrappone momentaneamente alla propria teoria, mentre si contrappone continuamente alla vera teoria, dal momento che essa stessa, quando supera occasionalmente la sua teoria, ha paura di riconoscere questo superamento come una legge e come la vera teoria. Quanto pi la vita ordinaria considerata elevata e quanto pi libera, tanto pi sar barbara e rozza la sua teoria se non vuole riconoscere la libert, secondo la quale essa vive, come la sua legge suprema. In tal caso essa non risolver le complicazioni in cui viene a trovarsi, perch non innalzer la libert a legge, ma mediter sui mezzi che limitano la libert vigente nella vita. 106

La legge, che deve risolvere i conflitti, negher la libert dominante; ma una libert che si lascia schernire in questo modo solo una parvenza, anche se sembra dominare nella vita ordinaria. Non la teoria ad escogitare le contraddizioni di cui soffre la vita ordinaria, ma la vita che le rende molto palpabili; non la teoria a rendere il conflitto pericoloso, ma la vita ordinaria, perch non confessa a se stessa le proprie contraddizioni e non le vuole risolvere nella vera teoria; apre le sue ferite senza bendarle e si vede costretta ad ammettere che, fino a quando teme la radicale e crudele teoria, le manca il balsamo per alleviare e porre fine al proprio dolore. Per quanto riguarda la questione ebraica cos come in tutte le altre questioni politiche a partire dalla rivoluzione di luglio , la Francia ci ha recentemente offerto lo spettacolo di una vita che libera, ma che revoca la propria libert nella legge, dichiarandola quindi un'apparenza e, dall'altra parte, negando nei fatti la sua libera legge. La rivoluzione di luglio ha soppresso la religione di Stato in quanto tale, ha emancipato lo Stato dalla chiesa, lo ha liberato da ogni influenza ecclesiastica ed ha reso indipendente dalla confessione religiosa o ecclesiastica la partecipazione a tutti i diritti politici e civili. Gli ebrei francesi sono dunque diventati a pieno titolo liberi cittadini e, ad esempio, hanno acquisito la capacit di rappresentare in parlamento i loro concittadini senza differenze di religione. Il signor Fould divenuto celebre in quanto membro della Camera dei deputati ed il conflitto, che impegna la nostra teoria e la nostra prassi in Germania, sembra con ci essere risolto. Ma non ancora realmente cos, n nella legge n nella vita. L'ebreo, ad esempio, dovrebbe aver cessato di essere ebreo qualora non si faccia ostacolare dalla sua legge nell'adempiere ai suoi doveri verso lo Stato e i suoi concittadini, come ad esempio recarsi alla Camera dei deputati o prendere parte ai pubblici dibattimenti nel giorno di sabato. Ogni privilegio religioso in genere, e quindi anche il monopolio di una chiesa privilegiata, dovrebbe essere abolito, e se un singolo o i pi, o anche la stragrande maggioranza credesse ancora di dover adempiere a doveri religiosi, allora un tale adempimento dovrebbe essere concesso loro come una mera faccenda privata. Nemmeno in Francia la libert universale ancora legge; la 107

questione ebraica non perci ancora risolta perch la libert legale (secondo la quale tutti i cittadini sono uguali) viene limitata nella vita, che ancora dominata e lacerata dai privilegi religiosi; questa illibert della vita retroagisce sulla legge obbligandola a sanzionare la distinzione dei cittadini, in s liberi, in oppressi e oppressori. Le discussioni della Camera dei deputati riguardo alla legge che doveva regolare l'orario di lavoro dei bambini nelle fabbriche furono l'occasione per portare alla luce, in tutta la loro complessit, conflitti irrisolti. Nella seduta del 26 dicembre 1840, quando venne discusso il quarto articolo della proposta di legge secondo la quale i bambini al di sotto dei sedici anni non potevano essere fatti lavorare la domenica e nei giorni festivi legalmente riconosciuti, il signor Luneau propose la seguente stesura: i bambini al di sotto dei sedici anni possono essere fatti lavorare solo sei giorni alla settimana. Questa stesura era imposta dai principi della rivoluzione di luglio. Quali potevano essere, dopo questa rivoluzione, i giorni festivi riconosciuti per legge? O vengono riconosciuti tutti o nessuno in particolare: in entrambi i casi significa che la legge statale non prescrive alcun giorno festivo, subordinandoli tutti all'interesse dello Stato e lasciando alla volont privata la facolt di porre tutti i giorni festivi che vuole, purch non entri in contrasto con l'interesse universale dello Stato. necessario stabilire un giorno di riposo, afferma il Journal des Dbats del 27 dicembre; tuttavia pu la legge spingersi tanto in l da determinarlo? perch scegliere la domenica e il giorno di festa del culto cattolico? Non meglio lasciare alla libert di ciascuno la scelta del giorno di riposo? In Francia sono riconosciuti tutti i culti "discordanti" si faccia attenzione: "discordanti", dissidens! e godono col della stessa libert: perch allora obbligare il padrone a chiudere la sua fabbrica la domenica, se il suo giorno festivo il sabato?. Secondo il Journal des Dbats, la Camera ha giustamente respinto l'emendamento del signor Luneau: bench infatti tutti i culti siano uguali davanti alla legge, bench non ci sia pi alcuna religione privilegiata, c' pur sempre una religione della maggioranza che non pu essere sacrificata all'ebreo. Cancellare dalla legge il riferimento alla domenica significherebbe dichiarare che in Francia non vi pi religione. 108

Esatto! non c' pi religione se non c' pi nessuna religione privilegiata. Si tolga alla religione la sua forza di esclusione ed essa non esiste pi. 1.1 signor Martin du Nord, esplicitamente lodato dal Journal des Dbats per aver combattuto l'emendamento del signor Luneau, osserv che l'articolo della Commissione non era in contraddizione con la Carta del 1830 e che esso non conteneva nulla che fosse contrario alla libert di religione dei cittadini. Se nella legge si fa riferimento alla domenica, nessuno costretto a lavorare in un giorno in cui, secondo gli obblighi della sua religione, dovrebbe fare festa. Potendo gli ebrei non lavorare in un determinato giorno della settimana, la legge non impedisce loro in alcun modo di astenersi dal lavoro. Resta per il fatto che essi sono obbligati a fare festa la domenica e nei giorni festivi cristiani, che per loro non sono giornate religiose. Essi devono attenersi a ci che prescrive la religione cristiana, la religione della maggioranza dei francesi, la religione professata dalla quasi unanimit dei Francesi. La libert concessa agli ebrei si limita dunque al fatto che essi non sono obbligati a violare la legge che ordina di santificare l sabato se vogliono, possono lavorare anche nel giorno di sabato ma la legge della religione cristiana, che lo Stato riconosce espressamente come norma delle sue leggi, li obbliga a festeggiare anche altri giorni al di fuori dei loro giorni festivi. La legge non li costringe ad alcuna effettiva violazione della loro legge religiosa, ma, qualora debbano festeggiare il loro sabato, altrettanto coscienziosamente di come i cristiani festeggiano i loro giorni festivi, li pone in una condizione sfavorevole rispetto ai cristiani per quanto attiene ai loro interessi mondani. Lo Stato ritiene la legge della religione cristiana l'unica degna di essere protetta attraverso le proprie leggi con ci, come afferma il signor Martin du Nord, la religione non correrebbe alcun rischio e quelli che vogliono continuamente minare le fondamenta della religione non avrebbero alcun aiuto dalla legge: la domenica e i giorni festivi cristiani devono essere espressamente menzionati nella legge , nell'interesse del cristianesimo lo Stato non ritiene invece di doversi dare da fare affinch anche chi professa un'altra religione, ad esempio gli ebrei, possa adempiere ai doveri imposti dalle sue leggi religiose. Lo Stato si prende cura solo del cristianesimo, non delle altre religioni e delle loro celebrazio109

ni: certamente! non si possono servire due padroni, dicono le Sacre Scritture, infatti uno lo si deve amare e l'altro odiare. Il cristiano deve essere religioso cos vuole la legge dello Stato l'ebreo pu comportarsi come vuole: come se, qualora l'ebraismo venisse abbandonato al proprio destino e fosse lasciato libero di godere di questa libert, non si dovesse temere alcun inconveniente per la religione, non si dovesse temere, quanto meno da parte dello Stato, che anche al cristianesimo possa essere lasciata un'uguale libert. Ma perch il cristianesimo deve avere il privilegio di essere espressamente tutelato e difeso dallo Stato affinch, qualora i giorni festivi comandati non siano espressamente autorizzati dalla legge, non si debba temere il declino della religione in genere? Perch solo il cristianesimo ha il privilegio di veder conciliata con i suoi usi ecclesiastici una legge che originariamente aveva il solo scopo di evitare il logoramento fisico dei bambini nelle fabbriche? Perch gode di questo beneficio? Perch privilegiato rispetto all'ebraismo? Perch la religione della maggioranza; perch i Francesi, nella quasi unanimit, la professano. La libert di religione non consiste nel fatto che tutte le religioni hanno uguali diritti, non consiste nell'uguaglianza delle diverse religioni, ma nel monopolio di una religione che pressoch l'unica e la sola religione di tutti. Coloro i quali, al confronto dei tutti, sono "infinitamente" pochi, non vengono nemmeno presi in considerazione, e lo svantaggio che subiscono, l'oppressione e il pregiudizio che patiscono, non nulla, il decreto che li annienta di fronte allo Stato non un'ingiustizia, dal momento che sono cos infinitamente pochi. Essi non soffrono e non devono lamentarsi a causa dell'intero, o piuttosto a causa della stragrande maggioranza dei privilegiati, perch l'oppressione che patiscono compensata dal vantaggio della maggioranza. Nello Stato cristiano, che si professa tale e qualifica la religione cristiana come religione di Stato, ci che opprime gli ebrei un diritto, anche se solo il diritto, e quindi l'ingiustizia, del monopolio. Ma se una religione, in quanto religione della mera maggioranza, danneggia le altre, allora al posto della parvenza del diritto subentrata la pura violenza, il diritto della massa pi numerosa; al posto del diritto subentrato il semplice fatto che i

cristiani francesi sono pi numerosi degli ebrei e che questi, nei casi di conflitto, devono sottomettersi a quelli. dunque questa la tranquilla soluzione che, dopo le edificanti lodi del juste milieu, pone continuamente la vita in situazioni di conflitto? Si pu considerare come una soluzione della controversia se la minoranza, dei diritti della quale si sta trattando, fosse brutalmente oppressa? Non si getterebbe semplicemente dell'olio sulle ferite se alla minoranza venisse detto che essa non avrebbe nulla di cui larr starsi dal momento che la libert spetterebbe fin da sempre sole alla stragrande maggioranza? Ma ci significa piuttosto riaprire le ferite e prendere in giro il paziente che voleva lamentarsi dei suoi mali. La rivoluzione di luglio era diretta contro i privilegi, quindi anche contro la chiesa di Stato. Quando perci nella Carta riveduta si dice che la religione cristiana la religione della maggioranza dei Francesi, con questa frase viene solo enunciato un fatto che non pu ledere, nella sua partecipazione ai diritti dello Stato, chi professa un'altra religione. Nessuno pi osava, dopo la rivoluzione di luglio, parlare ancora di una religione privilegiata. Non si aveva per il coraggio di affermare la libert conquistata nella rivoluzione: ma poich una libert che non si dichiara apertamente non una libert, non si aveva nemmeno il coraggio di essere liberi. Si tremava di fronte alla chiesa di Stato, e la piena libert non appariva meno tremenda: si scelse cos una via d'uscita apparentemente senza pericoli, cio prendere semplicemente atto del fatto che la maggioranza dei Francesi apparteneva a una determinata religione. Ora, nella vita ordinaria, domina senza dubbio la libert: ad esempio l'ebreo che professa la religione della minoranza non incontra alcun ostacolo se vuole prendere parte ai diritti di tutti, perch la maggioranza in quanto tale e in relazione al numero non possiede alcun diritto particolare. Ma semplicemente non incontra alcun ostacolo; non per autorizzato in modo esplicito dalla legge, ma lo solo tacitamente, come conseguenza del fatto che la pura espressione "chiesa di Stato" cancellata e la maggioranza ha la bont di lasciare da parte il vantaggio datole, o quanto meno che potrebbe esserle dato, dal numero. Ma non appena gli interessi della maggioranza e della minoranza iniziano a divergere e dipende dall'arbitrio della maggio-

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ranza, nessuna legge glielo pu impedire, se essa vuole affermare il proprio interesse particolare e distinguerlo da quello della minoranza solo la maggioranza ha il diritto, mentre la minoranza deve necessariamente sottomettersi alla sua volont. Se quindi la vita libera l dove ad esempio l'ebreo passa per essere un libero cittadino quella libert si fonda solamente su un'arbitraria convenienza della prassi sociale, che ha per nella teoria, nella legge e nella categoria della maggioranza il suo nemico imbattuto un nemico che in ogni conflitto ma pu far scaturire un conflitto in ogni momento e da ogni cosa pu dimostrare la propria superiorit. Che cosa pu fare dunque la minoranza? Se fosse audace e fosse consapevole di essere dalla parte della ragione, non potrebbe essere soddisfatta di un destino che la assegna alla prepotenza di una maggioranza che non neppure espressamente garantita dalla legge. Se la legge le avversa e se culturalmente cos progredita da non volere nessun privilegio, neanche a proprio beneficio, allora deve esigere la soppressione della legge e combattere quella maggioranza privilegiata che vuole esistere solo in quanto privilegiata e in forza del privilegio. Se invece il nemico non privilegiato in modo esplicito dalla legge, ma lo solo velatamente, in tal caso essa lo caccerebbe dal suo nascondiglio ed esigerebbe una modifica della legge. Ma se non ancora sicura di se stessa e chiede di poter beneficiare di un privilegio religioso che non pu far valere solo perch minoranza, allora si sottometter in silenzio e si consoler del fatto che essa subisce ora ci che avrebbe inflitto agli altri se solo si fosse trovata nei panni della maggioranza. Non avendo infine n la risolutezza di opporsi a tutti i privilegi n il coraggio di confessare a se stessa che dipende ancora da un privilegio religioso, ed essendo la stessa imperfezione che caratterizza la maggioranza anche la sua propria essenza, essa osserver le forme della buona societ, sopporter in modo decoroso l'ingiustizia che le viene fatta, far come se non fosse successo nulla e, per nobilt d'animo, si guarder dall'importunare la maggioranza con lamenti o proteste, evitando di spingere la questione tanto in l da esprimere realmente il conflitto. Essa far tutto alla fine dovrebbe negare se stessa per nascondere la cosa, nella speranza e certezza che, in seguito, si lascer che tutto vada secondo l'indecisione e l'irresolutezza che hanno 112

dominato fino ad ora, e che, per quanto possibile, tutti si guarderanno dal dare luogo a dei conflitti. Il signor Fould ha recitato l'ultimo atto: in modo decoroso e con nobilt d'animo, come lo loda il Journal des Dbats, egli ha rifiutato l'occasione offerta dal signor Luneau di discutere seriamente la questione. In quanto minoranza della nazione, afferma il signor Fould, gli ebrei non vogliono dare disturbo alla coscienza di trentatr milioni di abitanti della Francia. La domenica un giorno festivo per la maggioranza: e per i miei correligionari deve quanto meno essere un giorno di riposo. Essi sono soddisfatti della situazione concessa loro. Non chiedono niente di pi. Si detto che ci equivarrebbe a costringerli a festeggiare due giorni della settimana. E un errore. vero che essi devono adempiere ai loro doveri religiosi in un giorno diverso dalla domenica. Ma un'ora gli dovrebbe bastare e una tale tolleranza non sar negata loro in nessuna fabbrica. Il Journal des Dbats riferisce l'esito della discussione: il signor Fould, in nome della religione israelitica, ha respinto come inutile e superfluo l'aiuto offerto loro; il Journal avrebbe per anche dovuto riferire se il signor Fould ha presentato delle credenziali che lo accreditavano come persona autorizzata a fare una dichiarazione cos ufficiale, ed infine avrebbe dovuto informare i suoi lettori su come poteva essere possibile che il signor Fould presentasse una dichiarazione il cui senso, se preso sul serio, equivaleva a dichiarare niente di meno che l'inesistenza della religione dei suoi correligionari. Ma il signor Fould non stato eletto solo dagli ebrei, non stato eletto come ebreo, non parla come rappresentante degli ebrei e non ha il mandato di rappresentare e di interpretare la volont e le opinioni dei suoi correligionari; egli invece stato eletto e inviato alla Camera in quanto deputato della Francia. Egli non ha quindi assolutamente il diritto unilaterale di dichiarare che per gli ebrei francesi il sabato non esiste pi esso non ha pi alcun valore se viene soppresso il comandamento del riposo completo e se il giorno di riposo viene limitato al riposo di una sola ora egli non ha nemmeno il diritto di dichiarare che l'ebraismo in Francia avrebbe cessato di esistere. Cos come il signor Martin du Nord, nel progetto di tralasciare dalla legge il riferimento alla domenica, scorgeva la proposta di dichiarare che il cristianesimo aveva cessato di esistere, 113

per la stessa ragione (e questa ragione pienamente fondata), dichiarare che la legge del sabato non sarebbe pi vincolante per gli ebrei, equivarrebbe a proclamare la dissoluzione dell'ebraismo. Il signor Fould non aveva per alcun diritto di fare questa dichiarazione unilaterale; come deputato della Francia aveva solo il dovere di tenere presente l'interesse generale del Paese e, in caso di conflitto, esporlo chiaramente: nel caso un partito fosse anche il partito della stragrande maggioranza volesse privilegiare una religione e subordinare la legge al privilegio, aveva il dovere di protestare e di proporre la soppressione del privilegio religioso. Cos come rinunci all'ebraismo di fronte alla legge, aveva anche il dovere di proporre la piena separazione del cristianesimo dalla legge dello Stato e dichiarare che il cristianesimo, non meno dell'ebraismo, dovrebbe essere abbandonato al giudizio privato di ogni singolo come una mera faccenda privata, con la clausola restrittiva dell'inviolabilit degli interessi statali. Non poteva per agire in questo modo perch non aveva alcun diritto per farlo, sapeva di non trovarsi dalla parte del buon diritto, non poteva cio credere sul serio che la legge del riposo del sabato non sarebbe pi stata vincolante per gli ebrei francesi. Se fosse stato veramente convinto che per i suoi correligionari questo obbligo avrebbe cessato di esistere, allora avrebbe agito diversamente, avrebbe messo certamente in imbarazzo la cristianissima Camera potendo esigere da essa, e l'avrebbe certamente richiesto, il giusto controsacrificio per il sacrificio del privilegio ebraico. Ma egli operava nello stesso spirito della maggioranza quando essa respingeva l'emendamento del signor Luneau in quanto rappresentante del juste milieu. Egli credeva nello spirito di questo sistema e sacrific s e i suoi correligionari a un privilegio: nello stesso spirito la maggioranza pretese ed accolse il sacrificio. ll juste milieu la reazione contro lo Stato cristiano, contro il privilegio religioso ed ecclesiastico, contro il dominio della religione in genere, ma non rischia ancora il tutto e per tutto per la libert contro le restrizioni religiose: esso rimane fermo a met strada, non pu fare altrimenti perch rappresenta solo l'illuminismo nella religione, ma non la libert dalla religione e dal privilegio: il monopolio rovesciato viene sempre di nuovo restaurato, ma in una forma rozza e priva di legittimit poich esso non

riconosce il vero diritto, il diritto esclusivo della religione. La vita nel juste milieu libera, infatti il monopolio distrutto ed ogni cittadino ha uguali diritti ma la legge non libera, essa non ammette la libert e contrappone una stragrande maggioranza, che per la sua confessione religiosa specificamente diversa dalla minoranza, come una forza minacciosa contro questa minoranza. 11 juste milieu libero nella legge, infatti, per quanto riguarda la legge fondamentale, in s assolutamente indifferente che la stragrande maggioranza si differenzi dalla minoranza per la sua confessione religiosa; nella prassi, nella vita, e quando vengono fatte valere alcune leggi determinate, esso non per libero e sacrifica la minoranza alla maggioranza. In linea di principio il juste milieu non ammette la possibilit di un conflitto tra gli interessi religiosi e quelli civili e politici: nella prassi esso nega il conflitto solo perch la minoranza talmente esigua da poter appena definire torto un torto che le viene fatto. Le vittime del juste milieu, che devono soffrire in nome del principio e nella consapevolezza del principio che esse stesse servono, si porgono reciprocamente il pugnale con le parole non dolet, consolandosi all'idea che in realt non v' alcun conflitto, poich non solo esse sono la minoranza, ma non possono in alcun modo dare luogo a un conflitto. Nella prassi, per, e nella vita quotidiana, esse preservano il principio che le distingue specificamente dalla maggioranza e che deve sempre di nuovo dar luogo a un conflitto; infatti, alla pari della maggioranza, non osano mettere in discussione se ci che le divide ha realmente il diritto di dividerle e se ci sia in generale legittimo in rapporto alla legge statale. In breve, entrambe le parti hanno rinunciato ai loro privilegi, ma dimostrano in ogni punto di rilievo, l dove doveva mostrarsi, che in realt hanno entrambe conservato i loro privilegi. Nessuna delle due parti osa seriamente attaccare il privilegio dell'altra perch teme che ci comporti un pericolo per il proprio e che, di fatto, dovrebbe rinunciare ad esso prima di poter attaccare con successo quello dell'altra. L'arte del juste milieu consiste quindi nel fatto che si lasciano andare le cose come vogliono, a prescindere dalla contraddizione esistente tra la teoria e la vita ordinaria; se sopraggiunge un conflitto lo occulta

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ipocritamente e cerca conforto nella speranza che non sopraggiunga subito un nuovo conflitto; cos fino al giorno in cui questo comportamento ipocrita non sar punito, fino al giorno del giudizio, quando dominer la vera e onesta teoria. Lo Stato cristiano sostiene apertamente il privilegio nella teoria, e resta tale nella prassi, quando concede agli ebrei un'esistenza privilegiata. Il juste milieu rappresenta invece la contraddizione appena delineata tra la libert nella teoria, che nega se stessa nella prassi, e la libert nella prassi, che si nega nella teoria e nella legge. Esso non ha perci ancora potuto risolvere il conflitto rispetto al quale la cosiddetta questione ebraica solo una parte. La mancanza di coraggio, alla quale fu finora abituata l'umanit, questa mancanza di coraggio, per cui l'uomo ha paura di confessare a se stesso che un uomo, che libero e che vale di pi di ogni privilegio; la codardia con la quale tenta di nascondersi il fatto che la religione che ancora professa e che vuole assolutamente professare ha gi ricevuto, gi per il modo in cui ammessa, il colpo mortale; l'incertezza che giace nella lotta unilaterale contro un determinato tipo di oppressione, mentre non si pensa alla illibert universale e all'oppressione che grava ancora sull'umanit, proprio questo incubo universale viene preservato da coloro che combattono solo un determinato tipo di oppressione questa mancanza di coraggio e la codardia di questa illusione hanno fatto s che la questione ebraica, cos come la questione dell'emancipazione universale della nostra epoca, non potessero ancora trovare una risposta. Per formulare esattamente la giusta risposta liquideremo l'ultima illusione e metteremo fine all'ultima possibilit di tutte le illusioni.

VII. DISSOLUZIONE DELL'ULTIMA ILLUSIONE

La prima e l'ultima illusione e resta quella per cui l'ebreo, quando professa la sua religione, che si trova all'ultimo stadio della dissoluzione, crede di essere ancora sinceramente religioso, crede di essere ancora ebreo. vero e l'esposizione finora compiuta fornisce la dimostrazione di questa affermazione, una dimostrazione che proseguir e giunger a compimento alla fine del nostro lavoro la religione raggiunge proprio nell'ultimo stadio della sua dissoluzione il suo compimento; l'ebreo che, con il suo illuminismo, con le sue pretese di far parte della societ, vuole, nelle circostanze attuali, essere soprattutto ancora ebreo, il vero ebreo e mostra massimamente la solidit e la verit dell'ebraismo. Ma l'illusione consiste nel fatto che questo compimento della religione, questa illusione compiuta, non viene considerata come la dissoluzione della religione, non viene riconosciuta senza tanti riguardi come tale. Pu l'autoinganno spingersi pi in l di quanto non lo sia ad esempio nelle seguenti espressioni dell'ebraismo?
L'EBRAISMO ILLUSORIO

Non serve a nulla sostenere, come ad esempio fa Mirabeau assieme ad innumerevoli ebrei e cristiani, che l'attesa del futuro Messia non pu impedire agli ebrei di diventare dei buoni cittadini. E non serve neppure credersi pi scaltri se, come ad esempio ha fatto il signor Schlaier durante la seduta della Camera dei deputati del Wiirtemberg nel 1828, si afferma che gli ebrei resteranno dei buoni cittadini solo fino all'arrivo del Messia. Questa percezione della furbizia cristiana, che crede di essere al sicuro dal Messia degli ebrei, non metter mai termine alla questione se quelli che sperano di diventare dei veri cittadini solo nel futuro, in uno Stato celeste o in uno Stato terreno meraviglioso, possono essere in questo mondo dei veri uomini e, nello Stato secolare, dei cittadini con anima e corpo. Il cristiano crede di 117

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essere sicuro e di aver posto fine a quella questione quando, come cristiano, si crede al sicuro dalla venuta di un Messia ebraico. Ma per lo Stato, per la libert, per l'umanit assolutamente indifferente se il Messia un giorno fonder veramente il regno universale degli ebrei o se solo l'idea di questo regno ad estraniare gli ebrei dal mondo, dalla storia e dagli interessi umani. La questione resta sospesa, e rimane aperta fino a quando non si risponde risolutamente di no, cio fino a quando non si riconosca con decisione che quelli che attendono da un futuro meraviglioso la loro vera societ, non possono sentirsi a casa loro nella reale societ umana. Solo cos, e non invece come tentano abitualmente di fare gli ebrei moderni, la questione pu essere decisa una volta per tutte. Scrive ad esempio l'autore dello scritto Die Juden in Osterreich (1842)15, II, p. 185: Quando nelle preghiere degli ebrei ci sono dei passi che danno spazio alla speranza messianica e al desiderio della Terra santa, quei passi non sono in realt quelli che al giorno d'oggi vengono recitati col massimo ardore; con ci viene per il momento solo espressa la contraddizione nella quale si trova l'ebreo moderno rispetto a se stesso e all'ebraismo. Tale contraddizione per solo espressa, non tolta. Essa tolta solo se viene riconosciuta come tale: l'ebreo non e non pu pi essere ebreo se solo smette di riconoscere la conseguenza ultima della sua religione, la conseguenza nella quale compiuta l'essenza della sua religione e nella quale viene a trovarsi la conciliazione (religiosa) delle sue contraddizioni. Significa forse salvare e decidere la causa dell'ebraismo se si considerano i suoi adepti come degli uomini il cui cuore non pi riposto nelle loro preghiere, che con la bocca ripetono dogmi che in cuor loro negano, e che addirittura, come si azzarda a dire l'autore di quello scritto, si spaventerebbero se solo fossero chiamati a prendere possesso dell'eredit promessa? Se quelle speranze non sono pi vive, dovrebbe almeno costituire un argomento a favore di quelle preghiere la loro venerabile et, dal momento che molte ne sono sorte dal tempo della seconda distruzione del tempio, e il ricordo di un'epoca sacra e gloriosa? Voi ipocriti! ha ben detto e predetto contro di voi Isaia: questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le sue labbra, ma il suo cuore lontano da
me>>151.

Una speranza sorta dalla pi alta manifestazione di forza della coscienza ebraica e che l'ancora che lega il popolo ebraico al tempo e all'eternit, per la quale non stata intrapresa o tralasciata alcuna azione efficace (ivi, p. 186), una speranza che sprofondata in questa umiliante nullit non dovrebbe essere chiaramente, nettamente e apertamente rigettata su due piedi da ogni uomo onesto come la cosa pi ignominiosa? L'ebreo moderno ha rinunciato a questa speranza pur tuttavia mantenendola: non osa abbandonarla. Il fatto che sia antica gliela rende troppo venerabile. No! egli la preserva ancora, distinguendo ancora il suo destino da quello dell'umanit; egli vuole ancora starsene per conto proprio, quanto meno in modo vago, e riservarsi per ogni evenienza la possibilit di un destino particolare: perci egli si chiede (p. 186) se il servo che attende di prendere un nuovo servizio per questo incapace di ricoprire fedelmente quello attuale? La storia ha gi risposto a questa domanda. Se una religione prossima alla dissoluzione, se sente avvicinarsi la propria fine e raccoglie ancora una volta le forze per sopravvivere, allora capace di compiere i pi terribili sacrifici. Ma se, con sforzi disperati, riesce a sollevarsi dal proprio letto di morte, cade a terra in modo ancora peggiore. Essa non fa che esaurire le sue ultime forze tra gli spasmi. Nelle sue convulsioni si dibatte contro se stessa. Ogni tentativo intrapreso dai difensori degli ebrei appartiene al genere di queste convulsioni mortali. Che cosa c' di pi tremendo e orribile del tentativo degli ebrei di separare la propria causa e quella del proprio popolo da quella del suo presunto legislatore? Nello scritto Die Juden in Osterreich si dice che per accusare l'ebraismo di una profonda immoralit, non si temuto risalire sino alle gravi prescrizioni mosaiche relative alla repressione si dovrebbe dire all'eliminazione! delle popolazioni dei Cananei, un'accusa che senz'altro non riguarda tanto il popolo (e ancora meno i suoi posteri), quanto piuttosto il suo grande Capopopolo. Per il critico l'intera trama dei racconti relativi alle peregrinazioni dei patriarchi, del popolo e dell'invasione di Canaan, non nient'altro che l'espressione mitica e fantastica del sentimento dell'estraniazione, dell'esasperazione e della struggente passione 119

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con la quale le orde ebraiche si rapportavano alle orde di origine comune dei Cananei; per il critico il precetto della legge di sterminare i Cananei solo il risultato o l'esito estremo della battaglia nella quale la coscienza monoteistica dell'ebreo si separ dalla dipendenza dalla natura dei suoi vicini, con i quali condividevano l'origine comune, senza per essere in grado di poter vincere i suoi avversari altrimenti che con il ferro e il fuoco; per il critico e per l'uomo, per il quale solamente esiste un'umanit e una storia, le leggi, che per un popolo valevano realmente come l'espressione del suo dovere supremo, erano anch'esse scaturite dalla vita stessa del popolo, erano cio la dichiarazione di ci che il popolo riteneva essere la propria destinazione, cos come la storia sacra non che l'espressione di come al popolo piacerebbe veder realizzata la propria destinazione, se solo non fosse ostacolato dalle leggi naturali e dalla potenza di altri popoli. In questa visione della storia tutto chiaro, semplice, umano e coerente. Ma l'ebreo illuminato, che crede ancora alla storia sacra e chiama Mos il legislatore, capace di rendersi colpevole di un rigore mostruoso e di affermare che il legislatore avrebbe dato allo spirito del popolo una direzione per la quale esso sarebbe stato assolutamente incolpevole. L'ebreo si congeda dal legislatore, ma ancora un ebreo fintanto che riconosce Mos come il legislatore, come colui che annuncia la verit e come il fondatore di un nuovo e supremo principio etico. Ma se Mos il legislatore pu l'ebreo rinnegarlo sprezzantemente? Ma egli lo nega anche quando non vuole riconoscere che c' un'unica legge. Chi si vergogna degli esiti estremi della legge, si vergogna anche di tutta la legge,, poich negli estremi che s muovono i pi forti spiriti vitali. E per mezzo di ci che' estremo che si mantiene la legge. L'ebreo non nega quindi solo una parte insignificante della legge quando ne sconfessa i suoi estremi, le sue pudende: cos facendo egli nega invece l'intera legge. Perch? Perch ci che estremo, il pudendum, non altro che l'alter ego della legge e ne esprime la natura. La passione, la durezza e la brutalit animale che si esprime in quel comando di annientare i Cananei, anima l'intera legge. L'ebreo moderno esprime questa vergogna sotto forma di lode per la purezza del principio etico della legge mosaica cio, da quando la storia ha valicato i confini di Canaan, schernendola 120

e ridicolizzandola come qualcosa di superfluo e insignificante. L'ebreo, qualora voglia restare ed essere ancora tale, pu essere ebreo solo in modo illusorio, perch non dispone pi della vera legge, abbraccia solo una falsa ombra della legge, vergognandosi addirittura di ci che in essa vi di estremo, delle sue parti caratteristiche. Ma egli vuole essere ancora ebreo, ed di fatto e in senso pieno un ebreo. Nella sua illusione, con la quale si copre gli occhi riguardo all'intera storia dell'umanit, addirittura nel suo illusorio ebraismo, egli il vero ebreo. Egli nega la storia e il suo progresso, conduce una guerra all'ultimo sangue contro la storia, spacciando il suo ebraismo illusorio per il principio supremo dell'eticit e questa guerra all'ultimo sangue un crimine pi grave della guerra che i suoi antenati dovettero condurre contro le orde di Canaan. una guerra contro l'intera umanit ma in quanto tale la verit e il compimento dell'ebraismo. L'ebreo moderno capace di autoabnegazione appellandosi a delle testimonianze che singoli cristiani hanno fatto in favore della legge per metterla al riparo dalle presunte "ingiurie" che essa subirebbe. L'ebraismo rovinato se si abbassa a farsi rilasciare dal cristianesimo un attestato di perfezione; ha rinunciato a se stesso se lascia (ivi, I, p. 218) che siano dei prelati cristiani non solo l'arcivescovo di Canterbury, ma ogni vero teologo gli fa questo favore ad attestare che la sua legge morale e sociale la stessa identica legge morale e sociale del cristiano. Ma l'ebreo conserva ancora se stesso anche in questo momento estremo, l dove sembra aver rinunciato a se stesso, perch proprio quei cristiani, alle cui testimonianze egli si appella, sono tanto poco critici quanto lo egli stesso, e rappresentano all'interno del mondo cristiano, nella misura in cui ci possibile all'interno di quel mondo, l'essenza ebraica che tanto, o piuttosto che solamente, sta a cuore all'ebreo. vero, il cristianesimo il compimento dell'ebraismo, la sua morale la morale ebraica conseguentemente realizzata, la sua visione del mondo e della societ umana la conseguenza di quella ebraica ma in quanto questo compimento, esso , come abbiamo gi dimostrato, al tempo stesso e necessariamente la negazione della specifica essenza ebraica. Ma quei teologi cristiani negano questa negazione, la perenne negazione dell'essenza veterotestamentaria, perch non vogliono ammettere che la 121

Rivelazione divina, nel suo progresso nella storia universale, non mai progredita ed ha spezzato in un punto il filo della continua uniformit. Questi cristiani ebrei non vogliono alcuno sviluppo, nessuna storia, nessuna negazione del Vecchio, ed per loro assolutamente indifferente che l'ebraismo diventi cristiano o il cristianesimo ebraico. Ci indifferente perch n ogni caso non fanno altro che trasformare il cristianesimo in un cristianesimo ebraico, quindi in un cristianesimo incompiuto, in breve secondo quanto detto sopra solo nell'ebraismo, nel cristianesimo illusorio. L'ebreo che si concepisce come uno solo con il cristiano, non pi ebreo, perch ha rinunciato al suo privilegio esclusivo; ma nel suo ebraismo illusorio egli diventato per la prima volta e in senso pieno ebreo, perch egli stesso, nell'illusione di aver rinunciato al suo privilegio, lo avrebbe conservato. Se egli fosse una cosa sola con il cristiano, lo sarebbe solo in quanto non vuole avere alcuna storia, alcuno sviluppo, alcun serio superamento del Vecchio. A partire da queste considerazioni andremo ora a vedere che cosa dobbiamo pensare del fatto che il nome degli ebrei e quello di chi combatte per la verit ci vengono presentati come sinonimi.

GLI EBREI COME PALADINI DELLA VERIT

Poich gli ebrei, per rimanere fedeli alla fede dei loro padri, hanno sacrificato tutto, patria e beni, alla loro confessione, poich si sono inflitti secoli di tormenti e umiliazioni fino ai nostri giorni, perci, dice l'autore del suaccennato scritto (ivi, I, 248), hanno equiparato il nome degli ebrei a quello dei paladini della verit. Ma se il nome dei Parsi, che ancor oggi in India sono legati alla religione dei loro padri, non deve ottenere lo stesso onore, allora bisognerebbe dimostrare che la legge ebraica ancora oggi, per sempre, per l'eternit e in modo assoluto nient'altro che la pura verit. Come se ci fosse una verit esclusiva, come se ci fosse una verit incrostata in alcuni precetti, una verit che, pietrificata, possa essere lasciata in eredit per secoli o possa conservarsi come un'anticaglia sempre fresca che contraddizione! e piena di vita. 122

Una verit vera una volta sola e specificamente quando sorge alla coscienza e fintanto che combatte con lo spirito della storia, fintanto che parte integrante di esso, cio fino a quando criticata e, nella sua dissoluzione, divenuta il fertile terreno sul quale sorger una nuova forma della verit. Anche il culto del fuoco dei Parsi fu verit! Anche la legge di Jehova! Ma la verit non , cio non affatto qualcosa come lo una pietra, una montagna, un pianeta o il sistema solare e di queste cose non si pu neppure dire che esse sono, nel senso che si manterrebbero sempre e ininterrottamente uguali la verit non , essa diviene solamente, essa esiste quindi solo nella storia e per mezzo della storia, nella critica e per mezzo della critica. La storia non ha finora prodotto alcuna verit che non sia caduta sotto il fuoco della critica; la verit suprema che essa per mezzo della critica in procinto di produrre, l'uomo, la libert, l'autocoscienza, una verit che meno di tutte si fossilizzer, si chiuder in s e si separer dalla critica e dallo sviluppo della storia, poich essa non nient'altro che lo sviluppo finalmente libero. Anche l'ebraismo fu una verit ma quante verit la storia ha da allora messo sul tappeto! quante verit vi si devono aggiungere alla somma totale, e quante devono quindi essere dissolte affinch la pi recente verit, la verit odierna, l'uomo, la libert, possa diventare possibile! I paladini della verit sono solo gli eroi che scoprono, esprimono e diffondono una nuova verit e che, per mezzo di una verit superiore, dissolvono, trasformandola nell'humus nel quale mette radici la nuova verit, la precedente verit di livello inferiore, che, solo se confrontata con ci che nuovo, diventa la falsit contro cui il Nuovo combatte. I paladini della verit sono dei creatori e devono perci combattere e rifiutare il Vecchio. Ma gli ebrei hanno combattuto? In particolare, hanno combattuto intendiamo dopo l'affermazione del cristianesimo per una verit che avesse innalzato l'umanit e la storia al di sopra di una verit pi antica? Essi hanno sofferto, ma non lottato. Hanno sofferto per una verit, ma per una verit che da lungo tempo aveva cessato di essere vera hanno lottato solo per la loro verit privata, non per una verit universale dell'umanit. 123

L'autore dello scritto Die Juden in sterreich ci fornisce un lungo elenco di ebrei che si sono distinti nelle arti e nella scienza. Questi nomi sono interessanti per la storia privata degli ebrei per la storia in generale, per la storia universale del mondo (il concetto di mondo assolutamente ignoto all'ebreo), non hanno alcun interesse. Nessuno degli ebrei menzionati dall'autore del suddetto scritto ha portato un contributo creativo alla storia dell'umanit. Nessuno di loro pu essere menzionato quando si tratta di scoperte che ci hanno fatto luce sulle leggi dell'universo naturale e spirituale. Quegli ebrei non hanno attuato n realizzato alcuna scoperta od opera universale. Non sono mai intervenuti creativamente nella storia del loro popolo. Da quando il Talmud compiuto la qual cosa non sarebbe d'altra parte stata possibile senza l'influenza della chiesa sulla Sinagoga gli ebrei non hanno pi storia. Dall'inizio del Medioevo fino ad oggi il popolo ebraico era costituito da una massa di atomi determinati dalle stesse regole e dalla stessa contrapposizione alla storia; mancava ad esso l'unit della coscienza che propria solo delle nazioni storiche e che necessaria per formare nuovi interessi e nuove concezioni. Perci non si mai potuto riunire in un uomo che gli desse, nella sua totalit, come popolo, un nuovo impulso, un nuovo slancio e un superiore e quindi universale e pervasivo sentimento di s. Moses Mendelsohn ha influenzato parte dei suoi connazionali ma anche questa influenza fu improduttiva, un gioco inutile, poich non aveva a fondamento una nuova idea di uomo. Egli non ha prodotto alcun popolo nuovo, se gli dovessimo menzionare degli esempi a lui vicini di creazioni nelle quali e per mezzo delle quali i popoli si sono istituiti e perfezionati, allora dovremmo raccontare la storia del secolo aperto da Voltaire e conclusosi con gli eroi della rivoluzione politica e scientifica. E con cosa ha operato Mendelsohn? Con i futili resti di una filosofia da lungo tempo in declino, una filosofia che dovette ricevere da Kant lo sconvolgimento che scosse la coscienza universale dell'epoca spingendola in una nuova direzione con i resti della filosofia popolare wolffiana. Con un tale dono non poteva aiutare n l'umanit n il suo proprio popolo, il quale dovette riporre le proprie speranze in un tempo in cui Jehova, con la stessa chiarez124

za ed esattamente come avvenne millenni prima sul monte Sinai, avrebbe detto al popolo che doveva essere liberato dal giogo dei suoi precetti. L'altro Mos Maimonide con la sua sofistica oscura, confusa e servile pu essere solamente oggetto di curiosit, laddove gli esponenti cristiani della scolastica e quante sono tra loro le stelle di prima grandezza! appartengono per sempre alla storia universale. Quale chiarezza nelle loro questioni e nelle loro deduzioni rispetto al borbottio dei dialettici ebrei! Che costruzioni colossali, elaborate con estrema precisione fin nei pi piccoli dettagli sono le loro opere, lontane dal poter essere paragonate ai confusi mucchi di sabbia nei quali Maimonide racimola e sparpaglia i precetti assolutamente insignificanti della tradizione! L'esponente cristiano della scolastica un idealista, la sua opera un ideale in s; ben lungi dal poter essere paragonato a un esponente ebraico della scolastica e alle monetine che costituiscono il materiale e il guadagno della sua insulsa recita. Il cristiano lotta e combatte con un oggetto che in s l'intera umanit, l'uomo in genere. Questa battaglia vale la fatica e una storia millenaria. Questa lotta in s gi una vittoria; nel momento dell'indecisione, se paragonata al rimuginare su migliaia di vuoti precetti, il trionfo della luce; la scuola dell'idealit compiuta che diviene padrona dell'oggetto estraneo trasformandolo in qualcosa di umano, vale a dire in ci che esso in s. La storia del mondo cristiano la storia della suprema battaglia della verit, perch in essa e solo in essa! in gioco la scoperta dell'ultima, o della prima, verit quella riguardante l'uomo e la libert. All'ebreo manca questa idealit. Manca la sua stessa possibilit, perch nei suoi precetti non racchiusa l'umanit, ma solo una nazionalit chimerica, ed infine nemmeno pi questa, ma solo una somma di individui atomistici. Da questa mancanza di ogni idealit si capisce anche che l'ebreo non pu criticare il cristianesimo con successo, lo pu a malapena criticare se per critica di un sistema religioso si intende qualcosa di pi rispetto a delle menzogne grossolane e a uno scherno sconsiderato egli infatti ben lungi dal poterlo conoscere e dallo scoprirne l'essenza. 125

L'EBRAISMO E IL CRISTIANESIMO DISVELATI

una vuota e impotente minaccia quella sollevata dall'autore dello scritto Die Juden in dsterreich nel momento in cui rilancia la questione che gi altri avevano precedentemente posto, e cio che si pu ben dubitare (I, p. 225) che un Eisenmenger ebreo, leggendo da cima a fondo, con la medesima logica satanica e con lo stesso amore diabolico, la letteratura del cristianesimo, non sia in grado di esporre nella galleria delle opere letterarie, accanto all'ebraismo disvelato, un pendant dal titolo: Cristianesimo disvelato?152. Ma si dovrebbe pensare che gli ebrei hanno avuto tempo a sufficienza per compiere questo disvelamento, se fosse stato loro possibile o concesso dalla storia! Perch non hanno nemmeno fatto i primi preparativi per compiere una tale impresa? Dove si pu trovare, tra loro, anche solo il primo abbozzo di un'opera come "il cristianesimo disvelato"? Essi non sono in grado di fare quest'opera, che il pi grande di tutti i disvelamenti, perch non posseggono la libert dello spirito, l'idealit dissolvente e l'interesse teorico necessari a farla. Essi non hanno bisogno di compiere questo disvelamento perch gi stato fatto. Dal tempo dell'Examen de la Religion di de La Serre'53 e del Christianisme dvoil di Boulanger'54 non suona quest'ultimo come "cristianesimo disvelato"? dal tempo di questi audaci e gi felicissimi tentativi di disvelamento sono seguiti diversi tentativi e diversi disvelamenti, finch, ai nostri giorni, possiamo proclamare in tutta verit e per sempre che il cristianesimo "disvelato", la sua essenza svelata, la sua origine chiarita: le Christianisme est dvoil! Non si pu menzionare alcun ebreo che abbia seguito questo lungo corteo di disvelatori e conquistatori o che, nel caso avesse perso la via, gli avesse indicato la direzione giusta o avesse anche solo fatto una scoperta in grado di portare all'ultimo e decisivo disvelamento. Ancora oggi l'ebreo illuminato mostra che questo disvelamento, cos come il suo primo presupposto, non gli possibile. Lo studio di un sistema in tutte le sue parti, e quindi e a maggior ragione nelle sue parti caratteristiche cio lo studio del cristianesimo nei suoi fenomeni pi significativi: negli scritti dei Padri 126

della chiesa, negli Annali delle crociate, nelle cronache dell'Inquisizione, negli scritti dei teosofi e dei mistici, questo studio, che considera l'essenza del cristianesimo proprio nelle epoche in cui esso intervenuto con decisione nella storia, all'ebreo illuminato sembra possibile solo per amore diabolico verso l'oggetto. Anche il naturalista si lascia guidare da una logica satanica e da un amore diabolico verso l'oggetto del suo studio quando stabilisce la natura di un animale a partire dalle unghie, dagli artigli e dalle zanne con i quali si impone nel suo mondo! L'ebraismo non ha mai potuto produrre una rappresentazione coerente di se stesso. La sua essenza gli rimasta ignota e, nella sua limitatezza, gli rimane ignota. Essa potrebbe rappresentare se stessa qualora si concepisse come presupposto del cristianesimo; la sua essenza gli diverrebbe comprensibile solo se si riconoscesse come cristianesimo incompiuto; la sua autentica dissoluzione possibile solo se viene dissolta e disvelata nel e con il cristianesimo, nel e con il suo compimento. L'ebreo in quanto ebreo non in grado di relazionarsi teoricamente al cristianesimo; egli si pu rapportare ad esso solo in modo pratico, religioso, e solo con la sua limitata religiosit, che, nella sua ristrettezza, pu sfogarsi solo mediante insulti, menzogne e imprecazioni. Anche nella lotta con la critica l'ebreo non pu comportarsi scientificamente. da molto che Eisenmenger resta inconfutato, e l'ebreo non lo confuter mai, fino a quando, contro questa opera fondamentale, continuer a citare teologicamente solo singoli passi del Talmud. Eisenmenger sar confutato solo quando sar realmente riconosciuto, cio quando sar chiarita la misera contraddizione teologica tra i singoli passi del Talmud e la falange delle testimonianze ebraiche da lui presentate. L'ebreo, cos come il cristiano in quanto cristiano non sono capaci di interesse scientifico e atteggiamento scientifico perch considerano ogni tentativo di disvelare la loro essenza come un'offesa personale, come un attacco, come un'arrogante violazione. Noli me tangere! il loro motto. Di fatto ogni conoscenza riguardo alla loro essenza un attacco al loro privilegio, un attentato alla loro beatitudine e una noia, perch la loro essenza consiste nel soddisfare i loro bisogni personali; essa loro possesso personale e non viene mai considerata come essenza, come 127

un'essenza libera e universale per s, separatamente dall'ansia e dalla necessit della cura della propria persona. Essi non sono liberi, perch non lasciano mai libera la propria essenza. L'autore dell'ormai pi volte menzionato scritto fa doppiamente confusione quando dice (II, p. 184) che gli scrittori ebrei non si sarebbero mai lasciati andare alle manifestazioni di odio verso il cristianesimo fatte nella nostra epoca da un cristiano Goethe, specificamente nella sua nota poesia a Suleika. La polemica ebraica verso il cristianesimo e la critica sia essa la critica artistica o quella scientifica che stata esercitata da quegli uomini che hanno attraversato la cultura cristiana, si distinguono non solo quantitativamente ma anche nella sostanza. L'attacco religioso degli ebrei al cristianesimo limitato, maligno, avvilito, la battaglia di un privilegio contro l'altro, un attacco egoistico; il suo unico successo, a causa della sua inefficacia per quanto riguarda la causa dell'umanit, consiste solo nel generare discordia da entrambe le parti, senza accennare al fatto che, da parte degli ebrei, solo la battaglia di un pregiudizio di pi basso livello contro uno di gran lunga superiore. E se invece gli ebrei rappresentassero il punto di vista nel quale possibile la battaglia di un Goethe e della critica contro il cristianesimo, la battaglia della libert contro ci che la limita, dell'umanit contro l'umanit deturpata! In questo caso essi non sarebbero pi ebrei, non sarebbero pi particolarmente privilegiati, essi disvelerebbero l'essenza del cristianesimo, e quindi anche quella dell'ebraismo, e la libert, o quanto meno l'ingresso nel regno della libert che sar istituito dalla storia a venire; sarebbe garantita loro. Se capissero che cosa il cristianesimo e lo Stato cristiano, non vorrebbero nemmeno essere emancipati; essi punterebbero piuttosto alla loro vera libert. Continuano ad ingannarsi se pensano che lo Stato cristiano rifiuti loro non solo le libert essenziali ma la libert in genere, o che essi siano gli unici a soffrire e ad essere oppressi nello Stato cristiano. L'autore dello scritto Die Juden in sterreich, in un capitolo specifico, ha esaminato come le privazioni dei diritti sofferte dagli ebrei in Austria e l'oppressione che grava su di loro siano in contraddizione con le riconosciute disposizioni giuridiche vigenti in Austria. Mostreremo che gli ebrei non dovrebbero essere il solo 128

oggetto di tutte le sue lamentele, ma piuttosto che se gh ebrei soffrono, tutti gli altri soffrono allo stesso modo; l'ebreo si illude enormemente se crede che, appena tolta la particolare oppressione che grava su di lui, diverr libero. Tutto, piuttosto, privo di libert nello Stato assolutista; l'ebreo privo di libert solamente in un modo particolare. L'ebreo, se solo considera esattamente la questione, non ha da reclamare o sperare nell'eliminazione della sua miseria particolare, nel superamento della sua illibert particolare: piuttosto la fine di un principio che deve reclamare.
L'EBREO NELLO STATO ASSOLUTISTICO

L'ebreo, dice l'autore di quello scritto che si occupa degli ebrei in Austria, privo di veri diritti di cittadinanza. Ma chi, in uno Stato assolutista, ha veri diritti di cittadinanza? Chi? Nessuno! Non solo in questo Stato ci sono anche dei paria cristiani, ma anche coloro ai quali, per nascita o per particolare grazia, sembrano essere concessi diritti di cittadinanza, neanche loro sono sottratti alla miseria generale. La loro miseria lucente, ma proprio per questo pi miserabile. L'impiegato, che nel suo ufficio compila le voci del suo libro contabile, voci che gli vengono continuamente assegnate e mai una volta decise da lui stesso, non pu essere definito realmente libero e, fintanto che la sua intera essenza assorbita nella compilazione di quelle rubriche, non in possesso di veri diritti di cittadinanza. Il privilegiato, lo sia per nascita o per i suoi beni, pu al massimo esprimere un'opinione alla Dieta regionale, ma ha diritti di cittadinanza se la sua opinione non ha la bench minima influenza sullo sviluppo dello Stato? Ha una qualche influenza qualora la sua opinione rimanga e debba rimanere solo un'opinione personale? Per l'intero, cos come per lui stesso, pu essere del tutto indifferente che egli esprima la sua opinione all'interno delle mura domestiche o che, nel caso abbia ancora la ridicola pretesa di attribuire a s e alla propria opinione un'importanza pi grande di quanta ne abbia, intraprenda addirittura un viaggio per esprimere il suo punto di vista in un locale pi ampio di casa sua, sommandolo ad altre opinioni altrettanto insignificanti. Non si pu parlare di diritti di cittadinanza l dove lo Stato 129

non ancora uno Stato e la sua unica fatica quella di non diventare Stato, di non diventare cio una faccenda universale riguardante tutti. Anche i moti supremi di un tale non-Stato, come la guerra e la conclusione dei trattati, non vengono condotti in base a un'idea che avrebbe un proprio contenuto positivo, ma sono provocati solo dalla reazione alle idee reali di altri Stati ed hanno come unico scopo l'isolamento dallo sviluppo storico dell'idea di Stato. Gli ebrei sono gravati da oneri straordinari oltre agli ordinari doveri dei cittadini. Ma anche noi lo siamo. Se le imposte e le tasse dovessero essere i nostri unici o i principali doveri verso lo Stato e se i doveri fossero in un giusto rapporto con i diritti, allora, al di l di ogni giusto rapporto e in maniera spropositata, avremmo doveri esorbitanti dal momento che non abbiamo alcun diritto universale. Oppure, se chiamiamo ordinari doveri del cittadino ci che i ceti inferiori devono pagare nella proporzione esatta di ci che pagano i ceti superiori, anche in questo caso sarebbero ancora una volta i primi a doversi sobbarcare un peso eccezionale. Gli ebrei, nelle diverse Province, sono soggetti a leggi diverse. Anche noi! La monarchia assoluta non conosce alcun diritto territoriale generale, alcuno Stato, ma tutt'al pi solo Stati o Province che possiedono i loro diritti particolari come contee, ducati, principati e margravi che, a loro modo, appartengono a uno solo. In Galizia il culto ebraico, fin nei suoi pi piccoli dettagli, soggetto a un'imposta che viene riscossa con estremo rigore. L'ebreo, ad esempio, deve pagare una tassa per i lumi della festa del sabato anche se, a causa della sua povert, non ne avesse mai potuti comprare. Ma la nostra situazione ancora peggiore. Noi dobbiamo pagare un tributo per il sostentamento della chiesa, dobbiamo farci battezzare e confermare per il matrimonio anche se non abbiamo pi alcun legame con la chiesa. Veniamo costretti a compiere atti religiosi. I disagi degli ebrei sono in contraddizione con i principi giuridici universalmente riconosciuti n Austria. I cristiani devono per rilevare gli stessi disagi, perch questi sono una conseguenza necessaria dell'intera costituzione. 130

Lo Stato assolutistico deve fare dei sacrifici ai tempi moderni e porre al vertice del diritto territoriale o di altri patti e trattati dei principi giuridici universali riguardanti il benessere dell'intero e i diritti umani, ma, nelle singole disposizioni e nei singoli paragrafi, quanto pi si entra nei dettagli, sempre di pi esso limita questi principi universali, paralizzandoli con delle clausole, fino a quando non sono completamente annullati. Se ad esempio in generale vale il principio secondo cui i diritti devono essere in accordo con i doveri, nella realt e nei casi particolari riesce facile al privilegio pi forte rimuovere questo principio, oppure il privilegio fa semplicemente irruzione e, senza pudore, dichiara che, per il suo bene, quel principio deve tacere. In un codice che stabilisce come norma generale l'equilibrio tra diritti e doveri pu poi essere detto senza esitazione che se un nobile e un borghese di eguali capacit aspirano alla stesso posto, il primo deve avere la preferenza. Questa legge pu facilmente restare incontestata, pu addirittura compiacersi del fatto che al borghese, per quanto superiore, venga comunque preferito il nobile. L'ebreo non si deve lamentare solo per il fatto che, sul suo lungo cammino, prima ancora che il principio del necessario accordo tra diritti e doveri giunga a lui, esso sia gi diventato cos flebile e privo di energia da non essere pi in grado di proteggerlo da particolari soprusi e angherie. Nel codice generale dichiarata la non colpevolezza della confessione religiosa. Bene! Anche al cristiano, a tutti nel moderno Stato assoluto garantita la libert di coscienza; nessuno deve essere penalizzato per le sue concezioni religiose. Ma fate venire una o pi persone e lasciatele dichiarare che si allontano da ogni religione, e che quindi non possono pi adempiere gli atti religiosi, proprio qui, nel caso particolare, dove quel principio della libert di coscienza dovrebbe mostrare che fa sul serio, smette invece di dare buona prova di s. Nel codice il pregiudizio espressamente dichiarato come una cosa senza valore. Ma, come gi dimostrato, esso continua a valere ed il principio sommamente regolativo nelle disposizioni dei rapporti interni dello Stato cristiano. L'autore dello scritto Die Juden in sterteich si richiama inoltre alle promesse e agli impegni generali che, diverse volte, sono stati fatti agli ebrei. Ma come in ogni altro caso e come tutti quelli che si sono finora impegnati a favore degli ebrei, egli ha 131

commesso un gran torto, perch non ha pensato ai suoi compagni di sventura, ai cristiani. Anche a noi sono state fatte delle promesse, ma la loro realizzazione andata per le lunghe e nel frattempo sono seguite delle dichiarazioni che, al contrario, ci fanno ben capire che, fino alla fine dei tempi, quelle promesse non devono essere prese sul serio. A ragione aggiungiamo che non siamo ancora maturi, non siamo ancora uomini nel senso pieno e vero del termine, siamo ancora senza coraggio, codardi, intimamente schiavi vogliamo essere schiavi. Il modo in cui l'ebreo dovrebbe esprimersi sar chiaro ad ognuno dopo quanto stato detto finora. Gli ebrei austriaci delle province assoggettate durante le guerre rivoluzionarie francesi hanno perso molti dei vantaggi e dei diritti posseduti sotto il governo straniero. Ma sono solo ed esclusivamente gli ebrei ad avere storicamente ottenuto e perso qualcosa? Non ci sono altri popoli interessati dalla storia o che hanno fatto esperienza di qualcosa? Sempre e solo gli ebrei! Se fossero stati solo gli ebrei ad aver fatto quelle amare esperienze, potrebbero attendere ancora a lungo perch sia posto rimedio alla loro sciagura! Se stanno da soli, saranno abbandonati; la loro causa di fatto una causa infelice e disperata fino a che, in tutti i loro pensieri e sentimenti, continuano ad isolarsi e a non riconoscere che la loro causa pu essere portata avanti solo se e nella misura in cui essa fa tutt'uno con la causa dell'umanit e della storia. In tutta Europa il potere assolutista fu persuaso che il dominio realizzato ed esercitato per un quarto di secolo dalla potenza della libert fosse stato qualcosa di estraneo, ed ag di conseguenza. Con un tratto di penna, con un decreto, esso dichiar nulle e senza valore quelle leggi "straniere" e, poco a poco ma incessantemente, lott e strapp a suoi sudditi le disposizioni pi importanti e pi liberali del codice "straniero". Gli ebrei non sono i soli ad aver subito la restaurazione, e proprio nel fatto che non sono soli consiste l'unica possibilit della loro salvezza. Noi, i popoli storici, ci salveremo in quanto tutti i lavori della critica e della scienza hanno mirato a ci dimostreremo che i principi che dall'inizio del secolo hanno cambiato l'aspetto dell'Europa non ci sono assolutamente estranei, che essi appartengono piuttosto alla natura umana e sono diventati tutt'uno con essa. A ci che estraneo togliamo l'aspetto dell'estraneit, quell'aspetto che certo aveva all'inizio per l'intera Europa perci dovette essere realizzato con violenza e per mezzo di una lunga serie di guerre contro chi recal132

citrava quell'aspetto che solo pu giustificare le contromosse della restaurazione in modo storicamente comprensibile. In queste circostanze accanto a noi e con noi, da parte sua e assieme ai nostri sforzi ci che l'ebreo deve fare non pi una questione riguardante la sua volont di essere realmente libero o la sua volont di non perdersi in illusioni che lo tengono eternamente lontano dalla libert. Egli deve dimostrare che i principi che, durante il rivolgimento di tutti gli Stati europei,, facevano anche il suo interesse e per un istante gli hanno dato respiro, non gli sono estranei, e che i loro benefici non furono una concessione accidentale. Ma ha veramente il coraggio di sostenere apertamente il principio della libert dal pregiudizio? Deve trasformare la causa universale dell'umanit nella propria, e la propria in quella universale. Ma pu farlo se continua a lottare solo per s, in quanto ebreo? Pu farlo se non vede che pu diventare libero solo abbandonando completamente il pregiudizio di poter stare per s e la pretesa di ottenere la libert per s? Egli deve estirpare fino alla radice l'idea che egli solo sia oppresso; la radice che deve strappare l'idea che il suo destino nello Stato cristiano sia un'inconseguenza e una violazione dei principi di quello stesso Stato. Deve convincersi che il suo pregiudizio di voler essere, in quanto ebreo, qualcosa di particolare, solo uno dei pregiudizi, solo il completamento dei pregiudizi che determinano la forma dello Stato assolutistico. Egli si finora ingannato sulla sua posizione, ma questo autoinganno fu qualcosa di universale. Noi tutti, fino ad ora, avevamo le idee confuse su noi stessi e sulla nostra posizione nel mondo. giunto il tempo della disillusione perch il potere, il pregiudizio religioso che finora ci ha ingannati, o che era frutto del nostro stesso autoinganno, chiarito, compreso, decifrato e privato del suo potere assoluto. Finora credevamo che il pregiudizio religioso fosse un potere ultraterreno al di fuori della nostra potenza, un potere che governava, regolava e determinava la nostra condizione ed esso non nient'altro che un'espressione particolare, una formula per rapporti che noi stessi abbiamo creato. solo il velo che gettiamo su tutti i nostri pregiudizi, pensando cos di nasconderli, abbellirli o giustificarli. Quest'ultima illusione ora dileguata. Il velo logorato dagli anni e i pregiudizi appaiono in tutta la loro miseria. 133

L'ILLUSIONE FONDAMENTALE

Nel 1831, nel corso dei dibattimenti della Camera bavarese sulla condizione degli ebrei, i deputati, tra le altre cose, hanno osservato che solo l'odio religioso un ostacolo della cui soppressione potrebbe andar fiero l'illuminismo contemporaneo ostacola, in qualche circoscrizione, la liberazione degli ebrei dalla loro oppressione. Ma com' che l'odio religioso tace quando l'ebreo costretto a versare il proprio sangue allo Stato nelle vesti di un comune soldato, per ridestarsi solo quando l'ebreo deve diventare ufficiale? Si tratta di odio religioso se la corporazione viennese dei mugnai e dei fornai cospira per non ammettere tra i suoi membri alcun ebreo? Perch l'odio religioso scorda il suo primo dovere e non fa nulla per opporsi se il primo mulino a vapore di Vienna viene costruito dagli ebrei e se la concorrenza, dai ristretti limiti della corporazione, viene estesa in un ambito nel quale si pu muovere con la massima libert e pu conseguire successi straordinari? E ancora, si tratt solo di una momentanea debolezza dell'odio religioso, che a Vienna vorrebbe eternamente negare all'ebreo l'ingresso nella corporazione dei trasporti, fu solo per un suo momento di debolezza che un ebreo intraprese la costruzione della prima grande ferrovia austriaca, sopraffacendo alla grande la corporazione dei trasporti che negava al proprio popolo la partecipazione ai miseri guadagni? E per finire, sempre l'odio religioso ad impedire ai borghesi, che al pari dei nobili sanno versare il proprio sangue e il cui amore per la patria pu spesso essere definito disinteressato, dal momento che il loro sacrificio viene ricompensato in misura minore ed meno esposto al sospetto di rafforzarsi o di accrescersi attraverso il godimento di particolari privilegi per finire, insomma, solo l'odio religioso che rende difficile o impossibile al borghese diventare ufficiale o alto ufficiale? infine un particolare odio religioso a rendere addirittura impossibile al borghese vedersi attribuire un reggimento nel Gardecorps? Forse l'odio religioso ha delle ragioni particolari per andare contro i propri principi quando capita di fornire ufficiali all'artiglieria? Giusto! cos! L'odio religioso spinge i nobili a isolarsi dal 134

ceto borghese. sull'odio religioso che riposa la separazione tra possidenti e poveri, i quali possono fare affidamento solo sulla loro misera intelligenza. Il signor Biillow-Cummerow trov l'esatta espressione religiosa ed ecclesiastica per definire questo rapporto statale quando defin l'elemento dello Stato che rappresenta l'intelligenza solo qualcosa che viene sopportato e tollerato. passato il tempo in cui pu essere dichiarata la separazione in caste, l'isolamento dei privilegiati dai non-privilegiati o dei privilegi particolari gli uni dagli altri, e quindi anche l'oppressione subita dagli ebrei per motivi genericamente religiosi o puramente religiosi. Anche nel Medioevo, quando ancora si credeva o si poteva credere nella fede, poich non le si facevano mancare eccellenti rivelazioni, le citt e le sue corporazioni, se escludevano o perseguitavano gli ebrei, oppure se si facevano attribuire o si arrogavano esse stesse il privilegio di non introdurre al loro interno nessun ebreo, non agivano solo nell'interesse della religione, ma anche per i loro interessi cetuali e corporativi. Il pregiudizio religioso era al tempo stesso un pregiudizio a favore della corporazione, il privilegio religioso era solo la sanzione soprannaturale di quello civile, il principio di esclusione religioso non era che il presupposto, il modello e l'ideale di quello civile e politico. In nome della sola religione gli uomini non hanno ancora fatto nulla di storico, non hanno intrapreso nessuna campagna militare, non hanno condotto nessuna guerra. Se credevano di agire e soffrire solo in nome di Dio, noi, in virt della visione moderna delle faccende divine, possiamo dire non solo che essi avrebbero piuttosto agito e sofferto solo in ragione della loro rappresentazione d ci che l'uomo deve essere e diventare, ma che in tutti gli sviluppi religiosi, tutte le imprese, le battaglie, le tragedie, le azioni pi o meno degne di essere menzionate, erano sempre gli interessi politici, o i loro echi, o i loro primi motti a determinare e guidare l'umanit. Considereremmo la religione in modo sbagliato, cio come essa stessa vuole essere considerata, se pensassimo che essa abbia a che fare con la conoscenza di un mondo divino ultraterreno. Questo mondo ultraterreno piuttosto solo il mondo degli interessi umani elevato nell'al di l, cio il mondo estraniato da se stesso; la disposizione di questo mondo l'ordine fantastico della societ umana, le lotte degli eretici non sono nient'altro che il 135

tentativo di introdurre con la violenza e in modo ancora capovolto la ragione degli interessi mondani in questo mondo chimerico. La vera fede del passato era l'espressione tortuosa, cio ottenuta innalzandosi ad un mondo ultraterreno, della illibert e del pregiudizio che regnavano in tutti i rapporti reali, il fuoco dell'entusiasmo della fede era solo il fuoco, dipinto in modo celestiale, nel quale si scontravano i privilegi. Non l'odio religioso che si contrappone all'emancipazione degli ebrei, ma la validit dei privilegi. Non la loro religione che rende impossibile agli ebrei di diventare liberi, ma la loro idea di essere particolarmente privilegiati, di essere privilegiati per nascita, per il solo fatto di essere qua. Ma i privilegi possono valere solo fino a quando non spezzato il pregiudizio naturale dello spirito; essi sono quindi validi solo l dove regna il pregiudizio religioso, si fondano necessariamente sul presupposto religioso dominante. Anche la concezione dell'ebreo di essere particolarmente privilegiato, o addirittura l'unico privilegiato, possibile solo per mezzo della sua religione e sotto il suo presupposto. Se l'ebreo fuoriesce dai limiti della sua religione, se riconosce il mondo e la societ umana, e nella misura in cui li riconosce, abbandoner anche la superbia del suo privilegio e, cos facendo, abbandoner lo stesso privilegio. Se l'universale pregiudizio e l'illibert del mondo cristiano si apre alle concezioni e alle impressioni della societ umana e oltrepassa le barriere della chiesa, i privilegi sono minacciati dal primo all'ultimo. Il pregiudizio religioso e la separazione religiosa devono senza dubbio cadere e venir meno se le caste e i privilegi civili e politici dovessero cessare di esistere. Il pregiudizio religioso la base di quello politico e civile, ma la base che quest'ultimo, anche se inconsapevolmente, ha dato a se stesso. Il pregiudizio civile e politico il nucleo che il pregiudizio religioso semplicemente racchiude e salvaguarda. Il metodo della lotta contro l'oppressione civile e politica, come stata finora praticata nella storia e come viene ancora praticata fino ai nostri giorni, consisteva perci nell'attaccare e annientare i presupposti religiosi di quella oppressione. Se gli ordini religiosi e il presupposto religioso del pregiudizio civile e politico sono divenuti instabili, incerti, se sono stati abbattuti, 136

allora anche il pregiudizio mondano divenuto incerto di se stesso; e se questo, eccezionalmente, cos sfacciato da esprimersi e manifestarsi senza fronzoli nella sua pura mondanit, ci non nient'altro che l'espressione della ricerca del suo vantaggio privato. Esso tenter nuovamente di darsi il fondamento religioso ed ecclesiastico che precedentemente gli assicurava una durata eterna. Questo tentativo di restaurare i privilegi, la dichiarazione che il pregiudizio religioso, la segregazione religiosa e il sentimento religioso della dipendenza sarebbero la garanzia per la sussistenza dell'esistente come se il Vecchio sussistesse realmente quando coloro che sono ancora in possesso del potere concesso loro ragionano e riflettono sul modo per poter sorreggere il Vecchio! , la furia violenta e l'intenzionalit con la quale viene favorito, evocato e sempre spinto in avanti il pregiudizio religioso, tutti questi mezzi estremi rivelano solo l'arcano che si era celato dietro la spregiudicatezza dei tempi passati. L'arcano del pregiudizio religioso consiste nel suo essere il riflesso, posto dallo stesso uomo, dell'impotenza, dell'illibert e del pregiudizio della sua vita civile e politica o, meglio, del suo sogno. Il pregiudizio politico e religioso sono indissolubilmente uno e lo stesso. L'ebreo meno di tutti nella condizione di rovesciare questa asserzione. Se egli senza pregiudizi, se cio senza pregiudizi all'interno del pregiudizio, egli confermer nondimeno questa asserzione. Richiamandosi alla perfezione della sua religione, alla purezza e alla santit dei suoi costumi e rivolgendosi a un mondo dove in genere regna ancora il pregiudizio, egli pu fare affidamento solo sull'ascolto e l'accettazione. Che autoillusione, che idea del suo unico diritto, cio del suo privilegio, insita nella speranza di raggiungere un qualche successo tra coloro che, da parte loro, hanno un altro privilegio e credono ugualmente di essere gli unici privilegiati! Egli fa appello al pregiudizio e spera di poter far valere quello proprio! Un pregiudizio deve sempre escludere l'altro, l'uno deve isolarsi dall'altro. Ciascuno crede di essere legittimato da se stesso e per se stesso; quindi assolutamente impossibile una comunanza tra i due. L'ebreo, in quanto ebreo, per la superiorit della sua vera e suprema essenza, crede di avere nel mondo un diritto a tutto, ma in quanto ebreo specificamente diverso da tutti gli altri che professano un'altra 137

essenza e si considerano di un'altra essenza: egli li esclude e viene da loro escluso. Quanto pi egli diventa privo di pregiudizi, tanto pi la sua essenza perde determinatezza, quanto pi ribadisce di essere solamente e soprattutto un ebreo e di avere, in quanto ebreo, dei diritti, tanto pi svela, da parte sua, che il suo privilegio religioso solamente la pura e astratta rappresentazione del privilegio in genere. Quando, nel 1831, durante i dibattimenti degli stati di Hannover, venne momentaneamente posta all'ordine del giorno anche la questione ebraica, il signor Stiive espresse l'opinione che il vuoto e insulso deismo degli ebrei colti darebbe allo Stato ancora meno garanzie di quante non ne dia la religione positiva degli ebrei privi di cultura. Ma se si pensa che la religione sia una garanzia per lo Stato, e se si riflette inoltre su questa garanzia comparando le diverse rappresentazioni religiose per quanto darebbero maggiori o minori garanzie, allora si dovrebbe anche essere conseguenti e interrogarsi su quali siano le garanzie che la religione contrapposta alle legge mosaica darebbe allo Stato. Tale questione tanto pi importante in quanto la storia recente, dopo le migliaia di risposte dei tempi passati, ha fornito una nuova risposta. La rappresentazione religiosa fornisce senz'altro delle garanzie allo Stato. Ma a quale Stato? A quale tipo di Stato? La storia ha risposto, ed ha risposto anche per il signor Stiive. E l deismo? II "vuoto e insulso" deismo? Perch esso non dovrebbe dare alcuna garanzia allo Stato? Nemmeno a una determinata forma di Stato? Il deismo addirittura il sistema religioso attualmente dominante e non dominer che in una forma determinata dell'attuale Stato. Nel deismo la rappresentazione religiosa talmente debole da diventare fondamentalmente solo la rappresentazione della religione, il postulato della religione, l'idea della sua utilit e della sua indispensabilit. Da esso dovremo perci attenderci la pi decisa autoconfessione dello Stato religioso circa la sua essenza e le sue massime. In esso s pu vedere se agiscono solo in base al privilegio religioso, se il loro interesse solo religioso, se l privilegio religioso e il pregiudizio sono solo espressione del carattere esclusivo della religione e dello zelo religioso. In una parola si mostrer se l'esclusivit religiosa dell'essen138

za dello Stato sia qualcosa d'altro dalla teoria e dal postulato della sua imperfezione e assenza di libert. Nelle discussioni del 1831 dei deputati della Camera del Baden troveremo una risposta soddisfacente.
DICHIARAZIONI DEL JUSTE MILIEU TEDESCO

Due e due sole dichiarazioni sono caratteristiche dei tipici rappresentanti del liberalismo per quanto riguarda la trattazione della questione ebraica; questi rappresentanti del liberalismo enunciano entrambe queste dichiarazioni con il pathos e l'autocompiacimento del Reichsanzeiger der Deutschen; la decisione alla quale pervengono infine i rappresentanti del juste milieu e nella quale si uniscono attraverso queste stesse formulazioni, non altro che una segno eloquente di ci che essi intendono per libert. Nel 1831 la Camera dei deputati del Baden fu invasa dalle petizioni delle comunit israelitiche che chiedevano l'equiparazione civile e politica con i cristiani. Quando Rotteck present la posizione dei cittadini della comunit israelitica di Karlsruhe, colse l'occasione per fare una di quelle due dichiarazioni. Ei dichiar che in questa come in ogni altra occasione, egli avrebbe agito secondo un duplice principio: in primo luogo secondo il principio di ricercare con il massimo zelo e la massima onest ci che fosse conforme al diritto, all'umanit e al bene dello Stato, ma anche, in secondo luogo e compatibilmente al diritto in senso stretto, tenendo conto dei desideri, degli stati d'animo e delle idee dei suol committenti, cio della parte pi giudiziosa di essi (che offesa per l'altra parte!) e del popolo del Baden in generale. Quel ma, che costituisce il passaggio alla seconda parte di questo duplice principio, per molto pericoloso. Esso presuppone che il principio dell'umanit e del diritto non coincide completamente con i desideri, gli stati d'animo e le idee del popolo del Baden. Non rimprovereremo subito a un popolo di trovarsi in un tale disaccordo qualora esso non si opponga risolutamente alla storia e alla legislazione che lo vogliono liquidare e sopprimere. Rotteck vuole il disaccordo, che egli presuppone e supera; vuole, per quanto possibile, conciliare il diritto con la considerazione per lo stato d'animo dei suoi committenti. Ma 139

secondo quale diritto dovrebbe aver luogo la conciliazione? In conformit a quale principio vuole mediare? Secondo quale norma dovrebbe aver luogo il juste milieu? Come deve essere tolto il conflitto? Non attraverso una norma universale conosciuta in anticipo, quanto meno non attraverso una norma fondata sull'essenza della libert e dell'umanit; il mediatore perci orientato verso il proprio arbitrio o piuttosto poich in ci consiste tutta la saggezza di quel duplice principio e il significato nascosto di quel ma anche legato alla considerazione, per la quale egli chiaramente responsabile, dei desideri e degli stati d'animo a lui noti dei suoi committenti, dovessero anche essere in contraddizione con il diritto e l'umanit. Questi desideri e questi stati d'animo si contrappongono per all'emancipazione. Ci si deve vantare quindi solo in teoria per le declamazioni e le assicurazioni riguardanti la bellezza e lo splendore dell'umanit, per trascurare poi, in questo caso determinato, l'umanit, e parteggiare per il popolo. Cos fece, quando la questione venne discussa (il 3 giugno), il signor Mittermaier. Nella prima met del suo discorso, prolisso e pieno di assicurazioni, egli fa sentire all'assemblea la voce dell'umanit e della civilt, ma nella seconda parte del discorso la saggezza gli consiglia di prestare ascolto alla voce del popolo, di avere riguardo per lo stato d'animo del popolo. Il popolo conosce da sempre gli israeliti come una casta unita e molto isolata per via dei suoi costumi, che vietano agli ebrei di considerare i cristiani come loro fratelli. Secondo la prospettiva del signor Mittermaier questa opinione popolare solo un pregiudizio, ed egli, invece di subordinare la legge al pregiudizio, avrebbe piuttosto dovuto pensare a una norma che, attraverso la legge, mandasse in frantumi il pregiudizio. Se il popolo considera ancora gli ebrei una casta estranea, non si pu per neanche parlare di un semplice pregiudizio. In quanto ebrei essi sono una casta estranea. Il compito del legislatore sarebbe perci stato quello di vedere se il popolo ha ragione di considerare gli ebrei come una casta, e se cos non fosse, il suo primo dovere sarebbe allora quello di elevare il popolo al punto di vista dal quale pu rapportarsi umanamente agli ebrei. Gli ebrei in quanto tali sono una casta; ma per quanto riguarda i limiti all'interno dei quali gli ebrei si rinchiudono, il popolo cristiano in parte sensibile; esso infatti sensibile nei loro con-

fronti solo nella misura in cui, entrando in contatto con gli ebrei, diventa consapevole dei limiti nei quali esso stesso vive. Esso non umanamente sensibile alle limitazioni degli ebrei, non veramente al di sopra delle limitazioni degli ebrei, dal momento che, nella coscienza della propria libert, non ancora in possesso della libera e vera critica di quelle limitazioni. Il compito del legislatore non quindi pi quello di consolidare i limiti dell'uno contro l'altro, ma di dare al popolo quella libert che gli permette di dare agli ebrei la possibilit della piena libert, verificando cos se sono realmente capaci di libert o se invece, nella libert universale, devono scomparire e biasimare se stessi. Ma dal punto di vista che proprio del liberalismo, il popolo non conosce n possiede una tale libert, i suoi rappresentanti privilegiati non ritengono essere un torto il fatto che una tale libert gli venga negata. Con una formulazione di principio, il signor von Itzstein assicura che prendendo le mosse dalla prospettiva dell'uomo e del cittadino, egli non conosce alcuna distinzione tra il ricco e il povero, l'ebreo e il cristiano. Ma a ragione Rotteck, che aveva parlato prima di lui, ha fatto notare che nello Stato nemmeno i poveri hanno diritti politici, senza che possano, o sia permesso loro, lamentarsi del privilegio concesso ad alcuni fortunati. Cos il governo non commetterebbe alcuna ingiustizia nel non concedere agli ebrei tutti i diritti. Rotteck infatti, dopo aver anche tenuto conto del punto di vista dell'umanit e della giustizia, cio dopo aver fatto un passo indietro rispetto ai desideri e agli interessi dei suoi committenti ragionevoli e colti, stato cos onesto da dire pubblicamente che, per quanto riguarda la concessione dei diritti politici, la volont generale ha una totale libert d'azione (al contrario, se essa stessa ancora limitata, un margine d'azione molto ristretto). Essa assegna i diritti a questa o quella classe, li limita o li nega a seconda che, con ragioni pi o meno convincenti (che onest!), lo ritenga vantaggioso, utile o svantaggioso per se stessa (!). In breve egli si appella all'arbitrio con il quale un determinato censo distingue l'intero elettorato in attivo e passivo, l'arbitrio che sottomette un'enorme maggioranza o addirittura una maggioranza sproporzionata dell'intero il 99% a un numero esiguo di privilegiati: l'arbitro del monopolio e del privilegio. Questo arbitrio del privilegio, nei confronti del quale, nello Stato

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cristiano, non c' altra consolazione che quella dell'al di l, l'arbitrio che permea tutti i rapporti, che domina ogni rapporto fino alla famiglia, assoggettando la donna alla rozzezza e alla barbarie dell'uomo, questo arbitrio del privilegio sovrano e irresponsabile quando esclude gli ebrei dai diritti pubblici. Questo privilegio infatti universale e gli ebrei non sono i soli a soffrire, e non dovrebbero lamentarsi in modo particolare se soffrono. Il liberalismo costituzionale il sistema dei privilegi, della libert limitata e interessata. La sua base ancora il pregiudizio e la sua essenza ancora religiosa. Una conclusione adeguata di queste discussioni offerta dal signor Rindeschwender quando, dopo che i suoi colleghi ebbero fatto riferimento al pregiudizio popolare come ultimo argomento, diresse il loro sguardo verso l'alto e li fece giurare di rimanere fedeli ai loro principi. Egli ha ridotto il risultato delle discussioni alla forma religiosa ed ecclesiastica, vale a dire alla forma giusta. Lo Stato europeo, proclam il signor Rindeschwender, uno Stato cristiano; tutte le istituzioni sono pi o meno fondate sul cristianesimo o addirittura ( 0 sono giustificate da esso. Fate a meno di sostenere lo Stato cristiano, e tutto perduto! O solo innalzate qualcosa d'altro al posto del cristianesimo; ma questo deve legare assieme altrettanto saldamente il cielo e la terra; dovete trovare un sicuro contrappeso alla natura egoistica dell'uomo, ma sarete in grado di trovarlo solo se ristabilite la santit dello Stato. Amen! Che cosa questi signori intendano per santit dello Stato, lo hanno detto pubblicamente e nemmeno il signor Rindeschwender lo ha taciuto: si tratta di un termine altisonante un termine altisonante in senso proprio perch fa s che esso salti, con quella frase, dalla terra a una regione superiore, un termine ipocrita per designare il carattere esclusivo degli interessi privati e dei privilegi. E voi chiamate questo principio dell'egoismo un contrappeso alla natura egoistica dell'uomo? L'egoismo dovrebbe porre un argine all'egoismo? Per qualche tempo la legge pu certamente garantirgli i suoi privilegi nei confronti dell'egoismo non privilegiato. Ma non c' solo l'egoismo al mondo, bens anche una storia, che far valere il diritto dell'interesse universale dell'umanit e della libert contro l'egoismo del privilegio. Il signor Rindeschwender ci d inoltre la possibilit di porre 142

qualcosa d'altro al posto del cristianesimo, a patto che questo altro leghi assieme il cielo e la terra altrettanto saldamente del cristianesimo? Ma noi pensiamo che sarebbe piuttosto l'ora di porre qualcosa che leghi l'uomo all'uomo. Veniamo ora alla seconda delle dichiarazioni fatte dai deputati per respingere le richieste degli ebrei. La critica di questa dichiarazione racchiusa nel motto della pagliuzza e della trave. Il signor Paulus utilizz quella formulazione gi nello scritto che egli aveva indirizzato a1' Camera in relazione all'invio del suo memoriale sulla segregane , degli ebrei dalla nazione. Anche il migliore liberalismo, scrive Paulus, ha i suoi pericoli. Non bisogna spingersi troppo in l. Anche gli ebrei devono fare qualcosa, soprattutto devono migliorarsi. Il giogo della loro legislazione estranea, tutto il rabbinismo talmudicofarisaico deve assolutamente essere superato. cos? Solo gli ebrei devono fare qualcosa? Ma anche il razionalismo pi illuminato considera come suo pi sacro dovere tormentare l'intelletto ed uno scritto estraneo alla nostra cultura, cio la "Sacra" Scrittura; considera suo dovere tormentare l'intelletto fino a che, per salvarsi da questa tortura, non si assoggetta al giogo di uno scritto divenutogli ancora pi estraneo in forza di quella spiegazione razionalistica'". Se gi prima era qualcosa di estraneo, diventa ora ancora pi estraneo a causa della violenza insensata del razionalista, che lo banalizza. Quando il cristiano attribuiva al battesimo il suo magico potere e credeva veramente di consumare, con la comunione, il corpo del Salvatore, allora aveva ancora un senso far battezzare i figli e cercare nella comunione il proprio vero alimento. Ma se il razionalismo ha tolto al battesimo il suo potere e alla comunione il suo contenuto miracoloso e poich la sua concezione di quegli antichi sacramenti ora quella dominante allora quegli usi hanno perso ogni significato e la legge che li prescrive assoggetta lo spirito al giogo di una legislatura estranea. Il rapporto della Commissione, accolto a maggioranza dopo i dibattimenti del 3 luglio, ha attuato pienamente la formulazione che troviamo nello scritto del signor Paulus. Gli ebrei, dichiara Paulus, possono certamente diventare sudditi sottomessi, giuridicamente anche utili e riconoscenti, ma non potranno mai diventare membri sinceri delle nazioni nelle quali ora vivono, e 143

ancor meno potranno essere entusiasti della loro costituzione e dell'onore di appartenervi. Quali condizioni che essi devono primariamente adempiere se vogliono diventare membri effettivi della nazione e partecipare con entusiasmo all'onore della nazione e alla costituzione, il rapporto della Commissione indica quanto segue. Essi devono rinunciare: 1) alla loro lingua nazionale e fare addirittura in modo che venga totalmente soppresso il suo insegnamento ai giovani. Indubbiamente anche le fonti della nostra dottrina religiosa sono scritte in una lingua straniera, ma noi non erigiamo l'insegnamento in questa lingua a norma imprescindibile dell'insegnamento elementare nelle scuole pubbliche. Con ci non abbiamo per migliorato la questione, l'abbiamo al massimo occultata con dei sofismi, inchiodando i primi pensieri, l'anima e il corpo di quelli che devono diventare cittadini dello Stato, a dei libri estranei alla cultura moderna e all'umanit e contrapposti a ogni interesse politico e sociale. Essi devono 2) rinunciare ai segni caratteristici della loro nazionalit per quanto riguarda i loro futuri figli. Perch deve permanere il battesimo se la pratica della circoncisione deve cessare? Il battesimo non ci separa gi fin dai primi giorni della nostra vita dallo Stato, dal mondo e dal resto dell'umanit, e addirittura senza che perci si attenda il nostro consenso? noto, osserva il rapporto della Commissione, che il simbolo della circoncisione prende a tal punto possesso di colui che con tutto il suo corpo si consegna alla nazione, che egli stesso, se si converte pubblicamente e con onest ad un'altra religione, non cessa di appartenere alla nazione degli Israeliti, non si liberer mai da essi e in ogni istante, senza recedere formalmente, pu comportarsi e considerarsi come uno della loro comunit. Esattamente come accade da noi! La cerimonia, attraverso la quale fin dalla prima infanzia ci consegniamo con il nostro corpo alla chiesa, prende a tal punto possesso di noi che noi stessi, se abbiamo affatto rinunciato alla fede, non cessiamo di appartenere al miracoloso popolo della comunit, non siamo affrancati dalla chiesa e dobbiamo vedere quanti esseri deboli, alla sola

memoria del simbolo che portano impresso nel corpo, sono costretti, pieni di paura, a scappare indietro, verso quella cerchia alla quale appartengono per mezzo della loro seconda nascita. Gli ebrei devono infine rinunciare 3) alle loro leggi particolari riguardanti i cibi e la convivenza con i loro futuri connazionali. E noi dovremmo quindi avere il diritto esclusivo di isolarci da essi e da tutti i nostri simili attraverso il piacere della nostra miracolosa e celestiale pietanza? Perch guardi la pagliuzza che nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che nel tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: "Lascia che io ti tolga dall'occhio la pagliuzza", mentre la trave nell'occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello"6. Ogni discussione con gli ebrei, afferma il rapporto della Commissione, deve essere considerata impossibile se prima non riconoscono le richieste indicate alle quali va ancora aggiunta una quarta, e cio che facciano cadere il loro giorno di riposo nello stesso giorno dei cristiani. Ma dato che all'istante nessuno, per il fatto che qualcuno lo richieda o perch egli stesso ad esigerlo, pu saltar fuori dalla propria pelle, per la stessa ragione gli ebrei non potevano adempiere alle richieste che venivano poste loro! Dal momento che potevano giudicare la propria pelle in modo pi adeguato di chi non si trovava nei loro panni, non poterono mai riconoscere quelle richieste. Non si getta via l'intera pelle come un pezzo di stoffa inutile; all'ebreo non ancora stato dimostrato che tutto ci che lo riguarda ferito e malato, e difficilmente glielo poteva dimostrare chi si sbagliava di grosso sul proprio presunto stato di buona salute. I deputati del Baden non potevano dare agli ebrei la libert che essi stessi non possedevano. E diritto, per il quale anche essi lottano contro gli ebrei, solo il diritto del privilegio, il privilegio di cui essi stessi fanno esperienza quando altri privilegi lottano contro di loro, allo stesso modo di come essi hanno lottato contro gli ebrei. Non abbiamo qui a che fare con delle situazioni nelle quali il singolo come tale o anche solo come singolo responsabile dei discorsi, delle azioni e del loro risultato. Responsabili sono fon-

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damentalmente gli ambiti di vita nei quali i singoli si muovono, il principio al quale obbediscono e sono soggetti, ricevendo dalla storia il loro compenso e la loro punizione. Possiamo perci affermare, senza irritare nessuno e senza temere il bench minimo fraintendimento, che la punizione per quel carattere esclusivo sancito dalla parzialit costituzionale e dal privilegio rintracciabile nell'insuccesso con il quale i deputati combattono un altro privilegio. Se avessero il coraggio di abbandonare il proprio privilegio e di dedicarsi totalmente all'idea del diritto dell'uomo, allora rovescerebbero ogni altro privilegio, ed anche se ci non riuscisse su due piedi, certamente lo svergognerebbero completamente prima che la sola onnipotente e invincibile storia ponga fine ad esso. Lo Stato religioso non pu e nemmeno osa dare la libert agli ebrei. La sua sofistica pi o meno brutale combatte solo a favore dei privilegi, e se concede dei diritti agli ebrei, questi non sono altro che preferenze e privilegi. Ci rimane ancora da illustrare la sofistica degli ebrei, quella sofistica che rende loro impossibile ricevere sinceramente la libert anche quando essa dovesse essergli data. Le discussioni del grande sinedrio che ha avuto luogo sotto Napoleone ci danno l'occasione di conoscere questa sofistica.
IL GRANDE SINEDRIO DI PARIGI

Il decreto dell'Assemblea nazionale del 27 febbraio 1791, che conferiva agli ebrei tutti i diritti civili nel caso prestassero giuramento alla costituzione, non ebbe grande influenza per lo sviluppo della loro situazione. Essi rimasero, come lo erano stati fino ad allora, al di fuori della nazione e dei suoi grandi interessi; la storia della Rivoluzione gli pass accanto senza avere alcuna influenza su di loro; nessuno di loro ha preso in qualche modo parte alla Rivoluzione e ha legato il proprio nome alla sua storia; l solo significato che per essi aveva la Rivoluzione consisteva nell'occasione di praticare impunemente l'usura. Le lamentele per l'usura in particolare nel Dipartimento del Reno divennero infine talmente minacciose che Napoleone decise di ricorrere a un mezzo risolutivo. Convocata a Parigi un'assemblea di deputati ebrei, sottopose loro, tramite i suoi 146

funzionari, diverse questioni relative al fatto se, conformemente alla loro legge, fosse loro permesso considerare le leggi del popolo nel quale vivevano anche come proprie leggi e i membri del popolo come loro fratelli, adattandosi di conseguenza al loro modo di vivere. Dopo la risposta affermativa dei deputati, Napoleone, nel 1807, convoc un grande sinedrio, in modo che, con le sue sentenze, le decisioni dei deputati ebrei ricevessero forza di legge. I deputati e il sinedrio assunsero il proprio compito come un compito apologetico. Essi non potevano e non gli era concesso dire non erano n critici n puri teoreti che l'ebraismo considera il mondo e i suoi rapporti in questo e quest'altro modo; non era loro possibile l'onest del critico, perch avevano un determinato scopo pratico e credevano che questo scopo, l'integrazione nella comunit dello Stato, fosse conciliabile con i loro principi religiosi. In quanto apologeti e teologi apologeti di nuovo, non erano n critici n puri politici dovevano perci sforzarsi di dare un'immagine dei loro principi religiosi non solo compatibile con il riconoscimento delle leggi politiche francesi, ma che assicurasse anche a quei loro principi religiosi di non essere, per quanto riguarda la loro originaria natura, in contrapposizione con le leggi. Un'impresa disperata! Nel suo discorso di chiusura il nass (il presidente) del sinedrio afferm: Avete riconosciuto le disposizioni religiose e politiche, ma avete anche dichiarato che oltrepassare i confini delle prime significa disordine, offesa a Dio e sacrilegio. Se questa frase fosse stata enunciata come una disposizione costitutiva, indipendentemente e senza alcun riferimento alla storia, allora, forse la si potrebbe lasciar sussistere come il prodotto delle buone intenzioni, nonostante sia, anche in questo caso, falsa: al principio religioso infatti connaturato l'oltrepassamento dei suoi sedicenti o presunti limiti e la tendenza all'autocrazia. Ma se la frase com' il caso in questione intende essere al tempo stesso l'autentica interpretazione della legge veterotestamentaria, allora essa doppiamente falsa, e la via d'uscita teologica che essa dovrebbe aprire viene immediatamente richiusa. La dichiarazione del sinedrio non niente di pi e niente di meno che un'accusa nei confronti della legge di Jehova, la quale avrebbe oltrepassato quei confini che ogni disposizione religiosa 147

dovrebbe rispettare. L'autentica legge di Jehova, la legge messa per iscritto dalla mano di Dio, si resa colpevole di sacrilegio. La legge, che deve la propria origine direttamente al Santo, si resa colpevole di un sacrilegio. Nell'ebraismo tutto divino, nulla umano; tutto religione, e la politica, se non deve essere nient'altro che religione, non pu essere politica, allo stesso modo della pulizia delle pentole che, se considerata una faccenda religiosa, non pu essere considerata come una faccenda domestica. Avete riconosciuto, prosegue il nass, che il rango di un sovrano racchiude in s il diritto di stabilire certe disposizioni politiche; avete riconosciuto la posizione del Principe e comandato l'obbedienza. Secondo la legge c' per un solo sovrano Jehova e se, a causa della debolezza dei suoi sudditi, tollera un principe secolare, essa ben lungi dal concedere ad esso la sovranit e i pieni poteri del Legislatore sovrano. Avete riconosciuto la piena validit di certe costituzioni civili (atti civili); avete al tempo stesso confermato la loro indipendenza dalle faccende della religione. In s cosa buona e lodevole! Ma abbastanza grave se, al tempo stesso, deve anche essere preservata l'unit con una legge per la quale tutte le faccende e gli affari civici sono faccende e affari religiosi e secondo il cui principio non esistono affatto faccende meramente civiche. Nella dichiarazione con la quale i deputati risposero alle questioni poste loro, rassicurano che la loro religione li obbliga a considerare la legge del signore territoriale, sia nelle faccende civiche sia in quelle politiche, come la legge suprema. La loro religione? Quella religione che non nulla al di fuori della legge e nient'altro che la legge stessa? Che sussiste solo e con la legge e solo fino a che la legge esiste come legge, come unica e suprema legge? I deputati e il sinedrio si richiamano si tratta di una formulazione utilizzata innumerevoli volte dagli ebrei alla lettera spedita da Geremia ai prigionieri di Babilonia. Quando il Profeta scrive: Cercate il bene della citt dove io vi ho fatti deportare, e pregate il Signore per essa; poich dal bene di questa dipende il vostro bene"7; la motivazione in primo luogo puramente egoistica. L'ordine si riferisce solo a qualcosa di provvisorio e, nono-

stante tutte le preghiere per la citt nella quale i servi di Jehova si trovano a vivere fino al momento della liberazione, permane comunque la certezza che Babilonia deve essere distrutta. I deputati osservano che quella esortazione del Profeta ha trovato un'accoglienza tale che solo in pochi, solo la gente della classe bisognosa ha approfittato della concessione fatta da Ciro di ritornare a Gerusalemme e ricostruire il Tempio. Ma proprio perci questi pochi vengono lodati, mentre i ricchi, che rimangono, sono biasimati per la loro mancanza di zelo verso la legge. I pochi che fecero ritorno a Gerusalemme furono destati dallo spirito di Dio. L'ebreo che distingue tra disposizioni civiche e religiose credendo ancora di essere ebreo, ebreo solo in modo illusorio. Ma si scoprir presto come l'ebraismo illusorio divenga il vero ebraismo e l'ebreo si immortali nella sua illusione. Avete riconosciuto, afferma il nass del sinedrio nel suo discorso conclusivo, che l'uomo, nei rapporti sociali, deve adempiere a diversi tipi di doveri: doveri verso il Creatore, doveri verso il creato, sottomissione, obbedienza e ossequio al principe. Ma l'ebreo non riconosce alcun rapporto sociale come gi osservato, per lui non c' alcun concetto di mondo e di societ umana , l'ebraismo non ammette quella differenziazione di doveri, esso conosce e a ragione, sino a quando per esso l'uomo non conta nulla! solo doveri verso Dio. Il nass dir immediatamente la stessa cosa: la dir addirittura nell'istante stesso n cui parla di quella differenziazione dei doveri. Avete riconosciuto la nullit della creatura di fronte al Creatore. Quindi l'uomo non nulla! Quindi non ci sono doveri verso gli uomini quanto meno non verso gli uomini come tali e in nome dell'uomo! Quindi ci sono solo doveri verso Dio, di fronte al quale la creatura non niente e, di fronte a quest'ultima, non ci sono doveri che in nome di Dio: solo lungo il cammino che passa attraverso il rispetto di Dio e su questo cammino viene fatta esperienza che l'uomo non propriamente nulla e di per s non vincolato ad alcun dovere. Pervasi da un sacro rispetto per la sua opera in che cosa consista questo rispetto gi stato detto vi siete guardati

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dall'accettare una qualsiasi rappresentazione indegna e dissacrante, una rappresentazione che contenesse la bench minima violazione dei suoi comandamenti. Questa menzogna infatti il sinedrio ha senz'altro distolto l'attenzione dal creatore dichiarando che una parte della legge non sarebbe pi vincolante e dovrebbe passare in secondo piano rispetto alle prescrizioni degli uomini questa celata se le parole hanno un senso e non sono pronunciate a vanvera questa velata provocazione nei confronti del cristianesimo, del sua culto, anche se di un solo uomo, contro la moderna concezione della societ umana, paga il proprio giusto scotto nello stesso discorso del nass. E tu, Napoleone, si dice nelle conclusioni, tu, conforto del genere umano, padre di tutti i popoli, Israele erige a te un tempio nel suo cuore!. Bella osservanza del precetto secondo il quale la creatura non sarebbe nulla davanti al creatore! indifferente che il tempio che Israele erige a Napoleone, al padre di tutti i popoli, venga eretto in pietra o in nessun materiale sensibile. Questo tempio in ogni caso la prova della caduta dell'unico Dio, del vero secondo la prospettiva ebraica e dell'unico vero Padre di tutti i popoli. Ma la coscienza religiosa ed ebraica si salva da questa incoerenza ed appare tanto pi grande e forte quanto la virt, innalzatasi al di sopra del suo peccato, appare di valore maggiore. Un peccatore penitente gradito a Dio pi di cento uomini giusti che non sentono il bisogno di fare penitenza"8. Cos il grande sinedrio dichiara che il matrimonio tra ebrei e cristiani stipulato secondo le leggi del Codice civile valido e vincolante dal punto di vista civile, ma non pu ricevere una forma ecclesiastica. Ovviamente, in questa differenza, vi il presupposto che il matrimonio, che ha solo validit civile, manca di quella consacrazione che sola fa di esso un vero matrimonio. Come hanno dichiarato i deputati ebrei, un tale matrimonio , secondo le leggi della chiesa, privo di efficacia. Non solo l grande sinedrio a concepire il matrimonio in questo modo. E neanche in altre circostanze solo, perch anche in un altro sistema ecclesiastico, gli atti pi importanti vengono compiuti in una lingua che li distingue dalla vita ordinaria e li fa apparire in una luce particolare. 150

Nel sinedrio, i discorsi pi importanti vengono tenuti in ebraico e vengono successivamente letti in una traduzione francese. Il modo in cui questi uomini vogliono diventare cittadini francesi qui caratterizzato con precisione. L'ebraico l'originale, la fonte, l'elemento autentico, il vero, il nocciolo, mentre il francese la traduzione, la brutta copia, l'inautentico, l'apparenza, il guscio. Ma l'elemento spiccatamente ebraico si mostra nelle sue conclusioni, quando il sinedrio non pu fare a meno di parlare dell'infamia con la quale si voluto finora ricoprire Israele e gettare una luce piena di astio sul pregiudizio popolare che mostra i dogmi ebraici come non socievoli. Loro, gli ebrei, stanno soli con il loro eterno tesoro di verit in un mondo che non fa che svilirli, che li giudica falsamente, ma che non poteva impedire la loro vittoria finale. Esso, l'ebraismo, il fedele gregge di Dio. Dio l'ha sempre protetto e gli ha dimostrato in modo particolare la sua protezione facendogli vivere il momento attuale. Ora in gioco la futura felicit di Israele sempre Israele! sempre solo Israele! Israele resta per s sempre qualcosa di particolare nelle discussioni del sinedrio non sono in gioco gli interessi universali dell'uomo, non la Francia e i Francesi, ma sempre e solo Israele! La nostra assemblea, dice il nass del sinedrio nel suo discorso conclusivo, un'immagine vivente del venerabile tribunale la cui origine si perde nella notte dei tempi (che vuota eloquenza!) , rivestito esattamente degli stessi diritti, animato esattamente dallo stesso spirito, dallo stesso zelo, dalla stessa fede. Un elogio molto pericoloso a prescindere dalle chiacchiere che renderebbero sorprendentemente noto un istituto la cui storia ed organizzazione ancora molto oscura. Se ai Francesi della Costituente e della Convenzione fosse venuto in mente di elogiare la loro assemblea affermando che essa sarebbe animata dello stesso spirito, dello stesso entusiasmo e della stessa fede delle assemblee degli antichi Franchi e Galli spetterebbe solo a loro il privilegio di essersi resi ridicoli? Questa autoammirazione religiosa del sinedrio, il modo in cui esso, nella sua magnificenza, guarda a Dio e fa ammirare alle deputazioni degli ebrei stranieri lo spettacolo della propria magnificenza, l'immagine che l'assemblea ha di s, in quanto circondata di gloria, rispetto e solennit, diversamente 151

dall'ingiuria precedentemente fatta ad Israele, , nella sua incessante ripetizione, estenuante e alla fine nauseante. La Costituente e la Convenzione non avrebbero, come invece hanno fatto, creato nuovi concetti, nuove leggi, nuove essenze ed uomini se fossero rimaste sempre ad ammirarsi e se, con un sacro brivido nel cuore, avessero visto nel loro splendore la mano o le dita di Dio.
CONCLUSIONE

Nel modo in cui ha tentato di farlo il sinedrio, il servitore della legge mosaica non pu essere aiutato ad essere libero. La differenza tra precetti religiosi e politici nella legge rivelata, la dichiarazione che solo i primi sono vincolanti in modo assoluto, mentre gli altri perderebbero la propria forza all'interno di rapporti sociali mutati, in s un attentato alla legge veterotestamentaria. Essa ammetterebbe l'esistenza di una contraddizione tra le concezioni e i precetti contenuti nella legge e la nostra rappresentazione della societ umana. Ma una tale ammissione viene in realt ritrattata, poich si afferma che ogni accusa sinora mossa contro la legge riposa su pregiudizi ed un'ingiuria mossa al Santissimo. La sofistica e il gesuitismo di una rozza esegesi riescono ad esempio a mostrare che la legge non intendeva differenziare e separare gli Israeliti e gli stranieri, come invece hanno finora sostenuto gli "avversari" dell'ebraismo. Alla stessa menzogna si giunge distinguendo nella legge i precetti religiosi da quelli politici. In questa distinzione s ammette che il servitore di una legge, qual quella mosaica, non potrebbe vivere nel mondo reale e non potrebbe prendere parte ai suoi interessi. Ma se solo l'ebreo facesse ora in modo chiaro, franco e deciso una tale concessione e dichiarasse: poich intendo rimanere ebreo, voglio preservare della legge quel tanto che mi sembra costituire il suo elemento puramente religioso, mentre espunger e rinuncer a tutto ci che riconosco essere antisociale! Invece di dire cos egli si convince e vuole convincere gli altri che con questa distinzione tra precetti politici e religiosi egli rimarrebbe in armonia e in unit con la legge, poich sarebbe la legge stessa a porre e a riconoscere questa distinzione. Invece di rompere con una parte della legge, egli rimane servo del tutto, e 152

come tale deve nuovamente rinunciare a quella distinzione ed estraniarsi, per mezzo della propria coscienza religiosa, dal mondo reale. La menzogna non pu aiutare l'ebraismo a rimettersi in piedi e non pu conciliare l'ebreo con il mondo. Ma nemmeno la coazione lo pu liberare dal suo chimerico tiranno, la legge, n pu restituirlo al mondo, se una tale coazione proviene da degli schiavi che obbediscono allo stesso tiranno. Come si pu aiutare? Dobbiamo noi stessi diventare liberi prima di poter pensare di offrire ad altri la libert. Dobbiamo prima togliere la trave dai nostri occhi se vogliamo avere il diritto di segnalare al fratello la pagliuzza che ha nel suo occhio. Solo un mondo libero pu liberare gli schiavi del pregiudizio. La menzogna della sofistica ebraica un chiaro segno che anche l'ebraismo va incontro alla propria dissoluzione. Ma non che una falsit se, in teoria, vengono negati all'ebreo i diritti politici, mentre nella prassi dispone di un potere enorme ed esercita en gros l'influenza politica che gli viene invece ridotta nel dettaglio. L'ebreo, che ad esempio a Vienna semplicemente tollerato, determina, con la sua potenza finanziaria, il destino di tutto l'impero. L'ebreo, che nel pi piccolo Stato tedesco pu essere senza diritti, decide le sorti dell'Europa. Mentre le corporazioni e le gilde si chiudono all'ebreo o non sono ancora ben disposte nei suoi confronti, la temerariet dell'industria si fa beffe della caparbiet degli istituti medievali. da molto tempo che i limiti del Vecchio sono superati dal nuovo movimento e la loro esistenza pu essere definita solo teorica. La potenza del Vecchio consiste ormai solo in una teoria sofistica, di fronte alla quale sta la teoria della sincerit e l'enorme superiorit di una prassi il cui valore si pu gi vedere nella vita quotidiana. L'ebraismo ha seguito il cristianesimo nella sua conquista del mondo ricordandogli sempre la sua origine e la sua vera natura. Esso il dubbio esistente circa l'origine celeste del cristianesimo, il nemico religioso della religione che si annuncia come la sola legittima e compiuta religione, e che mai pot oltrepassare la piccola schiera di quelli per mezzo dei quali venuta alla luce. L'ebraismo fu la pietra di paragone nella quale la cultura cristiana prov nel modo migliore che la sua essenza consiste nel privilegio. 153

Entrambe poterono certo schernirsi per due millenni, deridersi, tormentarsi e rendersi la vita difficile, ma non vincersi. La grossolana critica religiosa esercitata dall'ebraismo, e quindi lo stesso ebraismo, sono finalmente divenuti superflui ad opera della libera critica umana, la quale ha deciso la questione del cristianesimo e, avendo anche mostrato che l'ebraismo un lusso medievale, una semplice aggiunta alla storia del cristianesimo e qualcosa di infondato, ha dimostrato che essa poteva sorgere solo dal centro della cultura cristiana. La teoria non ha fatto che adempiere al proprio dovere riconoscendo e dissolvendo le contrapposizioni che hanno finora regnato tra l'ebraismo e il cristianesimo; essa pu serenamente attendere che la storia esprima la sentenza definitiva su opposizioni che non hanno pi ragione di esistere.

LA CAPACITA DI DIVENTARE LIBERI DEGLI EBREI E DEI CRISTIANI DI OGGI di Bruno Bauer

La questione dell'emancipazione una questione universale: ebrei e cristiani vogliono essere emancipati. Quanto meno la storia, il cui scopo finale la libert, deve tendere e tender a far incontrare ebrei e cristiani nella richiesta e nel desiderio di emancipazione, dal momento che fra loro non vi alcuna differenza e, rispetto alla vera essenza dell'uomo, rispetto alla libert, devono entrambi dichiararsi schiavi. per questo che l'ebreo viene circonciso e il cristiano battezzato, affinch nessuno dei due si trovi a dover riconoscere la propria essenza nell'umanit, affinch, anzi, rinuncino all'umanit, si dichiarino servi di un'essenza estranea e si comportino sempre come tali in ogni faccenda della loro vita. Quando diciamo che entrambi devono incontrarsi e unirsi nella richiesta di emancipazione, con ci non vogliamo esprimere la banalit secondo la quale l'unione delle forze pi forte delle singole forze disperse, n tanto meno vogliamo affermare che i movimenti e le discussioni scaturiti dalla richiesta di emancipazione degli ebrei siano serviti a suscitare anche nei cristiani la richiesta di libert, o addirittura che i cristiani dovrebbero fare affidamento sull'agitazione e sull'aiuto degli ebrei se vogliono diventare meritevoli di stima e liberarsi dallo stato di minorit nel quale hanno finora vissuto: con quella frase volevamo solo dire che l'opera di emancipazione, dell'emancipazione in quanto tale, dell'emancipazione in genere, possibile e sar certamente realizzata solo se viene universalmente riconosciuto che l'essenza dell'uomo non la circoncisione, non il battesimo, ma la libert. Al momento abbiamo piuttosto intenzione di indagare come gli ebrei si rapportano allo scopo ultimo della storia, uno scopo che la storia inizia a porsi con la risolutezza dell'aut aut e cio in modo tale che si dica ora o mai pi; dobbiamo cercare di capire se essi hanno contribuito a far s che la storia acquisisse 155

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il coraggio di questa risolutezza, se sono pi vicini dei cristiani alla libert o se per essi deve risultare pi difficoltoso di questi ultimi diventare uomini liberi e capaci di vivere in questo mondo e nello Stato. L'appello degli ebrei al carattere superiore della loro dottrina etica religiosa, cio alla loro legge rivelata, per dimostrare che sarebbero capaci di diventare dei buoni cittadini e che avrebbero diritto di partecipare a tutte le faccende pubbliche dello Stato, questa loro richiesta di libert ha per il critico lo stesso valore della richiesta del moro di diventare bianco, o meno ancora. la richiesta di rimanere non-liberi. Chi vuole che gli ebrei siano emancipati come ebrei, non solo si fa carico della stessa inutile fatica che impiegherebbe nel voler sbiancare un moro, ma, nel suo inutile strazio, si ingannerebbe: come se cercasse di insaponare il moro con una spugna asciutta. Non riuscir nemmeno a bagnarlo. Bene! Si dice, ed lo stesso ebreo a dirlo, che l'ebreo deve essere emancipato non in quanto ebreo, non perch ebreo, non perch possiede un principio tanto eccellente e universalmente umano dell'eticit, piuttosto l'ebreo passer in secondo piano rispetto al cittadino e sar egli stesso cittadino, nonostante il fatto che egli sia ebreo e voglia rimanere ebreo; ci significa che egli e resta ebreo, sebbene sia cittadino e nonostante viva all'interno di rapporti universalmente umani: la sua essenza ebraica e limitata vince sempre e senza eccezione sopra i suoi doveri umani e politici. Il pregiudizio permane nonostante sia sormontato da universali principi fondamentali. Ma se permane, esso a sormontare piuttosto ogni altra cosa. Solo per un sofisma, solo in apparenza, l'ebreo pu rimanere ebreo nella vita dello Stato; qualora egli volesse rimanere ebreo, la mera parvenza trionferebbe e diverrebbe l'essenziale, cio la sua vita nello Stato diventerebbe mera parvenza, una momentanea eccezione rispetto all'essenza e alla regola. Gli ebrei ad esempio si sono richiamati al fatto che la loro legge non gli avrebbe impedito di prestare, accanto ai cristiani, gli stessi servizi nelle guerre di liberazione e di combattere anche nel giorno del sabato. vero, nonostante la loro legge, essi hanno prestato servizio militare ed hanno combattuto; la loro Sinagoga e il rabbino gli hanno addirittura dato espressamente il permesso di sottostare a tutti gli obblighi del servizio militare, anche 156

qualora fossero stati in contraddizione con le disposizioni della legge; ma con ci anche detto che il lavoro e il sacrificio per lo Stato nel giorno del sabato concesso solo in via eccezionale, che la Sinagoga e i rabbini, che in quell'occasione hanno eccezionalmente fatto loro qualche concessione, stanno fondamentalmente al di sopra dello Stato, che ottiene qui solo un aiuto provvisorio, un aiuto che, in base alla suprema legge divina, non dovrebbe essergli concesso. Si tratta di un servizio prestato allo Stato con una coscienza tale che, in realt, in quello stesso servizio dovrebbe intravedervi un peccato (se in quell'occasione non vi scorse alcun peccato fu solo per via della dispensa data e pronunciata dal rabbino dispensa che, in un'altra occasione, non detto venga pronunciata, dal momento che propriamente non dovrebbe mai essere pronunciata) e secondo la quale invece, in quel caso specifico, non vi sarebbe peccato. Ma un tale servizio, dal momento che rinnega la coscienza, non etico; incerto, poich la legge lo vieta e quindi lo pu anche sempre di fatto vietare. Perci, in ogni comunit etica, dovrebbe anche essere realmente disapprovato. Solo un'epoca confusa riguardo a se stessa lo pu concedere come qualcosa di particolare: un'epoca che conosce e vuole finalmente rientrare in possesso dell'intera umanit, lo respinger invece come un'infinita ipocrisia. Se coloro che menano gran vanto di quel servizio non vogliono convincersi della futilit della loro causa, la possono compiangere come il triste lascito e il sacrificio di un passato via via sempre pi intimamente falso. Ma che cosa hanno fatto gli ebrei per elevarsi al di sopra di un punto di vista che li costringe ad essere ipocriti? Cosa hanno fatto per colmare l'abisso che blocca loro la strada verso le altezze della vera e libera umanit? Finch vogliono rimanere ebrei e restano dell'idea di poter diventare, come tali, degli uomini liberi, non hanno fatto nulla. Che rapporto hanno avuto con la critica che i cristiani hanno rivolto alla religione in genere per liberare l'umanit dal pi pericoloso degli autoinganni, dall'errore originario? Hanno pensato che questa lotta riguardasse solo il cristianesimo, e poich pensavano solo alle sofferenze e alle pene che il cristianesimo aveva inflitto loro, si eccitarono enormemente quando la critica a partire da Lessing, cio da quando iniziarono a prendere atto delle sue azioni parl male del cristianesimo. Nel loro compia157

cimento per i mali altrui erano talmente ottusi da non considerare che l'eventuale caduta del cristianesimo, cio dell'ebraismo compiuto, sarebbe dovuta passare attraverso la caduta della loro religione; non si sono ancora accorti di ci che avanza intorno a loro; sono cos apatici e indifferenti verso le faccende universali della religione e dell'umanit che non fanno nulla contro la critica, sono cos servilmente aggiogati nell'illusione della religione che non hanno ancora mai combattuto nelle schiere scese in campo contro la gerarchia e la religione. Nessun ebreo ha dato un contributo decisivo alla critica, nessuno ha prodotto qualcosa contro di essa. I fanatici cristiani, che invocano il cielo e la terra contro la critica, sono pi umani di quanto non lo sia l'ebreo che si anima in modo particolare nel sapere che si parla male del cristianesimo; la loro opposizione alla critica prova che anch'essi, anche se in rapporto conflittuale, sono fondamentalmente coinvolti in quella critica; essi credono di dover combattere contro di essa in quanto percepiscono che in questa battaglia in gioco la causa dell'umanit; l'ebreo si crede al sicuro nel suo egoismo, pensa solo al suo nemico, il cristianesimo, e non ha ancora compiuto nulla di decisivo contro di esso. Egli non pot realizzare alcunch contro il cristianesimo perch gli manc la forza creatrice necessaria a una tale battaglia. Contro la religione compiuta pu lottare solo quella potenza che in grado di porre al posto della religione il riconoscimento dell'uomo nel vero e pieno senso della parola. Egli l'unico che pu combattere contro il cristianesimo, poich quest'ultimo, anche se in una forma religiosa, racchiude in s il concetto universale dell'essenza umana, cio il suo proprio nemico. L'ebraismo non ha a contenuto della religione l'uomo nel pieno senso della parola, l'autocoscienza sviluppata, cio lo spirito che non percepisce pi alcun limite che lo opprime, ma una coscienza soggiogata e ancora in lotta contro i suoi limiti, addirittura contro i suoi limiti sensibili e naturali. Il cristianesimo afferma: l'uomo tutto, Dio, ci che comprende tutto e l'onnipotente. Solo che esso esprime questa verit in modo ancora religioso quando dice: solo Uno, Cristo l'uomo che tutto. L'ebraismo, di contro, soddisfa solo l'uomo che ha ancora a che fare con il mondo esterno, con la natura; in particolare soddisfa il suo bisogno in forma religiosa quando afferma che il mondo esterno sottomesso alla coscienza, cio che Dio ha creato il mondo. Il cri158

stianesimo soddisfa l'uomo che vuole rivedere se stesso in tutto, nell'essenza universale di ogni cosa e detto in forma religiosa anche in Dio; l'ebraismo soddisfa solo l'uomo che vuole vedersi indipendente dalla natura. La battaglia contro il cristianesimo fu perci possibile solo da parte cristiana, dal momento che esso stesso, e solo esso, aveva compreso l'uomo e la coscienza come l'essenza di tutte le cose; si trattava solo di dissolvere questa rappresentazione religiosa dell'uomo. Una rappresentazione che in realt negava l'intera umanit, dal momento che per essa solo Uno Tutto. L'ebreo era invece ancora troppo impegnato a soddisfare i suoi bisogni naturali, che lo vincolavano ai suoi impegni sensibili e religiosi, come lavare, fare le pulizie, scegliere e curare religiosamente i suoi cibi quotidiani. Come se potesse pensare che l'uomo sia in genere riducibile a queste cose. Egli non poteva combattere contro il cristianesimo perch non sapeva neppure qual era la posta in gioco di questa battaglia. Ogni religione necessariamente connessa all'ipocrisia e al gesuitismo: essa impone all'uomo di considerare come oggetto di adorazione, come qualcosa di estraneo, ci che esso in senso proprio, di fare quindi come se in s non fosse niente del genere, come se fosse un nulla, un assoluto nulla; ma l'umanit non si lascia completamente soggiogare e cerca ora di farsi valere a scapito dell'oggetto adorato, che deve per certamente continuare a sussistere. Dopo quanto stato appena detto sul contenuto di entrambe le religioni, ci si pu fare un'idea di quanto diversi devono essere il gesuitismo cristiano e quello ebraico, e, a maggior ragione, l'attuale gesuitismo ebraico! Il gesuitismo cristiano un atto universalmente umano ed ha contribuito a creare l'attuale libert; il gesuitismo ebraico, che sussisteva accanto al cristianesimo, fin dal principio ottuso, senza conseguenze per la storia e l'umanit in genere. E solo la fissazione di una setta che vive appartata. L'ebreo vede nella religione il soddisfacimento del proprio bisogno e la libert dalla natura; nel giorno del sabato la sua concezione religiosa deve anche farsi azione, la sua libert e il suo sottrarsi alla natura diventano esperienza reale: ma poich i suoi bisogni non sono realmente appagati nella religione, lo tormentano anche nel giorno del sabato. La vita reale, prosaica e piena di 159

bisogni, in contraddizione con la vita ideale, nella quale non deve pi preoccuparsi di soddisfare i propri bisogni; escogita cos uno stratagemma, una via d'uscita per soddisfare i propri bisogni senza violare l'apparenza di continuare a seguire la legge, cio senza violare l'apparenza di essersi elevato al di sopra dei bisogni. Il gesuitismo ebraico la mera furbizia dell'egoismo sensibile, la scaltrezza comune e, ciononostante, dal momento che ha a che fare solo con bisogni naturali e sensibili, rozza e grossolana ipocrisia. Esso talmente grossolano e odioso che lo si pu solo scansare con disgusto, ma non lo si pu mai combattere seriamente. Se ad esempio nel giorno del sabato l'ebreo si fa accendere il lume da un domestico o da un vicino cristiano, soddisfatto di non averlo fatto da s, anche se la luce torna solo a suo vantaggio; se fa riscaldare la stanza da un servitore straniero per non morire assiderato, nonostante il comandamento divino gli vieti di accendere qualsiasi fuoco, pensa che gli garantisca anche di non gelare e di non morire assiderato; se pensa di non violare la legge del sabato limitandosi agli affari passivi della borsa, come se poi non ne facesse di attivi nel momento in cui, per venirne a conoscenza, si reca in borsa e vi si impegola; se infine ha dei soci o dei commessi cristiani che per lui portano avanti gli affari nel giorno del sabato, come se l loro lavoro non tornasse a beneficio della sua azienda e del suo tornaconto personale : si tratta di un'ipocrisia contro la quale un uomo serio non pu neppure lottare. Ma se il cristiano deve comprendere in forma religiosa, e perci invertita, il concetto di spirito e l'autocoscienza, e la reale autocoscienza reagisce contro questa inversione senza poterla superare, allora il gesuitismo che sorge da tale circostanza qualcosa di completamente diverso: una battaglia scientifica allora non solo possibile, ma anche necessaria e costituisce addirittura il presupposto per la nascita ed il sorgere della suprema libert umana. Il gesuitismo ebraico la furbizia con la quale si soddisfa il bisogno sensibile dal momento che non pu bastargli la soddisfazione fittizia comandata dalla legge. Si tratta solo di un'astuzia animale. Il gesuitismo cristiano, invece, il tremendo lavoro teoretico dello spirito che lotta per la propria libert, la battaglia della libert reale con quella storpiata e fittizia, vale a dire con l'illibert; si tratta certo di una battaglia nella quale la reale

libert in lotta, fintanto che lotta, e tanto pi fino a che lotta in modo ancora religioso e teologico, si degrada sempre di nuovo a llibert; ma questo terribile e crudele gioco desta infine l'umanit e la spinge a conquistare seriamente la propria reale libert. Anche l'autentico gesuitismo, il gesuitismo dell'ordine ecclesiastico, fu una battaglia contro gli ordinamenti religiosi, lo scherno della frivolezza, un atto dell'illuminismo, disgustoso, o addirittura osceno solo perch l'illuminismo e la frivolezza si presentavano in forma puramente ecclesiastica, e non nella libera forma umana. Quando il casista ebreo, il rabbino, domanda se permesso mangiare l'uovo deposto da una gallina nel giorno di sabato, esprime con ci la semplice sciocchezza e l'infame conseguenza della parzialit religiosa. Quando invece l'esponente della scolastica domandava se Dio, analogamente a come divent uomo nel grembo della Vergine, potesse ad esempio diventare anche una zucca, quando luterani e riformati litigavano sulla questione se il corpo del Dio fattosi uomo potesse nello stesso momento essere presente in luoghi diversi, tutto ci certo ridicolo, ma solo perch la controversia sul panteismo era espressa in forma religiosa ed ecclesiastica. I cristiani si trovano quindi ad un livello superiore perch hanno sviluppato il gesuitismo religioso, questa illibert che si annienta da s, fino al punto in cui in gioco tutto, dove l'illibert avvinghia tutto e la libert e l'onest dovevano essere la necessaria conseguenza del suo potere assoluto. Gli ebrei stanno al di sotto di questo livello di ipocrisia religiosa, e quindi anche al di sotto di questa possibilit di libert. Il cristianesimo sorse quando lo spirito virile della filosofia greca e della cultura classica, n un momento di debolezza, si un con l'ebraismo pieno di passione. Dopo aver dato il suo frutto, l'ebraismo, che rimase ebraismo, scord questa unione e questo abbraccio amoroso. Non volle mai riconoscere il suo frutto. Invece l'ebraismo che serb sempre nel ricordo e con piacere la gloriosa figura della filosofia atea e terrena, non pot mai scordarla e port sempre con s il ricordo della bella figura umana del senza Dio, fino a quando non mor del ricordo, e al suo posto si present nuovamente la filosofia reale questo ebraismo morto del suo amore e dell'unione pagana il cristianesimo.

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Che nel cristianesimo l'inumanit sia spinta pi in alto che in ogni altra religione, che sia addirittura spinta al suo apice, dipende unicamente e fu possibile solo perch esso aveva afferrato il concetto massimamente illimitato di umanit e, rovesciandolo e deformandolo nella concezione religiosa, rese inumana l'essenza umana. Nell'ebraismo l'inumanit non ancora spinta cos in alto; l'ebreo in quanto ebreo ha ad esempio il dovere religioso di far parte della famiglia, delle trib, della nazione, cio di vivere per determinati interessi umani; questa priorit per solo apparente e fondata sulla mancanza per cui l'uomo, nella sua essenza universale, vale a dire l'uomo in quanto qualcosa di pi del semplice membro della famiglia, della trib o della nazione, non era ancora noto all'ebraismo. L'illuminismo ha perci la propria vera sede nel cristianesimo. Qui pu mettere radici pi profonde, qui decisivo e, dopo che anche i Greci e i Romani ebbero il loro illuminismo e attraverso la dissoluzione della loro religione fornirono l'occasione per la nascita di una nuova religione, decisivo per sempre e per l'intera umanit. L'illuminismo dei Greci e dei Romani poteva far cadere solo una religione determinata, una religione ancora incompiuta, cio una religione che non era ancora completamente tale ed era invece ancora legata a interessi politici, patriottici, artistici e, per cos dire, umanistici. Il cristianesimo la religione autentica e compiuta, nient'altro che religione; l'illuminismo che esso produce, e dal quale viene distrutto, quindi decisivo per la questione della religione e dell'umanit in generale. Per due ragioni, che in realt sono una sola, esso doveva dar luogo a questo illuminismo decisivo: perch costituisce l'apice dell'inumanit e perch costituisce la rappresentazione religiosa della pura, illimitata, onnicomprensiva umanit. Per la stessa ragione si capisce perch furono necessari cos tanti secoli affinch l'illuminismo e la critica potessero raggiungere la perfezione e la purezza nelle quali furono in grado di costituire realmente una nuova epoca della storia dell'umanit. Proprio perch il cristianesimo racchiude in s una concezione cos comprensiva dell'umanit, esso pot resistere cos a lungo agli attacchi contro la sua inumanit. Gli attacchi furono cos difficoltosi, timidi ed incerti tutt'oggi lo sono in quelle regioni dell'illuminismo nelle quali ancora si tessono le lodi del comandamento cristiano dell'amore universale per gli uomini, della legge cristia162

na della libert e dell'uguaglianza , perch ci si faceva impressionare dal comandamento religioso dell'amore fraterno, e solo con difficolt fu possibile scoprire che proprio questo comandamento, in quanto religioso, limita e nega l'amore con la fede, fa nascere odio e smania di persecuzione, ha messo in movimento la spada e acceso i roghi. Le religioni secondarie poterono cadere prima perch gli ostacoli che esse opponevano allo sviluppo dell'umanit si fecero sentire prima, cio perch fin dall'inizio poggiavano su una concezione limitata dell'essenza dell'uomo e spinsero molto prima l'illuminismo a diventare irreligioso. Ma questo illuminismo non fu ancora decisivo per la religione in genere poich rovesci solo qualcosa di determinato, solo un limite, e non il limite, non la limitatezza e l'illibert in genere. Questo illuminismo non fu decisivo, anche perch non poteva neppure dissolvere la religione determinata e non ancora compiuta chiarendone con esattezza l'illusione, la genesi e l'origine umana. Solo l'illuminismo che chiarisce e dissolve l'illusione in genere e la religione per eccellenza chiarir esattamente anche l'illusione e l'origine delle forme di religione secondarie. Lo stesso cristianesimo ha fornito una prova per questa affermazione. Per i cattolici fu pi facile che per i protestanti liberarsi dall'influenza della religione, ma pi difficile e quasi impossibile dissolvere la religione in generale e chiarire con esattezza la sua origine. L'influenza religiosa era pi rude ed esteriore, di conseguenza offriva degli appigli esterni pi comodi per essere attaccata e, dal momento che non era ancora giunta nel profondo dell'animo e non coinvolgeva ancora l'uomo nella sua totalit, poteva essere rigettata e respinta con maggiore facilit. Al tempo stesso essa venne per spiegata in modo sbagliato, accusata in quanto rozzo e scaltro inganno; la vera fonte della religione, l'illusione e l'autoinganno dei soggiogati continuavano a sussistere, potevano quanto meno continuare a sussistere e l'illuminato, che si era liberato solo da un'illusione determinata, e neanche da questa in modo perfetto, poteva assoggettarsi nuovamente e perfino ingannare nel suo illuminismo. Nel protestantesimo, invece, l'illusione diventata completa e assoluta: essa riguarda l'uomo nella sua totalit, dominandolo non esteriormente per mezzo del potere dei preti, della gerarchia o della chiesa in genere, ma a partire dalla sua stessa interiorit. Nel protestantesimo il sentimento di dipendenza in quanto tale, nella sua 163

purezza e nella sua assoluta universalit, cio nella sua totale e assoluta limitatezza, elevato a principio. Qui, dove esso costituisce l'essenza dell'uomo e l'uomo, al di fuori del fatto che religioso, non ancora qualcosa d'altro o per lo meno non gli dato essere qualcosa d'altro, come ad esempio un politico, un artista o un filosofo; nel protestantesimo ci vuole ancora molto perch l'uomo osi attaccare la sua propria essenza, che egli fino ad allora riconosceva come la sua vera essenza, respingendola e negandola in quanto sua non-essenza. Ma quando ci accade, allora accade fino in fondo, per tutte le epoche e per l'intera umanit, cosicch la questione tolta per sempre e non pi necessario riprendere la battaglia: ma ci accade realmente solo se l'illusione religiosa non viene pi attribuita al mero inganno di una casta sacerdotale, ma viene compresa come l'illusione universale dell'umanit in genere. Il protestantesimo ha ora dato il massimo di ci che poteva dare e di ci che costituisce la sua suprema determinazione; si dissolto e con esso si dissolta la religione in genere. Si sacrificato per il bene della libert dell'umanit. E che cosa ha dato invece l'ebraismo? O piuttosto: a che giova se l'ebreo non ha neppure dissolto la propria legge, ma la ha solamente violata e, quando il suo bisogno e il suo tornaconto lo esigeva, sospesa? A che giova? Non giova affatto all'umanit, ma solo alla soddisfazione illimitata di un bisogno sensibile e limitato. Se il protestantesimo, e con esso il cristianesimo, si dissolve, al suo posto si erge il libero uomo nella sua totalit, l'umanit creatrice e non pi ostacolata nelle sue opere supreme: se invece l'ebreo viola la sua legge, un singolo uomo o un certo numero di uomini pu seguire senza impedimenti i propri affari commerciali, pu mangiare e bere ci che la natura fornisce, pu accendere un lume quando si fa buio o pu accendere un fuoco anche se sabato. Prima ancora dei protestanti e addirittura prima dei cristiani illuminati, ci furono degli ebrei illuminati; era infatti pi facile annullare una legge in lotta solo con i bisogni celesti che dissolvere il sentimento di dipendenza il cui dominio fondato sullo sviluppo della natura umana, e che poteva essere distrutto solo quando l'uomo si fosse innalzato fino al riconoscimento della sua vera essenza. pi facile appagare il bisogno sensibile nonostante l'esistenza di una legge considerata divina che fondare ed affermare una nuova e finalmente vera concezione dell'essenza 164

dell'uomo, una concezione che si contrappone e deve contrapporsi mortalmente al modo in cui l'umanit si finora concepita. L'ebreo non d nulla all'umanit quando contravviene per s alla sua legge limitata: il cristiano, quando dissolve la sua essenza cristiana, d all'umanit tutto ci che essa riesce a prendere in consegna: le d l'umanit stessa: la riporta a se stessa dopo che si era persa e che, di fatto, non era nemmeno mai appartenuta a se stessa. L'ebreo non pu mai essere tranquillo, non pu mai avere una buona coscienza quando, a modo suo, cio per soddisfare il proprio bisogno sensibile, elude la sua legge divina: l'umanit che riconquista se stessa dopo il suo smarrimento nella religione, si possiede con coscienza tranquilla ed ha acquistato per la prima volta la sua vera purezza e limpidezza. Chi supera una legge limitata per il proprio bene, nella lotta non ottiene una forza maggiore perch quella lotta viene conclusa con facilit: una lotta contro l'illibert in genere e contro l'errore originario restituisce invece all'umanit tutte le sue forze, addirittura con un vigore irresistibile, in grado di abbattere tutte le barriere che la hanno finora trattenuta. Da parte vostra non vorrete misconoscere quanto la cultura cristiana e lo stesso illuminismo cristiano devono agli ebrei? E non vorrete non riconoscere che il vostro slancio verso la libert politica potentemente animato ed sostenuto dalla richiesta di emancipazione avanzata dagli ebrei? L'ascia pu dire a chi la impugna che essa lo brandisce? Non vero che gli ebrei ebbero influenza sull'illuminismo del secolo scorso o addirittura che vi avrebbero portato un contributo originale. Il loro contributo in questo ambito ben al di sotto delle prestazioni dei critici cristiani, fu insignificante per lo sviluppo della storia e fu solo la reazione d uno stimolo conferito loro dall'illuminismo cristiano o da quello anticristiano scaturito dal mondo cristiano. Nessuno oser seriamente rimproverarci di prendere le parti del cristianesimo e di lasciarci guidare da esso: speriamo non ci venga duramente rimproverato neppure il fatto che neghiamo che l'ebraismo ha stimolato e sostenuto lo sforzo dell'epoca moderna verso la libert. Da entrambe le parti, sia da parte cristiana sia da parte ebraica, ci si resi colpevoli di un enorme sbaglio separando la questione ebraica dalla questione universale dell'epoca, senza pensare che non solo gli ebrei, ma anche noi 165

volevamo essere emancipati. Gli ebrei possono esigere l'emancipazione solo perch l'epoca intera la richiede. Essi vengono trascinati dall'impulso e dalla brama universale dell'epoca. Sarebbe la pi ridicola delle esagerazioni credere seriamente che gli ebrei, con la loro richiesta di emancipazione, abbiano stimolato e sostenuto una questione che ha messo in movimento l'intero secolo Diciottesimo e che stata trattata e decisa in modo sufficientemente serio nella Rivoluzione francese. Se ovunque, per quanto riguarda il progresso, troviamo al vertice il mondo cristiano, se ovunque il cristianesimo si dimostra essere una forza del progresso, ci non significa che il cristianesimo come tale, che il cristianesimo per s, abbia voluto e messo in moto il progresso. Al contrario: se dipendesse veramente da esso, il progresso sarebbe impossibile. Esso invece suscita il progresso cos potentemente solo perch lo vuole rendere assolutamente impossibile; esso costituisce un impulso allo sviluppo della vera umanit in quanto la pura, la suprema, la compiuta inumanit. Non il cristianesimo in quanto tale ha liberato gli animi del Diciottesimo secolo ed ha spezzato le catene del privilegio e del monopolio, ma l'umanit, l'umanit che, all'interno del cristianesimo, rappresentava il vertice della civilt; in questo vertice, all'interno di questa cerchia ristretta, si era posta nella pi profonda contraddizione verso se stessa e la propria destinazione; l'umanit ha compiuto questa opera di liberazione, quell'umanit che doveva oltrepassare ogni cosa qualora avesse spezzato i limiti che, nella sua parzialit religiosa, si era essa stessa posta nel cristianesimo. Gli ebrei vengono semplicemente trascinati da questo impetuoso movimento, essi sono solo i ritardatari, non gli esponenti di spicco e le guide del progresso; essi non sarebbero neppure l dove ora sono se avessero aspettato che la dissoluzione delle loro regole li portasse nel mezzo del movimento della cultura contemporanea. Per trovarsi in mezzo al movimento dovevano prima lasciarsi contagiare dal veleno della cultura cristiana, da quel veleno che dissolve ogni cosa o, se si vuole, dal veleno della cultura e dell'illuminismo anticristiani. Ebraismo e cristianesimo sono gi in se stessi, in quanto religione, una forma di illuminismo e critica, e se la loro destinazione era quella di dominare l'umanit, allora il loro destino era anche quello di decadere in se stessi e nell'illuminismo che rac166

chiudevano in s, liberando, nella loro decadenza, l'illuminismo che in essi era paralizzato in forma religiosa. Oppure, detto altrimenti: l'illuminismo, che essi furono in forma religiosa, li distrusse, mandando in pezzi la forma religiosa e diventando illuminismo reale e razionale. Certamente anche sotto questo punto di vista il cristianesimo sar in una posizione di punta, poich esso stesso non niente altro che l'ebraismo decaduto nel suo proprio illuminismo, cio il compimento religioso dell'illuminismo che era racchiuso nell'ebraismo. L'uomo nato come membro di un popolo ed destinato a diventare cittadino dello Stato al quale appartiene per nascita; la sua determinazione di uomo travalica per i confini dello Stato nel quale nato. L'illuminismo, che innalza l'uomo al di sopra della mera subordinazione alla vita statuale e lo separa dallo Stato di appartenenza e da ogni Stato in genere, era espresso dall'ebraismo nella forma religiosa dell'odio: ogni Stato e ogni popolo sono privi di giustificazione di fronte all'Uno, di fronte a Jehova, e non hanno alcun diritto di esistere. Solo contro di s, contro l'unico popolo, l'ebraismo non volle fare sul serio con questo illuminismo: esso lasci sussistere un popolo come l'unico giustificato, dando proprio cos luogo alla pi limitata e bizzarra vita del popolo e dello Stato. Il cristianesimo port a termine l'illuminismo religioso che l'ebraismo aveva iniziato: elimin dalla lista dei popoli anche l'unico popolo ancora in piedi, lo dichiar addirittura spregevole, annull ogni contesto statale e popolare e proclam la libert e l'uguaglianza di tutti gli uomini. La proclamazione con la quale esso entr in scena quindi la stessa proclamazione con la quale si annunci al mondo l'opera del pi recente illuminismo e il suo creatore: la libera e infinita autocoscienza che dichiar guerra a ogni barriera e privilegio. L'autocoscienza non n il contadino n il borghese n il nobile, davanti ad essa l'ebreo e il pagano sono uguali, non n tedesca n semplicemente francese; non pu ammettere che ci sia qualcosa di totalmente separato da s o che stia al di sopra di s, essa la dichiarazione di guerra e la guerra stessa, anzi, se compiuta come reale autocoscienza, la vittoria sopra tutto ci che pretende di valere esclusivamente per s, come monopolio e come privilegio. Non si lamenta del suo potere distruttivo, essa vuole e fa 167

ci che anche il cristianesimo, per il quale voi combattete, voleva, ma che portava avanti in modo errato, perch lo voleva realizzare in forma religiosa. Il superamento religioso sempre superficiale, perch i rapporti che esso dissolve non li dissolve dall'interno, per mezzo della loro propria dialettica e per mezzo di una dimostrazione teorica e scientifica, ma li dissolve elevandosi semplicemente al di sopra di essi, negandoli rozzamente, di punto in bianco; lasciandoli quindi ancora sussistere, e per di pi in una forma cattiva; pu addirittura tanto poco separarsi da essi che li reinstaura nuovamente, anche se in forma bizzarra. Esso l'elevazione in aria, nel regno fantastico, ed quindi il rispecchiamento fantastico di ci al di sopra di cui crede di essersi elevato. Cos, il rapporto coniugale che il cristianesimo scioglie, viene ristabilito come matrimonio della comunit con il suo Signore o nel rapporto della monaca con il cielo, o ancora nell'entusiasmo del monaco per la Vergine celeste e della monaca per lo Sposo al quale si promessa. Le differenze cetuali riprendono nuovamente vita nei ceti dei prescelt, degli eletti e di quelli che, in seguito a decreto arbitrario e imperscrutabile dell'Altissimo, sono dannati: i ceti religiosi, allo stesso modo di quelli politici, si fondano sulla natura, solo che si fondano su una natura chimerica. Lo Stato, e precisamente lo Stato dispotico, si ripresenta nel gregge assoggettato passivamente al suo unico Signore; perfino la contrapposizione degli Stati e dei Regni ridestata nella contrapposizione tra il Regno celeste e il Regno di questo mondo; i principi si danno ancora battaglia quando il Principe celeste e il principe mondano si combattono ovunque e incessantemente; l'odio e l'inimicizia dei popoli sono riattizzati quando il gregge delle pecore e la schiera dei capri"9, la parte sinistra e quella destra, si trovano l'una di fronte all'altra e .si devono reciprocamente considerare come assolutamente estranei, come la pura opposizione. La natura contraddittoria della religione nega tutto ci a cui la sua stessa volont mira: ci che vuole negare, lo deve consolidare in modo chimerico, e ci che promette di dare, lo deve rifiutare. Essa nega le differenze naturali dei ceti e dei popoli, e le rende fantastiche, nega il privilegio e lo riproduce nel dominio esclusivo di Uno e nel privilegio di coloro che sono arbitrariamente eletti; nega il peccato, e relega tutto nel peccato, libera dal peccato e trasforma tutti gli uomini in peccatori; vuole dare la 168

libert e l'uguaglianza, e le rifiuta, anzi d luogo a un'economia di ineguaglianza e illibert. Essa non pu realmente superare ci che vuole negare, poich non vi si contrappone attraverso la reale autocoscienza, ma con la fantasia e con un'avventata, esaltata, e perci impotente volont. Essa non pu realmente concedere ci che promette, perch, precisamente, lo vuole solo concedere. Non lo vuole ottenere. Non lo vuole conquistare. L'uguaglianza e la libert che vengono solo concesse e non conquistate, equivalgono all'ineguaglianza e alla illibert stessa perch lasciano sussistere il privilegio e la schiavit, che non sono soppressi nel lavoro e nella lotta reale. La religione compiuta affonda in questa contraddizione. Essa provoca il desiderio di uguaglianza che vuole scendere in campo contro i privilegi; non riesce per ad acquietarlo perch non ammette neppure la battaglia, ed anzi divinizza ed eternizza il nemico dell'uguaglianza. Vuole dare la libert, ma non solo non la concede, d addirittura le catene della schiavit. Ci che vuole e ci che provoca per la volont dell'umanit e l'oggetto della sua richiesta. La religione deve dunque, se quella volont viene finalmente portata fino in fondo, tramontare secondo la sua stessa volont. Ma il compimento della sua volont l'illuminismo, la critica, l'autocoscienza liberata che non fugge come invece fa la religione, non si eleva nel rispecchamento fantastico di questo mondo, ma si fa largo attraverso il mondo e porta realmente avanti la battaglia contro le barriere e i privilegi. Il cristianesimo quella religione che ha promesso di pi, cio tutto, all'umanit, ma anche la religione che le ha rifiutato di pi, e cio, nuovamente, tutto. quindi il luogo di nascita della massima libert, cos come era la potenza della pi grande schiavit. La sua dissoluzione per mezzo della critica, cio la dissoluzione delle sue contraddizioni, costituisce la nascita della libert; con ci costituisce il primo atto di questa massima libert che l'umanit si conquista, si doveva conquistare e che si poteva conquistare solo nella lotta contro il compimento della religione. Il cristianesimo viene quindi a trovarsi di gran lunga al di sopra dell'ebraismo, il cristiano di gran lunga al di sopra dell'ebreo, e la sua capacit di diventare libero di gran lunga maggiore di quella dell'ebreo, poich l'umanit, nel punto in cui 169

il cristiano situato in quanto cristiano, giunta al punto in cui una drastica rivoluzione porr rimedio a tutti i danni causati dalla religione in genere ed il vigore che essa apporter a questa rivoluzione infinito. L'ebreo si trova al di sotto di questo punto, e quindi anche al di sotto di questa possibilit della libert e di una rivoluzione in grado di decidere il destino dell'intera umanit, perch la sua religione non di per s significativa per la storia e non pu intervenire nella storia universale; essa poteva divenire pratica e storico-universale solo attraverso la sua dissoluzione e il suo compimento nel cristianesimo. L'ebreo vuole diventare libero: ma da ci non segue che, per avvicinarsi alla possibilit della libert, egli debba diventare cristiano. Entrambi sono schiavi e servi della gleba, sia l'ebreo che il cristiano, e se l'illuminismo scopre che tanto l'ebraismo quanto il cristianesimo sono la servit della gleba dello spirito, allora troppo tardi: allora l'illusione e l'autoinganno per cui l'ebreo, per mezzo del battesimo, potrebbe diventare un uomo libero e un cittadino, non pi possibile, quanto meno non pu pi essere una cosa seria. Egli scambia solo un ceto privilegiato con l'altro: uno, che comporta maggiore fatica, con l'altro, che sembra essere pi vantaggioso, ma che non gli pu dare n libert n diritti politici, perch lo Stato cristiano non sa nemmeno cosa siano. Il maggiore vantaggio connesso al ceto privilegiato dei cristiani pu spingere alcuni ebrei a battezzarsi per rendere pi vantaggiosa la propria posizione nello Stato cristiano; ma il battesimo non li rende liberi, e se alcuni ebrei volessero confessare la religione cristiana, la potenza del cristianesimo non ne risulterebbe accresciuta. troppo tardi. Il cristianesimo non compier pi alcuna conquista che possa essere considerata anche solo minimamente significativa e importante. Il tempo delle conquiste storico-universali, che gli facevano guadagnare interi popoli, passato per sempre, perch ha totalmente compiuto il suo compito storico ed ha perso la fede in se stesso. Se vogliono diventare liberi, gli ebrei non devono professare il cristianesimo, ma il cristianesimo dissolto, la religione dissolta in genere, vale a dire l'illuminismo, la critica e il suo risultato, la libera umanit. 170

Il movimento storico che riconoscer la dissoluzione del cristianesimo e della religione in genere come un fatto compiuto ed assicurer all'umanit la vittoria sulla religione, non pu pi indugiare oltre, perch l'autocoscienza della libert si sottratta da ogni rapporto esistente e si trova in assoluta contraddizione con esso; le goffe e impotenti disposizioni con le quali l'esistente cerca di colpirla le procurano solo nuove vittorie e conquiste. Agli altri popoli, agli altri continenti tenuti ancora prigionieri, i popoli che si troveranno al vertice di questo movimento non porteranno pi il vangelo dell'Uno, che ha confinato tutti gli uomini nel peccato, ma il messaggio dell'umanit e dell'uomo liberato. Le cerchie e i popoli che non vogliono aderire a questo movimento e non vogliono accettare la fede nell'umanit puniranno se stessi, saranno presto scavalcati e si vedranno posti al di fuori della storia, piazzati al livello dei barbari e dei paria. Se ci capita al legno verde, cosa succede a quello secco? Se il futuro dei cristiani che vogliono permanere nel cristianesimo, e che quindi vengono anche infinitamente oltrepassati dallo sviluppo dell'umanit, cos grigio, quale pu essere il futuro degli ebrei che rimangono fermi ad un punto ancora pi basso e che qui vogliono restare? Questo affar loro: determineranno da s il proprio destino; ma la storia non si fa prendere in giro. Il dovere dei cristiani quello di riconoscere con seriet il risultato dello sviluppo del cristianesimo, la sua dissoluzione e l'innalzamento dell'uomo al di sopra del cristiano: il loro dovere cio quello di cessare di essere cristiani per diventare uomini e liberi. L'ebreo invece deve sacrificare all'umanit, al risultato dello sviluppo e della dissoluzione del cristianesimo, il privilegio chimerico della sua nazionalit, la sua legge fantastica e infondata tale sacrificio gli pu essere difficile perch egli deve completamente rinunciare a s e negare l'ebreo. Non necessita pi di rinnegarsi, di sacrificare la sua religione per un'altra. Ci che deve fare qualcosa di pi e di pi difficile del semplice scambio di una religione con un'altra. Il cristiano e l'ebreo devono rompere con la loro intera essenza: ma questa rottura pi vicina al cristiano perch essa si configura immediatamente come il suo proprio compito a partire dallo sviluppo della sua attuale essenza; l'ebreo invece deve rompere non solo con la sua essenza ebraica, ma anche con lo sviluppo del compimento della sua religione, con uno sviluppo che gli 171

rimasto estraneo e al quale non ha contribuito, cos come, in quanto ebreo, non ha n sollecitato n riconosciuto il compimento della sua religione. Per abbandonare la religione in genere il cristiano deve superare solo un gradino, quello della propria religione; se vuole innalzarsi alla libert il cammino dell'ebreo pi arduo. Ma per l'uomo nulla impossibile.

SULLA QUESTIONE EBRAICA di Karl Marx

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SULLA QUESTIONE EBRAICA di Karl Marx

I. BRUNO BAUER, LA QUESTIONE EBRAICA, BRAUNSCHWEIG 1843

Gli ebrei tedeschi vogliono l'emancipazione. Che emancipazione vogliono? L'eli cipazione civile, politica. Bruno Bauer rispon, loro: nessuno in Germania politicamente emancipato. Noi stessi non siamo liberi. Come potremmo liberare voi? Voi ebrei siete egoisti se pretendete un'emancipazione particolare per voi in quanto ebrei. Dovreste, in quanto tedeschi, lavorare per l'emancipazione politica della Germania e, in quanto uomini, per l'emancipazione umana, e sentire la forma specifica della vostra oppressione e della vostra infamia non come un'eccezione alla regola, ma piuttosto come la conferma della regola. O forse gli ebrei pretendono l'equiparazione con i sudditi cristiani? In tal modo essi riconoscono come legittimo lo Stato cristiano, cos riconoscono il regime dell'asservimento generale. Perch disapprovano il proprio soggiogamento particolare se accettano quello universale? Perch il tedesco dovrebbe interessarsi alla liberazione degli ebrei, se l'ebreo non si interessa alla liberazione del tedesco? Lo Stato cristiano conosce soltanto privilegi. In esso l'ebreo possiede il privilegio di essere ebreo. Come ebreo ha dei diritti che i cristiani non hanno. Perch vuole dei diritti che non ha e di cui i cristiani godono? Volendo essere emancipato dallo Stato cristiano, l'ebreo pretende che lo Stato cristiano rinunci al suo pregiudizio religioso. Ma egli, l'ebreo, abbandona il suo pregiudizio religioso? Ha quindi il diritto di esigere da un altro questa rinuncia alla religione? Lo Stato cristiano non pu, per sua essenza, emancipare l'ebreo; ma, aggiunge Bauer, l'ebreo, per sua essenza, non pu essere emancipato. Fino a quando lo Stato rimane cristiano e l'ebreo ebreo, entrambi saranno altrettanto incapaci di concedere e di ricevere l'emancipazione. Lo Stato cristiano pu riferirsi all'ebreo soltanto alla 175

maniera dello Stato cristiano, cio secondo il sistema del privilegio: esso permette che l'ebreo sia distinto dagli altri sudditi, ma gli fa sentire la pressione delle altre sfere particolari, e gliela fa sentire tanto pi duramente in quanto l'ebreo si trova in contrasto religioso rispetto alla religione dominante. Ma anche l'ebreo pu riferirsi allo Stato soltanto come ebreo, cio come uno straniero di fronte allo Stato, poich alla nazionalit reale egli contrappone la sua nazionalit chimerica, alla legge reale la sua legge illusoria, poich si crede in diritto di distinguersi dall'umanit, poich per principio non partecipa in alcun modo al movimento storico, poich egli spera in un futuro che non ha nulla in comune con il futuro universale dell'uomo, poich si considera un membro del popolo ebraico e ritiene il popolo ebraico il popolo eletto. A quale titolo voi ebrei chiedete l'emancipazione? In considerazione della vostra religione? Ma essa nemica mortale della religione dello Stato. Come cittadini? In Germania non vi sono cittadini. Come uomini? Voi non siete uomini, cos come non lo sono coloro ai quali vi appellate. Bauer ha posto in termini nuovi la questione dell'emancipazione degli ebrei, dopo aver fornito una critica delle precedenti tesi e soluzioni del quesito. Quali sono, egli si domanda, le caratteristiche dell'ebreo che deve essere emancipato e dello Stato cristiano che deve emancipare? Egli risponde con una critica della religione ebraica, analizza il contrasto religioso tra ebraismo e cristianesimo, spiega l'essenza dello Stato cristiano, tutto ci con arditezza, acutezza, spirito, profondit, con uno stile tanto preciso quanto robusto ed energico. Come risolve dunque Bauer la questione ebraica? Qual il risultato? La formulazione di un quesito gi la sua soluzione. La critica della questione ebraica la risposta alla questione ebraica. Questo l resum: Dobbiamo emancipare noi stessi prima di poter emancipare gli altri. La forma pi rigida del contrasto tra l'ebreo e il cristiano il contrasto religioso. Come si risolve un contrasto? Rendendolo impossibile. Come si rende impossibile un contrasto religioso? Eliminando la religione. Non appena l'ebreo e il cristiano riconoscono che le loro rispettive religioni non sono altro che differenti stadi dello sviluppo dello spirito umano, differenti mute di 176

pelli di serpente deposte dalla storia, e che l'uomo non altro che il serpente rivestito di esse, allora essi non vengono pi a trovarsi in un rapporto religioso, ma soltanto in un rapporto critico, scientifico, umano. La scienza quindi la loro unit. I contrasti nella scienza si risolvono per mediante la scienza stessa. In particolare all'ebreo tedesco si contrappone la carenza di emancipazione politica in generale e la pronunciata cristianit dello Stato. Nel senso di Bauer, la questione ebraica ha per un significato universale, indipendente dalla specifica situazione tedesca. la questione del rapporto tra religione e Stato, della contraddizione tra il pregiudizio religioso e l'emancipazione politica. L'emancipazione dalla religione viene posta come condizione, sia all'ebreo, che vuole essere emancipato politicamente, sia allo Stato, che deve emancipare ed essere esso stesso emancipato.
Bene! Si dice, ed lo stesso ebreo a dirlo, che l'ebreo deve essere emancipato non in quanto ebreo, non perch ebreo, non perch possiede un principio tanto eccellente e universalmente umano dell'eticit, piuttosto l'ebreo passer in secondo piano rispetto al cittadino e sar egli stesso cittadino, nonostante il fatto che egli sia ebreo e debba rimanere ebreo160 ; ci significa che egli e resta ebreo, sebbene sia cittadino e nonostante viva all'interno d rapporti universalmente umani: la sua essenza ebraica e limitata vince sempre e senza eccezione sopra i suoi doveri umani e politici. Il pregiudizio permane nonostante sia sormontato da universali principi fondamentali. Ma se permane, esso a sormontare piuttosto ogni altra cosa. Solo per un sofisma, solo in apparenza, l'ebreo pu rimanere ebreo nella vita dello Stato; qualora egli volesse rimanere ebreo, la mera parvenza trionferebbe e diverrebbe l'essenziale, cio la sua vita nello Stato diventerebbe mera parvenza, una momentanea eccezione rispetto all'essenza e alla regola (La capacit di diventare liberi degli ebrei e dei cristiani di oggi, infra, p. 156).

Vediamo, d'altra parte, come Bauer delinea il compito dello Stato:


Per quanto riguarda la questione ebraica cos come in tutte le altre questioni politiche , la Francia, si dice, ci ha recentemente offerto (Dibattiti della Camera dei deputati del 26 dicembre 1840) lo spettacolo di una vita che libera, ma che revoca la propria libert nella legge, dichiarandola quindi un'apparenza e,

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dall'altra parte, negando nei fatti la sua libera legge (La questione ebraica, i nfra, p. 107). La libert universale in Francia ancora non legge; neanche la questione ebraica risolta perch la libert legale (secondo la quale tutti i cittadini sono uguali) viene limitata nella vita, che ancora dominata e lacerata dai privilegi religiosi; questa illibert della vita retroagisce sulla legge obbligandola a sanzionare la distinzione dei cittadini, in s liberi, in oppressi e oppressori. (La questione ebraica, pp. 107-8).

Quando, dunque, sarebbe risolta per la Francia la questione ebraica?


L'ebreo, ad esempio, dovrebbe aver cessato di essere ebreo qualora non si faccia ostacolare dalla sua legge nell'adempiere ai suoi doveri verso lo Stato e i suoi concittadini, come ad esempio recarsi alla Camera dei deputati o prendere parte ai pubblici dibattimenti nel giorno di sabato. Ogni privilegio religioso in genere, e quindi anche il monopolio di una chiesa privilegiata, dovrebbe essere abolito, e se un singolo o i pi, o anche la stragrande maggioranza credesse ancora di dover adempiere a doveri religiosi, allora un tale adempimento dovrebbe essere concesso loro come una mera faccenda privata (p. 107). Non c' pi religione se non c' pi nessuna religione privilegiata. Si tolga alla religione la sua forza di esclusione ed essa non esiste pi (p. 109). Come il signor Martin du Nord, nel progetto di tralasciare dalla legge il riferimento alla domenica, scorgeva la proposta di dichiarare che il cristianesimo aveva cessato di esistere, per la stessa ragione (e questa ragione pienamente fondata), dichiarare che la legge del sabato non sarebbe pi vincolante per gli ebrei, equivarrebbe a proclamare la dissoluzione dell'ebraismo (pp. 113-4).

Bauer pretende quindi, da una parte, che l'ebreo rinunci all'ebraismo, e in generale che l'uomo rinunci alla religione, per poter essere emancipato come cittadino. Dall'altra identifica in tutto e per tutto la soppressione politica della religione con la soppressione pura e semplice della religione. Lo Stato che presuppone la religione non ancora uno Stato vero, reale.
La rappresentazione religiosa fornisce senz'altro delle garanzie allo Stato. Ma a quale Stato? A quale tipo di Stato? (p. 138)

A questo punto appare chiaramente il carattere unilaterale del modo di porre la questione ebraica. Non bastava assolutamente chiedersi: chi deve emancipare? Chi deve essere emancipato? La critica doveva porre una terza domanda. Doveva chiedere: di che tipo di emancipazione si tratta? Quali condizioni sono implicite nell'essenza dell'emancipazione richiesta? La critica della stessa emancipazione politica avrebbe gi costituito la critica conclusiva della questione ebraica e la sua vera risoluzione nella questione universale dell'epoca. Ma poich Bauer non porta la questione a questo livello, cade in contraddizioni. Egli pone condizioni che non sono implicite nell'essenza dell'emancipazione politica stessa. Egli solleva questioni che esulano dal tema e risolve problemi che lasciano irrisolta la sua questione. Quando Bauer, riferendosi agli avversari dell'emancipazione degli ebrei, dice: Il loro unico errore fu quello di presupporre lo Stato cristiano come l'unico vero Stato; senza sottoporlo alla stessa critica con la quale consideravano l'ebraismo (p. 45), noi rileviamo l'errore di Bauer nel fatto che egli sottopone a critica solo lo Stato cristiano, non lo Stato in quanto tale; non indaga il rapporto tra l'emancipazione politica e l'emancipazione umana, e pone perci condizioni che sono spiegabili soltanto a partire da un'acritica confusione tra l'emancipazione politica e quella universalmente umana. Se Bauer domanda agli ebrei: dal vostro punto di vista avete il diritto di chiedere l'emancipazione politica? noi invece domandiamo: il punto di vista dell'emancipazione politica ha il diritto di esigere dall'ebreo la soppressione dell'ebraismo, e dagli uomini in generale la soppressione della religione? La questione ebraica assume un aspetto diverso a seconda dello Stato nel quale l'ebreo si trova. In Germania, dove non esiste uno Stato politico, uno Stato in quanto Stato, la questione ebraica una mera questione teologica. L'ebreo si trova in contrasto religioso con lo Stato, il quale ammette come proprio fondamento il cristianesimo. Questo Stato teologo ex professo. La critica qui critica della teologia, critica a doppio taglio, critica della teologia cristiana e della teologia ebraica. Ma cos, per quanto criticamente, ci muoviamo ancor sempre nel campo della teologia. In Francia, nello Stato costituzionale, la questione ebraica la questione del costituzionalismo, la questione della incomple179

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tezza dell'emancipazione politica. Poich qui conservata l'apparenza di una religione di Stato, anche se in una formulazione vuota e in s contraddittoria, nella formulazione di una religione della maggioranza, il rapporto tra gli ebrei e lo Stato conserva l'apparenza di un contrasto religioso, teologico. Solo nei liberi Stati del Nordamerica quanto meno in una parte di essi la questione ebraica perde il proprio aspetto teologico e diventa una questione realmente mondana. Solo l dove lo Stato politico esiste nella sua forma compiuta, il rapporto dell'ebreo, e in generale dell'uomo religioso con lo Stato politico, dunque il rapporto della religione con lo Stato, pu presentarsi nella sua peculiarit e purezza. La critica di questo rapporto cessa di essere teologica non appena lo Stato cessa di rapportarsi alla religione in modo teologico, non appena esso si rapporta alla religione come Stato, cio politicamente. La critica diventa allora critica dello Stato politico. A questo punto, l dove la questione cessa di essere teologica, la critica di Bauer cessa di essere critica.
Negli Stati Uniti non esiste n una religione di Stato, n una religione ufficiale della maggioranza n la preminenza di un culto sugli altri. Lo Stato estraneo a tutti i culti (Marie ou Fesclavage aux Etats-Units ecc., di G. de Beaumont, Paris, 1835, p. 214)161 . Vi sono infatti alcuni Stati nordamericani nei quali la Costituzione non impone le credenze religiose e la pratica d'un culto come condizione dei privilegi politici (ivi, p. 225). Tuttavia negli Stati Uniti non si crede che un uomo senza religione possa essere un uomo onesto (ivi, p. 224).

Ci nonostante l'America del Nord per definizione il paese della religiosit, come assicurano unanimi Beaumont, Tocqueville e l'inglese Hamilton. D'altra parte gli Stati del Nordamerica ci servono solo come esempio. La questione : come si rapporta la compiuta emancipazione politica verso la religione. Se perfino nel paese della compiuta emancipazione politica troviamo non soltanto l'esistenza, ma l'esistenza fiorente e rigogliosa della religione, questo fatto testimonia che l'esistenza della religione non contraddice la perfezione dello Stato. Ma poich l'esistenza della religione l'esistenza di una carenza, l'origine di tale carenza pu essere cercata soltanto nell'essenza dello Stato stesso. La religione per noi non costituisce pi il fondamento, bens ormai
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soltanto il fenomeno della limitatezza mondana. Per questo spieghiamo il pregiudizio religioso dei liberi cittadini con il loro pregiudizio mondano. Non riteniamo che, per poter sopprimere i loro limiti mondani, essi debbano sopprimere la loro limitatezza religiosa. Affermiamo che essi sopprimono la loro limitatezza religiosa non appena superano i loro limiti mondani. Non trasformiamo le questioni mondane in questioni teologiche. Trasformiamo le questioni teologiche in questioni mondane. Dopo che per lungo tempo la storia stata risolta nella superstizione, noi risolviamo la superstizione nella storia. La questione del rapporto tra l'emancipazione politica e la religione diventa per noi la questione del rapporto tra l'emancipazione politica e l'emancipazione umana. Noi critichiamo la debolezza religiosa dello Stato politico in quanto, facendo astrazione dalle debolezze religiose, critichiamo lo Stato politico nella sua costruzione mondana. Noi umanizziamo la contraddizione tra lo Stato e una determinata religione, ad esempio l'ebraismo, nella contraddizione tra lo Stato e determinati elementi mondani, la contraddizione dello Stato con la religione in genere nella contraddizione tra lo Stato e i suoi presupposti in genere. L'emancipazione politica dell'ebreo, del cristiano, dell'uomo religioso in genere, l'emancipazione dello Stato dall'ebraismo, dal cristianesimo, dalla religione in genere. Nella sua forma, nel modo conforme alla sua essenza, lo Stato si emancipa dalla religione emancipandosi dalla religione di Stato, cio quando lo Stato come tale non professa alcuna religione, quando lo Stato riconosce piuttosto se stesso come Stato. L'emancipazione politica dalla religione non l'emancipazione compiuta e priva di contraddizioni dalla religione, perch l'emancipazione politica non la forma compiuta, senza contraddizioni, dell'emancipazione umana. Il limite dell'emancipazione politica si rivela immediatamente nel fatto che lo Stato pu liberarsi da un limite senza che l'uomo ne sia realmente libero, che lo Stato pu essere un libero Stato senza che l'uomo sia un uomo libero. Bauer stesso lo ammette tacitamente allorch pone all'emancipazione politica la seguente condizione:

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Ogni privilegio religioso in genere, e quindi anche il monopolio di una chiesa privilegiata, dovrebbe essere abolito, e se un singolo o i pi, o anche la stragrande maggioranza credesse ancora di dover adempiere a doveri religiosi, allora un tale adempimento dovrebbe essere concesso loro come una mera faccenda privata.

Lo Stato pu dunque essersi emancipato dalla religione, anche se la stragrande maggioranza ancora religiosa. E la stragrande maggioranza non cessa di essere religiosa per il fatto di essere religiosa privatim. Ma il rapporto dello Stato con la religione, e in particolare dello Stato libero, non tuttavia altro che il rapporto degli uomini che formano lo Stato con la religione. Ne consegue che l'uomo, per mezzo dello Stato, si libera politicamente da un limite ponendosi in contraddizione con se stesso, innalzandosi parzialmente, in un modo astratto e limitato, oltre tale limite. Ne consegue inoltre che l'uomo, liberandosi politicamente, si libera indirettamente, attraverso un mezzo, anche se un mezzo necessario. Ne consegue infine che l'uomo, anche se per mezzo dello Stato si proclama ateo, cio se proclama ateo lo Stato, rimane ancor sempre legato alla religione, appunto perch riconosce se stesso solo per via indiretta, solo attraverso un mezzo. La religione appunto il riconoscersi dell'uomo in modo indiretto. Attraverso un mediatore. Lo Stato il mediatore tra l'uomo e la libert dell'uomo. Come Cristo il mediatore cui l'uomo attribuisce tutta la propria divinit, tutto il proprio pregiudizio religioso, cos lo Stato il mediatore nel quale egli trasferisce tutta la sua non-divinit, tutta la sua umana assenza di pregiudizi. L'innalzamento politico dell'uomo al di sopra della religione partecipa di tutti i difetti e di tutti i pregi dell'innalzamento politico in genere. Lo Stato, in quanto Stato, annulla ad esempio la propriet privata, l'uomo dichiara politicamente soppressa la propriet privata non appena abolisce il censo quale criterio determinante per distinguere tra elettorato attivo e passivo, come accaduto in molti Stati nordamericani. Hamilton interpreta esattamente questo fatto dal punto di vista politico: La grande massa ha vinto sui proprietari e la finanza162. La propriet privata non forse idealmente soppressa quando il nullatenente divenuto il legislatore del possidente? Il censo l'ultima forma politica del riconoscimento della propriet privata. 182

Tuttavia, con l'annullamento politico della propriet privata, non solo la propriet privata non viene soppressa, ma addirittura presupposta. Lo Stato sopprime a modo suo le differenze di nascita, di ceto, di formazione, di professione, dichiarando che nascita, ceto, formazione, professione non sono differenze politiche, proclamando, senza riguardo per tali differenze, ciascun membro del popolo partecipe in ugual misura della sovranit popolare e considerando tutti gli elementi della vita reale del popolo dal punto di vista dello Stato. Nondimeno lo Stato lascia che la propriet privata, la formazione, la professione operino a modo loro, cio come propriet privata, come formazione, come professione, e facciano valere la loro essenza particolare. Ben lungi dal sopprimere queste differenze di fatto, lo Stato esiste piuttosto soltanto in quanto le presuppone, riconosce se stesso come Stato politico e fa valere la propria universalit solo in opposizione a questi suoi elementi. Hegel definisce perci in modo molto preciso il rapporto dello Stato politico con la religione, quando dice:
Affinch lo Stato giunga all'esserci come la realt etica dello spirito, consapevole di s, necessaria la sua differenziazione dalla forma dell'autorit della fede; questa differenziazione per emerge soltanto in quanto il lato ecclesiastico giunge entro di s alla divisione; soltanto in tal modo, al di sopra delle chiese particolari, lo Stato ha acquistato l'universalit del pensiero, il principio della di lui forma, e la porta all'esistenza (Hegel, Filosofia del diritto, I edizione, p. 346)163.

Certamente! Solo cos, al di sopra degli elementi particolari, lo Stato si costituisce come universalit. Lo Stato politico compiuto per sua essenza la vita di genere dell'uomo, in opposizione alla sua vita materiale. Tutti i presupposti di questa vita egoistica continuano a sussistere al di fuori della sfera statale nella societ civile, ma come caratteristiche della societ civile. L dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l'uomo conduce non soltanto nel pensiero e nella coscienza, bens nella realt, nella vita, una doppia vita, una celeste e una terrena: la vita nella comunit politica, nella quale si considera come collettivo, e la vita nella societ civile, nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzi, degrada se stesso a mezzo e diviene trastul183

lo di forze estranee. Lo Stato politico si rapporta alla societ civile nel modo spiritualistico con cui il cielo si rapporta alla terra. Rispetto ad essa si trova nel medesimo contrasto, e la sovrasta nel medesimo modo in cui la religione sovrasta la limitatezza del mondo profano, cio dovendo insieme riconoscerla, restaurarla e lasciarsi dominare da essa. Nella sua realt pi immediata, nella societ civile, l'uomo un essere profano. Qui, dove per s e per gli altri vale come individuo reale, egli una falsa apparenza. Viceversa, nello Stato, dove l'uomo vale come ente generico, egli il membro immaginario di una sovranit fantastica, spogliato della sua reale vita individuale e riempito di una universalit irreale. Il conflitto nel quale l'uomo, in quanto seguace di una religione particolare, viene a trovarsi con il proprio essere cittadino e con gli altri uomini in quanto membri della comunit, si riduce alla scissione mondana tra lo Stato politico e la societ civile. Per l'uomo in quanto bourgeois, la vita nello Stato una mera parvenza o una momentanea eccezione rispetto all'essenza e alla regola. Certamente il bourgeois, come l'ebreo, permane nella vita dello Stato solo sofisticamente, cos come solo sofisticamente il citoyen permane ebreo o bourgeois; ma questa sofistica non personale. E la sofistica dello Stato politico stesso. La differenza tra l'uomo religioso e il cittadino la differenza tra il commerciante e il cittadino, tra il bracciante e il cittadino, tra il proprietario fondiario e il cittadino, tra l'individuo vivente e il cittadino. La contraddizione nella quale si trova l'uomo religioso con l'uomo politico, la medesima contraddizione nella quale si trova il bourgeois col citoyen, nella quale si trova il membro della societ civile con la sua politica pelle di leone. Questo conflitto mondano, cui si riduce infine la questione ebraica, il rapporto dello Stato politico coi suoi presupposti, siano pur essi elementi materiali come la propriet privata ecc., o spirituali come la formazione e la religione, il conflitto tra l'interesse universale e l'interesse privato, la scissione tra lo Stato politico e la societ civile, questi contrasti mondani Bauer li lascia sussistere, mentre polemizza contro la loro espressione religiosa.
Proprio il suo fondamento, il bisogno, che assicura alla societ civile la sua esistenza e le garantisce la sua necessit, espone la sua stessa esistenza a pericoli continui, mantiene in essa un elemento

di insicurezza e produce quella mescolanza continua e sempre cangiante di miseria e ricchezza, indigenza e prosperit, il mutamento in genere (p. 51).

Si confronti l'intera sezione dedicata a "La societ civile" (pp. 51-2), abbozzata secondo le linee fondamentali della filosofia del diritto di Hegel. La societ civile nel suo contrasto con lo Stato politico riconosciuta come necessaria, poich viene riconosciuto necessario lo Stato politico. L'emancipazione politica certamente un grande progresso: non certo la forma definitiva dell'emancipazione umana in generale, invece l'ultima forma dell'emancipazione umana all'interno dell'odierno ordine mondiale. Ben inteso: noi parliamo qui di emancipazione reale, pratica. L'uomo si emancipa politicamente dalla religione confinandola dal diritto pubblico al diritto privato. Essa non pi lo spirito dello Stato, nel quale l'uomo anche se in modo limitato, sotto forma particolare e in una sfera particolare si comporta come ente generico, in comunit con altri uomini; essa divenuta lo spirito della societ civile, della sfera dell'egoismo, del bellum omnium contra omnes. Non pi l'essenza della comunit, ma l'essenza della differenza. Essa diventata l'espressione della separazione dell'uomo dalla sua comunit, da s e dagli altri uomini, ci ch'essa era originariamente. Essa ancora soltanto il riconoscimento astratto del particolare rovesciamento, del capriccio privato, dell'arbitrio. L'infinita frantumazione della religione nell'America del Nord, ad esempio, gi esternamente le conferisce la forma di una faccenda puramente individuale. Essa stata relegata nel novero degli interessi privati ed esiliata dalla comunit in quanto comunit. Ma non ci si inganni circa i limiti dell'emancipazione politica. La scissione dell'uomo in uomo pubblico e uomo privato, la dislocazione della religione dallo Stato alla societ civile, non sono una tappa, sono il compimento dell'emancipazione politica, che pertanto non sopprime n tanto meno tenta di sopprimere la reale religiosit dell'uomo. La scomposizione dell'uomo in ebreo e cittadino, in protestante e cittadino, in uomo religioso e cittadino, questa scomposizione non una smentita contro la cittadinanza, non un modo di eludere l'emancipazione politica, l'emancipazione politica stessa, il modo politico di emanciparsi dalla religione. 185

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Certamente: in tempi in cui lo Stato politico in quanto Stato politico viene generato con violenza dalla societ civile, in cui l'autoliberazione umana tende a compiersi sotto la forma di autoliberazione politica, lo Stato pu e deve procedere fino alla soppressione della religione, fino all'annientamento della religione, ma solo cos come procede alla soppressione della propriet privata, attraverso l'imposizione di un massimo, con la confisca, attraverso l'imposta progressiva, cos come procede alla soppressione della vita con la ghigliottina. Nei momenti in cui la vita politica particolarmente sicura di s, essa cerca di schiacciare il proprio presupposto, la societ civile e i suoi elementi, e di costituirsi come la reale e non contraddittoria vita di genere dell'uomo. Ci tuttavia possibile solo per mezzo di una violenta contraddizione con le sue proprie condizioni di vita, solo in quanto dichiara permanente la rivoluzione, sicch il dramma politico finisce altrettanto necessariamente con la restaurazione della religione, della propriet privata e di tutti gli elementi della societ civile, cos come la guerra finisce con la pace. Il cosiddetto Stato cristiano, che riconosce il cristianesimo come proprio fondamento, come religione di Stato e si comporta perci in modo esclusivo verso le altre religioni, non certo lo Stato cristiano compiuto; lo piuttosto lo Stato ateo, lo Stato democratico, lo Stato che confina la religione tra gli altri elementi della societ civile. Lo Stato che ancora teologo, che si professa ancora ufficialmente cristiano, che non osa ancora proclamarsi Stato, non ancora riuscito a esprimere in forma mondana e umana, nella sua realt in quanto Stato, il fondamento umano, la cui espressione esaltata il cristianesimo. Il cosiddetto Stato cristiano semplicemente il non-Stato, poich non il cristianesimo in quanto religione, ma soltanto il substrato umano della religione cristiana pu realizzarsi in opere realmente umane. Il cosiddetto Stato cristiano la negazione cristiana dello Stato, ma non assolutamente la realizzazione statale del cristianesimo. Lo Stato che riconosce ancora il cristianesimo nella forma della religione, non lo riconosce ancora nella forma dello Stato, poich si rapporta ancora religiosamente alla religione, cio non l'attuazione reale del fondamento umano della religione, poich si richiama ancora alla irrealt, alla figura immaginaria di questo nocciolo umano. Il cosiddetto Stato cristiano lo Stato incompiuto, e la religione cristiana funge da completa186

mento e santificazione della sua incompiutezza. La religione, quindi, diventa per esso necessariamente un mezzo, ed esso lo Stato dell'ipocrisia. ben diverso se lo Stato compiuto, a causa della carenza insita nell'essenza universale dello Stato, annovera la religione tra i propri Presupposti, o se invece lo Stato incompiuto, per la carenza insita nella sua esistenza particolare, in quanto Stato difettoso, dichiara la religione come proprio fondamento. Nell'ultimo caso la religione diviene politica incompiuta. Nel primo caso si mostra nella religione l'incompiutezza stessa della politica compiuta. Il cosiddetto Stato cristiano ha bisogno della religione cristiana per potersi compiere come Stato. Lo Stato democratico, lo Stato reale, non ha bisogno della religione per il proprio compimento politico. Pu anzi fare astrazione dalla religione poich in esso il fondamento umano della religione attuato in forma mondana. Il cosiddetto Stato cristiano, viceversa, si rapporta politicamente alla religione e religiosamente alla politica. Se riduce ad apparenza le forme statali, allora riduce ugualmente ad apparenza anche la religione. Per illustrare questa opposizione, esaminiamo la costruzione baueriana dello Stato cristiano, una costruzione che derivata dalla concezione dello Stato cristiano-germanico.
Recentemente, scrive Bauer, per dimostrare l'impossibilit o la non esistenza di uno Stato cristiano, si fatto molto spesso riferimento a quei precetti del Vangelo che non solo non vengono seguiti dallo Stato, ma che esso non pu nemmeno seguire, se non vuole dissolversi completamente. Ma la faccenda non pu essere liquidata cos semplicemente. Che cosa impongono quei precetti evangelici? La sovrannaturale rinunzia a se stessi, la sottomissione all'autorit della rivelazione, l'allontanamento dallo Stato, la soppressione dei rapporti secolari. Ebbene, lo Stato cristiano richiede e mette in opera tutto questo. Esso si appropriato dello spirito del Vangelo, e se non lo rende con gli stessi termini del Vangelo, ci dipende dal fatto che esprime questo spirito nelle forme dello Stato, vale a dire in forme prese a prestito dall'essenza dello Stato in questo mondo, che per, nella rigenerazione religiosa che devono subire, sono ridotte a mera parvenza. Lo Stato cristiano l'allontanamento dallo Stato, allontanamento che, per attuarsi, si serve delle forme statali (p. 97)164.

Bauer procede poi mostrando come il popolo dello Stato cristiano sia solo un non-popolo, non abbia pi una volont propria, 187

ma possegga la sua vera esistenza nel capo al quale assoggettato e che, tuttavia, originariamente e per sua natura, gli estraneo, vale a dire che assegnato da Dio e gli sopraggiunto senza alcun contributo da parte sua; egli mostra poi come le leggi di questo popolo non siano opera sua, bens rivelazioni positive, come il suo capo supremo abbia bisogno di intermediari privilegiati nei confronti del popolo autentico, della massa, e come questa stessa massa si disintegri in un gran numero di cerchie particolari messe in forma e determinate dal caso, cerchie che si differenziano per i loro interessi, per le loro passioni e i loro pregiudizi particolari, e che, in quanto privilegio, ricevono il permesso di isolarsi reciprocamente le une dalle altre, ecc. (p. 98). Ma Bauer stesso dice:
La politica, se non deve essere nient'altro che religione, non pu essere politica, allo stesso modo della pulizia delle pentole che, se considerata una faccenda religiosa, non pu essere considerata come una faccenda domestica (p. 148).

Ma nello Stato cristiano-germanico la religione una faccenda domestica, cos come la faccenda domestica religione. Nello Stato cristiano-germanico il dominio della religione la religione del dominio. La separazione dello spirito del Vangelo dalla lettera del Vangelo un atto irreligioso. Lo Stato che lascia parlare il Vangelo con le parole della politica, cio con parole diverse da quelle dello Spirito Santo, compie un sacrilegio, se non agli occhi degli uomini, sicuramente ai suoi stessi occhi religiosi. Allo Stato che riconosce il cristianesimo come sua norma suprema e la Bibbia come sua Charte, si devono contrapporre le parole della Sacra Scrittura, perch la Scrittura sacra fino alla lettera. Questo Stato, come pure l'immondizia umana sulla quale si fonda, cade in una dolorosa contraddizione, insanabile dal punto di vista della coscienza religiosa, qualora lo s richiami a quei precetti del Vangelo che esso non solo non segue, ma che non pu nemmeno seguire, se non vuole dissolversi completamente come Stato. E perch non vuole dissolversi completamente? Esso stesso non pu rispondere a questa domanda, n a s n ad altri. Dinanzi alla sua propria coscienza, lo Stato cristiano ufficia188

le un dover essere la cui realizzazione irraggiungibile e soltanto mentendo a se stesso pu constatare la realt della propria esistenza; esso rimane perci sempre un oggetto di dubbio, un oggetto oscuro e problematico. La critica ha dunque pienamente ragione nel portare lo Stato che si appella alla Bibbia a una profonda confusione, nella quale esso stesso non sa pi se una fantasia o una realt, nella quale l'infamia dei suoi scopi mondani, per i quali la religione serve da copertura, entra in un conflitto insolubile con l'onest della sua coscienza religiosa, alla quale la religione appare come lo scopo del mondo. Questo Stato pu riscattarsi dal suo tormento interiore soltanto diventando lo sgherro della chiesa cattolica. Di fronte ad essa, che dichiara il potere mondano proprio corpo servente, lo Stato impotente, impotente il potere mondano che afferma di essere la signoria dello spirito religioso. Nel cosiddetto Stato cristiano ha bens valore l' estraneazione , ma non l'uomo. L'unico uomo che ha valore, il re, un essere specificamente distinto dagli altri uomini e dunque un essere ancora religioso, direttamente collegato al cielo e a Dio. I rapporti qui dominanti sono ancora rapporti di fede. Lo spirito religioso non dunque ancora realmente mondanizzato. Ma lo spirito religioso non pu realmente divenire mondano: che cos' infatti esso stesso se non la forma non mondana di un livello dello sviluppo dello spirito umano? Lo spirito religioso pu essere realizzato solo in quanto il livello dello sviluppo dello spirito umano, di cui esso l'espressione religiosa, si presenta e si costituisce nella sua forma mondana. Ci accade nello Stato democratico. Non il cristianesimo, bens il fondamento umano del cristianesimo il fondamento di questo Stato. La religione rimane la coscienza ideale, non mondana, dei suoi membri, poich essa la forma ideale del livello dello sviluppo umano che in esso si attua. I membri dello Stato politico sono religiosi a causa del dualismo tra vita individuale e vita di genere, tra vita della societ civile e vita politica, sono religiosi in quanto l'uomo considera la vita statale, posta al di l della sua reale individualit, come la sua vera vita, sono religiosi poich la religione qui lo spirito della societ civile, l'espressione della separazione e dell'allontanamento dell'uomo dall'uomo. La democrazia politica cristiana perch in essa l'uomo, non soltanto un uomo, ma 189

ogni uomo vale come essere sovrano, come essere supremo; si tratta per dell'uomo nella sua forma rozza e asociale, l'uomo nella sua esistenza casuale, l'uomo cos com', corrotto dall'intera organizzazione della nostra societ, l'uomo perduto a se stesso, alienato, in balia di rapporti ed elementi disumani, in una parola, l'uomo che non ancora un reale ente generico. La forma fantastica, il sogno, il postulato del cristianesimo, cio la sovranit dell'uomo, ma in quanto ente estraneo e distinto dall'uomo reale, nella democrazia realt e presenza sensibile, massima mondana. Nella democrazia perfetta la stessa coscienza religiosa e teologica tanto pi religiosa e teologica quanto pi apparentemente priva di significato politico, priva di scopi terreni, una faccenda dell'animo isolato dal mondo, espressione di grettezza intellettuale, prodotto dell'arbitrio e della fantasia, insomma una vita realmente ultraterrena. Il cristianesimo raggiunge qui l'espressione pratica del proprio significato religioso-universale in quanto le pi disparate concezioni del mondo si raccolgono l'una accanto all'altra nella forma del cristianesimo; inoltre esso non pone ad altri neppure pi l'esigenza del cristianesimo, ma solo quella della religione in genere, di una qualsiasi religione (cfr. il citato scritto di Beaumont). La coscienza religiosa si bea della ricchezza delle opposizioni religiose e della variet delle religioni. Abbiamo dunque mostrato che l'emancipazione politica dalla religione lascia sussistere la religione, anche se non una religione privilegiata. La contraddizione in cui si trova il seguace di una religione particolare con la sua qualit di cittadino, solo una parte dell'universale contraddizione mondana tra lo Stato politico e la societ civile. La perfezione dello Stato cristiano lo Stato che si riconosce come Stato e fa astrazione dalla religione dei suoi membri. L'emancipazione dello Stato dalla religione non l'emancipazione dell'uomo reale dalla religione. Agli ebrei non diciamo dunque con Bauer: voi non potete essere emancipati politicamente senza emanciparvi radicalmente dall'ebraismo. Piuttosto diciamo loro: poich potete essere emancipati politicamente senza abbandonare completamente e coerentemente l'ebraismo, per questo l'emancipazione politica stessa non l'emancipazione umana. Se voi ebrei volete essere emancipati politicamente, senza emanciparvi umanamente, il 190

limite e la contraddizione non stanno solo in voi, ma nell'essenza e nella categoria dell'emancipazione politica. Se siete prigionieri di questa categoria, perch partecipate dell'universale pregiudizio. Cos come lo Stato agisce in modo evangelico quando, sebbene Stato, si comporta cristianamente verso l'ebreo, cos l'ebreo agisce in modo politico quando, sebbene ebreo, esige i diritti del cittadino. Ma se l'uomo, sebbene sia ebreo, pu essere emancipato politicamente e pu ricevere i diritti del cittadino, pu pretendere e ottenere i cosiddetti diritti dell'uomo? Bauer lo nega.
La questione se l'ebreo, in quanto tale, vale a dire l'ebreo che riconosce che la sua vera natura lo costringe a vivere eternamente isolato dagli altri, sia capace di ricevere e di concedere ad altri i diritti umani universali. [...] L'idea dei diritti dell'uomo stata scoperta dal mondo cristiano solo nel secolo scorso. Essa non innata nell'uomo, ma viene piuttosto conquistata nella lotta contro le tradizioni storiche nelle quali l'uomo era finora cresciuto. I diritti dell'uomo non sono quindi un dono della natura, un dono della storia passata, ma il premio della battaglia contro l'accidentalit della nascita e i privilegi che la storia ha finora lasciato in eredit di generazione in generazione. Sono il risultato della formazione, e li pu possedere solo colui che se li conquistati e meritati. [...] pu l'ebreo possedere realmente i diritti umani? Finch resta ebreo, l'essenza limitata che ne fa un ebreo deve separarlo dai non-ebrei e vincere sull'essenza umana che lo dovrebbe unire come uomo agli uomini. Con questa separazione egli dichiara che l'essenza particolare che fa di lui un ebreo la sua vera e suprema essenza, dinanzi alla quale l'essenza dell'uomo deve piegarsi. Allo stesso modo il cristiano, in quanto cristiano, non pu concedere i diritti umani (pp. 61-2).

L'uomo, secondo Bauer, deve sacrificare il privilegio della fede per poter ricevere i diritti universali dell'uomo. Consideriamo per un istante i cosiddetti diritti dell'uomo, e cio i diritti dell'uomo nella loro autentica forma, nella forma che possiedono presso i loro scopritori, i Nordamericani e i Francesi! In parte questi diritti dell'uomo sono diritti politici, diritti che vengono esercitati solo nella comunit con altri. La partecipazione alla comunit, cio alla comunit politica, alla statualit, costituisce il loro contenuto. Essi appartengono alla categoria della libert politica, alla categoria dei diritti del cittadino, che, come abbia191

mo visto, non presuppongono assolutamente la soppressione conseguente e positiva della religione, e quindi neppure dell'ebraismo. Rimane da considerare l'altra parte dei diritti dell'uomo, i droits de l'homme in quanto si distinguono dai droits du citoyen. Fra questi diritti si trova la libert di coscienza, il diritto di praticare un qualsivoglia culto. Il privilegio della fede viene espressamente riconosciuto o come diritto dell'uomo, o come la conseguenza di un diritto dell'uomo, della libert.
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, 1791, art. 10: Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose. Nel titolo I della Costituzione del 1791 viene garantito come diritto dell'uomo: La libert di esercitare il culto religioso al quale aderisce. Dichiarazione dei diritti dell'uomo ecc., 1793, annovera tra i diritti dell'uomo, art. 7: Il libero esercizio dei culti. Anzi, in relazione al diritto di manifestare pubblicamente i propri pensieri e le proprie opinioni, di riunirsi, di praticare il proprio culto, perfino detto: La necessit di enunciare questi diritti presuppone o la presenza o il ricordo recente del dispotismo. Si confronti la Costituzione del 1795, titolo XIV, art. 354. Costituzione della Pennsylvania, art. 9, 3: Tutti gli uomini hanno ricevuto dalla natura l'imprescrittibile diritto di adorare l'Onnipotente secondo l'ispirazione della propria coscienza, e nessuno pu essere legalmente costretto ad aderire, a istituire o sostenere contro la sua volont alcun culto o ministero religioso. In nessun caso l'autorit umana ha la potest di intervenire nelle questioni di coscienza e di controllare le forze dell'anima. Costituzione del New-Hampshire, articoli 5 e 6: Dei diritti naturali alcuni sono per loro natura inalienabili, poich non v' alcun equivalente. Fra questi rientrano i diritti di coscienza (Beaumont, op. cit., pp. 213-214).

societ civile. Perch il membro della societ civile viene chiamato uomo, semplicemente uomo, perch i suoi diritti vengono chiamati diritti dell'uomo? Come spieghiamo questo fatto? A partire dal rapporto dello Stato politico con la societ civile, a partire dall'essenza dell'emancipazione politica. Anzitutto costatiamo il fatto che i cosiddetti diritti dell'uomo, i droits de l'homme, in quanto distinti dai droits du citoyen, non sono altro che i diritti del membro della societ civile, cio dell'uomo egoista, dell'uomo separato dall'uomo e dalla comunit. La costituzione pi radicale, la Costituzione del 1793 pu affermare:
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Articolo 2. Questi diritti ecc. (i diritti naturali e imprescrittibili) sono: l'uguaglianza, la libert, la sicurezza, la propriet.

In che consiste la liberte?


Articolo 6. La libert il potere che appartiene all'uomo di fare tutto ci che non nuoce ai diritti degli altri, oppure, secondo la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1791": La libert consiste nel poter fare tutto ci che non nuoce ad altri.

La libert dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ci che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno pu muoversi senza danneggiare gli altri stabilito dalla legge, come il confine tra due campi stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libert dell'uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. Perch, secondo Bauer, l'ebreo incapace di ricevere i diritti dell'uomo?
Finch resta ebreo, l'essenza limitata che fa di lui un ebreo deve separarlo dai non-ebrei e vincere sull'essenza umana che lo dovrebbe unire come uomo agli uomini.

L'inconciliabilit della religione con i diritti dell'uomo tanto poco insita nel concetto dei diritti dell'uomo che il diritto di essere religioso, di essere in qualsiasi modo religioso, di praticare il culto della propria religione particolare, viene anzi espressamente annoverato tra i diritti dell'uomo. Il privilegio della fede un diritto universale dell'uomo. I droits de l'homme, i diritti dell'uomo, vengono in quanto tali distinti dai droits du citoyen, dai diritti del cittadino. Chi l'homme distinto dal citoyen? Nient'altro che il membro della 192

Ma il diritto dell'uomo alla libert si basa non sul legame dell'uomo con l'uomo, ma piuttosto sull'isolamento dell'uomo dall'uomo. il diritto a tale isolamento, il diritto dell'individuo limitato, limitato in se stesso. L'utilizzazione pratica del diritto dell'uomo alla libert il diritto dell'uomo alla propriet privata. 193

In che consiste il diritto dell'uomo alla propriet privata?


Articolo 16. (Costituzione del 1793): Il diritto di propriet quello che appartiene ad ogni cittadino di godere e disporre a suo piacimento ( son gr) dei suoi beni, delle sue rendite, del frutto del suo lavoro e della sua operosit.

Il diritto dell'uomo alla propriet privata dunque il diritto di godere a proprio arbitrio ( son gr), senza considerare gli altri uomini, indipendentemente dalla societ, del proprio patrimonio e di disporre di esso, il diritto dell'egoismo. Quella libert individuale, come questa utilizzazione della medesima, costituiscono il fondamento della societ civile. Essa lascia che ogni uomo trovi nell'altro uomo non gi la propria realizzazione, ma piuttosto il limite della sua libert. Ma essa proclama innanzitutto il diritto dell'uomo
di godere e di disporre a suo piacimento dei suoi beni, delle sue rendite, del frutto del suo lavoro e della sua operosit.

Restano ancora gli altri diritti dell'uomo, l' galit e la saret. L' galit, qui nel suo significato non politico, non altro che l'uguaglianza della libert sopra descritta, e cio che ogni uomo viene ugualmente considerato come una tale monade che poggia su se stessa. La Costituzione del 1795 definisce cos il concetto di questa uguaglianza, in conformit al suo significato:
Articolo 3. (Costituzione del 1795): L'uguaglianza consiste nel fatto che la legge uguale per tutti, sia che protegga, sia che puni sca

E la sarete?
Articolo 8. (Costituzione del 1793: La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla societ ad ognuno dei suoi membri per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua propriet.

La sicurezza il pi alto concetto sociale della societ civile, il concetto della polizia, secondo cui l'intera societ esiste unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazio194

ne della sua persona, dei suoi diritti e della sua propriet. In tal senso Hegel chiama la societ civile: Lo Stato della necessit e dell'intelletto'65. Col concetto di sicurezza la societ civile non si leva al di sopra del suo egoismo. La sicurezza piuttosto la garanzia del suo egoismo. Nessuno dei cosiddetti diritti dell'uomo oltrepassa dunque l'uomo egoista, l'uomo in quanto membro della societ civile, cio l'individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato, sul suo arbitrio privato e isolato dalla comunit. Poich in essi l'uomo ben lungi dall'essere inteso come ente generico, la stessa vita di genere, la societ, appare piuttosto come una cornice esterna agli individui, come la limitazione della loro indipendenza originaria. L'unico legame che li tiene insieme la necessit naturale, il bisogno e l'interesse privato, la conservazione della loro propriet e della loro persona egoistica. E gi piuttosto strano che un popolo, che, appunto, inizia appena a liberarsi, ad abbattere tutte le barriere tra i differenti membri del popolo e a fondare una comunit politica, che un tale popolo proclami solennemente ("Dichiarazione del 1791") il diritto dell'uomo egoista, isolato dal suo simile e dalla comunit, e ribadisca addirittura questa proclamazione in un momento in cui soltanto il pi eroico sacrificio pu salvare la nazione, una proclamazione che viene quindi sovranamente richiesta in un momento in cui il sacrificio di tutti gli interessi della societ civile dev'essere posto all'ordine del giorno e l'egoismo dev'essere punito come un delitto ("Dichiarazione dei diritti dell'uomo ecc. del 1793"). Questa circostanza diventa ancora pi strana se consideriamo che la qualit del cittadino e la comunit politica vengono addirittura degradate dagli emancipatori politici a mero mezzo per preservare questi cosiddetti diritti dell'uomo, e che pertanto il citoyen viene considerato al servizio dell'homme egoista, che la sfera nella quale l'uomo si comporta come ente collettivo viene degradata al di sotto della sfera nella quale esso si comporta come ente parziale, infine che non l'uomo come citoyen, bens l'uomo come bourgeois viene considerato l'uomo vero e proprio.
Il fine di ogni associazione politica la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo ("Dichiarazione dei diritti ecc.

195

del 1791", articolo 2). Il governo istituito per garantire all'uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili ("Dichiarazione ecc. del 1793", articolo 1).

Cos, perfino nei momenti di florido entusiasmo giovanile, esaltato dalla furia degli eventi, la vita politica si dimostra essere un puro mezzo, il cui scopo la vita della societ civile. In effetti, la sua prassi rivoluzionaria si trova in flagrante contraddizione con la sua teoria. Mentre, ad esempio, la sicurezza viene dichiarata un diritto dell'uomo, la violazione del segreto epistolare posta pubblicamente all'ordine del giorno. Mentre la libert indefinita della stampa ("Costituzione del 1793", articolo 122) viene garantita come conseguenza del diritto dell'uomo alla libert individuale, la libert di stampa viene completamente annullata, poich la libert di stampa non deve essere permessa quando comprometta la libert pubblica (Robespierre jeune, "Storia parlamentare della rivoluzione francese" di Buchez e Roux, vol. 28, p. 159)", il che quindi significa: il diritto umano alla libert cessa di essere un diritto non appena entra in conflitto con la vita politica, mentre, secondo la teoria, la vita politica soltanto la garanzia dei diritti dell'uomo, dei diritti dell'uomo individuale, e quindi deve essere abbandonata non appena contraddice il suo scopo, questi diritti dell'uomo. Ma la prassi soltanto l'eccezione, e la teoria la regola. Volendo poi considerare la stessa prassi rivoluzionaria come la giusta posizione del rapporto, rimane pur sempre da risolvere l'enigma del perch nella coscienza degli emancipatori politici il rapporto venga capovolto, lo scopo appaia come mezzo e il mezzo come scopo. Questa illusione ottica della loro coscienza sarebbe ancor sempre il medesimo enigma, ancorch un enigma psicologico, teorico. L'enigma si risolve semplicemente. L'emancipazione politica al tempo stesso la dissoluzione della vecchia societ, sulla quale poggia l'essenza dello Stato straniata dal popolo, il potere del sovrano. La rivoluzione politica la rivoluzione della societ civile. Qual era il carattere della vecchia societ? Una sola parola la caratterizza: la feudalit. La vecchia societ civile aveva immediatamente un carattere politico, vale a dire che gli elementi della vita civile, come ad esempio la propriet, la famiglia o il tipo di lavoro, erano, nella forma della signoria fondiaria, del ceto e della corporazione, 196

innalzati a elementi della vita statale. In tale forma essi determinavano il rapporto del singolo individuo verso la totalit dello Stato, vale a dire il suo rapporto politico, cio il suo rapporto di separazione ed esclusione delle altre parti costitutive della societ. Quell'organizzazione della vita del popolo, infatti, non elevava il possesso o il lavoro ad elementi sociali, ma piuttosto portava a compimento la loro separazione dalla totalit statale e li costituiva in societ particolari all'interno della societ. Ma cos le funzioni e le condizioni vitali della societ civile rimanevano ancor sempre politiche, anche se politiche nel senso della feudalit, vale a dire che escludevano l'individuo dalla totalit statale, trasformavano il rapporto particolare della sua corporazione con la totalit dello Stato nel suo proprio rapporto universale con la vita del popolo, cos come la sua determinata attivit e situazione civile nella sua attivit e situazione universale. Come conseguenza di questa organizzazione, l'unit dello Stato, come coscienza, volont e attivit dell'unit dello Stato, il potere universale dello Stato, appare altrettanto necessariamente come affare particolare di un sovrano separato dal popolo e dei suoi servitori. La rivoluzione politica che rovesci questo potere sovrano e innalz gli affari dello Stato ad affari del popolo, che costitu lo Stato politico come affare universale, cio come Stato reale, fece necessariamente a pezzi tutti i ceti, le corporazioni, le gilde, i privilegi, tutte espressioni della separazione tra il popolo e la sua comunit. La rivoluzione politica soppresse con ci il carattere politico della societ civile. Essa spezz la societ civile nelle sue parti costitutive elementari, da un lato gli individui, dall'altro gli elementi materiali e spirituali che costituiscono il contenuto vitale, la situazione civile di questi individui. Essa liber lo spirito politico, che era anch'esso diviso, disgregato e disperso nei vicoli ciechi della societ feudale; lo raccolse da questa dispersione, lo liber dalla commistione con la vita civile e lo costitu come la sfera della comunit, dell'universale attivit del popolo, in ideale indipendenza da quegli elementi particolari della vita civile. Le attivit vitali determinate e le determinate condizioni di vita decaddero a mero significato individuale. Non formarono pi il rapporto universale dell'individuo con la totalit dello Stato. L'interesse pubblico in quanto tale divenne piuttosto l'affare universale di ciascun individuo, e la funzione 197

politica divenne la sua funzione universale. Solo che il compimento dell'idealismo dello Stato fu contemporaneamente il compimento del materialismo della societ civile. La soppressione del giogo politico fu al tempo stesso la soppressione dei legami che tenevano vincolato lo spirito egoista della societ civile. L'emancipazione politica fu al tempo stesso l'emancipazione della societ civile dalla politica, dalla parvenza stessa di un contenuto universale. La societ feudale fu risolta nel suo fondamento, nell'uomo. Ma nell'uomo che realmente costituiva il suo fondamento, nell'uomo egoista. Quest'uomo, il membro della societ civile, ora la base, il presupposto dello Stato politico. Come tale da esso riconosciuto nei diritti dell'uomo. Ma la libert dell'uomo egoista e il riconoscimento di questa libert sono piuttosto il riconoscimento del movimento sfrenato degli elementi spirituali e materiali che costituiscono il suo contenuto vitale. L'uomo non fu quindi liberato dalla religione, ricevette la libert religiosa. Non fu liberato dalla propriet. Ricevette la libert della propriet. Non fu liberato dall'egoismo del mestiere, ricevette la libert di mestiere. La costituzione dello Stato politico e la dissoluzione della societ civile in individui indipendenti il cui rapporto il diritto, cos come il rapporto tra gli uomini appartenenti ai ceti e alle corporazioni era il privilegio si compie in un unico e medesimo atto. L'uomo, in quanto membro della societ civile, l'uomo non politico, appare per necessariamente come l'uomo naturale. I droits de l'homme s presentano come droits naturels, infatti l'attivit autocosciente si concentra nell'atto politico. L'uomo egoistico il risultato passivo, semplicemente scaturito dalla societ dissolta, oggetto della certezza immediata, quindi oggetto naturale. La rivoluzione politica dissolve la vita civile nelle sue parti costitutive, senza rivoluzionare queste stesse parti n sottoporle a critica. Essa si comporta con la societ civile, con il mondo dei bisogni, del lavoro, degli interessi privati, del diritto privato, come con il fondamento della propria esistenza, come con un presupposto non ulteriormente fondato, e perci come con la sua base naturale. L'uomo infine, in quanto membro della societ civile, rappresentato come l'uomo autentico, come 198

l'homme distinto dal citoyen, poich egli l'uomo nella sua immediata esistenza sensibile individuale, mentre l'uomo politico soltanto l'uomo astratto e artificiale, l'uomo come persona allegorica, morale. L'uomo reale riconosciuto solo nella figura dell'individuo egoista, l'uomo vero solo nella figura del citoyen astratto. Rousseau descrive con esattezza l'astrazione dell'uomo politico:
Chi osa intraprendere l'organizzazione di un popolo deve sentirsi capace di mutare, per cos dire, la natura umana, di trasformare ogni individuo, che per se stesso un tutto perfetto e autonomo, in parte di un tutto pi grande, da cui quest'individuo riceva in qualche modo la vita e l'essere, [...]di sostituire un'esistenza parziale e morale all'esistenza fisica e indipendente [...]. Bisogna, in una parola, ch'egli tolga all'uomo le forze che gli son proprie, per dargliene altre di estranee e delle quali non possa far uso senza l'altrui aiuto (J. J. Rousseau, Il contratto sociale, libro II, cap. 7).

Ogni emancipazione un ricondurre il mondo umano, i rapporti umani all'uomo stesso. L'emancipazione politica la riduzione dell'uomo da un lato a membro della societ civile, all'individuo egoista indipendente, dall'altro al cittadino, alla persona morale. Solo quando il reale uomo individuale riassume in s il cittadino astratto, e come uomo individuale, nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali divenuto ente generico167, soltanto quando l'uomo ha riconosciuto e organizzato le sue forces propres come forze sociali, e perci non separa pi da s la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora l'emancipazione umana compiuta.

II. BRUNO BAUER, LA CAPACIT DI DIVENTARE LIBERI DEGLI EBREI E DEI CRISTIANI DI OGGI, IN EINUNDZWANZIG BODEN, PP. 56-71

In questa forma Bauer tratta il rapporto della religione ebraica e cristiana, nonch il loro rapporto con la critica. Il loro rapporto con la critica il loro rapporto con la capacita di diventare liberi. Ne consegue: 199

Il cristiano deve superare solo un gradino, quello della propria religione, per abbandonare la religione in genere, e quindi per diventare libero, l'ebreo invece deve rompere non solo con la sua essenza ebraica, ma anche con lo sviluppo del compimento della sua religione, con uno sviluppo che gli rimasto estraneo (pp. 171-2).

L'ebreo, al contrario, per liberarsi, deve compiere non solo il suo proprio lavoro, ma anche quello del cristiano, la Critica dei sinottici, la Vita di Ges168 ecc.
Questo affar loro: determineranno da s il proprio destino; ma la storia non si fa prendere in giro (p. 171).

Bauer, dunque, trasforma qui la questione dell'emancipazione degli ebrei in una questione puramente religiosa. Il dubbio teologico: chi ha maggiore possibilit di salvarsi, l'ebreo o il cristiano? si ripropone in forma illuminata: chi dei due maggiormente capace di emancipazione? Certo non ci si domanda pi: l'ebraismo o il cristianesimo che rende liberi? ma piuttosto: che cosa rende pi liberi, la negazione dell'ebraismo o la negazione del cristianesimo?
Se vogliono diventare liberi, gli ebrei non devono professare il cristianesimo, ma il cristianesimo dissolto, la religione dissolta in genere, vale a dire l'illuminismo, la critica e il suo risultato, la libera umanit (p. 170).

Per gli ebrei si tratta pur sempre di fare professione di fede, ma non pi di professare il cristianesimo, bens il cristianesimo dissolto. Bauer richiede agli ebrei di rompere con l'essenza della religione cristiana, una richiesta che, come dice egli stesso, non emerge dallo sviluppo dell'essenza ebraica. Dato che nelle conclusioni della Questione ebraica Bauer aveva concepito l'ebraismo solo come la grossolana critica religiosa del cristianesimo, conferendogli quindi un significato "soltanto" religioso, c'era da aspettarsi che anche l'emancipazione degli ebrei si sarebbe trasformata in un atto filosofico-teologico. Bauer considera l'essenza ideale e astratta dell'ebreo, la sua religione, come la sua intera essenza. A ragione perci conclude: L'ebreo non d nulla all'umanit quando contravviene per s alla sua legge limitata, quando sopprime tutto il suo ebraismo (p. 165). Il rapporto tra gli ebrei e i cristiani diviene quindi il seguente: l'unico interesse del cristiano all'emancipazione dell'ebreo consiste in un interesse universalmente umano, un interesse teoretico. L'ebraismo un fatto oltraggioso per l'occhio religioso del cristiano. Non appena il suo occhio cessa di essere religioso, questo fatto cessa di essere oltraggioso. In s e per s l'emancipazione dell'ebreo non affare del cristiano. 200

Noi cerchiamo di rompere la formulazione teologica della questione. La questione della capacit dell'ebreo di emanciparsi si trasforma per noi nel seguente quesito: quale particolare elemento sociale deve essere soppresso per superare l'ebraismo? Infatti la capacit di emanciparsi dell'ebreo di oggi si identifica con il rapporto tra l'ebraismo e l'emancipazione del mondo di oggi. Tale rapporto si delinea necessariamente a partire dalla particolare posizione dell'ebraismo nel mondo servile di oggi. Consideriamo il reale ebreo mondano, e non l'ebreo del shabbat, come fa Bauer, ma l'ebreo di tutti i giorni. Cerchiamo il segreto dell'ebreo non nella sua religione, bens cerchiamo il segreto della religione nell'ebreo reale. Qual il fondamento mondano dell'ebraismo? Il bisogno pratico, l' egoismo. Qual il culto mondano dell'ebreo? Il mercanteggiare. Qual il suo Dio mondano? Il denaro. Ebbene! L'emancipazione dal mercanteggiamento e dal denaro, dunque dall'ebraismo pratico e reale, sarebbe l'autoemancipazione della nostra epoca. Un'organizzazione della societ che eliminasse i presupposti del mercanteggiamento, dunque la possibilit di esso, avrebbe reso impossibile l'ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come fumo nel reale soffio vitale della societ. D'altronde, se l'ebreo riconosce l'inconsistenza di questa sua essenza pratica e lavora al suo superamento, lavora, a partire dal suo sviluppo passato, alla vera emancipazione umana e si volge contro la pi alta espressione pratica dell'autoestraneazione umana. Noi riconosciamo dunque nell'ebraismo un universale e attuale elemento antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico al quale gli ebrei, per questo aspetto negativo, hanno collaborato con zelo, stato sospinto fino al suo attuale vertice, un vertice raggiunto il quale deve necessariamente dissolversi. L'emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo 201

l'emancipazione dell'umanit dall'ebraismo. L'ebreo si gi emancipato in modo ebraico.


L'ebreo, che ad esempio a Vienna semplicemente tollerato, determina, con la sua potenza finanziaria, il destino di tutto l'impero. L'ebreo, che nel pi piccolo Stato tedesco pu essere senza diritti, decide le sorti dell'Europa. Mentre le corporazioni e le gilde si chiudono all'ebreo o non sono ancora ben disposte nei suoi confronti, la temerariet dell'industria si fa beffe della caparbiet degli istituti medievali (B. Bauer, Questione ebraica, p. 153).

stero religioso una vera e propria carriera industriale (Beaumont,

op. cit., pp. 185, 186). Secondo Bauer


una falsit se, in teoria, vengono negati all'ebreo i diritti politici, mentre nella prassi dispone di un potere enorme ed esercita en gros l'influenza politica che gli viene invece ridotta in dtail (Questione ebraica, p. 153).

Non si tratta di un fatto sporadico. L'ebreo si emancipato in modo ebraico non solo in quanto si appropriato della potenza del denaro, ma anche perch il denaro, con lui o senza di lui, diventato una potenza mondiale, e lo spirito pratico dell'ebreo diventato lo spirito pratico dei popoli cristiani. Gli ebrei s sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei.
Il pio e politicamente libero abitante della Nuova Inghilterra riferisce ad esempio il colonnello Hamilton una specie di Laocoonte, che non fa nemmeno il pi piccolo sforzo per liberarsi dai serpenti che lo avvincono. Mammona il loro idolo, essi lo pregano non soltanto con le loro labbra, ma con tutte le forze del loro corpo e della loro anima. Ai loro occhi la terra non altro che una Borsa, ed essi sono convinti di non avere quaggi altra destinazione che quella di diventare pi ricchi dei loro vicini. L'attivit commerciale si impossessata di tutti i loro pensieri, scambiarsi oggetti costituisce il loro unico svago. Quando viaggiano, portano con s, sulla schiena, per cos dire, la loro mercanzia e i loro affari, e non parlano d'altro che di interessi e guadagno. Se per un istante perdono d'occhio i loro affari, ci accade soltanto per ficcare il naso in quelli degli altri169.

Per la verit il dominio pratico dell'ebraismo sul mondo cristiano, trova nel Nordamerica la propria normale e inequivocabile espressione nel fatto che l'annunzio stesso del Vangelo, la predicazione cristiana diventata un articolo di commercio, e il commerciante fallito fa nel Vangelo come l'evangelista arricchito negli affari.
Colui che vedete a capo d'una rispettabile congregazione ha cominciato col fare il commerciante; essendogli andato male il commercio s' fatto ministro di culto; quell'altro ha debuttato col sacerdozio, ma appena ha avuto a disposizione una certa somma di denaro ha abbandonato il pulpito per gli affari. Agli occhi di moltissimi il mini-

La contraddizione in cui si trova la potenza politica pratica dell'ebreo con i suoi diritti politici, la contraddizione della politica con la potenza del denaro in genere. Mentre la prima sta idealmente al di sopra della seconda, di fatto ne divenuta la serva. L'ebraismo si conservato accanto al cristianesimo, non soltanto come critica religiosa del cristianesimo, non soltanto come dubbio insito nell'origine religiosa del cristianesimo, ma anche perch lo spirito pratico-ebraico, l'ebraismo, si mantenuto nella societ cristiana, raggiungendo addirittura il suo massimo sviluppo. L'ebreo, che si trova nella societ civile come membro particolare, solo la manifestazione particolare dell'ebraismo della societ civile. L'ebraismo si conservato non gi malgrado la storia, bens attraverso la storia. Dalle sue proprie viscere la societ civile genera continuamente l'ebreo. Qual era in s e per s il fondamento della religione ebraica? Il bisogno pratico, l'egoismo. Il monoteismo dell'ebreo perci, nella realt, il politeismo della molteplicit dei bisogni, un politeismo che trasforma in oggetto della legge divina persino la latrina. Il bisogno pratico, l'egoismo, il principio della societ civile, ed emerge chiaramente come tale non appena la societ civile ha completamente generato lo Stato politico. Il Dio del bisogno pratico e dell'egoismo il denaro. Il denaro il geloso Dio di Israele, di fronte al quale non pu esistere nessun altro Dio. Il denaro avvilisce tutti gli dei dell'uomo e li trasforma in una merce. Il denaro il valore universale, per s costituito, di tutte le cose. Esso ha perci spogliato il mondo intero, il mondo dell'uomo e la natura, del loro valore peculiare. Il denaro l'essenza, estraniata dall'uomo, del suo lavoro e della sua esisten203

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za, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l'adora. Il Dio degli ebrei si mondanizzato, divenuto un Dio mondano. La cambiale il Dio reale dell'ebreo. Il suo Dio solo la cambiale illusoria. La concezione della natura acquisita sotto il dominio della propriet privata e del denaro il reale disprezzo, il degradamento pratico della natura, che esiste s nella religione ebraica, ma solo come immaginazione. In questo senso Thomas Miinzer afferma che insopportabile
che tutte le creature siano diventate propriet, i pesci nell'acqua, gli uccelli nell'aria, le piante sulla terra: anche la creatura dovrebbe essere liberai".

Ci che nella religione ebraica resta astratto, il disprezzo della teoria, dell'arte, della storia, dell'uomo in quanto fine a se stesso, il reale e cosciente punto di partenza, la virt del capitalista. Lo stesso rapporto di genere, il rapporto tra uomo e donna ecc., diventa un oggetto di commercio! La donna oggetto di scambio. La chimerica nazionalit dell'ebreo la nazionalit del commerciante, del capitalista in genere. L'infondata e assurda legge dell'ebreo soltanto la caricatura religiosa di un diritto in genere e di una moralit assurda e priva di fondamento, dei riti meramente formali di cui si circonda il mondo dell'egoismo. Anche qui il pi alto rapporto dell'uomo il rapporto legale, il rapporto con delle leggi che per lui hanno valore non in quanto leggi della sua propria volont ed essenza, ma in quanto dominano e in quanto la trasgressione viene punita. Il gesuitismo ebraico, lo stesso gesuitismo pratico che Bauer ravvisa nel Talmud, il rapporto del mondo dell'egoismo con le leggi che lo dominano, la cui astuta elusione costituisce l'arte suprema di questo mondo. Anzi, il movimento di questo mondo all'interno delle sue leggi costituisce necessariamente un costante superamento della legge. L'ebraismo pot svilupparsi in quanto religione, ma non teoricamente, perch la concezione del mondo propria del bisogno pratico per sua natura limitata e si esaurisce in pochi tratti. La religione del bisogno pratico, per sua essenza, poteva tro204

vare il proprio compimento non nella teoria, ma soltanto nella prassi, appunto perch la sua verit la prassi. L'ebraismo non poteva creare un nuovo mondo; poteva solo attirare nell'ambito delle proprie attivit le nuove creazioni ed i nuovi rapporti del mondo, perch il bisogno pratico, il cui intelletto l'egoismo, si comporta passivamente e non si estende a proprio piacere, ma viene a trovarsi ampliato con il progressivo sviluppo delle condizioni sociali. L'ebraismo raggiunge il suo vertice col perfezionamento della societ civile; ma la societ civile si compie soltanto nel mondo cristiano. Soltanto sotto la signoria del cristianesimo, che rende esteriori all'uomo tutti i rapporti nazionali, naturali, etici, teoretici, la societ civile pot separarsi completamente dalla vita dello Stato, spezzare ogni legame dell'uomo col genere e porre l'egoismo, il bisogno egoistico, al posto di questi legami col genere, dissolvere il mondo degli uomini in un mondo di individui atomistici, ostilmente contrapposti gli uni agli altri. Il cristianesimo scaturito dall'ebraismo. Nell'ebraismo esso si nuovamente dissolto. Il cristiano era fin dal principio l'ebreo teorizzante; l'ebreo perci il cristiano pratico, ed il cristiano pratico diventato nuovamente ebreo. Solo in apparenza il cristianesimo aveva superato l'ebraismo reale. Esso era troppo nobile, troppo spirituale per rimuovere la grossolanit del bisogno pratico altrimenti che con l'elevazione nell'etere azzurro. Il cristianesimo l'idea sublime dell'ebraismo, l'ebraismo la volgare utilizzazione del cristianesimo, ma questa utilizzazione poteva diventare universale soltanto dopo che il cristianesimo, in quanto religione compiuta, avesse portato teoricamente a compimento l'autoestraniazione dell'uomo da s e dalla natura. Solo allora l'ebraismo pot pervenire al dominio universale e fare dell'uomo alienato e della natura alienata oggetti alienabili, vendibili, caduti in balia del bisogno egoistico e del commercio. La vendita la prassi dell'alienazione. Come l'uomo, finch schiavo del pregiudizio religioso, sa oggettivare la propria essenza soltanto rendendola un'essenza estranea e fantastica, cos sotto il dominio del bisogno egoistico egli pu operare solo praticamente, pu produrre oggetti solo praticamente, ponendo i propri prodotti, come la propria attivit, sotto il dominio di un essere estraneo e 205

conferendo ad essi il significato di un'essenza estranea: il denaro. Nella sua prassi compiuta, l'egoismo cristiano della beatitudine si rovescia necessariamente nell'egoismo materiale dell'ebreo, il bisogno celeste in quello terreno, il soggettivismo nell'egoismo. Noi spieghiamo la tenacia dell'ebreo non con la sua religione, ma piuttosto col fondamento umano della sua religione, il bisogno pratico, l'egoismo. Poich l'essenza reale dell'ebreo si universalmente realizzata e mondanizzata nella societ civile, la societ civile non poteva convincere l'ebreo della irrealt della sua essenza religiosa, che appunto nient'altro che la concezione ideale del bisogno pratico. L'essenza dell'ebreo odierno la troviamo dunque non soltanto nel Pentateuco o nel Talmud, ma nella societ odierna, non come essenza astratta ma come essenza sommamente empirica, non solo come limitatezza dell'ebreo, ma come limitatezza ebraica della societ. Non appena la societ riuscir a sopprimere l'essenza empirica dell'ebraismo, il mercato e i suoi presupposti, l'ebreo diventer impossibile, perch la sua coscienza non avr pi alcun oggetto, perch la base soggettiva dell'ebraismo, il bisogno pratico, si umanizzer, perch sar superato il conflitto tra l'esistenza individuale sensibile e l'esistenza di genere dell'uomo. L'emancipazione sociale dell'ebreo l'emancipazione della societ dall'ebraismo.

NOTE

i Si veda N. ROTENSTREICH, For and Against Emancipation: The Bruno Bauer Controversy, in Publications of the Leo Baeck Institut of Jews from Germany, Year Book IV, pp. 3-36; paradigmatici per la diversit di vedute sono da una parte J. Hiippner, Einleitung, in A. RUGE U. K. MARX, Deutsch-franz5sische Jarhbiicher (1844), Leipzig, Reclam, 1981, p. 50 e W. POST, Kritik der Religion bei Karl Marx, Miinchen, Ksel, 1969, p. 147, secondo il quale Bauer si batte in favore di una equiparazione democratica di ogni gruppo religioso e per uno Stato neutrale in materia di religione e fondato sui diritti umani, e dall'altra, in polemica con Post, Z. ROSEN, Kar' larx' polemische Auseinandersetzung mit Bruno Bauers Auffassung der Judenfr, ge ,and der Emanzipation, in Philosophie, Literatur und Politik vor der Revolutionen von 1848, Frankfurt am Main u.a., Peter Lang, di prossima pubblicazione, e D. LEOPOLD, The Hegelian antisemitism of Bruno Bauer, in History of European Ideas, n. 25 (1999), pp. 179-206. Sull'antisemitismo di Bauer si veda anche E. BARNIKOL, Bruno Bauer. Studien und Materialen, aus dem Nachlass ausgewhlt und zusammengestellt von P. Reimer und H.-M. Sass, Assen, Van Gorcum & Comp., 1972, p. 352 e Lambrecht che individua una linea di ricerca per la Judenfeindschaft del Bauer maturo nella Verbindung von Antisemitismus, Antisozialismus und Neokonservativismus: L. LAMBRECHT, Bauer Bruno, in Metzler-Philosophischen-Lexikon, Hg. von B. Lutz, Stuttgart, Metzler, 1989, p. 92. d'altra parte noto che anche lo scritto marxiano fu accusato di "antisemitismo". Nel 1960 usc un'edizione inglese della Questione ebraica di Marx significativamente intitolata A world without Jews, New York, Philosophical Libr., 1959, transl. and itrod. by Dagobert D. Runes, che la present come the sanguinary dream of Karl Marx. R. Weltsch, d'altra parte, defin questo misleading title un piece of inferior ant-Soviet propaganda: R. WELTSCH, Introduction, in Publications of the Leo Baeck Institute of Jews from Germany, Year Book IV, cit., p. XII. H. HmSCH, The ugly Marx: analysis of an outspoken anti-semite, in The philosophical forum, vol. III, n. 2-4 (1978), pp. 150-162 cerca di porre in rilievo il comune background dell'epoca sul'ebraismo, affermando inoltre che in quel contesto non possibile una definizione razziale dell'ebreo e quindi non legittimo l'uso del terminus technicus "anti-semita" (ivi, p. 158). Non possiamo qui rendere conto di tutta la letteratura relativa al reale o presunto antisemitismo di Bauer e Marx. Al riguardo vale forse la pena ricordare il giudizio della Sterling, secondo la quale a Bauer, Ruge, StrauI3 e Gutzkow, pur non essendo dei decisi antisemiti, non pu essere risparmiato il rimprovero di non aver impedito l'engagement delle loro tesi all'interno dell'antisemitismo politico: E. STERLING, Er ist wie du. Aus der Friihgeschichte des Antisemitismus in Deutschland (1815-1850), Miinchen, Chr. Kaiser Verlag, 1956, p. 112. Si veda anche il documentato lavoro di G.A. VAN DEM BERGH VAN EYSINGA, Het jodenvraagstuk, in Godsdienst-Wetenschappelijke Studien, vol. XII, Harlem, H.D. Tjeenk Willink & Zoom, 1952, p. 51, secondo cui sarebbe ingiusto qualificare il Bauer di quel periodo, e lui solo (senza Marx e Feuerbach), come l'antisemita par excellence. Una panoramica anche in F. TOMASONI, La modernit e il fine della storia. Il dibattito sull'ebraismo da Kant ai giovani hegeliani, Brescia, Morcelliana, 1999, su Bauer pp. 189-98. 2 Mi permetto di rinviare al mio Filosofia della crisi. La riflessione posthegeliana, in Filosofia politica, n. 2/2002, pp. 193-222. 3 L'interesse di Schmitt per Bauer inizia nel 1927, quando Barnikol ritrova

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e pubblica il testo baueriano del 1843 Das entdeckte Christentum. Schmitt inizi a studiare con interesse Bauer, prendendo anche direttamente contatti con alcuni studiosi del suo pensiero. Una copia della Judenfrage, assieme a molti altri testi di Bauer, era tra l'altro presente nella sua biblioteca privata: per l'elenco completo s veda Nachlass Carl Schmitt. Verzeichnis des Bestandes im nordrhein-westfdlischen Hauptstaatsarchiv, Bearbeitet von D. VAN LAAK UNO I. VILLINGER, Siegburg, Respublica Verlag, 1993, pp. 384-5 e p. 529. Schmitt scrisse che nessuno pi di Bruno Bauer attu e port a compimento la critica teologico-filosofica, nel senso pregnante e con tutta l'ineluttabilit che per la storia dello spirito tedesco degli ultimi due secoli si legano alla parole crisi e critica: C. Scruirrr, Donoso Corts in gesamteuropdischer Interpretation, Ki3ln, Greven Verlag, 1950, trad. it. a cura di P. DAL SANTO, Donoso Corts interpretato in una prospettiva paneuropea, Milano, Adelphi, 1996, pp. 101-2. Altri riferimenti schmittiani a B. Bauer in Ex Captivitate Salus, Kaln, Greven Verlag, 1950, trad. it. di C. MAINOLDI, Ex Captivitate Salus, Milano, Adelphi, 1987, p. 39 e p. 42; Politische Theologie IL Die Legende von der Erledigung jeder Politischen Theologie, Berlin, Duncker & Humblot, 1984, trad. it. a cura di A. CARACCIOLO, Teologia politica II. La leggenda della liquidazione di ogni teologia politica, Milano, Giuffr, 1992, p. 45; Glossarium. Aufzeichnungen der Jahre 1947-1951, Hg. von E. FREIHERR VON MEDEM, Berlin, Duncker & Humblot, 1991, dove, il 3.9.47 relativamente alla questione ebraica, annotava: Der Begriff des Juden bei Hamann, Br. Bauer, Kierkegaard und Nietzsche. Entfesselung der Virulenz eines Begriffes durch Enttheologisierung (ivi, p. 9). 4 11 lessico di tendenza liberale di Rotteck intende, con emancipazione degli ebrei, l'eguaglianza degli stessi con gli altri cittadini per quanto riguarda i diritti politici e civili (in den politischen und biirgerlichen Rechten): K. STEINACKER, "Emancipation der Juden", in C. VON RO l IECK U. C. WELCKER (hrsg. von), Staats-Lexikon oder Encyklopadie der Staatswissenschaft, vol. 5, Altona, Verlag von J.F. Hammerich, 1837, p. 22. 5 Cfr. Ch.W. Dousi, Uber die biirgerliche Verbesserung der Juden, Berlin, Fr. Nicolai, 1781-3. Su Dohm e l'illuminismo si veda I. Elbogen/E. Sterling, Die Geschichte der Juden in Deutschland, Frankfurt am Main, Atheaum, 1988, pp. 159 ss.; P. BERNARDINI, La questione ebraica nel tardo illuminismo, Firenze, Giuntina, 1992, il quale rileva come l'oggetto principale del trattato di Dohm siano proprio i Rechte der Menschheit (pp. 77-8). 6 Cfr. K.M. GRASS UND R. KOSELLECK, ad.v. "Emanzipation", in B. BRUNNER - W. CONZE - R. KOSELLECK, Geschichtliche Grundbegrzffe, Stuttgart, Klett Cotta, Bd. 2, 1992, pp. 166 ss. B. BAUER, Die Fdhigkeit der heutigen Juden und Christen, frei zu werden, in G. HERWEGH (HG. von), Einundzwanzig Bogen aus der Schweiz, Ziirich und Winterthur, Verlag des Literarischen Comptoirs, 1843 (ristampa anastatica: Leipzig, Reclam jun., 1989), pp. 56-71, ora in B. BAUER, Feldziige der reinen Kritik, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1968, pp. 175-195. 8 B. BAUER, Die Judenfrage, Braunschweig, Druck und Verlag von Friedrich Otto, 1843, p. 3; trad. it. infra, p. 45. 9 K. MARx, Zur Judenfrage, in A. RUGE e K. MARx, Deutsch-Franzsi schen Jahrbiicher, Paris, 1844, ora in Marx Engels Werke, Berlin, Dietz Verlag, 1988, pp. 347-77. Sul rapporto tra Marx e Bauer nei primi anni Quaranta, in riferimento alla pubblicazione della Judenfrage, si veda J. KANDA, Die Gleichzeitigkeit des
Ungleichzeitigen und die Philosophie. Studien zum radikalen Hegelianismus im Vormdrz, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2003, pp. 129-31.

1 Die Juden- Frage, in Deutsche Jahrbiicher far Wissenschaft und Kunst, 17-26. Nov., 1842, nn. 274-282, pp. 1093-1126, ripubblicato con ampliamenti in

Die Judenfrage, cit.; Die Fdhi gkeit der heutigen Juden und Christen, frei zu werden, cit. " Oltre agli scritti menzionati, nel Vormdrz Bauer pubblica Neueste Schrif ten iiber die Judenfrage, in Allgemeine Literatur-Zeitung, Heft 1, dic. 1843, pp. 1-17; Neueste Schriften iiber die Judenfrage, in Allgemeine Literatur-Zeitung,

Heft 4, mar. 1844, pp. 10-19. 12 B. BAUER, Der christliche Staat und unsere Zeit, in Hallische Jahrbiicher far deutsche Wissenschaft und Kunst, 7-12. Juni 1841, nn. 135-140, pp. 537558, ora in ID., Feldziige der reinen Kritik, cit., pp. 7-43, trad. it. a cura di G. A. DE TONI, Lo Stato cristiano e il nostro tempo, in Annali di Halle e Annali tedeschi (1838-1843), Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 127-57. 13 Di fronte alla crisi dell'hegelismo radicale dovuta a una svolta illiberale nella politica prussiana, Marx reagisce con un grande sforzo teorico mirante alla ricerca di una convergenza fra "movimento soggettivo" e "movimento oggettivo". Bauer al contrario sostiene che la sconfitta de Giovani hegeliani dovuta a una carenza della soggettivit, a una debolezza della critica: A. GARGANO, Bruno Bauer e lo Stato (1840-42), in Studi filosofici, V-VI, Napoli, Bibliopolis, 198283, p. 289 ora in ID., Bruno Bauer, Napoli, La citt del Sole, 2003. 14 Citato secondo E. BARNIKOL, Das entdeckte Christentum im Vormarz.
Bruno Bauers Kampf gegen Religion und Christentum und Erstausgabe seiner Kampfschrift, Aalen, Scientia Verlag, 19892, p. 57. 15 F. ENGELS, Bruno Bauer und das Urchristentum (1882), in MEW, Bd. 19, pp. 297-305, ora raccolto, assieme ad altri scritti di Engels, in Sulle origini del cristianesimo, Roma, Editori Riuniti, 2000. 16 Si tratta di Die gute Sache der Freiheit und meine eigene Angelegenheit,

Ziirich und Witerthur, Verlag des literarischen Comptoirs, 1842 (ristampa anastatica: Aalen, Scientia Verlag, 1972), che Marx elogi in una lettera a Ruge del 13 marzo 1843: Ha certamente gi avuto modo di leggere l'autodifesa di Bauer. Secondo me non aveva ancora mai scritto cos bene. 17 K. MARx, Zur Judenfrage (1844), in MEW, Bd. 1, p. 348; trad. it. infra, p. 176. 18 ormai nota la vicenda della Posaune che, sulla base di alcune lettere tra Bauer e Ruge, Mayer ritenne d poter considerare il frutto della collaborazione tra Bauer e Marx, il quale avrebbe scritto le sei sezioni di Hegel's Lehre von der Religion und Kunst von dem Standpuncte des Glaubens aus beurtheilt, Leipzig, Otto Wigand, 1842 (ristampa anastatica: Aalen, Scientia Verlag, 1967), comprese sotto il titolo "Hegel's Hall gegen die heilige Geschichte und die gattliche Kunst der heiligen Geschichtsschreibung": cfr. G. MAYER, Karl Marx und der zweite Teil der "Posaune", in Archiv fiir der Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung, 1916 (7 Jg.), p. 341. Ormai gli interpreti sono concordi nell'attribuire al solo Bauer la stesura delle due parti della Posaune: si veda, tra la molta letteratura sul tema, G.A. v. ID. BERGH VAN EYSINGA, Heeft Marx meegewerkt aan de Posaune en aan het vervolf daarop?, in Godsdienst Wetenschappelijke Studin, Harlem, H.D. Tjeenk Willimk & Zoom, vol. XIV, 1953, pp. 19-33. Sempre in relazione alla vicinanza teorico-politica tra Bauer e Marx nei primi anni Quaranta, si tenga presente che Marx pensava addirittura di fondare assieme a Bauer una rivista dal titolo "Archiv des Atheismus": cfr. E. BARNIKOL, Bruno
Bauers Kampf gegen Religion und Christentum und die Spaltung der vormdrzlichen

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preussischen Opposition, in Zeitschrift fiir Kirchengeschichte, XLVI, 1928, p.

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19 Che la differenza tra lo scritto baueriano e quello marxiano sia da individuare nello snodo emancipazione-universalismo emerge dal lavoro di J. PELED,

From theology to sociology. Bruno Bauer and Karl Marx on the Question of Jewish emancipation, in History of Political Thought, 1992 (13), n. 3, pp. 463-85.

Secondo Rosen Marx ragionerebbe all'interno della logica di Bauer almeno fino ai Manoscritti del 1844: cfr. Z. ROSEN, The influente of Bruno Bauer on Marx' concept of alienation, in Social Theory and Practice, 1970-1 (1), n. 2, p. 63-7. Di Rosen si veda anche Bruno Bauer and Karl Marx: the Influence of Bruno Bauer on Marx's Thought, The Hague, Martinus Nijhoff, 1977. Sulla maggiore influenza di Bauer rispetto a Feuerbach sul pensiero marxiano insistono anche K.L. CLARKSON and D.J. HAWKIN, Marx on Religion: the Influence of Bruno Bauer and Ludwig Feuerbach and its implications for the christian-marxist dialogue, in Scottish Journal of Theology, n. 6 (1978), pp. 533-55; si veda anche I. PEPPERLE, Einleitung, in G. HERWEGH (Hg. von), Einundzwanzig Bogen aus der Schweiz, Ziirich und Winterthur, Verlag des Literarischen Comptoirs, 1843, ristampa anastatica: Leipzig, Reclam jun., 1989, p. 51. testo fu distrutto nel luglio del 1843 e dato per perso fino al rinvenimento di un esemplare e quindi alla sua ripubblicazione agli inizi del XX secolo ad opera di ERNST BARNIKOL: B. BAUER, Das entdeckte Christentum. Eine Erinnerung an das achtzehnte Jahrhundert und ein Beitrag zur Krisis des neunzehnten,

Ziirich und Winterthur, Druck und Verlag des literarischen Comptoirs, 1843, ristampato in BARNIKOL, Das entdeckte Christentum, cit.,
21 Die Juden in aterreich. Vom Standpunkte der Geschichte, des Rechts und des Staatsvorteils, 3 Balde, Leipzig, Mayer und Wigand, 1842, pubblicato anonimo, ma attribuibile a JOSEF WERTEIMER; J.A. EISENMENGER, Das entdeckte Judentum, Minigsberg, 1711, 2 Bde (ristampa: Dresden, Brandner, 1893), orientalista,

LECK, Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten, Frankfurt am Main, 1979, trad. it. di A.M. Sottili, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Genova, Marietti, 1986, pp. 196 ss. Scrive ancora Koselleck: poich i cristiani pretendono di essere gli uomini veri, autentici, questa formulazione consente di definire "non-uomini" i non-cristiani, gli eretici e i pagani: ivi, p. 217. 28 Cfr. BAUER, Das entdeckte Christentum, cit., p. 195. 29 L. FEUERBACH, Das Wesen des Christentums (1841), in Id., Gesammelte Werke, Hg. von W. Schuffenhauer, Berlin, Akademie Verlag, 1986, Bd. 5, trad. it. a cura di F. BAZZANJ, L'essenza del cristianesimo, Firenze, Ponte delle Grazie, 1994, p. 298. 30 Il fervore della fede non nient'altro che l'atteggiamento esclusivo del principio cristiano o il fuoco dell'amore cristiano. Questo fuoco attraversa l'intera storia della chiesa cristiana ed erompe in epoche particolari per conferire loro un particolare splendore. Agostino, ad esempio, lo attizz contro gli scismatici dell'Africa del Nord; alla luce di esso scrisse quei passi dei suoi scritti in cui ordinava la persecuzione degli eretici; quello stesso fuoco, come una nuova colonna di fiamme, indic a crociati il cammino per l'Oriente; fece luce agli Spagnoli durante le guerre per convertire i popoli dell'America; brill nella notte di San Bartolomeo e nella violenza dei dragoni di Luigi XIV contro gli ugonotti: BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 17; trad. it. infra, p. 60 31 BAUER, Das entdeckte Christentum, cit., p. 195. 32 Cfr. BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 53; trad. it. infra, p. 94; si veda anche BAUER, Die Fdhigkeit, cit., pp. 183-4; trad. it. infra, pp. 162-3. " BERNARDO DI CLAIRVAUX, Liber ad Milites Templi. De laude novae militiate, in SAN BERNARDO, Opere, vol. I, Roma, Citt Nuova, 1984, p. 446-7. Il passo citato in FEUERBACH, Essenza del cristianesimo, cit., p. 310, che lo riporta come

Serino Exhort. Ad Milites Templi.


34 B. Bauer a L. Feuerbach, 10.3.1842, in FEUERBACH, Briefwechsel II (1839-1844), in ID., Gesammelte Werke, cit., Bd. 18, p. 171. Sull'unit di politica e religione in Bauer si veda K. COMOTH, Zur Negation des religisen BewuJtseins in der Kritik Bruno Bauers, in Neue Zeitschrift fiir systematische Theologie und Religionsphilosophie, Bd. 17, 1975, p. 221. 33 Scrive Bauer che il pregiudizio religioso e la separazione religiosa devono senza dubbio cadere e venir meno se le caste e i privilegi civili e politici dovessero cessare di esistere. Il pregiudizio religioso la base di quello politico e civile, ma la base che quest'ultimo, anche se inconsapevolmente, ha dato a se stesso. Il pregiudizio civile e politico il nucleo che il pregiudizio religioso semplicemente racchiude e salvaguarda: BAUER, Judenfrage, cit., pp. 95-6; trad. it. infra, p. 136. Con ci Bauer non pensa certo di risolvere religiosamente l'esclusione politica, anzi la separazione religiosa a cadere se cade il sistema dei privilegi materiali e civili. Scrive H.L. KPPEN, Broschuren iiber die Judenfrage, in Norddeutsche Bltter, Heft IX, marzo, 1845, p. 55, che Marx avrebbe torto a sostenere che la questione della Judenfrage meramente religiosa, perch al centro dello scritto di Bauer starebbe invece la relazione tra Stato e cristianesimo. Per quanto riguarda i Norddeutsche Bldtter si veda infra, nota 111. 36 Le differenze cetuali riprendono nuovamente vita nei ceti dei prescelti, degli eletti e di quelli che, in seguito a decreto arbitrario e imperscrutabile dell'Altissimo, sono dannati: i ceti religiosi, allo stesso modo di quelli politici, si fondano sulla natura, solo che si fondano su una natura chimerica: Die Fdhigkeit, cit., p. 191; trad. it. infra, p. 168.

considerato, per contenuti e forma, il fondatore dell'antisemitismo moderno. 22 G. SALOMON, Bruno Bauer und seme gehaltlose Kritik iiber die Judenfrage, Hamburg, Perthes-Besser und Mauke, 1843, p. 110. Analogamente L. Philippson: Da questo punto di vista l'ebraismo doveva essere contrario a Bauer cos come lo era il cristianesimo, e dopo che egli ebbe liquidato quest'ultimo, era naturale che si rivolgesse all'ebraismo, nell'articolo di apertura della Zeitung des Judenthums, Nr. 48 (1842), p. 698. Scrive Jung che Bauer avrebbe rivolto al cristianesimo la stessa critica che poi rivolge all'ebraismo: A. JUNG, Die Kritik in Charlottenburg oder die Gebriider Bauer, in Kpnigsberger Literaturblatt, 17. Juli 1844, p. 450. 23 BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 17; trad. it. infra, p. 59. 24 Cfr. ibidem. 25 J.E. ERDMANN, Grundriss der Geschichte der Philosophie, vol. II, Berlin, Hertz, 1866, p. 666. Scrive invece Bauer che l'emancipazione [degli ebrei] non pu quindi nemmeno essere vincolata alla condizione che essi diventino cristiani: Die Judenfrage, cit., p. 60; trad. it. infra, p. 102. Lo stesso concetto ribadito in Die Fdhigkeit, cit., p. 193; trad. it. infra, p. 170. 26 BAUER, Die Fdhigkeit, cit., p. 183; trad. it. infra, p. 162 27 Secondo Koselleck la dualit paolina (battezzati e il resto dell'umanit) sfugge il paradosso temporali7zandosi, distendendosi nel tempo. Solo quando la chiesa si istituzionalizza, l'antitesi viene territorializzata e la popolazione della terra viene suddivisa in categorie che si escludono reciproCamente: cfr. R. KOSEL-

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" Su questo punto e per ulteriori riferimenti bibliografici mi sia permesso di rimandare al mio Crisi e critica in Bruno Bauer. Il principio di esclusione come fondamento del politico, Napoli, Bibliopolis, 2002, pp. 85 ss. 38 Cfr. B. BAUER, Kritik evangelischen Geschichte der Synoptiker, 2 Bde, Leipzig, Otto Wigand, 1841, pp. 348-51. 39 La Formuntersuchung, concettualmente anticipata da Bauer, sar resa celebre la Martin Dibelius e Rudolf Bultmann nella scienza neotestamentaria del ventesimo secolo: cfr. J. VON KEMPSKI, Ober Bruno Bauer. Eine Studie zum Ausgang des Hegelianismus, in Archiv fiir Philosophie, n. 11 (1962), pp. 22345, ora in ID., Brechungen, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1992, p. 165; si veda anche G. RUNZE, Bruno Bauer: der Meister der theologischen Kritik, Berlin, Hermann Paetel Verlag, 1931, p. 9. 4 Cfr. CH. VON BRAUN und L. HEID, Der ewige Judenhass, Berlin-Wien, Philo, 2000, p. 16: Solche bewussten Filschungen haben eben auch in den Kanon des Neuen Testaments Eingang gefunden, weil sich die Nazarener von den Juden unterscheiden wollten. 4' BAUER, Kritik der evangelischen Geschichte, cit., Bd. III, p. 308. 42 B. BAUER, Die Posaune des jiingsten Gerichts iiber Hegel, den Atheisten und Antichristen. Ein Ultimatum, Leipzig, Otto Wigand, 1841 (ristampa anastatica: Aalen, Scientia Verlag, 1983), p. 77; trad. it. La tromba del giudizio universale contro Hegel, ateo ed anticristo. Un ultimatum, in K. Lwitx, La sinistra hegeliana, Bari, Laterza, 1982, p. 123; cfr. anche BAUER, Das entdeckte Christentum, cit., p. 262. F. NIETZSCHE, Menschliches, Allzumenschliches (1878), AL 472, "Religion und Regierung , in ID., Werke, Bd. IV, 2, Berlin - New York, Walter de Groyter & Co., 1967 ss., pp. 312-7, trad. it., Umano troppo umano, in Opere, Bd. IV, 2, Milano, Adelphi, 1970 ss., pp. 256-61. 44 Su questo punto si veda CH. DUQUOC, Il cristianesimo e la pretesa all'universalit, in Conciliutn, n. 5 (1980), p. 93; si veda anche quanto scrive Ruffini: ... l'intolleranza religiosa trov e trova tuttod il suo pi saldo fondamento appunto in un dogma, nel cosiddetto dogma della esclusiva salvazione: extra ecclesiam nulla salus, Ruffini conclude il proprio ragionamento parlando di una intoleranza religiosa insita nel dogma cristiano: cfr. F. RUFHNI, La libert religiosa. Storia dell'idea, Milano, Feltrinelli, 1967 (I ed. Torino, Bocca, 1901), pp. 16-8. as BAUER, Die Judenfrage, cit., pp. 16-7; trad. it. infra, p. 59. 46 Cfr. J. TAUBES, Ad Carl Schmitt. Gegenstrebige Fiigung, Berlin, Merve Verlag, 1987, trad. it. a cura di E. &mimi, In divergente accordo. Scritti su Carl Schmitt, Macerata, Quodlibet, 1996, p. 68. In una conferenza monacense del 1929, Peterson spiegava che gli ebrei con la loro incredulit impediscono il ritorno di Cristo. Ma impedendo il ritorno del Signore, essi ostacolano l'avvento del Regno e favoriscono necessariamente la perpetuazione della chiesa: E. PETERSON, Die Kirche (1929), in ID., Theologische Traktate, Miinchen, Ksel, 1951, p. 413; si veda al riguardo Saimm, Teologia politica II, cit., p. 49. 47 BAUER, Das entdeckte Christentum, cit., p. 197. 48 Va sottolineato che, ancora alla fine degli anni '40, i conservatori negavano il principio dell'eguaglianza ed affermavano l'esclusione degli ebrei in forza dell'ordinamento organico degli Sande: cfr. STERLING, Er ist wie du, cit., p. 131 s. 49 Gli scritti di CARL H. HERMES apparvero nella Klnische Zeitung, 6. July 1842, Nr. 187, pp. 1 ss., 30. July 1842, Nr. 211, pp. 1 ss. e ID., Letztes Wort an Herrn Philippson zu Magdeburg, in Klnische Zeitung, 23. August 1842, Nr.

235, Beilage. Gli scritti di Hermes sono oggetto di polemica anche da parte di Marx: cfr. Marx a Ruge 9. Juli 1842, in K. MARx F. ENGELS, Gesamtausgabe, hrsg. von Institut fiir Marxismus-Leninismus, Berlin, Dietz Verlag, Bd. III/1, pp. 28-30. Si veda al riguardo J. CARLEBACH, Karl Marx and the Radicai Critique of Judaism, London, Henley and Boston, Routledge & Kegan Paul, 1978, pp. 82-5. 50 Cfr. HERIVIES, in Klnische Zeitung, Nr.187. " Cfr. HERMES, in Klnische Zeitung, Beilage zu Nr. 235. 52 W.B. FRANKEL, un ebreo convertito, che nel '42 scrive Die Unmglichkeit der Emanzipation der Juden im christlichen Staate, Elberfeld, Buchhandlung von W. Hassel, 1842; secondo Frnkel i cristiani contrastano l'emancipazione degli ebrei non in quanto uomini, ma per la loro religione, perch al di fuori di Cristo non c' salvezza: ivi, p. VIII. Cfr. anche HERMES, in Klnische Zeitung, Nr. 211. 3 BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 3; trad. it. infra, p. 45. ' 54 Ivi, p. 21; trad. it. infra, p. 63. 55 Ivi, p. 65; trad. it. infra, p. 107. 58 Mi sono soffermato su questo aspetto nel mio Filosofia della crisi, cit. " Nel 1840 Bruno Bauer scrive al fratello che quelli della sinistra nei manifesti degli Hallischen Jahrbiicher si distinguono dalla destra, di cui usano per ancora le formule e di cui condividono ancora la concezione ortodossa della religione, solo per mezzo di inalberate esigenze, solo per il fatto che sventolano in aria come una bandiera l'esigenza in genere il dover essere (Sollen): B. Bauer a E. Bauer, 28 marzo 1840, in Briefwechsel zwischen Bruno Bauer und Edgar Bauer wdhren der Jahre 1839-1842 aus Bonn und Berlin, Charlottenburg, Verlag Egbert Bauer, 1844 (ristampa anastatica: Aalen, Scienta Verlag, 1979), pp. 57-8. 58 B. BAUER, Was ist jetzt der Gegenstand der Kritik?, in Allgemeine Literatur-Zeitung, Heft 8, Juli 1844, p. 18-26, ora in BAUER, Feldzzige der reinen Kritik, cit., p. 200-12, trad. it. di A. ZANARDO, Che cosa oggi l'oggetto della critica?, in K. MARx-F. ENGELS, La sacra famiglia ovvero critica della critica critica. Contro Bruno Bauer e soci, Roma, Editori, Riuniti, 1972, p. 306. 59 BAUER, Was ist jetzt, cit., p. 20; trad. it. in MARX-ENGELS, La sacra famiglia, cit., p. 304. 60 E. BAUER, 1842, in Allgemeine Literatur-Zeitung, Heft 8, luglio 1844, p. 6, trad. it. in MARX-ENGELS, La sacra famiglia, cit., pp. 294-5. 61 Per la bibliografia relativa alle recensioni dello scritto di Bauer rinvio a A. ZANARDO, Bruno Bauer hegeliano e giovane hegeliano, in Rivista critica di storia della filosofia, fasc. II (1966), 189-210 e fasc. III (1966), pp. 293-327, in particolare cfr. pp. 303-4. 62 H.E. MARCARD, Ober die Miiglichkeit der Judenemanzipation im christlich-germanischen Staat, Minden und Leipzig, F. Efimann, 1843, p. 14; si veda la replica di Bauer in Neueste Schrzften, Heft 1, cit., p. 4. S veda la giusta osservazione di SALOMON, op. cit., p. 20: se gli ebrei non hanno fatto che male replica Salomon non hanno con ci stesso partecipato alla storia? Una ricostruzione attenta del dibattito, relativo a questo primo punto, in ROTENSTREICH, For and Against Emancipation, cit., pp. 16 ss. Ma questo immobilismo e questa estraneit alla storia costituivano- un topos diffuso dell'orientalismo ottecentesco: su ci E. SAm, Orientalism, New York, Pantheon Books, 1978, trad. it. di S. GALLI, Orientalismo, Milano, Feltrinelli, 1999. " Si veda ancora SALOMON, op. cit., pp. 99 ss; Salomon riconosce la buona

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fede del discorso politico di Bauer, pur considerando stravaganti e false molte delle sue riflessioni. Secondo Salomon, Bauer vorrebbe salvare il cuore dalla ferita trafiggendo il cuore del paziente: cos, secondo Bauer, il cristiano dovrebbe rinunciare al cristianesimo e l'ebreo al giudaismo (pp. 111-113). Scrive Philippson che Bauer considera lo sviluppo dell'umanit possibile solo a partire dalla negazione e dalla dissoluzione di tutto ci che esiste: L. PHILLPPSON, Leitender Artikel, in Zeitung des Judenthums, Nr. 48, 3. December 1842, pp. 697-8. 65 Sulla vicenda si veda CARLEBACH, Karl Marx and the Radical Critique, cit., p. 139. 66 ANONIMO, Eine Unterredung mit Bruno Bauer iiber die Judenfrage, in Der Israelit des neinzehnten Jahrhunderts, Nr. 25, 18. Juni 1843, pp. 99-100; l'articolo prosegue nel Nr. 26, pp. 103-4 e Nr. 27, pp. 107-9. 67 BAUER, Neueste Schriften, I, cit., p. 8. Che il tema centrale della Judenfrage fosse la Ausschliefilichkeit ribadito da E. JUGNITZ, Das Judentum und die Kritik, in Allgemeine Literatur-Zeitung, August 1844, Nr. 9, pp. 7-16, in particolare cfr. pp. 9-11. 68 Cfr. BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 20; infra, p. 62. 69 MARX, Zur Judenfrage, cit., p. 372; infra, p. 202. 7 Ivi, p. 356; infra, p. 185; si veda M. MERLO e G. RAMETTA, Potere e critica dell'economia politica in Marx, in G. Doso (a cura di), Il potere. Per la storia della filosofia politica moderna, Roma, Carocci, 1999, pp. 363-85. 71 Ivi, p. 360; infra, p. 189. 72 Ivi, p. 357; infra, p. 185. 73 Scrive Marx che la soppressione del giogo politico fu al tempo stesso la soppressione dei legami che tenevano vincolato lo spirito egoista della societ civile. L'emancipazione politica fu al tempo stesso l'emancipazione della societ civile dalla politica, dalla parvenza stessa di un contenuto universale: MARX, Zur Judenfrage, cit., p. 369; infra, p. 198. 74 Ivi, p. 366; infra, p. 195. 75 Scriver Marx nei Manoscritti del 1844: L'uomo un essere appartenente alla specie (ein Gattungswesen) non solo perch la specie (die Gattung), tanto della propria quanto di quella delle altre cose, costituisce teoricamente e praticamente il proprio oggetto, ma anche (e si tratta soltanto di una diversa espressione per la stessa cosa) perch si comporta verso se stesso come verso la specie presente e vivente, perch si comporta verso se stesso come verso un essere universale (als einem universellen) e perci libero: K. MARX: konomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, in MEW Bd. 40, S. 515; trad. it. Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 1983, p. 76. 76 Nella Ideologia tedesca (1845-6), Marx scriver che sotto il dominio della borghesia gli individui sono pi liberi di prima, apparentemente, perch per loro le loro condizioni di vita sono casuali; nella realt sono naturalmente meno liberi perch subordinati a una forza oggettiva (sachliche Gewalt): K. MARX/F. ENGELS, Die deutsche Ideologie, in MEW, Bd. 3, S. 76; trad. it. L'ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1983, p. 55. " Molte sono le assonanze e le analogie argomentative e terminologiche con lo scritto di MOSES HESS Sull'essenza del denaro, che, assieme allo scritto di Marx, doveva essere pubblicato negli Annali franco-tedeschi, ma che fu pubblicato l'anno seguente nei Rheinische Jahrbiicher zur gesellschaftlichen Reform, Hg. von H. Piittmann, Darmstadt, 1845, ora in trad. it. in M. HESS, Filosofia e socialismo. Scritti 1841-1845, a cura di G.B. VACCARO, Lecce, Milella, 1988, pp. 203-

227. Si ritrova in particolare in Hess la scissione tra uomo privato ed essenza comune, fra vita privata e vita pubblica, tra mondo reale e mondo celeste come espressione del rovesciamento della vita umana naturale. Di Hess sono anche le analogie tra mondo giudaico-cristiano e mondo del commercio: Il mistero del giudaismo e del cristianesimo divenuto chiaro nel mondo moderno di mercanti giudeo-cristiani (ivi, p. 223). Z. ROSEN, Moses Hess und Karl Marx. Ein Beitrag zur Entstehung der Marxschen Theorie, Hamburg, Christians, 1983, pp. 142-53 sottolinea la forte influenza di Hess sulla riflessione di Marx, influsso che, nello scritto Sulla questione ebraica, si configura nei termini di una vera e propria analogia tematica e concettuale con gli scritti di Hess. 78 BAUER, Neueste Schriften, cit., p. 15. 79 BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 65; trad. it. infra, p. 108. Si vedano le critiche di Salomon, che considera il ragionamento baueriano un terrorismo filosofico dagli esiti nichilistici. Salomon si chiede quale giorno festivo pu andar bene a Bauer, dal momento che un giorno deve pur essere scelto, perch se ognuno fosse libero di sceglierselo ne conseguirebbero gravi conseguenze per l'industria: cfr. Salomon, op. dt., p. 65. 80 Cfr. BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 73; trad. it. infra, p. 115. 81 /Vi, p. 66; trad. it. infra, p. 109. 82 L'appello degli ebrei al carattere superiore della loro dottrina etica religiosa, cio alla loro legge rivelata, per dimostrare che sarebbero capaci di diventare dei buoni cittadini e che avrebbero diritto di partecipare a tutte le faccende pubbliche dello Stato, questa loro richiesta di libert ha per il critico lo stesso valore della richiesta del moro di diventare bianco, o meno ancora. la richiesta di rimanere non-liberi (unfrei): BAUER, Die Fdhigkeit, cit., p. 176; trad. it. infra, p. 156. Per Bauer non possibile essere liberi nella propria particolarit, perch questa rimane una forma di dipendenza ad una determinazione positiva. Bauer cerca di articolare la libert nell'unione di particolare ed universale, nella forma dell'autonomia della singolarit, che libera se stessa da ogni interesse particolare. Si veda al riguardo quanto scrive D. MOGGACH, The Philosophy and Politics of Bruno Bauer, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, p. 32 e p. 147. 83 J. RAWLS, Political Liberalism, Columbia University Press, 1993, trad. it. Liberalismo politico, Torino, Edizioni di Comunit, 1999, p. 123. 84 BAUER, Die Fabigkeit, p. 177; trad. it. infra, p. 156. 85 Ivi, p. 191; trad. it. infra, p. 169. 86 Secondo Moggach questo modo baueriano di pensare l'universale, che egli definisce republican rigorism, vicino al modo in cui, pi tardi, Marx e Lenin considerarono la Comune di Parigi. S veda MOGGACH, The Philosophy and Politics of Bruno Bauer, cit., p. 53 e p. 85. 87 BAUER, Das entdeckte Christentum, cit., p. 270. 88 BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 19; trad. it. infra, p. 62. 89 Ivi, p. 3; trad. it. infra, p. 45. 9 B. BAUER, Verteidigungsrede B. Bauers vor den Wahlmannern des vierten Wahlbezirkes am 22.2.1849, in E. BARNIKOL, Bruno Bauer. Studien und Materialen, aus dem NachlaB ausgewhlt und zusammengestellt von P. Reimer und H.-M. Sass, Assen, Van Gorcum & Comp., 1972, p. 524. 91 La critica dello Stato cristiano in nome del vero Stato dei primi anni Quaranta lascia presto il posto ad una critica dello Stato in quanto tale, che sarebbe appunto attraversato dallo stesso principio di esclusione della religione: su questa evoluzione della riflessione di Bauer mi permetto di rimandare al mio

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Crisi e critica, cit., pp. 135-6 e pp. 138 ss. 92 BARNIKOL, Das entdeckte Christentum, p. 158. " BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 19; trad. it. infra, pp. 61-2. 94 Ivi, p. 19; trad. it. infra, p. 62. " Cfr. D. MOGGACH, Bruno Bauer: forme di giudizio e critica politica. Una lettura della logica hegeliana nel Vormirz, in Giornale Critico della Filosofia Italiana, fasc. II, 2002, vol. XXII, pp. 389-404; dello stesso autore anche Absolute Spirit and Universal Self-Consciousness: Bruno Bauer's Revolutionary Subjectivism, in Dialogue, n. XXVIII (1989), pp. 235-56. 96 B. BAUER, Rec. a Die christliche Glaubenslehre in ihrer geschichtlichen Entwicklung und im Kampf mit der modernen Wissenschaft. Dargestellt von Dr. D.F. Straufi, Band 1 u. 2, 1840-1841, in Deutsche Jahrbiicher fiir Wissenschaft und Kunst, n. 22 (1843), p. 84. 97 BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 19; trad. it. infra, p. 62. 98 Ma se l'uomo, sebbene sia ebreo, pu essere emancipato politicamente e pu ricevere i diritti del cittadino, pu pretendere e ottenere i cosiddetti diritti dell'uomo? Bauer lo nega: MARX, Zur Judenfrage, cit., p. 361; trad. it. infra, pp. 190-1. " stato osservato che Marx elabor la distinzione tra diritti dell'uomo e diritti del cittadino al di l della lettera dei documenti: R.N. HUNT, The Political Ideas of Marx and Engels, Pittsburgh, University of Pittsburgh Press, 1974, p. 73. 100 Nel progetto di lavoro marxiano non vi certo una totalit alla quale l'individuo debba in un qualche modo essere sacrificato. Si veda al riguardo L. BASSO, Critica dell'individualismo moderno e realizzazione del singolo nell'Ideaologia tedesca, in Filosofia politica, n. 2 (2001), pp. 233-56. "Dclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen du 26 aot 1789, in M. DUVERGER, Constitutions et Documents poli tiques, Paris, PUF, 1957, p. 118. 102 Gi nei primi anni Quaranta Bauer mostra che la comprensione dei diritti all'interno della compagine statuale rischia di far diventare la cittadinanza una sorta di privilegio. L'uomo, scrive Bauer, nato come membro di un popolo ed destinato a diventare cittadino dello Stato al quale appartiene per nascita; la sua determinazione di uomo travalica per i confini dello Stato nel quale nato: BAUER, Die Fdhigkeit, cit., p. 189; trad. it. infra, p. 167. Alla base di questa affermazione, che riguarda non lo Stato cristiano, ma lo Stato in quanto tale, c' l'idea baueriana di autocoscienza come eccedenza rispetto ad ogni forma di appartenenza, sia essa religiosa, cetuale o nazionale, e la sua comprensione nella dimensione pratica delle lotte reali: essa la dichiarazione di guerra e la guerra stessa, anzi, se compiuta come reale autocoscienza, la vittoria sopra tutto ci che pretende di valere esclusivamente per s, come monopolio e come privilegio: ibidem. 103 Giustamente Ferrajoli scrive che la cittadinanza rappresenta oggi l'ultimo privilegio di status, l'ultimo fattore di esclusione e discriminazione che contraddice l'universalismo dei diritti: L. FERRAJOLI, "Dai diritti del cittadino ai diritti della persona", in D. ZoLo, La cittadinanza. Appartenenza, identit, diritti, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 288. 104 Gli scritti di Bruno Bauer sulla Rivoluzione sono raccolti in Geschichte der Franz5si schen Revolution bis zur Stiftung der Republik, von B. BAUER-E. BAUER-E. JUGNITZ, 3 Bde, Leipzig, Vogt und Fernau's Separat-Conto, zweite Auflage, 1847 (ristampa anastatica: Aalen, Scientia Verlag, 1979). In relazione agli studi di Bauer sulla Rivoluzione si veda L. LAMBRECHT, Zum historischen Ein-

satz der wissenschaftlichen und politischen Studien Bruno Bauers zur Franziisischen Revolution, in Deutsche Zeitschrift fiir Philosophie, Bd. 8 (1989), pp. 741-52. Mi permetto di rinviare anche, per ulteriore bibliografia, ai capitoli VII e VIII del mio Crisi e critica in Bruno Bauer, cit. 105,BAUER, Geschichte der Politik, Cultur und Aufkldrung des achtzehnten Jahrhunderts, Charlottenburg, Verlag von Egbert Bauer, 1843-45 (ristampa anastatica: Aalen, Scientia Verlag, 1965), Bd. II, p. 103. 106 BAUER, Geschichte der Politik, cit., Bd. II, p. 171. 107 Ivi, Bd. I, p. XI. 108 Cfr. ivi, Bd. II, Dritte Abteilung, pp. 232-4. 109 Ivi, Bd. II, p. 168. 11 Cfr. R. SCHNUR, Revolution und Weltbiirgerkrieg, Berlin, Duncker & Humblot, 1983, trad. it. a cura di P.P. PORTINARO, Rivoluzione e guerra civile, Milano, Giuffr, 1986, p. 86. 111 ANONIMO, Die Menschenrechte 1793, Erster Artikel, in Norddeutsche Bltter, Januar 1845, Heft VII, p. 3. Una seconda parte dell'articolo, sempre anonima, fu pubblicata nel numero di aprile dei Norddeutsche Bliitter, 1845, Heft X, pp. 1-10. Il testo ha delle consonanze significative con quanto Bauer scriveva nei suoi studi storici sulla Rivoluzione. Si deve in ogni caso tenere presente che, nonostante la difficolt nell'attribuire la paternit dello scritto, la sua stessa pubblicazione nei Norddeutsche Bldtter, di cui Bauer era il curatore, implicava l'approvazione da parte di Bauer delle posizioni espresse nell'articolo. 112 Menschenrechte, cit., I, p. 3. 113 Menschenrechte, cit., II, p. 4. 114 Politische Freiheit e gesellschaftliche Unfreiheit, in questa opposizione sarebbe racchiuso il contenuto della Dichiarazione: cfr. ANONIMO, Menschenrechte, II, cit., p. 7. 115 BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 96; trad. it. infra, p. 137. 116 BAuER, Das entdeckte Christentum, cit., p. 200. 117 Probabilmente l'intelligibilit del concetto marxiano di Gattung, totalmente abbandonato dopo gli anni '40, risulterebbe arricchita oltre che dal confronto con Feuerbach, anche da quello con Bauer. 118 BAUER, Posaune, cit., p. 137; trad. it. cit., p. 177. 119 Cfr. BAUER, Louis Philipp, cit. 120 BAUER, Theologische Schamlosigkeiten, cit., p. 56. 121 In questa direzione J. RANCIERE, La Msentente. Politique et philosophie, Paris, Galile, 1995, pp. 45-9, il quale scrive: Il y a de la politique parce que ceux qui n'ont droit tre complts comme tres parlants s'y font compter et instituent une communaut par le fait de mettre en commun le tort qui n'est rien d'autre que l'affrontement mme, la contradiction de deux mondes logs en un seul (p. 49). 122 Sull'ambiguit nel pensiero di Bauer mi sono soffermato anche in Bruno Bauer: Dialektik des Individualismus, in L. LAMBRECHT (HG. voN), Philosophie, Literatur und Politik vor den Revolution von 1848, Bd. 3, Frankfurt am MainBerlin u.a., Peter Lang, di prossima pubblicazione. 123 BAUER, Neueste Schriften, II, cit., p. 12. 124 BAUER, Das entdeckte Christentum, cit., p. 270. 125 BAUER, Die Judenfrage, cit., p. 19; trad. it. infra, p. 62. 126 Pur non essendosi mai conosciuti personalmente, Bauer e Nietzsche si rispettavano reciprocamente; Nietzsche ricorda tra i suoi lettori pi attenti il

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vecchio hegeliano Bruno Bauer: F. NtErzscHE, Ecce homo, in In., Werke, cit., Bd. VI, 3, pp. 315-6. La stima era del resto ricambiata: Bauer si riferisce a Nietzsche definendolo il Montaigne, Pascal e Diderot tedesco: cfr. B. BAUER, Zur Orientierung iiber die Bismarksche Ara, Chemnitz, 1880 (ristampa anastatica: Aalen, Scientia Verlag, 1969), p. 287. Scriveva Nietzsche a Reinhart von Seydlitz il 26 ottobre 1886: Im Grunde habe ich drei Leser, nimlich Bruno Bauer, J. Burckhardt, Henri Taine, und von denen ist der Erste todt: F. NiErzscnE, Briefwechsel (1885-1886), in In., Werke, cit., Bd. III, 3, p. 271. Su Bauer e Nietzsche si veda, oltre a K. Le5WITH, Von Hegel zu Nietzsche, Ziirich, Europa Verlag, 1941, trad. it. di G. Coni, Da Hegel a Nietzsche, Torino, Einaudi, 1949, pp. 2845; D TscinzEwsicu, Hegel et Nietzsche, in Revue d'histoire de la philosophie, III (1929), pp. 321-47; Z. ROSELA, Bruno Bauers und Friedrich Nietzsches Destruktion der brgerlich-christlichen Welt, in Jahrbuch des Instituts fiir Deutsche Geschichichte, Hg. von W. GRAB, Tel-Aviv, Nateev-Printing, 1982, pp. 151172. 127 F. NIETZSCHE, G6tzen-Diimmerung oder wie man mit dem Hammer philosophiert (1889), in Werke, ct., Bd. VI, 3, 1969, pp. 133-4, trad. it. in In., Opere, cit., Vol. VI, tomo 3, pp. 137-9. 128 Cfr. BAUER, Geschichte Deutschlands, cit., Bd. II, p. 253 e p. 255. 129 , Bd. II, p. 230. Ivi 138 Cfr. TOMBA, Filosofia della crisi, cit.. 131 B. BAUER, Kirche und Staats-Gouvernement, in Rheinische Zeitung, Beiblatt zu Nr.88, 29. Mrz 1842. Il grand'uomo citato da Bauer Mirabeau, che fu tra i redattori della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino de11789 e che, nella discussione preparatoria della Dichiarazione, sostenne che l'esistenza di un'autorit che ha il potere di tollerare un attentato alla libert di pensiero, per il fatto stesso che essa tollera ma potrebbe non tollerare. Sulle discussioni che portarono alla Dichiarazione cfr. M. WINOCK, 1789. L'anne sans pareille Chronique, Paris, Editions Oliver Orban, 1988, trad. it. di G. GOIUA, M.T. DELLA SETA, R. DELLA SETA, Francia 1789. Cronaca della rivoluzione, Trento, l'Unit, 1988, pp. 208-9. Mirabeau comment l'emendamento voluto dal vescovo di Lydda all'articolo 10 della Dichiarazione del 1789, che limitava la libert religiosa (purch la loro manifestazione non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla legge), ne Le Courier de Provence, scrivendo che in tal modo un governo potrebbe impedire la celebrazione pubblica del culto dei non cattolici. 132 BAUER, Verteidigungsrede, cit.. 133 Ivi, p. 524. 134 B. BAUER, Bekenntnisse einer schwachen Seele, in Deutsche Jahrbiicher fiir Wissenschaft und Kunst, Juni 1842, Nr. 148-9, pp. 589-96, trad. it. Confessioni di un'anima debole, in Annali di Halle" e "Annali tedeschi", cit., p. 200. 135 Negli anni ottanta Bauer intravede la possibilit di piegare a proprio favore la centralizzazione e il livellamento: il martello di una crescente centralizzazione (der Hammer einer sich steigernden Centralisation) che cade sui popoli europei, scriver Bauer, li renderebbe compagni di uno stesso destino, mandando cos in frantumi i resti delle nazionalit e rendendo possibile un'Europa comune: B. BAUER, Vorwort, in Schmeitzner's Internationale Monatsschrift. Zeitschrift fiir allgemeine und nationale Kultur und deren Literatur, Jh. 1882, Bd. I, S. 1-5. Questa idea baueriana condivisa da un altro collaboratore della Schmeitzner's internationale Monatsschrift, Nietzsche, che, in una lettere del novembre 1882, scrive a Gast che l'idea fondamentale dell'introduzione di Bauer

l'unit europea e l'annientamento delle nazionalit (das Europiierthum mit der Perspektive der Vernichtung der Nationalitiiten) sarebbe la sua stessa idea: F. Nietzsche an H. Kselitz, 5.2.1882, in NIETZSCHE, Briefwechsel (1880-1884), in Werke. Kritische Gesamtausgabe, cit., Bd. III, 1, p. 167. Sulla collaborazione di Nietzsche alla rivista di Schmeitzer, della quale Bauer fu direttore fino al 1882, anno della sua morte, si veda M.B. BROWN, Friedrich Nietzsche und sein Verleger Ernst Schmeitzer: eine Darstellung ihrer Beziehung, Stanford University, Diss. Germanic literature, 1986. 136 B. BAUER, Disraelis romantischer und Bismarcks sozialistischer Imperialismus, Chemnitz, 1882 (ristampa anastatica: Aalen, Scientia Verlag, 1979), p. 241. 137 Luca, 11:52. La citazione di Bauer lievemente modificata. Nella versione luterana suona: Weh euch Schriftgelehrten! denn ihr habt den Schlssel der Erkenntnis weggenommen. Ihr kommt nicht hinein und wehret denen, die hinein wollen. Secondo la versione della Nuova riveduta, a cura della Societ Biblica di Ginevra, 20017: Guai a voi, dottori della legge, perch avete portato via la chiave della scienza! Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito. Ho tenuto presente anche la versione della Bibbia a cura della Conferenza Episcopale Italiana, seconda edizione del 1974. Bauer non indica mai il luogo della Bibbia dal quale cita; d'ora in poi mi limiter a dare indicazione di tutti i riferimenti, espliciti o impliciti nel testo di Bauer, senza alcun'altra precisazione [N.d.C.1. 138 Bauer riprende quasi alla lettera Atti, 10:34, 35. 139 Luca, 12:49. 140 Si tratta di G. SALOMON, Sendschreiben an den Herrn Dr. Z. Frankel, Oberrabbiner in Dresden: in Betreff seines im "Orient" mitgetheilten Gutachtens &ber das neue Gebetbuch der Tempelgemeinde zu Hamburg, Hamburg, Boedecker, 1842. 141 IL titolo completo Herr Dr. Hengstenberg. Kritische Briefe iiber den Gegensatz des Gesetzes und des Evangeliums, Berlin, F. Diimmler, 1839. 142 Levitico, 11:44. 143 Luca, 18:29. 144 1 Pietro, 2:9. 145 Si tratta di W.B. FRANKEL, Die Unmglichkeit der Emanzipation der Juden im christlichen Staate, Elberfeld, Buchhandlung von W. Hassel, 1842. 146 Matteo 12:30; Luca 11:23. 147 Si tratta di J.A. FRAENICEL, Die Cultus-Ordnung der Juden in Preussen, vorgeschlagen in Uebereinstimmung mit anderen juedischen Theologen, Frankfurt an der Oder, Harnecker, 1842. 148 Si tratta di CARI. H. HERKEs, i cui testi furono pubblicati come articoli di apertura nella Klnische Zeitung del 6.7. 1842, Nr. 187 e del 30.7.1842, Nr. 211, e con il titolo Letztes Wort an Herrn Philippson zu Magdeburg, sempre nella Klnische Zeitung del 23.8.1842, Nr. 235, Beilage. 149 Si tratta della lettera cliPaolo ai Galati 6:10. 150 Die Juden in Osterreich. Vom Standpunkte der Geschichte, des Rechts und des Staatsvorteils, 3 Bande, Leipzig, Mayer und Wigand, 1842. Il testo, pubblicato anonimo, attribuibile a Josef Werteimer. 151 Isaia 29:13. 152 Si tratta di J A EISENMENGER, Das entdeckte Judentum, Knigsberg, 1711, 2 Bde (ristampa: Dresden, Brandner, 1893). Bisogna tenere presente che l'invito a scrivere un Entdecktes Cristentum fu accolto dallo stesso Bauer, che

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scrisse effettivamente, quasi contemporaneamente alla Judenfrage, un Das entdeckte Christentum, che venne per censurato e distrutto nel luglio del 1843. Il testo fu dato per perso fino al rinvenimento di un esemplare e quindi alla sua ripubblicazione agli inizi del XX secolo ad opera di ERNST BARNIKOL: (Das entdeckte Christentum. Eine Erinnerung an das achtzehnte Jahrhundert und ein Beitrag zur Krisis des neunzehnten, Ziirich und Winterthur, Druck und Verlag des literarischen Comptoirs, 1843, ristampato in E. BARNIKOL, Das entdeckte Christentum zin Vormiirz. Bruno Bauers Kampf gegen Relgion und Christentum und Erstausgabe seiner Kampfschrift, Jena, Eugen Diederichs, 1927). 153 B.G. DE LA SERRE, Examen de la religion dont on cherche l'claircissement de bonne foy, Londres, G. Cook, 1761. Il testo, che si present come una

traduzione dall'inglese ad opera di Gilbert Bumet e il cui autore sarebbe stato M. DE ST-EVREMOND, in realt un apocrifo il cui vero autore appunto de La Serre. 154 Si tratta di Le christianisme dvoil ou examen des principes et des effets de la religion chrtienne, par FEU M. [NICOLAS-ANTOINE] BOULANGER, Londres, 1756. Il testo in realt di P.H.D. D'HoLsAcH e fu pubblicato ad Amsterdam nel 1766. 155 Bauer critica qui il "razionalismo teologico" sorto alla fine del XVIII secolo in seno all'illuminismo tedesco. Bauer aveva gi attaccato il Rationalismus come massimamente vuoto e inconsistente nelle Theologische Schamlosigkeiten, pubblicate nei Deutsche Jahrbiicher fiir Wissenschaft und Kunst, Nov. 1841, Nr. 117-120, pp. 465-79. Secondo Bauer il "razionalismo", essendo incapace di superare la separazione tra soggetto e oggetto, porrebbe Dio in un al di l inconoscibile, accentuando ancora di pi l'estraneit di ci che, nelle Scritture, pretende di essere "Sacro". Per quanto riguarda il "razionalismo" nell'esegesi biblica rimando H. HOLHWEIN, Rationalismus und Supranaturalismus, kirchengeschichtlich, in K. GALLING (HRSG. voN), Die Religion in Geschichte und Gegenwart. Handwrterbuch far Theologie und Religionswissenschaft, Bd. 5, Tiibingen, J.C.B. Mohr, 1961, pp. 791-800. 156 Matteo 7:3,5. 157 Geremia 29:7. 158 Riferimento a Luca, 15:7. 159 Riferimento a Matteo, 25:33. 16 Qui Marx, oltre ad introdurre i corsivi, non presenti nel testo di Bauer, modifica, forse per un errore nella trascrizione, anche il testo: nell'originale leggiamo nonostante il fatto che egli sia ebreo e voglia rimanere ebreo (Jude bleiben will), mentre Marx scrive nonostante il fatto che egli sia ebreo e debba rimanere ebreo (Jude bleiben soli). Anche nelle successive citazioni dall'opera di Bauer, Marx interviene con tagli e aggiustamenti, che possono essere controllati confrontando il testo degli scritti di Bauer al quale rimandiamo. 161 Il titolo completo : G. DE BEAUMONT, Marie ou l'Esclavage aux tatsUnis, tableau de moeurs Amricaines, Paris, Charles Gosselin, 1835. '62 Si tratta di TH. HAMILTON, Men and manners in America, Edinburgh, W. Blackwood, 1833, che Marx cita dall'edizione tedesca tradotta da L. HOUT,
Die Menschen und die Sitten in den Vereinigten Staaten von Nordamerika,

164 il passo, oltre all'aggiunta dei corsivi, riportato da Marx con qualche modifica. Lo riproduciamo qui nell'originale di Bauer: Recentemente, per dimostrare l'impossibilit o la non esistenza di uno Stato cristiano, si fatto molto spesso riferimento a quei precetti del Vangelo che non solo non vengono seguiti dallo Stato odierno, ma che esso non pu nemmeno seguire se, in quanto Stato, non vuole dissolversi completamente. Ma la faccenda non pu essere liquidata cos semplicemente. Che cosa impongono quei precetti evangelici? La sovrannaturale rinunzia a se stessi, la sottomissione all'autorit della rivelazione, l'allontanamento dallo Stato, la soppres sione dei rapporti secolari. Ebbene, lo Stato cristiano richiede e mette in opera tutto questo. Esso si appropriato dello spirito del Vangelo, e se non lo rende con gli stessi termini del Vangelo, ci dipende dal fatto che esprime questo spirito nelle forme dello Stato, vale a dire in forme prese a prestito dallo Stato e da questo mondo [dem Staatswesen und dieser Welt, mentre Marx Scrive: dem Staatswesen in dieser Welt], che per, nella rigenerazione religiosa che devono subire, sono ridotte a mera parvenza. Lo Stato cristiano l'allontanamento dallo Stato, allontanamento che, per attuarsi, si serve delle forme statali. 165 HEGEL, Lineamenti, cit., 183. '66 Si tratta della Histoire parlementaire de la rvolution francaise ou Journal des assembles nationales depuis 1789 jusqu'en 1815, a cura di P.J.B. BUCHEZ e P.C. Roux, Paris, Paulin, vol. XXVIII, 1836. L'opera in 40 volumi venne pubblicata dal 1834 al 1838. Robespierre jeune Augustin Bon Joseph Robespierre (1764-1794), che mor ghigliottinato assieme al fratello Maximilien il 10 termidoro (28 luglio). 167 Gattungswesen indica qui l'essenza dell'uomo individuale conciliata con il genere umano, e perci divenuta tutt'uno con l'essenza-del-genere. Qui, come altrove, abbiamo scelto di tradurre Gattungswesen con ente generico, dove generico va inteso come relativo al genere (Gattung). '" B. BAUER, Kritik der evangelischen Geschichte der Synoptiker, 2 Bde, Leipzig, Otto Wigand, 1841; Kritik der evangelischen Geschichte der Synoptiker, 3. und letzter Band, Braunschwieg, Friedrich Otto, 1842; D. FR. SmAus, Das Leben Jesu, kritisch bearbeitet, 2 Bde, Tiibingen, Verlag von C.F. Osiander, 183536. 169 HAMILTON, Die Menschen und die Sitten, cit., I, pp. 109-10. 170 L. RANKE, Deutsche Geschichte im Zeitalter der Reformation, Berlin, Duncker & Humblot, Bd. II, 1839, p. 207. L'opera in 5 volumi venne pubblicata dal 1839 al 1843.

Mannheim, Hoff, 1834. 163 G.W.F. HEGEL, Grundlinien derPhilosophie des Rechts, Berlin, Nicolaischen Buchhandlung, 1821, trad. it. a cura di G. MARINI, Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1987, 270 Annotazione, p. 217.

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finito di stampare per conto della manifestolibri - roma nel mese di maggio 2004 dalla grafica artigiana - via luca valerio - roma

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